Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Quante grazie il Signore ti concede attraverso la preghiera e quanta ingratitudine c'è ancora in te! Intanto tu continui a cadere e ricadere. Chi avrebbe mai pensato che saresti caduto così presto nonostante tante grazie ricevute. Ma continua a pregare, perché se preghi le grazie così abbondanti saranno accompagnate da tanto pentimento e da santo timore di Dio: più ami Dio, più temi di offenderlo. L'unica tua preoccupazione sia quella di amare il Signore. Chi ama non si arrende e non si possiede, ma si dona e si perde nella persona amata. L'amore non è solo un sentimento, ma è un atto della volontà , un movimento del cuore, uno sguardo di speranza rivolto al Signore. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 2° settimana del Tempo di Pasqua

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 1

1In principio era il Verbo,
il Verbo era presso Dio
e il Verbo era Dio.
2Egli era in principio presso Dio:
3tutto è stato fatto per mezzo di lui,
e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che
esiste.
4In lui era la vita
e la vita era la luce degli uomini;
5la luce splende nelle tenebre,
ma le tenebre non l'hanno accolta.
6Venne un uomo mandato da Dio
e il suo nome era Giovanni.
7Egli venne come testimone
per rendere testimonianza alla luce,
perché tutti credessero per mezzo di lui.
8Egli non era la luce,
ma doveva render testimonianza alla luce.
9Veniva nel mondo
la luce vera,
quella che illumina ogni uomo.
10Egli era nel mondo,
e il mondo fu fatto per mezzo di lui,
eppure il mondo non lo riconobbe.
11Venne fra la sua gente,
ma i suoi non l'hanno accolto.
12A quanti però l'hanno accolto,
ha dato potere di diventare figli di Dio:
a quelli che credono nel suo nome,
13i quali non da sangue,
né da volere di carne,
né da volere di uomo,
ma da Dio sono stati generati.
14E il Verbo si fece carne
e venne ad abitare in mezzo a noi;
e noi vedemmo la sua gloria,
gloria come di unigenito dal Padre,
pieno di grazia e di verità.
15Giovanni gli rende testimonianza
e grida: "Ecco l'uomo di cui io dissi:
Colui che viene dopo di me
mi è passato avanti,
perché era prima di me".
16Dalla sua pienezza
noi tutti abbiamo ricevuto
e grazia su grazia.
17Perché la legge fu data per mezzo di Mosè,
la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesù Cristo.
18Dio nessuno l'ha mai visto:
proprio il Figlio unigenito,
che è nel seno del Padre,
lui lo ha rivelato.

19E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: "Chi sei tu?".20Egli confessò e non negò, e confessò: "Io non sono il Cristo".21Allora gli chiesero: "Che cosa dunque? Sei Elia?". Rispose: "Non lo sono". "Sei tu il profeta?". Rispose: "No".22Gli dissero dunque: "Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?".23Rispose:

"Io sono 'voce di uno che grida nel deserto:
Preparate la via del Signore',

come disse il profeta Isaia".24Essi erano stati mandati da parte dei farisei.25Lo interrogarono e gli dissero: "Perché dunque battezzi se tu non sei il Cristo, né Elia, né il profeta?".26Giovanni rispose loro: "Io battezzo con acqua, ma in mezzo a voi sta uno che voi non conoscete,27uno che viene dopo di me, al quale io non son degno di sciogliere il legaccio del sandalo".28Questo avvenne in Betània, al di là del Giordano, dove Giovanni stava battezzando.
29Il giorno dopo, Giovanni vedendo Gesù venire verso di lui disse: "Ecco l'agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo!30Ecco colui del quale io dissi: Dopo di me viene un uomo che mi è passato avanti, perché era prima di me.31Io non lo conoscevo, ma sono venuto a battezzare con acqua perché egli fosse fatto conoscere a Israele".32Giovanni rese testimonianza dicendo: "Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui.33Io non lo conoscevo, ma chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: L'uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo.34E io ho visto e ho reso testimonianza che questi è il Figlio di Dio".

35Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli36e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: "Ecco l'agnello di Dio!".37E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù.38Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: "Che cercate?". Gli risposero: "Rabbì (che significa maestro), dove abiti?".39Disse loro: "Venite e vedrete". Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio.
40Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro.41Egli incontrò per primo suo fratello Simone, e gli disse: "Abbiamo trovato il Messia (che significa il Cristo)"42e lo condusse da Gesù. Gesù, fissando lo sguardo su di lui, disse: "Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)".
43Il giorno dopo Gesù aveva stabilito di partire per la Galilea; incontrò Filippo e gli disse: "Seguimi".44Filippo era di Betsàida, la città di Andrea e di Pietro.45Filippo incontrò Natanaèle e gli disse: "Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella Legge e i Profeti, Gesù, figlio di Giuseppe di Nàzaret".46Natanaèle esclamò: "Da Nàzaret può mai venire qualcosa di buono?". Filippo gli rispose: "Vieni e vedi".47Gesù intanto, visto Natanaèle che gli veniva incontro, disse di lui: "Ecco davvero un Israelita in cui non c'è falsità".48Natanaèle gli domandò: "Come mi conosci?". Gli rispose Gesù: "Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico".49Gli replicò Natanaèle: "Rabbì, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il re d'Israele!".50Gli rispose Gesù: "Perché ti ho detto che ti avevo visto sotto il fico, credi? Vedrai cose maggiori di queste!".51Poi gli disse: "In verità, in verità vi dico: vedrete il cielo aperto e gli angeli di Dio salire e scendere sul Figlio dell'uomo".


Numeri 22

1Poi gli Israeliti partirono e si accamparono nelle steppe di Moab, oltre il Giordano verso Gèrico.
2Or Balak, figlio di Zippor, vide quanto Israele aveva fatto agli Amorrei3e Moab ebbe grande paura di questo popolo, che era così numeroso; Moab fu preso da spavento di fronte agli Israeliti.4Quindi Moab disse agli anziani di Madian: "Ora questa moltitudine divorerà quanto è intorno a noi, come il bue divora l'erba dei campi".
Balak, figlio di Zippor, era in quel tempo re di Moab.5Egli mandò messaggeri a Balaam, figlio di Beor, a Petor che sta sul fiume, nel paese dei figli di Amau, per chiamarlo e dirgli: "Ecco un popolo è uscito dall'Egitto; ricopre la terra e si è stabilito di fronte a me;6ora dunque, vieni e maledicimi questo popolo; poiché è troppo potente per me; forse così riusciremo a sconfiggerlo e potrò scacciarlo dal paese; so infatti che chi tu benedici è benedetto e chi tu maledici è maledetto".
7Gli anziani di Moab e gli anziani di Madian partirono portando in mano il salario dell'indovino; arrivati da Balaam, gli riferirono le parole di Balak.8Balaam disse loro: "Alloggiate qui stanotte e vi darò la risposta secondo quanto mi dirà il Signore". I capi di Moab si fermarono da Balaam.
9Ora Dio venne a Balaam e gli disse: "Chi sono questi uomini che stanno da te?".10Balaam rispose a Dio: "Balak, figlio di Zippor, re di Moab, mi ha mandato a dire:11Ecco, il popolo che è uscito dall'Egitto, ricopre la terra; ora vieni a maledirmelo; forse riuscirò così a batterlo e potrò scacciarlo".12Dio disse a Balaam: "Tu non andrai con loro, non maledirai quel popolo, perché esso è benedetto".
13Balaam si alzò la mattina e disse ai capi di Balak: "Andatevene al vostro paese, perché il Signore si è rifiutato di lasciarmi venire con voi".14I capi di Moab si alzarono, tornarono da Balak e dissero: "Balaam si è rifiutato di venire con noi".
15Allora Balak mandò di nuovo i capi, in maggior numero e più influenti di quelli di prima.16Vennero da Balaam e gli dissero: "Così dice Balak, figlio di Zippor: Nulla ti trattenga dal venire da me;17perché io ti colmerò di onori e farò quanto mi dirai; vieni dunque e maledicimi questo popolo".18Ma Balaam rispose e disse ai ministri di Balak: "Quand'anche Balak mi desse la sua casa piena d'argento e oro, non potrei trasgredire l'ordine del Signore, mio Dio, per fare cosa piccola o grande.19Nondimeno, trattenetevi qui anche voi stanotte, perché io sappia ciò che il Signore mi dirà ancora".
20Dio venne la notte a Balaam e gli disse: "Se quegli uomini sono venuti a chiamarti, alzati e va' con loro; ma farai ciò che io ti dirò".21Balaam quindi si alzò la mattina, sellò l'asina e se ne andò con i capi di Moab.
22Ma l'ira di Dio si accese perché egli era andato; l'angelo del Signore si pose sulla strada per ostacolarlo. Egli cavalcava l'asina e aveva con sé due servitori.23L'asina, vedendo l'angelo del Signore che stava sulla strada con la spada sguainata in mano, deviò dalla strada e cominciò ad andare per i campi. Balaam percosse l'asina per rimetterla sulla strada.24Allora l'angelo del Signore si fermò in un sentiero infossato tra le vigne, che aveva un muro di qua e un muro di là.25L'asina vide l'angelo del Signore, si serrò al muro e strinse il piede di Balaam contro il muro e Balaam la percosse di nuovo.26L'angelo del Signore passò di nuovo più avanti e si fermò in un luogo stretto, tanto stretto che non vi era modo di ritirarsi né a destra, né a sinistra.27L'asina vide l'angelo del Signore e si accovacciò sotto Balaam; l'ira di Balaam si accese ed egli percosse l'asina con il bastone.28Allora il Signore aprì la bocca all'asina ed essa disse a Balaam: "Che ti ho fatto perché tu mi percuota già per la terza volta?".29Balaam rispose all'asina: "Perché ti sei beffata di me! Se avessi una spada in mano, ti ammazzerei subito".30L'asina disse a Balaam: "Non sono io la tua asina sulla quale hai sempre cavalcato fino ad oggi? Sono forse abituata ad agire così?". Ed egli rispose: "No".31Allora il Signore aprì gli occhi a Balaam ed egli vide l'angelo del Signore, che stava sulla strada con la spada sguainata. Balaam si inginocchiò e si prostrò con la faccia a terra.32L'angelo del Signore gli disse: "Perché hai percosso la tua asina già tre volte? Ecco io sono uscito a ostacolarti il cammino, perché il cammino davanti a me va in precipizio.33Tre volte l'asina mi ha visto ed è uscita di strada davanti a me; se non fosse uscita di strada davanti a me, certo io avrei già ucciso te e lasciato in vita lei".34Allora Balaam disse all'angelo del Signore: "Io ho peccato, perché non sapevo che tu ti fossi posto contro di me sul cammino; ora se questo ti dispiace, io tornerò indietro".35L'angelo del Signore disse a Balaam: "Va' pure con quegli uomini; ma dirai soltanto quello che io ti dirò". Balaam andò con i capi di Balak.
36Quando Balak udì che Balaam arrivava, gli andò incontro a Ir-Moab che è sul confine dell'Arnon, all'estremità del confine.37Balak disse a Balaam: "Non ti avevo forse mandato a chiamare con insistenza? Perché non sei venuto da me? Non sono forse in grado di farti onore?".38Balaam rispose a Balak: "Ecco, sono venuto da te; ma ora posso forse dire qualsiasi cosa? La parola che Dio mi metterà in bocca, quella dirò".39Balaam andò con Balak e giunsero a Kiriat-Cusot.40Balak immolò bestiame grosso e minuto e mandò parte della carne a Balaam e ai capi che erano con lui.
41La mattina Balak prese Balaam e lo fece salire a Bamot-Baal, da dove si vedeva un'estremità dell'accampamento del popolo.


