Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 8 settembre 2025 - Natività Beata Vergine Maria (Letture di oggi)

Il Signore fa vedere e chiama; ma non si vuol vedere e rispondere, perché piacciono i propri interessi. Capita anche, a volte, per il fatto che la voce si è sempre udita, che non la si avverta più; ma il Signore illumina e chiama. Sono gli uomini che si mettono nella posizione di non poter udire più. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 6° settimana del Tempo di Pasqua

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 5

1Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret2e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e calate le reti per la pesca".5Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti".6E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.7Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.8Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore".9Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto;10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini".11Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

12Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi pregandolo: "Signore, se vuoi, puoi sanarmi".13Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii risanato!". E subito la lebbra scomparve da lui.14Gli ingiunse di non dirlo a nessuno: "Va', mostrati al sacerdote e fa' l'offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè, perché serva di testimonianza per essi".15La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità.16Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare.

17Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.18Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui.19Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza.20Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi".21Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: "Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?".22Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: "Che cosa andate ragionando nei vostri cuori?23Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Àlzati e cammina?24Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua".25Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio.26Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose".

27Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi!".28Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

29Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola.30I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?".31Gesù rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;32io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi".

33Allora gli dissero: "I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!".34Gesù rispose: "Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro?35Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno".36Diceva loro anche una parabola: "Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio.37E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti.38Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi.39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!".


Numeri 8

1Il Signore disse ancora a Mosè:2"Parla ad Aronne e riferisci: Quando collocherai le lampade, le sette lampade dovranno proiettare la luce davanti al candelabro".3Aronne fece così: collocò le lampade in modo che facessero luce davanti al candelabro, come il Signore aveva ordinato a Mosè.4Ora il candelabro aveva questa fattura: era d'oro lavorato a martello, dal suo fusto alle sue corolle era un solo lavoro a martello. Mosè aveva fatto il candelabro secondo la figura che il Signore gli aveva mostrato.
5Il Signore parlò a Mosè:6"Prendi i leviti tra gli Israeliti e purificali.7Per purificarli farai così: li aspergerai con l'acqua dell'espiazione; faranno passare il rasoio su tutto il loro corpo, laveranno le loro vesti e si purificheranno.8Poi prenderanno un giovenco con l'oblazione consueta di fior di farina intrisa in olio e tu prenderai un altro giovenco per il sacrificio espiatorio.9Farai avvicinare i leviti dinanzi alla tenda del convegno e convocherai tutta la comunità degli Israeliti.10Farai avvicinare i leviti davanti al Signore e gli Israeliti porranno le mani sui leviti;11Aronne presenterà i leviti come offerta da farsi con il rito di agitazione davanti al Signore da parte degli Israeliti ed essi faranno il servizio del Signore.12Poi i leviti porranno le mani sulla testa dei giovenchi e tu ne offrirai uno in sacrificio espiatorio per i leviti.13Farai stare i leviti davanti ad Aronne e davanti ai suoi figli e li presenterai come un'offerta da farsi con il rito di agitazione in onore del Signore.14Così separerai i leviti dagli Israeliti e i leviti saranno miei.15Dopo, i leviti verranno a fare il servizio nella tenda del convegno; tu li purificherai e li presenterai come un'offerta fatta con la rituale agitazione;16poiché mi sono tutti dediti tra gli Israeliti, io li ho presi con me, invece di quanti nascono per primi dalla madre, invece dei primogeniti di tutti gli Israeliti.17Poiché tutti i primogeniti degli Israeliti, tanto degli uomini quanto del bestiame, sono miei; io me li sono consacrati il giorno in cui percossi tutti i primogeniti nel paese d'Egitto.18Ho preso i leviti invece di tutti i primogeniti degli Israeliti.19Ho dato in dono ad Aronne e ai suoi figli i leviti tra gli Israeliti, perché facciano il servizio degli Israeliti nella tenda del convegno e perché compiano il rito espiatorio per gli Israeliti, perché nessun flagello colpisca gli Israeliti, qualora gli Israeliti si accostino al santuario".
20Così fecero Mosè, Aronne e tutta la comunità degli Israeliti per i leviti; gli Israeliti fecero per i leviti quanto il Signore aveva ordinato a Mosè a loro riguardo.21I leviti si purificarono e lavarono le loro vesti; Aronne li presentò come un'offerta da agitare secondo il rito davanti al Signore e fece l'espiazione per essi, per purificarli.22Dopo, i leviti vennero a fare il servizio nella tenda del convegno alla presenza di Aronne e dei suoi figli. Come il Signore aveva ordinato a Mosè per i leviti, così si fece per loro.
23Il Signore parlò a Mosè:24"Questo riguarda i leviti: da venticinque anni in su il levita entrerà a formare la squadra per il servizio nella tenda del convegno.25Dall'età di cinquant'anni si ritirerà dalla squadra del servizio e non servirà più.26Aiuterà i suoi fratelli nella tenda del convegno sorvegliando ciò che è affidato alla loro custodia; ma non farà più servizio. Così farai per i leviti, per quel che riguarda i loro uffici".


Giobbe 2

1Quando un giorno i figli di Dio andarono a presentarsi al Signore, anche satana andò in mezzo a loro a presentarsi al Signore.2Il Signore disse a satana: "Da dove vieni?". Satana rispose al Signore: "Da un giro sulla terra che ho percorsa".3Il Signore disse a satana: "Hai posto attenzione al mio servo Giobbe? Nessuno è come lui sulla terra: uomo integro e retto, teme Dio ed è alieno dal male. Egli è ancor saldo nella sua integrità; tu mi hai spinto contro di lui, senza ragione, per rovinarlo".4Satana rispose al Signore: "Pelle per pelle; tutto quanto ha, l'uomo è pronto a darlo per la sua vita.5Ma stendi un poco la mano e toccalo nell'osso e nella carne e vedrai come ti benedirà in faccia!".6Il Signore disse a satana: "Eccolo nelle tue mani! Soltanto risparmia la sua vita".
7Satana si allontanò dal Signore e colpì Giobbe con una piaga maligna, dalla pianta dei piedi alla cima del capo.8Giobbe prese un coccio per grattarsi e stava seduto in mezzo alla cenere.9Allora sua moglie disse: "Rimani ancor fermo nella tua integrità? Benedici Dio e muori!".10Ma egli le rispose: "Come parlerebbe una stolta tu hai parlato! Se da Dio accettiamo il bene, perché non dovremo accettare il male?".
In tutto questo Giobbe non peccò con le sue labbra.
11Nel frattempo tre amici di Giobbe erano venuti a sapere di tutte le disgrazie che si erano abbattute su di lui. Partirono, ciascuno dalla sua contrada, Elifaz il Temanita, Bildad il Suchita e Zofar il Naamatita, e si accordarono per andare a condolersi con lui e a consolarlo.12Alzarono gli occhi da lontano ma non lo riconobbero e, dando in grida, si misero a piangere. Ognuno si stracciò le vesti e si cosparse il capo di polvere.13Poi sedettero accanto a lui in terra, per sette giorni e sette notti, e nessuno gli rivolse una parola, perché vedevano che molto grande era il suo dolore.


Salmi 22

1'Al maestro del coro. Sull'aria: "Cerva dell'aurora". Salmo. Di Davide.'

2"Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?
Tu sei lontano dalla mia salvezza":
sono le parole del mio lamento.
3Dio mio, invoco di giorno e non rispondi,
grido di notte e non trovo riposo.

4Eppure tu abiti la santa dimora,
tu, lode di Israele.
5In te hanno sperato i nostri padri,
hanno sperato e tu li hai liberati;
6a te gridarono e furono salvati,
sperando in te non rimasero delusi.

7Ma io sono verme, non uomo,
infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo.
8Mi scherniscono quelli che mi vedono,
storcono le labbra, scuotono il capo:
9"Si è affidato al Signore, lui lo scampi;
lo liberi, se è suo amico".

10Sei tu che mi hai tratto dal grembo,
mi hai fatto riposare sul petto di mia madre.
11Al mio nascere tu mi hai raccolto,
dal grembo di mia madre sei tu il mio Dio.
12Da me non stare lontano,
poiché l'angoscia è vicina
e nessuno mi aiuta.

13Mi circondano tori numerosi,
mi assediano tori di Basan.
14Spalancano contro di me la loro bocca
come leone che sbrana e ruggisce.
15Come acqua sono versato,
sono slogate tutte le mie ossa.
Il mio cuore è come cera,
si fonde in mezzo alle mie viscere.
16È arido come un coccio il mio palato,
la mia lingua si è incollata alla gola,
su polvere di morte mi hai deposto.

17Un branco di cani mi circonda,
mi assedia una banda di malvagi;
hanno forato le mie mani e i miei piedi,
18posso contare tutte le mie ossa.
Essi mi guardano, mi osservano:
19si dividono le mie vesti,
sul mio vestito gettano la sorte.

20Ma tu, Signore, non stare lontano,
mia forza, accorri in mio aiuto.
21Scampami dalla spada,
dalle unghie del cane la mia vita.
22Salvami dalla bocca del leone
e dalle corna dei bufali.
23Annunzierò il tuo nome ai miei fratelli,
ti loderò in mezzo all'assemblea.

24Lodate il Signore, voi che lo temete,
gli dia gloria la stirpe di Giacobbe,
lo tema tutta la stirpe di Israele;
25perché egli non ha disprezzato
né sdegnato l'afflizione del misero,
non gli ha nascosto il suo volto,
ma, al suo grido d'aiuto, lo ha esaudito.

26Sei tu la mia lode nella grande assemblea,
scioglierò i miei voti davanti ai suoi fedeli.
27I poveri mangeranno e saranno saziati,
loderanno il Signore quanti lo cercano:
"Viva il loro cuore per sempre".
28Ricorderanno e torneranno al Signore
tutti i confini della terra,
si prostreranno davanti a lui
tutte le famiglie dei popoli.
29Poiché il regno è del Signore,
egli domina su tutte le nazioni.
30A lui solo si prostreranno quanti dormono sotto terra,
davanti a lui si curveranno
quanti discendono nella polvere.

E io vivrò per lui,
31lo servirà la mia discendenza.
Si parlerà del Signore alla generazione che viene;
32annunzieranno la sua giustizia;
al popolo che nascerà diranno:
"Ecco l'opera del Signore!".


Ezechiele 40

1Al principio dell'anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci del mese, quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo giorno, la mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là.2In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno.3Egli mi condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, in piedi sulla porta, con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare.4Quell'uomo mi disse: "Figlio dell'uomo: osserva e ascolta attentamente e fa' attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui perché io te lo mostri e tu manifesti alla casa d'Israele quello che avrai visto".

5Ed ecco il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, d'un cubito e un palmo ciascuno. Egli misurò lo spessore del muro: era una canna, e l'altezza una canna.

6Poi andò alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era una canna di larghezza.7Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di larghezza, da una stanza all'altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia del portico dal lato dell'atrio della porta stessa, verso l'interno, era di una canna.8Misurò l'atrio della porta: era di otto cubiti;9i pilastri di due cubiti. L'atrio della porta era verso l'interno.
10Le stanze della porta a oriente erano tre da una parte e tre dall'altra, tutt'e tre della stessa grandezza, come di una stessa misura erano i pilastri da una parte e dall'altra.11Misurò la larghezza dell'apertura del portico: era di dieci cubiti; l'ampiezza della porta era di tredici cubiti.12Davanti alle stanze vi era un parapetto di un cubito, da un lato e dall'altro; ogni stanza misurava sei cubiti per lato.13Misurò poi il portico dal tetto di una stanza al suo opposto; la larghezza era di venticinque cubiti; da un'apertura all'altra;14i pilastri li calcolò alti sessanta cubiti, dai pilastri cominciava il cortile che circondava la porta.15Dalla facciata della porta d'ingresso alla facciata dell'atrio della porta interna vi era uno spazio di cinquanta cubiti.16Le stanze e i pilastri avevano finestre con grate verso l'interno, intorno alla porta, come anche vi erano finestre intorno che davano sull'interno dell'atrio. Sui pilastri erano disegnate palme.

17Poi mi condusse nel cortile esterno e vidi delle stanze e un lastricato costruito intorno al cortile; trenta erano le stanze lungo il lastricato.18Il lastricato si estendeva ai lati delle porte per una estensione uguale alla larghezza delle porte stesse: era il lastricato inferiore.19Misurò lo spazio dalla facciata della porta inferiore da oriente a settentrione alla facciata della porta interna, erano cento cubiti.

20Poi misurò la lunghezza e la larghezza della porta che guarda a settentrione e conduce al cortile esterno.21Le sue stanze, tre da una parte e tre dall'altra, i pilastri, l'atrio avevano le stesse dimensioni della prima porta: cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.22Le finestre, l'atrio e le palme avevano le stesse dimensioni di quelle della porta che guarda a oriente. Vi si accedeva per sette scalini: l'atrio era davanti.23Di fronte al portico di settentrione vi era la porta, come di fronte a quello di oriente; misurò la distanza fra portico e portico: vi erano cento cubiti.

24Mi condusse poi verso mezzogiorno: ecco un portico rivolto a mezzogiorno. Ne misurò i pilastri e l'atrio; avevano le stesse dimensioni.25Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre uguali alle altre finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.26Vi si accedeva per sette gradini: il vestibolo stava verso l'interno. Sui pilastri, da una parte e dall'altra, vi erano ornamenti di palme.27Il cortile interno aveva un portico verso mezzogiorno; egli misurò la distanza fra porta e porta in direzione del mezzogiorno; erano cento cubiti.

28Allora mi introdusse nell'atrio interno, per il portico meridionale, e misurò questo portico; aveva le stesse dimensioni.29Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le medesime misure. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.
30Intorno vi erano vestiboli di venticinque cubiti di lunghezza per cinque di larghezza.
31Il suo vestibolo era rivolto verso l'atrio esterno; sui pilastri c'erano ornamenti di palme; i gradini per i quali si accedeva erano otto.

32Poi mi condusse al portico dell'atrio interno che guarda a oriente e lo misurò: aveva le solite dimensioni.33Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.34Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno: sui pilastri, da una parte e dall'altra vi erano ornamenti di palme: i gradini per i quali si accedeva erano otto.

35Poi mi condusse al portico settentrionale e lo misurò: aveva le solite dimensioni,36come le stanze, i pilastri e l'atrio. Intorno vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.37Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno; sui pilastri, da una parte e dall'altra, c'erano ornamenti di palme: i gradini per cui vi si accedeva erano otto.

38C'era anche una stanza con la porta vicino ai pilastri dei portici; là venivano lavati gli olocausti.39Nell'atrio del portico vi erano due tavole da una parte e due dall'altra, sulle quali venivano sgozzati gli olocausti e i sacrifici espiatori e di riparazione.40Altre due tavole erano sul lato esterno, a settentrione di chi entra nel portico, e due tavole all'altro lato presso l'atrio del portico.41Così a ciascun lato del portico c'erano quattro tavole da una parte e quattro tavole dall'altra: otto tavole in tutto. Su di esse si sgozzavano le vittime.42C'erano poi altre quattro tavole di pietre squadrate, per gli olocausti, lunghe un cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito: su di esse venivano deposti gli strumenti con i quali si immolavano gli olocausti e gli altri sacrifici.43Uncini d'un palmo erano attaccati all'interno tutt'intorno; sulle tavole si mettevano le carni delle offerte.
44Fuori del portico interno, nell'atrio interno, vi erano due stanze: quella accanto al portico settentrionale guardava a mezzogiorno, l'altra accanto al portico meridionale guardava a settentrione.45Egli mi disse: "La stanza che guarda a mezzogiorno è per i sacerdoti che hanno cura del tempio,46mentre la stanza che guarda a settentrione è per i sacerdoti che hanno cura dell'altare: sono essi i figli di Zadòk che, tra i figli di Levi, si avvicinano al Signore per il suo servizio".

