Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Nelle nostre meditazioni dovremmo sempre chie­dere a Gesù: « Fammi divenire santo come lo è il tuo stesso cuore, mite e umile ». « Imparate da me », Egli insiste. Dobbiamo dirlo nello spirito con cui lo inten­deva Gesù. Ora lo conosciamo meglio attraverso le lezioni e le meditazioni sul Vangelo, ma lo abbiamo ca­pito nella sua umiltà ? Ci ha affascinato la sua umil­tà ? Ci attrae? (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Settimana Santa - Martedì Santo

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 17

1Disse ancora ai suoi discepoli: "È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono.2È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli.3State attenti a voi stessi!

Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli.4E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai".

5Gli apostoli dissero al Signore:6"Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?8Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?9Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".

11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samarìa e la Galilea.12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza,13alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!".14Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati.15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce;16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.17Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse:19"Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

20Interrogato dai farisei: "Quando verrà il regno di Dio?", rispose:21"Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!".

22Disse ancora ai discepoli: "Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete.23Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli.24Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno.25Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.26Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo:27mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti.28Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano;29ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti.30Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà.31In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro.32Ricordatevi della moglie di Lot.33Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà.34Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato;35due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata".36.37Allora i discepoli gli chiesero: "Dove, Signore?". Ed egli disse loro: "Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi".


Esodo 10

1Allora il Signore disse a Mosè: "Va' dal faraone, perché io ho reso irremovibile il suo cuore e il cuore dei suoi ministri, per operare questi miei prodigi in mezzo a loro2e perché tu possa raccontare e fissare nella memoria di tuo figlio e di tuo nipote come io ho trattato gli Egiziani e i segni che ho compiuti in mezzo a loro e così saprete che io sono il Signore!".3Mosè e Aronne entrarono dal faraone e gli dissero: "Dice il Signore, il Dio degli Ebrei: Fino a quando rifiuterai di piegarti davanti a me? Lascia partire il mio popolo, perché mi possa servire.4Se tu rifiuti di lasciar partire il mio popolo, ecco io manderò da domani le cavallette sul tuo territorio.5Esse copriranno il paese, così da non potersi più vedere il suolo: divoreranno ciò che è rimasto, che vi è stato lasciato dalla grandine, e divoreranno ogni albero che germoglia nella vostra campagna.6Riempiranno le tue case, le case di tutti i tuoi ministri e le case di tutti gli Egiziani, cosa che non videro i tuoi padri, né i padri dei tuoi padri, da quando furono su questo suolo fino ad oggi!". Poi voltarono le spalle e uscirono dalla presenza del faraone.7I ministri del faraone gli dissero: "Fino a quando costui resterà tra noi come una trappola? Lascia partire questa gente perché serva il Signore suo Dio! Non sai ancora che l'Egitto va in rovina?".
8Mosè e Aronne furono richiamati presso il faraone, che disse loro: "Andate, servite il Signore, vostro Dio! Ma chi sono quelli che devono partire?".9Mosè disse: "Andremo con i nostri giovani e i nostri vecchi, con i figli e le figlie, con il nostro bestiame e le nostre greggi perché per noi è una festa del Signore".10Rispose: "Il Signore sia con voi, come io intendo lasciar partire voi e i vostri bambini! Ma badate che voi avete di mira un progetto malvagio.11Così non va! Partite voi uomini e servite il Signore, se davvero voi cercate questo!". Li allontanarono dal faraone.12Allora il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano sul paese d'Egitto per mandare le cavallette: assalgano il paese d'Egitto e mangino ogni erba di quanto la grandine ha risparmiato!".13Mosè stese il bastone sul paese di Egitto e il Signore diresse sul paese un vento d'oriente per tutto quel giorno e tutta la notte. Quando fu mattina, il vento di oriente aveva portato le cavallette.14Le cavallette assalirono tutto il paese d'Egitto e vennero a posarsi in tutto il territorio d'Egitto. Fu una cosa molto grave: tante non ve n'erano mai state prima, né vi furono in seguito.15Esse coprirono tutto il paese, così che il paese ne fu oscurato; divorarono ogni erba della terra e ogni frutto d'albero che la grandine aveva risparmiato: nulla di verde rimase sugli alberi e delle erbe dei campi in tutto il paese di Egitto.16Il faraone allora convocò in fretta Mosè e Aronne e disse: "Ho peccato contro il Signore, vostro Dio, e contro di voi.17Ma ora perdonate il mio peccato anche questa volta e pregate il Signore vostro Dio perché almeno allontani da me questa morte!".
18Egli si allontanò dal faraone e pregò il Signore.19Il Signore cambiò la direzione del vento e lo fece soffiare dal mare con grande forza: esso portò via le cavallette e le abbatté nel Mare Rosso; neppure una cavalletta rimase in tutto il territorio di Egitto.20Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non lasciò partire gli Israeliti.
21Poi il Signore disse a Mosè: "Stendi la mano verso il cielo: verranno tenebre sul paese di Egitto, tali che si potranno palpare!".22Mosè stese la mano verso il cielo: vennero dense tenebre su tutto il paese d'Egitto, per tre giorni.23Non si vedevano più l'un l'altro e per tre giorni nessuno si poté muovere dal suo posto. Ma per tutti gli Israeliti vi era luce là dove abitavano.
24Allora il faraone convocò Mosè e disse: "Partite, servite il Signore! Solo rimanga il vostro bestiame minuto e grosso! Anche i vostri bambini potranno partire con voi".25Rispose Mosè: "Anche tu metterai a nostra disposizione sacrifici e olocausti e noi li offriremo al Signore nostro Dio.26Anche il nostro bestiame partirà con noi: neppure un'unghia ne resterà qui. Perché da esso noi dobbiamo prelevare le vittime per servire il Signore, nostro Dio, e noi non sapremo come servire il Signore finché non saremo arrivati in quel luogo".27Ma il Signore rese ostinato il cuore del faraone, il quale non volle lasciarli partire.28Gli rispose dunque il faraone: "Vattene da me! Guardati dal ricomparire davanti a me, perché quando tu rivedrai la mia faccia morirai".29Mosè disse: "Hai parlato bene: non vedrò più la tua faccia!".


Proverbi 3

1Figlio mio, non dimenticare il mio insegnamento
e il tuo cuore custodisca i miei precetti,
2perché lunghi giorni e anni di vita
e pace ti porteranno.
3Bontà e fedeltà non ti abbandonino;
lègale intorno al tuo collo,
scrivile sulla tavola del tuo cuore,
4e otterrai favore e buon successo
agli occhi di Dio e degli uomini.
5Confida nel Signore con tutto il cuore
e non appoggiarti sulla tua intelligenza;
6in tutti i tuoi passi pensa a lui
ed egli appianerà i tuoi sentieri.
7Non credere di essere saggio,
temi il Signore e sta' lontano dal male.
8Salute sarà per il tuo corpo
e un refrigerio per le tue ossa.
9Onora il Signore con i tuoi averi
e con le primizie di tutti i tuoi raccolti;
10i tuoi granai si riempiranno di grano
e i tuoi tini traboccheranno di mosto.
11Figlio mio, non disprezzare l'istruzione del Signore
e non aver a noia la sua esortazione,
12perché il Signore corregge chi ama,
come un padre il figlio prediletto.

13Beato l'uomo che ha trovato la sapienza
e il mortale che ha acquistato la prudenza,
14perché il suo possesso è preferibile a quello dell'argento
e il suo provento a quello dell'oro.
15Essa è più preziosa delle perle
e neppure l'oggetto più caro la uguaglia.
16Lunghi giorni sono nella sua destra
e nella sua sinistra ricchezza e onore;
17le sue vie sono vie deliziose
e tutti i suoi sentieri conducono al benessere.
18È un albero di vita per chi ad essa s'attiene
e chi ad essa si stringe è beato.
19Il Signore ha fondato la terra con la sapienza,
ha consolidato i cieli con intelligenza;
20dalla sua scienza sono stati aperti gli abissi
e le nubi stillano rugiada.
21Figlio mio, conserva il consiglio e la riflessione,
né si allontanino mai dai tuoi occhi:
22saranno vita per te
e grazia per il tuo collo.
23Allora camminerai sicuro per la tua strada
e il tuo piede non inciamperà.
24Se ti coricherai, non avrai da temere;
se ti coricherai, il tuo sonno sarà dolce.
25Non temerai per uno spavento improvviso,
né per la rovina degli empi quando verrà,
26perché il Signore sarà la tua sicurezza,
preserverà il tuo piede dal laccio.
27Non negare un beneficio a chi ne ha bisogno,
se è in tuo potere il farlo.
28Non dire al tuo prossimo: "Va', ripassa, te lo darò domani",
se tu hai ciò che ti chiede.
29Non tramare il male contro il tuo prossimo
mentre egli dimora fiducioso presso di te.
30Non litigare senza motivo con nessuno,
se non ti ha fatto nulla di male.
31Non invidiare l'uomo violento
e non imitare affatto la sua condotta,
32perché il Signore ha in abominio il malvagio,
mentre la sua amicizia è per i giusti.
33La maledizione del Signore è sulla casa del malvagio,
mentre egli benedice la dimora dei giusti.
34Dei beffardi egli si fa beffe
e agli umili concede la grazia.
35I saggi possiederanno onore
ma gli stolti riceveranno ignominia.