Proverbi 23

1Quando siedi a mangiare con un potente,
considera bene che cosa hai davanti;
2mettiti un coltello alla gola,
se hai molto appetito.
3Non desiderare le sue ghiottonerie,
sono un cibo fallace.
4Non affannarti per arricchire,
rinunzia a un simile pensiero;
5appena vi fai volare gli occhi sopra,
essa già non è più:
perché mette ali come aquila
e vola verso il cielo.
6Non mangiare il pane di chi ha l'occhio cattivo
e non desiderare le sue ghiottonerie,
7perché come chi calcola fra di sé, così è costui;
ti dirà: "Mangia e bevi",
ma il suo cuore non è con te.
8Il boccone che hai mangiato rigetterai
e avrai sprecato le tue parole gentili.
9Non parlare agli orecchi di uno stolto,
perché egli disprezzerà le tue sagge parole.
10Non spostare il confine antico,
e non invadere il campo degli orfani,
11perché il loro vendicatore è forte,
egli difenderà la loro causa contro di te.
12Piega il cuore alla correzione
e l'orecchio ai discorsi sapienti.
13Non risparmiare al giovane la correzione,
anche se tu lo batti con la verga, non morirà;
14anzi, se lo batti con la verga,
lo salverai dagli inferi.
15Figlio mio, se il tuo cuore sarà saggio,
anche il mio cuore gioirà.
16Esulteranno le mie viscere,
quando le tue labbra diranno parole rette.
17Il tuo cuore non invidi i peccatori,
ma resti sempre nel timore del Signore,
18perché così avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà delusa.
19Ascolta, figlio mio, e sii saggio
e indirizza il cuore per la via retta.
20Non essere fra quelli che s'inebriano di vino,
né fra coloro che son ghiotti di carne,
21perché l'ubriacone e il ghiottone impoveriranno
e il dormiglione si vestirà di stracci.
22Ascolta tuo padre che ti ha generato,
non disprezzare tua madre quando è vecchia.
23Acquista il vero bene e non cederlo,
la sapienza, l'istruzione e l'intelligenza.
24Il padre del giusto gioirà pienamente
e chi ha generato un saggio se ne compiacerà.
25Gioisca tuo padre e tua madre
e si rallegri colei che ti ha generato.
26Fa' bene attenzione a me, figlio mio,
e tieni fisso lo sguardo ai miei consigli:
27una fossa profonda è la prostituta,
e un pozzo stretto la straniera.
28Essa si apposta come un ladro
e aumenta fra gli uomini il numero dei perfidi.
29Per chi i guai? Per chi i lamenti?
Per chi i litigi? Per chi i gemiti?
A chi le percosse per futili motivi? A chi gli occhi rossi?
30Per quelli che si perdono dietro al vino
e vanno a gustare vino puro.
31Non guardare il vino quando rosseggia,
quando scintilla nella coppa
e scende giù piano piano;
32finirà con il morderti come un serpente
e pungerti come una vipera.
33Allora i tuoi occhi vedranno cose strane
e la tua mente dirà cose sconnesse.
34Ti parrà di giacere in alto mare
o di dormire in cima all'albero maestro.
35"Mi hanno picchiato, ma non sento male.
Mi hanno bastonato, ma non me ne sono accorto.
Quando mi sveglierò? Ne chiederò dell'altro".


Salmi 46

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core.'
'Su "Le vergini...". Canto.'

2Dio è per noi rifugio e forza,
aiuto sempre vicino nelle angosce.
3Perciò non temiamo se trema la terra,
se crollano i monti nel fondo del mare.
4Fremano, si gonfino le sue acque,
tremino i monti per i suoi flutti.

5Un fiume e i suoi ruscelli rallegrano la città di Dio,
la santa dimora dell'Altissimo.
6Dio sta in essa: non potrà vacillare;
la soccorrerà Dio, prima del mattino.
7Fremettero le genti, i regni si scossero;
egli tuonò, si sgretolò la terra.

8Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.
9Venite, vedete le opere del Signore,
egli ha fatto portenti sulla terra.

10Farà cessare le guerre sino ai confini della terra,
romperà gli archi e spezzerà le lance,
brucerà con il fuoco gli scudi.
11Fermatevi e sappiate che io sono Dio,
eccelso tra le genti, eccelso sulla terra.

12Il Signore degli eserciti è con noi,
nostro rifugio è il Dio di Giacobbe.


Lamentazioni 5

1Ricordati, Signore, di quanto ci è accaduto,
guarda e considera il nostro obbrobrio.
2La nostra eredità è passata a stranieri,
le nostre case a estranei.
3Orfani siam diventati, senza padre;
le nostre madri come vedove.
4L'acqua nostra beviamo per denaro,
la nostra legna si acquista a pagamento.
5Con un giogo sul collo siamo perseguitati
siamo sfiniti, non c'è per noi riposo.
6All'Egitto abbiamo teso la mano,
all'Assiria per saziarci di pane.
7I nostri padri peccarono e non sono più,
noi portiamo la pena delle loro iniquità.
8Schiavi comandano su di noi,
non c'è chi ci liberi dalle loro mani.
9A rischio della nostra vita ci procuriamo il pane
davanti alla spada nel deserto.
10La nostra pelle si è fatta bruciante come un forno
a causa degli ardori della fame.
11Han disonorato le donne in Sion,
le vergini nelle città di Giuda.
12I capi sono stati impiccati dalle loro mani,
i volti degli anziani non sono stati rispettati.
13I giovani han girato la mola;
i ragazzi son caduti sotto il peso della legna.
14Gli anziani hanno disertato la porta,
i giovani i loro strumenti a corda.
15La gioia si è spenta nei nostri cuori,
si è mutata in lutto la nostra danza.
16È caduta la corona dalla nostra testa;
guai a noi, perché abbiamo peccato!
17Per questo è diventato mesto il nostro cuore,
per tali cose si sono annebbiati i nostri occhi:
18perché il monte di Sion è desolato;
le volpi vi scorrazzano.
19Ma tu, Signore, rimani per sempre,
il tuo trono di generazione in generazione.
20Perché ci vuoi dimenticare per sempre?
Ci vuoi abbandonare per lunghi giorni?
21Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo;
rinnova i nostri giorni come in antico,
22poiché non ci hai rigettati per sempre,
né senza limite sei sdegnato contro di noi.


Prima lettera di Pietro 2

1Deposta dunque ogni malizia e ogni frode e ipocrisia, le gelosie e ogni maldicenza,2come bambini appena nati bramate il puro latte spirituale, per crescere con esso verso la salvezza:3se davvero 'avete già gustato come è buono il Signore'.

4Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini, ma scelta e preziosa davanti a Dio,5anche voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.6Si legge infatti nella Scrittura:

'Ecco io pongo in Sion
una pietra angolare, scelta, preziosa
e chi crede in essa non resterà confuso'.

7Onore dunque a voi che credete; ma per gli increduli

'la pietra che i costruttori hanno scartato
è divenuta la pietra angolare,'
8'sasso d'inciampo e pietra di scandalo'.

Loro v'inciampano perché non credono alla parola; a questo sono stati destinati.9Ma voi siete 'la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato perché proclami le opere meravigliose' di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce;10voi, che un tempo eravate 'non popolo', ora invece siete 'il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia', ora invece 'avete ottenuto misericordia'.

11Carissimi, io vi esorto come stranieri e pellegrini ad astenervi dai desideri della carne che fanno guerra all'anima.12La vostra condotta tra i pagani sia irreprensibile, perché mentre vi calunniano come malfattori, al vedere le vostre buone opere giungano a glorificare Dio nel giorno del giudizio.

13State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano,14sia ai governatori come ai suoi inviati per punire i malfattori e premiare i buoni.15Perché questa è la volontà di Dio: che, operando il bene, voi chiudiate la bocca all'ignoranza degli stolti.16Comportatevi come uomini liberi, non servendovi della libertà come di un velo per coprire la malizia, ma come servitori di Dio.
17Onorate tutti, amate i vostri fratelli, temete Dio, onorate il re.