47Misurò quindi l'atrio: era un quadrato di cento cubiti di larghezza per cento di lunghezza. L'altare era di fronte al tempio.

48Mi condusse poi nell'atrio del tempio e ne misurò i pilastri: erano ognuno cinque cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra; la larghezza del portico: tre cubiti da una parte e tre cubiti dall'altra.49La lunghezza del vestibolo era di venti cubiti e la larghezza di dodici cubiti. Vi si accedeva per mezzo di dieci gradini; accanto ai pilastri c'erano due colonne, una da una parte e una dall'altra.


Lettera agli Ebrei 3

1Perciò, fratelli santi, partecipi di una vocazione celeste, fissate bene lo sguardo in Gesù, l'apostolo e sommo sacerdote della fede che noi professiamo,2il quale è fedele a colui che l'ha costituito, come lo fu anche 'Mosè in tutta la sua casa'.3Ma in confronto a Mosè, egli è stato giudicato degno di tanta maggior gloria, quanto l'onore del costruttore della casa supera quello della casa stessa.4Ogni casa infatti viene costruita da qualcuno; ma colui che ha costruito tutto è Dio.5In verità Mosè fu 'fedele in tutta la sua casa' come 'servitore', per rendere testimonianza di ciò che doveva essere annunziato più tardi;6Cristo, invece, lo fu come figlio costituito sopra la sua propria casa. E la sua casa siamo noi, se conserviamo la libertà e la speranza di cui ci vantiamo.

7Per questo, come dice lo Spirito Santo:

'Oggi, se udite la sua voce,'
8'non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione,
il giorno della tentazione nel deserto,'
9'dove mi tentarono i vostri padri mettendomi alla prova,
pur avendo visto per quarant'anni le mie opere.'
10'Perciò mi disgustai di quella generazione
e dissi: Sempre hanno il cuore sviato.
Non hanno conosciuto le mie vie.'
11'Così ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo'.

12Guardate perciò, fratelli, che non si trovi in nessuno di voi un cuore perverso e senza fede che si allontani dal Dio vivente.13Esortatevi piuttosto a vicenda ogni giorno, finché dura quest''oggi', perché nessuno di voi si indurisca sedotto dal peccato.14Siamo diventati infatti partecipi di Cristo, a condizione di mantenere salda sino alla fine la fiducia che abbiamo avuta da principio.15Quando pertanto si dice:

'Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori come nel giorno della ribellione',

16chi furono quelli che, dopo aver udita la sua voce, si ribellarono? Non furono tutti quelli che erano usciti dall'Egitto sotto la guida di Mosè?17E chi furono coloro di cui si 'è disgustato per quarant'anni'? Non furono quelli che avevano peccato e poi caddero 'cadaveri nel deserto'?18E a chi 'giurò che non sarebbero entrati nel suo riposo', se non a quelli che non avevano creduto?19In realtà vediamo che non vi poterono entrare a causa della loro mancanza di fede.


Capitolo I: L'imitazione di cristo e il disprezzo di tutte le vanita' del mondo

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1.     "Chi segue me non cammina nelle tenebre" (Gv 8,12), dice il Signore. Sono parole di Cristo, le quali ci esortano ad imitare la sua vita e la sua condotta, se vogliamo essere veramente illuminati e liberati da ogni cecità interiore. Dunque, la nostra massima preoccupazione sia quella di meditare sulla vita di Gesù Cristo. Già l'insegnamento di Cristo è eccellente, e supera quello di tutti i santi; e chi fosse forte nello spirito vi troverebbe una manna nascosta. Ma accade che molta gente trae un ben scarso desiderio del Vangelo dall'averlo anche più volte ascoltato, perché è priva del senso di Cristo. Invece, chi vuole comprendere pienamente e gustare le parole di Cristo deve fare in modo che tutta la sua vita si modelli su Cristo. Che ti serve saper discutere profondamente della Trinità, se non sei umile, e perciò alla Trinità tu dispiaci? Invero, non sono le profonde dissertazioni che fanno santo e giusto l'uomo; ma è la vita virtuosa che lo rende caro a Dio. Preferisco sentire nel cuore la compunzione che saperla definire. Senza l'amore per Dio e senza la sua grazia, a che ti gioverebbe una conoscenza esteriore di tutta la Bibbia e delle dottrine di tutti i filosofi? "Vanità delle vanità, tutto è vanità" (Qo 1,2), fuorché amare Dio e servire lui solo. Questa è la massima sapienza: tendere ai regni celesti, disprezzando questo mondo.

    2.     Vanità è dunque ricercare le ricchezze, destinate a finire, e porre in esse le nostre speranze. Vanità è pure ambire agli onori e montare in alta condizione. Vanità è seguire desideri carnali e aspirare a cose, per le quali si debba poi essere gravemente puniti. Vanità è aspirare a vivere a lungo, e darsi poco pensiero di vivere bene. Vanità è occuparsi soltanto della vita presente e non guardare fin d'ora al futuro. Vanità è amare ciò che passa con tutta rapidità e non affrettarsi là, dove dura eterna gioia. Ricordati spesso di quel proverbio: "Non si sazia l'occhio di guardare, né mai l'orecchio è sazio di udire" (Qo 1,8). Fa', dunque, che il tuo cuore sia distolto dall'amore delle cose visibili di quaggiù e che tu sia portato verso le cose di lassù, che non vediamo. Giacché chi va dietro ai propri sensi macchia la propria coscienza e perde la grazia di Dio.


DISCORSO 89 SULLE PAROLE DEL VANGELO DI MT 21, 12-19, DOVE GESÙ FECE SECCARE L'ALBERO DI FICO E SU QUELLE DI LC 24, 28, OVE IL SIGNORE FINSE DI ANDARE PIÙ LONTANO

Discorsi - Sant'Agostino

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Di che cosa ci ammonisce la maledizione del fico.

1. Il passo del santo Vangelo ch'è stato letto or ora ci ha ammoniti e atterriti affinché non abbiamo solo foglie senza avere frutti. Ciò si spiega in due parole: non ci dev'essere abbondanza di parole e mancanza di fatti. Grande terrore! Chi non sarebbe preso da terrore durante questa lettura vedendo con gli occhi del cuore l'albero reso arido e immaginando di sentirsi dire: Mai più in eterno nascano frutti da te! 1. Il terrore ci corregga e la correzione ci faccia produrre frutti. Senza dubbio Cristo Signore prevedeva che un certo albero di fico si sarebbe giustamente seccato perché aveva foglie ma non aveva frutti. Quell'albero era la Sinagoga, non quella chiamata alla vita eterna ma quella riprovata. Poiché dal seno di essa fu chiamato alla fede il popolo di Dio; il quale veracemente e sinceramente attendeva Gesù Cristo quale salvezza di Dio in base alla predizione dei Profeti. E poiché l'attendeva con fede, meritò di conoscerlo presente. Da quel popolo provenivano gli Apostoli, da esso tutta la folla che camminava davanti al puledro del Signore e gridava: Osanna al Figlio di Davide, benedetto colui che viene nel nome del Signore 2. Era una gran folla di giudei fedeli, era una gran folla di credenti in Cristo prima che fosse sparso il suo sangue per la loro salvezza. Non inutilmente infatti il Signore in persona era venuto solo per le pecore sperdute del popolo d'Israele 3. Ma dopo essere stato crocifisso e ormai esaltato nel cielo, trovò in altri il frutto del ravvedimento e non li fece seccare ma li coltivò nel campo e l'irrigò con la sua parola. A quel popolo appartenevano i quattromila giudei che credettero in Cristo dopo che i discepoli e quelli ch'erano con loro, ripieni dello Spirito Santo, presero a parlare nella lingua di tutti i popoli 4 e con quella diversità di lingue predissero in certo qual modo che la Chiesa si sarebbe diffusa per tutta la terra. Allora credettero in Cristo ed erano proprio le pecore sperdute del popolo d'Israele, ma poiché il Figlio dell'uomo era venuto a cercare e a salvare quelli ch'erano perduti 5, trovò anch'essi. Ma, non so dove, erano nascosti tra i rovi come se fossero stati assaliti dai lupi, e poiché stavano nascosti tra i rovi, arrivò a trovarli solo dopo essere stato straziato dalle spine della passione, ma tuttavia ci arrivò, li trovò, li riscattò. Quelli avevano ucciso non tanto lui quanto piuttosto se stessi e furono salvati da Colui ch'era stato ucciso per loro. Poiché mentre gli Apostoli parlavano, coloro che lo avevano trafitto con la lancia si sentirono come trafiggere il cuore e così chiesero consiglio, lo ebbero, lo accolsero 6, si pentirono e trovarono grazia; credendo bevvero il sangue che avevano sparso infierendo contro il Cristo. Ma quelli che sono rimasti con i sentimenti di quella perversa e infruttuosa stirpe fino al presente e rimarranno tali fino alla fine, sono stati raffigurati in quell'albero. Se tu ora vai da loro, trovi presso di essi tutte le predizioni dei Profeti, ma queste sono soltanto foglie, mentre Cristo ha fame e cerca i frutti, ma non li trova perché in loro non trova se stesso. Poiché non ha frutti chi non ha Cristo. Ma non ha Cristo chi non conserva l'unità di Cristo, chi non ha la carità. In forza di questa serie di ragioni non ha dunque frutti chi non ha la carità. Ascolta l'Apostolo: Il frutto dello spirito invece è la carità 7, parole con cui intende mettere in risalto, per così dire, il grappolo, cioè il frutto. Il frutto dello spirito invece - dice - è la carità, la gioia, la pace, la tolleranza 8. Non ti stupire delle virtù che seguono la carità, dal momento che alla loro origine c'è essa.

Il monte trasferito dagli Apostoli nel mare.

2. Ecco perché ai discepoli ch'erano rimasti pieni di stupore nel vedere l'albero seccato, raccomandò la fede dicendo loro: Se avrete la fede e non farete distinzioni, cioè se avrete fede in Dio per ogni occorrenza, e non direte: "Dio può fare questo, ma non quest'altro" ma riporrete la vostra fiducia nell'onnipotenza dell'Onnipotente, non farete solo ciò ch'è successo a quest'albero ma se direte a questo monte: Sollévati e gettati nel mare, avverrà così. Tutto ciò che chiederete con fede, l'otterrete 9. Leggiamo di miracoli compiuti dai discepoli, o meglio compiuti dal Signore per mezzo dei discepoli, perché - dice egli stesso - senza di me non potete far nulla 10. Il Signore avrebbe potuto compierne molti senza i discepoli, ma nessuno i discepoli senza il Signore. Colui che poté fare anche gli stessi discepoli, non fu certamente aiutato da essi a fare loro. Leggiamo i miracoli fatti dagli Apostoli ma non leggiamo in nessun luogo di un albero reso da loro arido o di un monte trasferito nel mare. Cerchiamo dunque come un tal miracolo fu compiuto, poiché le parole del Signore non poterono rimanere senza effetto. Se si considerano i soliti e noti alberi della terra e i monti che noi vediamo, non fu compiuto. Se invece consideri l'albero di cui parla il Vangelo e il monte stesso del Signore, di cui il Profeta disse: Negli ultimi giorni sarà manifesto il monte del Signore 11; se consideri e comprendi queste cose, non solo quel miracolo fu compiuto, ma fu compiuto da loro. Quell'albero era il popolo giudaico ma, lo dico di nuovo, era la parte di esso riprovata, non quella chiamata alla salvezza; l'albero testé ricordato era il popolo giudaico. Il monte, come c'insegna il testo del Profeta, è il Signore stesso. L'albero secco è il popolo giudaico privo della gloria di Cristo; il mare è questo mondo per tutti i pagani. Considera dunque gli Apostoli che parlano all'albero destinato a seccare, e che gettano il monte nel mare. Parlano negli Atti degli Apostoli ai giudei che si oppongono e si ribellano alla parola della Verità, cioè che hanno le foglie, ma non hanno i frutti e dicono: Era necessario annunciare la parola di Dio prima di tutti a voi, ma poiché l'avete rigettata 12, poiché pur avendo sempre sulle labbra le parole dei Profeti, voi non riconoscete Colui ch'è stato preannunciato dai Profeti, ossia poiché avete solo foglie, noi ci rivolgiamo ai pagani 13. Ciò infatti è stato predetto anche dal Profeta: Ecco, io ti ho costituito luce per le genti, affinché tu sia la salvezza fino all'estremità della terra 14. Ecco, l'albero si è seccato, e Cristo andato tra i pagani è il monte trasferitosi nel mare. Come mai non si sarebbe seccato l'albero piantato nella vigna, della quale era stato detto: Comanderò alle mie nubi di non far cadere la pioggia su di essa 15?

La maledizione dell'albero prefigurava una realtà futura.

3. Che il Signore volesse indicarci d'aver compiuto un'azione profetica, che cioè a proposito di quell'albero non solo volle mostrare un miracolo ma con esso volle insegnarci un evento futuro, ce lo provano parecchie circostanze, le quali ci persuadono anzi ci forzano ad ammetterlo anche nostro malgrado. Anzitutto che colpa aveva quell'albero di non avere frutti? Anche se esso non ne avesse avuti nella debita stagione, cioè nella stagione dei fichi, l'albero non avrebbe avuto alcuna colpa, poiché un albero privo di sentimento non poteva averne colpa alcuna. A ciò s'aggiunge che, come si legge in un altro Evangelista il quale narra questo medesimo fatto, non era quella la stagione dei fichi 16. Era infatti la stagione in cui il fico porta le foglie tenere, che nascono - come sappiamo - prima dei frutti; proviamo questo col fatto che era vicino il tempo della passione del Signore, e sappiamo in qual tempo egli patì; anche se non riflettessimo a ciò, dovremmo credere all'Evangelista che dice precisamente: Non era la stagione dei fichi. Se dunque avesse dovuto esser messo in risalto solo il miracolo e non prefigurata allegoricamente qualche altra verità, il Signore molto più benignamente e in modo molto più degno della sua misericordia avrebbe fatto rinverdire un albero che avesse trovato secco, allo stesso modo che guarì gli ammalati, mondò i lebbrosi, risuscitò i morti. Allora invece, in modo opposto, quasi contro la norma della propria mitezza, trovò un albero verdeggiante, che prima della stagione non aveva ancora frutti, ma che tuttavia non li avrebbe negati al suo agricoltore, eppure lo fece seccare, come se volesse dire all'uomo: "Non trovo piacere nel fatto che quest'albero si sia seccato, ma ho voluto farti intendere d'aver voluto fare una tal cosa non senza un motivo, cioè solo perché ho voluto mettere in risalto quello che dovresti considerare con più attenzione". Io non ho maledetto quest'albero, non ho inflitto un castigo a un albero privo di sentimento; ma, se rifletti bene, ho inteso spaventarti, perché tu non trascurassi Cristo quando ha fame, e preferissi di portar molti frutti anziché coprirti di fitto fogliame".

Ogni espressione o fatto della Scrittura si può intendere in tre modi.