Salmi 139

1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'

Signore, tu mi scruti e mi conosci,
2tu sai quando seggo e quando mi alzo.
Penetri da lontano i miei pensieri,
3mi scruti quando cammino e quando riposo.
Ti sono note tutte le mie vie;
4la mia parola non è ancora sulla lingua
e tu, Signore, già la conosci tutta.
5Alle spalle e di fronte mi circondi
e poni su di me la tua mano.
6Stupenda per me la tua saggezza,
troppo alta, e io non la comprendo.

7Dove andare lontano dal tuo spirito,
dove fuggire dalla tua presenza?
8Se salgo in cielo, là tu sei,
se scendo negli inferi, eccoti.
9Se prendo le ali dell'aurora
per abitare all'estremità del mare,
10anche là mi guida la tua mano
e mi afferra la tua destra.
11Se dico: "Almeno l'oscurità mi copra
e intorno a me sia la notte";
12nemmeno le tenebre per te sono oscure,
e la notte è chiara come il giorno;
per te le tenebre sono come luce.

13Sei tu che hai creato le mie viscere
e mi hai tessuto nel seno di mia madre.
14Ti lodo, perché mi hai fatto come un prodigio;
sono stupende le tue opere,
tu mi conosci fino in fondo.

15Non ti erano nascoste le mie ossa
quando venivo formato nel segreto,
intessuto nelle profondità della terra.
16Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi
e tutto era scritto nel tuo libro;
i miei giorni erano fissati,
quando ancora non ne esisteva uno.
17Quanto profondi per me i tuoi pensieri,
quanto grande il loro numero, o Dio;
18se li conto sono più della sabbia,
se li credo finiti, con te sono ancora.

19Se Dio sopprimesse i peccatori!
Allontanatevi da me, uomini sanguinari.
20Essi parlano contro di te con inganno:
contro di te insorgono con frode.
21Non odio, forse, Signore, quelli che ti odiano
e non detesto i tuoi nemici?
22Li detesto con odio implacabile
come se fossero miei nemici.
23Scrutami, Dio, e conosci il mio cuore,
provami e conosci i miei pensieri:
24vedi se percorro una via di menzogna
e guidami sulla via della vita.


Baruc 4

1Essa è il libro dei decreti di Dio,
è la legge che sussiste nei secoli;
quanti si attengono ad essa avranno la vita,
quanti l'abbandonano moriranno.
2Ritorna, Giacobbe, e accoglila,
cammina allo splendore della sua luce.
3Non dare ad altri la tua gloria,
né i tuoi privilegi a gente straniera.
4Beati noi, o Israele,
perché ciò che piace a Dio ci è stato rivelato.

5Coraggio, popolo mio, tu, resto d'Israele!
6Siete stati venduti alle genti
non per essere annientati,
ma perché avete provocato lo sdegno di Dio
siete stati consegnati ai nemici.
7Avete irritato il vostro creatore,
sacrificando ai dèmoni e non a Dio.
8Avete dimenticato chi vi ha allevati, il Dio eterno,
avete afflitto colei che vi ha nutriti, Gerusalemme.
9Essa ha visto piombare su di voi l'ira divina
e ha esclamato: Ascoltate, città vicine di Sion,
Dio mi ha mandato un grande dolore.
10Ho visto, infatti, la schiavitù in cui l'Eterno
ha condotto i miei figli e le mie figlie.
11Io li avevo nutriti con gioia
e li ho dovuti lasciare con lacrime e gemiti.
12Nessuno goda di me nel vedermi vedova e desolata;
sono abbandonata per i peccati dei miei figli
che deviarono dalla legge di Dio,
13non si curarono dei suoi decreti,
non seguirono i suoi comandamenti,
non procedettero per i sentieri della dottrina,
secondo la sua giustizia.
14Venite, o città vicine di Sion,
considerate la schiavitù in cui l'Eterno
ha condotto i miei figli e le mie figlie.
15Ha mandato contro di loro un popolo lontano,
una gente perversa di lingua straniera,
che non ha avuto rispetto dei vecchi, né pietà dei bambini,
16che ha strappato i cari figli alla vedova
e l'ha lasciata sola senza figlie.
17E io come posso aiutarvi?
18Chi vi ha afflitto con tanti mali
saprà liberarvi dal potere dei vostri nemici.
19Andate, figli miei, andate, io resto sola.
20Ho deposto l'abito di pace,
ho indossato il cilicio della supplica,
griderò all'Eterno per tutti i miei giorni.
21Coraggio, figli miei, gridate a Dio
ed egli vi libererà dall'oppressione
e dal potere dei vostri nemici.
22Io, infatti, spero dall'Eterno la vostra salvezza.
Una grande gioia mi viene dal Santo,
per la misericordia che presto vi giungerà
dall'Eterno vostro salvatore.
23Vi ho visti partire fra gemiti e pianti,
ma Dio vi ricondurrà a me
con letizia e gioia, per sempre.
24Come ora le città vicine di Sion
hanno visto la vostra schiavitù,
così vedranno ben presto la vostra salvezza
da parte del vostro Dio;
essa verrà a voi
con grande gloria e splendore dell'Eterno.
25Figli, sopportate con pazienza la collera
che da Dio è venuta su di voi.
Il nemico vi ha perseguitati,
ma vedrete ben presto la sua rovina
e calcherete il piede sul suo collo.
26I miei figli tanto delicati
hanno dovuto battere aspri sentieri,
incalzati come gregge rapito dal nemico.
27Coraggio, figli, gridate a Dio,
poiché si ricorderà di voi colui che vi ha provati.
28Però, come pensaste di allontanarvi da Dio,
così ritornando decuplicate lo zelo per ricercarlo,
29poiché chi vi ha afflitti con tante calamità
vi darà anche, con la salvezza, una gioia perenne.
30Coraggio, Gerusalemme!
Colui che ti ha dato un nome ti consolerà.
31Maledetti i tuoi oppressori,
che hanno goduto della tua caduta;
32maledette le città in cui sono stati schiavi i tuoi figli,
maledetta colei che li ha trattenuti.
33Come ha gioito per la tua caduta
e si è allietata per la tua rovina,
così patirà per la sua desolazione.
34Le toglierò la gioia di essere così popolata,
il suo tripudio sarà cambiato in lutto.
35Un fuoco cadrà su di lei per lunghi giorni
per volere dell'Eterno
e per molto tempo sarà abitata da demoni.
36Guarda ad oriente, Gerusalemme,
osserva la gioia che ti viene da Dio.
37Ecco, ritornano i figli che hai visti partire,
ritornano insieme riuniti dall'oriente all'occidente,
alla parola del Santo, esultanti per la gloria di Dio.


Seconda lettera a Timoteo 4

1Ti scongiuro davanti a Dio e a Cristo Gesù che verrà a giudicare i vivi e i morti, per la sua manifestazione e il suo regno:2annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina.3Verrà giorno, infatti, in cui non si sopporterà più la sana dottrina, ma, per il prurito di udire qualcosa, gli uomini si circonderanno di maestri secondo le proprie voglie,4rifiutando di dare ascolto alla verità per volgersi alle favole.5Tu però vigila attentamente, sappi sopportare le sofferenze, compi la tua opera di annunziatore del vangelo, adempi il tuo ministero.

6Quanto a me, il mio sangue sta per essere sparso in libagione ed è giunto il momento di sciogliere le vele.7Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede.8Ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno; e non solo a me, ma anche a tutti coloro che attendono con amore la sua manifestazione.

9Cerca di venire presto da me,10perché Dema mi ha abbandonato avendo preferito il secolo presente ed è partito per Tessalonica; Crescente è andato in Galazia, Tito in Dalmazia.11Solo Luca è con me. Prendi Marco e portalo con te, perché mi sarà utile per il ministero.12Ho inviato Tìchico a Èfeso.13Venendo, portami il mantello che ho lasciato a Tròade in casa di Carpo e anche i libri, soprattutto le pergamene.14Alessandro, il ramaio, mi ha procurato molti mali. 'Il Signore' gli 'renderà secondo le sue opere';15guàrdatene anche tu, perché è stato un accanito avversario della nostra predicazione.
16Nella mia prima difesa in tribunale nessuno mi ha assistito; tutti mi hanno abbandonato. Non se ne tenga conto contro di loro.17Il Signore però mi è stato vicino e mi ha dato forza, perché per mio mezzo si compisse la proclamazione del messaggio e potessero sentirlo tutti i Gentili: e così fui liberato dalla bocca del leone.18Il Signore mi libererà da ogni male e mi salverà per il suo regno eterno; a lui la gloria nei secoli dei secoli. Amen.

19Saluta Prisca e Aquila e la famiglia di Onesìforo.20Eràsto è rimasto a Corinto; Tròfimo l'ho lasciato ammalato a Milèto.21Affrettati a venire prima dell'inverno.
Ti salutano Eubùlo, Pudènte, Lino, Claudia e tutti i fratelli.
22Il Signore Gesù sia con il tuo spirito. La grazia sia con voi!


Capitolo LIV: Gli opposti impulsi della natura e della grazia

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1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.

2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.

3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.

4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.


Il maestro interiore

Sant'Agostino - Sant'Agostino d'Ippona

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GLI SCOPI PRINCIPALI DEL LINGUAGGIO


Agostino: — Cosa ti sembra che intendiamo fare, quando parliamo?

Adeodato: — Per quanto ora mi viene in mente, o insegnare, o apprendere.

Agostino:: — Il primo di questi scopi lo vedo bene e sono d'accordo; è evidente infatti che, parlando, vogliamo insegnare. Ma apprendere, come?

Adeodato: — E come pensi, se non interrogando?

