Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 2° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 3
1C'era tra i farisei un uomo chiamato Nicodèmo, un capo dei Giudei.2Egli andò da Gesù, di notte, e gli disse: "Rabbì, sappiamo che sei un maestro venuto da Dio; nessuno infatti può fare i segni che tu fai, se Dio non è con lui".3Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non rinasce dall'alto, non può vedere il regno di Dio".4Gli disse Nicodèmo: "Come può un uomo nascere quando è vecchio? Può forse entrare una seconda volta nel grembo di sua madre e rinascere?".5Gli rispose Gesù: "In verità, in verità ti dico, se uno non nasce da acqua e da Spirito, non può entrare nel regno di Dio.6Quel che è nato dalla carne è carne e quel che è nato dallo Spirito è Spirito.7Non ti meravigliare se t'ho detto: dovete rinascere dall'alto.8Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va: così è di chiunque è nato dallo Spirito".9Replicò Nicodèmo: "Come può accadere questo?".10Gli rispose Gesù: "Tu sei maestro in Israele e non sai queste cose?11In verità, in verità ti dico, noi parliamo di quel che sappiamo e testimoniamo quel che abbiamo veduto; ma voi non accogliete la nostra testimonianza.12Se vi ho parlato di cose della terra e non credete, come crederete se vi parlerò di cose del cielo?13Eppure nessuno è mai salito al cielo, fuorché il Figlio dell'uomo che è disceso dal cielo.14E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell'uomo,15perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna".
16Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna.17Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui.18Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell'unigenito Figlio di Dio.19E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie.20Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere.21Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio.
22Dopo queste cose, Gesù andò con i suoi discepoli nella regione della Giudea; e là si trattenne con loro, e battezzava.23Anche Giovanni battezzava a Ennòn, vicino a Salìm, perché c'era là molta acqua; e la gente andava a farsi battezzare.24Giovanni, infatti, non era stato ancora imprigionato.
25Nacque allora una discussione tra i discepoli di Giovanni e un Giudeo riguardo la purificazione.26Andarono perciò da Giovanni e gli dissero: "Rabbì, colui che era con te dall'altra parte del Giordano, e al quale hai reso testimonianza, ecco sta battezzando e tutti accorrono a lui".27Giovanni rispose: "Nessuno può prendersi qualcosa se non gli è stato dato dal cielo.28Voi stessi mi siete testimoni che ho detto: Non sono io il Cristo, ma io sono stato mandato innanzi a lui.29Chi possiede la sposa è lo sposo; ma l'amico dello sposo, che è presente e l'ascolta, esulta di gioia alla voce dello sposo. Ora questa mia gioia è compiuta.30Egli deve crescere e io invece diminuire.
31Chi viene dall'alto è al di sopra di tutti; ma chi viene dalla terra, appartiene alla terra e parla della terra. Chi viene dal cielo è al di sopra di tutti.32Egli attesta ciò che ha visto e udito, eppure nessuno accetta la sua testimonianza;33chi però ne accetta la testimonianza, certifica che Dio è veritiero.34Infatti colui che Dio ha mandato proferisce le parole di Dio e dà lo Spirito senza misura.35Il Padre ama il Figlio e gli ha dato in mano ogni cosa.36Chi crede nel Figlio ha la vita eterna; chi non obbedisce al Figlio non vedrà la vita, ma l'ira di Dio incombe su di lui".
Genesi 14
1Al tempo di Amrafel re di Sennaar, di Arioch re di Ellasar, di Chedorlaomer re dell'Elam e di Tideal re di Goim,2costoro mossero guerra contro Bera re di Sòdoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di Adma, Semeber re di Zeboim, e contro il re di Bela, cioè Zoar.3Tutti questi si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto.4Per dodici anni essi erano stati sottomessi a Chedorlaomer, ma il tredicesimo anno si erano ribellati.5Nell'anno quattordicesimo arrivarono Chedorlaomer e i re che erano con lui e sconfissero i Refaim ad Astarot-Karnaim, gli Zuzim ad Am, gli Emim a Save-Kiriataim6e gli Hurriti sulle montagne di Seir fino a El-Paran, che è presso il deserto.7Poi mutarono direzione e vennero a En-Mispat, cioè Kades, e devastarono tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei che abitavano in Azazon-Tamar.8Allora il re di Sòdoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Zeboim e il re di Bela, cioè Zoar, uscirono e si schierarono a battaglia nella valle di Siddim contro di esso,9e cioè contro Chedorlaomer re dell'Elam, Tideal re di Goim, Amrafel re di Sennaar e Arioch re di Ellasar: quattro re contro cinque.10Ora la valle di Siddim era piena di pozzi di bitume; mentre il re di Sòdoma e il re di Gomorra si davano alla fuga, alcuni caddero nei pozzi e gli altri fuggirono sulle montagne.11Gli invasori presero tutti i beni di Sòdoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono.12Andandosene catturarono anche Lot, figlio del fratello di Abram, e i suoi beni: egli risiedeva appunto in Sòdoma.
13Ma un fuggiasco venne ad avvertire Abram l'Ebreo che si trovava alle Querce di Mamre l'Amorreo, fratello di Escol e fratello di Aner i quali erano alleati di Abram.14Quando Abram seppe che il suo parente era stato preso prigioniero, organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto, e si diede all'inseguimento fino a Dan.15Piombò sopra di essi di notte, lui con i suoi servi, li sconfisse e proseguì l'inseguimento fino a Coba, a settentrione di Damasco.16Ricuperò così tutta la roba e anche Lot suo parente, i suoi beni, con le donne e il popolo.
17Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re.18Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo19e benedisse Abram con queste parole:
"Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
20 e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici".
Abram gli diede la decima di tutto.
21Poi il re di Sòdoma disse ad Abram: "Dammi le persone; i beni prendili per te".22Ma Abram disse al re di Sòdoma: "Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra:23né un filo, né un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abram.24Per me niente, se non quello che i servi hanno mangiato; quanto a ciò che spetta agli uomini che sono venuti con me, Escol, Aner e Mamre, essi stessi si prendano la loro parte".
Giobbe 22
1Elifaz il Temanita prese a dire:
2Può forse l'uomo giovare a Dio,
se il saggio giova solo a se stesso?
3Quale interesse ne viene all'Onnipotente che tu sia
giusto
o che vantaggio ha, se tieni una condotta integra?
4Forse per la tua pietà ti punisce
e ti convoca in giudizio?
5O non piuttosto per la tua grande malvagità
e per le tue iniquità senza limite?
6Senza motivo infatti hai angariato i tuoi fratelli
e delle vesti hai spogliato gli ignudi.
7Non hai dato da bere all'assetato
e all'affamato hai rifiutato il pane,
8la terra l'ha il prepotente
e vi abita il tuo favorito.
9Le vedove hai rimandato a mani vuote
e le braccia degli orfani hai rotto.
10Ecco perché d'intorno a te ci sono lacci
e un improvviso spavento ti sorprende.
11Tenebra è la tua luce e più non vedi
e la piena delle acque ti sommerge.
12Ma Dio non è nell'alto dei cieli?
Guarda il vertice delle stelle: quanto sono alte!
13E tu dici: "Che cosa sa Dio?
Può giudicare attraverso la caligine?
14Le nubi gli fanno velo e non vede
e sulla volta dei cieli passeggia".
15Vuoi tu seguire il sentiero d'un tempo,
già battuto da uomini empi,
16che prima del tempo furono portati via,
quando un fiume si era riversato sulle loro
fondamenta?
17Dicevano a Dio: "Allontànati da noi!
Che cosa ci può fare l'Onnipotente?".
18Eppure egli aveva riempito le loro case di beni,
anche se i propositi degli empi erano lontani da lui.
19I giusti ora vedono e ne godono
e l'innocente si beffa di loro:
20"Sì, certo è stata annientata la loro fortuna
e il fuoco ne ha divorati gli avanzi!".
21Su, riconcìliati con lui e tornerai felice,
ne riceverai un gran vantaggio.
22Accogli la legge dalla sua bocca
e poni le sue parole nel tuo cuore.
23Se ti rivolgerai all'Onnipotente con umiltà,
se allontanerai l'iniquità dalla tua tenda,
24se stimerai come polvere l'oro
e come ciottoli dei fiumi l'oro di Ofir,
25allora sarà l'Onnipotente il tuo oro
e sarà per te argento a mucchi.
26Allora sì, nell'Onnipotente ti delizierai
e alzerai a Dio la tua faccia.
27Lo supplicherai ed egli t'esaudirà
e tu scioglierai i tuoi voti.
28Deciderai una cosa e ti riuscirà
e sul tuo cammino splenderà la luce.
29Egli umilia l'alterigia del superbo,
ma soccorre chi ha gli occhi bassi.
30Egli libera l'innocente;
tu sarai liberato per la purezza delle tue mani.
Salmi 107
1Alleluia.
Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
2Lo dicano i riscattati del Signore,
che egli liberò dalla mano del nemico
3e radunò da tutti i paesi,
dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.
4Vagavano nel deserto, nella steppa,
non trovavano il cammino per una città dove abitare.
5Erano affamati e assetati,
veniva meno la loro vita.
6Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
7Li condusse sulla via retta,
perché camminassero verso una città dove abitare.
8Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
9poiché saziò il desiderio dell'assetato,
e l'affamato ricolmò di beni.
10Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
11perché si erano ribellati alla parola di Dio
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo.
12Egli piegò il loro cuore sotto le sventure;
cadevano e nessuno li aiutava.
13Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
14Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte
e spezzò le loro catene.
15Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
16perché ha infranto le porte di bronzo
e ha spezzato le barre di ferro.
17Stolti per la loro iniqua condotta,
soffrivano per i loro misfatti;
18rifiutavano ogni nutrimento
e già toccavano le soglie della morte.
19Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
20Mandò la sua parola e li fece guarire,
li salvò dalla distruzione.
21Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
22Offrano a lui sacrifici di lode,
narrino con giubilo le sue opere.
23Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
24videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
25Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
26Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
27Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
28Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
29Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
30Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato.
31Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
32Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
lo lodino nel consesso degli anziani.
33Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d'acqua
34e la terra fertile a palude
per la malizia dei suoi abitanti.
35Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.
36Là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare.
37Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
38Li benedisse e si moltiplicarono,
non lasciò diminuire il loro bestiame.
39Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti,
perché oppressi dalle sventure e dal dolore.
40Colui che getta il disprezzo sui potenti,
li fece vagare in un deserto senza strade.
41Ma risollevò il povero dalla miseria
e rese le famiglie numerose come greggi.
42Vedono i giusti e ne gioiscono
e ogni iniquo chiude la sua bocca.
43Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà la bontà del Signore.
Geremia 49
1Sugli Ammoniti.
Dice il Signore:
"Israele non ha forse figli,
non ha egli alcun erede?
Perché Milcom ha ereditato la terra di Gad
e il suo popolo ne ha occupate le città?
2Perciò ecco, verranno giorni
- dice il Signore -
nei quali io farò udire a Rabbà degli Ammoniti
fragore di guerra;
essa diventerà un cumulo di rovine,
le sue borgate saranno consumate dal fuoco,
Israele spoglierà i suoi spogliatori,
dice il Signore.
3Urla, Chesbòn, arriva il devastatore;
gridate, borgate di Rabbà,
cingetevi di sacco, innalzate lamenti
e andate raminghe con tagli sulla pelle,
perché Milcom andrà in esilio,
insieme con i suoi sacerdoti e i suoi capi.
4Perché ti vanti delle tue valli,
figlia ribelle?
Confidi nelle tue scorte ed esclami:
Chi verrà contro di me?
5Ecco io manderò su di te il terrore
- parola del Signore Dio degli eserciti -
da tutti i dintorni.Voi sarete scacciati, ognuno per la sua via,
e non vi sarà nessuno che raduni i fuggiaschi.
6Ma dopo cambierò la sorte
degli Ammoniti".
Parola del Signore.
7Su Edom.
Così dice il Signore degli eserciti:
"Non c'è più sapienza in Teman?
È scomparso il consiglio dei saggi?
È svanita la loro sapienza?
8Fuggite, partite, nascondetevi in un luogo segreto,
abitanti di Dedan,
poiché io mando su Esaù la sua rovina,
il tempo del suo castigo.
9Se vendemmiatori verranno da te,
non lasceranno nulla da racimolare.
Se ladri notturni verranno da te,
saccheggeranno quanto loro piace.
10Poiché io intendo spogliare Esaù,
rivelo i suoi nascondigli
ed egli non ha dove nascondersi.
La sua stirpe, i suoi fratelli, i suoi vicini
sono distrutti ed egli non è più.
11Lascia i tuoi orfani, io li farò vivere,
le tue vedove confidino in me!
12Poiché così dice il Signore: Ecco, coloro che non erano obbligati a bere il calice lo devono bere e tu pretendi di rimanere impunito? Non resterai impunito, ma dovrai berlo13poiché io ho giurato per me stesso - dice il Signore - che Bozra diventerà un orrore, un obbrobrio, un deserto, una maledizione e tutte le sue città saranno ridotte a rovine perenni.
14Ho udito un messaggio da parte del Signore,
un messaggero è stato inviato fra le nazioni:
Adunatevi e marciate contro di lui!
Alzatevi per la battaglia.
15Poiché ecco, ti renderò piccolo fra i popoli
e disprezzato fra gli uomini.
16La tua arroganza ti ha indotto in errore,
la superbia del tuo cuore;
tu che abiti nelle caverne delle rocce,
che ti aggrappi alle cime dei colli,
anche se ponessi, come l'aquila, in alto il tuo nido,
di lassù ti farò precipitare. Oracolo del Signore.
17Edom sarà oggetto di orrore; chiunque passerà lì vicino ne resterà attonito e fischierà davanti a tutte le sue piaghe.18Come nello sconvolgimento di Sòdoma e Gomorra e delle città vicine - dice il Signore - non vi abiterà più uomo né vi fisserà la propria dimora un figlio d'uomo.19Ecco, come un leone sale dalla boscaglia del Giordano verso i prati sempre verdi, così in un baleno io lo scaccerò di là e il mio eletto porrò su di esso; poiché chi è come me? Chi può citarmi in giudizio? Chi è dunque il pastore che può resistere davanti a me?20Per questo ascoltate il progetto che il Signore ha fatto contro Edom e le decisioni che egli ha prese contro gli abitanti di Teman.
Certo, trascineranno via anche i più piccoli del gregge,
e per loro sarà desolato il loro prato.
21Al fragore della loro caduta tremerà la terra.
Un grido! Fino al Mare Rosso se ne ode l'eco.
22Ecco, come l'aquila, egli sale e si libra,
espande le ali su Bozra.
In quel giorno il cuore dei prodi di Edom
sarà come il cuore di una donna nei dolori del parto".
23Su Damasco.
"Amat e Arpad sono piene di confusione,
perché hanno sentito una cattiva notizia;
esse sono agitate come il mare, sono in angoscia,
non possono calmarsi.
24Spossata è Damasco, si volge per fuggire;
un tremito l'ha colta,
angoscia e dolori l'assalgono
come una partoriente.
25Come fu abbandonata la città gloriosa,
la città del tripudio?
26Cadranno i suoi giovani nelle sue piazze
e tutti i suoi guerrieri periranno in quel giorno.
Oracolo del Signore degli eserciti.
27Appiccherò il fuoco alle mura di Damasco
e divorerà i palazzi di Ben-Hadàd".
28Su Kedàr e sui regni di Cazòr, che Nabucodònosor re di Babilonia sconfisse.
Così dice il Signore:
"Su, marciate contro Kedàr,
saccheggiate i figli dell'oriente.
29Prendete le loro tende e le loro pecore,
i loro teli da tenda, tutti i loro attrezzi;
portate via i loro cammelli;
un grido si leverà su di loro: Terrore all'intorno!
30Fuggite, andate lontano, nascondetevi in luoghi segreti
o abitanti di Cazòr - dice il Signore -
perché ha ideato un disegno contro di voi.
Nabucodònosor re di Babilonia
ha preparato un piano contro di voi.
31Su, marciate contro la nazione tranquilla,
che vive in sicurezza. Oracolo del Signore.
Essa non ha né porte né sbarre
e vive isolata.
32I suoi cammelli saranno portati via come preda
e la massa dei suoi greggi come bottino.
Disperderò a tutti i venti
coloro che si tagliano i capelli alle tempie,
da ogni parte farò venire la loro rovina.
Parola del Signore.
33Cazòr diventerà rifugio di sciacalli,
una desolazione per sempre;
nessuno vi dimorerà più,
non vi abiterà più un figlio d'uomo".
34Parola che il Signore rivolse al profeta Geremia riguardo all'Elam all'inizio del regno di Sedecìa re di Giuda.
35"Dice il Signore degli eserciti:
Ecco io spezzerò l'arco dell'Elam,
il nerbo della sua potenza.
36Manderò contro l'Elam i quattro venti
dalle quattro estremità del cielo
e li sparpaglierò davanti a questi venti;
non ci sarà nazione
in cui non giungeranno
i profughi dell'Elam.
37Incuterò terrore negli Elamiti davanti ai loro nemici
e davanti a coloro che vogliono la loro vita;
manderò su di essi la sventura,la mia ira ardente. Parola del Signore.
Manderò la spada a inseguirli
finché non li avrò sterminati.
38Porrò il mio trono sull'Elam
e farò morire il re e i capi.
Oracolo del Signore.
39Ma negli ultimi giorni
cambierò la sorte dell'Elam". Parola del Signore.
Lettera ai Romani 1
1Paolo, servo di Cristo Gesù, apostolo per vocazione, prescelto per annunziare il vangelo di Dio,2che egli aveva promesso per mezzo dei suoi profeti nelle sacre Scritture,3riguardo al Figlio suo, nato dalla stirpe di Davide secondo la carne,4costituito Figlio di Dio con potenza secondo lo Spirito di santificazione mediante la risurrezione dai morti, Gesù Cristo, nostro Signore.5Per mezzo di lui abbiamo ricevuto la grazia dell'apostolato per ottenere l'obbedienza alla fede da parte di tutte le genti, a gloria del suo nome;6e tra queste siete anche voi, chiamati da Gesù Cristo.7A quanti sono in Roma diletti da Dio e santi per vocazione, grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.
8Anzitutto rendo grazie al mio Dio per mezzo di Gesù Cristo riguardo a tutti voi, perché la fama della vostra fede si espande in tutto il mondo.9Quel Dio, al quale rendo culto nel mio spirito annunziando il vangelo del Figlio suo, mi è testimone che io mi ricordo sempre di voi,10chiedendo sempre nelle mie preghiere che per volontà di Dio mi si apra una strada per venire fino a voi.11Ho infatti un vivo desiderio di vedervi per comunicarvi qualche dono spirituale perché ne siate fortificati,12o meglio, per rinfrancarmi con voi e tra voi mediante la fede che abbiamo in comune, voi e io.13Non voglio pertanto che ignoriate, fratelli, che più volte mi sono proposto di venire fino a voi - ma finora ne sono stato impedito - per raccogliere qualche frutto anche tra voi, come tra gli altri Gentili.14Poiché sono in debito verso i Greci come verso i barbari, verso i dotti come verso gli ignoranti:15sono quindi pronto, per quanto sta in me, a predicare il vangelo anche a voi di Roma.
16Io infatti non mi vergogno del vangelo, poiché è potenza di Dio per la salvezza di chiunque crede, del Giudeo prima e poi del Greco.17È in esso che si rivela la giustizia di Dio di fede in fede, come sta scritto: 'Il giusto vivrà mediante la fede'.