4. Questa è una prima verità che il Signore ci fa capire d'aver voluto inculcarci. Ce n'è un'altra? Egli sente fame, s'avvicina all'albero e vi cerca i frutti. Non sapeva forse che non era ancora la stagione? Il Creatore non sapeva ciò che sapeva il coltivatore dell'albero? Cerca dunque frutti sull'albero che ancora non li aveva. Li cerca oppure fa finta di cercarli? Poiché, se li cercava veramente, si sbagliava. Ma è impossibile che sbagliasse. Dunque finse. Se si teme di ammettere che fingeva, si ammette che sbagliava. Se uno si rifiuta d'ammettere l'errore, finisce per ammettere la finzione. Siamo indecisi e angustiati da un dubbio che ci brucia. Nella febbre dell'ansietà, auguriamoci la pioggia, per prender vigore e non divenire piuttosto secchi attribuendo al Signore azioni indegne di lui. Veramente l'Evangelista dice: Andò presso un albero, ma non vi trovò alcun frutto 17. Naturalmente a proposito di lui non avrebbe detto: non ne trovò, se non qualora li avesse cercati davvero, o avesse fatto finta di cercarli, pur sapendo che non ce n'erano. Non dobbiamo dire in alcun modo che Cristo sbagliava; riguardo a ciò non abbiamo alcun dubbio. Che fare, dunque? Diremo forse che fece finta o diremo che non fece finta? In qual modo usciremo da questo imbarazzo? Diciamo pure quanto dice del Signore un Evangelista in un altro passo, cosa che non oseremmo dire da noi stessi. Diciamo pure ciò che ha scritto quell'Evangelista e dopo averlo detto, cerchiamo di comprenderlo. Ma per comprenderlo, dobbiamo prima credere. Se non crederete - dice il Profeta - non intenderete 18. Dopo la sua risurrezione Cristo Signore camminava sulla strada con due suoi discepoli dai quali ancora non era stato riconosciuto, e si unì loro come un terzo compagno di viaggio. Giunsero al luogo dove quei due erano diretti e l'Evangelista dice che Gesù fece finta di voler continuare il viaggio 19. Essi invece cercarono di trattenerlo come vuole la norma di cortesia, dicendo che ormai annottava e pregandolo di restare con loro. Egli accettò l'ospitalità, spezzò il pane ed essi lo riconobbero allorché benedisse e spezzò il pane. Non dobbiamo dunque aver paura di dire che finse di cercare [i frutti sul fico] se finse di continuare il cammino. Ma qui sorge un'altra questione. Ieri abbiamo parlato a lungo mettendo in risalto la veracità degli Apostoli; come potremo trovare la finzione nel Signore? Si deve dunque dire, fratelli miei, e inculcarvi, nei limiti delle nostre tenui forze, concesseci dal Signore per farvi del bene, e vi si deve esporre ciò che dovete ritenere come regola a proposito di tutte le Scritture. Ogni detto o fatto può avere o un senso proprio o un significato simbolico, o di certo li ha tutt'e due, sia quello proprio che quello simbolico. Vi ho presentato tre ipotesi, e dovendovi dare degli esempi, da dove prenderli se non dalle Sacre Scritture? Deve intendersi in senso proprio l'affermazione che il Signore soffrì, risuscitò, salì al cielo, che noi risorgeremo alla fine del mondo e regneremo con lui in eterno, se non lo disprezzeremo. Queste espressioni devono intendersi in senso proprio; non vi si deve cercare un senso figurato. Le cose sono così come sono espresse. Lo stesso criterio vale per i fatti. L'Apostolo andò a Gerusalemme per vedere Pietro 20; l'Apostolo vi andò realmente ed è un'azione da prendersi in senso proprio. Ti narra un'azione compiuta, un fatto da intendersi in senso proprio. Invece la seguente è una frase di senso figurato: La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d'angolo 21. Se prendiamo la pietra in senso letterale, qual è la pietra scartata dai costruttori che è diventata testata d'angolo? Se intendiamo l'angolo in senso proprio, quale testata d'angolo è diventata questa pietra? Se invece ammettiamo che questa è un'espressione figurata e l'intendiamo in senso simbolico, la pietra angolare è Cristo, testata d'angolo, capo della Chiesa. Perché pietra angolare della Chiesa? Perché da una parte chiamò alla fede i giudei e dall'altra i pagani e unì insieme mediante la grazia della sua pace, per così dire, due pareti ch'erano dirette in senso diverso e s'incontrarono in lui, pietra angolare, poiché è proprio lui la nostra pace che ha fatto diventare uno solo i due popoli 22.

Fatti simbolici.

5. Avete sentito che cos'è un'espressione in senso proprio e in senso figurato; avete sentito che cos'è un fatto in senso proprio, voi aspettate ora qualche esempio di fatti simbolici. Ce ne sono molti ma ecco intanto quello che mi viene in mente per l'associazione d'idee con la pietra angolare, quello di Giacobbe quando unse una pietra e la pose a capo del giaciglio e su di essa dormiva; durante il sonno ebbe un sogno straordinario: vide cioè una scala che dalla terra s'innalzava verso il cielo; su di essa salivano e scendevano gli angeli, e all'estremità di essa era Dio; comprese il suo vero significato simbolico e per dimostrarci di non essere estraneo alla comprensione di quella visione e rivelazione [unse la pietra] ritenendola come figura di Cristo 23. Non ti devi quindi stupire che unse la pietra, poiché Cristo ricevette il nome dall'unzione. Ora questo Giacobbe nella Scrittura è chiamato uomo senza inganno. Questo Giacobbe, come voi sapete, fu chiamato Israele 24. Per questo motivo il Signore nel Vangelo quando vide Natanaele: Ecco - disse - un vero israelita, in cui non c'è falsità 25. Quell'israelita, non sapendo ancora chi fosse Colui che parlava con lui, rispose: Come fai a conoscermi? E il Signore a lui: Ti ho visto quando eri sotto l'albero di fico, come se dicesse: "Quando tu eri all'ombra del peccato, io ti ho predestinato alla salvezza". Quello, ricordandosi d'essere stato sotto l'albero di fico, dove il Signore non c'era, ne riconobbe la divinità e rispose: "Tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!". Egli sotto l'albero di fico non divenne un albero inaridito di fico; aveva riconosciuto il Cristo. E il Signore a lui: Poiché ti ho detto d'averti visto sotto il fico, tu credi in me? Vedrai cose ben più grandi! 26. Quali sono queste cose più grandi? È così, vi dico 27. Per il fatto che quello è un israelita senza inganno, pensa a Giacobbe anche del quale si dice che in lui non c'era inganno e ricorda il fatto cui allude Cristo, la pietra posta sotto il capo, la visione durante il sonno, la scala elevantesi dalla terra al cielo, gli angeli che scendevano e salivano e vedi che cosa dice il Signore all'israelita senza falsità: Vedrete il cielo aperto. Ascolta, Natanaele senza inganno, ciò che vide Giacobbe senza inganno: vedrete il cielo aperto e gli angeli salire e scendere - verso chi? - verso il Figlio dell'uomo 28. Quella pietra dunque, consacrata con l'olio a capo del giaciglio, era il Figlio dell'uomo, poiché capo della donna è l'uomo, ma capo di ogni uomo è Cristo 29. La Scrittura tuttavia non dice che gli angeli salivano dal Figlio dell'uomo e scendevano verso il Figlio dell'uomo, come se fosse soltanto nell'alto del cielo, ma dice che salivano e scendevano verso il Figlio dell'uomo. Ascolta il Figlio dell'uomo che nel cielo grida: Saulo, Saulo! Ascoltalo che sulla terra grida: Perché mi perseguiti? 30.

Un fatto veramente compiuto e tuttavia allegorico.

6. Avete sentito un'affermazione di senso proprio, come quella che noi risorgeremo, e un fatto in senso proprio che, come è stato detto, Paolo andò a Gerusalemme a vedere Pietro 31. Espressione simbolica è: La pietra scartata dai costruttori 32; un fatto simbolico è la pietra consacrata con l'olio posta a capo del giaciglio di Giacobbe. Devo ora presentare alla vostra aspettativa l'esempio di un fatto avvenuto in senso proprio e avente nello stesso tempo un significato simbolico. Sappiamo che Abramo ebbe due figli, uno nato dalla schiava e uno nato dalla moglie che era libera; è un fatto davvero compiuto, non solo narrato, ma anche avvenuto; vuoi sapere quale allegoria racchiude? I due figli rappresentano i due Testamenti 33. Ciò che dunque viene detto in senso figurato, in certo qual modo viene inventato. Ma siccome ha come risultato un significato allegorico e questo conserva la garanzia della verità, non può essere accusato di falsità. Ecco, il seminatore uscì a seminare e, nel seminare, una parte del seme cadde sulla strada, una parte cadde su luoghi sassosi, un'altra in mezzo alle spine, un'altra cadde su terreno fecondo. Chi fu che uscì a seminare, o quando uscì, o tra quali spine, o tra quali sassi, o su quale strada o in quale campo? Se lo s'intende come un fatto inventato, lo si comprende in senso figurato: è un fatto inventato. Se infatti si fosse trattato d'un seminatore che fosse uscito davvero e avesse sparso la semente - come abbiamo sentito - in luoghi differenti, non sarebbe un'invenzione, ma neppure una menzogna. Qui però non si tratta di un'invenzione, ma neppure d'una menzogna. Perché? Perché ciò ch'è inventato ha un significato allegorico, non t'inganna; richiede d'essere compreso ma non induce in errore. Volendoci insegnare ciò Cristo, quando cercava i frutti suggeriva con quel fatto un significato allegorico, non una finzione mendace, e perciò una finzione lodevole non biasimevole; una volta che da te sarà bene esaminata, non andrai a finire nella falsità ma dopo averla scrutata potrai trovare la verità.

Tenersi uniti a Cristo nell'Eucaristia.

7. Vedo che cosa potrebbe dirmi qualcuno: "Spiegami quale senso figurato ha il fatto che Gesù finse di andare più lontano. Poiché se non aveva un senso allegorico, è una falsità, una menzogna". Con le nostre spiegazioni e in base alle regole più esatte dobbiamo dire qual era il significato simbolico d'una finzione come quella d'andare più lontano; finse, ma fu trattenuto perché non andasse più lontano. Quanto dunque alla presenza fisica Cristo Signore era considerato come assente, e questa assenza immaginata era simboleggiata dal suo far finta d'allontanarsi. Trattienilo con la fede, trattienilo al momento della frazione del pane. Che dire? L'avete riconosciuta? Se l'avete riconosciuta, allora in essa avete trovato Cristo. Ma non si deve parlare più a lungo di questo sacramento. Coloro che differiscono a istruirsi su questo sacramento lasciano andare Cristo più lontano da loro. Fissino bene in mente questa verità, e non la dimentichino; invitino Cristo come ospite e saranno invitati al cielo.

 

1 - Mt 21, 19.

2 - Mt 21, 9.

3 - Cf. Mt 15, 24.

4 - Cf. At 2, 4.

5 - Cf. Lc 19, 10.

6 - Cf. At 2, 37.

7 - Gal 5, 22.

8 - Gal 5, 22

9 - At 21, 21.

10 - Gv 15, 5.

11 - Is 2, 2.

12 - At 13, 46.

13 - At 13, 46.

14 - Is 49, 6.

15 - Is 5, 6.

16 - Mc 11, 13.

17 - Mt 21, 19.

18 - Is 7, 9 (sec. LXX).

19 - Lc 24, 28.

20 - Cf. Gal 1, 18.

21 - Mt 21, 42; Sal 117, 22.

22 - Ef 2, 14.

23 - Cf. Gn 28, 11-18.

24 - Cf. Gn 25, 27; 32, 29; 35, 10; 1 Sam 18, 51; 2 Sam 17, 34.

25 - Gv 1,47.

26 - Gv 1, 50.

27 - Gv 1, 51.

28 - Gv 1, 51.

29 - 1 Cor 11, 3.

30 - At 9, 4.

31 - Cf. Gal 1, 18.

32 - Mt 21, 42; Sal 117, 22.

33 - Gal 4, 22. 24.


La filotea: Parte prima

La filotea - San Francesco di Sales

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Contiene consigli ed esercizi necessari per condurre l’anima dal primo desiderio della vita devota fino alla ferma risoluzione di abbracciarla

Capitolo I

DESCRIZIONE DELLA VERA DEVOZIONE

Mia cara Filotea, tu vorresti giungere alla devozione perché sai bene, come cristiana, quanto questa virtù sia accetta a Dio: ma, siccome i piccoli errori commessi all’inizio di qualsiasi impresa, ingigantiscono con il tempo e risultano, alla fine, irreparabili o quasi, è necessario, prima di tutto, che tu sappia che cos’è la virtù della devozione. Di vera ce n’è una sola, ma di false e vane ce ne sono tante; e se non sai distinguere la vera, puoi cadere in errore e perdere tempo correndo dietro a qualche devozione assurda e superstiziosa.

Arelio dava a tutti i volti che dipingeva le sembianze e l’espressione delle donne che amava; ognuno si crea la devozione secondo le proprie tendenze e la propria immaginazione. Chi si consacra al digiuno, penserà di essere devoto perché non mangia, mentre ha il cuore pieno di rancore; e mentre non se la sente di bagnare la lingua nel vino e neppure nell’acqua, per amore della sobrietà, non avrà alcuno scrupolo nel tuffarla nel sangue del prossimo con la maldicenza e la calunnia.

Un altro penserà di essere devoto perché biascica tutto il giorno una filza interminabile di preghiere; e non darà peso alle parole cattive, arroganti e ingiuriose che la sua lingua rifilerà, per il resto della giornata, a domestici e vicini.

Qualche altro metterà mano volentieri al portafoglio per fare l’elemosina ai poveri, ma non riuscirà a cavare un briciolo di dolcezza dal cuore per perdonare i nemici; ci sarà poi l’altro che perdonerà i nemici, ma di pagare i debiti non gli passerà neanche per la testa; ci vorrà il tribunale.

Tutta questa brava gente, dall’opinione comune è considerata devota, ma non lo è per niente.

Ricordi l’episodio degli sgherri di Saul che cercano Davide? Micol li trae in inganno mettendo nel letto un fantoccio con gli abiti di Davide, e fa loro credere che Davide è ammalato. Così molti si coprono di alcune azioni esteriori, proprie della santa devozione e la gente crede che si tratti di persone veramente devote e spirituali; ma se vai a guardar bene, scopri che sono soltanto fantocci e fantasmi di devozione.

La vera e viva devozione, Filotea, esige l’amore di Dio, anzi non è altro che un vero amore di Dio; non un amore genericamente inteso. Infatti l’amore di Dio si chiama grazia in quanto abbellisce l’anima, perché ci rende accetti alla divina Maestà; si chiama carità, in quanto ci dà la forza di agire bene; quando poi è giunto ad un tale livello di perfezione, per cui, non soltanto ci dà la forza di agire bene, ma ci spinge ad operare con cura, spesso e con prontezza, allora si chiama devozione. Gli struzzi non possono volare, le galline svolazzano di rado, goffamente e rasoterra; le aquile, le rondini e i colombi volano spesso, con eleganza e in alto.

Similmente i peccatori non riescono a volare verso Dio, ma si spostano esclusivamente sulla terra e per la terra; le persone dabbene, che non possiedono ancora la devozione, volano verso Dio per mezzo delle buone azioni, ma di rado, con lentezza e pesantemente; le persone devote volano in Dio con frequenza, prontezza e salgono in alto.