Agostino: — Ma anche in tal caso, per quanto comprendo, non si vuole far altro che insegnare. Ti chiedo infatti: tu interroghi per un motivo diverso da quello di insegnare ciò che vuoi al tuo interlocutore?

Adeodato: — E’ vero.

Agostino: — Vedi dunque che con il linguaggio miriamo soltanto a insegnare.

Adeodato: — La cosa non mi è del tutto chiara. Infatti se parlare equivale semplicemente a proferire parole, secondo me facciamo ciò anche quando cantiamo. E poiché spesso cantiamo da soli, cioè senza che sia presente qualcuno che apprenda, non penso che in questo caso vogliamo insegnare qualche cosa.

Agostino: — Io invece penso che vi è un modo di insegnare mediante il richiamo del ricordo e che è certamente importante, come lo mostrerà l'oggetto stesso di questa nostra conversazione. Se pero tu non ritieni che apprendiamo quando ricordiamo né che insegna chi fa ricordare, non ti contraddico. Stabilisco comunque due motivi per parlare: o per insegnare o per far ricordare qualche cosa a noi stessi e ad altri. E’ così che facciamo anche quando cantiamo, non ti pare?

Adeodato: — Niente affatto; è piuttosto raro infatti che io canti per ricordarmi di qualche cosa: lo faccio soltanto per diletto.

Agostino: — Capisco ciò che pensi. Ma non ti rendi conto che ciò che ti procura diletto nel canto è una certa modulazione del suono? E, poiché tale modulazione può essere aggiunta e tolta alle parole, altro è parlare, altro è cantare. Si canta con il flauto e con la cetra; anche gli uccelli cantano; e noi talora, pur senza proferire parole, moduliamo qualche suono musicale che si può chiamare canto ma non linguaggio. Hai qualche cosa da obiettare?

Adeodato: — No, nulla affatto.

Agostino: — Non ti pare dunque che il linguaggio sia stato istituito soltanto o per insegnare o per far ricordare?

Adeodato: — Sarei di questo avviso se non mi turbasse il fatto che sicuramente parliamo quando preghiamo e pur tuttavia non ci è consentito credere che insegniamo o facciamo ricordare qualche cosa a Dio.

Agostino: — Ritengo che non sappia che ci è stato prescritto di pregare nel chiuso delle nostre camerette (nome con cui si indica l’intimità dello spirito) unicamente perché Dio non chiede al nostro linguaggio né che gli faccia ricordare né che gli insegni qualche cosa per esaudire i nostri desideri. Chi parla dà un segno esteriore della propria volontà mediante un suono articolato; Dio invece deve essere cercato e invocato nella profondità stessa dell'anima razionale, che è chiamata l’"uomo interiore": ha voluto che questo fosse il suo tempio.

Non hai letto nell'Apostolo: Non sapete che siete il tempio di Dio e che lo spirito di Dio abita in voi; e ancora: E’ nell'uomo interiore che Cristo abita?

E non hai notato la parola del Profeta: Parlate nei vostri cuori e pentitevi nelle vostre camere. Celebrate il sacrificio di giustizia e sperate nel Signore? E dove pensi che si possa celebrare il sacrificio di giustizia se non nel tempio dello spirito e nella camera del cuore? Ora, dove si deve sacrificare si deve anche pregare. Perciò la nostra preghiera non ha bisogno del linguaggio, cioè di parole che risuonano, a meno che non sia necessario esprimere il proprio pensiero, come avviene per i sacerdoti, non perché sia inteso da Dio, ma dagli uomini e questi, per un certo qual consenso in essi suscitato mediante questo ricordo, si rivolgano a Lui. O tu pensi diversamente?

Adeodato:— Sono pienamente d'accordo.

Agostino: — Non ti colpisce dunque il fatto che il sommo Maestro, quando insegnò ai discepoli a pregare, insegnò loro delle parole? Così facendo, sembra che non abbia fatto altro che insegnare come si deve parlare quando si prega.

Adeodato: — La cosa non mi colpisce affatto; infatti non le parole, ma le cose stesse insegnò mediante le parole con cui anche i discepoli avrebbero dovuto ricordare a se stessi chi dovevano pregare e che cosa dovevano chiedere, quando pregavano, come si è detto, nell’intimità dello spirito.

Agostino: — Hai ben compreso; nello stesso tempo, credo, ti rendi conto, sebbene qualcuno lo escluda, che, pur senza emettere alcun suono, tuttavia noi, per il fatto che pensiamo le parole stesse, parliamo nell'intimo della nostra anima. Così anche in questo caso il linguaggio non fa altro che richiamare il ricordo, poiché è la memoria che, rievocando le parole che sono in essa impresse, fa venire alla mente le cose stesse di cui le parole sono i segni.

Adeodato: — Comprendo e ti seguo.

IL SIGNIFICATO DELLE PAROLE


Agostino: — E’ inteso dunque tra noi che le parole sono segni?

Adeodato: — E’ inteso.

Agostino: — Ma un segno può essere tale anche se non significa alcunché?

Adeodato: — No, non può.

Agostino: — Quante parole ci sono in questo verso: Si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui?

Adeodato: — Otto.

Agostino: — Perciò ci sono otto segni?

Adeodato: — Sì.

Agostino: — Credo che tu comprenda questo verso.

Adeodato: — Abbastanza, penso.

Agostino: — Dimmi cosa significa ciascuna parola.

Adeodato: — In verità comprendo cosa significa si (se), ma non riesco a trovare nessun'altra parola che possa chiarirne il significato.

Agostino: — Qualunque sia la cosa significata da questa parola, riesci almeno a trovare dove si trova?

Adeodato: — Mi pare che si (se) significhi dubbio, e il dubbio dove si trova se non nell'anima?

Agostino: — Per il momento lo ammetto; passa alle altre parole.

Adeodato:— Nihil (niente) che altro significa se non ciò che non è?

Agostino: — Forse dici il vero; ma mi trattiene dal dare l'assenso ciò che hai ammesso in precedenza e cioè che non si dà segno che non significhi qualche cosa. Ora, ciò che non è in nessun modo può essere qualche cosa; perciò la seconda parola del verso citato non è un segno perché non significa alcunché. Erroneamente dunque si è convenuto tra noi che tutte le parole siano segni o che ogni segno significhi qualche cosa.

Adeodato: — Invero mi incalzi troppo; ma, quando non si ha nulla da significare, è proprio da sciocchi proferire qualche parola. Ora presumo che tu, nel parlare con me, non emetti alcun suono inutilmente, ma con tutti i suoni che escono dalla tua bocca mi dai un segno perché io comprenda qualche cosa. Di conseguenza non è opportuno che tu pronunci queste due sillabe quando parli, se con esse non intendi significare nulla. Ma se capisci che sono strumento indispensabile per l'enunciazione e che, nel risuonare alle nostre orecchie, esse ci insegnano qualche cosa o ci danno un avvertimento, allora certamente capisci anche ciò che vorrei dire, ma che non sono in grado di spiegare.

Agostino: — Che facciamo dunque? Con questa parola, più che la cosa stessa che non esiste, forse vogliamo significare quel particolare stato in cui l'anima non vede la cosa e tuttavia trova o pensa di aver trovato che non esiste?

Adeodato: — Forse è proprio ciò che mi sforzavo di spiegare.

Agostino: — Comunque la questione stia, andiamo avanti perché non ci capiti una cosa del tutto assurda.

Adeodato: — E quale?

Agostino: — Che subiamo qualche ritardo, nonostante "niente" ci trattenga.

Adeodato: — La cosa in verità sarebbe ridicola; tuttavia, pur non sapendo come, capisco che può accadere, anzi che è già accaduta.

Agostino: — A suo tempo, se Dio lo permetterà, comprenderemo meglio questa sorta di paradosso. Ora riportati a quel verso e cerca di spiegare, come puoi, il significato delle altre parole.

Adeodato: — La terza è la preposizione ex, in sostituzione della quale, penso, possiamo dire de.

Agostino: — Ma io non ti chiedo di dire, in sostituzione di una parola molto nota, un'altra egualmente molto nota e che ha lo stesso significato, se pure ha lo stesso significato; ma per ora ammettiamo che sia così. Naturalmente se il poeta, invece di ex tanta urbe, avesse detto de tanta e io ti chiedessi cosa significhi de, tu mi diresti ex perché sono due parole, cioè due segni che, secondo la tua opinione, significano una sola cosa. Ma io cerco proprio quel non so che di unico che è significato da questi due segni.

Adeodato: — Mi pare che significhi la separazione, dal luogo dove si trovava, di una cosa di cui si dice che proviene da là, sia che quel luogo non esista più, come avviene nel verso citato (infatti, benché la città non esistesse più, tuttavia da essa potevano provenire alcuni Troiani), sia che esso esista ancora, come diciamo, per esempio, che in Africa ci sono negozianti venuti dalla città di Roma.

Agostino: — Ti concedo che sia così e non enumero tutti i casi che forse sfuggono a questa tua regola. Ti è facile però renderti conto che hai spiegato parole con parole, cioè segni con segni, segni notissimi con segni ugualmente notissimi. Ora io vorrei che tu mi mostrassi, se ti è possibile, le cose stesse di cui queste parole sono i segni.

LA NATURA DEI SEGNI


Adeodato: — Mi meraviglio che non lo sappia o, piuttosto, che faccia finta di non saperlo; ma è assolutamente impossibile che dalla mia risposta tu ottenga ciò che vuoi, dal momento che stiamo conversando e non possiamo rispondere se non con le parole. Ora tu mi chiedi delle cose che, quali che siano, certamente non sono delle parole; pur tuttavia anche tu me le chiedi con parole. Comincia dunque tu a chiedere senza parole in modo che poi anche io ti risponda alla stessa maniera.