18In realtà l'ira di Dio si rivela dal cielo contro ogni empietà e ogni ingiustizia di uomini che soffocano la verità nell'ingiustizia,19poiché ciò che di Dio si può conoscere è loro manifesto; Dio stesso lo ha loro manifestato.20Infatti, dalla creazione del mondo in poi, le sue perfezioni invisibili possono essere contemplate con l'intelletto nelle opere da lui compiute, come la sua eterna potenza e divinità;21essi sono dunque inescusabili, perché, pur conoscendo Dio, non gli hanno dato gloria né gli hanno reso grazie come a Dio, ma hanno vaneggiato nei loro ragionamenti e si è ottenebrata la loro mente ottusa.22Mentre si dichiaravano sapienti, sono diventati stolti23e hanno cambiato la gloria dell'incorruttibile Dio con l'immagine e la figura dell'uomo corruttibile, di uccelli, di quadrupedi e di rettili.
24Perciò Dio li ha abbandonati all'impurità secondo i desideri del loro cuore, sì da disonorare fra di loro i propri corpi,25poiché essi hanno cambiato la verità di Dio con la menzogna e hanno venerato e adorato la creatura al posto del creatore, che è benedetto nei secoli. Amen.
26Per questo Dio li ha abbandonati a passioni infami; le loro donne hanno cambiato i rapporti naturali in rapporti contro natura.27Egualmente anche gli uomini, lasciando il rapporto naturale con la donna, si sono accesi di passione gli uni per gli altri, commettendo atti ignominiosi uomini con uomini, ricevendo così in se stessi la punizione che s'addiceva al loro traviamento.28E poiché hanno disprezzato la conoscenza di Dio, Dio li ha abbandonati in balìa d'una intelligenza depravata, sicché commettono ciò che è indegno,29colmi come sono di ogni sorta di ingiustizia, di malvagità, di cupidigia, di malizia; pieni d'invidia, di omicidio, di rivalità, di frodi, di malignità; diffamatori,30maldicenti, nemici di Dio, oltraggiosi, superbi, fanfaroni, ingegnosi nel male, ribelli ai genitori,31insensati, sleali, senza cuore, senza misericordia.32E pur conoscendo il giudizio di Dio, che cioè gli autori di tali cose meritano la morte, non solo continuano a farle, ma anche approvano chi le fa.
Capitolo XX: Riconoscere la propria debolezza e la miseria di questa nostra vita
Leggilo nella Biblioteca1. "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
2. Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una tentazione, una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne sopraggiungono molte altre, e insospettate. Ora, come si può amare una vita così soggetta a disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa, se da essa procedono tante morti e calamità? E invece la si ama e molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo viene facilmente abbandonato, perché troppo prevalgono le brame terrene. Altro è ciò che induce ad amare il mondo; altro è ciò che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio dell'uomo carnale, "il desiderio degli occhi e la superbia della vita" (1 Gv 2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne disgustato le pene e le sofferenze che giustamente conseguono a quei desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e "considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono, di vedere e di gustare la soavità di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che disprezzano totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa disciplina, conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa davvero rinunciare; essi comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli inganni del mondo.
LIBRO QUINTO: QUESTIONI SUL DEUTERONOMIO
Questioni sull'Ettateuco - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaDio aiuta gli uomini in modo che anch’essi facciano qualcosa.
1. (1, 29-30) Ecco quanto Mosè ricorda di aver detto al popolo, il quale aveva paura dei nemici dimoranti nel paese, nel quale doveva essere introdotto, e cioè: Non spaventatevi e non abbiate paura di loro; il Signore vostro Dio, che marcia innanzi a voi, sarà lui stesso a combatterli insieme con voi. Queste parole dimostrano chiaramente che Dio aiuta gli uomini in modo che anch’essi facciano qualcosa.
Permesso da Dio l’indurimento del cuore.
2. (2, 30) Ma Seon, re di Esebon, non volle lasciarci passare attraverso il suo territorio poiché il Signore nostro Dio aveva indurito il suo spirito e irrigidito il suo cuore perché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno. Mosè dicendo ciò, mentre rivolge la parola al popolo, ricorda un’espressione simile, riferita nell’Esodo: Io ho indurito il cuore del Faraone 1, e quella che si legge nei Salmi: Cambiò il loro cuore perché odiassero il suo popolo 2. Neppure qui è taciuto il motivo di questo indurimento poiché si dice: affinché fosse consegnato nelle tue mani come in questo giorno, cioè: affinché fosse vinto da te. Ciò non sarebbe successo se [il re] non si fosse opposto; ma non si sarebbe opposto se non avesse avuto il cuore indurito. Se volessimo cercare la giustizia di questo fatto [dovremmo ricordare che] impenetrabili sono le decisioni di Dio 3; ma in Dio non c’è ingiustizia 4. Si deve però osservare che può dirsi che il cuore si irrigidisce anche nel male.
Og l’ultimo dei giganti.
3. (3, 11) Ma tuttavia tra i Rafain non era rimasto che Og, re di Basan. Col nome di Rafain sono denotati in ebraico i " giganti ", come dicono coloro che conoscono quella lingua 5. Perciò la lezione che hanno la maggior parte dei manoscritti: fu lasciato solo dai Rafain si esprime più chiaramente dicendo: sopravviveva soltanto, vale a dire: di loro era rimasto solo lui, del quale anche nel seguito immediato del testo viene ricordata la lunghezza e la larghezza del letto di ferro per farne risaltare la corporatura gigantesca.
Differenza fra similitudine e somiglianza.
4. (4, 16-17) Non commettete [alcuna] iniquità e non fatevi per voi una somiglianza scolpita né qualunque specie d’immagine. Si è soliti chiedersi che differenza ci sia tra somiglianza e immagine 6. Qui però io non vedo quale differenza la Scrittura abbia voluto indicare, salvo che con queste due parole abbia indicato o una identica cosa oppure chiami somiglianza per esempio una statua o un’immagine che abbia l’effigie di un uomo qualunque, ma che tuttavia non riproduca le fattezze d’una persona in particolare o come fanno i pittori e gli scultori avendo avanti agli occhi le persone che dipingono o modellano; nessuno oserebbe dire che una tale raffigurazione non è un’immagine. Secondo questa distinzione ogni immagine è anche una somiglianza ma non ogni somiglianza è anche un’immagine. Se, perciò, i gemelli, sono simili tra loro, la somiglianza di uno qualunque dei due rispetto all’altro può chiamarsi rassomiglianza, non però immagine. Se invece il figlio è simile al padre, si può dire giustamente che è anche la sua immagine, essendo il padre il prototipo, dal quale appare essere stata derivata quell’immagine. Di queste immagini alcune sono della stessa sostanza, come il figlio, altre no, come un ritratto. Per questo motivo le parole della Scrittura contenute nella Genesi: Dio fece l’uomo a immagine di Dio 7 non significano, evidentemente, che l’immagine fatta da Dio sia della medesima sostanza di Dio. Se infatti fosse della medesima sostanza, la Scrittura non direbbe che " fu fatta ", ma " fu generata ". Ma poiché [in questa affermazione] la Scrittura non aggiunge l’espressione " e a somiglianza ", mentre poco prima aveva detto: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 8 alcuni hanno creduto che la somiglianza è qualcosa di più dell’immagine 9 perché sarebbe stata poi riservata per restituire l’uomo alla sua condizione originale mediante la grazia di Cristo. Io però sarei sorpreso che questo motivo avesse determinato l’agiografo a parlare della sola immagine per il fatto che dove è un’immagine vi è senz’altro anche una somiglianza. Ecco perché anche qui Mosè vieta di fare somiglianze e immagini forse per la ragione che abbiamo detto. Nel decalogo invece si dice in maniera generica che non deve farsi alcuna somiglianza 10 e non si menziona l’immagine, poiché quando non si riproduce alcuna somiglianza, senza dubbio non si produce alcuna immagine, per il fatto che se è un’immagine è naturalmente anche una somiglianza; se invece si produce una somiglianza, non si produce senz’altro un’immagine. Se tuttavia non c’è alcuna somiglianza, ne segue che non c’è alcuna immagine. Allorché dunque Dio ha proibito di fare una somiglianza o un’immagine ha voluto farci intendere quella dell’uomo, potendosi fare tanto la somiglianza non di questo o di quest’altro uomo, ma dell’uomo in generale, quanto l’immagine di tale o di tal altro uomo in particolare; quando al contrario si parla delle bestie e degli animali privi di ragione egli menziona solo la somiglianza. Chi infatti può trovarsi che metta davanti a sé un cane o un altro animale simile, guardando il quale ne faccia una pittura o una scultura? Cosa questa che invece è assai comune trattandosi di uomini.
Significati di terra.
5. (4, 18) Che cosa vuol dire l’espressione: Somiglianza di qualsiasi specie di pesci che sono nelle acque sotto la terra? Col nome terra la Scrittura ha voluto forse farci intendere anche l’acqua a causa della sua natura fisica che si può toccare e, conforme all’espressione della Scrittura: Dio fece il cielo e la terra 11, [nella " terra "] dobbiamo comprendere anche le acque. La Scrittura infatti, ripetutamente ricordando queste due parti vuol fare intendere tutto l’universo, secondo l’espressione: Il mio aiuto viene dal Signore, che ha fatto il cielo e la terra 12 e innumerevoli altre espressioni di tal genere. Oppure è detto: sotto terra per il fatto che la terra, se non fosse al di sopra delle acque, non potrebbe, certamente, essere abitata dagli uomini né avere animali terrestri.
Gli esseri del cielo adorati dai gentili.
6. (4, 19) E quando alzi gli occhi al cielo e vedi il sole, la luna, le stelle e tutto l’ornamento del cielo, bada di adorare e rendere loro culto a quelle cose che il Signore tuo Dio ha dato in sorte a tutti [gli altri] popoli che sono sotto il cielo. La Scrittura non dice così, come se Dio avesse ordinato che a quelle cose fosse reso il culto dai gentili, e invece non fosse reso culto solo dal proprio popolo, ma dice così perché aveva previsto che i gentili avrebbero prestato culto a questi esseri del cielo e tuttavia li creò pur prevedendo ciò e aveva presagito che al contrario il suo popolo non avrebbe prestato culto ad essi, oppure la Scrittura dice distribuì per fare intendere l’utilità [di tali esseri] dichiarata nella Genesi: Affinché siano come segnali per tempi, giorni ed anni 13, dei quali segnali ha bisogno il popolo di Dio con tutti gli altri popoli, ma non presta loro il culto che loro prestano gli altri popoli.
La parola somiglianza in senso generale.
7. (4, 23) Non dimenticate l’alleanza del Signore vostro Dio che ha stretto con voi e non fatevi per voi stessi alcuna somiglianza scolpita di qualunque cosa che il Signore tuo Dio ti ha proibito. La Scrittura parlando qui certamente in un senso generale usa la parola somiglianza sottintendendo però " immagine ", poiché se non v’è somiglianza, senza dubbio non c’è neppure immagine, per il fatto che quando c’è un’immagine c’è senz’altro somiglianza, sebbene quando c’è una somiglianza non c’è senz’altro un’immagine.
Il senso: da un’estremità a l’altra del cielo.
8. (4, 32-33) Dobbiamo chiederci in che senso la Scrittura dice: Interrogate i giorni anteriori che erano prima di te, dal giorno in cui Dio creò l’uomo sulla terra, da un’estremità all’altra del cielo; è sottinteso infatti " interrogate ". Qui poi sembra che sia indicato tutto il mondo. Però non è facile riconoscere perché si dica da un’estremità all’altra del cielo, e non " da un’estremità all’altra della terra ". Una espressione di tale genere si trova anche nel Vangelo, quando il Signore dice che gli eletti verranno radunati da un’estremità all’altra del cielo 14. Salvoché forse qui la Scrittura voglia fare intendere che né dagli uomini né dagli angeli fu udito ciò che Dio ha fatto di straordinario riguardo al suo popolo e ch’essa mette in rilievo. Il testo infatti continua dicendo: Se è avvenuta una cosa simile a questa gran cosa, se è stato udito qualcosa di simile. Se una nazione ha inteso la voce del Dio vivente parlare di mezzo al fuoco, come hai udito tu e sei rimasto vivo. Se la cosa sta così, che cioè la Scrittura dice che questo fatto non fu udito né dagli uomini né dagli angeli, che significa allora quanto afferma il Vangelo: da un’estremità all’altra del cielo, dal momento che senza dubbio il Signore dice così parlando dell’ultima riunione dei suoi eletti?
A chi si estende l’alleanza del Signore.
9. 1. (5, 2-4) Che significano le seguenti parole della Scrittura: Il Signore vostro Dio ha stabilito con voi un’alleanza sull’Horeb; questa alleanza il Signore non l’ha conclusa con i vostri padri, ma con tutti voi, con voi che oggi siete qui tutti vivi; il Signore vi ha parlato faccia a faccia sulla montagna in mezzo al fuoco? Forse che coloro i quali non erano entrati nella terra promessa - erano infatti morti tutti coloro che erano usciti dall’Egitto - e dei quali Mosè aveva fatto il censimento contando tutti coloro che erano in grado di andare alla guerra 15, dall’età di venti anni in su fino all’età di cinquant’anni non hanno parte a quell’alleanza? In qual senso dunque il Signore ha parlato a coloro che vivevano fino a quel giorno? Forse perché allora potevano esserci molti dai vent’anni in giù che ricordavano bene quell’evento e non dovevano subire il castigo d’essere esclusi dall’entrare nella terra promessa, stabilito da Dio per coloro che erano stati contati allora? In effetti Dio si rivolge a coloro che, benché non avessero dai vent’anni in su quando Dio parlava loro dalla montagna e perciò non potessero essere contati allora, tuttavia potevano avere diciannove anni o meno, fino all’età puerile capaci non solo di vedere ma anche di udire e tenere a mente le cose che erano avvenute e le parole ch’erano state pronunciate.
9. 2. Ma che vuol dire la frase: Dio ha parlato con voi faccia a faccia, mentre prima si era preso cura soprattutto di avvertirli che non avevano visto alcuna immagine ma avevano udito solo la sua voce 16? O forse la Scrittura usa quelle espressioni a causa dell’evidenza di quei fatti e della divinità apparsa in un certo qual modo chiaramente presente, della quale nessuno avrebbe potuto dubitare? Se le cose stanno così, che cosa c’impedisce d’intendere ciò dello stesso Mosè, riguardo a quanto dice di lui la Scrittura, che cioè il Signore parlò con lui faccia a faccia 17, di modo che nemmeno lui vide con gli occhi nulla fuorché il fuoco? Oppure si può forse pensare che Mosè vide qualcosa di più, poiché sta scritto che egli entrò nel mezzo della nube o del nembo ov’era Dio 18? Ma anche nell’ipotesi che egli avesse visto qualcosa più di quelli, a causa delle parole con cui si rivolse a Dio: Se ho trovato grazia ai tuoi occhi, móstrati a me, che io ti veda in modo da conoscerti 19, non si può tuttavia pensare che egli avesse visto la natura di Dio, con i suoi occhi mortali. Ad ogni modo non si deve pensare che questo popolo, al quale Mosè parlava, avesse visto Dio così, faccia a faccia, allorquando parlava sulla montagna di mezzo al fuoco, come dice l’Apostolo che noi lo vedremo alla fine [della vita] nel passo ove dice: Ora vediamo come in uno specchio in maniera confusa, allora invece vedremo faccia a faccia. Che cosa poi e quanto grande cosa è questo lo spiega in seguito dicendo: Ora conosco solo imperfettamente, ma allora conoscerò faccia a faccia, come sono conosciuto anch’io 20. Ma anche questa affermazione occorre intenderla con cautela perché non si pensi che l’uomo potrà conoscere Dio nella misura con la quale ora Dio conosce l’uomo, ma che nei limiti della sua capacità avrà una conoscenza tanto perfetta che non dovrà aspettarsi nient’altro che le venga aggiunto. Poiché quanto perfettamente Dio conosce adesso l’uomo - ma tuttavia nel modo come lo conosce Dio - altrettanto perfettamente lo conoscerà l’uomo ma tuttavia nella misura con cui l’uomo può conoscere Dio. È vero che la Scrittura dice: Siate perfetti come è perfetto il vostro Padre celeste 21, ma non per questo dobbiamo sperare l’uguaglianza che il Verbo unigenito ha con il Padre; sebbene non siano mancati alcuni i quali hanno pensato che si avvererà questo fatto, salvo che per caso non comprendiamo bene che cosa dicano.
Dio intero dappertutto, non è circoscritto da alcun luogo.
10. 1. (5, 5-6. 24) Che significa la frase: Io stavo tra il Signore e voi in quel tempo per riferirvi le parole del Signore, come se il Signore si trovasse in un luogo, cioè sul monte [Sinai] donde essi lo udivano? Ciò non deve intendersi nel senso che in base a questo testo possiamo supporre che la natura di Dio, che è intero dappertutto senza avvicinarsi o allontanarsi attraverso spazi di luoghi, si trovi in alcun luogo fisico; ma le manifestazioni di Dio non si mostrano ai sensi umani diversamente per mezzo delle creature che non sono ciò che è Lui. Il Signore perciò, volendo allontanare la nostra mente da simili immaginazioni con le quali si pensa che Dio sia circoscritto da qualche luogo, verrà - dice - un tempo quando non adorerete il Padre né su questo monte né in Gerusalemme. Voi adorate quel che non conoscete, noi invece adoriamo quello che conosciamo, poiché la salvezza viene dai Giudei. Ma è giunto il tempo, ed è il presente, quando i veri adoratori adoreranno il Padre animati dallo Spirito e dalla verità, il Padre infatti cerca coloro che lo adorino a questo modo. Dio è spirito e coloro che lo adorano devono adorarlo animati dallo Spirito e dalla verità 22. Mosè disse dunque di essere un intermediario non tra la natura di Dio e il popolo attraverso uno spazio fisico, ma perché il popolo preferì ascoltare tutte le altre parole di Dio, dopo essere rimasto fortemente spaventato nell’udire la voce del Signore che da dentro il fuoco proclamava il Decalogo della Legge 23.
10. 2. A buon diritto però si pone il quesito in qual senso devono intendersi le parole di Mosè riferite dal Deuteronomio: Poiché voi avevate paura di fronte al fuoco e non eravate saliti sul monte, io stavo tra il Signore e voi in quel momento per annunciarvi le parole del Signore in questi termini: Io sono il Signore Dio tuo, etc., le quali sono già parole del Signore che contengono il decalogo. Che significa allora l’aggiunta: in questi termini [dicens]? Poiché, se penseremo che si tratti di un iperbato e che l’ordine delle parole sia: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole dicendo: Io sono il Signore Dio tuo, non sarà vero. In realtà il popolo non udì queste parole per mezzo di Mosè ma le udì provenienti da dentro il fuoco; poiché il popolo non poteva sopportare ciò, dopo aver udito il Decalogo chiese di udire il resto per mezzo di Mosè. Non ci resta quindi che intendere l’espressione: in questi termini [dicens], come usata qui nel senso: quando diceva. Di modo che il senso [della frase] è questo: In quel momento io stavo tra il Signore e voi per annunciarvi le parole del Signore, poiché avevate paura di fronte al fuoco e non saliste sul monte mentre diceva: Io sono il Signore Dio tuo, sottintendendosi " quando naturalmente diceva il Signore ". Mentre il Signore diceva queste parole, ricordate tutte successivamente, il popolo ebbe paura di fronte al fuoco e non salì sul monte e pregò di udire le parole del Signore piuttosto dalla bocca di Mosè 24.