A dirlo in breve, la devozione è una sorta di agilità e vivacità spirituale per mezzo della quale la carità agisce in noi o, se vogliamo, noi agiamo per mezzo suo, con prontezza e affetto. Ora, com’è compito della carità farci praticare tutti i Comandamenti di Dio senza eccezioni e nella loro totalità, spetta alla devozione aggiungervi la prontezza e la diligenza. Ecco perché chi non osserva tutti i Comandamenti di Dio non può essere giudicato né buono né devoto. Per essere buoni ci vuole la carità e per essere devoti, oltre alla carità, bisogna avere grande vivacità e prontezza nel compiere gli atti.

Siccome la devozione si trova in grado di carità eccellente, non soltanto ci rende pronti, attivi e diligenti nell’osservare tutti i Comandamenti di Dio; ma ci spinge inoltre a fare con prontezza e affetto tutte le buone opere che ci sono possibili, anche se non cadono sotto il precetto, ma sono soltanto consigliate o indicate.

Come un uomo guarito di recente da una malattia, cammina quel tanto che gli è necessario, piano piano e trascinandosi un po’, così il peccatore, guarito dal suo peccato, cammina quel tanto che Dio gli comanda, trascinandosi adagio adagio fino a che non giunga alla devozione. Allora, da uomo completamente sano, non soltanto cammina, ma corre e salta nella via dei Comandamenti di Dio e, inoltre, prende di corsa i sentieri dei consigli e delle ispirazioni celesti.

In conclusione, si può dire che la carità e la devozione differiscono tra loro come il fuoco dalla fiamma; la carità è un fuoco spirituale, che quando brucia con una forte fiamma si chiama devozione: la devozione aggiunge al fuoco della carità solo la fiamma che rende la carità pronta, attiva e diligente, non soltanto nell’osservanza dei Comandamenti di Dio, ma anche nell’esercizio dei consigli e delle ispirazioni del cielo.

Capitolo II

CARATTERISTICHE ED ECCELLENZA DELLA DEVOZIONE

Coloro i quali volevano scoraggiare gli Israeliti dall’entrare nella terra promessa, dicevano che era un paese che divorava gli abitanti, ossia, che l’aria era talmente pestilenziale che nessuno vi poteva vivere a lungo; per di più era abitata da mostri che divoravano gli uomini come locuste: allo stesso modo, mia cara Filotea, la gente della strada dice tutto il male che può della devozione e dipinge le persone devote immusonite, tristi e imbronciate, e va blaterando che la devozione rende malinconici e insopportabili. Ma sull’esempio di Giosuè e di Caleb, che, non solo sostenevano che la terra promessa era fertile e bella, ma che il suo possesso sarebbe stato utile e piacevole, lo Spirito Santo, per bocca di tutti i santi, e Nostro Signore, con la sua Parola, ci danno assicurazione che la vita devota è dolce, facile e piacevole.

La gente vede che i devoti digiunano, pregano, sopportano le ingiurie, servono gli infermi, assistono i poveri, fanno veglie, controllano la collera, dominano le passioni, fanno a meno dei piaceri dei sensi e compiono altre azioni simili a queste, di per sé e per loro natura aspre e rigorose; ma non sa vedere la devozione interiore e cordiale che trasforma tutte queste azioni in piacevoli, dolci e facili.

Guarda l’ape sul timo: ne può ricavare soltanto un succo amaro, ma succhiandolo lo trasforma in miele, perché questa è la sua caratteristica.

Mi rivolgo a te, persona del mondo, e ti dico: le anime devote incontrano molta amarezza nei loro esercizi di mortificazione , questo è certo, ma praticandoli li trasformano in dolcezza e soavità.

Il fuoco, la fiamma, la ruota, la spada per i martiri sembravano fiori odorosi, perché erano devoti; e se la devozione riesce a rendere piacevoli le torture più crudeli e la stessa morte, cosa non riuscirà a fare per le azioni proprie della virtù?

Lo zucchero rende dolci i frutti un po’ acerbi e toglie il pericolo che facciano male quelli troppo maturi; la devozione è il vero zucchero spirituale, che toglie l’amarezza alle mortificazioni e la capacità di nuocere alle consolazioni: toglie la rabbia ai poveri e la preoccupazione ai ricchi; la desolazione a chi è oppresso e l’insolenza al favorito dalla sorte; la tristezza a chi è solo e la dissipazione a chi è in compagnia; ha la funzione di fuoco in inverno e di rugiade in estate, sa affrontare e soffrire la povertà, trova ugualmente utile l’onore e il disprezzo, riceve il piacere e il dolore con un cuore quasi sempre uguale, e ci colma di una meravigliosa soavità.

Guarda la scala di Giacobbe, che è la vera immagine della vita devota: i due montanti, tra i quali si sale ed ai quali sono fissati gli scalini, rappresentano l’orazione, che chiede l’amore di Dio e i Sacramenti, che lo conferiscono; gli scalini sono i diversi livelli della carità, per i quali si sale, di virtù in virtù; o discendendo in aiuto e sostegno del prossimo, o salendo per la contemplazione all’unione d’amore con Dio.

Ed ora dà uno sguardo a coloro che si trovano sulla scala: sono uomini con il cuore di Angeli, o Angeli con il corpo di uomini; non sono giovani, ma lo sembrano, perché sono pieni di forza e di agilità spirituale; hanno ali per volare e si lanciano in Dio con la santa orazione; ma hanno anche i piedi per camminare con gli uomini in una santa e piacevole conversazione; i loro volti sono belli e radiosi, per cui ricevono tutto con dolcezza e soavità; le gambe, le braccia e la testa sono scoperte, perché i loro pensieri, i loro affetti e le loro azioni hanno il solo scopo di piacere a Dio. Il resto del corpo è coperto da una tunica fine e leggera, perché sono realmente inseriti nel mondo e usano le cose di questo mondo, ma in modo pulito e limpido, prendendo esclusivamente il necessario: così agiscono le persone devote.

Cara Filotea, devi credermi: la devozione è la dolcezza delle dolcezze e la regina delle virtù, perché è la perfezione della carità. Se vogliamo paragonare la carità al latte, la devozione ne è la crema; se la paragoniamo ad una pianta, la devozione ne è il fiore; se ad una pietra preziosa, la devozione ne è lo splendore; se ad un unguento prezioso, né è il profumo soave che dà la forza agli uomini e gioia agli Angeli.

Capitolo III

LA DEVOZIONE SI ADATTA A TUTTE LE VOCAZIONI E PROFESSIONI

Nella creazione Dio comandò alle piante di portare frutto, ciascuna secondo il proprio genere: allo stesso modo, ai Cristiani, piante vive della Chiesa, ordina di portare frutti di devozione, ciascuno secondo la propria natura e la propria vocazione.

La devozione deve essere vissuta in modo diverso dal gentiluomo, dall’artigiano, dal domestico, dal principe, dalla vedova, dalla nubile, dalla sposa; ma non basta, l’esercizio della devozione deve essere proporzionato alle forze, alle occupazioni e ai doveri dei singoli.

Ti sembrerebbe cosa fatta bene che un Vescovo pretendesse di vivere in solitudine come un Certosino? E che diresti di gente sposata che non volesse mettere da parte qualche soldo più dei Cappuccini? Din un artigiano che passasse le sue giornate in chiesa come un Religioso? E di un Religioso sempre alla rincorsa di servizi da rendere al prossimo, in gara con il Vescovo? Non ti pare che una tal sorta di devozione sarebbe ridicola, squilibrata e insopportabile?

Eppure queste stranezze capitano spesso, e la gente di mondo, che non distingue, o non vuol distinguere, tra la devozione e le originalità di chi pretende essere devoto, mormora e biasima la devozione, che non deve essere confusa con queste stranezze.

Se la devozione è autentica non rovina proprio niente, anzi perfeziona tutto; e quando va contro la vocazione legittima, senza esitazione, è indubbiamente falsa.

Aristotele dice che l’ape ricava il miele dai fiori senza danneggiarli, e li lascia intatti e freschi come li ha trovati. La vera devozione fa ancora meglio, perché non solo non porta danno alle vocazioni e alle occupazioni, ma al contrario, le arricchisce e le rende più belle.

Qualunque genere di pietra preziosa, immersa nel miele diventa più splendente, ognuna secondo il proprio colore; lo stesso avviene per i cristiani: tutti diventano più cordiali e simpatici nella propria vocazione se le affiancano la devozione: la cura per la famiglia diventa serena, più sincero l’amore tra marito e moglie, più fedele il servizio del principe e tutte le occupazioni più dolci e piacevoli.

Pretendere di eliminare la vita devota dalla caserma del soldato, dalla bottega dell’artigiano, dalla corte del principe, dall’intimità degli sposi è un errore, anzi un’eresia. E’ vero che la devozione contemplativa, monastica e religiosa non può essere vissuta in quelle vocazioni; ma è anche vero che, oltre a queste tre devozioni ce ne sono tante altre, adatte a portare alla perfezione quelli che vivono fuori dai monasteri. Abramo, Isacco, Giacobbe, Davide, Giobbe, Tobia, Sara, Rebecca e Giuditta ne sono la prova per l’Antico Testamento; nel Nuovo abbiamo S. Giuseppe, Lidia, S. Crispino che vissero la perfetta devozione nelle loro botteghe; S. Anna, S. Marta, S. Monica, Aquila, Priscilla, nel matrimonio; Cornelio, S. Sebastiano, S. Maurizio nella vita militare; Costantino, Elena, S. Luigi, il Beato Amedeo, S. Edoardo sul trono. E’ capitato anche che molti abbiano perso la perfezione nella solitudine, per sé molto utile alla vita perfetta, mentre l’avevano conservata in mezzo alla moltitudine, che sembra invece, di natura sua, poco adatta a favorire la perfezione. Lot, dice S. Gregorio, fu casto in città e peccatore nella solitudine.

Poco importa dove ci troviamo: ovunque possiamo e dobbiamo aspirare alla devozione.

Capitolo IV

NECESSITA’ DI UN DIRETTORE SPIRITUALE PER ENTRARE E PROGREDIRE NELLA DEVOZIONE

Quando il giovane Tobia ricevette l’ordine di recarsi a Rage, rispose: Non conosco la strada. Il padre gli disse allora: Va tranquillo e cerca qualcuno che ti faccia da guida.

Ti dico la stessa cosa, Filotea. Vuoi metterti in cammino verso la devozione con sicurezza? Trova qualche uomo capace che ti sia di guida e ti accompagni; è la raccomandazione delle raccomandazioni. Qualunque cosa tu cerchi, dice il devoto Avila, troverai con certezza la volontà di Dio soltanto sul cammino di una umile obbedienza, tanto raccomandata e messa in pratica dai devoti del tempo antico.

La Beata Madre Teresa, vedendo Caterina di Cordova fare grandi penitenze, ebbe un grande desiderio di imitarla contro il parere del confessore che glielo proibiva e al quale era tentata di non obbedire, almeno in questo, Dio allora le disse: Figlia mia, tu stai camminando su una strada buona e sicura. Vedi le sue penitenze? Eppure io preferisco la tua obbedienza! Teresa concepì tanto amore per questa virtù che, oltre all’obbedienza dovuta ai Superiori, votò una particolare obbedienza ad un uomo straordinario, impegnandosi a seguirne la direzione e la guida; ne ebbe grandi consolazioni. Prima e dopo di lei, è capitata la stessa cosa a molte anime elette che, per garantirsi una più perfetta sottomissione a Dio, hanno posto la loro volontà sotto la direzione dei suoi servi; cosa che S. Caterina da Siena elogia con sante espressioni nei suoi Dialoghi.

La devota principessa S. Elisabetta obbediva, con estrema esattezza, al dotto Maestro Corrado; ecco un consiglio dato da S. Luigi sul letto di morte a suo figlio: "Confessati spesso, scegli un confessore adatto, che sia molto prudente e che possa insegnarti con sicurezza, a fare il tuo dovere".

"L’amico fedele, dice la S. Scrittura, è una forte protezione; chi lo trova, trova un tesoro". L’amico fedele è un balsamo di vita e d’immortalità; coloro che temono Dio, lo trovano. Queste parole divine si riferiscono, in primo luogo, come puoi notare, all’immortalità, per camminare verso la quale è necessario, prima di tutto, avere un amico fedele che diriga le nostre azioni con le sue esortazioni e i suoi consigli; ci eviterà così i tranelli e gli inganni del nemico; sarà per noi un tesoro di sapienza nelle afflizioni, nelle tristezze e nelle cadute; sarà il balsamo per alleviare e consolare i nostri cuori nelle malattie spirituali; ci proteggerà dal male e ci renderà stabili nel bene; e se dovesse colpirci qualche infermità, impedirà che diventi mortale e ci farà guarire.

Ma chi può trovare un amico di tal sorta? Risponde il Saggio: coloro che temono Dio; ossia gli umili, che desiderano ardentemente avanzare nella vita spirituale.

Giacché ti sta tanto a cuore camminare con una buona guida, in questo santo viaggio della devozione, cara Filotea, prega Iddio, con grande insistenza, che ne provveda una secondo il suo cuore; e poi non dubitare: sii certa che, a costo di mandare un Angelo dal cielo, come fece per il giovane Tobia, ti manderà una guida capace e fedele.

Per te deve rimanere sempre un Angelo: ossia, quando l’avrai trovato, non fermarti a dargli stima come uomo, e non riporre la fiducia nelle sue capacità umane, ma in Dio soltanto, che ti incoraggerà e ti parlerà tramite quell’uomo, ponendogli nel cuore e sulla bocca ciò che sarà utile al tuo bene; tu devi ascoltarlo come un Angelo venuto dal cielo per condurti là. Parla con lui a cuore aperto, in piena sincerità e schiettezza; manifestagli con chiarezza il bene e il male senza infingimenti e dissimulazione: in tal modo il bene sarà apprezzato e reso più solido e il male corretto e riparato; nelle afflizioni ti sarà di sollievo e di forza, nelle consolazioni di moderazione e misura.

Devi riporre in lui una fiducia senza limiti, unita a un grande rispetto, ma in modo che il rispetto non diminuisca la fiducia e la fiducia non tolga il rispetto. Apriti a lui con il rispetto di una figlia verso il padre e portagli rispetto con la fiducia di un figlio verso la madre; per dirla in breve: deve essere una amicizia forte e dolce, santa, sacra, degna di Dio, divina, spirituale.

A tal fine, scegline uno tra mille, dice Avila; io ti dico, uno tra diecimila, perché se ne trovano meno di quanto si dica capaci di tale compito. Deve essere ricco di carità, di scienza e di prudenza: se manca una di queste tre qualità, c’è pericolo. Ti ripeto, chiedilo a Dio e, una volta che l’hai trovato, benedici la sua divina Maestà, fermati a quello e non cercarne altri; ma avviati, con semplicità, umiltà e confidenza; il tuo sarà un viaggio felice.