Agostino: — La tua richiesta è legittima, lo ammetto. Ma se io ti chiedessi cosa significhino le tre sillabe con cui si dice "parete", tu non potresti mostrarmi la parete con un dito? In tal caso vedrei la cosa stessa di cui questa parola di tre sillabe è segno con te che me la mostri, tuttavia senza proferire alcuna parola.

Adeodato: — Concedo che ciò è possibile soltanto per i nomi che significano corpi e a condizione che questi corpi siano presenti.

Agostino: — Diciamo forse che il colore è un corpo o non piuttosto che è una qualità del corpo?

Adeodato: — Una qualità.

Agostino: — Perché dunque anche essa può essere mostrata con un dito? O associ ai corpi anche le qualità dei corpi in modo che anche esse, quando sono presenti, si possono insegnare senza parole?

Adeodato: — Dicendo corpi, volevo intendere tutto ciò che è corporeo, ossia che si percepisce nei corpi.

Agostino: — Considera tuttavia se, anche in tal caso, tu non debba escludere alcune cose.

Adeodato: — Fai bene ad avvertirmi; infatti non avrei dovuto dire tutti gli oggetti corporei, ma tutti gli oggetti visibili. Ammetto che il suono, l'odore, il sapore, il peso, il calore e tutto ciò che riguarda gli altri sensi, sebbene non possano essere percepiti senza i corpi — e pertanto sono corporei —, tuttavia non si possono mostrare con un dito.

Agostino: — Non hai mai visto come le persone mediante i gesti conversano, per così dire, con i sordi e come questi, sempre con i gesti, domandano, rispondono, insegnano, indicano tutte le cose che vogliono o per lo meno moltissime di esse? E quando ciò avviene, non sono soltanto gli oggetti visibili che vengono mostrati senza parole, ma anche i suoni, i sapori e altre cose di questo genere. Anche i mimi nei teatri propongono e fanno comprendere intere storie senza parlare, per lo più con la danza.

Adeodato: — Non ho alcuna obiezione da opporti, se non che non solo io, ma neppure un mimo saltatore potrebbe mostrarti senza parole ciò che significa l'ex di cui sopra.

Agostino: — Forse dici il vero. Ma supponiamo che gli sia possibile; non dubiti, penso, che, qualunque sia il movimento del corpo con cui tenterà di mostrarmi la cosa significata da questa parola, tale movimento non sarà la cosa stessa, ma il suo segno. Anche il mimo, dunque, se non designerà una parola con una parola, di certo designerà un segno con un segno. Così tanto questo monosillabo ex quanto quel gesto del mimo significheranno una sola e determinata cosa, appunto quella che io vorrei che mi fosse mostrata senza segno.

Adeodato: — Scusa, come si può fare ciò che tu chiedi?

Agostino: — Seguendo il metodo adottato per la parete.

Adeodato: — Ma neanche la parete, come ha insegnato lo sviluppo del ragionamento, può essere mostrata senza segno. Il fatto di tendere il dito infatti non è la stessa cosa della parete, ma un segno dato perché si possa vedere la parete. Perciò non vedo niente che possa essere mostrato senza segno.

Agostino: — Suvvia! Se ti chiedessi cosa sia camminare e tu ti alzassi e compissi l'atto, non ti serviresti forse, per insegnarmelo, della cosa stessa piuttosto che delle parole o di qualche altro segno?

Adeodato:— Riconosco che è così e mi vergogno di non aver intuito una cosa tanto evidente. Con essa ormai me ne vengono in mente altre mille che si possono mostrare da se stesse e non mediante i segni, come mangiare, bere, sedere, stare in piedi, gridare e molte altre.

Agostino: — Or via, dimmi: se io ignorassi del tutto il significato di questa parola e ti chiedessi, nel momento stesso in cui cammini, cosa è camminare, come me lo insegneresti?

Adeodato: — Compirei la stessa azione un po' più velocemente in modo che, dopo la tua richiesta, tu sia indotto a riflettere dal fatto nuovo. Tuttavia non farei altro che ciò che dovrebbe essere mostrato.

Agostino: — Ma tu sai che altro è camminare e altro è affrettarsi? Chi cammina infatti non per questo si affretta e chi si affretta non necessariamente cammina: si parla di fretta anche nello scrivere, nel leggere e in molte altre attività. Così, se tu compissi la tua azione più celermente dopo la mia domanda, dovrei pensare che camminare non è altro che affrettarsi — questo sarebbe il fatto nuovo che tu avresti aggiunto — e pertanto mi sbaglierei.

Adeodato: — Ammetto che non possiamo mostrare un'azione senza segno se siamo interrogati su di essa nel momento in cui la compiamo. Infatti, se non aggiungiamo nulla, chi ci interroga penserà che ci rifiutiamo di mostrargliela e che vogliamo continuare a fare ciò che stavamo facendo senza curarci di lui. Ma se ci interroga su cose che possiamo fare, senza che le facciamo nel momento in cui ci interroga, possiamo mostrargli, facendolo dopo la sua richiesta, ciò che chiede mediante la cosa stessa piuttosto che con il segno, a meno che, per esempio, non mi chieda cosa sia parlare mentre sto parlando, perché, in tal caso, qualunque cosa gli dirò, per insegnarglielo è necessario che parli. E, a partire da ciò, insegnerò con sicurezza fino a che non gli avrò chiarito ciò che vuole, senza discostarmi dalla cosa stessa che vuole che gli sia mostrata e senza cercare dei segni al di fuori di questa cosa stessa per mostrargliela.

ALCUNI TIPI DI SEGNI


Agostino: — La risposta è veramente acuta. Considera dunque se siamo d'accordo che è possibile mostrare senza segni sia le azioni che non facciamo nel momento in cui siamo interrogati ma che possiamo compiere subito dopo, sia i segni stessi che noi facciamo. Quando parliamo infatti facciamo dei segni; da qui appunto il termine significare.

Adeodato: — Siamo d’accordo.

Agostino: — Quando dunque la domanda riguarda determinati segni, è possibile mostrare i segni con i segni; quando invece riguarda cose che segni non sono, è possibile mostrarle sia compiendole dopo la domanda, se possono essere compiute, sia dando segni capaci di far volgere la mente su di esse.

Adeodato: — Sì.

Agostino: — In questa tripartizione consideriamo in primo luogo, se credi, il caso in cui i segni sono mostrati dai segni. Ma soltanto le parole sono segni?

Adeodato: — No.

Agostino: — Mi pare dunque che, nel parlare, con le parole designiamo o le parole stesse o altri segni, come quando diciamo "gesto" o "lettera dell'alfabeto'' (perché le cose significate da queste due parole non sono altro che segni) oppure designiamo qualche altra cosa che segno non è, come quando diciamo "pietra" (questa parola è un segno; infatti significa qualche cosa, ma non è certamente segno ciò che essa significa). Comunque questo genere di segni, cioè quello in cui le parole significano oggetti che segni non sono, non rientra in quella parte che ci siamo proposti di trattare. Abbiamo infatti cominciato a considerare il caso in cui i segni sono mostrati dai segni e vi abbiamo individuato due parti, poiché mediante i segni insegniamo o facciamo ricordare o i medesimi segni o altri. Non ti pare che sia così?

Adeodato: — E’ evidente.

Agostino: — Dimmi dunque, a quale senso appartengono i segni che sono parole?

Adeodato: — All’udito.

Agostino: — E i gesti?

Adeodato: — Alla vista.

Agostino: — E che ne è delle parole scritte? Non sono parole? O dobbiamo considerarle più esattamente come segni di parole, di modo che la parola sia ciò che è proferito con un significato mediante la voce articolata? Ora la voce può essere percepita soltanto dall'udito; ne segue che, quando si scrive una parola, si fornisce agli occhi un segno mediante il quale ciò che concerne l'udito perviene alla mente.

Adeodato: — Sono pienamente d’accordo.

Agostino: — Penso che tu sia d'accordo anche che, quando diciamo nome, significhiamo qualche cosa.

Adeodato: — E’ vero.

Agostino: — E che cosa?

Adeodato: — Precisamente ciò con cui ogni cosa si denomina; per esempio, Romolo, Roma, virtù, fiume e molte altre cose.

Agostino: — E questi quattro nomi non significano nessuna cosa?

Adeodato: — Ma sì, parecchie cose.

Agostino: — Non c’è nessuna differenza fra questi nomi e le cose che essi significano?

Adeodato: — Senza dubbio, una differenza molto grande.

Agostino: — Vorrei udire da te quale sia.

Adeodato: — Questa, prima di tutto, che i nomi sono segni e le cose non lo sono.

Agostino: — Approvi che chiamiamo significabili gli oggetti che si possono significare con segni, ma che segni non sono, come chiamiamo visibili gli oggetti che si possono vedere? Così ne possiamo trattare con più comodità in seguito.

Adeodato: — Approvo certamente.

Agostino: — E che, i quattro segni che hai pronunciato poco fa non sono significati con nessun altro segno?

Adeodato: — Dunque mi sarei dimenticato, e mi meraviglio che tu lo pensi, di ciò che abbiamo trovato, e cioè che le parole scritte sono i segni dei segni che sono proferiti con la voce.

Agostino: — Dimmi in che cosa essi differiscono.