10. 3. Mosè ricorda nel Deuteronomio queste parole dettegli dal popolo quando non volle sentire più la voce di Dio, ma gli chiesero di sentire da lui le parole che diceva Dio, cioè: Ecco, il Signore nostro Dio ci ha mostrato la sua gloria e abbiamo udito la sua voce di mezzo al fuoco etc. Non si leggono esattamente le medesime cose nell’Esodo, ove si raccontano per la prima volta le cose che vengono ripetute qui adesso 25. Perciò, come ho già ricordato qualche altra volta, dobbiamo concludere che non si deve ritenere una bugia se il medesimo significato viene espresso con qualsivoglia altri termini, e ciò anche riguardo alle osservazioni degli Evangelisti che sono censurate da individui ignoranti e critici maliziosi come contraddittorie. Non era infatti difficile a Mosè porre attenzione alle cose che aveva scritto nell’Esodo e ripeterle con le stesse parole, se non fosse cómpito dei santi nostri maestri [della fede] insegnare ai discepoli proprio questo concetto, che cioè non devono cercare nelle parole di coloro che parlano nient’altro che il significato per indicare il quale sono state adottate le parole.
Dono della grazia la giustizia fondata sulla fede.
11. (5, 29) Che significano le parole che Mosè dice di essergli state rivolte dal Signore riguardo al popolo ebraico: Chi dirà ch’essi abbiano un cuore tale da temermi e osservare i miei comandamenti? Vuole forse il Signore far intendere di già che si deve alla sua grazia se si riceve questo beneficio che cioè la giustizia di Dio negli uomini è quella fondata sulla fede e non quella considerata un bene personale come se derivasse dalla legge 26? Dio indica questo concetto anche per mezzo del Profeta quando dice: Toglierò da loro un cuore di pietra e darò loro un cuore di carne 27; ciò è detto a motivo del senso che ha il termine carne e non ha il termine pietra usato certamente in senso traslato. Questo medesimo proposito [di Dio] è enunciato in un altro passo [della Scrittura]: Ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali concluderò con la casa d’Israele e con la casa di Giuda un’alleanza nuova, non come l’alleanza che conclusi con i loro padri il giorno in cui li presi per mano per farli uscire dal paese dell’Egitto. Poiché questa sarà un’alleanza che stringerò con loro dopo quei giorni, dando le mie leggi nel loro cuore e le scriverò nel loro spirito e non mi ricorderò più delle loro iniquità e dei loro peccati 28. Qui la nuova alleanza viene distinta dall’antica, poiché nell’antica la legge fu data su tavole di pietra, nella nuova alleanza invece è data nei cuori, per effetto della grazia. Ecco perché anche l’Apostolo dice: Non su tavole di pietra, ma su tavole che sono i vostri cuori di carne, e [poco dopo] in un altro passo dice: Ci ha resi idonei a essere ministri della nuova alleanza, non di quella della lettera ma di quella dello Spirito 29.
Chi non giura affatto vive lontano dallo spergiuro.
12. (6, 13) Ciò che [la legge] dice riferito al Signore: E giurerai nel suo nome, non si deve intendere come se facesse obbligo di giurare, ma nel senso che proibisce di giurare nel nome di un’altra divinità. È meglio però non giurare, come dice il Vangelo 30, non perché sia un male giurare la verità, ma per non cadere nello spergiuro per la facilità con cui si giura. Poiché quando uno presta giuramento può giurare non solo la verità ma anche il falso; chi invece non giura affatto vive lontano dallo spergiuro.
Ove l’agiografo dice più chiaramente ciò che è oscuro.
13. (8, 2) E ti ricorderai di tutta la strada per la quale ti condusse il Signore Dio tuo nel deserto per affliggerti e metterti alla prova e far conoscere ciò che c’è nel tuo cuore, se osserverai o no i suoi comandamenti. Qui l’agiografo dice più chiaramente ciò che è oscuro a causa del genere d’espressione idiomatica mediante la quale in un altro passo è detto: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per vedere se lo amate 31. Si capisce infatti che qui si dice per sapere [ut sciat] invece di " per far sapere ". Questo senso è espresso chiaramente poco dopo [con la frase]: per metterti alla prova e così farti conoscere che cosa c’è nel tuo cuore; infatti non dice: " per conoscere ", poiché, se avesse detto così, si sarebbe dovuto intendere nel senso di " per far conoscere ".
Le persone di dura cervice.
14. (9, 6-8) E tu saprai oggi che non già grazie ai tuoi meriti il Signore tuo Dio ti dà in eredità questa terra fertile, poiché sei un popolo di dura cervice. Questi tali sono certamente coloro che non sanno distinguere tra la destra e la sinistra e perciò non meritarono di perire nel deserto 32. Ma poi certamente si parla delle persone di dura cervice. Si deve quindi riconoscere che quella frase esprime un mistero, non che siano proclamati importanti i meriti di costoro. Infatti perché nessuno pensi che costoro siano diventati vituperevoli all’improvviso, mentre prima erano stati lodati giustamente, poco dopo si dice loro: Ricórdati, non dimenticare quanto esasperasti il Signore tuo Dio nel deserto; dal giorno che usciste dal paese d’Egitto fino a quando arrivaste in questo luogo non cessaste di essere increduli riguardo al Signore. Se poi alcuni di essi erano tali e alcuni, al contrario, fedeli e buoni, neppure in questa ipotesi viene concessa, comunque, la terra promessa a coloro che non sanno distinguere la destra dalla sinistra, intendendo ciò presso a poco nel senso che non offesero Dio. Poiché anche i loro padri, ch’erano morti e ai quali non era stato permesso di vivere nella medesima terra si trova scritto che tra essi ce n’erano alcuni anche buoni. Per questo l’Apostolo dice che non tutti caddero ma solo alcuni di essi, a proposito dei quali ricorda i loro peccati 33. Con maggiore evidenza anche questo libro del Deuteronomio mostra che costoro furono simili ai loro padri, poiché subito dopo aggiunge e dice: E nell’Horeb esasperaste il Signore. Lo esasperarono lì certamente coloro che per le medesime loro cattive azioni non furono fatti entrare nella terra promessa.
Il decalogo dato da Dio, scritto da Mosè.
15. 1. (10, 1-4) In quell’occasione il Signore mi disse: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte; e ti costruirai un’arca di legno. E scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle tavole che tu hai spezzato; e le introdurrai nell’arca ". E io costruii un’arca di legno imputrescibile e tagliai due tavole di pietra come le prime e salii sul monte con le due tavole nelle due mie mani. Ed egli scrisse sulle tavole conforme alla prima scrittura le dieci parole che il Signore vi rivolse sul monte di mezzo al fuoco: ed il Signore me le diede. A buon diritto si pone il quesito come mai questi fatti vengono riferiti nel Deuteronomio in cui li ricorda e li ripete Mosè, mentre nell’Esodo, dove sono raccontati la prima volta come detti ed accaduti, si trovano scritti così: E il Signore disse a Mosè: " Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole io ho stabilito un’alleanza per te e per Israele ". E Mosè stava lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole 34. Se dunque nell’Esodo si narra che Mosè scrisse le dieci parole della legge, come mai qui nel Deuteronomio viene ricordato che a scrivere le medesime parole sulle tavole fu Dio?
15. 2. E inoltre, esponendo di sfuggita quel passo dell’Esodo e ponendo per iscritto ciò che mi pareva giusto a proposito di quella discrepanza 35, spiegando perché l’agiografo riferisce che le prime tavole spezzate [poi da Mosè] furono scritte dal dito di Dio, mentre delle seconde, che dovevano restare tanto a lungo nell’arca e sulla tenda-santuario, si dice che furono scritte proprio da Mosè; dissi allora che mediante quella discrepanza erano stati simboleggiati i due Testamenti, cosicché nell’Antico Testamento la legge ci viene presentata solo come opera di Dio senza che l’uomo facesse nulla in quanto la legge non poteva essere adempiuta mediante il timore, poiché quando si compie davvero la legge, la si compie mediante l’amore, che è la grazia del Nuovo Testamento 36. Leggiamo invece che fu l’uomo a scrivere le parole di Dio sulle seconde tavole, poiché l’uomo può compiere l’opera della legge per mezzo dell’amore della giustizia, ma non lo può mediante il timore del castigo.
15. 3. Adesso dunque, quando nel Deuteronomio si legge delle seconde tavole, si trova detto così: E tagliai le due tavole di pietra come le prime e salii sul monte, le due tavole nelle due mie mani. E scrisse sulle tavole secondo la prima scrittura le dieci parole, non dice: " e scrissi ", ma scrisse, s’intende Dio, come poco prima aveva detto le parole che Dio gli aveva rivolte: Taglia due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte, e ti costruirai un’arca di legno; e io scriverò sulle tavole le parole che erano sulle prime tavole. Sorge quindi un quesito da esaminare attentamente, poiché qui si legge che a scrivere ambedue le [paia di] tavole, cioè le prime e le seconde, fu Dio e non l’uomo. Ora, se anche nello stesso libro dell’Esodo noi leggeremo le parole di Dio con cui ordina a Mosè di tagliare le medesime tavole, non si trova nient’altro se non che lo stesso Dio promise che le medesime le avrebbe scritte lui, poiché sta scritto così: E il Signore disse a Mosè: " Tàgliati due tavole di pietra come le prime e sali da me sul monte. E io scriverò le parole che erano [incise] sulle prime tavole, che tu hai spezzato " 37. Pertanto, senza parlare del libro del Deuteronomio, solo l’Esodo contiene anche questo problema, cioè come mai Dio disse: E io scriverò sulle tavole le parole che si trovavano sulle prime tavole, mentre poco dopo si legge: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un’alleanza per te e per Israele. E Mosè rimase lì al cospetto del Signore quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole. Se infatti ciò che è detto prima: Scrivi per te queste parole, poiché secondo queste parole ho stabilito un’alleanza per te e per Israele si riferisce alle disposizioni date precedentemente a Mosè da Dio, con l’ordine di non scriverle sulle due tavole, ma nel libro della legge, ove erano scritte molte disposizioni, possiamo affermare con certezza che il passo che segue: E Mosè stette lì, al cospetto del Signore, quaranta giorni e quaranta notti; non mangiò pane e non bevve acqua e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole 38, mostra assai bene che fu lo stesso Mosè a scrivere sulle tavole quelle dieci parole e non Dio, salvo che, quando si dice: e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza, le dieci parole, fossimo costretti a intendere in un modo violento, ma spinti da una certa necessità, a sottintendere non Mosè ma il Signore - poiché prima si dice: e Mosè stette lì al cospetto del Signore - e per conseguenza dovremmo pensare che queste dieci parole furono scritte sulle tavole, come aveva promesso prima, dal Signore al cui cospetto Mosè stette quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e senza bere acqua.
15. 4. Se la questione sta così, la discordanza che ci è parsa esistere tra i due Testamenti non può affermarsi a proposito di queste parole, dal momento che non l’uomo ma Dio scrisse tanto le prime che le seconde tavole, è vero. Tuttavia quella discordanza non comporta certamente alcun dubbio che fu Dio non solo a fare ma anche a scrivere le prime tavole. In quell’occasione infatti a Mosè non fu detto:" taglia per te due tavole ", ma si legge piuttosto quanto segue: E Mosè si volse e discese dal monte con le due tavole dell’alleanza nelle sue mani; tavole di pietra scritte su entrambi i lati; erano scritte da una parte e dall’altra, le tavole erano opera di Dio e la scrittura era scrittura di Dio, incisa sulle tavole 39. Già in precedenza l’agiografo aveva detto che le medesime tavole erano state scritte dal dito di Dio esprimendosi così: Appena ebbe finito di parlare con lui sul monte Sinai, diede a Mosè le due tavole dell’alleanza, tavole in pietra, scritte dal dito di Dio 40. In quell’occasione dunque non solo le tavole erano opera di Dio ma anche la scrittura era stata incisa da Dio. Quanto invece alle due seconde tavole è proprio Mosè che riceve l’ordine di tagliarle per fare intendere naturalmente che furono tagliate per opera dell’uomo, sebbene le scrivesse Dio in persona, come aveva promesso quando ordinò di tagliarle. Se però riflettiamo più attentamente per quanto riguarda le seconde tavole, ecco il motivo di questi due fatti menzionati a proposito delle seconde tavole: non solo Dio mediante la sua grazia compie l’opera della legge nell’uomo ma anche l’uomo mediante la propria fede riceve la grazia di Dio venendo così a far parte della nuova alleanza e diventando cooperatore di Dio che lo aiuta, e perciò quando si tratta delle prime tavole è menzionata solo l’opera di Dio perché la legge è spirituale e la legge è santa, come santo, giusto e buono è il comandamento 41, mentre riguardo alle medesime tavole non è menzionata alcuna opera dell’uomo, poiché coloro che non hanno fede non sono adatti a ricevere l’aiuto della grazia, ma poiché ignorano la giustizia di Dio e vogliono far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio 42. Per questo, riguardo a loro, la legge ha la forza di condannarli, cosa questa simboleggiata dall’atto di spezzare le tavole. Grazie a queste considerazioni non siamo evidentemente costretti a sottintendere, con una interpretazione forzata, che fu Dio a scrivere, quando l’agiografo dice: E Mosè stette lì alla presenza del Signore quaranta giorni e quaranta notti senza mangiare pane e bere acqua, e scrisse sulle tavole le parole dell’alleanza 43, testo in cui si fa intendere molto chiaramente che fu Mosè a scrivere. In precedenza 44 però Dio aveva promesso di scrivere lui, e nel Deuteronomio si narra che non solo l’aveva promesso, ma anche che le scrisse proprio lui, per simboleggiare ciò che dice l’Apostolo: È Dio che per la sua benevolenza suscita in voi il volere e l’agire 45, cioè in coloro che per mezzo della fede ricevono la grazia e non vogliono stabilire una propria giustizia personale, ma sono sottomessi alla giustizia di Dio 46, affinché siano in Cristo giustizia di Dio 47. Ora l’Apostolo anche in quel passo afferma tutt’e due le cose, che cioè ad agire non è solo Dio ma anche gli uomini. Poiché se essi non compivano le opere, come avrebbe potuto dire loro: Adoperatevi per la vostra salvezza con timore e tremore 48? Opera dunque Dio, noi cooperiamo, poiché egli non ci toglie ma aiuta la libera decisione della buona volontà.
La tribù di Levi nel suo significato.
16. (10, 8-9) In quel tempo il Signore separò la tribù di Levi perché portasse l’arca dell’alleanza del Signore, stesse davanti al Signore, esercitasse il servizio e pregasse nel suo nome fino a questo giorno. Per questo motivo i leviti non hanno né parte né eredità con i fratelli; il Signore stesso è la sua parte d’eredità, come gli aveva detto lui. Se per mezzo di questa tribù non fosse stato prefigurato il sacerdozio regale di tutti i fedeli, che riguarda il Nuovo Testamento, un personaggio che non era della medesima tribù [di Levi] non avrebbe osato assolutamente dire: La mia parte d’eredità è il Signore 49, e in un altro Salmo: Il Signore è la parte della mia eredità 50.
Un ordine impossibile da osservarsi.
17. (11, 20) Che significa l’ordine dato da Mosè il quale, riferendosi ai comandamenti del Signore, dice: E li scriverete sugli stipiti delle vostre case e delle vostre porte, dal momento che né si ricorda né si legge che alcuno degli Israeliti facesse ciò alla lettera, perché non può farlo nessuno, salvo che distribuisca quelle parole per molte parti della propria casa? Si tratta forse d’un ordine iperbolico come se ne dicono molti altri 51?.
L’ordine di mangiare le decime solo in città.
18. (12, 11) Si deve ricercare come mai la Scrittura comanda che le decime di tutti i frutti e i primogeniti del bestiame si mangino solo in città ove sarà un tempio, dal momento che nella legge era prescritto che fossero dati ai leviti.
Le prove di Dio per farci sapere.
19. (13, 1-3) Se sorge in mezzo a voi un profeta o un uomo che fa dei sogni e che ti mostri un segno o un prodigio e accada il segno o il prodigio di cui ti aveva parlato dicendo: " Andiamo e rendiamo un culto ad altri dèi che voi non conoscete ", non date ascolto alle parole di quel profeta né all’uomo che ha fatto quel sogno, poiché il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se amate il Signore vostro Dio con tutto il vostro cuore e con tutta l’anima vostra. Alcuni traduttori latini non impiegarono l’espressione: scire an diligatis [per sapere se voi l’amate], ma: ut sciat an diligatis [affinché sappia se voi l’amate]. Sebbene sembri che il senso sia lo stesso, tuttavia l’espressione scire si riferisce più facilmente agli Israeliti; in tal modo l’espressione: tentat vos scire la intendiamo come se si dicesse: " mettendovi alla prova fa sapere ". Con ciò naturalmente Mosè vuol fare intendere che anche se si avverassero le predizioni fatte dagli indovini e non conformi alla mente di Dio, non si dovrebbe prenderle nel senso che si debba fare ciò che è ordinato da loro o debbano adorarsi gli dèi adorati da essi. Dio poi mostra anche che non senza l’intervento della sua potenza succedono tali prodigi, e come se gli si chiedesse perché li permette, espone che il motivo di questa prova è quello di conoscere il loro amore, se cioè hanno amore verso il loro Dio, o piuttosto che sia conosciuto da loro, anziché da Dio che sa tutto prima che avvenga.
La decima da conservare per coloro che non possedevano nulla.
20. (14, 28-29; 15, 1) Dopo tre anni porterai la decima di ogni tuo prodotto; quell’anno la depositerai nelle tue città e verrà il levita, che non ha né parte né eredità con te, il forestiero, l’orfano e la vedova che si trova nelle tue città; ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere che farai. Non si dice che da questa decima mangi lui con i suoi, e perciò il Signore comanda che venga destinata ai leviti, ai forestieri, agli orfani e alle vedove. Il testo però non si esprime chiaramente, poiché questa decima non è distinta da quella che la legge comanda di mangiare con i leviti nel luogo che il Signore avesse scelto per il suo tempio 52. Ma nella traduzione fatta dal testo ebraico troviamo ciò espresso più chiaramente, poiché dice: Al terzo anno separerai un’altra decima di tutti i prodotti che ti nasceranno in quel tempo e la riporrai dentro le tue porte; e verrà il levita, che non ha alcun’altra parte né una proprietà con te, il pellegrino, l’orfano e la vedova che si trovano entro le tue porte, ne mangeranno e si sazieranno, affinché il Signore tuo Dio ti benedica in tutte le opere delle tue mani che farai. In primo luogo è più chiara l’espressione: al terzo anno, poiché vuol dire che c’è l’intervallo di un anno, mentre al contrario la versione dei Settanta: dopo tre anni è equivoca e non precisa se quei tre anni sono intermediari in modo che la riserva di tale decima si debba fare ogni quattro anni. In secondo luogo quando dice: separerai un’altra decima mostra assai bene che non si tratta della decima che - secondo l’ordine del Signore - l’offerente doveva mangiare con i suoi e con i leviti nel luogo che il Signore avrebbe scelto; poiché la legge comanda di porre in serbo quest’altra decima e nell’interno delle proprie porte, non di portarla nel luogo ove il Signore ha voluto essere invocato. E verrà - è detto - il levita, che non ha parte né proprietà insieme con te, il forestiero, l’orfano e la vedova che si trovano dentro le tue porte e ne mangeranno. Da questo testo risulta senza dubbio e chiaramente vero che Dio non volle che questa decima fosse un bene a disposizione tanto dell’offerente quanto di coloro per i quali dev’essere usato, ma comandò che fosse distribuita solo a coloro che non possedevano nulla, tra i quali mise soprattutto i leviti. Dopo sette anni farai il condono. In questo testo appare chiaramente in qual senso Mosè anche prima aveva detto: dopo tre anni. In effetti il Signore non volle che neppure questi sette anni fossero intermedi: egli comandò che si facesse il condono ogni anno come se si trattasse dell’osservanza di un Sabato d’anni.