18Domestici, state soggetti con profondo rispetto ai vostri padroni, non solo a quelli buoni e miti, ma anche a quelli difficili.19È una grazia per chi conosce Dio subire afflizioni, soffrendo ingiustamente;20che gloria sarebbe infatti sopportare il castigo se avete mancato? Ma se facendo il bene sopporterete con pazienza la sofferenza, ciò sarà gradito davanti a Dio.21A questo infatti siete stati chiamati, poiché

anche Cristo patì per voi,
lasciandovi un esempio, perché ne seguiate le orme:
22egli 'non commise peccato'
e 'non si trovò inganno sulla sua bocca',
23oltraggiato non rispondeva con oltraggi,
e soffrendo non minacciava vendetta,
ma rimetteva la sua causa a colui che giudica con giustizia.
24'Egli' portò i nostri 'peccati' nel suo corpo
sul legno della croce,
perché, non vivendo più per il peccato,
vivessimo per la giustizia;
25'dalle' sue 'piaghe siete stati guariti'.
Eravate 'erranti come pecore',
ma ora siete tornati al pastore
e guardiano delle vostre anime.


Capitolo XXVII: Più di ogni altra cosa l’amore di se stesso distoglie massimamente dal Sommo Bene

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1. O figlio, per avere tutto, devi dare tutto e non più appartenerti per nulla: sappi che l'amore di te stesso ti danneggia più di ogni altra cosa di questo mondo. Ciascuna cosa sta più o meno fortemente a te abbracciata, a seconda dell'amore e della passione che tu porti per essa. Ma se il tuo sarà un amore puro, libero e conforme al volere di Dio, sarai affrancato dalla schiavitù delle cose. Non desiderare ciò che non ti è lecito avere; non volere ciò che ti può essere d'impaccio, privandoti della libertà interiore. Pare incredibile che tu non ti rimetta a me, dal profondo del cuore, con tutto te stesso e con tutte le cose che puoi desiderare ed avere. Perché ti consumi in vana tristezza? Perché ti opprimi con inutili affanni? Sta' al mio volere, e non subirai alcun nocumento. Se tu andrai cercando questo o quest'altro; se vorrai essere qui oppure là, per conseguire maggiormente il tuo comodo e il tuo piacere, non sarai mai in pace, libero da angosce; perché in ogni cosa ci sarà qualche difetto e dappertutto ci sarà uno che ti contrasta.  

2. Quello che giova, dunque, non è ciò che possa essere da noi raggiunto o fatto più grande, fuori di noi; quello che giova è ciò che viene da noi disprezzato e strappato radicalmente dal nostro cuore. E questo va inteso non solamente della stima, del denaro o delle ricchezze, ma anche della bramosia degli onori e del desiderio di vane lodi: tutte cose che passano, col passare di questo mondo. Non sarà un certo luogo che ti darà sicurezza, se ti manca il fervore spirituale. Non sarà una pace cercata fuori di te che reggerà a lungo, se ti manca quello che è il vero fondamento della fermezza del cuore: vale a dire se tu non sei saldamente in me. Puoi trasferirti altrove, quanto vuoi; ma non puoi migliorare te stesso. Se, affacciandosi un'occasione, la coglierai, troverai ancora, e ancora di più, quello che avevi fuggito.

Preghiera per ottenere la purificazione del cuore e la celeste sapienza.

3. O Dio, dammi vigore, con la grazia dello Spirito Santo; fa' che il mio cuore si liberi da ogni vano, angoscioso tormento, senza lasciarsi allettare da vari desideri di cosa alcuna, di poco prezzo o preziosa; fa' che io guardi tutte le cose come passeggere, e me con esse, parimenti passeggero, poiché nulla resta fermo, sotto il sole, qui dove tutto è "vanità e afflizione di spirito" (Qo 1,14). Quanto è saggio chi ragiona così. Dammi, o Signore, la celeste sapienza; così che io apprenda a cercare e a trovare te, sopra ogni cosa; apprenda a gustare e ad amare te, sopra ogni cosa; apprenda a considerare tutto il resto per quello che è, secondo il posto assegnatogli dalla sapienza. Dammi la prudenza, per saper allontanare chi mi lusinga; dammi la pazienza, per sopportare chi mi contrasta. Perché qui è grande saggezza, nel non lasciarsi smuovere da ogni vuota parola e nel non prestare orecchio alla sirena che perfidamente ci invita. Cominciata in tal modo la strada, si procede in essa con sicurezza.


Discorso ai giovani

San Basilio Magno - San Basilio Magno

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I. Molte sono le ragioni, ragazzi miei, che mi spingono a darvi quei consigli che giudico i migliori e che credo possano esservi utili, nel caso li seguiate. Infatti l’essere arrivato a questa età, l’aver affrontato ormai molte prove e l’aver preso parte abbastanza alle alterne vicende della sorte che tutto insegna, mi hanno reso tanto esperto delle cose umane da poter mostrare la via più sicura a chi da poco si è incamminato lungo il sentiero della vita. Per grado di parentela io vengo subito dopo i vostri genitori, così che non nutro per voi meno affetto di loro. D’altra parte, se non interpreto male i vostri sentimenti, credo che neanche voi, guardando me, sentiate la mancanza dei vostri genitori. Se dunque farete tesoro delle mie parole, sarete al secondo posto della graduatoria di merito stilata da Esiodo; altrimenti, senza che sia io a dovervi dire qualcosa di spiacevole, basterà che vi ricordiate dei suoi versi: «Ottimo è colui che da se stesso vede ciò di cui ha bisogno; buono chi segue ciò che gli viene mostrato da altri; ma chi non è capace né dell’una né dell’altra cosa, è del tutto inetto».

Non meravigliatevi poi se a voi, che pur frequentate ogni giorno la scuola e avete familiarità con i più illustri degli antichi scrittori grazie alle opere che ci hanno lasciato, io dico d’averci personalmente trovato qualche cosa di davvero utile. Io vengo a consigliarvi appunto questo: non bisogna che voi, affidando a questi personaggi una volta per tutte il timone della vostra intelligenza, come si fa con una nave, li seguiate dovunque vi portino, ma, accogliendo quanto hanno di utile, sappiate anche ciò che bisogna lasciai perdere. Comincerò dunque a spiegarvi quali siano queste cose e con quali parametri debbano essere valutate.

II. Noi, ragazzi miei, crediamo che la vita dell’uomo in questo mondo non abbia un valore assoluto, né consideriamo o definiamo vero bene ciò che circoscrive la sua utilità entro i limiti di questa vita. Perciò non riteniamo degna di essere desiderata né la nobiltà di nascita né la forza fisica o la bellezza o la statura del corpo, né gli onori del mondo né il potere e nemmeno ciò che si potrebbe dire grande tra le cose umane. E neppure invidiamo quelli che posseggono tali beni, ma ci spingiamo ben oltre con la speranza e facciamo tutto nella prospettiva di un’altra vita.

Di conseguenza, affermiamo che bisogna amare e ricercare con tutte le forze tutto ciò che ci aiuta a raggiungere una tale vita; quanto invece non ci orienta ad essa va trascurato come cosa di nessuna importanza. Come sia poi questa vita e dove e in che modo noi la vivremo, sarebbe troppo lungo da spiegare rispetto allo scopo che qui mi sono proposto, e ci vorrebbero interlocutori più maturi di voi. Per darvi un’idea di ciò che intendo, basterà forse dire solo questo, che, cioè, se uno potesse abbracciare col pensiero e mettere insieme tutta la felicità che c’è stata al mondo da quando gli uomini esistono, scoprirebbe che essa non è paragonabile nemmeno alla più piccola parte di quei beni; anzi, troverebbe che la totalità dei beni di quaggiù è distante per valore dal più piccolo bene di lassù più di quanto l’ombra e il sogno sono lontani dalla realtà. O piuttosto, per usare un esempio più appropriato, quanto l’anima è sotto ogni aspetto più preziosa del corpo, tanta è l’una vita è differente dall’altra.

A quest’altra vita ci conduce la Parola di Dio con l’insegnamento dei suoi misteri. Ma fin tanto che per l’età non siamo in grado di comprenderne il senso profondo, ci esercitiamo con l’occhio dell’anima su altri libri non del tutto diversi, come su ombre e specchi, imitando quelli che fanno le esercitazioni militari. Questi, una volta acquisita esperienza nei movimenti delle braccia e nella marcia cadenzata, da questo addestramento ricavano poi profitto per le vere battaglie. Dobbiamo anche noi credere di aver dinanzi una battaglia, la più dura di tutte le battaglie, per la quale dobbiamo fare tutto e sforzarci il più possibile per prepararci ad essa; e bisogna consultare poeti, storici, oratori e tutte quelle persone da cui possa venirci un qualche aiuto per il bene della nostra anima.

Come i tintori che, solo dopo aver preparato con trattamenti particolari la stoffa che deve ricevere la tintura, vi applicano il colore vivo, il rosso porpora o qualunque altro, così anche noi, se vogliamo che rimanga indelebile in noi l’idea del bene, solo dopo essere stati preparati con gli studi profani, comprenderemo i misteri dei sacri insegnamenti. Così, una volta abituati a guardare il sole riflesso nell’acqua, potremo fissare il nostro sguardo direttamente nella luce.

III. Se dunque tra le lettere profane e quelle sacre c’è qualche affinità, il conoscerle entrambe ci sarà senz’altro utile; in caso contrario, il metterle a confronto e capirne la differenza servirà non poco a confermarci nella scelta migliore. Ma a che cosa potremo paragonare i due insegnamenti per farcene un’immagine adeguata? Come una pianta ha sì per suo proprio carattere quello di caricarsi di frutti nella giusta stagione, ma porta anche come ornamento le foglie che stormiscono sui rami, così anche l’anima, sebbene il suo frutto caratteristico sia la verità, non è sconveniente che si circondi di sapienza profana come di foglie che diano al frutto riparo e un aspetto piacevole. Si dice del resto che il grande Mosè, così famoso nel mondo per la sua saggezza, solo dopo aver esercitato la mente nelle scienze degli Egiziani, si dette alla contemplazione dell’Essere. E come lui, ma in epoca più recente, dicono che il saggio Daniele prima abbia imparato a Babilonia la sapienza dei Caldei e si sia poi dedicato allo studio delle cose divine.