Adeodato: — Gli uni sono visibili, gli altri udibili. Perché non dovresti ammettere anche questo termine, se abbiamo ammesso significabili?

Agostino: — Certo che lo ammetto e mi piace. Ma ti chiedo di nuovo se questi quattro segni non possano essere significati con nessun altro segno udibile, come ti sei ricordato a proposito di quelli visibili.

Adeodato: — Ricordo che anche questo è stato detto poco fa. Avevo risposto appunto che il nome significa qualche cosa e avevo portato come esempio di tale modo di significare le quattro parole suddette. So anche che tanto il nome quanto i quattro segni sono udibili, se è vero che si proferiscono con la voce.

Agostino: — Che differenza c'è allora fra il segno udibile e le cose significate udibili, che sono anch'esse dei segni?

Adeodato: — Fra ciò che chiamiamo nome e le quattro parole che abbiamo portato come esempio del suo modo di significare vedo questa differenza, che l'uno è segno udibile di segni udibili mentre le altre sono anch'esse segni udibili ma non di segni bensì di cose, alcune delle quali visibili, come Romolo, Roma, fiume, e altre intelligibili, come virtù.

Agostino: — Accetto questa risposta e l’approvo. Ma sai che si chiama parola tutto ciò che è proferito con un significato mediante la voce articolata?

Adeodato: — Lo so.

Agostino: — Dunque anche nome è una parola, poiché vediamo che è proferito con un significato mediante la voce articolata. Quando diciamo di un uomo eloquente che si serve di parole appropriate, sicuramente vogliamo dire che si serve anche di nomi. Nella commedia di Terenzio, quando lo schiavo replica al vecchio padrone: "Per favore, buone parole", questi aveva già pronunciato anche molti nomi.

Adeodato: — Sono d’accordo.

Agostino: — Dunque ammetti che con le tre sillabe che pronunciamo quando diciamo parola viene significato anche il nome, e che perciò la parola è segno del nome?

Adeodato: — Lo ammetto.

Agostino: — Vorrei che mi rispondessi anche su questa questione. Poiché la parola è segno del nome, il nome è segno di "fiume" e "fiume" è segno di una cosa che può essere vista, di modo che tu hai potuto dire la differenza che c'è fra questa cosa e fiume, cioè il suo segno, e fra questo segno e il nome che è il segno di questo segno. Ora quale differenza c'è, a tuo avviso, fra il segno del nome che, come abbiamo accertato, è una parola, e il nome stesso di cui essa è il segno?

Adeodato: — Vedo questa differenza: ciò che è significato dal nome è significato anche dalla parola, poiché, come nome è una parola, così anche fiume è una parola; ma non tutto ciò che è significato dalla parola è significato anche dal nome. Infatti quel si che è all'inizio del verso da te proposto e questo ex, del quale ci siamo occupati per molto tempo per pervenire dove siamo sotto la guida della ragione, sono certamente parole, ma non sono nomi. E si trovano molti altri casi simili. Pertanto, poiché tutti i nomi sono parole, ma non tutte le parole sono nomi, è chiaro, secondo me, quale differenza ci sia fra la parola e il nome, cioè fra il segno del segno che non significa alcun altro segno e il segno del segno che significa altri segni.

Agostino: — Ammetti che ogni cavallo è un animale, senza che ciò comporti che ogni animale è un cavallo?

Adeodato: — Chi ne dubiterebbe?

Agostino: — Fra nome e parola dunque vi è la stessa differenza che c'è fra cavallo e animale. Su ciò puoi essere d'accordo, a meno che non te lo impedisca il fatto che usiamo verbum anche in un altro senso, appunto per significare le parole che si coniugano secondo i tempi, come "scrive", "scrissi", "leggo", "lessi", parole che chiaramente non sono nomi.

Adeodato: — Hai messo in luce proprio ciò che mi faceva dubitare.

Agostino: — Ma il fatto non ti turbi. In effetti noi chiamiamo segno in senso generale tutto ciò che significa qualche cosa. Tra i segni si trovano anche le parole. In modo analogo chiamiamo segni le insegne militari; queste però sono tali in un senso particolare, che non si addice alle parole. Tuttavia, se ti dicessi che, come ogni cavallo è un animale senza che ogni animale sia un cavallo, così ogni parola è un segno senza che ogni segno sia una parola, tu, come suppongo, non ne dubiteresti.

Adeodato: — Ora comprendo e sono pienamente d’accordo che fra parola in senso generale e nome c'è la stessa differenza che c'è fra animale e cavallo.

Agostino: — Sai anche che, quando diciamo animale, altro è questo nome di quattro sillabe proferito dalla voce e altro è ciò che esso significa?

Adeodato: — L'ho già ammesso in precedenza per tutti i segni e i significabili.

Agostino: — Non ti pare che tutti i segni significhino altro da quello che sono, come è il caso del quadrisillabo animale, che non significa affatto ciò che è di per sé?

Adeodato: — No, di certo, perché la parola segno, quando la diciamo, significa non solo tutti gli altri segni, quali che essi siano, ma anche se stessa; infatti è una parola e tutte le parole sono segni.

Agostino: — E nel trisillabo parola, quando lo proferiamo, non avviene qualche cosa di simile? Se infatti il suddetto trisillabo significa tutto ciò che si proferisce con un significato mediante la voce articolata, anch'esso rientra in questa categoria.

Adeodato: — Sì.

Agostino: — Bene, e la cosa non sta allo stesso modo anche per il nome? Significa i nomi di tutti i generi e nome in latino è un nome di genere neutro. E se ti chiedessi a quale parte del discorso "nome" appartenga, mi potresti rispondere correttamente se mi dicessi una cosa diversa da nome?

Adeodato: — Dici il vero.

Agostino: — Ci sono dunque segni che, tra gli oggetti che significano, significano anche se stessi?

Adeodato: — Sì.

Agostino: — E non ti pare che il segno quadrisillabo "congiunzione" sia di questo tipo?

Adeodato: — No assolutamente, perché i termini che significa non sono nomi, mentre esso è un nome.

ALTRI TIPI DI SEGNI


Agostino: — Sei stato veramente attento. Ora considera se sia possibile trovare segni che si significano reciprocamente, in modo che come questo è significato da quello così quello è significato da questo. La cosa invero non sta così fra il quadrisillabo "congiunzione" e i termini che esso significa, vale a dire "se", "o", "perché", "infatti", "se non", "dunque", "poiché" e altri simili; infatti, mentre questi sono significati da quel solo quadrisillabo, nessuno di essi significa quel solo quadrisillabo.

Adeodato: — Capisco e desidero sapere quali siano i segni che si significano reciprocamente.

Agostino: — Tu dunque ignori che, dicendo nome e parola, diciamo due parole?

Adeodato: — No, lo so.

Agostino: — E che? Non sai che, dicendo nome e parola, diciamo due nomi?

Adeodato: — So anche questo.

Agostino: — Sai quindi che, come il nome è significato dalla parola, così la parola è significata dal nome.

Adeodato: — Sono d’accordo.

Agostino: — Puoi allora dire in che cosa differiscano tra loro, all'infuori del fatto che si scrivono e si pronunciano in maniera diversa?

Adeodato: — Forse; penso che sia per il motivo che ho detto poco fa. Infatti, quando diciamo parola, noi significhiamo tutto ciò che è proferito con un significato mediante la voce articolata. Da ciò segue che ogni nome, compreso lo stesso termine nome, è una parola; però non ogni parola è un nome, benché il termine parola sia un nome.

Agostino: — Ma se qualcuno affermasse e ti dimostrasse che, come ogni nome è una parola, così ogni parola è un nome, tu potresti trovare in che cosa essi differiscano, all'infuori che per il diverso suono delle lettere?

Adeodato: — Non lo potrei e penso che non vi sia assolutamente differenza.

Agostino: — Bene. Ma se veramente tutto ciò che è proferito con un significato mediante la voce articolata è insieme parola e nome, ma parola per una ragione e nome per un'altra, allora non ci sarà nessuna differenza fra il nome e la parola?

Adeodato: — Non comprendo come ciò sia possibile.

Agostino: — Comprendi almeno che ogni oggetto colorato è visibile e che ogni oggetto visibile è colorato, sebbene queste due parole significhino in modo distinto e differente?

Adeodato: — Lo comprendo.

Agostino: — E che diresti se è così, ossia che ogni parola è un nome e ogni nome è una parola, nonostante che questi due nomi o queste due parole, cioè nome e parola, abbiano un diverso significato?

Adeodato: — Vedo appunto che può accadere, ma attendo che tu mi mostri come accada.

Agostino: — Ti rendi conto, penso, che tutto ciò che viene proferito con un significato mediante una voce articolata colpisce l'orecchio perché possa essere percepito, ed è affidato alla memoria perché possa essere conosciuto.

Adeodato: — Me ne rendo conto.

Agostino: — Avvengono dunque due operazioni quando proferiamo qualche cosa con voce articolata.

Adeodato: — Sì.

Agostino: — Che ne diresti se le parole (verba) prendessero il loro nome da una di queste operazioni, cioè da stimolare (verberare), e i nomi (nomina) dall'altra, cioè da conoscere (noscere)? Così il primo prenderebbe il nome in relazione all'udito e l'altro, il secondo, in relazione all'anima.

Adeodato: — Te lo concederò quando mi avrai mostrato come si possa dire correttamente che tutte le parole sono nomi.