L’anno della remissione.
21. (15, 9) Bada a te stesso che nel tuo cuore non ci sia una parola occulta, un’iniquità, dicendo: "È vicino il settimo anno, l’anno del condono", e il tuo occhio non mostri della cattiveria verso tuo fratello bisognoso e tu non gli dia nulla; ed egli griderà contro di te verso il Signore, e sarà in te un gran peccato. L’agiografo usa qui l’espressione: parola segreta, ottimamente appropriata, poiché non osa esporre a parole un siffatto proposito nessuno che avrà potuto pensare di non aver l’obbligo di dare un prestito a un indigente per il fatto che si avvicina l’anno del condono, quando Dio, per far esercitare la misericordia, ha comandato ambedue le cose: sia di dare un prestito a chi ne ha bisogno, che di condonarlo nell’anno della remissione. In qual modo perciò potrà uno condonare, animato dalla misericordia, nell’anno in cui si deve dare il condono, se crudelmente pensa di non dare nulla nel tempo in cui si deve dare qualcosa?
La liberazione dello schiavo nel settimo anno.
22. (15, 12) Se però ti è stato venduto un tuo fratello ebreo, uomo o donna, sarà tuo schiavo per sei anni e il settimo anno lo rimanderai libero da casa tua. Il Signore non ha voluto che fossero lasciati liberi questi schiavi comprati nell’anno del condono, che da tutti doveva essere osservato ogni sette anni ma nel settimo anno dopo la sua compera quale che fosse il tempo in cui cadeva quel settimo anno.
Quali sono i primogeniti da offrire.
23. (15, 19) Ogni primogenito che nascerà nelle tue vacche e nelle tue pecore, se è maschio, lo consacrerai al Signore tuo Dio. Si deve cercare se gli esseri che in greco sono chiamati ma in latino si potevano chiamare solo primogenita [primogeniti], sono da intendersi soltanto quelli che nascono dalle madri, per il fatto che essi, piuttosto che essere generati, vengono partoriti. Poiché il significato proprio di è " partorire " che è un’azione della femmina - per questo si dice - mentre generare si dice in greco , e perciò il termine in senso proprio corrispondente latino è " primogenito ". Si offrivano dunque a Dio i primi nati dalle femmine, non i primi generati dai loro mariti se per caso li generassero da vedove che avevano già partorito prima. Poiché altrimenti non sarebbero stati i figli che avrebbero aperto il seno materno, caratteristica propria dei figli che dovevano essere consacrati al Signore secondo la volontà della legge. Se dunque in queste parole c’è una vera distinzione non senza una ragione si dice che il Signore non è [unico nato] del Padre, ma - cioè unigenito, vale a dire unico - però in latino, è vero, si dice che il primogenito [di quelli che risuscitano] dai morti 53, poiché in latino non si poteva formare una parola composta in quel modo secondo il nostro consueto modo di parlare; in greco invece si dice [il primo nato] non [il generato per primo; primogenito] come se il Padre avesse generato il figlio uguale a lui stesso, una creatura invece avrebbe partorito. D’altra parte, anche l’espressione: il primogenito d’ogni creatura 54, la parola greca che anche lì si legge, può intendersi nel senso di " nuova creatura ", di cui l’Apostolo dice: Se pertanto uno è in Cristo è una nuova creazione 55; di questa nuova creazione il primo è Cristo, poiché fu il primo a risorgere in modo che non dovrà più morire e la morte non potrà più avere dominio su di lui 56, come viene promesso che avverrà alla fine per la nuova creazione che è unita a lui. Una tale distinzione però non dev’essere affermata senza riflessione ma dev’essere esaminata più attentamente. Poiché si rimane imbarazzati come mai nel libro dei Proverbi si è potuto dire: Primogenito, lo dico a te, figlio 57; si rimane cioè perplessi in nome di chi si deve intendere che ciò sia stato detto. Poiché se l’espressione è rivolta a Cristo dalla persona di Dio Padre - ma è molto difficile affermare se ciò che segue si accorda a questa spiegazione - la Scrittura chiama [Cristo] Primogenito e anche Unigenito: primogenito per il fatto che anche noi siamo figli di Dio 58, unigenito, al contrario, poiché solo lui è della natura del Padre, uguale al Padre e coeterno con Lui. Sarebbe però strano se la Sacra Scrittura distinguesse con argomenti assai chiari tra " partorire " e "generare ".
L’offerta dei buoi nel senso figurato.
24. (16, 2) E come vittima della pasqua immolerai al Signore tuo Dio pecore e buoi. Che significa il fatto che qui l’agiografo aggiunge buoi, mentre, trattando del sacrificio della pasqua, aveva parlato solo di un capo di bestiame minuto da prendere di tra le pecore e i capretti o di tra le capre? Ciò deve intendersi in senso figurato riguardo a Cristo, la cui origine carnale deriva da giusti e da peccatori. Poiché l’agiografo non dice: " dalle pecore o dalle capre ", sebbene in senso proprio non possa intendersi una pecora di tra le capre; ma affinché i Giudei non dicessero per caso che si doveva sottintendere un capro, se si fosse detto: " o di tra i capri ", si disse: di tra gli agnelli e i capretti 59. Che cosa significano allora qui i buoi? Sono forse menzionati a causa di altri sacrifici che dovevano offrirsi negli stessi giorni degli azimi?
La festa di pentecoste.
25. (16, 9-11) Si deve ricercare il motivo per il quale fu comandato di osservare quanto è detto nel seguente passo: Conterai per te stesso sette settimane intere; quando comincerai a portare la falce per la messe comincerai a contare sette settimane. E celebrerai la festa delle Settimane in onore del Signore tuo Dio secondo la forza della tua mano, tutto ciò che egli ti avrà dato, nella proporzione in cui ti benedirà il Signore tuo Dio; e ti rallegrerai al cospetto del Signore tuo Dio. Se fu comandato che questa festa della pentecoste fosse osservata da tutto il popolo, dobbiamo forse credere che fu comandato a tutti di mettersi a falciare la messe lo stesso giorno? Se invece ognuno osserva questa quinquagesima per proprio conto, contando le settimane dal giorno in cui comincia a mietere, la [ricorrenza della] quinquagesima non è la stessa per tutto il popolo; è invece la stessa [per tutti] la festa che viene computata a partire dal sacrificio della vittima pasquale fino al giorno in cui fu data la legge sul monte Sinai.
La richiesta di un re non fu conforme alla volontà di Dio.
26. (17, 14-15) Se entrerai nella terra che il Signore tuo Dio ti dà come parte d’eredità e ne avrai preso possesso e l’abiterai, e dirai: Voglio costituire sopra di me un re come tutte le nazioni che mi stanno intorno, dovrai costituire sopra di te come re colui che il Signore tuo Dio avrà scelto. Costituirai sopra di te come re uno dei tuoi fratelli; non potrai costituire su di te uno straniero che non sia tuo fratello. Possiamo domandarci perché al Signore dispiacque il popolo quando desiderò di avere un re 60, dal momento che qui si trova scritto che gli era stato promesso. Ma da questo passo si deve piuttosto intendere con ragione che la richiesta non fu conforme alla volontà di Dio, poiché egli non comandò che ciò avvenisse, ma lo permise solo perché lo avevano desiderato. Dio ordinò tuttavia che non fosse costituito come capo un estraneo, ma un fratello, cioè un originario dello stesso popolo. Quanto poi all’espressione: non potrai, si deve intendere nel senso di " non dovrai ".
Avere un gran numero di mogli era proibito senza distinzioni.
27. (17, 17) Parlando del re l’agiografo dice: Non dovrà moltiplicare le sue donne per evitare che il suo cuore si allontani [dal Signore]; e l’argento e l’oro non dovrà moltiplicarli eccessivamente. Stando a questo passo ci domandiamo se Davide non agì contro questo precetto, poiché non ebbe una sola moglie 61. D’altra parte nel caso di Salomone è evidente che egli trasgredì questo precetto non solo riguardo alle donne ma anche riguardo all’oro e all’argento. Da qui si desume piuttosto che fu permesso al re di avere più di una moglie, poiché fu proibito loro di averne molte. Questa proibizione non fu trasgredita se un re non ne aveva molte come quelle che ebbe Davide, ma non dovevano essere molte come quelle di Salomone. Tuttavia, quando l’agiografo aggiunge: affinché il suo cuore non si allontani [dal Signore], pare piuttosto che il Signore ordinasse al re di non avere molte mogli per non arrivare ad avere mogli straniere per mezzo delle quali, nel caso di Salomone, avvenne che il suo cuore si allontanasse da Dio 62. Tuttavia l’avere un gran numero di mogli era proibito senza distinzioni, in modo che, anche se un re avesse avuto un gran numero di mogli prese solo tra le ebree, con ragione sarebbe potuto essere incolpato di aver trasgredito questo precetto.
Quanto è dovuto al levita come diritto della famiglia.
28. (18, 6-8) Se poi sopraggiungerà un levita da una delle tue città, una [qualsiasi] di tutti i figli d’Israele, dove egli risiede, [se viene] come desidera la sua anima nel luogo che il Signore avrà scelto - cioè se desiderò recarsi nel luogo dove è invocato il Signore - allora presterà servizio al nome del Signore suo Dio come tutti i suoi fratelli leviti che stanno lì davanti al Signore; egli mangerà la porzione distribuita ad eccezione del [provento] della vendita dei suoi beni di famiglia. Non è chiaro di quale vendita si parli: forse si tratta delle decime e delle primizie che ai leviti abitanti lontano [da Gerusalemme] era comandato di vendere per non essere costretti a portare molte cose nel luogo ove s’invoca il Signore, o a condurre là il bestiame per poi ricomprarlo allo stesso prezzo; il Signore aveva ordinato che avesse lì la parte corrispondente il levita il quale restava in quella città da cui gli erano dovute le decime e le primizie. Ecco perché l’agiografo dice che ciò è dovuto al levita come diritto della famiglia poiché, in forza del diritto di successione ai beni di suo padre, si doveva mettere in serbo per lui ciò che si soleva dare ai suoi genitori.
Ci chiediamo come discernere i prodigi.
29. (18, 10-11) Poiché Dio proibisce che tra il suo popolo ci siano degli individui che osservano e interpretano i prodigi ci chiediamo come discernere i prodigi, che egli proibisce di osservare, da quelli che hanno impronte talmente divine che se ne deve ricercare il significato; tali sono tutti i miracoli riferiti nelle Scritture: essi significano qualcosa d’importante relativo alla regola della fede, come spieghiamo che cosa significava il vello rimasto asciutto sull’aia che invece era bagnata di rugiada, oppure era bagnato di rugiada nell’aia ch’era asciutta 63, oppure il bastone di Aronne che fiorì e produsse delle mandorle 64, ed altri simili prodigi. Poiché, allo stesso modo che si distinguono le divinazioni proibite nel seguito del testo sacro dalle predizioni e dai messaggi dei Profeti, così le osservazioni dei prodigi si devono distinguere dai significati dei miracoli divini.
Cooperiamo con Dio che ci aiuta.
30. (20, 4) Poiché il Signore, vostro Dio, che avanza davanti a voi, è a fianco di voi per combattere per voi insieme a voi i vostri nemici al fine di salvarvi. Ecco qui come anche quando si tratta di lotte spirituali si deve sperare e invocare l’aiuto di Dio, non affinché noi non facciamo nulla, ma ma cooperiamo con lui che ci aiuta. Poiché l’agiografo dice così: combatterà con voi, per mostrare che anch’essi dovevano fare ciò che si doveva fare.
Le disposizioni degli uomini chiamati alle armi.
31. (20, 5-7) Allora gli scribi parleranno al popolo in questi termini: Chi è l’uomo che ha costruito una casa e non l’ha inaugurata? Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e la inauguri un altro. E chi è l’uomo che ha zappato per piantare una vigna e non ha goduto dei suoi frutti? Se ne torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non ne goda dei frutti un altro. E chi è l’uomo che si è fidanzato con una donna e non l’ha presa ancora con sé in moglie? Se ne vada e torni a casa sua, perché non muoia in guerra e non la prenda in moglie un altro. Queste disposizioni potrebbero creare imbarazzo quasi a dire che potrebbero morire in guerra con uno stato d’animo migliore coloro che hanno inaugurato la loro casa e goduto i frutti delle vigne piantate di recente, dopo aver preso con sé la sposa novella, invece di quelli che ancora non hanno gustato tali godimenti. Ma poiché il cuore dell’uomo si lascia prendere da siffatti godimenti che sono assai stimati dagli uomini, si deve intendere che queste disposizioni vengono date a persone che vanno in guerra; in tal modo appariva di essere fortemente attaccato a quei piaceri chi tornava indietro al fine di non combattere meno valorosamente per il timore di morire prima di inaugurare la sua casa, o prima di aver bevuto il vino della vigna piantata di recente o di aver preso in moglie la fidanzata. Poiché d’altronde, per quanto riguarda la donna è meglio per lei sposarsi vergine anziché vedova con un altro uomo; ma - come ho detto - queste disposizioni avevano lo scopo di provare i sentimenti degli uomini chiamati alle armi.
Gli indumenti maschili vietati alle donne.
32. (22, 5) Una donna non dovrà indossare indumenti maschili; l’espressione indumenti maschili vuol dire " strumenti bellici ", cioè le armi, come hanno tradotto anche alcuni altri autori.
La legge volle che le mogli fossero sottomesse ai mariti.
33. (22, 13-21) Se uno avrà preso moglie e sarà vissuto con lei e poi la prenderà in odio e lancerà false accuse contro di lei e farà cadere su di lei una cattiva reputazione e dirà: Ho preso in moglie questa donna e mi sono accostato a lei ma non ho trovato i segni della sua verginità; allora il padre della ragazza e la madre di lei prenderanno le prove della sua verginità e le porteranno al consiglio degli anziani alla porta [della città] e il padre della ragazza dirà agli anziani: Io ho dato questa mia figlia in moglie a quest’uomo e adesso, avendola presa in odio, lancia contro di essa false accuse in questi termini: Io non ho trovato i segni della verginità di tua figlia. Essi allora spiegheranno la coperta davanti agli anziani della città e gli anziani di quella città prenderanno quell’uomo, lo castigheranno e gli infliggeranno una multa di cento sicli d’argento, e li daranno al padre della giovane, poiché egli ha prodotto una cattiva reputazione riguardo ad una giovane israelita. Essa rimarrà sua moglie ed egli non potrà ripudiarla mai più durante il tempo avvenire. Se invece l’accusa risulterà fondata e non verranno trovate le prove della verginità della ragazza, allora [gli anziani] condurranno la giovane alla porta della casa di suo padre e gli uomini della sua città la lapideranno a colpi di pietra e così morirà poiché ha commesso un atto insensato tra i figli d’Israele prostituendo la casa di suo padre; così estirperai il male ch’è tra di voi. Da questo passo si vede assai chiaramente come la legge volle che le mogli fossero delle donne sottomesse ai mariti e proprio loro serve; poiché, mentre la donna veniva lapidata se fosse stato dimostrato ch’era vera la testimonianza resa dal marito contro sua moglie, egli tuttavia non veniva lapidato qualora fosse stato dimostrato che la sua testimonianza era falsa, ma veniva solo castigato e multato e veniva obbligato a rimanere per tutta la vita con la moglie, da cui avrebbe voluto separarsi. Negli altri casi invece la legge ordinava che fosse ucciso il falso testimone il quale recasse danno a qualcuno accusandolo di un delitto che, una volta provato portava con sé la pena che sarebbe dovuta essere inflitta a colui che egli accusava se l’accusa fosse risultata fondata.
Quando il ripudio non è lecito.
34. (22, 28-29. 19) Se uno però trova una ragazza vergine, che non è fidanzata, e violentandola giace con lei e viene scoperto, l’uomo che ha peccato con lei dovrà dare al padre della ragazza cinquanta didramme d’argento, e la ragazza sarà sua moglie, poiché l’ha umiliata; non potrà ripudiarla durante tutto il tempo avvenire. Con ragione possiamo chiederci se sia un castigo quello per cui uno non possa ripudiare durante tutta la vita colei che violò contravvenendo alla legge di Dio e perciò illecitamente. Se infatti vorremo intendere che essa non può, cioè non deve essere ripudiata per tutta la vita per il motivo che è diventata la moglie ci viene in mente il fatto che Mosè permise di dare la lettera di ripudio e abbandonare la moglie 65. Riguardo però a coloro che deflorano illecitamente una vergine, il legislatore non volle che il ripudio fosse lecito affinché non sembrasse che l’uomo lo avesse fatto per prendersi gioco della donna e avesse fatto finta di prenderla in moglie anziché sposarla con un vero contratto matrimoniale. Questa norma fu stabilita anche nel caso di una donna che il marito avesse accusato falsamente di non aver trovato in lei i segni della verginità.
Rut entrata nell’assemblea del Signore.
35. (23, 3-4) Non entrerà nell’assemblea del Signore né l’Ammanita, né il Moabita; e non entrerà nell’assemblea del Signore né fino alla decima generazione né giammai. Qui si pone il quesito come mai vi entrò Rut, la quale era Moabita 66, dalla quale ha origine anche la natura umana assunta dal Signore 67. Ma forse la frase: fino alla decima generazione è da prendere nel senso allegorico d’una profezia che essa sarebbe entrata. Poiché le generazioni si contano a partire da Abramo quando viveva anche Lot, che fu il progenitore dei Moabiti e degli Ammaniti mediante le figlie 68, e contando lo stesso Abramo si trova la somma di dieci generazioni fino a Salmon che generò Booz, il quale fu il secondo marito di Rut. Ecco le generazioni: Abramo, Isacco, Giacobbe, Giuda, Fures, Esrom, Aram, Naasson, Salmon. Salmon a sua volta generò Booz 69, il quale sposò la vedova Rut; e per questo si vede che dopo la decima generazione Rut fece nascere discendenti nell’assemblea del Signore con il partorire figli per l’appunto a Booz. Uno però può ancora chiedersi con ragione perché l’agiografo aggiunge: né giammai. Forse perché in seguito nell’assemblea del popolo ebraico non entrò nessun’altra persona degli Ammaniti e Moabiti dopo che con questa decima generazione si era compiuta la profezia. O forse piuttosto l’agiografo dice: fino alla decima generazione per volere farci intendere, precisamente per mezzo della totalità raffigurata nel numero dieci, che non sarebbero entrati assolutamente mai, di modo che fece capire ciò aggiungendo l’espressione giammai in eterno? Se la cosa sta così, sembra che Rut sia stata ammessa [nell’assemblea del popolo ebraico] contro il precetto che lo vietava. Oppure era vietato di ammettervi gli Ammaniti, non le Ammanite, cioè gli uomini, non le donne di quel popolo? E ciò si può supporre soprattutto per il fatto che, avendo gli Israeliti sconfitto quel popolo, ebbero l’ordine di uccidere tutti i maschi, ma non le donne, eccetto quelle che avevano avuto rapporti sessuali con gli uomini 70, poiché erano state loro ad allettare il popolo alla fornicazione, ma vollero risparmiare le vergini non imputando loro la colpa per la quale quel popolo meritò la sconfitta, ricordata anche qui come se l’agiografo si chiedesse per quale motivo Dio non volle che fossero ammessi nell’assemblea del Signore i Moabiti e gli Ammaniti. L’agiografo infatti soggiunge: Poiché non vi sono venuti incontro con il pane e con l’acqua sulla via quando uscivate dall’Egitto e perché contro di te assoldarono Balaam, figlio di Beor dalla Mesopotamia, affinché vi maledicesse. Queste colpe non le imputarono alle donne, che essi preferirono conservare in vita, neppure allorquando quel popolo fu sconfitto.