IV. Si è già detto abbastanza che questi insegnamenti profani non sono inutili per l’anima. Rimarrebbe da dire in che modo voi dobbiate accostarvi ad essi.

Prima di tutto, per cominciare dai poeti, non bisogna prestare attenzione indistintamente a tutto quel che troviamo presso di loro, dal momento che alcuni trattano argomenti di ogni genere; ma quando vi narrano le imprese o i discorsi di uomini virtuosi, bisogna amarli ed imitarli e cercare soprattutto di essere simili a loro. Ma ogni qualvolta passano a rappresentare uomini malvagi, bisogna rifuggire queste letture, tappandoci le orecchie non meno di quanto i poeti dicono che Ulisse rifuggì il canto delle Sirene. Infatti, l’abitudine ai discorsi cattivi è come una via verso le azioni. Bisogna pertanto custodire l’anima con ogni cura, affinché attraverso la dolcezza delle parole non assumiamo, senza accorgercene, qualcosa di deleterio, come chi insieme al miele beve i veleni.

Dunque non loderemo i poeti quando rappresentano persone che insultano o dicono scurrilità o amoreggiano o si ubriacano, né quando riducono la felicità ad una tavola imbandita e a canti dissoluti. E ancor meno daremo loro ascolto quando trattano dei loro dei, e soprattutto quando ne parlano come se fossero molti e discordi tra loro. Presso di loro, infatti, il fratello è in contrasto col fratello, il padre con i figli e c’è guerra implacabile tra figli e genitori. Lasceremo poi agli attori gli adultéri degli dei, i loro amori ed accoppiamenti alla luce del giorno, e soprattutto quelli del loro capicoro, ossia del sommo Giove, come lo chiamano, del quale si raccontano cose che se si dicessero degli animali farebbero comunque arrossire. Lo stesso devo dire dei prosatori soprattutto quando scrivono per sedurre gli uditori. Degli oratori poi non imiteremo l’arte volta all’inganno. Né nei tribunali né in altra circostanza, infatti, ci è permessa la menzogna, a noi che abbiamo scelto la via diritta e vera della vita e a cui la legge vieta di intentare processi. Ma piuttosto sceglieremo quegli scritti nei quali è lodata la virtù o condannato il vizio.

Come dai fiori le altre creature ricavano solo il piacere del profumo o del colore, mentre le api vi attingono anche il miele, allo stesso modo da questi scritti, quanti non vi cercano soltanto il fascino e la dolcezza, possono ricavare anche un qualche giovamento per l’anima. Dobbiamo appunto accostarci a tali opere seguendo in tutto l’esempio delle api. Esse non si posano indistintamente su tutti i fiori né cercano di portar via tutto da quelli sui quali si posano; ma prendendo soltanto quanto è necessario al loro lavoro, lasciano perdere il resto. E anche noi, se siamo saggi, una volta attinto da quelle opere quanto ci è utile ed è conforme alla verità, il resto lo trascureremo. E come nel cogliere una rosa evitiamo le spine, così nel cogliere in questi libri quanto ci è utile, staremo attenti a ciò che è dannoso.

Come prima cosa, dunque, bisogna esaminare bene ciascun aspetto di tali studi e adeguarli al nostro scopo, sistemando, secondo il proverbio dorico, la pietra a fil di piombo. V. E siccome alla nostra vita, quella vera, dobbiamo tendere per mezzo della virtù ed è a questa che molti elogi sono stati fatti dai poeti, dai prosatori e ancor più dai filosofi, bisogna dedicarsi in modo particolare a questo genere di scritti. Non è infatti piccolo vantaggio che nell’animo dei ragazzi si crei una certa familiarità e dimestichezza con la virtù, poiché gli insegnamenti ditali scrittori si imprimono nel profondo del loro animo ancora tenero e sono di per sé indelebili. Con quale altra intenzione pensiamo che Esiodo abbia scritto questi versi, che tutti recitano, se non per esortare i giovani alla virtù? «La via che conduce alla virtù è all’inizio aspra, difficile, piena di molto sudore e fatica e malagevole».

Perciò non è da tutti accedervi, a causa della sua ripidità, o giungere facilmente alla cima, una volta intrapresa la salita. Però chi è arrivato in alto può vedere come essa sia piana e bella, come sia facile, agevole e migliore dell’altra che conduce al vizio e che, come disse questo stesso poeta, è affollata per la sua stessa accessibilità. A me infatti sembra che Esiodo per nessun’altra ragione abbia scritto queste cose se non per esortarci alla virtù, per invitare tutti ad essere virtuosi e perché, lasciandoci scoraggiare dalle difficoltà, non desistiamo dal raggiungere la meta. E naturalmente se anche qualche altro ha elogiato la virtù in modo analogo, dobbiamo accogliere le sue parole, dal momento che ci conducono allo stesso fine.

Io ho sentito dire da una persona abile nell’interpretare il pensiero del poeta che tutta la poesia di Omero è un elogio della virtù e che tutto in lui, eccetto quanto è marginale, porta a questo. Emblematici quei versi in cui parla del condottiero dei Cefalleni salvato nudo dal naufragio: prima infatti dice che la principessa solo al vederlo provò un senso di rispetto, tanto era lontano dal doversi vergognare di apparire nudo, proprio perché il poeta lo rappresentò adorno di virtù a mo’ di vesti; poi anche dagli altri Feaci fu stimato tanto degno che, abbandonando la mollezza nella quale vivevano, lo ammiravano e lo invidiavano tutti; e nessuno dei Feaci avrebbe allora desiderato essere altro che Ulisse, e per giunta Ulisse scampato da un naufragio.

In questi versi quell’interprete del pensiero del poeta sosteneva che Omero dice quasi gridando: O uomini, dovete preoccuparvi della virtù, che sopravvive al naufragio e farà apparire il naufrago, restituito nudo alla spiaggia, più onorevole dei fortunati Feaci. Ed è proprio così! E mentre gli altri beni non appartengono al proprietario più che a qualsiasi altra persona, passando dall’uno all’altro come nel gioco dei dadi, la virtù è l’unico possesso che non ci può essere tolto e rimane durante la vita e anche dopo la morte. Appunto per questo anche Solone mi pare abbia detto ai ricchi: «Noi non scambieremo la nostra virtù con la loro ricchezza, poiché quella è stabile, le ricchezze degli uomini invece passano dall’uno all’altro».

Un analogo concetto esprimono quei versi di Teognide in cui dice che Dio, chiunque egli sia, fa pendere la bilancia delle sorti umane ora da una parte ora da un’altra: «Ora sono ricchi, ora non possiedono nulla».

Ed anche il sofista Prodico di Ceo filosofeggia con parole simili in qualcuno dei suoi scritti riguardo al vizio e alla virtù: anche a lui dobbiamo volgere la nostra attenzione, perché non è un autore da trascurare. Questo è pressappoco il ragionamento di Prodico, per quel che ricordo del suo pensiero; le parole precise mi sfuggono, so solo che, semplicemente e senza metrica, raccontava che quando Eracle era giovanissimo, più o meno della vostra età, mentre stava decidendo quale delle due vie percorrere, o quella che attraverso la fatica conduce alla virtù o l’altra ben più comoda, gli si presentarono due donne: erano la Virtù e il Vizio. Esse, pur tacendo, lasciavano immediatamente intravedere dal loro atteggiamento la differenza. L’una infatti, ricercatamente acconciata per apparire bella, straripava di sensualità e si trascinava dietro tutto lo sciame dei piaceri; ostentava tutto ciò e, promettendo ancor di più, cercava di attrarre a sé Eracle. L’altra invece era magra e smorta, austera nello sguardo, e diceva cose del tutto diverse: non prometteva nulla di voluttuoso né di dolce, ma sudori senza fine e fatiche e pericoli, per terra e per mare; premio di tutto ciò era divenire dio, come diceva il racconto di Prodico; e appunto questa Eracle finì per seguire.

VI. E quasi tutti coloro che si sono guadagnati una certa fama per la loro saggezza, chi più chi meno, ciascuno secondo le proprie forze, hanno tessuto nei loro scritti l’elogio della virtù. Questi noi dobbiamo ascoltare, cercando di tradurre nella nostra vita le loro parole. Perché colui che conferma con i fatti quella filosofia che altri predicano solo a parole, «è il solo saggio, gli altri sono ombre che si agitano».

Il che mi fa venire in mente il paragone di un pittore che rappresentasse un uomo di straordinaria bellezza, e quest’uomo fosse in realtà tale quale egli l’ha riprodotto nel suo ritratto. Poiché lodare splendidamente la virtù in pubblico e fare lunghi discorsi su questo tema, e poi in privato stimare il piacere più della temperanza e il guadagno più della giustizia, è cosa, direi, che si addice ad attori che calcano la scena, i quali spesso recitano il ruolo di re e di potenti, mentre non sono né re né potenti e forse neppure uomini liberi. Un musicista del resto non accetterebbe di avere una lira scordata né il direttore di un coro dei coristi che non fossero perfettamente intonati: e ci potrà invece essere qualcuno che sia in disarmonia con se stesso e che conduca una vita non coerente con le sue parole? Ma dirà con Euripide che «la lingua ha giurato, ma il cuore ne è rimasto esente» e cercherà di sembrare onesto invece di esserlo? Ma questo è il massimo della disonestà, se dobbiamo credere a Platone, ossia l’apparire onesti senza esserlo!

VII. Accogliamo, pertanto, quelle opere che contengono insegnamenti sulla virtù. E poiché le azioni virtuose degli antichi sono giunte a noi o per tradizione diretta oppure conservate negli scritti dei poeti o dei prosatori, non dobbiamo trascurare l’utile che possiamo trarne.