Agostino: — E’ facile. Come credo, infatti tu hai imparato e sai che il pronome è così detto perché sta per il nome, anche se denota la cosa con un significato meno completo rispetto al nome. Allo stesso modo, peraltro, ritengo, lo definisce l'autore che hai recitato al maestro di grammatica: il pronome è la parte del discorso che, posta in luogo del nome, ha lo stesso significato, ma meno completo.

Adeodato: — Me ne ricordo e approvo.

Agostino: — Vedi dunque che, secondo questa definizione, i pronomi possono essere esclusivamente in funzione dei nomi e possono essere usati soltanto al loro posto. Per esempio, in espressioni come "quest'uomo", "il re stesso", "la medesima donna", "quest'oro", "quell'argento", sono pronomi "questo", "lo stesso", "la medesima", "questo" e "quello", mentre sono nomi "uomo", "re", "donna", "oro", "argento". Questi ultimi infatti significano le cose in maniera più completa dei pronomi.

Adeodato: — Vedo e sono d'accordo.

Agostino: — Ora enuncia alcune congiunzioni, secondo le tue preferenze.

Adeodato: — E, anche, ma, altresì.

Agostino: — E non ti pare che siano dei nomi tutti questi termini che hai detto?

Adeodato: — No, affatto.

Agostino: — Per lo meno ti sembra che mi sia espresso correttamente dicendo "tutti questi termini" che hai detto?

Adeodato: — In maniera corretta, sicuramente. Ora comprendo in quale straordinario modo tu mi abbia mostrato che ho enunciato dei nomi, perché altrimenti non si sarebbe potuto dire correttamente "tutti questi termini". Pur tuttavia mi sembra che tu non abbia parlato correttamente, temo, perché ammetto che le quattro congiunzioni sono anche parole; di modo che si è potuto correttamente dire "tutti questi termini" perché si dice correttamente "tutte queste parole". Ma se mi chiedi quale parte del discorso siano le parole, non ti risponderò niente altro che "nome". Quindi il pronome è stato forse aggiunto a questo nome in modo che la tua espressione risultasse corretta.

Agostino: — In verità ti sbagli, ma con perspicacia. Per liberarti dall'errore fai maggiore attenzione a ciò che dirò, se pure mi riuscirà di dire ciò che voglio. Trattare le parole con le parole infatti è tanto complicato quanto lo è intrecciare le dita e sfregarle l'una con l'altra; in questo caso a stento uno, a meno che non sia colui che compie questa azione, riesce a distinguere quali dita hanno prurito e quali dita vengono in aiuto di quelle che ce l'hanno.

Adeodato: — Sono presente con tutto lo spirito perché il paragone mi ha reso attentissimo.

Agostino: — Certamente le parole sono costituite da suoni e da lettere.

Adeodato: — Sì.

Agostino: — Dunque, per servirci di preferenza di quell’autorità che è per noi la più cara, cioè dell'apostolo Paolo quando dice: Nel Cristo non c'era il sì e il no, ma il sì era in lui, non bisogna pensare, credo, che in Cristo vi fossero le due lettere che proferiamo dicendo si, ma piuttosto ciò che da queste due lettere è significato.

Adeodato: — Dici il vero.

Agostino: — Comprendi dunque che chi ha detto il sì era in lui non ha detto niente altro che si chiama sì ciò che era in lui; allo stesso modo, se avesse detto la virtù era in lui, appunto si dovrebbe intendere che non ha detto altro se non che si chiama virtù ciò che era in lui. Non penseremo certo che in lui vi erano le due sillabe che proferiamo quando diciamo virtù e non quello che e da esse significato.

Adeodato: — Comprendo e ti seguo.

Agostino: — Bene. Non comprendi anche che non c'è differenza se si dice "si chiama virtù" o "si denomina virtù"?

Adeodato: — E’ evidente.

Agostino: — E’ evidente dunque anche che non c'è nessuna differenza se si dice "si chiama sì" o "si denomina sì" ciò che era in lui.

Adeodato: — Vedo che anche in questo caso non c'è differenza.

Agostino: — Comprendi ormai ciò che voglio mostrare?

Adeodato: — Non ancora, in verità.

Agostino: — Così non vedi che il nome è ciò con cui si denomina qualche cosa?

Adeodato: — Sicuramente, non vedo nulla di più certo.

Agostino: — Tu dunque vedi che "sì" è un nome poiché ciò che era in Cristo è chiamato "sì".

Adeodato: — Non lo posso negare.

Agostino: — Ma se ti chiedessi quale parte del discorso sia il "sì", penso che non diresti che è un nome, ma un verbo, sebbene il ragionamento ci abbia insegnato che è anche un nome.

Adeodato: — E’ proprio come tu dici.

Agostino: — Dubiti ancora che le altre parti del discorso siano anche dei nomi nella maniera in cui l'abbiamo dimostrato?

Adeodato: — Non ne dubito, poiché riconosco che significano qualche cosa. Ma se, a proposito delle cose stesse che esse significano, mi chiedi come si chiamino singolarmente, ossia come si denominino, non potrei rispondere che dicendo che sono le parti del discorso che non chiamiamo nomi, ma che, come m'accorgo, siamo costretti a chiamare così.

Agostino: — Non temi che ci possa essere qualcuno che faccia crollare questo nostro ragionamento sostenendo che si deve attribuire agli apostoli autorità in materia di cose, ma non in materia di parole? In tal caso il fondamento della nostra persuasione non sarebbe così saldo come pensiamo. Infatti potrebbe darsi che Paolo, quantunque sia vissuto ed abbia ammaestrato in modo rettissimo, tuttavia si sia espresso poco correttamente dicendo il sì era in lui, tanto più che egli stesso confessa di essere inesperto nel parlare. Come ritieni che si possa ribattere all'autore di questa obiezione?

Adeodato: — Non ho alcunché da ribattergli. Ti prego di trovare qualcuno di quelli che sono reputati sommamente esperti in fatto di parole: con la sua autorità tu potrai ottenere meglio ciò che desideri.

Agostino: — Dunque la ragione stessa, senza il ricorso alle autorità, non ti sembra abbastanza idonea a dimostrare che tutte le parti del discorso significano qualche cosa e che da ciò esse traggono il loro appellativo. Ma se traggono l'appellativo, si denominano anche, e, se si denominano, sicuramente si denominano dal nome: è facile riscontrarlo nelle diverse lingue. Chi non vede infatti che, se chiedo come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "chi'', mi viene risposto tij (tis); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "io voglio" mi viene risposto qhlw (thélo); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "bene", mi viene risposto kalos (kalòs); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "scritto", mi viene risposto to gegrammhnwn (to ghegramménon); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "e", mi viene risposto kai (kài); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "da", mi viene risposto apo (apò); come i Greci denominino ciò che noi denominiamo "oh!", mi viene risposto wi (oi)? E per tutte le parti del discorso che ho ora elencate si esprime correttamente chi pone la domanda nel modo indicato, la qual cosa non sarebbe possibile se non fossero nomi. Dunque, poiché possiamo provare con questo ragionamento che l'apostolo Paolo ha parlato correttamente e possiamo farlo indipendentemente dall’autorità di tutti gli esperti in fatto di parola, che bisogno c'è di cercare una persona illustre per rafforzare la nostra tesi? Ma ci può essere qualcuno troppo restio o troppo ostinato che ancora non si piega, dichiarando che in nessun modo si piegherà se non a quelle persone alle quali, per universale consenso, si attribuisce autorità nelle regole del dire. Che cosa di più autorevole di Cicerone si può trovare nella lingua latina? Ora Cicerone, nelle sue famosissime orazioni che portano il nome di Verrine, designò come nome la preposizione "davanti" (che tuttavia in quel passo è usata come avverbio). Ma può darsi che io non intenda troppo bene quel passo e che esso sia spiegato in modo diverso da me e da altri; perciò eccone un altro nei confronti del quale, penso, non si può obiettare nulla. I più reputati maestri di dialettica insegnano che una proposizione completa, che può essere affermativa o negativa, consta di un nome e di un verbo: è ciò che Tullio in un passo chiama enunciato. E quando si ha il verbo alla terza persona, dicono che il caso del nome deve essere il nominativo e dicono bene. Se dunque consideri la questione con me, riconosci, come credo, che, quando diciamo "l'uomo siede", "il cavallo corre", si hanno due enunciati.

Adeodato: — Lo riconosco.

Agostino: — Vedi che in ciascuno di essi c'è un nome — "uomo" nel primo, "cavallo" nel secondo — e un verbo — "siede" nel primo, "corre" nel secondo.

Adeodato: — Lo vedo.

Agostino: — Dunque, se dicessi soltanto "siede" o soltanto "corre", giustamente mi chiederesti chi o che cosa; infatti dovrei rispondere l'uomo o il cavallo o l'animale o qualsiasi altra cosa in modo che il nome congiunto al verbo completi l'enunciato, cioè la proposizione che può essere affermativa o negativa.

Adeodato: — Comprendo.

Agostino: — Fai ancora attenzione. Supponi che vediamo qualche cosa in lontananza e siamo incerti se si tratti di un animale o di un sasso o di qualche altra cosa; se io ti dico: "Poiché è un uomo, è un animale", non parlerei in modo avventato?

Adeodato: — Senza dubbio: ma non parleresti in modo avventato se dicessi "se è un uomo, è un animale''.

Agostino: — Hai ragione. Pertanto nella tua frase il "se" piace tanto a me che a te, mentre nella mia il "poiché'' dispiace a tutti e due.

Adeodato: — Sono d’accordo.

Agostino: — Considera ora se queste due proposizioni, "se piace" e "poiché dispiace", siano enunciati completi.