Vietato restituire lo schiavo fuggitivo.
36. (23, 15-16) Non consegnerai al suo padrone uno schiavo che si sarà messo presso di te [fuggendo] dal suo padrone; il senso di questo passo non è che il padrone abbia consegnato, abbia cioè affidato lo schiavo - poiché l’agiografo avrebbe detto piuttosto depositum [affidato] - ma dice appositum [messo accanto] dal suo padrone, cioè messo presso di colui, dopo che si era allontanato da lui; la legge dunque proibisce non di accogliere ma piuttosto di restituire gli schiavi fuggitivi. Si potrebbe senza dubbio pensare così ma solo se intendiamo che questi precetti sono stabiliti per la nazione e per il popolo, non per una sola persona. Era pertanto proibito di restituire l’uomo proveniente da un altro popolo, fuggitivo dal suo padrone, cioè dal suo re, in cerca di rifugio presso la nazione degli Israeliti. A questa norma si attenne anche lo straniero Achis, re di Fat, quando si rifugiò da lui Davide fuggendo dal suo padrone, cioè dal re Saul 71. L’agiografo infatti spiega ciò assai chiaramente quando, a proposito del fuggitivo, dice: Avrà il suo domicilio in mezzo a voi, in qualsiasi luogo gli piacerà.
Proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne.
37. (23, 17) Non ci sarà alcuna prostituta tra le figlie d’Israele, né alcun prostituto tra i figli d’Israele. Ecco, in questo passo è proibito espressamente di fornicare tanto agli uomini che alle donne anche con persone che non siano coniugi e fa vedere chiaramente che è peccato l’unione sessuale con chi non è il proprio coniuge, dal momento che è proibito non solo che vi siano delle meretrici ma anche di accostarsi alle donne che fanno pubblico mercato del proprio corpo. Non sembra però che nel decalogo questo peccato sia proibito esplicitamente con il termine moechia, con il quale comunemente s’intende solo l’adulterio. Il nostro pensiero su questo punto l’abbiamo esposto nel passo relativo 72.
Abominio il guadagno di una meretrice e il prezzo di un cane.
38. (23, 18. 17) Non offrirai il denaro guadagnato da una meretrice né il prezzo di scambio di un cane nella casa del Signore tuo Dio per qualunque voto, poiché l’una e l’altra sono cose abominevoli per il Signore tuo Dio. Ciò si deve intendere nel senso che abominevole al Signore Dio tuo non è solo una di queste cose ma tutte e due. Riguardo al cane è proibito farne la permuta per i primogeniti che Dio comanda sia fatta mediante altri animali immondi, cioè cavalli, asini e altri simili animali che aiutano gli uomini e in latino sono chiamati iumenta [giumenti], nome derivato dal fatto che lo aiutano [iuvando]: non fu però permesso di fare lo scambio con il cane; forse anche lo scambio con il porco? Si deve ricercare perché non era permesso di fare tale scambio e, se non fu permesso di farlo con siffatti animali, per qual motivo in questo passo è eccettuato il solo cane. Il motivo per cui si parla del prezzo da pagare alla prostituta sembra essere perché prima nel testo c’è la proibizione che ci fossero prostitute tra le figlie d’Israele o che nessuno dei figli d’Israele avesse relazioni sessuali con una prostituta. Inoltre, affinché non si pensasse che questo peccato potesse espiarsi offrendo nel tempio qualcosa del ricavato da quel mercimonio si dové dire che esso è una cosa abominevole per il Signore.
L’uomo deve scacciare dal suo intimo l’uomo malvagio.
39. (24, 7) Quel rapinatore, cioè colui che ha derubato un uomo, sarà messo a morte e toglierete di mezzo a voi stessi il malvagio. Così dice spesso la Scrittura 73 quando ordina di uccidere i malvagi. Anche l’Apostolo usa questa espressione quando dice: Perché vorrei io giudicare quelli che sono fuori [della Chiesa]? Non siete forse voi quelli che giudicate coloro che sono dentro? Togliete di mezzo a voi stessi il malvagio 74. Il greco infatti ha [il malvagio], come si trova scritto anche in questo passo, poiché questo termine comunemente è inteso nel senso di " malvagio " piuttosto che di " male ". L’agiografo non dice: , cioè " il male ", ma , cioè " il malvagio ". Di qui appare chiaro che l’Apostolo voleva intendere che merita la scomunica chi commette una colpa siffatta. Adesso infatti la scomunica produce nella Chiesa l’effetto che produceva allora la pena di morte. Sennonché la massima dell’Apostolo si potrebbe intendere anche in un altro senso, che cioè ad ognuno è comandato di scacciare da se stesso il male o il maligno. Questo senso sarebbe più ammissibile se nel greco si trovasse " il male, la malvagità " non " il malvagio ", ma è più probabile che l’espressione si riferisca alla persona anziché al vizio, sebbene si possa intendere con esattezza anche nel senso che l’uomo deve scacciare dal suo intimo l’uomo malvagio, allo stesso modo che la Scrittura dice: Spogliatevi dell’uomo vecchio e, spiegando di che si tratta, dice: chi rubava ora non rubi più 75.
Differenza fra sacerdote e levita.
40. (24, 8) [Dovrai agire] secondo tutta la legge che vi giureranno i sacerdoti leviti
. In questo passo è chiaro che ogni sacerdote era levita, quantunque non ogni levita fosse sacerdote.
Debitore, creditore e pegno.
41. (24, 10-13) Se in casa di un tuo prossimo ci sarà un debito, qualunque esso sia, non entrerai in casa sua per prendere il pegno; resterai di fuori e la persona che ha in casa sua il tuo debito ti porterà fuori il pegno. Se però quella persona ne ha bisogno, non dovrai dormire con il suo pegno. Tu dovrai rendergli il suo vestito all’avvicinarsi del tramonto del sole e così potrà dormire con il suo vestito e ti benedirà e ciò sarà per te una misericordia presso il Signore tuo Dio. Non senza ragione si vede che rientra nelle opere di misericordia la condotta di un creditore padrone di un pegno, il quale non entra in casa del debitore per non arrecargli turbamento. Ma con ciò viene anche avvertito il debitore di recar fuori il pegno al creditore. Giustamente, al contrario, è causa d’imbarazzo il comando di restituire lo stesso giorno il pegno all’indigente, affinché se ne copra durante la notte chi non possiede di che coprirsi la notte; di conseguenza ci chiediamo per quale motivo non è fatto piuttosto obbligo al creditore di non portare via il pegno che deve restituire lo stesso giorno. Se invece la disposizione di legge d’agire così ha lo scopo di far pressione sul debitore, affinché paghi il debito, in qual modo si affretterà a rendere il pegno sapendo che ne rientrerà in possesso lo stesso giorno? Ma forse il legislatore ha stabilito che si agisca in quel modo per ricordare al debitore di non dimenticarsi di restituire ed evitargli di restituire quando realmente non ha il pegno? E ciò soprattutto perché il debitore è vincolato dalla compassione usatagli dal suo creditore, verso il quale non dev’essere ingrato, visto che ha ricevuto il pegno con il quale può coprirsi la notte; nello stesso tempo anche il creditore, quando il debitore non lo avrà restituito, deve credere che non lo ha colui che ha anche bisogno di quest’opera di misericordia, che cioè gli sia restituito il pegno in quanto non ha nient’altro per coprirsi quando riposa la notte.
Ciascuno sarà responsabile della propria colpa.
42. (24, 16) I padri non morranno per le colpe dei figli, né i figli morranno per le colpe dei padri; ciascuno morrà per il proprio peccato. Questa affermazione non è solo dei Profeti 76 ma anche della Legge, la quale dice che ciascuno dovrà essere tolto di mezzo a causa della propria colpa, non per quella di suo padre o di suo figlio. Che significa allora ciò che è detto in un altro passo: Dio punisce i peccati dei genitori sui figli sino alla terza e quarta generazione? Quest’ultima affermazione va forse intesa riguardo ai figli non ancora nati a proposito del peccato originale, che il genere umano contrae per eredità da Adamo; quell’altra frase invece fa distinzione riguardo ai figli già nati di guisa che ciascuno muore a causa del proprio peccato? Poiché non contrae nulla per eredità dal padre chi era già nato quando suo padre peccò. Ma poiché anche vi si dice: per coloro che mi odiano 77, è chiaro che quella condizione si può revocare se i figli non imiteranno le azioni dei loro genitori. Poiché anche il peccato derivante da Adamo viene imputato per questa vita, poiché tutti muoiono a causa di esso, ma non viene imputato in eterno a coloro che saranno stati rigenerati spiritualmente mediante la grazia e avranno perseverato in essa sino alla fine. Se non che, se vengono imputati i peccati dei padri sui figli per coloro che odiano Dio, fino alla terza e alla quarta generazione, per qual motivo - possiamo domandarci con ragione - non si dice nulla della prima e della seconda o non vengono imputati alle altre generazioni nel caso che i bambini continuassero a imitare l’empietà e la cattiva condotta dei loro padri? Con questo numero ha forse voluto l’agiografo indicare la totalità, per il fatto che si sottintende il sette: e non scrisse piuttosto precisamente " sette ", dicendo " fino alla settima generazione ", e così sarebbe intesa la totalità, poiché in questo modo risalta meglio la causa per la quale ha la sua perfezione questo numero? Esso infatti è considerato perfetto poiché consta di questi due numeri, cioè del tre, che è il primo numero dispari intero, e del quattro, che è il primo numero pari intero. Da questo fatto io credo che derivi l’espressione del Profeta, ripetuta più di una volta: Per tre e per quattro empietà non mi rimuoverò [dalla mia decisione] 78, con la quale volle indicare tutte le scelleratezze piuttosto che soltanto tre o quattro.
È raccomandato di rendere giustizia a tutti, specie alle vedove.
43. (24, 17) Non farai deviare la giustizia dovuta all’immigrato, all’orfano e alla vedova, non prenderai in pegno il vestito della vedova. Perché Mosè non dice: e non prenderai in pegno il loro vestito?. Per qual motivo è proibito di violare il diritto di queste tre classi di persone, mentre è proibito di prendere in pegno il vestito della sola vedova e non anche il vestito di quelli, se non per il motivo che è raccomandato di rendere giustizia a tutti, poiché non hanno alcuno che li difenda né il forestiero per il fatto di trovarsi in un paese straniero, né l’orfano, cioè il pupillo poiché non ha i genitori, né la vedova perché non ha marito? Quando, al contrario, è proibito di prendere in pegno il vestito di una vedova, io penso che ciò sia un insegnamento assai ingegnoso, nel senso che si devono chiamare veramente vedove quelle che sono anche povere. La stessa cosa lascia intendere chiaramente anche l’Apostolo allorché dice: Se invece una vedova ha dei figli o dei nipoti, impari in primo luogo a governare la propria casa con lo spirito di fede e amore e a rendere il contraccambio ai genitori, poiché ciò è gradito a Dio. La donna poi che è veramente vedova ed è rimasta assolutamente sola, ha riposto la speranza nel Signore e continua con costanza a pregare giorno e notte 79. Chiama vedova davvero quella che non ha alcuno che l’aiuti, poiché non solo è senza marito ma anche senza discendenti e priva di ogni sorta di risorse; naturalmente non chiamerebbe assolutamente sola una che è ricca. Alla vedova povera non si deve perciò portare via il vestito che si ha in pegno, poiché per il fatto stesso che il legislatore proibisca di portarle via il vestito, si dimostra che è povera. Il creditore infatti le porterebbe via piuttosto il denaro o qualsiasi altra cosa, anziché il vestito. D’altra parte può presentarsi alla mente la seguente obiezione: Ma se avesse molti vestiti non necessari ma superflui, in qual modo si potrebbe credere che sia veramente vedova, vale a dire non solo completamente sola ma anche che non trascorre la vita nei piaceri? Parlando di una certa vedova l’Apostolo soggiunge: Quella però, la quale passa la vita nei piaceri, anche se vive, è già morta 80. L’Apostolo contrappone questa vedova a una vera vedova, come se una siffatta vedova non fosse una vera vedova. Nelle vedove ricche - quali che siano - che non hanno voluto rimaritarsi si loda la continenza, non se ne sottolinea l’essere assolutamente sole, poiché sono rimaste prive solo dei mariti ma non delle altre cose.
Ciò che si abbandona nei campi sia dei poveri.
44. (24, 19) Quanto al testo della Scrittura in cui si ordina che, nella mietitura, nessuno raccolga un mannello [di spighe] lasciato per dimenticanza né l’oliva o l’uva abbandonata e nessuno torni indietro a raccogliere con più attenzione quanto è rimasto abbandonato per negligenza e dice che si devono lasciare ai poveri, al pensiero si presenta forse un’obiezione: Che dire se i frutti dei campi lasciati dai padroni li raccoglieranno i furbi e non i poveri? Si deve però considerare in primo luogo che la persona che lascia queste cose lo fa mosso da misericordia con l’intenzione che sia dei poveri ciò che abbandona. In secondo luogo quando si danno al popolo tali precetti, nello stesso tempo a coloro che non ne hanno bisogno si raccomanda di non andare in cerca di ciò che viene lasciato [nei campi]. Se però ne andranno in cerca, che dobbiamo pensare di loro se non che s’impadroniscono di beni altrui e, quel che è più grave, di beni dei poveri? Da questi precetti vengono menzionati dunque le due classi di persone: non solo i padroni dei campi, affinché lascino per spirito di misericordia quelle cose, ma anche coloro che non sono poveri, affinché si astengano [dal raccoglierle] dal momento che ambedue queste cose vengono dette: sia da chi devono essere lasciate, sia per chi devono essere lasciate.
Distinzione fra empietà lieve ed empietà grave.
45. (25, 1-3) Quando ci sarà una lite fra uomini e questi si presenteranno al tribunale e giudicheranno e giustificheranno il giusto. Si deve pensare che sono i giudici a dover giudicare, non coloro che - a detta dell’agiografo - hanno una lite tra loro. Il testo prosegue dicendo: e condanneranno l’empio e avverrà che se l’empio sarà degno di battitura, lo porrai davanti ai giudici che lo faranno flagellare davanti a loro in proporzione alla loro empietà. Lo faranno flagellare con quaranta frustate senza aggiungerne di più, poiché, se continueranno a farlo flagellare con un numero maggiore di colpi, tuo fratello resterà umiliato davanti a te. Occorre fare molta attenzione. Sebbene la Scrittura comandi di castigare con frustate i peccati che non meritano di essere puniti con la pena di morte, e con tanto poche battiture, chiama tuttavia empio oppure " individuo che agisce empiamente " chi viene sottoposto alla flagellazione, per farci sapere che le Scritture non parlano come parlano tante e tante persone. Noi le leggiamo con troppo poca attenzione, se pensiamo che non sia un’empietà l’adulterio in quanto sembra che chi lo commette lo commetta solo contro una persona umana, sebbene la legge ordini di punire quel peccato con la pena di morte 81, e noi diciamo che le empietà sono più gravi di tali peccati, poiché alcune di esse vengono punite solo con quaranta colpi di frusta. C’è dunque un’empietà lieve che merita solo la flagellazione e c’è un’empietà grave che merita la pena di morte. Parimenti anche dei peccati che sembrano essere commessi non contro Dio ma contro una persona umana, alcuni meritano la pena di morte, altri invece meritano solo una correzione data o con la flagellazione o con un perdono più facile. È noto a tutti che i traduttori [detti] i Settanta hanno esposto lo stesso concetto poiché anch’essi hanno denotato come empietà il peccato di colui che merita la flagellazione.
Su l’obbligo di sposare le moglie del fratello defunto.
46. 1. (25, 5-6) Se dei fratelli abiteranno insieme e uno di loro morirà senza avere discendenti, la moglie del defunto non apparterrà a un uomo di fuori, che non sia un parente; il fratello di suo marito andrà da lei e la prenderà in moglie e abiterà insieme con lei. E avverrà che, quale che sia il figlio che nascerà, sarà riconosciuto come discendente legale con il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele. Sembra che l’obbligo, imposto dalla legge agli Israeliti, di sposare la moglie di un fratello, avesse l’unico scopo di procurare la discendenza al fratello defunto senza figli. Quanto poi alla frase: Sarà costituito discendente mediante il nome del defunto e così il suo nome non sarà cancellato da Israele, cioè il nome del defunto, sembra voglia indicare che il bambino, che nascerà, viene ad essere in certo qual modo suo discendente prendendo il nome che portava il defunto. Ecco perché ho ritenuto più plausibile risolvere, conforme al costume dell’adozione, il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe 82, uno menzionato da Matteo 83, cioè quello che generò Giuseppe, l’altro menzionato da Luca 84, quello di cui Giuseppe era figlio, poiché Giuseppe non aveva ricevuto il nome di nessuno di essi. Può darsi tuttavia che la frase: sarà costituito erede legale come discendente, grazie al nome del defunto, significhi non che riceve il nome di lui, ma che il bambino è stabilito erede legale grazie al nome di lui, cioè come figlio non di colui dal cui seme è stato generato, ma del defunto per il quale è stata procurata la discendenza. Quanto alla frase con la quale il testo prosegue: e così non sarà cancellato da Israele il suo nome, può intendersi non già nel senso che il bambino prenderebbe il nome di lui, ma nel senso che questo non sarà considerato come uno morto senza lasciare figli e perciò il suo nome, vale a dire il suo ricordo, rimarrà a lungo. In realtà, anche se il figlio lo avesse generato lui, non gli avrebbe imposto il proprio nome per far sì che il suo nome non fosse cancellato da Israele; ma in realtà il proprio nome non sarebbe stato cancellato proprio perché sarebbe partito da questa vita lasciando dei figli. E al fratello si fa obbligo di compiere con la moglie di lui ciò che non fu in grado di fare quello. Ora, anche se non avesse avuto un fratello, un altro parente sposava la moglie di colui che fosse morto senza figli, per procurare discendenti a suo fratello, come fece Booz prendendo in moglie Rut, per dare un discendente al suo parente di cui essa era stata moglie ma dal quale non aveva avuto figli. Cionondimeno il figlio nato da lei fu costituito erede legale del defunto in virtù del nome poiché fu chiamato suo figlio - e così avvenne che il nome del defunto non fu cancellato da Israele -, senza che tuttavia il bambino si chiamasse con il nome di lui 85.
Il problema che si trova nel Vangelo circa i due padri di Giuseppe.