Per esempio, un individuo della piazza insultava Pericle, senza che questi gli desse importanza; e così per tutto il giorno continuarono l’uno a ricoprirlo d’insulti senza tregua, l’altro a non farci caso. Scesa ormai la sera e fattosi buio, quando quello si decise a malincuore ad andarsene, Pericle lo fece accompagnare con una torcia per non sprecare neanche quell’occasione di esercitare la virtù.

Un altro esempio. Un tale, infuriato contro Euclide di Megara, lo minacciò giurando che l’avrebbe ucciso; di rimando, l’altro giurò che l’avrebbe calmato e fatto desistere dalla collera. Quanto sarebbe bene richiamare alla memoria qualcuno di questi esempi quando si è presi dall’ira! Non bisogna infatti dar retta a quella tragedia che dice: «Basta lo sdegno ad armare la mano contro i nemici».

La cosa migliore sarebbe non lasciarsi affatto trasportare dall’ira e, se ciò non è facile, perlomeno non permettere di andar troppo oltre, usando come freno la ragione.

Ma torniamo ad occuparci di esempi di virtù. Un tizio, avventatosi contro Socrate, il figlio di Sofronisco, prese a colpirlo senza risparmio in pieno viso. Socrate non oppose resistenza, ma lasciò che il forsennato sfogasse tutta la sua rabbia, al punto che il viso gli diventò tutto gonfio dai pugni. Quando poi quello smise di picchiarlo, si dice che Socrate non fece altro che scriversi sulla fronte: Opera del tale, proprio come uno scultore firma la sua statua. E questa fu la sua vendetta.

Credo sia bene che i ragazzi della vostra età imitino questi esempi, che sostanzialmente concordano con i nostri principi. Il comportamento di Socrate, infatti, è molto simile al nostro comandamento, che ci prescrive di porgere l’altra guancia a chi ci percuote. Altro che vendicarsi! L’esempio di Pericle e di Euclide è invece in sintonia con quell’altro comandamento che insegna a sopportare chi ci perseguita e a tollerare pazientemente la loro ira, e anche con quello che ci esorta a pregare per il bene dei nemici, e non a maledirli. E così chi si sarà formato su questi esempi, non riterrà impossibile attuare gli insegnamenti del Vangelo.

Non vorrei tralasciare neppure l’aneddoto di Alessandro, il quale, dopo aver fatto prigioniere le figlie di Dario, pur famose per la loro straordinaria bellezza, non si degnò neppure di vederle, poiché giudicava vergognoso che chi aveva vinto degli uomini si lasciasse vincere da donne. Ebbene, questo esempio coincide col precetto evangelico, secondo cui: «Chi ha guardato una donna per desiderio, anche se di fatto non ha commesso adulterio, solo per aver accolto il desiderio nel suo cuore, non è esente da colpa».

Anche l’esempio di Clinia, uno dei discepoli di Pitagora, è difficile credere che si accordi con i princìpi cristiani per puro caso e non invece per volontà di emulazione. Che cosa fece? Costui, pur essendogli possibile evitare una multa di tre talenti con un semplice giuramento, preferì pagare anziché giurare, anche se avrebbe giurato il vero. Pare quasi che avesse già udito quel comandamento che ci proibisce di giurare.

VIII. Ma torniamo a quello che dicevo all’inizio, che cioè non bisogna accogliere tutto indistintamente, ma solo quanto torna utile. Sarebbe infatti vergognoso evitare i cibi dannosi e non fare invece alcun conto delle letture che nutrono la nostra anima, ingurgitando tutto ciò che ci capita come un torrente in piena. Che senso avrebbe che, mentre un timoniere non abbandona la nave al capriccio dei venti ma la dirige verso il porto, un arciere tenta di colpire il segno, un fabbro o un falegname cercano di realizzare la loro arte, noi invece restassimo indietro a tali artigiani nel saper riconoscere lo scopo del nostro agire? Non è infatti possibile che il lavoro degli artigiani abbia un fine, mentre la vita umana non abbia uno scopo, in vista del quale tutto deve fare e dire colui che non vuole assomigliare agli animali privi di ragione. Altrimenti, saremmo simili a navi senza ancora, perché nessun criterio razionale presiederebbe alla guida dell’anima, trasportati alla deriva qua e là lungo la vita.

È un po’ come avviene nelle gare sportive o, se vuoi, in quelle musicali, dove gli esercizi vengono fatti appunto in funzione di quelle gare per le quali ci sono in palio dei premi; e a nessuno che si eserciti nella lotta o nel pancrazio interessa suonare la cetra o il flauto. Non faceva di certo così Polidamante, ma, prima di partecipare ai giochi olimpici, si allenava fermando i carri in corsa e aumentava così la sua forza. Anche Milone non mollava la presa dal proprio scudo, che aveva per di più unto d’olio, ma resisteva agli urti quasi fosse una statua saldata col piombo. Insomma, tali esercizi servivano loro da preparazione alle gare. Se costoro, trascurando la polvere e le palestre, si fossero invece dedicati alle musiche dei cantori frigi Marsia e Olimpo, avrebbero ottenuto premi e gloria o piuttosto non avrebbero evitato una figuraccia nelle gare atletiche?

D’altro canto, nemmeno Timoteo perdeva il suo tempo nelle palestre, trascurando la musica. Altrimenti non gli sarebbe stato possibile eccellere fra tutti nella musica, dove raggiunse un livello tale da riuscire, a suo piacimento, ad esaltare l’anima con un’armonia grave e austera per poi calmarla e intenerirla con una tonalità più morbida. Si racconta ad esempio che, mentre suonava il flauto nel modo frigio davanti ad Alessandro, lo eccitò al punto che nel bel mezzo del banchetto questi corse alle armi e poi, addolcendo il tono, lo riportò tra i commensali. Tanta è l’efficacia che procura l’esercizio, sia nella musica sia nelle gare sportive, per il raggiungimento dello scopo!

Siccome ho parlato di premi e di atleti, vorrei ricordare che questi uomini, dopo aver sostenuto prove su prove, aver in mille modi accresciuto la loro forza, aver versato tanto sudore negli allenamenti e ricevuto tanti colpi a scuola di ginnastica e dopo essersi scelto come regime di vita non quello più comodo, ma quello prescritto dagli istruttori; insomma, per non farla troppo lunga, comportandosi in modo che tutta la vita prima della gara non sia altro che un esercizio preparatorio ad essa, solo allora affrontano lo stadio e si sottopongono ad ogni fatica e pericolo per conquistare una corona d’ulivo o di apio o d’altro del genere ed esser proclamati vincitori dall’araldo.

E noi, che per la gara della vita abbiamo in palio premi meravigliosi per quantità e grandezza tanto che è impossibile descriverli a parole, pensiamo di riuscire ad afferrarli con una mano, dormendo fra due guanciali e vivendo in tutta tranquillità? Ma allora nella vita avrebbe più valore la pigrizia; e il famoso Sardanapalo otterrebbe il primo posto tra gli uomini felici o anche, se vuoi, quel Margite, che Omero – se proprio di Omero è l’opera – disse non aver mai né arato né zappato né fatto alcunché di importante nella vita! Non è vero piuttosto il detto di Pittaco secondo cui è difficile essere virtuosi? Infatti, solo dopo esser passati attraverso molte prove, potremmo, e pure a stento, ottenere quei beni, che, come dicevo, non hanno paragone in questo mondo.

Perciò non dobbiamo darci all’ozio né barattare grandi speranze col benessere di un momento, se non vogliamo attirarci la vergogna e subire castighi, non tanto quaggiù tra gli uomini (per quanto anche questo non sarebbe di poco conto per chi ha un po’ di senno), quanto in quei luoghi di pena, sotto terra o in qualunque altro punto dell’universo si trovino. Chi dunque involontariamente viene meno al proprio dovere, potrà anche ricevere da Dio un qualche perdono; ma chi deliberatamente ha scelto il male, nessuna scusa potrà sottrarlo ad una pena ben più severa.

IX. Che faremo allora? domanderà qualcuno. Cos’altro se non avere cura dell’anima e trascurare tutto il resto? Non dobbiamo pertanto essere schiavi del corpo se non quanto è strettamente necessario. Bisogna invece dare all’anima il meglio, liberandola, attraverso una tensione morale, da quella specie di prigione in cui si trova per la comunanza con le passioni del corpo e, al tempo stesso, cercando di rendere il corpo più forte delle stesse passioni. Diamo sì al ventre il necessario, ma non quanto c’è di più piacevole, come fanno coloro che pensano solo a cercare organizzatori di banchetti e cuochi, setacciando tutta la terra e il mare, come se dovessero pagare un tributo ad un duro padrone. Fanno pena per questa loro frenesia, giacché non soffrono meno di coloro che sono condannati all’inferno: è come cardare lana nel fuoco, portare acqua con un colabrodo e versarla in un recipiente forato, senza vedere un termine a tali fatiche.

Aver poi eccessiva cura dei propri capelli e dell’abbigliamento è, come diceva Diogene, o da infelici o da delinquenti. E dico che dei ragazzi come voi dovrebbero ritenere vergognoso essere ed avere la nomea di bellimbusti esattamente come prostituirsi o insidiare le nozze altrui. Che differenza infatti potrebbe mai esserci, almeno per chi ha buon senso, tra l’indossare un abito di lusso o portare un cappotto di scarsa qualità, purché non gli manchi qualcosa che lo protegga dal freddo e dal caldo? Così, anche per le altre cose, non bisogna procurarsi niente oltre il necessario né occuparsi del corpo più di quanto lo richieda il bene dell’anima. Infatti, per un uomo, che sia veramente degno di questo nome, essere un vanesio tutto dedito all’aspetto fisico non è meno vergognoso che abbandonarsi senza dignità a qualsiasi altra passione.