Capitolo V

SI DEVE COMINCIARE DALLA PURIFICAZIONE DELL’ANIMA

"I fiori sono apparsi nei campi", dice lo Sposo nel Cantico dei Cantici, "è giunto il tempo di potare e sfrondare". I fiori del nostro cuore, o Filotea, sono i buoni desideri. Ora, appena compaiono, bisogna mettere mano alla roncola per sfrondare dalla nostra coscienza tutte le opere morte e inutili. La ragazza straniera, per sposare un Israelita, doveva togliersi la veste della prigionia, tagliarsi le unghie e radersi i capelli: similmente l’anima che vuole andare sposa al Figlio di Dio, deve spogliarsi del vecchio uomo e rivestirsi del nuovo, lasciando il peccato; poi tagliare e radere tutti gli impedimenti che distolgono dall’amore di Dio.

Essersi purificati dalla malizia del peccato è l’inizio della salvezza. S. Paolo venne purificato totalmente in un attimo; lo stesso avvenne a Caterina da Genova, S. Maddalena, S. Pelagia e qualche altro. Ma questa sorta di purificazione è miracolosa ed eccezionale in grazia, come la resurrezione dei morti lo è in natura: non possiamo pretenderla.

Ordinariamente la purificazione, come la guarigione, sia del corpo che dello spirito, avviene adagio adagio, per gradi, un passo dopo l’altro, a fatica e con il tempo. Sulla scala di Giacobbe gli Angeli hanno le ali, ma non volano, anzi salgono e scendono ordinatamente, uno scalino dopo l’altro. L’anima che sale dal peccato alla devozione viene paragonata all’alba, che, quando spunta, non mette immediatamente in fuga le tenebre, ma gradatamente.

Dice il Saggio che la guarigione la quale avviene senza fretta è sempre la più sicura; le infermità del cuore, come quelle del corpo, vengono a cavallo o in carrozza, ma se ne vanno a piedi e al piccolo trotto.

Devi essere dunque coraggiosa e paziente in questa impresa, Filotea. Che pena vedere anime che, scoprendo di essere afflitte da molte imperfezioni, dopo essersi impegnate per un po’ nel cammino della devozione, si inquietano, si turbano e si scoraggiano e rischiano di cedere alla tentazione di lasciare tutto e di tornare indietro. D’altra parte, uguale pericolo corrono quelle anime che, per la tentazione contraria, si illudono di essere liberate dalle loro imperfezioni il primo giorno della purificazione, e si considerano perfette ancor prima di essere fatte: pretendono di volare senza le ali! Filotea, quelle sono veramente in grande pericolo di cadere, perché troppo presto hanno voluto sottrarsi alle mani del medico. Non alzarti prima che ci si veda, dice il Profeta Davide; e alzati dopo esserti seduto! Egli stesso mette in pratica quello che dice e, una volta lavato e profumato, chiede di rimettersi all’opera.

L’esercizio della purificazione dell’anima può e deve finire soltanto con la vita: perciò non agitiamoci per le nostre imperfezioni; quello che si chiede a noi è di combatterle; se non le vedessimo, non potremmo combatterle e non potremmo vincerle se non ci imbattessimo in esse. La nostra vittoria non consiste nel non sentirle, ma nel non acconsentirvi; e non è acconsentire esserne turbati. Anzi, ogni tanto, ci fa bene una ferita in questa battaglia spirituale, per fortificare la nostra umiltà; non saremo mai vinti finché non avremo perso la vita o il coraggio.

Le imperfezioni e i peccati veniali non possono strapparci la vita spirituale, che si perde soltanto con il peccato mortale; è il coraggio di combattere che non dobbiamo perdere! Diceva Davide: Liberami, Signore, dalla vigliaccheria e dallo scoraggiamento. In questa guerra ci troviamo in una condizione di favore, perché, per vincere, ci basta la volontà di combattere.

Capitolo VI

PRIMA PURIFICAZIONE: DAL PECCATO MORTALE

La prima purificazione è quella dal peccato; il mezzo: il sacramento della penitenza. Cercati il miglior confessore che puoi; serviti anche di qualche libretto scritto a questo scopo; leggi con attenzione e nota, punto per punto, dove hai mancato, cominciando da quando hai avuto l’uso di ragione fino a oggi. Se ti fidi poco della memoria, metti per iscritto quello che hai trovato. Una volta trovate e messe insieme le brutture peccaminose della tua coscienza, detestale e respingile con una contrizione e un dispiacere grande quanto il tuo cuore riesce a concepire, prendendo in considerazione questi quattro punti: per il peccato tu hai perso la grazia di Dio, hai perso il diritto al paradiso, hai accettato i tormenti eterni dell’inferno, hai rinunciato all’eterno amore di Dio.

Hai capito, Filotea, che ti parlo della confessione generale di tutta la vita che, lo so bene anch’io, fortunatamente, non sempre è necessaria; ma io la considero molto utile in questo inizio, per cui te la consiglio vivamente.

Capita spesso che le confessioni abituali di coloro che conducono una vita ordinaria di cristiani comuni, siano piene di difetti: per lo più si prepara poco o per niente, non si ha la contrizione richiesta, anzi capita addirittura che molte volte ci si vada a confessare con il segreto proposito di tornare a peccare, visto che non si ha alcuna intenzione di evitare l’occasione, né di prendere gli opportuni accorgimenti per correggersi; in tutti questi casi la confessione generale è necessaria per dare una scossa all’anima.

Inoltre la confessione generale ci porta a conoscere noi stessi, ci provoca a una salutare vergogna del nostro passato, ci fa ammirare la misericordia di Dio, che ci ha atteso con tanta pazienza; porta la pace nel cuore, la serenità nello spirito, suscita buoni propositi, offre l’occasione al nostro padre spirituale di darci consigli più adatti alla nostra reale situazione e ci apre il cuore alla semplicità fiduciosa che ci farà essere molto sinceri nelle confessioni che seguiranno.

E poiché parliamo di un rinnovamento generale del cuore e della conversione totale dell’anima a Dio, per mezzo della vita devota, mi sembra, o Filotea, di avere ragione nel consigliarti questa confessione generale.


Capitolo VII

 

SECONDA PURIFICAZIONE: DAGLI AFFETTI AL PECCATO

Tutti gli Israeliti uscirono materialmente dall’Egitto, ma non tutti ne uscirono con il cuore; ecco perché, nel deserto, molti di essi rimpiangevano le cipolle e la carne d’Egitto.

Allo stesso modo ci sono dei peccatori che escono materialmente dal peccato, ma non ne abbandonano l’affetto: ossia, fanno il proposito di non peccare più, ma si privano e si astengono dai piaceri del peccato con una certa malavoglia e con rimpianto; il loro cuore rinuncia al peccato e se ne allontana, ma non per questo smette di volgersi in continuazione da quella parte, come la moglie di Lot verso Sodoma.

Si tengono lontani dal peccato come fanno i malati con i cocomeri quando il medico li ha minacciati di pericolo di morte se ne dovessero mangiare; ci stanno male a non poterne mangiare, ne parlano e mercanteggiano la possibilità di superare il divieto, almeno per assaggiarne, e giudicano fortunati quelli che possono mangiarne.

Fanno la stessa cosa quei penitenti deboli e fiacchi che si astengono un po’ dal peccato, a malincuore; vorrebbero poter peccare senza andare all’inferno, parlano con rimpianto e compiacimento del peccato e giudicano fortunati quelli che lo fanno. Un uomo deciso a vendicarsi, cambierà proposito nella confessione, ma subito dopo lo travi tra gli amici, felice di poter parlare della sua lite: e dice che, se non fosse per il timor di Dio, farebbe questo e quest’altro, e aggiunge che, su questo punto, la legge di Dio, che impone il perdono, è molto dura; volesse Dio che fosse permesso vendicarsi!

Chi non vede che questo Tizio, anche se legalmente fuori dal peccato, è ancora tutto preso dall’affetto al peccato e, mentre fisicamente è uscito dall’Egitto, vi abita ancora con il desiderio, bramandone le carni e le cipolle. Lo stesso si dica di quella donna che, dopo aver detestato i suoi amori perversi, si compiace di essere civetta e ricercata. Tale gente è in grande pericolo!

Filotea, poiché vuoi dare inizio alla vita devota, non deve bastarti di abbandonare il peccato, ma devi sbarazzare il tuo cuore da tutti gli affetti legati al peccato; perché, oltre al pericolo di ricadere, questi miserabili affetti renderebbero perpetuamente malato e intorpidito il tuo spirito, a tal punto che non riuscirebbe a compiere il bene con prontezza, diligenza e di frequente. Mentre proprio in questo consiste l’essenza della devozione.

Le anime uscite dallo stato di peccato, ma che hanno ancora questi affetti e debolezze, io le assomiglio alle ragazze che hanno un colore pallido: non sono malate, ma tutto il loro comportamento è da malati: mangiano senza gusto, dormono senza riposare, ridono senza gioia, si trascinano invece di camminare; allo stesso modo tali anime fanno il bene con una tale stanchezza spirituale, che tolgono ogni grazia ai loro esercizi di pietà, che poi, oltre tutto, sono pochi di numero e poveri di risultati.

Capitolo VIII

COME FARE LA SECONDA PURIFICAZIONE

La prima ragione che deve spingerci ad operare questa seconda purificazione, è la coscienza viva e nitida del male enorme che ci causa il peccato; riusciremo, in tal modo, ad entrare in una contrizione profonda e travolgente: infatti la contrizione, per piccola che sia, se è sincera, e soprattutto se congiunta alla forza dei Sacramenti, ci purifica sufficientemente dal peccato; se poi la contrizione è profonda e travolgente, ci purifica anche da tutti gli affetti che derivano dal peccato.

Un odio e un astio debole e fiacco ci permette di sopportare, anche se di malanimo, colui che odiamo; se poi ci è possibile, ne stiamo lontani; ma se il nostro odio è mortale e violento, non solo fuggiamo e troviamo insopportabile colui che odiamo, ma ci ripugna e non possiamo soffrire nemmeno la compagnia di coloro che la pensano come lui, dei suoi amici, dei suoi parenti. Non sopportiamo nemmeno la vista del suo ritratto e delle cose che gli appartengono.

Similmente, se il penitente odia il peccato solo leggermente, benché sinceramente, è vero che fa il proposito di non peccare più, ma non è come quando lo odia con una contrizione forte e vigorosa; in tal caso, non solo detesterà il peccato, ma anche tutti gli affetti, le conseguenze e i sentieri del peccato.

E’ per questo, Filotea, che dobbiamo rendere la nostra contrizione e il pentimento più profondi possibile, perché tutto ciò che appartiene al peccato sia travolto. Così fece la Maddalena che, convertendosi, perse talmente il gusto del peccato e dei piaceri che non ci pensò più; e Davide, che protestava di odiare non soltanto il peccato, ma anche le sue vie e i suoi sentieri: questo è il ringiovanimento dell’anima, che lo stesso Profeta paragona a quello dell’aquila che muta le penne.

Ora per giungere a questa presa di coscienza ed alla contrizione, devi immergerti con cura nelle meditazioni che qui di seguito ti propongo; se ti ci impegnerai con serietà, con l’aiuto della grazia di Dio, strapperai dal tuo cuore il peccato e i principali affetti al peccato; le ho impostate proprio a questo scopo.

Le farai una dopo l’altra, nell’ordine che te le propongo, una al giorno, di mattino, se ti è possibile; perché è il tempo più adatto alle operazioni dello spirito; e ci rifletterai sopra per tutta la giornata.

Se poi non hai dimestichezza con le meditazioni, leggi quello che ne dico nella seconda parte di questo libretto.

Capitolo IX

Prima Meditazione: LA CREAZIONE

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Chiedigli di ispirarti.

Considerazioni

  1. Rifletti che qualche anno fa tu non esistevi, anzi il tuo essere era proprio il nulla. O anima mia, dov’eri allora? Il mondo esisteva da tanto, e dite, proprio nulla.
  2. Dio ti ha fatto fiorire da quel nulla per renderti ciò che sei, non perché avesse bisogno di te, ma per sua esclusiva bontà.
  3. Rifletti sull’essere che Dio ti ha dato; è il primo nella scala degli esseri viventi; fatto per vivere nell’eternità e per unirsi perfettamente a Dio.

Affetti e propositi

  1. Umiliati profondamente davanti a Dio, dicendo di cuore con il Salmista: Signore, davanti a te sono come nulla. Come hai fatto a ricordarti di me per crearmi? Anima mia, tu eri sprofondata in quell’abisso senza fondo, e ci saresti ancora se Dio non ti avesse tirata fuori; e che faresti in quel nulla?
  2. Ringrazia Dio. = Creatore, buono e potente, ti sono tanto riconoscente per avermi tirato fuori dal mio nulla, per avermi resa, per tua bontà, quella che sono. Che cosa posso fare per benedirti degnamente e rendere grazie alla tua immensa bontà?
  3. E ora vergognati. Mio Creatore, anziché unirmi a te in amore e spirito di servizio, mi sono ribellata indegnamente con i miei affetti sregolati; mi sono separata e allontanata da te per confondermi con il peccato; non mi sono ricordata dell’onore di cui ti ero debitrice: ho dimenticato che sei il mio Creatore.
  4. Umiliati davanti a Dio. Anima mia, devi sapere che il Signore è il tuo Dio; è lui che ti ha creato; non ti sei fatta da sola! Signore, sono opera delle tue mani.
  5. Per quanto, d’ora in poi, non voglio più compiacermi in me stessa, perché sono proprio nulla. Di che cosa vorresti gloriarti? Tu, polvere e cenere, o meglio, nulla? Di che ti esalti? Per umiliarmi voglio fare e questo e quello; sopportare quel disprezzo, quell’altro. Voglio cambiare vita e seguire il mio Creatore e sentirmi onorata per l’essere che egli mi ha dato; voglio impegnarlo totalmente nell’obbedire alla sua volontà, nei modi che mi verranno indicati, e sui quali mi illuminerà il mio padre spirituale.

Conclusione

  1. Ringraziamento. Anima mia, benedici il tuo Dio e lodino il suo nome tutte le viscere; perché la sua bontà mi ha tratto dal nulla e la sua misericordia mi ha creato.
  2. Offerta. Signore, con tutto il cuore, ti offro l’essere che mi hai dato; lo dedico e lo consacro a Te.
  3. preghiera. Signore, rendimi forte in questi affetti e in questi propositi; Vergine Santa, raccomandali alla misericordia di tuo Figlio, come pure tutte quelle persone per le quali devo pregare,ecc.

Padre nostro, Ave Maria.

Uscendo dall’orazione raccogli un po’ qua e un po’ là e, scegliendo tra le considerazioni fatte, confeziona un mazzetto di devozione; così, durante tutto l’arco della giornata, potrai odorarne il profunmo.

Capitolo X

Seconda meditazione: IL FINE PER IL QUALE SIAMO CREATI

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Pregalo che ti ispiri.

Considerazioni

  1. Dio non ti ha messo al mondo perché aveva bisogno di te; tu non gli sei di alcuna utilità. Lo ha fatto soltanto per dimostrare in te la sua bontà, arricchendoti della sua grazia e della sua gloria. Per questo ti ha dato l’intelligenza per conoscerlo, la memoria per ricordarlo, la volontà per amarlo, l’immaginazione per rappresentarti i suoi benefici, gli occhi per contemplare le sue opere, la lingua per lodarlo , e così tutte le altre facoltà.
  2. Poiché sei stata creata e messa al mondo per questo, tutte le azioni contrarie devono essere bandite ed evitate; e quelle che non giovano al conseguimento di questo fine, non devono essere nemmeno prese in considerazione perché vuote e inutili.
  3. Considera la sventura del mondo che non pensa a queste cose, ma vive come se fosse stato creato soltanto per costruire case, piantare alberi, accumulare ricchezze e fare pazzie.