46. 2. Stando così le cose, la questione che si presenta nel Vangelo si può risolvere con un’altra fondata ipotesi: potrebbe cioè darsi che uno dei due ascendenti menzionati come persone distinte da Matteo e da Luca 86, sarebbe stato parente dell’altro per sposarne la moglie avendo potuto avere parenti e antenati anche in linea ascendente diversi da quelli dell’altro. Poiché, se fossero stati figli di fratelli, avrebbero avuto uno stesso nonno. Ma non è così, poiché secondo Matteo il nonno di Giuseppe è Matan, secondo Luca invece non è Matan ma Matat. E se uno pensasse che si tratti solo della somiglianza del nome che i copisti lo trascrissero sbagliando soltanto l’ultima lettera e così la differenza risulta tanto piccola e quasi di nessun peso, che dirà dei padri di questi due?. Poiché, secondo Luca, Matat era figlio di Levi, secondo Matteo invece Matan risulta figlio di Eleazar; e così ripercorrendo la genealogia in linea ascendente risultano differenti i padri e i nonni e in seguito gli antenati fino a Zorobabel che secondo Luca è, a un dipresso, il ventesimo in linea ascendente a partire da Giuseppe, mentre secondo Matteo è l’undicesimo. Si crede che egli sia il medesimo per il fatto che in ambedue gli Evangelisti si trova suo padre essere Salatiel. Sarebbe tuttavia possibile che esistesse un’altra persona dello stesso nome avente un padre chiamato con lo stesso nome del padre dell’altra. In effetti anche a partire da lui in linea ascendente gli antenati sono diversi in quanto, secondo Luca, Zorobabel ha un nonno chiamato Neri, secondo Matteo invece ne ha un altro chiamato Ieconia, e da qui in su non c’è mai accordo fino a quando non si arriva a Davide, attraverso Salomone secondo Matteo e attraverso Natan secondo Luca. Sembra però assai difficile supporre che, per sposare la moglie di suo fratello, non ci fosse un parente più prossimo di un parente da parte di Davide in un grado così lontano che non aveva con il marito defunto alcun altro legame di parentela, essendo Davide, secondo Luca, a un di presso il quarantesimo antenato di Giuseppe, secondo Matteo invece all’incirca il ventisettesimo. Tuttavia, se a sposare le vedove dei loro fratelli si cercavano anche i congiunti da parte delle donne, poté accadere che uno, il quale avesse una parentela tanto vicina, generasse Giuseppe unendosi con la moglie di un suo stretto congiunto morto senza figli e così avrebbe avuto due padri, uno naturale e l’altro legale, senza che nel seguito della genealogia appaia alcuna traccia di parentela nei padri, nei nonni e negli antenati più lontani per il fatto che la loro parentela era non da parte degli uomini, ma delle donne. Tuttavia, se la cosa stesse così, allora non si risalirebbe a Davide come al capostipite comune. Oppure, se si sostiene che le donne poterono essere registrate invece dei mariti nella genealogia, dove le registrerò io quando la Scrittura non ha questa abitudine, come nessun Evangelista le inserì [nella genealogia di Cristo]? Quando infatti vengono citate le madri, non vengono menzionate senza nominare anche i loro padri. E perciò o non c’era un parente più prossimo per unirsi con la moglie del defunto in modo da risalire all’origine della parentela di Davide oppure l’adozione fece sì che Giuseppe avesse un altro padre.
Le feste parentalia.
47. (26, 14) Che significa il fatto che tra le altre cose che Mosè ordina siano dette dall’uomo a cui era ordinato di dare o spendere qualunque cosa nel dare la decima e allo stesso che aveva eseguito tutti quei comandamenti ordina di dichiarare anche quanto segue elogiando ed esaltando se stesso: Nulla di ciò ho offerto in onore di un morto? Sono forse proibite con ciò le feste dette parentalia che sogliono essere celebrate dai pagani?
Come si può intendere andare a destra.
48. 1. (28, 13-14) Non devierai da nessuna delle parole che oggi io ti comando, andando a destra o a sinistra, per seguire altri dèi e rendere loro culto. Ci si può chiedere come mai può intendersi che vada verso la destra chi va dietro altri dèi per rendere loro culto quando della destra si parla per indicare un pregio, mentre l’adorazione degli dèi non potrebbe essere mai un’azione lodevole poiché anche quanto al fatto che viene biasimato chi nella via della vita si scosta verso la destra, non viene però biasimato anche ciò che è alla destra, ma colui che si volge a destra, chi cioè si arroga ciò che è di Dio. Ecco perché nei Proverbi si dice: Non piegare né a destra né a sinistra, poiché le vie che sono a destra le conosce il Signore, ma quelle che sono a sinistra sono vie perverse 87. Sono quindi buone le vie di destra che il Signore conosce, poiché il Signore conosce le vie dei giusti 88, come si legge nel Salmo. Il motivo per cui è detto: non piegare a destra, viene spiegato dalla frase aggiunta di seguito: poiché sarà lui a rendere diritte le tue vie. Noi però non pensiamo affatto che non siano rette le vie di destra conosciute dal Signore, ma - come ho detto - piegare verso le vie di destra non è l’effetto della grazia del Signore, ma è volere arrogarsi ciò che è retto. Alla fine - come ho detto - l’agiografo continua e dice: Lui stesso infatti renderà diritte le tue vie e i tuoi viaggi guiderà in pace 89.
48. 2. Perciò quello che si dice in questo passo del Deuteronomio, di cui trattiamo: Non ti scosterai da nessuna delle parole che oggi ti comando, andando a destra o a sinistra per seguire altri dèi e rendere culto ad essi, non è detto nel senso che altri dèi possano essere considerati come di destra; ma o vengono indicati luoghi della terra, poiché a destra o a sinistra [delle vie] i pagani che adoravano altri dèi avevano luoghi destinati ai sacrifici per gli dèi, oppure ciò si deve intendere separatamente di altri dèi, di modo che la frase può essere intesa in due sensi, di cui l’uno sarebbe: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti prescrivo andando a destra o a sinistra, ossia secondo il senso da me spiegato più sopra; l’altro senso invece sarebbe: andando dietro altri dèi per rendere culto ad essi, sottintendendosi anche qui: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che oggi ti do. Se volessimo esprimere questo senso completo della frase dovremmo ripetere le parole precedenti, che sono comuni ad ambedue i sensi, in modo che allo stesso modo che nel primo caso è detto: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti do oggi andando a destra o a sinistra, così nell’altro caso si dovrebbe ripetere: non ti scosterai da nessuno dei comandamenti che ti prescrivo oggi andando dietro dèi stranieri per rendere culto ad essi. In effetti allontanandosi uno dai comandamenti prescritti gli avviene anche che trasgredisca il comandamento di non seguire altri dèi. Certo questo non è l’unico comandamento, o è solo del comandamento di non seguire altri dèi che Dio non vuole che ci si dimentichi, ma è di tutti i comandamenti; tuttavia volle sottolineare soprattutto questo comandamento di guisa che, dopo aver enunciato genericamente il precetto con il quale ordinò di non allontanarsi da nessuno dei suoi comandamenti, lo volle prescrivere anche in modo particolare.
48. 3. Pertanto l’espressione: a destra o a sinistra si potrebbe intendere anche nel senso che Dio comandò di non seguire altri dèi né a motivo di ciò che si brama per avere la felicità, né di ciò che si sfugge per evitare l’infelicità, cioè che, né per ciò che si ama né contro ciò che si odia, non si deve chiedere aiuto ad altri dèi, o almeno non in modo da cattivarsene il favore perché porgano aiuto o da renderli benevoli perché non arrechino danno, poiché anche di certuni sta scritto nel Salmo: La loro bocca dice menzogne e la loro destra è una destra di iniquità, poiché credono che uno diventi felice mediante le cose che possono essere possedute sia dai buoni che dai cattivi; e perciò la loro è una destra di iniquità, poiché sono iniqui coloro i quali credono che sia essa la destra; non è infatti la vera destra, ma la destra di coloro la cui bocca dice menzogne; chiamarono felice il popolo che possiede queste cose, quando al contrario - come l’agiografo subito dopo aggiunge e insegna - felice è il popolo di cui Dio è il Signore 90. È questa la vera destra della giustizia, non dell’iniquità. Non si devono dunque seguire dèi diversi né a destra in modo che l’uomo creda di diventare felice grazie ad essi, né a sinistra di modo che, credendo che qualora gli fossero avversi, diverrebbe infelice, li adori per tener lontano da sé una tale sciagura. O almeno, se pensiamo che la destra sono i beni eterni, la sinistra invece quelli temporali, si deve credere che la sacra Scrittura in questo passo ammonisca di non adorare gli dèi stranieri né per quei beni né per questi.
Il Deuteronomio è chiamato seconda legge.
49. (29, 1) Queste sono le parole dell’alleanza che il Signore ordinò a Mosè di stabilire con i figli di Israele nella terra di Moab, oltre l’alleanza che aveva concluso con essi sull’Oreb. Questo passo mostra perché questo libro si chiama Deuteronomio, per così dire " la seconda legge "; in esso c’è piuttosto la ripetizione della prima legge che non qualcos’altro di diverso; poiché sono poche le cose che non si trovano in quella che fu data la prima volta. Tuttavia questi non sono chiamati due Testamenti, sebbene sembri che suonino così queste parole; in realtà l’una e l’altra alleanza è una sola, che nella Chiesa viene chiamata " Antico Testamento ". Se infatti, a causa dell’espressione del passo ora esaminato, si dovesse parlare di due " Testamenti " non sarebbero più due ma molti di più, senza contare il Nuovo Testamento. Poiché la Scrittura parla di alleanza in molti passi, come quella fatta con Abramo relativa alla circoncisione 91, oppure quell’altra più antica fatta con Noè 92.
Ci sono anche occhi detti occhi del cuore.
50. (29, 2-4) Voi avete visto tutto ciò che il Signore vostro Dio fece sotto i vostri occhi nella terra d’Egitto contro il Faraone, contro tutti i suoi servi e contro tutto il suo paese, le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, quei segni e prodigi grandiosi e la sua mano potente. Ma fino ad oggi il Signore vostro Dio non vi ha dato un cuore per conoscere né occhi per vedere né orecchie per udire. In qual modo allora prima è detto: Voi avete visto le grandi prove che hanno visto i tuoi occhi, se il Signore non aveva dato loro occhi per vedere e orecchie per udire, se non perché videro con i sensi del corpo, ma non con quelli del cuore? Poiché ci sono anche occhi detti occhi del cuore. Ecco perché Mosè prese a dire così: Ma il Signore Dio non vi diede il cuore per conoscere. In relazione con questo asserto sono le due affermazioni successive: [non diede] né occhi per vedere né orecchi per udire, cioè per capire e ubbidire. Quanto invece si dice nella frase: ma il Signore Dio non vi diede, Mosè non l’avrebbe detto affatto rimproverando e accusando, se non avesse voluto che s’intendesse che si riferiva anche alla loro colpa, affinché nessuno si reputasse scusabile per quel fatto. Poiché allo stesso tempo dimostra che essi senza l’aiuto del Signore Iddio non potevano comprendere né ubbidire né con gli occhi né con gli orecchi del cuore. E tuttavia, qualora mancasse l’aiuto di Dio, non per questo è scusabile il peccato dell’uomo poiché i giudizi di Dio, quantunque segreti, sono giusti 93.
Gli Israeliti in fuga dall’Egitto portarono con sé il vino.
51. (29, 5-6) E vi ha condotti per quarant’anni nel deserto; i vostri vestiti non si sono invecchiati e le vostre calzature non si sono logorate ai vostri piedi; non avete mangiato pane, non avete bevuto né vino né sicera, affinché sappiate che è lui il Signore vostro Dio. Da ciò si vede che gli Israeliti quando uscirono dall’Egitto poterono portare nel loro bagaglio tanto vino quanto ne potevano consumare presto. Poiché, se non ne avessero portato con loro assolutamente nulla, come sarebbe potuto avvenire il fatto narrato così nella Scrittura: Il popolo si sedette a mangiare e bere e poi si alzarono per divertirsi 94? Ciò infatti non potrebbe dirsi dell’acqua, poiché le parole di Mosè ci fanno capire assai chiaramente che quelle voci non erano grida di guerra ma di persone ubriache 95.
In che senso tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo.
52. (29, 18. 21) C’è forse tra voi, uomo o donna, famiglia o tribù, il cui pensiero si allontani dal Signore vostro Dio per andare a rendere culto agli dèi di quelle nazioni? C’è forse tra voi qualche radice il cui germoglio produca veleno e amarezza? E avverrà che quando ascolterà le parole di questa maledizione e in cuor suo concepirà una buona opinione di se stesso dicendo: Mi succedano cose sante, poiché cammino nel traviamento del mio cuore, affinché il peccatore non mandi in rovina allo stesso tempo chi è senza peccato. Dio non gli accorderà il perdono, ma allora l’ira del Signore e la sua gelosia s’infiammerà contro quell’uomo e aderiranno a lui tutte le imprecazioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge. Il testo dice: Vi è tra voi forse qualcuno? per farci intendere la frase come se fosse detta da uno che fa una domanda cercando di sapere se per caso ci fosse qualcuno. Poiché se ce ne fosse stato qualcuno, sarebbe stato colpito da un gran terrore, perché nessuno all’udire quelle imprecazioni dicesse in cuor suo: siano per me sante, cioè siano per me sante quelle imprecazioni, poiché io cammino nel traviamento del mio cuore, seguendo così gli dèi dei pagani e rendendo loro il culto, come se ciò avvenisse impunemente. Ma non sarà così - risponde il Signore - il peccatore non mandi in rovina chi è senza peccato; come se dicesse: " badate bene che colui, il quale la pensa così, non persuada nessuno di voi a fare tali cose ". Dio non accorderà il perdono né a chi la pensa così né a chi ne resterà persuaso, come pensava quell’empio dicendo: Mi succedano cose sante, e per così dire distogliendo da sé l’efficacia di quella maledizione. Ma allora s’infiammerà l’ira e la gelosia del Signore contro quell’individuo. Dal momento che crederà di distoglierla da lui dicendo quell’espressione in cuor suo. E gli resteranno aderenti addosso tutte le maledizioni di questa alleanza scritte nel libro di questa legge. Per la verità non tutte le maledizioni possono incogliere un solo individuo, poiché un solo individuo non può nemmeno morire tante volte quante sono le specie di morte qui menzionate, ma il testo dice tutte per " qualsiasi maledizione ", in modo che non rimarrà immune da tutte colui sul quale si abbatteranno alcuni dei malanni a causa dei quali dovrà morire. Quanto all’espressione: E nello stesso tempo il peccatore mandi in rovina chi è senza peccato - ciò nel testo greco è detto - non dev’essere inteso come se l’agiografo con il termine volesse indicare uno del tutto puro ed immune da ogni peccato, ma colui che era senza il peccato di cui si parlava. Allo stesso modo nel Vangelo il Signore dice: Se io non fossi venuto e non avessi parlato loro, non avrebbero il peccato 96; ora non si tratta qui di ogni sorta di peccati in generale, ma di quello che avevano commesso rifiutandosi di credere in lui. Anche Dio, a proposito di Sara, moglie di Abramo, dice di Abimelech: So che hai fatto ciò con cuore puro 97; ora naturalmente Dio non voleva fare intendere che il cuore di quel re fosse simile a quello di coloro dei quali è detto: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio 98, ma aveva il cuore puro rispetto al peccato di cui si trattava, poiché, per quanto dipendeva da lui, non aveva desiderato la moglie altrui.
Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia.
53. (30, 6) Il Signore purificherà il tuo cuore e il cuore dei tuoi discendenti affinché possiate amare il Signore tuo Dio con tutto il tuo cuore e con tutta l’anima tua perché tu viva. Questa è un’evidente promessa della grazia, poiché Dio promette di fare lui ciò che suole comandare che si faccia.
Anche le opere devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l’amore.
54. (30, 11-14) Poiché questo comandamento che ti ordino oggi non è di un peso eccessivo per te e non è lontano da te; non è in cielo dicendo - cioè perché tu dica - Chi salirà per noi fino in cielo e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica? E neppure è di là dal mare dicendo - cioè perché tu dica - Chi attraverserà per noi il mare e ce lo prenderà e ascoltandolo lo metteremo in pratica? Vicina a te è questa parola, assai vicina, nella tua bocca e nel tuo cuore e nelle tue mani perché tu la metta in pratica. L’Apostolo afferma che questa è la parola della fede 99 che è propria del Nuovo Testamento. Possiamo però chiederci perché chiama comandamenti le precedenti prescrizioni scritte nel libro di questa legge 100. Le chiama così perché, se vengono comprese nel senso giusto, sono tutte prefigurative di realtà spirituali proprie del Nuovo Testamento. Possiamo chiederci ugualmente perché l’espressione usata in questo testo: E non è neppure di là dal mare perché tu debba dire: Chi attraverserà il mare per noi e ce lo prenderà? è citata dall’Apostolo come segue: o chi scenderà nell’abisso? ed esponendo questa frase aggiunge: cioè per far risalire il Cristo di tra i morti 101. Ora Paolo dà il nome di mare a tutta la vita di quaggiù che si finisce di traversare con la morte così che in certo qual modo si arriva all’estremità del mare di là dal quale s’incontra la morte, come di là da questa vita che qui è paragonata al mare. L’Apostolo inoltre non riporta l’espressione che segue nel testo: e nelle tue mani, ma solo: nella tua bocca e nel tuo cuore 102, e prosegue poi fino alla fine dicendo: poiché con il cuore si crede per conseguire la giustizia e con la bocca si fa la professione [della fede] per ottenere la salvezza 103. A ragione la versione dall’ebraico - per quanto ho potuto vedere - non ha l’inciso: nelle tue mani. Io tuttavia non credo che i Settanta l’abbiano aggiunto senza una ragione, poiché vollero farci intendere che anche le mani, che simboleggiano le opere, devono essere accolte nel cuore ove si trova la fede che agisce mediante l’amore 104. Poiché se ciò che Dio comanda è compiuto con le mani esteriori e non viene compiuto nel cuore, nessuno è tanto sciocco da pensare che i comandamenti si adempiono così. Tuttavia, se la carità, che è il pieno compimento della legge 105, abiterà nel cuore dell’uomo, quand’anche le mani del corpo fossero ridotte ad un’assoluta impotenza di agire, si possiede ugualmente la pace con le persone di buona volontà 106.
Chi pecca non nuoce a Dio, ma a se stesso.