In effetti, far di tutto affinché il corpo goda del maggior benessere possibile è tipico di chi non conosce sé stesso e non comprende quella saggia massima, secondo cui l’uomo non è quel che appare, ma occorre una saggezza superiore, in virtù della quale ciascuno di noi possa conoscere chi mai sia. E a chi non ha reso sgombra la propria mente raggiungere questa autocoscienza è più difficile che fissare il sole a chi è malato agli occhi. La purificazione dell’anima, poi, per dirvela in poche parole ma in modo esauriente, consiste nel disprezzare i piaceri dei sensi: non soddisfare gli occhi con le vuote esibizioni degli illusionisti oppure con spettacoli di corpi traboccanti di sensualità e non riempirsi le orecchie di una musica che ti rovina l’anima. Da una musica del genere infatti sono solite derivare passioni meschine e degradanti.

Noi dobbiamo cercare invece quell’altro genere di musica, che è migliore e che porta ad una condizione migliore, quella cioè usata da David, il poeta dei canti sacri, per placare, a quel che dicono, la follia del re. Raccontano che anche Pitagora, imbattutosi in un’allegra comitiva di ubriachi, chiese al flautista che li guidava di cambiare musica e di intonare il modo dorico: a quella melodia tornarono in sé al punto che, buttate via le corone, se ne ritornarono a casa pieni di vergogna. Altri invece al suono del flauto vanno in delirio come dei coribanti o delle baccanti. Tanta è la differenza tra l’ascoltare una musica sana ed una cattiva! Perciò dovete evitare la musica che oggi è di moda proprio come quanto c’è di più vergognoso al mondo.

Quanto poi a spruzzare nell’aria profumi di ogni tipo che danno piacere all’odorato e a spalmarsi di creme, mi vergogno anche solo di proibirvelo. Che cosa poi si potrebbe dire sul fatto che non bisogna cercare i piaceri del tatto e del gusto, se non che questi costringono chi li ricerca a vivere come animali, dediti come sono al ventre e a quel che c’è più giù?

In una parola, chi non vuole sprofondare nei piaceri sensuali come nel fango, non deve preoccuparsi del corpo o averne cura solo in quanto, come dice Platone, ci dà una mano per acquistare la sapienza. Analogo è il pensiero di Paolo, il quale ci ammonisce che non bisogna avere alcuna cura del corpo per non alimentare le passioni. Che differenza c’è tra chi si preoccupa del benessere del corpo senza avere alcuna stima dell’anima che pure ne è padrona, e chi si cura degli strumenti senza occuparsi per niente dell’arte che si esprime con essi? Occorre al contrario frenare il corpo, tenerne a bada gli assalti come quelli di una belva e usare la ragione come una frusta per placare i tumulti che da esso arrivano all’anima; e non, allentando ogni freno del piacere, lasciare che la ragione ne sia travolta, come un auriga trascinato dalla furia di cavalli sbrigliati.

Anche di Pitagora dovete ricordarvi, il quale, notando che uno dei suoi discepoli con la ginnastica e con la buona tavola ingrassava troppo, gli disse: «Allora, quando la smetterai di renderti il carcere più duro?». Proprio per questo dicono che anche Platone, prevedendo il danno che poteva derivare dal corpo, scelse a bella posta l’Accademia, luogo insalubre dell’Attica, per inibire la troppa floridezza del fisico come si fa con l’eccessivo rigoglio delle viti. Ed io stesso ho sentito dei medici dire che il troppo benessere è pericoloso. Poiché dunque la cura eccessiva del corpo è dannosa al corpo stesso e per di più è d’impaccio all’anima, è chiaramente una follia assoggettarsi ad esso e rendersene schiavi. Se invece ci abituassimo a ridimensionarlo, nessuna altra cosa al mondo sarebbe in grado di attrarci. A che potranno ancora servire infatti le ricchezze, una volta disprezzati i piaceri del corpo? Francamente non saprei, a meno che non procuri un qualche piacere far la guardia a tesori nascosti, come fanno i draghi nelle fiabe.

Chi è stato educato a rapportarsi a queste cose con lo spirito di una persona libera, sarà ben lontano dallo scegliere di fare, nelle parole e nei fatti, qualche cosa di basso e vergognoso. Poiché tutto ciò che va oltre la necessità – fossero anche le pepite della Lidia o il frutto delle formiche aurifere –, tanto più costui lo disprezzerà, quanto meno ne avrà bisogno. E determinerà lo stesso bisogno in base alle esigenze della natura, e non secondo i piaceri. Quelli che invece eccedono i limiti del necessario, analogamente a quanti scivolano lungo un pendio non avendo alcun punto d’appoggio, non smettono mai di correre a precipizio, ma quanto più accumulano, di altrettanto hanno bisogno o anche di più per il soddisfacimento dei loro piaceri, secondo quanto dice Solone, figlio di Esecestide: «Non esiste per gli uomini un termine stabilito alla ricchezza».

Su questo punto ci fa da maestro anche Teognide, quando dice: «Non amo arricchirmi né me lo auguro, ma mi sia concesso di vivere di poche cose e senza malanni».

Io ammiro anche in Diogene il disprezzo totale delle cose umane: egli si dimostrò più ricco perfino del Gran Re, perché gli occorreva molto meno di lui per vivere. E noi, se anche non abbiamo le ricchezze di un Pizio di Misia e tanti e tanti ettari di terreno e un numero infinito di capi di bestiame tanto da non potersi contare, non saremo comunque soddisfatti? In realtà io credo che non bisogna desiderare la ricchezza che non si ha; e quando la si possiede, non bisogna vantarsi tanto di possederla, quanto di saperla bene usare. A questo proposito calza bene l’aneddoto di Socrate, il quale ad un uomo ricco che si vantava dei propri beni disse che non lo avrebbe ammirato prima di aver dimostrato di saperne usare. E se Fidia e Policleto si fossero vantati dell’oro e dell’avorio, con cui fecero l’uno la statua di Zeus agli Elei e l’altro quella di Era agli Argivi, si sarebbero resi ridicoli nell’andar fieri di una ricchezza altrui anziché dell’arte che aveva reso quell’oro più bello e più prezioso. E noi, pensando che la virtù umana non basti da sola come ornamento, crediamo di agire con minor ridicolo?

Oppure disprezzeremo le ricchezze e disdegneremo i piaceri dei sensi per poi cercare le adulazioni e le lusinghe, imitando così l’ipocrisia e la scaltrezza della volpe di Archiloco? Ma non c’è nulla che un uomo saggio debba evitare di più che vivere secondo l’opinione altrui e guardare a ciò che pensa la gente anziché farsi guidare nella vita dalla retta ragione. Cosicché, anche se dovesse contraddire il mondo intero, essere disprezzato e correre dei rischi per amore dell’onestà, niente lo distoglierebbe dallo scegliere ciò che ha riconosciuto come giusto.

Chi non fosse così, in che cosa potrebbe essere diverso da quel famoso mago egizio, il quale, tutte le volte che lo voleva, diventava pianta, animale, fuoco, acqua o qualsiasi altra cosa? Infatti, un individuo del genere ora loderà la giustizia davanti a quanti la onorano, ora invece sosterrà il contrario non appena s’accorge che è l’ingiustizia ad essere tenuta in onore, proprio come fanno gli adulatori. E come il polpo, a quel che si dice, cambia colore a seconda del fondale su cui si trova, così anche lui cambierà parere a seconda delle opinioni delle persone con cui si trova.

X. Ma queste cose noi le impareremo in maniera più completa nella nostra bibbia; per ora accontentiamoci di tracciare un abbozzo della virtù ricavandola dagli insegnamenti profani. Infatti, chi sa accuratamente raccogliere l’utile da ogni cosa fa come i grandi fiumi che arricchiscono la loro portata ricevendo l’acqua dai vari affluenti. Anche il detto di «aggiungere il poco al poco», conviene intenderlo in riferimento non tanto all’aumento delle ricchezze quanto a qualsiasi conoscenza. Così Biante al figlio, che salpava per l’Egitto e gli domandava che cosa dovesse fare per renderlo quanto mai felice, rispose: Procurati provviste per la vecchiaia», intendendo per provviste la virtù, pur limitandola entro piccoli confini, in quanto ne riduceva l’utilità ai ristretti termini della vita umana.

Per conto mio, se anche mi si parlasse della vecchiaia di Titono o di Argantonio o anche di quella del più longevo al mondo, cioè Matusalemme, il quale si dice che sia vissuto 970 anni, e se anche si calcolasse tutto il tempo dal momento in cui l’uomo cominciò ad esistere, ne riderei come di un pensiero puerile, considerando quella lunga età senza tramonto, di cui non è possibile col pensiero concepire un termine più di quanto non si possa supporre una fine per l’anima immortale. Per tale vita io vorrei esortarvi a procurarvi delle provviste, smuovendo ogni pietra, come dice il proverbio, da cui possa venirvi un qualche aiuto in tal senso.

E se ciò è difficile e richiede fatica, non per questo dobbiamo perderci d’animo; ma, ricordandoci del consiglio di chi disse che ciascuno deve scegliersi il tipo di vita più alto e aspettare che diventi piacevole con l’abitudine, dobbiamo puntare al meglio. Sarebbe infatti vergognoso trascurare l’occasione presente e rimpiangere poi il passato, quando lamentarsi non servirà più a nulla.

Ebbene, delle cose che considero più importanti alcune ve le ho dette, ma altre ve ne indicherò nel corso di tutta la vita. E voi, fra le tre tipologie di malati, cercate di non somigliare a quelli che sono incurabili e non fate che la malattia dell’animo sia analoga a quella di chi è malato nel corpo. Infatti, quelli che soffrono di lievi malattie, vanno da soli dai medici; quelli che sono affetti da malattie più gravi, li chiamano a casa loro; quelli infine che sono presi da una forma di delirio assolutamente incurabile non li fanno nemmeno entrare quando vanno a visitarli. Guardatevi che questo non succeda ora a voi, respingendo chi viene a darvi i consigli più saggi.