Affetti e propositi

  1. Umiliati e rimprovera alla tua anima la sua miseria, che, per il passato, è stata così grande che ha pensato poco o punto a tutto ciò. Dirai: Mio Dio, a che cosa mi occupavo, quando non pensavo a te? Che cosa ricordavo, quando dimenticavo te? Che cosa amavo, quando non amavo te? Avrei dovuto nutrirmi di verità e mi imbottivo di vuoto; ero schiava del mondo anziché rendere lui schiavo di me.
  2. Detesta la vita passata. Rinuncio a voi, pensieri vuoti e riflessioni inutili; rinnego voi, ricordi vergognosi e frivoli; tronco voi, amicizie infedeli e sleali; favori venali e interessati, soddisfazioni amare, false cortesie.
  3. Convertiti a Dio. E tu, Dio mio e Salvatore, d’ora in poi sarai il solo oggetto dei miei pensieri; non occuperò più il mio spirito in pensieri che ti siano sgraditi; la memoria sarà occupata tutti i giorni della mia vita dalla grandezza della tua bontà, che tanto benevola è stata verso di me; sarai la delizia del mio cuore e la dolcezza dei miei affetti. D’ora in poi avrò in orrore quel rincorrersi di vanità, quei divertimenti a cui davo tanto tempo, quello occupazioni oziose che svuotavano la mia giornata, quegli affetti che ottenebravano il mio cuore. A tal fine mi servirò di questo e quel rimedio.

Conclusione

  1. Ringrazia Dio che ti ha creata per un fine così nobile. Tu, o Signore, mi hai creata per te, perché io goda per tutta l’eternità dell’immensità della tua gloria: riuscirò un giorno ad esserne degna e a benedirti come meriti?
  2. Offerta. Mio caro Creatore, ti offro tutti i miei affetti e i miei propositi assieme alla mia anima e al mio cuore.
  3. preghiera. Ti supplico, o Dio, di accettare le mie aspirazioni e i miei desideri, e benedire con la tua benedizione la mia anima perché riesca ad attuarli, per i meriti del Sangue di tuo Figlio vesato sulla Croce, ecc.

Capitolo XI

Terza Meditazione: I BENEFICI DI DIO

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Pregalo di ispirarti.

Considerazioni

  1. Considera i doni corporali che Dio ti ha dato: il corpo, i mezzi per sostentarlo, la salute, le soddisfazioni legate a lui, gli amici, i beni materiali.

    Considera tutto ciò che ha dato a te e mettilo a confronto con ciò che hanno altre persone che valgono più di te e che non hanno quello che hai tu: gli uni sono di debole costituzione, altri malfermi di salute, difettosi nelle membra; altri son oggetto di insulti, di disprezzo e di disonore; altri ancora oppressi dalla povertà. E Dio non ha voluto fosse così.

  2. Considera i doni dello spirito: quanta gente c’è al mondo ebete, pazza furiosa, mentecatta; perché non sei anche tu di quelli? Dio ti ha favorito. Quanti altri hanno avuto scarsa possibilità di istruirsi, o addirittura nessuna; per te, invece, la Provvidenza divina ha voluto un’educazione civile e onorata.
  3. Considera le grazie spirituali: tu sei figlia della Chiesa, Filotea; Dio si è fatto conoscere a te fin dalla tua infanzia. Quante volte ti ha visitato con i sacramenti? E le ispirazioni, le illuminazioni interiori, le correzioni per richiamarti? E quante volte ti ha perdonato? E non ricordi quante volte ti ha liberato dalle occasioni in cui ti saresti perduta? E gli anni passati non sono stati forse un tempo prezioso che Dio ti ha offerto per camminare verso il bene della tua anima?
    Fermati a considerare anche i dettagli, e vedrai quanto buono e generoso sia stato Dio con te!

Affetti e propositi

  1. Ammira la bontà di Dio. Dio è veramente buono nei miei confronti. O Signore, quanto è ricco di misericordia e grande in bontà il tuo cuore! Anima mia, canta in eterno le innumerevoli grazie di cui ti ha colmata.
  2. Pensa ora alla tua ingratitudine. Chi sono io, Signore, perché ti ricordi di me? Com’è grande la mia indegnità. Ho calpestato i tuoi benefici, ho disonorato le tue grazie, ho abusato della tua somma bontà e l’ho disprezzata! Ho contrapposto la voragine della mia ingratitudine all’abisso della tua grazia e del tuo favore.
  3. Muoviti a riconoscenza. Orsù, cuor mio, basta con le infedeltà, l’ingratitudine e la slealtà verso questo grande Benefattore. Non Avverrà più che la mia anima rifiuti di essere sottomessa a Dio, che ha operato in me tante meraviglie e mi ha colmato di tanti doni.
  4. Filotea, sii decisa e sottrai il tuo corpo alle voluttà. Mettilo al servizio di Dio che ha operato cose stupende in suo favore; impegna seriamente la tua anima a conoscerlo a fondo per renderlo suo, con quegli esercizi propri ad ottenere questo risultato. Impiega con cura i mezzi che la Chiesa ti offre per la salvezza tua e per amare Dio. Sì, sono decisa a fare regolarmente orazione, a ricevere i sacramenti, ad ascoltare la sua santa Parola; metterò in pratica le sue ispirazioni e i suoi consigli.

Conclusioni

  1. Ringrazia Dio che ti ha fatto conoscere i tuoi doveri e tutti i benefici da Lui ricevuti.
  2. Offrigli il tuo cuore con tutti i buoni propositi.
  3. Pregalo che ti renda forte per tradurre in atto i propositi, per i meriti della morte di suo Figlio; chiedi l’intercessione della Vergine e dei Santi.
    Padre nostro, ecc.
    Intreccia il mazzetto spirituale.

Capitolo XII

Quarta Meditazione: IL PECCATO

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Pregalo di darti la sua ispirazione.

Considerazioni

  1. Pensa da quanto tempo hai incominciato a peccare, e come, da allora, i peccati si siano moltiplicati in te; li hai accresciuti ogni giorno, mettendoti contro Dio, contro te stessa, contro il prossimo, in opere in parole, in desideri e in pensieri.
  2. Pensa alle tue cattive inclinazioni e a come le hai assecondate. E, soltanto meditando su questi due punti, dovrai constatare come le tue colpe siano più numerose dei capelli che hai in testa, o meglio ancora dei granelli di sabbia della spiaggia.
  3. Pensa poi, in modo particolare, al peccato di ingratitudine verso Dio, peccato comune e presente in tutti gli altri, e che li rende più gravi: guarda di quanti benefici Dio ti ha colmata, e di tutti ne hai abusato contro il Donatore; e in modo hai disprezzato molte ispirazioni, hai lasciato cadere molti impulsi al bene.
    Ma quello che è ancor peggio, dopo che hai ricevuto i sacramenti tante volte, dove sono i frutti? Dove sono finiti gli ornamenti di cui ti aveva abbellita lo Sposo? Tutto è stato sepolto nella tua cattiveria. Ti sei preparata seriamente a riceverli? Pensa a quanto sei ingrata e irresponsabile; Dio ti insegue per salvarti e tu fuggi per perderti.

Affetti e propositi

  1. Arrossisci alla tua miseria. Mio Dio, dove troverò il coraggio di comparire davanti a te? Io non sono che un bubbone purulento e una fogna di ingratitudine e di cattiveria. Sembra impossibile che io abbia potuto essere così sleale; non ho saputo conservare integro uno solo dei miei sensi; una sola delle facoltà della mia anima, senza corromperla, violarla, insozzarla; non ho trascorso un sol giorno della mia esistenza senza contaminarlo con affetti indecenti. E mi pare questo il modo di contraccambiare i benefici del Creatore e il Sangue del Redentore?
  2. Chiedi perdono e gettati ai piedi del Signore come un Figliuol prodigo, come una Maddalena, come una donna che ha contaminato il letto matrimoniale con ogni sorta di adulterio. Signore, pietà di questa peccatrice; sorgente viva di misericordia, abbi pietà di questa misera peccatrice.
  3. Decidi di vivere meglio. Signore, con la tua grazia, non voglio mai più cedere al peccato. L’ho amato già troppo! Ora lo detesto e abbraccio Te, Padre di misericordia, voglio vivere e morire con Te!
  4. Per cancellare i peccati del passato ne farò una accusa coraggiosa, e non tollererò che uno solo rimanga in me.
  5. Farò tutto il possibile per sradicare dal mio cuore le erbacce, in modo particolare le più dannose.
  6. A tal fine, seguirò con impegno i consigli che mi verranno dati e non riterrò mai di avere fatto abbastanza per riparare le colpe del passato.

Conclusione

  1. Ringrazia Dio che ti ha atteso pazientemente e ti ha dato questi buoni affetti.
  2. Offrigli il tuo cuore in pegno.
  3. Pregalo che ti fortifichi, ecc.



Capitolo XIII

Quinta Meditazione: LA MORTE

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Chiedigli l’aiuto della grazia.
  3. Immagina di essere gravemente ammalata, sul letto di morte, senza speranza di cavartela.

Considerazioni

  1. Pensa a quanto sia incerto il giorno della tua morte. Anima mia, un giorno tu uscirai da questo corpo. Quando? In inverno o in estate? In città o in campagna? Di giorno o di notte? All’improvviso o con preavviso? Sarà per malattia o per incidente? Avrai il tempo di confessarti, oppure no? Avrai vicino il tuo confessore e il tuo padre spirituale? Di tutto ciò non ne sai proprio nulla. L’unica cosa certa è che moriremo tutti, e prima di quando pensiamo.
  2. Pensa che in quel momento, per quello che riguarda te, il mondo finirà; per te sarà proprio finita! Ai tuoi occhi tutto si capovolgerà. Sì, perché i piaceri, le vanità, le gioie del mondo, gli affetti inutili ti sembreranno fantasmi e nebbia. Ti accorgerai allora che sei stata sciocca ad offendere Dio per quelle insulsaggini e quelle chimere! Vedrai che quando abbiamo lasciato Dio, lo abbiamo fatto per un nulla. Per contro, tanto dolci e desiderabili ti sembreranno la devozione e le opere buone: ma perché non ho percorso quella via bella e piacevole? In quel momento i tuoi peccati, che ti sembravano peccatucci, li vedrai ingigantiti come montagne e la tua devozione ti sembrerà piccola piccola.
  3. Pensa agli addii senza fine e pieni di languore che la tua anima darà alle cose di questo basso mondo: addio alle ricchezze, alle vanità, alle compagnie melense, ai piaceri, ai passatempi, agli amici e ai vicini, ai genitori, ai figli, al marito, alla moglie; per farla breve, a tutti; e, per chiudere, al tuo corpo che dovrai abbandonare esangue, smunto, emaciato, schifoso, e male odorante.
  4. Pensa alla fretta che avranno di prendere il tuo corpo e nasconderlo sotto terra; ciò fatto, la gente non penserà più, o quasi, a te; non se ne ricorderanno più, come del resto tu hai fatto per gli altri: Dio lo abbia in pace, si dirà, e amen! Tu, morte, fai seriamente pensare, sei impietosa!
  5. Pensa che una volta uscita dal corpo, l’anima prende il suo posto: o a destra, o a sinistra. Tu, dove andrai? Che strada prenderai? Non dimenticare che sarà la stessa nella quale ti sei incamminata in questo mondo.

Affetti e risoluzioni

  1. Prega Dio e gettati tra le sue braccia. Signore, in quel giorno terribile, accoglimi sotto la tua protezione, rendimi quel momento felice e favorevole, a costo di rendere tutti gli altri della mia vita tristi e segnati dalla sofferenza.
  2. Disprezza il mondo. Giacché, o mondo, non mi è dato di conoscere l’ora in cui dovrò lasciarti, ho deciso di non legarmi a te. Amici miei, cari colleghi, permettetemi di volervi bene soltanto con un’amicizia santa che possa durare eternamente; infatti perché dovrei contrarre con voi un legame che poi dovrà essere troncato?
  3. Voglio prepararmi a quell’ora e prendere le opportune precauzioni per compiere felicemente quel passo; con tutte le mie facoltà voglio mettere ordine nella mia coscienza, e porre fine a certe manchevolezze.

Conclusione

Ringrazia Dio dei propositi che ti ha dato la forza di concepire; offrili alla sua Maestà; pregalo spesso che ti conceda una morte beata per i meriti di quella del Figlio. Chiedi l’aiuto della Vergine e dei Santi.

Pater, Ave Maria.

Componi un mazzetto di mirra.

Capitolo XIV

Sesta Meditazione: IL GIUDIZIO

Preparazione

  1. Mettiti davanti a Dio.
  2. Pregalo di ispirarti.

Considerazioni

  1. Dopo il tempo segnato da Dio per la durata di questo mondo, preceduta da un gran numero di segni e prodigi spaventosi, tali da raggelare gli uomini per lo spavento e il terrore, verrà la fine: scenderà dal cielo un diluvio di fuoco che brucerà e ridurrà in cenere tutta la faccia della terra, senza risparmiare nulla di quanto vediamo su di essa.
  2. Dopo questo diluvio di fiamme e di terrificanti fenomeni celesti, tutti gli uomini non ancora risorti, riprenderanno il loro corpo dalla terra, e, alla voce dell’Arcangelo, si raduneranno nella valle di Giosafat. Ma, con quale differenza! Gli uni spenderanno in un corpo glorioso, gli altri saranno orribili in un corpo ripugnante.
  3. Considera la maestà con la quale apparirà il Giudice supremo, circondato dagli Angeli e dai Santi, preceduto dalla Croce, segno di grazia per i buoni e di castigo per i cattivi, più splendente del sole.
  4. Quel Giudice supremo, con un ordine senza appello e che verrà subito eseguito, separerà i buoni dai cattivi; metterà i primi alla sua destra, gli altri alla sua sinistra; e sarà una separazione eterna, dopo la quale i due settori mai più si incontreranno.
  5. Operata la separazione e dischiuse le coscienze, apparirà con chiarezza la perversità dei cattivi e il loro disprezzo per Iddio; dall’altra parte si vedrà la penitenza dei buoni e gli effetti prodotti in essi dalla grazia di Dio; nulla rimarrà nascosto. Mio Dio, quale confusione per gli uni, quale consolazione per gli altri!
  6. Pensa all’ultima condanna dei cattivi: Andate, maledetti, al fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi compagni. Pesa queste parole così gravi. Andate, dice, è la condanna all’abbandono eterno di quei disgraziati da parte di Dio. Quei miserabili saranno per sempre privati della contemplazione del suo Volto. Li chiama maledetti: anima mia, quale maledizione! Una maledizione totale, che include tutti i mali: maledizione senza appello e che abbraccia tutta l’eternità. Eterna eternità dei supplizi, quanto devi essere terribile!
  7. Considera poi la sentenza per i buoni: Venite, dice il Giudice; è la parola consolante di salvezza, per mezzo della quale Dio ci attira a sé e ci pone nel mondo della sua bontà. Benedetti del Padre mio: o cara benedizione, che tutte le include! Prendete possesso del Regno che è stato preparato per voi fin dalla creazione del mondo. Quale grande grazia, mio Dio, poiché quel Regno non avrà mai fine!