Adeodato: — Certamente lo sono.

Agostino: — Dimmi ora quali sono i verbi e quali i nomi in questi enunciati.

Adeodato: — Secondo me i verbi sono "piace" e "dispiace"; quanto ai nomi, quali altri se non "se" e "poiché"?

Agostino: — Quindi è sufficientemente provato che queste due congiunzioni sono anche nomi?

Adeodato: — Di certo, in modo sufficiente.

Agostino: — Sei in grado, da solo, di mostrare la medesima cosa secondo la medesima regola per le altre parti del discorso?

Adeodato: — Sì.

I SINONIMI


Agostino: - Andiamo avanti dunque. Fin qui abbiamo trovato che tutte le parole sono nomi e tutti i nomi sono parole; ora dimmi se, a tuo avviso, anche tutti i nomi sono vocaboli e tutti i vocaboli sono nomi.

Adeodato: - In verità non vedo quale altra differenza ci sia fra queste cose all’infuori di quella del suono delle sillabe.

Agostino: - Per ora non avanzo obiezioni, sebbene non manchino quelli che vi ravvisano anche una differenza di significato. Ma per il momento non è il caso di prendere in considerazione questa opinione. Sicuramente però ti rendi conto che ormai siamo giunti ai segni che si significano reciprocamente, senza altra distinzione che quella del suono, e che significano se stessi insieme a tutte le altre parti del discorso.

Adeodato: - Non comprendo.

Agostino: - Dunque non comprendi che il nome è significato dal vocabolo e il vocabolo dal nome e ciò in modo tale che, escluso il suono delle lettere, non c'è nessuna differenza per quel che concerne il nome preso in senso generale? Invece, per quel che riguarda il nome preso in senso speciale, esso è una delle otto parti del discorso che, come tale, però non contiene le altre sette.

Adeodato: - Ora comprendo.

Agostino: - Ma è quanto ho detto, che cioè vocabolo e nome si significano reciprocamente.

Adeodato: - Comprendo, ma ti chiedo cosa hai inteso dire aggiungendo che significano se stessi insieme con le altre parti del discorso.

Agostino: - Il precedente ragionamento non ci ha forse insegnato che tutte le parti del discorso possono essere dette sia nomi che vocaboli, cioè possono essere significate tanto dal nome quanto dal vocabolo.

Adeodato: – Sì.

Agostino: – Bene. E se ti chiedessi come chiami il nome, cioè questo suono espresso con due sillabe, non mi risponderesti correttamente che lo chiami "nome"?

Adeodato: - Esatto.

Agostino: - Ma forse anche il segno di quattro sillabe che pronunciamo quando diciamo "congiunzione" significa se stesso in questo modo? No, perché questo nome non può essere posto fra le congiunzioni che significa.

Adeodato: - Lo ammetto.

Agostino: - E questo è quanto abbiamo detto affermando che il nome significa se stesso insieme con le altre cose che significa. E ciò, come puoi comprendere da te stesso, vale anche per il vocabolo.

Adeodato: – E’ facile ormai; mi viene in mente tuttavia che il nome si intende in senso generale e in senso specifico, mentre il vocabolo non rientra tra le otto parti del discorso. Perciò ritengo che vi sia qualche altra differenza tra loro, oltre alla diversità del suono.

Agostino: - Ma tu pensi che tra nomen e on o m a (ònoma) vi sia qualche altra differenza oltre a quella del suono per cui anche la lingua latina si distingue da quella greca?

Adeodato: - In questo caso in verità non vedo altra differenza.

Agostino: - Dunque siamo arrivati a quei segni che significano se stessi e che si significano reciprocamente l'uno con l'altro, e ciò che è significato dall'uno lo è anche dall'altro, per cui differiscono tra loro soltanto per il suono. Questo quarto caso l'abbiamo trovato ora; i tre precedenti riguardano il nome e la parola.

Adeodato: - Ci siamo veramente arrivati.

RIASSUNTO


Agostino: - Ora vorrei che tu mi riassumessi ciò che abbiamo trovato con la conversazione.

Adeodato: - Lo farò, per quanto mi è possibile. Mi ricordo che, in primo luogo, abbiamo cercato per un po' la ragione per cui si parla e abbiamo trovato che lo si fa per insegnare o per far ricordare, poiché anche quando interroghiamo non perseguiamo altro scopo che quello di insegnare, a colui che interroghiamo, ciò che vogliamo udire. Poi abbiamo trovato che il cantare, che pare che facciamo per diletto, non appartiene in senso proprio al discorso. Infine abbiamo trovato che, quando preghiamo Dio, che non possiamo pensare che impari o si ricordi di qualche cosa, le parole rispondono alla funzione o di ammonire noi stessi o di far sì che altri ricordino o imparino qualche cosa per mezzo nostro. Poi, dopo aver bene accertato che le parole sono segni e che non può essere segno ciò che non significa qualche cosa, tu mi hai proposto un verso perché io tentassi di mostrare cosa significhino le singole parole. Il verso era: Si nihil ex tanta superis placet urbe relinqui.

Ora, di tale verso non riusciamo a trovare cosa significasse la seconda parola (nihil), sebbene fosse ben nota e chiara. Giacché però mi pareva che non la inserissimo inutilmente nel parlare, ma in quanto con essa insegniamo qualche cosa all'ascoltatore, tu hai risposto che con questa parola forse si indica la disposizione dello spirito che cerca una cosa e che trova o ritiene di aver trovato che non esiste. Ma poi, evitando con una battuta non so qual profonda questione, ne hai rimandato il chiarimento a un'altra circostanza; non credere comunque che io mi sia dimenticato dell'impegno che hai preso.

Quindi, essendo intento a spiegare la terza parola (ex) del verso, mi sollecitavi a mostrarti la cosa stessa significata dalla parola anziché un'altra parola del medesimo significato. Avendo io detto che ciò era impossibile conversando, siamo venuti a parlare di quelle cose che si mostrano con il dito agli interlocutori. Ritenevo che tali fossero tutti gli oggetti corporei, invece abbiamo trovato che lo sono soltanto gli oggetti visibili. Quindi, non so come, siamo venuti a parlare dei sordi e dei mimi, i quali significano con i gesti, senza la voce, non solo gli oggetti che si possono vedere, ma molti altri e quasi tutto ciò che esprimiamo con le parole.

Ma abbiamo scoperto che anche i gesti sono segni. Allora abbiamo ricominciato a cercare in che modo possiamo mostrare senza alcun segno le cose stesse che sono significate dai segni, dal momento che non si può negare che quella parete, il colore e ogni oggetto visibile che viene mostrata tendendo il dito, sono mostrati con un segno. A questo punto, siccome dicevo sbagliando che era impossibile trovare qualche cosa di simile, ci siamo travati d'accordo nel sostenere che possiamo mostrare senza segni gli atti che non compiamo nel momento in cui ce li chiedono e che possiamo compiere dopo. Il linguaggio però non appartiene a questo genere di cose, perché è apparso abbastanza chiaramente che, se qualcuno ci chiede cosa sia il parlare mentre stiamo parlando, è facile mostrarglielo mediante l’atto stesso.

Abbiamo così imparato che si mostrano segni con segni o, sempre con segni, cose che segni non sono, oppure, senza segno, cose che possiamo compiere dopo che ne siamo stati richiesti. Di questi tre casi abbiamo cominciato a esaminare e discutere in modo più approfondito il primo. Dalla discussione è risultato chiaro quanto segue: che ci sono alcuni segni che non possono essere a loro volta significati dai segni che essi significano, come è il caso del quadrisillabo "congiunzione"; che ce ne sono altri che possono esserlo, come nel caso in cui diciamo "segno" e significhiamo anche parola e diciamo "parola" e significhiamo anche segno, perché "segno" e "parola" sono tanto due segni quanto due parole. É risultato manifesto anche che, in questa categoria in cui i segni si significano a vicenda, alcuni hanno un valore semantico non equivalente, altri sì e altri ancora hanno identico valore semantico. Infatti il bisillabo che proferiamo dicendo "segno" significa senz'altro tutto ciò con cui una cosa è significata, invece il trisillabo che proferiamo dicendo "parola" non è un segno di tutti i segni, ma soltanto di quelli che si proferiscono mediante la voce articolata. Da ciò appare chiaro che, quantunque la parola sia significata dal segno e il segno dalla parola, cioè il trisillabo sia significato dal bisillabo e viceversa, tuttavia il segno ha un valore semantico più esteso della parola, poiché le sue due sillabe significano più cose delle tre sillabe di "parola". Hanno invece un valore semantico equivalente la parola in senso generale e il nome in senso generale. Il ragionamento infatti ci ha insegnato che tutte le parti del discorso sono nomi perché ad essi si possono associare i pronomi, inoltre che di tutte le parti del discorso si può dire che denominino qualche cosa e nessuna è tale che, con l'aggiunta di un verbo, non possa dar luogo a un enunciato completo.

Ma, benché il nome e la parola abbiano un valore semantico equivalente, perché tutti i segni che sono parole sono anche nomi, non per questo tuttavia hanno un identico valore semantico. In modo abbastanza probabile abbiamo messo in luce che sono diverse le ragioni per cui sono chiamati parole e nomi; appunto abbiamo trovato che il primo termine (verbum) si riferisce alla percussione (verberatio) dell'orecchio e il secondo (nomen) al richiamo del ricordo (commemoratio) nell'animo. Lo si può comprendere peraltro dal fatto che, nel parlare molto correttamente diciamo: "Qual è il nome di questa cosa?" quando vogliamo affidarla alla memoria, e invece non abbiamo l’abitudine di dire: "Quale è la parola di questa cosa?". Infine, fra i segni che hanno non solo un valore semantico equivalente, ma anche identico e che differiscono tra loro soltanto per il suono delle lettere, abbiamo trovato nome e on o m a (ónoma). In verità mi era sfuggito che, nella categoria dei segni che si significano a vicenda, non ne abbiamo trovato nessuno che, tra le altre cose, significhi anche se stesso.