Parte 1 - L'ideale

Il mio ideale, Gesù figlio di Maria - Padre Emilio Neubert

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I.«VI HO DATO L'ESEMPIO»

Gesù: Fratello mio, tu ami mia Madre e nell'amarla ti senti felice. Ma sei ancora ben lontano dall'amarla come vorrei. Tu l'ami perché si ama tutto ciò che è puro e bello, ed ella è purezza e bellezza ideale. Tu l'ami perché si amano coloro che sono buoni e premurosi, e nessuno è buono e premuroso come lei. Tu l'ami perché la consideri come tua madre, e ogni figlio ama la propria madre. Tu l'ami perché hai sperimentato il suo amore e hai capito che con lei ti riesce più facile rimanere puro e fervente. Tu l'ami perché hai imparato dai libri e dai predicatori che la devozione verso di lei è il mezzo più facile per assicurarti la salvezza eterna e raggiungere la perfezione; ora tu vuoi salvarti e santificarti.

2. Tutti questi motivi sono buoni e possono ispirarti un tenero affetto verso mia Madre; non possono però costituire il fondamento di quella devozione che io desidero vederti praticare. La devozione verso mia Madre è qualche cosa di così grande, di così benefico, di così gradito a lei e a me, da rendere inadeguato ogni tuo tentativo di praticarla in maniera ordinaria, o alta, o anche altissima: devi cercare la devozione più perfetta possibile.

3. Ebbene, sai qual è la devozione più perfetta verso Maria? Cerca nei libri, consulta i teologi, interroga i santi, domanda il loro segreto ai più insigni servi di Maria che la terra abbia mai conosciuto; non troverai una devozione più perfetta di quella che ti voglio insegnare io: la partecipazione, cioè, alla mia stessa pietà filiale verso mia Madre. La perfezione, per i miei discepoli, non consiste forse nell'essere simili al loro Maestro? Non ho dato loro l'esempio affinché facessero ciò che ho fatto io per primo? Il mio apostolo Paolo non ha ripetuto che per un cristiano tutto sta nell'imitare Cristo, nel rivestirsi di Cristo, nell'assumere i sentimenti di Cristo, nel vivere non più della propria vita, ma della vita stessa di Cristo? Ora dimmi, puoi tu concepire disposizioni più perfette verso mia Madre di quelle che ho avute io stesso?

Invito al colloquio: O Gesù, quale magnifico ideale è questo che mi proponi: partecipare alla tua pietà filiale verso la Madre tua! Ma, povero peccatore qual sono, come potrò raggiungerlo? Come potrò anche solo comprenderlo?

II. SONO FIGLIO DI MARIA PERCHÉ COSI HO VOLUTO

Gesù: Fratello mio, se vuoi comprendere i miei sentimenti di pietà filiale verso Maria, devi comprendere anzitutto che se sono suo figlio è perché così ho voluto. Non ho fatto nulla per forza, né per caso, né senza scopo. Quando decisi di venire a rendere al Padre mio la gloria che gli è dovuta e a salvare l'umanità, una infinità di vie mi si aprivano dinanzi a tutte preferii quella di Maria. Liberamente e deliberatamente creai Maria perché divenisse un giorno mia Madre, così che ella non esisterebbe se non avessi voluto affidarle tale compito; l'ho fatta quale è, affinché a sua volta mi facesse quale sono. Sono suo Figlio in tutta verità: ho voluto essere tratto, come ogni altro figlio, dalla sostanza di mia Madre; ho voluto nutrirmi del suo latte; ho voluto essere curato e allevato da lei; ho voluto esserle sottomesso. Anzi, sono suo Figlio assai più di quanto tu non sia figlio di tua madre, poiché da lei sola ho voluto ricevere tutta la mia umanità. Sono suo Figlio in tutto il mio essere, come Dio e come Uomo, perché colui al quale ella ha dato la vita terrena è una sola e medesima persona col Verbo.

2. Ora sappi che se ho voluto essere suo Figlio, l'ho voluto per amore. Per amore di mio Padre anzitutto, pensando che avrei potuto glorificarlo meglio e che gli uomini lo avrebbero conosciuto ed amato meglio a motivo di lei. Poi per amore della stessa Madre mia, che mi avrebbe dato più gioia di quanta non me ne diano tutti gli angeli e tutti gli uomini insieme. Ma anche per amore degli uomini... e per amore tuo, mio caro fratello.

Invito al colloquio: Ave, verum Corpus natum de Maria virgine!

III. CONTEMPLA E STUPISCI

Gesù: Contempla adesso ciò che il mio amore di Figlio mi ha ispirato per mia Madre. Fin dall'eternità, io penso a lei e l'amo, poiché fin dall'eternità vedo in lei la mia futura Madre. Penso a lei nel creare il cielo coi suoi angeli, penso a lei nel plasmare la terra e gli uomini. Penso a lei nel pronunziare la mia sentenza contro i tuoi progenitori, penso a lei nel rivelarmi ai patriarchi e ai profeti.

2. Per amore di lei, la colmo di privilegi, ognuno dei quali oltrepassa ciò che ho fatto di più grande per tutte le altre creature, e in suo favore sospendo le leggi che colpiscono tutti gli altri uomini. Lei, e lei sola, creo immacolata nella concezione, libera da ogni concupiscenza, esente da ogni imperfezione, piena di grazia più di tutti gli angeli e i santi. Madre di Dio e sempre Vergine, è glorificata anche nel corpo, come me e insieme a me, prima della risurrezione universale.

3. Venuto in terra per riscattare il genere umano, consacro trent'anni della mia vita esclusivamente a lei, e tre anni soltanto al resto dell'umanità.

4. E non contento di renderla partecipe dei miei privilegi e della mia intimità, ho voluto che partecipasse alla stessa missione che il Padre aveva affidato a me. Redentore, ho deciso che fosse Corredentrice insieme con me e che tutto ciò che io meritavo con pieno diritto per la salvezza del mondo ella lo meritasse per una ragione di somma convenienza.

5. Ed anche in cielo ho voluto che mi fosse associata e che, essendo io l'avvocato degli uomini presso il Padre, ella fosse la loro avvocata presso di me, per elargire tutte le grazie che con me ha contribuito a meritare in loro favore. E questo perché in cielo come in terra sono suo Figlio e mi compiaccio infinitamente di ricompensarla, con la mia liberalità, di tutto ciò che ha fatto e sofferto per amor mio.

6. Ascolta ancora: io vivo nella Chiesa, mio corpo mistico animato dal mio Spirito. Ciò che fa la Chiesa, lo faccio io; ciò che la Chiesa fa per mia Madre, lo faccio io stesso per lei. Ora considera quanta venerazione ed amore la Chiesa le ha dimostrato: difendendo e proclamando i suoi privilegi; istituendo feste in suo onore; approvando le associazioni e le famiglie religiose che si propongono di servirla. Contempla la pietà dei suoi figli, dei suoi santi, così devoti tutti della Madre mia, delle anime ferventi sempre pronte a tributarle un culto specialissimo; degli stessi semplici fedeli, così gelosi dell'onore di Maria, così perspicaci - talora più degli stessi sapienti - nel riconoscere i suoi privilegi, così pieni di entusiasmo quando si tratta di darle qualche testimonianza di particolare affetto. Che cos'è tutto ciò se non una manifestazione grandiosa, sia pure ancora assai imperfetta, della mia singolare pietà filiale verso mia Madre? E a quanto ha fatto e farà per Maria sino alla fine dei secoli la Chiesa militante, aggiungi quello che fa per lei durante tutta l'eternità la Chiesa trionfante, poiché io vivo nei santi del cielo molto più che nei fedeli della terra. Cerca di comprendere i sentimenti di riconoscenza, di rispetto e di amore che i beati esprimono senza sosta alla loro Regina e Madre, cui si riconoscono debitori della beatitudine eterna! In essi e per mezzo di essi sono sempre io che onoro e amo mia Madre.

7. Passa in rassegna tutte queste prove della mia pietà filiale, scandaglia ed approfondisci questo abisso di amore; cerca di comprendere quanto più puoi, ma sii persuaso che ciò che sfugge alla tua intelligenza è di gran lunga superiore a quanto con essa riuscirai a comprendere. E poi rifletti: è proprio di questa mia infinita pietà filiale che io voglio renderti partecipe.

Invito al colloquio: O Gesù, in passato, sentendomi così felice nell'amare la Madre tua, credevo di riuscire a raffigurarmi in qualche modo quale potesse essere il tuo immenso amore per lei; ma ora vedo che esso è decisamente superiore ad ogni possibile umana immaginazione. Sarà senza dubbio una delle maggiori nostre soddisfazioni in Paradiso il poterlo contemplare ed ammirare per tutta l'eternità, senza mal riuscire a vederne i limiti. Ma come potrò ricopiare in me una tale pietà filiale?

IV. MIA MADRE, MADRE TUA

Gesù: Fratello mio, non puoi veramente imitare la mia pietà filiale verso Maria se non sei, come me, suo figlio. Ma sai veramente fino a qual punto sei figlio di Maria? Molti cristiani credono di saperlo, e infatti chiamano Maria loro madre. Eppure la maggior parte di essi hanno della sua maternità un'idea assai imperfetta: amano Maria «come se» ella fosse loro madre. Ora, che cosa ti risponderebbe colei che ti ha partorito, se le dicessi: «Ti amo come se fossi mia madre»? Non sono pochi coloro che ritengono Maria loro madre unicamente per effetto di quella parola che pronunziai prima di spirare, quando, vedendo mia Madre ai piedi della croce, e accanto a lei il discepolo prediletto, le dissi: «Donna ecco tuo figlio», e a Giovanni: «Ecco tua madre». Senza dubbio la mia parola avrebbe potuto affidare a Maria una missione materna e creare in lei disposizioni simili a quelle di una madre; ma se la sua maternità fosse il frutto di quella parola soltanto, si tratterebbe di una maternità puramente adottiva. Ora invece devi comprendere che Maria è tua «vera» Madre nell'ordine soprannaturale come ti è madre nell'ordine della natura colei che ti ha messo al mondo.