Affetti e propositi

  1. Trema, anima mia, a questo pensiero. Mio Dio, chi può darmi sicurezza per quel giorno, in cui le fondamenta del cielo tremeranno per lo spavento?
  2. Detesta i tuoi peccati, i soli che possono darti motivo di terrore in quel giorno spaventoso.
  3. Voglio ora giudicarmi da sola, per non esserlo in quel giorno; voglio esaminare la mia coscienza e condannarmi, accusarmi e correggermi, perché in quel giorno non sia il Giudice a condannarmi: mi confesserò, accetterò i consigli opportuni, ecc.

Conclusione

  1. Ringrazia Dio che ti ha dato modo di metterti al sicuro per quel giorno e ti ha concesso tempo per la penitenza.
  2. Offrigli il tuo cuore e fa una seria penitenza.
  3. Pregalo di farti la grazia di portarla a compimento come si deve.
    pater noster, Ave.
    Componi un mazzetto spirituale

Capitolo XV

Settima Meditazione: L’INFERNO

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Umiliati e domanda la sua assistenza.
  3. Immagina una città tenebrosa, affogata in un’atmosfera di zolfo infiammato e pece nauseante; in quello scenario immagina un brulichio di cittadini che non possono uscirne.

Considerazioni

  1. I dannati all’inferno sono come prigionieri senza scampo in quella città disgraziata. I loro sensi e tutte le loro membra sono sottoposti a indicibili tormenti: infatti hanno usato le loro membra con i loro sensi per peccare; per questo nei loro sensi e nelle loro membra pagano la pena dovuta al peccato: gli occhi, per gli sguardi perversi e maliziosi, soffriranno l’orribile vista dei diavoli e dell’inferno; le orecchie, che si sono compiaciute dei discorsi licenziosi, udranno, per l’eternità, pianti, lamenti e grida di disperazione; e così di seguito.
  2. Oltre a questi tormenti c’è poi quello che tutti li supera, ed è la privazione e la perdita della vista di Dio, dalla quale sono esclusi per sempre.
    Se Assalonne trovava che la perdita della vista di suo padre Davide era più dura da sopportare dell’esilio, quale tormento sarà mai essere privati per sempre della vista del dolce e soave volto di Dio.
  3. Pensa soprattutto all’eternità di queste pene: da sola rende l’inferno insopportabile. Se una pulce in un orecchio o l’alterazione di una febbriciattola, rendono una breve notte così lunga e tormentosa, pensa a quanto deve essere spaventosa la notte dell’eternità con tanti tormenti! Da quell’eternità nascono la più nera disperazione, le bestemmie, una rabbia senza fine.

Affetti e propositi

  1. Spaventa la tua anima con le parole di Isaia: O anima mia, come potrai vivere eternamente con quelle fiamme inestinguibili, dentro a quel fuoco che divora? Perché vuoi abbandonare per sempre il tuo Dio?
  2. Riconosci di averlo meritato e molte volte. Ora voglio incamminarmi in senso contrario; perché dovrei sprofondare in quell’abisso?
  3. Farò dunque ogni sforzo per evitare il peccato, sola causa possibile di quella morte eterna.
    Ringrazia, offri, prega

Capitolo XVI

Ottava Meditazione: IL PARADISO

Considerazioni

  1. Immagina una bella notte serena: contempla il cielo costellato di miriadi di stelle, diverse una dall’altra. Aggiungi a quella meraviglia la bellezza di una magnifica giornata, in cui lo splendore del sole non tolga la nitida vista delle stelle e della luna; e poi dì pure tranquillamente che tutte quelle bellezze sono nulla a confronto del Paradiso. E’ un luogo desiderabile e amabile come nessun altro, una città senza confronti!
  2. Pensa alla nobiltà, alla bellezza e alla moltitudine dei cittadini abitanti in quella città felice: milioni e milioni di Angeli, di Cherubini, di Serafini, il gruppo degli Apostoli, i Martiri, i Confessori, le Vergini, le Madri di Famiglia; sono innumerevoli.

 

  1. Infine pensa al bene sommo di cui tutti insieme godono: la vista di Dio che li gratifica per l’eternità del suo sguardo pieno d’amore, travolgendo i loro cuori in un abisso di piacere. E’ un bene senza pari l’essere uniti al proprio principio.
    Sono simili ad uccelli spensierati, che volano e cantano eternamente nel cielo della divinità, che li colma di piaceri inesprimibili; ciascuno, senza invidia, canta al suo meglio, le lodi del Creatore.
    Sia tu benedetto per sempre, o dolce Creatore e Salvatore, perché sei buono e ci comunichi, con tanta generosità, la tua gloria. Di rimando, Dio benedice con una benedizione eterna, i suoi Santi: Siate benedetti, per sempre, mie care creature che, per avermi servito con coraggio, mi loderete eternamente con amore.

Affetti e propositi

  1. Ammira e loda la patria celeste. Come sei bella, celeste Gerusalemme, e beati sono i tuoi abitanti.
  2. Rimprovera il tuo cuore per il poco coraggio dimostrato finora e per essersi tanto allontanato dal cammino verso quella dimora di gloria. Perché mi sono tanto allontanata dal mio sommo bene? Miserabile che sono, l’ho fatto soltanto per piaceri insulsi e leggeri, abbandonando delizie mille volte migliori. Come ho fatto a disprezzare beni tanto desiderabili per desideri così meschini che non meritavano alcuna attenzione?
  3. Desidera con forza di giungere a quella beata dimora. Mio buono e supremo Signore, poiché hai voluto guidare di nuovo i miei passi sul cammino che porta a Te, ti prometto che mai più tornerò indietro. Camminiamo, cara anima mia, camminiamo verso quella pace infinita, camminiamo verso quella terra benedetta a noi promessa. Che ci facciamo qui, in Egitto?
  4. Mi terrò lontano da tutto ciò che potrebbe distogliermi da questo cammino o ritardarlo.
  5. Farò invece tutto quello che mi può favorire nell’incamminarmi in esso.
    Ringrazia, offri, prega

Capitolo XVII

Nona Meditazione: ELEZIONE E SCELTA DEL PARADISO

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Umiliati davanti a lui e pregalo che ti ispiri.

Considerazioni

Immagina di essere in aperta campagna, sola con il tuo Angelo, come il giovane Tobia sulla via di Rage; immagina che l’Angelo ti inviti alla contemplazione del Paradiso, spalancato in alto, davanti a te: tu vi scorgi tutte le cose belle sulle quali abbiamo già meditato.

In basso poi, ti fa vedere la voragine dell’inferno, anch’essa spalancata davanti a te, con tutti i tormenti che ti ho descritto quando ti ho guidato alla meditazione dell’inferno.

Dopo aver immaginato questa doppia visione, mettiti in ginocchio davanti al tuo Angelo.

  1. Pensa quanto sia vero che tu ti trovi tra il Paradiso e l’Inferno; come pure è vero che l’uno e l’altro sono spalancati per riceverti secondo la scelta che tu farai.
  2. Pensa che la scelta che farai dell’uno o dell’altro in questo mondo, durerà eternamente nell’altro.
  3. Pensa che, pur essendo entrambi spalancati per accoglierti, secondo la tua scelta, e la sensazione della giustizia di Dio o della sua misericordia, tuttavia Dio desidera, con un desiderio senza pari, che tu scelga il Paradiso; e l’Angelo ti fa pressioni nello stesso senso e ti offre, da parte di Dio, mille grazie e mille aiuti per salire.
  4. Cristo Gesù, dall’alto del Cielo, ti guarda con amore e ti invita con dolcezza: Vieni, anima diletta, a riposarti eternamente tra le braccia della mia bontà, che ti ha preparato delizie immortali nel suo amore generoso per te. Contempla con gli occhi dell’anima la Vergine santa che ti invita con amore di Madre: Coraggio, figlia mia, non ignorare i desideri del mio Gesù e le preghiere che gli rivolgo per te, perché voglio, con Lui, la tua salvezza eterna. Dà uno sguardo ai Santi che ti incoraggiano e un altro milione di anime che ti invita con dolcezza e vuole soltanto vederti un giorno unita a loro, nella lode eterna di Dio; e ti garantiscono che il cammino verso il Cielo non è poi così difficile come vuol far credere il mondo: coraggio, ti dicono, amica cara, chi valuta bene il cammino della devozione per il quale siamo saliti, scoprirà che siamo giunti a queste delizie attraverso altre delizie infinitamente più dolci di quelle del mondo.

Scelta

  1. O inferno, io ti detesto per sempre; detesto i tuoi supplizi, i tuoi tormenti; detesto la tua eternità di maledizione e di infelicità. Soprattutto odio le tue eterne imprecazioni e bestemmie che scagli contro il mio Dio. Rivolgo il cuore e l’anima dalla tua parte, o beato paradiso, gloria eterna, felicità senza fine, eleggo per sempre, irrevocabilmente, la mia dimora nelle tue belle case e nei tuoi santi e desiderabili tabernacoli.
    Mio Dio, benedico la tua misericordia ed accetto l’offerta che me ne fai. Gesù Salvatore, accetto il tuo amore eterno, avallo l’acquisto del posto che tu hai fatto per me in quella beata Gerusalemme, solo per amarti e benedirti per sempre.
  2. Accetta i favori che la Vergine e i Santi ti offrono; prometti loro di seguirli nello stesso cammino; tendi la mano al tuo Angelo perché ti guidi; incoraggia la tua anima a questa scelta.

Capitolo XVIII

Decima Meditazione: L’ELEZIONE E LA SCELTA DELLA VITA DEVOTA

Preparazione

  1. Mettiti alla presenza di Dio.
  2. Abbassati davanti a lui, domanda il suo aiuto.

Considerazioni

  1. Immagina di nuovo di trovarti in aperta campagna, sola, con il tuo Angelo; a sinistra c’è il diavolo assiso su un grande trono, altissimo, con tanti diavoli vicino; intorno un’immensa moltitudine di mondani che lo riconoscono padrone e signore e gli rendono omaggio, chi peccando in un modo chi in un altro. Esamina il contegno di tutti i disgraziati cortigiani di quel re d’abominio: alcuni sono furiosi per l’odio, l’invidia, la collera; altri si uccidono tra loro; altri, smunti, tesi e ansiosi accumulano ricchezze; altri poi sono presi dalla vanità, senza provare un solo piacere che non sia vuoto e sciocco; altri ancora sono abbruttiti, smarriti, corrotti nelle loro passioni animalesche.
    Guarda come tutti sono senza pace, disordinati e senza ritegno; guarda come si disprezzano a vicenda: al massimo trovi un ipocrita parvenza d’amore.
  2. A destra c’è Gesù Cristo crocifisso, che, con un amore cordiale, prega per quegli infelici dominati dal diavolo, perché si liberino da quella tirannide, e li chiama a sé. Intorno a Lui vedi una grande moltitudine di devoti con i loro Angeli. Ammira la bellezza di questo regno della devozione. E’ meraviglioso vedere la schiera delle Vergini, uomini e donne, bianca più dei gigli; la schiera delle Vedove, spiranti mortificazione e umiltà; guarda la schiera degli Sposi, che vivono insieme con grande dolcezza e rispetto reciproco, segno di un grande amore: guarda come quelle anime devote sanno unire la cura della casa terrena con quella del cielo, l’amore del marito con quello di Cristo. Volgi lo sguardo intorno e vedrai tutti con un contegno santo, mite, amabile, mentre ascoltano Nostro Signore. Tutti vorrebbero poterlo mettere al centro del loro cuore. Si rallegrano, ma di una gioia serena, piena di amore e controllata; si vogliono bene tra loro, ma di un amore bello e pulito. Coloro che sono afflitti, tra quel popolo eletto, non si tormentano più di tanto e non perdono il contegno. Noterai gli occhi del Salvatore che li consola e tutti vogliono stargli vicino.
  3. Tu hai già abbandonato Satana con la sua disgraziata compagnia; lo hai fatto con i tuoi santi affetti; tuttavia non sei ancora giunta presso il Re Gesù; e non sei ancora unita alla felice e santa compagnia dei devoti, anzi sei sempre rimasta a mezza strada.
  4. La Vergine santa, con S. Giuseppe, S. Luigi, S. Monica, e centomila altri, che si trovano nella schiera di coloro che sono vissuti nel mondo, ti invitano e ti incoraggiano.
  5. Il Re crocifisso ti chiama per nome: Vieni, o amata, vieni perché io possa incoronarti.

Scelta

  1. O mondo, gente abominevole, non mi vedrai mai più dietro ai tuoi vessilli: ho detto addio per sempre alle tue pazzie e alle tue vanità.
    Re dell’orgoglio, dell’infelicità, spirito d’inferno, io rinuncio a te e a tutte le tue invenzioni. Ti odio e con te tutte le tue opere.
  2. Mi converto a te, dolce Gesù, Re della felicità e della gloria che non muore; ti abbraccio con tutte le forze della mia anima, ti adoro con tutto il cuore, ti scelgo, ora e per sempre, a mio Re, e ti prometto fedeltà senza pentimenti; prometto obbedienza alle tue sante leggi, voglio ascoltare i tuoi consigli.
  3. O Vergine Santa, mia cara padrona, ti prendo per guida, mi metto sotto la tua bandiera, ti prometto un particolare rispetto e una riverenza tutta speciale. Mio Santo Angelo, presentami a quella santa assemblea: non lasciarmi finché non mi sia unita a quella beata brigata, assieme alla quale dico e dirò sempre, a prova della scelta operata: Viva Gesù, Viva Gesù!



Capitolo XIX

COME FARE LA CONFESSIONE GENERALE

Ecco dunque, cara Filotea, le meditazioni che fanno al caso nostro. Una volta che le hai profondamente meditate, in ispirito di umiltà, va coraggiosamente a fare la tua confessione generale. Ti prego di non angosciarti per alcun motivo. Lo scorpione è velenoso quando ci punge, ma, ridotto in olio, è un efficace rimedio contro le sue punture; il peccato è riprovevole quando lo commettiamo, ma una volta trasformato in confessione e penitenza, è pegno di onore e di salvezza. La contrizione e la confessione sono così belle e così profumate, che cancellano la bruttezza e distruggono il lezzo del peccato. Simone il lebbroso diceva che Maddalena era peccatrice, ma Nostro Signore dice di no e parla soltanto del profumo che spande e del suo grande amore. Se noi siamo molto umili, o Filotea, il peccato ci darà un grande dispiacere perché offende Dio. Ma l’accusa del nostro peccato diverrà dolce e piacevole perché onora Dio: quando diciamo al medico il male che ci tormenta, proviamo già un certo sollievo. Quando sarai davanti al padre spirituale, immagina di essere sul Calvario, ai piedi di Gesù Cristo crocifisso, il cui sangue, grondando da tutte le parti, ti lava dalle iniquità; infatti anche se non si tratta fisicamente del sangue del Salvatore, è sempre il merito di quel sangue versato che continua a scorrere abbondantemente sui penitenti che si trovano attorno al confessionale.

Apri bene il cuore per farne uscire i peccati destinati alla confessione; a misura che usciranno, entrerà il merito prezioso della Passione di Cristo per riempirlo di benedizioni. Esponi tutto bene, con semplicità e naturalezza; almeno per questa volta fa contenta la tua coscienza.

Dopo ascolta la correzione e i consigli del servitore di Dio, e dì nel tuo cuore: Parla, Signore, che il tuo servo ti ascolta. Sì, Filotea, è Dio che tu ascolti, perché ha detto ai suoi rappresentanti: Chi ascolta voi, ascolta me.