55. (32, 5) Essi peccarono, non per lui, figli biasimevoli. L’espressione che in greco suona alcuni l’hanno tradotta con figli biasimevoli, come l’ho citata io qui, altri come figli impuri, altri come figli viziosi. Da ciò non sorge un gran problema, anzi nessun problema. Se però l’espressione è detta in senso generale: Peccarono non per lui - poiché chi pecca non pecca contro Dio, cioè non nuoce a Dio, ma a se stesso - allora quell’espressione ci muove giustamente a chiederci in qual senso si deve intendere la frase che si legge nel Salmo: Contro te solo ho peccato 107 e in Geremia: Abbiamo peccato contro di te, speranza d’Israele, o Signore 108, e di nuovo in un altro Salmo si dice: Guarisci l’anima mia, poiché ho peccato contro di te 109; cerchiamo inoltre di sapere se peccare Deo è lo stesso che peccare in Deum. A questo proposito il sacerdote Eli dice: Se uno peccherà contro Dio, chi pregherà per lui? 110 Per il momento dunque dirò ciò che frattanto mi pare giusto. Comprenderanno forse un po’ meglio coloro che di queste cose s’intendono meglio, o anch’io stesso in un altro momento nella misura in cui mi aiuterà il Signore. Peccare in Deum [peccare contro Dio] è peccare in ciò che riguarda il culto di Dio. Infatti l’espressione da me ricordata non indica null’altro di diverso poiché in questo modo peccavano i figli di Eli, ai quali disse ciò il loro padre. In tal modo si deve pensare che si pecca anche contro le persone che appartengono a Dio. Leggiamo infatti che Dio disse ciò ad Abimelech a proposito di Sara: Per questo ti ho preservato dal peccare contro di me 111. D’altronde peccare al Signore, o meglio aver peccato al Signore - salvo che per caso si trovi in qualche passo della Scrittura qualcosa che sia contrario a questo senso - mi pare sia detto giustamente di coloro che non fanno con spirito di fede penitenza dei loro peccati al fine di dar gloria al Signore che li perdona. Ecco perché Davide, indicando il motivo per cui aveva detto: Per te solo ho peccato e ho fatto male al tuo cospetto, soggiunge le seguenti parole: così sarai riconosciuto giusto quando parli e trionferai quando sarai chiamato in giudizio 112; sia quando Dio dice: Giudicate tra me e la mia vigna 113, sia che ciò s’intenda di Gesù Cristo nostro Signore, l’unico il quale poté dire con assoluta verità: Viene infatti il principe del mondo ma contro di me non ha nulla - cioè nessun peccato meritevole di morte - affinché però il mondo capisca che io amo il Padre e che faccio quello che mi ha comandato il Padre; alzatevi e andiamo via di qui 114, come se dicesse: Anche se il principe del mondo perseguita con il castigo della morte i peccati più lievi, contro di me non ha nulla, ma: alzatevi, andiamo via da qui, cioè perché io vada a soffrire la passione poiché con il soffrire io compio la volontà del Padre mio, non sconto la pena del mio peccato; e l’espressione di Geremia: Per te abbiamo peccato, o speranza d’Israele, è senza dubbio una supplica rivolta al Signore quando uno si pente con la speranza della salvezza derivante dal perdono. Anche la frase: Guarisci l’anima mia, poiché ho peccato per te il fine che si propone è lo stesso, che Dio sia glorificato per il suo perdono, poiché grande è la sua misericordia verso coloro che confessano i loro peccati e tornano a lui che dice di non volere la morte del peccatore, ma che si converta e viva 115. Ecco perché anche Davide, non solo nel Salmo ma anche allorquando Dio lo rimproverò per mezzo del Profeta, non senza la speranza del perdono da parte del Signore, rispose: Ho peccato contro il Signore 116. Poiché la persona che si mette sotto la mano di un medico per essere guarita è vista dal medico sotto l’aspetto di un ferito perché si produca in essa tutto l’effetto della medicina. Ora in questo cantico il Profeta prevedeva che ci sarebbero stati alcuni che avrebbero peccato offendendo Dio con le loro iniquità sì gravi, che non avrebbero voluto neppure far penitenza e tornare a Dio per essere guariti. Di costoro anche in un altro passo è detto: Poiché sono carne, un soffio che passa e non ritorna 117. La frase: peccarono non per lui si può intendere anche nel senso che con il loro peccato non recarono danno a lui ma a se stessi.
La benedizione con cui Mosè benedisse i figli di Israele.
56. (33, 1-5) Ed ecco la benedizione con cui Mosè, uomo di Dio, benedisse i figli di Israele prima della sua morte. Ed egli disse: Dio è venuto dal Sinai e rifulse per noi da Seir; e si è affrettato da Paran con molte migliaia di Cades, alla sua destra degli angeli con lui. Ed ebbe pietà del suo popolo e tutti i consacrati sono sotto le sue mani e tutti questi sono sotto di te. E ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci diede come comandamento, eredità per le assemblee di Giacobbe. E ci sarà presso il beneamato un capo, una volta riuniti i capi dei popoli con le tribù d’Israele. Non bisogna passare sopra con indifferenza a questa profezia, poiché questa benedizione riguarda il popolo nuovo, santificato da Cristo nostro Signore in persona del quale queste cose sono dette da Mosè, ma non nella persona dello stesso Mosè, come appare evidente da quanto si dice in seguito. Se infatti è detto: Il Signore è venuto dal Sinai per il fatto che la legge fu data sul monte Sinai, che cosa vuol dire ciò che segue: e risplendette a noi da Seir essendo un monte dell’Idumea, ove era stato re Esaù? D’altra parte, siccome con queste parole Mosè benedice i figli d’Israele, come la Scrittura aveva predetto, come mai lo stesso Mosè dice: e ricevette dalle sue parole la legge che Mosè ci ha dato in comandamento? Si tratta dunque senza dubbio - come abbiamo detto - di una profezia, che prediceva il popolo nuovo santificato dalla grazia denotato con il nome di " figli d’Israele ", poiché esso è discendente di Abramo, sono cioè figli della promessa 118 e significa: [Lo spirito] " che vede Dio " 119. Di conseguenza come Signore, che venne dal Sinai, dobbiamo intendere Cristo, poiché Sinai vuol dire " prova " 120. Cristo venne dalla prova della Passione, della Croce e della morte e rifulse per noi da Seir. Seir significa " villoso " 121, che simboleggia il peccatore; così infatti era nato Esaù 122, l’" odiato " 123. Ma poiché a coloro che abitavano nelle tenebre e nell’ombra della morte sorse un grande splendore 124, perciò rifulse da Seir. Allo stesso tempo non è irragionevole intendere anche che fu predetto che la grazia di Cristo sarebbe venuta al popolo israelitico dai pagani che sono simboleggiati nel nome Seir, poiché è un monte appartenente a Esaù. L’Apostolo perciò dice: Così anch’essi adesso sono increduli per la misericordia usata [da Dio] verso di voi affinché ottengano misericordia anch’essi 125. Essi dunque dicono: [Il Signore] ci è apparso nel suo fulgore da Seir. E si è affrettato dal monte Faran - cioè dal monte abbondante di frutti, poiché questo è il significato di Faran, che è il simbolo della Chiesa - con molte migliaia di Cades. Cades poi significa: " mutata " e " santità ". Molte migliaia di persone si sono quindi cambiate e si sono santificate mediante la grazia: con esse venne Cristo per riunire poi gli Israeliti. Il testo continua dicendo: alla sua destra gli angeli con lui; questa espressione non ha bisogno d’essere spiegata. E concesse il perdono al suo popolo, dice la Scrittura, accordandogli la remissione dei peccati. Il testo sacro rivolge quindi la parola al popolo e dice: E tutti i santificati sono sotto le tue mani e sono sotto di te, naturalmente senza montare in superbia e senza volere stabilire una loro propria giustizia, ma riconoscendo la grazia per sottomettersi alla giustizia di Dio 126. E dalle sue parole - dice il testo sacro - ricevette la legge; la ricevette naturalmente il popolo, del quale la Scrittura dice: e concesse il perdono al suo popolo. Dalle sue parole ricevette dunque la legge, che - dice il testo - Mosè ci ordinò [di osservare]; vale a dire: il suo popolo ricevette dalle sue parole la legge in quanto dal suo insegnamento intese la legge che Mosè ci prescrisse. Poiché lo stesso Cristo disse nel Vangelo: Se credereste a Mosè credereste anche a me, poiché egli scrisse di me 127. Il popolo ebraico non ricevette una legge che non capì, ma la ricevette quando, rimosso [dal loro cuore] il velo antico e convertitosi al Signore, la intese dalle parole di Cristo. La Scrittura dice che questa legge è l’eredità per le assemblee di Giacobbe e deve intendersi come legge non terrena, ma celeste, non temporanea, ma eterna. E presso il beneamato ci sarà - dice il testo sacro - un capo; naturalmente il capo che sarà nel popolo amato è Gesù, nostro Signore, una volta che saranno riuniti i capi dei popoli - cioè dei pagani - insieme con le tribù d’Israele, affinché si adempia ciò che più sopra la Scrittura dice: Rallegratevi, o pagani insieme con il suo popolo, poiché una parte d’Israele è avvolta nella sua cecità fino a quando non sarà entrato [nella salvezza] tutto il resto dei pagani e così tutto Israele sarà salvato 128.
La benedizione di Giuseppe.
57. (33, 17) Mosè nel benedire Giuseppe, tra l’altro disse: primogenito del toro la sua bellezza. Questa espressione non si deve leggere come se fosse detto: primogenito del toro, ma: essendo il primogenito la sua bellezza è quella del toro; l’espressione, a causa dei due corni della croce, va intesa come una prefigurazione del Signore.
1 - Es 10, 1.
2 - Sal 104, 25.
3 - Rm 11, 33.
4 - Cf. Rm 9, 14.
5 - Cf. GIROLAMO, Lib. nom.: CC 72, pp. 70, 87, 97, 134.
6 - De Gn. c. Manich. 1, 17, 27; De divv. qq. 83, 51.
7 - Gn 1, 27.
8 - Gn 1, 26.
9 - Cf. TERTULLIANO, De bapt. 5, 7.
10 - Cf. Es 20, 4.
11 - Gn 1, 1.
12 - Sal 120, 2.
13 - Gn 1, 14.
14 - Cf. Mt 24, 31.
15 - Cf. Nm 1, 20.
16 - Cf. Dt 4, 33.
17 - Cf. Es 33, 11.
18 - Cf. Es 24, 18.
19 - Es 33, 13.
20 - 1 Cor 13, 12.
21 - Mt 5, 48.
22 - Gv 4, 21-24.
23 - Cf. Es 20, 19.
24 - Cf. Es 20, 18-19.
25 - Cf. Es 20, 22.
26 - Cf. Fil 3, 9.
27 - Ez 11, 19; 36, 26.
28 - Ger 31, 31-34.
29 - 2 Cor 3, 3. 6.
30 - Cf. Mt 5, 34.
31 - Dt 13, 3.
32 - Cf. Nm 14, 25; Dt 1, 39.
33 - Cf. 1 Cor 10, 6-9.
34 - Es 34, 27-28.
35 - Cf. Quaest. 2, 166.
36 - Cf. Rm 13, 10.
37 - Es 34, 1.
38 - Es 34, 27-28.
39 - Es 32, 15-16.
40 - Es 31, 18.
41 - Rm 7, 12.
42 - Rm 10, 3.
43 - Es 34, 28.
44 - Cf. Es 34, 1.
45 - Fil 2, 13.
46 - Cf. Rm 10, 3.
47 - Cf. 2 Cor 5, 21.
48 - Fil 2, 12.
49 - Sal 72, 26.
50 - Sal 15, 5.
51 - Cf. Nm 18, 21-32; Dt 18, 1-8; 26, 12.
52 - Cf. Dt 14, 22-23.
53 - Col 1, 18.
54 - Col 1, 15.
55 - 2 Cor 5, 17.
56 - Rm 6, 9.
57 - Prv 31, 2.
58 - Cf. 1 Gv 3, 2.
59 - Es 12, 5.
60 - Cf. 1 Sam 8, 7.
61 - Cf. 2 Sam 5, 13.
62 - Cf. 1 Re 11, 1-6.
63 - Cf. Gdc 6, 37-39.
64 - Cf. Nm 17, 8.
65 - Cf. Dt 24, 3-4; Mt 5, 31; 19, 7; Mc 10, 4.
66 - Cf. Rt 1, 22.
67 - Cf. Mt 1, 5.
68 - Cf. Gn 19, 37-38.
69 - Cf. 1 Cr 2, 11.
70 - Cf. Nm 31, 17-18.
71 - Cf. 1 Sam 21, 10.
72 - Cf. Quaest. 2, 71, 4.
73 - Cf. Dt 22, 21. 24.
74 - 1 Cor 5, 12-13.
75 - Ef 4, 22. 28.
76 - Cf. Ez 18, 18-20.
77 - Es 20, 5.
78 - Am 1, 3.
79 - 1 Tm 5, 4-5.
80 - 1 Tm 5, 6.
81 - Cf. Dt 22, 22.
82 - Cf. De Cons. Ev. 2, 3.
83 - Cf. Mt 1, 16.
84 - Cf. Lc 3, 23.
85 - Cf. Rt 4, 13-17.
86 - Cf. Mt 1, 16; Lc 3, 23.
87 - Prv 4, 27.
88 - Sal 1, 6.
89 - Prv 4, 27 (sec.LXX).
90 - Sal 143, 8. 15.
91 - Cf. Gs 24, 25; Gn 17, 4.
92 - Cf. Gn 9, 9.
93 - Cf. Ap 16, 7.
94 - Es 32, 6.
95 - Cf. Es 32, 6. 18.
96 - Gv 15, 22.
97 - Gn 20, 6.
98 - Mt 5, 8.
99 - Cf. Rm 10, 8.
100 - Cf. Dt 30, 10.
101 - Rm 10, 7.
102 - Rm 10, 8.
103 - Rm 10, 10.
104 - Gal 5, 6.
105 - Cf. Rm 13, 10.
106 - Cf. Lc 2, 14.
107 - Sal 50, 6.
108 - Ger 14, 7-8.
109 - Sal 40, 5.
110 - 1 Sam 2, 25.
111 - Gn 20, 6.
112 - Sal 50, 6.
113 - Is 5, 3.
114 - Gv 14, 30-31.
115 - Cf. Ez 33, 11.
116 - 2 Sam 12, 13.
117 - Sal 77, 39.
118 - Cf. Rm 9, 8.
119 - Cf. GIROLAMO, Lib. interpr. hebr. nom.: CC 72, p. 75.
120 - Cf. GIROLAMO, ibid. p. 88.
121 - Cf. GIROLAMO, ibid. p. 72.
122 - Cf. Gn 25, 25.
123 - Cf. Ml 1, 3; Rm 9, 13.
124 - Cf. Is 9, 2.
125 - Rm 11, 31.
126 - Cf. Rm 10, 3.
127 - Gv 5, 46.
128 - Rm 15, 10; 11, 25-26.
14 - La maniera mirabile in cui Maria santissima celebrava i misteri dell'incarnazione e della natività del Verbo fatto uomo.
La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca642. Chi era tanto fedele nel poco come la Vergine beatissima indubbiamente doveva essere fedelissimo nel molto ed ella, se fu estremamente diligente e sollecita nel gradire i favori minori, di certo lo fu, con ogni abbondanza, anche nel gradire quelli maggiori che ricevette dalle mani dell'Altissimo insieme a tutti noi. Fra di essi occupa il primo posto l'incarnazione del Verbo nelle sue viscere, poiché questa fu l'opera più eccellente e la grazia più sublime delle numerose alle quali si poterono estendere a nostro vantaggio il potere e la sapienza infiniti, congiungendo in una persona la natura divina e la natura umana per mezzo dell'unione ipostatica, che fu il principio di tutte le elargizioni distribuite dall'Onnipotente ai mortali e agli angeli. Con quell'inimmaginabile meraviglia egli si impegnò al punto che non ne sarebbe uscito con tanta gloria se non avesse avuto tra noi qualche garante, nella cui santità e corrispondenza si guadagnasse pienamente il frutto di un così raro beneficio. La suddetta affermazione si capisce meglio considerando ciò che ci insegna la fede, cioè che dalla scienza dell'Eterno fu da sempre prevista l'ingratitudine dei reprobi, e quanto malamente si sarebbero avvalsi di un dono mirabile e singolare come è il fatto che Dio sia divenuto uomo vero, maestro, redentore ed esempio per ciascuno.
643. Quindi, un simile prodigio fu ordinato in maniera che ci fosse chi compensasse la loro ingiuria e la loro offesa e si interponesse con appropriata riconoscenza tra costoro e sua Maestà, per soddisfarlo secondo le nostre possibilità. Questo fu eseguito innanzitutto dall'umanità santissima del nostro salvatore Gesù, che fu il mediatore presso il Padre', riconciliando tutti con lui e scontando le colpe di tutti con sovrabbondante eccesso di meriti; però, dal momento che egli era contemporaneamente Dio vero e uomo vero, pare che per la natura umana sarebbe rimasto ugualmente il debito verso di lui se tra le semplici creature non se ne fosse trovata alcuna che lo saldasse per intero con l'aiuto superno. Tale contraccambio gli fu offerto dalla nostra Regina: ella sola fu la segretaria del gran consiglio e l'archivio dei suoi misteri; ella sola li comprese, ponderò e apprezzò nella misura che poteva essere pretesa dalla natura umana senza divinità; ella sola supplì alla nostra villania e alla scarsezza e grossolanità con cui in confronto si sono mostrati obbligati i figli di Adamo; ella sola placò il suo stesso Unigenito e dette riparazione dell'oltraggio arrecatogli da tutti per non averlo accolto come loro Signore e come vero Dio fatto uomo per riscattarli.
644. Maria ebbe questo impenetrabile arcano talmente fisso nella memoria che non lo dimenticò mai neppure per un istante. Era anche cosciente dell'ignoranza che tanti ne avevano e, allo scopo di ringraziare per esso per sé e per gli altri, faceva parecchie volte genuflessioni, prostrazioni e vari atti di venerazione, ripetendo incessantemente e in molteplici modi la seguente preghiera: «Eccelso sovrano, mi inchino dinanzi a voi, presentandomi a nome mio e di tutti. Vi lodo e benedico per la vostra straordinaria incarnazione, vi confesso e adoro nell'unione ipostatica della natura umana e della natura divina nel Verbo. Se gli infelici discendenti di Eva ne sono all'oscuro o non ne sono convenientemente grati, ricordatevi con pietà che sono in una condizione fragile, inconsapevoli e colmi di passioni, e che non possono venire a voi qualora non vi siano attirati dalla vostra clementissima benignità'. Scusate il difetto di gente così debole! Io, vostra ancella e vile verme, vi magnifico per me e per ognuno di essi con la corte celeste, supplicandovi dall'intimo della mia anima di prendere a cuore la causa dei vostri fratelli e di ottenere loro il perdono. Guardate nella vostra sconfinata misericordia ai miseri che sono nati nel peccato, non si rendono conto del proprio danno e non sanno che cosa fanno né che cosa vada fatto. Vi imploro per il vostro e mio popolo, perché, in quanto siete uomo, siamo tutti della vostra natura: non vogliate dunque spregiarla. Se in quanto Dio attribuite immenso valore alle vostre opere, siano esse il giusto risarcimento, poiché soltanto voi siete in grado di pagare quello che abbiamo ricevuto e dobbiamo all'Altissimo, che vi ha mandato per soccorrere i poveri e per liberare i prigionieri'. Restituite la vita ai morti, arricchite i bisognosi, illuminate i ciechi: siete la nostra salute, il nostro bene e tutto il nostro rimedio».
645. Ella innalzava di continuo e quotidianamente simili orazioni e, in coincidenza della data nella quale l'incarnazione si era realizzata nel suo purissimo grembo, aggiungeva degli esercizi per onorare il sublime evento. Era favorita dall'Eterno più che in altre feste da lei celebrate, giacché la solennità non durava un giorno, ma i nove immediatamente precedenti il venticinque marzo, in cui era avvenuto dopo la preparazione che ho descritto all'inizio della seconda parte, esponendo in nove capitoli le meraviglie che predisposero degnamente colei che doveva concepire il Verbo. Qui è necessario supporre quanto si è già affermato e riassumerlo brevemente per evidenziare come esprimesse di nuovo riconoscenza per quel sommo miracolo. 646. Cominciava dalla sera del sedici marzo e, sino al venticinque, stava ritirata senza mangiare né dormire, assistita dall'Evangelista esclusivamente per la santa comunione. L'Onnipotente le rinnovava tutti i doni che le aveva concesso allora, insieme ad altri del suo Gesù, che, essendo ormai stato generato dalla compassionevole ed eccellente Regina, si incaricava di sostenerla e beneficarla in quell'occasione. Nei primi sei giorni ciò accadeva in questa maniera: per alcune ore della notte ella protraeva le sue solite pratiche e quindi Cristo faceva ingresso nella stanza con la maestà con la quale risiede nell'empireo, scortato da migliaia dei suoi ministri superni, entrando alla sua presenza con tale splendore.