2. Madre è la donna che dà la vita. Ora Maria ti ha dato la vita per eccellenza. Te l'ha data a Nazareth, sul Calvario e al tuo Battesimo. A «Nazareth» ti ha concepito concependo me. Maria infatti sapeva che rispondendo a Gabriele con un «sì» o con un «no» ti avrebbe dato la vita o ti avrebbe lasciato nella morte; rispose con un «sì» perché tu vivessi. Consentendo a dare la vita a me, consentiva a darla anche a te. Diventando mia Madre, diventava Madre tua. Da quel momento nei suoi disegni, come già nei piani di Dio (che ella peraltro conosceva e ai quali aderiva con tutte le forze), tu facevi parte del mio corpo mistico. Il capo ne ero io, ma tu ne eri membro. Così, sebbene in modo diverso, Maria ci portava entrambi nel suo seno materno, poiché i membri e il capo formano una realtà inscindibile.

3. Sul «Calvario» ella ti ha partorito, offrendomi in sacrificio per te. La tua liberazione dal peccato e dalla morte fu consumata soltanto sul Golgota, dove, «distruggendo colui che reggeva l'impero della morte», ti meritai con la mia morte la grazia di vivere della mia stessa vita. Ora io feci tutto questo in unione con Maria. Ella che mi aveva concepito quale vittima e mi aveva nutrito ed allevato in previsione del sacrificio, nel momento supremo mi offrì al Padre per la tua salvezza, rinunziando in tuo favore ai suoi diritti materni su di me. E colei che, sempre vergine, non ebbe altro che gioia dalla nascita del suo primogenito, vi partorì, te e i tuoi fratelli, nel più crudo dolore.

4. In quell'ora ebbe effettivamente compimento la sua maternità a tuo riguardo; ed è appunto ciò che volli proclamare e rendere noto, affidando Maria a Giovanni e Giovanni a Maria. La mia parola, in altri termini, non creava tale maternità, ma la promulgava, la confermava e la completava nell'ora più solenne della mia vita, nell'ora in cui mia Madre, divenuta pienamente Madre tua, era meglio in grado di comprendere la sua missione materna.

5. Al «Battesimo» Maria ti ha dato la vita non più solo di diritto, come sul Calvario, ma di fatto. Tua madre terrena aveva dato alla luce, per così dire, un bambino nato morto. Perché tu giungessi alla vita, si richiedeva che la grazia santificante ti fosse infusa al fonte battesimale. Ora, questa grazia santificante te l'ha ottenuta Maria, la dispensatrice di tutte le grazie. Quando da figlio dell'ira sei diventato figlio di Dio, è stata Maria a partorirti alla vita divina.

6. Comprendi ora che col farti partecipe della vita di Dio Maria ti è «veramente» Madre nell'ordine soprannaturale, come colei che ti ha dato la vita terrena è veramente tua madre secondo la natura? Anzi, Maria ti è molto più Madre ancora! Anzitutto per il modo in cui ti dà la vita. Per partorirti ella ha dato incomparabilmente più di quanto non abbia dato la madre tua terrena: le sei costato dolori indicibili, nonché la vita di colui che le era infinitamente più caro della propria vita. Inoltre ella continua, per tutto il corso della tua esistenza, ad occuparsi di te, mentre le madri terrene si curano dei loro figli solo finché non giungono all'età adulta. Tu sarai sempre il suo «bimbetto che partorirà continuamente finché Cristo non sia formato in te». E se per disgrazia ti accadesse di perdere la vita soprannaturale, a differenza delle madri terrene alle quali altro non resta che piangere impotenti sul corpicino esangue di un figlio, Maria potrebbe ridartela. E poi, per quanto tu sia imperfetto ed ingrato, ella ti ama di un amore che vince per intensità e purezza l'amore di tutte le madri per i loro figli.

7. Infine Maria ti è Madre più di ogni altra soprattutto per la natura stessa della vita che ti ha dato. Non si tratta infatti di una vita effimera come la vita terrena, ma di una vita senza fine; non di una vita mista di imperfezioni e di dolori come la presente, ma di una vita incomparabilmente beata; non di una vita creata, umana o angelica, ma - intendilo bene - di una partecipazione alla vita increata, alla vita stessa di Dio, alla vita della Santissima Trinità. Si tratta dunque di una vita che non avrà mai fine e che sarà essenzialmente beata, perché parteciperà dell'eternità e della beatitudine stessa di Dio. Quale maternità umana potrebbe reggere il confronto con una simile maternità? Ora Maria è tua vera Madre, e Madre tanto perfetta, perché è Madre mia. E tu sei mio fratello, mio fratello infinitamente caro, perché mio Padre è Padre tuo, e mia Madre, Madre tua.

Invito al colloquio: O Gesù, sinceramente non sapevo fino a qual punto Maria fosse mia Madre! Quanto la sento ora più vicina a me! Dunque, colei che è veramente tua Madre è anche veramente Madre mia, ed io sono veramente suo Figlio! Grazie, o Gesù, grazie per questo incomparabile dono.

V.TU AMI MARIA. MA CHI L'AMA NON SEI TU: SONO IO CHE L'AMO IN TE

Gesù: Fratello mio, poiché la mia vita è vita tua e la Madre mia Madre tua, ti è facile imitare la mia pietà filiale verso di lei. Non devi imitarmi solamente come un discepolo imita il maestro, o come un cristiano in terra imita il suo celeste patrono. Io sono per te più che un modello posto davanti agli occhi; sono un principio interno di vita.

2. Tu vivi di me. Le mie disposizioni devono diventare le tue. Io sono il ceppo della vite, di cui tu sei un tralcio; la medesima linfa circola nel ceppo e nei tralci. Io sono il capo e tu un membro del mio corpo mistico; nel capo come nelle membra scorre il medesimo sangue. Quando sei puro, io sono puro in te; quando sei paziente, io sono paziente in te; quando pratichi la carità, sono io che la pratico in te; tu vivi, ma in realtà sono io che vivo in te; tu ami mia Madre, ma sono io ad amarla in te. Comprendi ora perché godi tanto nell'amare Maria? Sono io che in te gioisco nell'amarla.

3. Tu partecipi alla mia vita; manca però ancora molto perché la mia vita in te sia perfetta. Se lo fosse, penseresti, sentiresti, vorresti e agiresti in ogni cosa come me. Sono ancora troppi gli ostacoli che tu frapponi al libero esercizio della mia attività in te. Troppo spesso tu mi condizioni come la cella condiziona un carcerato. Ti è necessario rimuovere questi ostacoli. Bisogna che con sforzi generosi arrivi a pensare i miei pensieri, a volere i miei voleri; bisogna che completi ciò che manca alla mia vita in te. Tu partecipi alla mia pietà filiale verso mia Madre; ma questa mia pietà filiale verso di lei è ben lontana dall'essere perfetta in te. Ti è necessario rimuovere gli ostacoli, per giungere, non senza sforzi generosi, ad assumere verso la Madre mia i miei stessi pensieri, i miei sentimenti, i miei voleri, la mia attività. Bisogna che tu completi quello che in te manca alla mia pietà filiale verso mia Madre.

4. Cominci ad intuire, almeno in parte, ciò che cerco di rivelarti riguardo alla tua devozione verso Maria? Si tratta per te di amare mia Madre perché io stesso la amo; si tratta di amarla come io stesso la amo; si tratta di amarla con lo stesso amore con il quale io la amo.

Invito al colloquio: O Jesu dulcis, o Jesu pie, O Jesu fili Mariae!





13 aprile 1976. Martedì Santo. Guardate a mio Figlio Crocifisso.

Don Stefano Gobbi

«Figli prediletti: guardate a mio Figlio Crocifisso. Guardate al suo volto cosparso di sangue; al suo capo coronato di spine; alle sue mani ed ai suoi piedi trafitti da chiodi; al suo corpo reso dai flagelli tutto una piaga; al suo Cuore squarciato da una lancia. Miei prediletti, guardate a mio Figlio Crocifisso e sarete Sacerdoti fedeli. Quanti di voi si sono fermati a considerare la sua Parola. L'hanno voluta penetrare e comprendere solo con la propria umana intelligenza e sono così inavvertitamente caduti negli errori più gravi. Non è con la sola intelligenza umana che va letta la Parola di mio Figlio.

Lui ha ringraziato il Padre di aver nascosto i misteri del suo Regno ai sapienti e ai prudenti di questo mondo per rivelarli ai piccoli. E' soprattutto con la interiore umiltà, con la piena docilità dell'anima, che la sua Parola deve essere letta e compresa. Per questo, mio Figlio ne ha affidato l'autentica interpretazione al solo Magistero della Chiesa. Ciò per abituarvi a questo difficile, eppure così necessario, atteggiamento di umiltà e di interiore docilità. Se sarete uniti al Magistero della Chiesa, se sarete umili ed attenti a quanto Essa vi indica, resterete sempre nella verità della Parola di Gesù.

Oggi sempre più nella Chiesa si diffonde l'errore, e pare ormai che non vi sia più argine adatto a contenerlo. E diffuso soprattutto da tanti teologi; è diffuso dai miei poveri figli Sacerdoti. Come, oggi, nella Chiesa, voi potete essere certi di salvarvi dall'errore? Guardate a mio Figlio Crocifisso e sarete fedeli. Mio Figlio che, essendo Dio, si è fatto ubbidiente fino alla morte sulla Croce.

Guardate le sue spine, guardate il suo sangue, guardate le sue ferite: sono i fiori sbocciati sul dolore della sua ubbidienza. Figli miei prediletti, ora che la tenebra avvolge ogni cosa, siete chiamati a testimoniare la luce della completa ubbidienza alla Chiesa: al Papa e ai Vescovi a Lui uniti. E quanto più testimonierete questa completa ubbidienza alla Chiesa, tanto più sarete criticati, scherniti e perseguitati. Ma è necessario che la vostra sia una testimonianza sempre più dolorosa e crocifissa, per potere aiutare tanti miei poveri figli a restare, ancora oggi, nella verità e nella fedeltà».