Dopo, prendi in mano la promessa che ho scritto per te e che trovi nel capitolo seguente; serve di conclusione al tuo atto di contrizione. Prima devi meditarla. Leggila con attenzione e con tutta la partecipazione che ti sarà possibile.

Capitolo XX

PROMESSA PER IMPRIMERE NELL’ANIMA IL PROPOSITO DI SERVIRE DIO, A CONCLUSIONE DEGLI ATTI DI PENITENZA

Io sottoscritta, prostrata davanti a Dio e a tutta la Corte celeste, dopo aver considerato l’immensa misericordia della divina bontà nei confronti di me, indegna e insignificante creatura, che Egli ha tratto dal nulla, conservata, nutrita e liberata da tanti pericoli, e colmata di tanti benefici; ma soprattutto dopo aver consideratola dolcezza, e la clemenza, superiore a quanto si può pensare, in virtù della quale tanto benignamente mi ha sopportata nelle mie iniquità, ispirandomi molto spesso con amore e invitandomi a correggermi; considerando che mi ha atteso tanto pazientemente perché facessi penitenza fino all’età che oggi ho; e questo, nonostante le mie ingratitudini, le slealtà e le infedeltà con le quali ho differito la conversione, disprezzando le sue grazie e per di più sfacciatamente offendendolo; dopo aver preso in considerazione anche il fatto che nel giorno del Battesimo sono stata consacrata e donata a Dio, per essere sua figlia; e che, contrariamente alla promessa fatta allora in mio nome, ho molte volte, agendo da disgraziata e in modo riprovevole, profanato e violato il mio spirito, usandolo contro la Maestà divina; essendo ritornata finalmente in me stessa, prostrata con il cuore e con lo spirito davanti al trono della giustizia divina, riconosco, ammetto e confesso di meritare di essere accusata e convinta del crimine di lesa Maestà divina, in quanto colpevole della Morte e Passione di Gesù Cristo, ucciso dai peccati da me commessi; infatti per loro causa è morto dopo aver sofferto i tormenti della croce; per questo riconosco di essere degna di venire condannata alla perdizione eterna.

Ma oso rivolgermi al trono dell’infinita misericordia del medesimo Dio. Detesto con tutto il cuore e con tutte le forze le iniquità della mia vita passata, domando e impetro umilmente grazia e perdono e per questo ti chiedo una totale assoluzione dei miei crimini, in forza della Morte e Passione di quel medesimo Signore e Redentore dell’anima mia; fidando su quella, quale unica speranza per la mia salvezza, ripeto nuovamente e rinnovo la promessa di fedeltà fatta in mio nome a Dio, in occasione del battesimo, e rinuncio al demonio, al mondo e alla carne; detesto le loro malefiche suggestioni, le vanità e i desideri insani, per tutta la vita che mi resta e per l’eternità.

Voglio convertirmi a Dio buono e pietoso; desidero, propongo, scelgo e decido irrevocabilmente di servirlo e amarlo adesso e per l’eternità. A tal fine gli affido, gli dedico e gli consacro il mio spirito con tutte le sue facoltà, la mia anima con tutte le sue potenze, il mio cuore con tutti i suoi affetti, il mio corpo con tutti i suoi sensi; protesto di non voler più in alcun modo, abusare di nessuna parte del mio essere contro la sua divina volontà e la sua Maestà sovrana; a lei mi sacrifico e mi immolo in ispirito, per essere per sempre nei suoi confronti, una creatura leale, obbediente e fedele, senza più volermi ricredere o pentire.

Ma, se per suggestione del nemico o qualche umana infermità. Dovesse capitarmi di venir meno in qualche cosa a questa mia promessa e a questa consacrazione, fin d’ora protesto e mi propongo, con l’aiuto della grazia dello Spirito Santo, di rialzarmi immediatamente, appena ne avrò coscienza, di rivolgermi di nuovo alla misericordia divina senza attendere un solo istante.

Questa è la mia volontà, la mia intenzione e la mia decisione irremovibile, di cui ho piena coscienza e la confermo senza riserve o eccezioni, davanti a Dio e alla Chiesa trionfante, alla Chiesa militante mia Madre, che riceve questa mia dichiarazione nella persona di colui che, come ministro, mi ascolta in questo atto.

Ti piaccia, o eterno Iddio, onnipotente e buono, Padre, Figlio e Spirito Santo, confermare in me questo proposito e accettare e gradire il dono che ti faccio in questo momento con tutto il cuore, dal profondo di me stessa. Come mi hai dato ispirazione e volontà per offrirtelo, dammi anche grazia e forza per non mancare di parola. O Signore, tu sei il mio Dio, il Dio del mio cuore, il Dio della mia anima, il Dio del mio Spirito; come tale ti riconosco e ti adoro per tutta l’eternità. Viva Gesù!

Capitolo XXI

CONCLUSIONE DELLA PRIMA PURIFICAZIONE

Fatta la promessa, rimani molto attenta e apri bene il cuore per ascoltare con tutta l’anima le parole di assoluzione che il Salvatore della tua anima, assiso sul trono della misericordia, pronuncerà lassù in Cielo, davanti agli Angeli e ai Santi, nello stesso istante in cui, in suo nome, il sacerdote ti assolverà quaggiù in terra.

La schiera dei Beati gioisce per la tua felicità e canta il cantico spirituale di una gioia che non ha confronti; tutti ti accolgono e abbracciano il tuo cuore che ha ritrovato la grazia e la santità.

E’ un ottimo contratto, Filotea: tu doni ora te stessa alla Maestà di Dio e ottieni in cambio che Egli si doni a te per l’eternità.

Non ti resta più che prendere la penna e apporre la firma all’atto della tua promessa; dopo di che, ti recherai all’altare; così anche Dio firmerà e apporrà il suo sigillo a conferma dell’assoluzione e ti prometterà il paradiso; per mezzo del sacramento anzi, sarà Lui stesso il sigillo di garanzia sul tuo cuore nuovo. Così la tua anima sarà libera dal peccato e da tutti gli affetti al peccato.

Ma siccome questi affetti rispuntano facilmente nell’anima, a causa della nostra infermità e della nostra concupiscenza, che può essere mortificata, ma non eliminata, finché vivremo su questa terra, io ti darò dei consigli: se li segui ti terrai lontana dal peccato mortale e dai suoi affetti così mai più il peccato avrà posto nel tuo cuore. Visto poi che gli stessi consigli sono utili anche per una purificazione più radicale, prima di darteli, voglio spendere qualche parola per chiarirti che cosa intendo per purezza totale, che è quella alla quale desidero guidarti.

Capitolo XXII

BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO AL PECCATO VENIALE

A misura che il giorno cresce, scopriamo meglio nello specchio le macchie e le impurità del nostro volto; così, a misura che la luce interiore dello Spirito Santo illumina le nostre coscienze, distinguiamo con maggiore chiarezza i peccati, le tendenze e le imperfezioni che possono impedirci di raggiungere la vera devozione. La stessa luce che ci fa notare queste tare e questa zavorra, ci anima al desiderio di mondarcene e di liberarcene.

Scoprirai dunque, cara Filotea, che oltre al peccato mortale e agli affetti al peccato mortale, di cui ti sei già liberata con gli esercizi sopra indicati, nell’anima tu conservi ancora molte tendenze e affetti ai peccati veniali. Non dico che scoprirai dei peccati veniali, ma degli affetti e delle tendenze ad essi; ora, sono due cose ben diverse: non saremo mai liberi completamente dai peccati veniali, almeno per un lungo tempo; ma possiamo benissimo non avere affetto ai peccati veniali. Infatti è ben diverso dire una frottola una volta o due, in allegria, in cosa di poca importanza, dal trovare gusto a mentire ed essere incalliti in quel genere di mancanza.

Dico che bisogna liberare la propria anima da tutti gli affetti ai peccati veniali, ossia non bisogna, in alcun modo, incoraggiare deliberatamente la volontà a rimanere nel peccato veniale; sarebbe una debolezza troppo grande conservare consapevolmente nella nostra coscienza un proposito che dispiace a Dio, quale la volontà di voler fare cosa a Lui non gradita.

Il peccato veniale, per piccolo che sia, dispiace a Dio, anche se non in misura da volere, per questo, dannarci o perderci. Se il peccato veniale gli dispiace, la volontà e l’affetto ad esso, sono un chiaro proposito di voler dispiacere alla Maestà divina. E com’è possibile che un’anima per bene, non soltanto voglia dispiacere a Dio, ma sia attaccata al desiderio di dispiacergli?

Questi affetti, Filotea, sono direttamente contrari alla devozione, come gli affetti al peccato mortale lo sono alla carità: indeboliscono le forze dello spirito, impediscono le consolazioni divine, aprono la porta alle tentazioni; se è vero che non uccidono l’anima, la rendono però gravemente inferma.

Le mosche morenti, dice il Saggio, rovinano e corrompono il pregio dell’unguento: con ciò vuol dire che le mosche le quali non si fermano che pochissimo sull’unguento e ne succhiano solo passando, rovinano solo quello che prendono e lasciano il resto intatto; ma quando vi cadono dentro morte, gli tolgono il pregio e nessuno più lo vuole.

Allo stesso modo, i peccati veniali, che capitano in un’anima devota senza soffermarsi per molto tempo, non le recano un danno molto grave; ma se quei peccati rimangono nell’anima a causa dell’affetto che c’è in noi per essi, questi le fanno perdere senz’altro il pregio dell’unguento, ossia la santa devozione.

I ragni non uccidono le api, ma ne contaminano e ne corrompono il miele, e le ostacolano con le loro ragnatele, di modo che le api non possono più lavorare; questo quando tessono ragnatele per fermarsi. Così, il peccato veniale non uccide l’anima, ma corrompe la devozione e intralcia talmente le potenze dell’anima con le cattive abitudini e tendenze, che essa non riesce più ad attuare la prontezza della carità, nella quale consiste la devozione; questo avviene quando il peccato veniale alberga nella nostra coscienza per l’affetto che gli portiamo.

Dire qualche bugia, è cosa da nulla; come pure dire qualche parola fuori posto, superare un po’ i giusti limiti nell’agire, negli sguardi, negli abiti, nelle battute, negli scherzi, nei balli, purché, appena presa coscienza di questi ragni spirituali, li respingiamo e li buttiamo fuori, come fanno le api con i ragni veri.

Ma se permettiamo loro di fermarsi nei nostri cuori, e per di più ci affezioniamo a trattenerli e moltiplicarli, presto troveremo che il nostro miele è andato perduto e l’alveare della nostra coscienza contaminato e disfatto. Ma, ripeto ancora una volta, che senso ha che una anima generosa trovi gusto a dispiacere a Dio, si affezioni ad essergli sgradita e voglia quello che sa bene che Dio non vuole?

Capitolo XXIII

BISOGNA LIBERARSI DALL’AFFETTO ALLE COSE INUTILI E PERICOLOSE

I giochi, i balli, i banchetti, le feste, gli spettacoli, in sé non sono cose cattive, ma indifferenti, e possono essere vissute in bene o in male. Sono tuttavia sempre pericolose e ancor più pericoloso è attaccarsi ad esse. Anche se è permesso giocare, danzare, agghindarsi, assistere a spettacoli onesti, fare banchetti; esserci attaccati è contrario alla devozione e può nuocere e costituire pericolo. Il male non è farli, ma affezionarsi.

E’ da insensati seminare nella terra del nostro cuore affetti così vuoti e insulsi: occupano lo spazio destinato ai buoni sentimenti, e impediscono che la linfa della nostra anima nutra buone tendenze.

Gli antichi Nazirei non solo si astenevano dal vino e da tutto ciò che poteva ubriacarli, ma anche dall’uva, sia matura che acerba, non perché l’uva, magari acerba, ubriachi, ma perché c’era pericolo che mangiando uva acerba venisse la voglia di mangiarne di matura, e mangiandone poi di matura nascesse il desiderio di assaggiare il mosto e bere vino. Non dico che non dobbiamo fare uso di queste cose pericolose, ma insisto che non dobbiamo impegnarvi l’affetto se non vogliamo rovinare la devozione.

I cervi che hanno messo su troppo grasso, si ritirano in disparte e si nascondono nei cespugli, sapendo che, se per caso dovessero essere attaccati, il grasso non permetterebbe loro di correre agilmente: il cuore dell’uomo, quando si carica di affetti inutili, superflui o pericolosi, non riesce più a correre con prontezza, agilità e facilità dietro al suo Dio, che è il centro della devozione.

Ai bambini piacciono farfalle e le inseguono; nessuno trova da ridire perché sono bambini. Ma vedere uomini maturi attaccarsi a simili cose e correre dietro a tali bagatelle, sarebbe davvero uno spettacolo non solo ridicolo, ma penoso. Lo stesso si deve dire di quelle cose che ho detto sopra, perché, non soltanto sono inutili, ma inseguendole rischiamo di diventare degli originali e dei disordinati.

Ecco perché, cara Filotea, ti dico che bisogna liberarsi da quegli affetti e ti ripeto che, se anche le relative azioni non sono sempre contrarie alla devozione, di sicuro gli affetti a tali azioni le recano sempre danno.

Capitolo XXIV

OCCORRE LIBERARSI DALLE CATTIVE INCLINAZIONI

Ci sono poi in noi altre tendenze naturali le quali, visto che non hanno origine dai nostri peccati personali, e non sono nemmeno veri e propri peccati, né mortali, né veniali, noi le chiamiamo imperfezioni, e i loro atti difetti o mancanze.

S. Paola, per esempio, stando al racconto di S. Girolamo, era fortemente portata alla tristezza e ai rimpianti, tanto che in occasione della morte dei figli e del marito, corse il pericolo di morire di dolore: quella era un’imperfezione, non un peccato, giacché era contro il suo gusto e la sua volontà.

Alcuni sono per natura loro di spirito leggero, altri burberi, altri ancora incapaci di ascoltare; alcuni sono portati ad indignarsi di tutto, altri a montare in collera, altri ad innamorarsi; se guardiamo bene troviamo pochissima gente che non abbia qualche imperfezione. Ora, benché siano spontanee e naturali, si riesce, con cura e attenzione, a correggerle, o almeno a temperarle, e qualche volta addirittura anche a correggerle e ad eliminarle totalmente: Filotea, io ti dico allora che devi farlo!

Se si è trovato il modo di trasformare le mandorle amare in mandorle dolci, semplicemente facendo un’incisione alla base per farne uscire il succo, perché dovrebbe essere impossibile far uscire da noi le tendenze perverse per diventare migliori?

Non c’è temperamento al mondo che, per buono che sia, non possa essere reso cattivo dalle cattive abitudini; al contrario, non esiste temperamento così perverso che, con la grazia di Dio in primo luogo, e poi con lo sforzo e l’impegno, non possa essere corretto e migliorato.

Per questo ora ti darò dei consigli e ti proporrò esercizi, attraverso i quali, potrai liberare la tua anima dagli affetti pericolosi, dalle imperfezioni e da tutti gli affetti ai peccati veniali; in tal modo renderai sempre più forte la tua coscienza contro il peccato mortale.

Dio faccia la grazia di praticarli bene!


18 novembre 1942

Madre Pierina Micheli

Questa sera giunsero le mie Suore da Milano. Gioia e dolore; Tutto per le anime! A Milano sono rimaste in 9. Signore le affido a Te! Santo Padre Silvestro non le abbandonare!