647. L 'accortissima e religiosissima Vergine gli prestava culto con l'umiltà e la riverenza di cui solo la sua smisurata prudenza era capace. Successivamente, era sollevata dai custodi e collocata alla destra di lui sul trono, dove percepiva un'ineffabile unione con la medesima umanità e divinità, che la trasportava e riempiva di gloria e di effetti che è impossibile spiegare a parole. Lì il Signore compiva un'altra volta in lei i prodigi di un tempo, facendo corrispondere il primo giorno al primo, il secondo al secondo e così via, e li accompagnava con elargizioni conformi allo stato attuale di entrambi. Benché Maria avesse sempre la scienza abituale di quanto aveva inteso in passato, diversamente il suo intelletto era applicato ad usarla con più chiarezza ed efficacia.
648. Nel primo giorno le era mostrato tutto quello che il supremo sovrano aveva fatto nel primo della creazione: in che ordine e in che modo erano sorte le cose spettanti alla giornata; il cielo, la terra e gli abissi con la loro lunghezza, larghezza e profondità; la luce, le tenebre e la loro separazione con le varie condizioni e proprietà di tali realtà visibili. Riguardo a quelle invisibili, poi, aveva notizia dell'origine degli angeli, delle loro distinzioni e doti, del periodo in cui erano rimasti in grazia, della discordia tra gli apostati e gli obbedienti, della caduta degli uni e della confermazione in grazia degli altri, nonché di tutto il resto che Mosè misteriosamente incluse nelle opere del primo giorno. Era parimenti informata degli scopi che Dio aveva per comunicarsi e rivelarsi attraverso di esse, affinché gli esseri spirituali e i mortali lo conoscessero e lodassero. Dal momento che la ripetizione non era sterile, il Figlio le diceva: «Colomba mia, su tutto questo, attuato dal mio infinito potere, vi ho istruito prima di prendere carne nel vostro talamo castissimo, per manifestarvi la mia grandezza. Lo faccio ancora per riconsegnarne a voi il possesso e il dominio come a mia vera Madre, che gli angeli, il cielo, la terra, la luce e le tenebre devono servire con docilità, e perché magnifichiate convenientemente il Padre per quanto la progenie di Adamo non sa apprezzare».
649. Ella soddisfaceva pienamente la sua volontà e il debito con atti di gratitudine a nome proprio e di tutti, non cessando né questi né altri arcani esercizi sino a quando il suo Unigenito non la lasciava. Nel secondo giorno, alla stessa maniera, il Salvatore scendeva a mezzanotte e ravvivava in lei la cognizione del secondo della creazione: la fondazione del firmamento in mezzo alle acque per dividere le une dalle altre; il numero e la disposizione dei cieli; la loro struttura, armonia, qualità, dimensione e bellezza. La Signora penetrava tutto infallibilmente, come si era verificato e senza opinioni, sebbene fosse al corrente di quelle dei dottori e dei commentatori. Nel terzo giorno le era palesato ciò che di esso riferisce la Scrittura , cioè come l'Eterno avesse riunito le acque che stavano sulla terra e formato il mare, scoprendo il suolo perché desse frutti, come subito fece al suo comando producendo germogli, erbe, alberi e altre cose che lo adornano. Le erano svelate le caratteristiche di tali piante e in che modo potevano essere utili o nocive. Nel quarto giorno comprendeva la costituzione del sole, della luna e delle stelle; la loro materia e configurazione, le loro peculiarità, i loro influssi e i movimenti con i quali regolano gli anni, le stagioni e le giornate. Nel quinto giorno apprendeva la nascita degli uccelli e dei pesci, che aveva avuto luogo dalle acque; come era avvenuta al principio e come si conservavano e moltiplicavano; le specie e le particolarità di quelli e degli altri animali. Nel sesto giorno era illuminata sulla genesi dell'uomo, fine di tutto; sulla sua composizione e perfezione, in cui tutto era racchiuso; sull'incarnazione, alla quale era ordinata, e sugli altri segreti della somma provvidenza che conteneva, attestandone l'immensa maestà.
650. Quotidianamente intonava un cantico ad esaltazione dell'Onnipotente per quanto aveva realizzato nel giorno corrispondente e per quanto ne apprendeva. Quindi, lo implorava intensamente per l'umanità, specialmente per i credenti, affinché fossero riconciliati con lui e avessero intelligenza di lui e delle sue opere, perché in esse e per esse lo incontrassero, amassero e celebrassero. Ponderando sia l'ignoranza di tanti, che non sarebbero giunti a questo e alla fede che avrebbero potuto ottenere, sia la tiepidezza e negligenza dei cattolici che, pur ammettendole, non ne sarebbero stati abbastanza obbligati, compiva esercizi eroici e mirabili per compensare simili difetti. Gesù la sublimava proporzionatamente con una nuova partecipazione della sua divinità, cumulando in lei quello di cui costoro si rendevano indegni per la loro riprovevole dimenticanza. Le conferiva una rinnovata autorità sulle opere del giorno, perché le fossero sottomesse confessandola genitrice del loro Autore, che la stabiliva suprema Regina di tutto ciò che aveva chiamato all'esistenza nell'universo intero.
651. Nel settimo giorno tali benefici le erano accresciuti, poiché da allora non veniva il nostro Maestro dall'empireo, ma era lei ad essere sollevata lassù, come era accaduto al tempo dell'incarnazione. Per ordine dell'Altissimo, i custodi ve la trasferivano a metà della notte e, mentre ella lo adorava, i serafini la avvolgevano in un abito più puro e candido della neve e più fulgido del nostro astro. La cingevano con una cintura di pietre così pregiate e inestimabili che in natura non si trova nulla di paragonabile, giacché ognuna sorpassava in splendore il medesimo globo del sole, anzi di parecchi soli, se questi si congiungessero; poi, le ponevano collane, braccialetti ed altri gioielli, commisurati alla persona che li accoglieva e a chi li concedeva, perché erano portati con ammirevole riverenza dal trono stesso della beatissima Trinità. Ciascun monile significava in modo diverso la comunicazione che essa faceva delle proprie eccezionali prerogative, e inoltre anche i sei serafini che la decoravano rappresentavano il mistero del loro servizio.
652. Ai primi angeli ne succedevano ancora sei, che abbellivano ulteriormente Maria come ritoccandone le facoltà e accordando a tutte una grazia che non è esprimibile a parole, e quindi ne seguivano altri sei, i quali le davano qualità e lume che elevavano il suo intelletto e la sua volontà per la visione e fruizione beatifica. Dopo averla resa tanto stupenda, la innalzavano insieme, in numero di diciotto, e la collocavano alla destra di Cristo. Ella era interrogata su che cosa desiderasse e, vera Ester, dichiarava: «Chiedo misericordia per il mio popolo e, a nome suo e mio, bramo di ringraziarvi del generosissimo dono che gli avete dispensato assumendo la forma umana nel mio grembo per redimerlo». A tali affermazioni e domande ne aggiungeva altre di incomparabile carità e sapienza, pregandolo per tutti e principalmente per la Chiesa.
653. Egli parlava con l'Eterno e proclamava: «Vi benedico, Padre mio, e vi offro questa discendente di Adamo, a voi gradita e prescelta tra le creature come madre mia e testimonianza dei nostri infiniti attributi. Ella soltanto apprezza con cuore riconoscente il favore che io feci agli uomini rivestendomi della loro natura per insegnare il sentiero della vita e riscattarli dalla morte, e l'abbiamo eletta per placare il nostro risentimento contro la loro ingratitudine. Ella soltanto contraccambia come gli altri non vogliono o non riescono, e non possiamo disdegnare le suppliche che ci porge per loro con la pienezza della sua santità e del nostro compiacimento».
654. Queste meraviglie erano ripetute nei tre giorni conclusivi della novena e il venticinque marzo, all'ora dell'incarnazione, Dio le si manifestava intuitivamente, con più gloria di quella di cui gioivano tutti i comprensori. Benché nei tre suddetti giorni essi avessero un singolare gaudio accidentale, questo era superiore nell'ultimo, caratterizzato da straordinaria allegrezza per la Gerusalemme trionfante. Ciò che la nostra sovrana riceveva eccede immensamente la nostra immaginazione, poiché le erano ratificati ed aumentati in maniera ineffabile tutti i privilegi; siccome, peraltro, era viatrice per meritare ed era informata di quale fosse lo stato della comunità ecclesiale nel suo secolo e di quale sarebbe stato in quelli futuri, impetrava per ogni epoca larghe elargizioni, o meglio le guadagnava tutte, quante mai il sommo potere ne ha fatte e ne farà sino alla fine del mondo.
655. Nelle feste la Vergine otteneva sempre la conversione di moltissimi, che allora e più tardi sono venuti alla nostra religione; in tale data, però, l'indulgenza era maggiore, perché ha conquistato per tante monarchie, province e nazioni i benefici che hanno avuto con l'essere state convocate nella Chiesa, e quelle in cui ha perseverato di più la fede sono più debitrici alle sue implorazioni e alle sue virtù. In particolare mi è stato rivelato che quando celebrava l'Incarnazione liberava le anime del purgatorio, e dall'empireo, dove questo le era assicurato in quanto Regina di tutto e genitrice del Salvatore, inviava dei ministri superni a trarle fuori da lì. Le consegnava poi all'Onnipotente come frutto di quell'evento, per mezzo del quale aveva mandato il suo Unigenito a recuperare coloro che il nemico aveva così a lungo tiranneggiato, e lo onorava per essi. Tornava sulla terra giubilante per aver lasciato accresciuta la corte del cielo e ancora rendeva grazie con la consueta umiltà. A nessuno sembri inconcepibile un simile prodigio, poiché non è gran cosa che, nel giorno in cui era stata sollevata alla sublime dignità di Madre del Signore e di dominatrice dell'intero universo, aprisse con tanta liberalità i tesori divini ai suoi fratelli e suoi stessi figli, considerando che a lei si erano spalancati allorché aveva accolto in sé la medesima Divinità unita ipostaticamente con la sua sostanza e che ella sola arrivava a valutare adeguatamente questo bene, proprio per lei, comune per tutti.
656. In modo diverso solennizzava il Natale. Cominciava dal vespro precedente con gli esercizi, gli inni e la preparazione, e all'ora del parto Gesù appariva con stupefacente splendore accompagnato da migliaia di angeli ed anche dai patriarchi Gioacchino, Anna, Giuseppe, Elisabetta e da altri. I custodi la innalzavano e la collocavano alla sua destra, intonando con soave armonia il cantico di gloria che avevano elevato alla natività e alcuni tra i numerosi che Maria aveva composto, grata per tale mistero, ad esaltazione dell'Altissimo. Dopo essere restata occupata in questo per un buon tratto di tempo, ella chiedeva licenza e scendeva dal trono, prostrandosi di nuovo dinanzi a Cristo. In quella posizione lo adorava a nome del genere umano e lo ringraziava di essere venuto alla luce per redimerlo; quindi, faceva una fervorosa preghiera per tutti, specialmente per i credenti, presentandogli la fragilità della
loro condizione e la loro necessità dell'aiuto del suo braccio per giungere sino alla cognizione di lui e ottenere la vita imperitura. Allegava la misericordia per la quale egli aveva voluto nascere dal suo purissimo talamo, la povertà in cui ciò era avvenuto, le tribolazioni e le fatiche che aveva accettato, l'essere stato alimentato al suo petto ed allevato da lei, e tutti gli arcani relativi a quelle circostanze. Il nostro Maestro gradiva questa orazione e, di fronte agli esseri spirituali e ai santi, si dichiarava vincolato dalla carità e dalle parole della felicissima Principessa e le concedeva un'altra volta, come dispensatrice delle sue ricchezze, di applicarle e distribuirle a proprio piacimento. Ella gli obbediva con mirabile sapienza e con eccezionale vantaggio dei fedeli, e infine esortava gli eletti a magnificarlo da parte sua e dei mortali ed invocava la benedizione. Sua Maestà gliela impartiva e risaliva al Padre.
Insegnamento della Regina del cielo
657. Mia diletta, l'ammirazione con la quale esponi i segreti che ti paleso della mia storia deve trasformarsi in lode di Dio, che fu così generoso con me, e in slancio al di sopra di te stessa, con la fiducia con cui esigo che domandi la mia efficace intercessione e protezione. Se sei sorpresa che fossero accumulate in me grazie su grazie, e che fossi frequentemente visitata o portata presso l'Eterno, rammenta quanto hai scritto, cioè che mi privai della visione beatifica per governare la Chiesa. E anche qualora questo non avesse meritato la ricompensa che mi fu data mentre vivevo nel mondo, per il mio titolo di Madre sua il Salvatore avrebbe fatto in me meraviglie che non hanno spazio nell'immaginazione né si addicevano ad alcuno; esso eccede tanto la sfera delle rimanenti dignità che sarebbe turpe ignoranza negarmi i benefici che non si trovano negli altri. Il prendere da me carne fu per lui un impegno di tal peso che - secondo la tua maniera di intendere - non vi sarebbe riuscito se non avesse compiuto tutto quello che la sua onnipotenza può e che io ero capace di ricevere. Essa è infinita e non si esaurisce, e invece ciò che comunica fuori di sé è finito e ha termine; peraltro, io sono una semplice creatura e, paragonato con il sommo sovrano, tutto il creato è niente.
658. Aggiungi che non misi impedimento al suo realizzare in me senza limite e senza misura i favori ai quali si estendeva e, siccome questi erano sempre finiti, benché straordinari, e il suo potere era infinito, si comprende che ebbe modo di concentrare in me doni su doni. E non solo fu possibile, ma pure conveniente perché effettuasse con assoluta perfezione il prodigio di farmi sua genitrice, dal momento che nessuna delle sue opere è incompleta e mancante. Giacché in una simile eccellenza sono contenuti, come nella loro origine e nel loro principio, tutti i privilegi che mi appartengono conseguentemente, quando fui conosciuta come tale furono conosciuti implicitamente anch'essi, nella loro causa. Il Signore li lasciò alla pietà e all'attenzione dei battezzati, che per obbligarlo e guadagnare la mia difesa avrebbero parlato degnamente della mia grandezza e delle mie prerogative, raccogliendole e confessandole proporzionatamente alla loro riverenza e alla mia sublimità. Allo scopo, molti autori hanno avuto particolare illuminazione, nonché varie rivelazioni in proposito.
659. Poiché certi sono stati timidi per buono zelo e certi altri lenti per scarsa devozione, nella sua benignità il mio Unigenito, nel periodo opportuno, ha deciso di manifestare questi occulti misteri senza affidarsi ai discorsi terreni o alla scienza alla quale possono arrivare, bensì alla loro medesima verità divina; così, tutti ne avranno nuova gioia e speranza, sapendo quanto io sia in grado di aiutarli, e renderanno all'Altissimo la gloria che gli spetta per me e per la redenzione.
660. Voglio che ti giudichi più in debito degli altri, perché ti ho scelto come mia speciale discepola affinché, redigendo questo racconto, tu ti innalzi con più ardente amore e con più accesi desideri di seguirmi per mezzo dell'imitazione a cui ti invito e chiamo. L'insegnamento del presente capitolo è il tuo dovere di modellarti su di me nell'ineffabile gratitudine che io ebbi per l'incarnazione del Verbo nel mio grembo. Imprimila nel tuo cuore, per non obliarla mai, e distinguiti soprattutto nei giorni che corrispondono agli arcani che hai illustrato; in essi celebrala in mio nome con singolare disposizione e giubilo della tua anima, ringraziando per tutti colui che si è fatto uomo nelle mie viscere per riscattarli, ed esaltalo per l'onore al quale mi elevò concedendomi ciò. Agli spiriti superni e ai santi in cielo, dopo la cognizione che hanno della Trinità, nulla procura maggiore stupore che il vederlo unito alla natura umana e, sebbene avanzino incessantemente nella penetrazione di questo, ne resta loro parecchio da afferrare, per i secoli dei secoli.
661. Perché tu rinnovi in te il ricordo dei due eventi, cerca di acquisire umiltà e purezza angeliche, poiché con esse sarà gradita a sua Maestà la riconoscenza che gli devi e darai almeno un po' il contraccambio; pondera, inoltre, la gravità delle colpe di coloro che hanno Gesù per fratello e degenerano da questa. Considerati come un ritratto del Dio-uomo e pensa che lo disprezzi o cancelli con ogni peccato che commetti. I discendenti di Adamo sono assai immemori della dignità alla quale furono sollevati e non si spogliano degli antichi costumi e delle antiche miserie per rivestirsi di Cristo; ma tu, figlia mia, dimentica la casa di tuo padre e il tuo popolo, e adornati con la bellezza del tuo Salvatore per piacere al supremo Re.
1 gennaio 1984. Festa di Maria Santissima Madre di Dio. Fatevi coraggio.
Don Stefano Gobbi
«Iniziate questo nuovo anno nella luce della mia divina maternità. Figli prediletti, questa festa deve essere per tutti voi un segno di fiducia e di speranza. Fatevi coraggio: Io sono la Madre della Grazia e della Misericordia. Se il nuovo anno si apre in mezzo a nubi che minacciose si addensano all'orizzonte, se l'umanità è incapace di trovare la strada del suo ritorno a Dio, se nel mondo aumentano le forze disgregatrici del male e della morte, se la insicurezza e la paura segnano il trascorrere dei vostri giorni, guardate a Me come alla Madre della divina Misericordia.
Oggi mi chino su questa generazione, tanto ammalata e minacciata, con l'amore che una madre ha verso i figli più bisognosi ed esposti al pericolo. Con le mie mani immacolate raccolgo tutte le sofferenze e le immense miserie dell'umanità e le presento al Cuore di mio Figlio Gesù, perché Egli faccia discendere sul mondo il fiume del suo amore misericordioso. Fatevi coraggio, perché Gesù vi ama con la sua divina tenerezza e la vostra Mamma Celeste è sempre fra voi, per condividere difficoltà e pericoli.
Fatevi coraggio: Io sono la Madre del Salvatore e del vostro Redentore. Gesù vi ha per sempre redenti sulla Croce, soffrendo e morendo per voi. Il suo sacrificio ha un valore infinito, al di sopra del tempo. Il suo Sangue, le sue ferite, la sua dolorosa agonia, la sua atroce morte sulla Croce hanno valore di salvezza anche per questa vostra generazione che senza di Lui andrebbe perduta. Questo suo Sacrificio è misticamente rinnovato in ogni Santa Messa che viene celebrata.
Al generale e rinnovato rifiuto di Dio, risponde ancora, con infinita capacità di riparazione, la sua rinnovata e accorata preghiera: "Padre, perdona loro, perché non sanno quello che dicono e quello che fanno". Al dilagare del peccato e del male oggi alla divina Giustizia, viene nuovamente offerto il sangue innocente del vero Agnello di Dio, che toglie tutti i peccati del mondo. Alla minaccia della guerra e della distruzione, risponde la certezza della reale presenza fra voi di Gesù nell'Eucaristia, che è la Vita e per sempre ha vinto il peccato e la morte. All'inizio di questo nuovo anno, guardate a Gesù vostro Redentore e alla vostra Mamma Celeste, che vi consola e vi conduce a penetrare il mirabile disegno della vostra salvezza.
Fatevi coraggio: Io sono la Madre e la Regina della pace. Attraverso Me verrà a voi la pace. Ascoltate la mia voce e lasciatevi condurre da Me con docilità. Alla vigilia delle grandi prove che vi attendono, nella minaccia, ormai da tutti temuta, di una nuova guerra spaventosa, sappiate che la mia presenza fra voi, confermata oggi in tanti modi e con tanti prodigi, è un segno che vi dice come, alla fine della grande sofferenza, solamente il mio Cuore Immacolato trionferà. Sarà in tutto il mondo la grande vittoria dell'amore e della pace!».