Questo è quanto ho potuto ricordare. Tu, che in questa conversazione, penso, non hai detto nulla che non sapessi e di cui non fossi certo, ormai potrai vedere se ho riferito bene e in modo ordinato.

I SEGNI E LE COSE



21.Agostino: - Hai ricordato abbastanza bene ciò che volevo e, lo confesso, queste distinzioni ora mi appaiono in modo molto più evidente di quando, cercando e discutendo, le tiravamo fuori da non so quale luogo nascosto. Ma, al punto in cui siamo, è difficile a dirsi dove io cerchi di giungere insieme a te attraverso giri tanto tortuosi. Tu forse credi che stiamo giocando e distogliendo lo spirito dalle cose serie con alcune questioncelle puerili o che stiamo trattando problemi di scarsa o limitata utilità; oppure, se prevedi che da questa discussione possa scaturire qualche cosa di importante, ormai desideri saperla subito o almeno vuoi sentirne parlare. Vorrei piuttosto che credessi che con questo discorso non ho inteso dar luogo a giochetti di poco valore perché, anche se può darsi che stiamo giocando, tuttavia la cosa non va valutata in senso puerile; inoltre, non sto pensando a beni di piccola o mediocre qualità.

Pertanto, se ti dico che è proprio la vita beata e sempiterna la meta alla quale, con la guida di Dio, cioè della verità stessa, vorrei che fossimo condotti per tappe successive, adatte al nostro debole piede, temo di apparire ridicolo, dal momento che ho intrapreso un tale cammino a partire non già dalle cose stesse che sono significate, ma dai segni. Mi perdonerai dunque se ti propongo alcuni esercizi preparatori: non lo faccio per il gusto di giocare, ma per esercitare le forze e l'acutezza della mente in modo da poter con esse non solo tollerare, ma anche amare il calore e la luce di quella regione in cui regna la vita beata.

Adeodato: - Continua pure come hai cominciato; non penserei mai che sia da disprezzare quanto hai ritenuto bene dire o fare.

Agostino: - Su, ora dunque consideriamo quella parte relativa ai segni che non significano altri segni, ma gli oggetti che chiamiamo significabili. E dimmi prima di tutto se l'uomo è uomo.

Adeodato: - A questo punto davvero non so se stia scherzando.

Agostino: - E perché?

Adeodato: - Perché ritieni di dovermi chiedere se l'uomo è altra cosa da un uomo.

Agostino: - Credo che riterresti che mi prenda gioco di te anche qualora ti chiedessi se la prima sillaba di questo nome è altra cosa da "uo" e la seconda altra cosa da "mo".

Adeodato: - Proprio così.

Agostino: - Ma tu negheresti che queste due sillabe congiunte danno "uomo".

Adeodato: - E chi lo negherebbe?

Agostino: - Ti chiedo dunque se tu sei queste due sillabe congiunte.

Adeodato: - No di certo; ma vedo dove vuoi arrivare.

Agostino: - Dillo pure, affinché non pensi che io voglia oltraggiarti.

Adeodato: - Tu ritieni di poter concludere che io non sono un uomo.

Agostino: - E che? Non sei anche tu della medesima opinione, dal momento che haí ammesso che sono vere tutte le precedenti affermazioni che conducono a questa conclusione?

Adeodato: - Non ti dirò ciò che penso prima di aver udito da te se, nel chiedermi se l'uomo è uomo, mi interrogavi su queste due sillabe o su ciò che esse significano.

Agostino: - Rispondi tu piuttosto in quale senso hai inteso la mia domanda: giacché, se è equivoca, tu dovevi stare in guardia e non rispondermi prima di essere certo in merito al senso della mia richiesta.

Adeodato: - Quale difficoltà poteva procurarmi questo equivoco, dal momento che ho risposto tanto in riferimento all'uno quanto in riferimento all'altro senso? Infatti in ogni modo l'uomo è uomo, perché queste due sillabe non sono altro che queste due sillabe e ciò che esse significano non è altro che ciò che è.

Agostino: - La risposta è certamente giudiziosa; ma perché hai preso nei due sensi soltanto il termine "uomo" e non anche tutte le altre parole di cui abbiamo parlato?

Adeodato: - In base a che cosa dovrei convincermi che non ho preso così anche le altre parole?

Agostino: - Per tralasciare il resto, se tu avessi preso la mia prima domanda esclusivamente nel senso del suono delle sillabe, non mi avresti risposto nulla: ti sarebbe potuto sembrare anche che non ti avessi posto alcuna domanda. Ma, quando ho pronunciato le tre parole e ho ripetuto quella di mezzo chiedendo se l'uomo è uomo, tu hai preso la prima o l'ultima non come segni ma come ciò che essi significano. Ciò risulta evidente dal fatto che hai ritenuto di dover rispondere subito, con prontezza e sicurezza, alla mia domanda.

Adeodato: - Dici il vero.

Agostino: - Perché dunque ti è piaciuto considerare solo la parola di mezzo sia dal punto di vista del suono che dal punto di vista del significato?

Adeodato: - Ecco, ora prendo in considerazione l’intera frase dal punto di vista del significato; infatti sono d'accordo con te che è assolutamente impossibile discutere se l'anima, nell'udire le parole, non si rivolge alle cose di cui esse sono segni. Perciò mostrami come sono stato tratto in inganno da questo ragionamento la cui conclusione è che io non sono un uomo.

Agostino: - No, piuttosto ti ripropongo la domanda in modo che tu possa scoprire da solo dove ti sei sbagliato.

Adeodato: - Fai bene.

Agostino: - Non ti chiederò quello che ti ho chiesto prima, perché me lo hai già concesso. Considera dunque più attentamente se la sillaba "uo" non è niente altro che "uo" e se la sillaba "mo" non è niente altro che "mo".

Adeodato: - Invero non ci vedo altro.

Agostino: - Considera anche se si ha "uomo" congiungendo le due sillabe.

Adeodato: - Mai te lo concederei. Abbiamo ammesso e a buon diritto che, dato un segno, si rivolge l'attenzione a ciò che esso significa e che dalla sua analisi si dà luogo a un enunciato affermativo o negativo. Invece, per quel che riguarda le due sillabe pronunciate separatamente, poiché esse risuonano senza alcun significato, abbiamo già concesso che valgono soltanto come suoni.

Agostino: - Tu dunque ammetti e ritieni per certo che alle domande si deve rispondere soltanto facendo riferimento alle cose che sono significate dalle parole?

Adeodato: - Non vedo perché non dovrebbe essere così, dal momento che si tratta di parole.

Agostino: - Vorrei sapere quali obiezioni opporresti a colui del quale si sente spesso dire per scherzo che aveva concluso la sua argomentazione sostenendo che un leone era uscito dalla bocca del suo interlocutore. Infatti aveva chiesto a quest'ultimo se ciò che esprimiamo a parole esce dalla nostra bocca; l'interlocutore non l`aveva potuto negare; quindi fece in modo - e ciò gli fu facile - che nel parlare egli nominasse il "leone". Ciò fatto, cominciò scherzosamente a deriderlo e a incalzarlo in modo che, avendo egli ammesso che tutto ciò che diciamo esce dalla nostra bocca e non potendo negare dì aver pronunciato la parola "leone", sembrava che quel brav'uomo avesse vomitato una bestia tanto feroce.

Adeodato: - In verità non sarebbe stato affatto difficile replicare a quel buffone: non gli avrei concesso che tutto ciò che diciamo esce dalla nostra bocca. Ciò che diciamo infatti lo esprimiamo con segni; ora, dalla bocca di colui che parla non esce la cosa che è significata, ma il segno con cui è significata, a eccezione del caso di cui abbiamo trattato poco fa, cioè quando si significano i segni stessi.

Agostino: - In questo modo avresti risposto bene a quell'uomo. Ma, come mi risponderai se ti chiedo: "uomo" è un nome?

Adeodato: - E che altro è se non un nome?

Agostino: - Ma allora, quando ti vedo, è un nome che vedo?

Adeodato: - No.

Agostino: - Vuoi dunque che dica che cosa ne consegue?

Adeodato: - Per favore, no; infatti io stesso ho dichiarato che non sono un uomo, rispondendoti che è un nome quando mi hai chiesto se uomo è un nome. Del resto avevamo già stabilito che è a partire dalla cosa significata che si ha enunciato affermativo o negativo.

Agostino: - Mi sembra tuttavia che non ti sia imbattuto invano in questa risposta: è la legge stessa della ragione, impressa nelle nostre menti, che ha vinto la tua vigilanza. Infatti, se ti chiedessi che cosa è l’uomo, tu forse risponderesti che è un animale; se invece ti chiedessi che parte del discorso è "uomo", in nessun altro modo mi potresti rispondere correttamente se non dicendo che è un nome. Così, poiché troviamo che uomo è sia nome che animale, diciamo che è nome dal punto di vista del segno e animale dal punto di vista del significato. Dunque a chi chiede se uomo è un nome, gli dovrei rispondere che lo è perché fa capire abbastanza chiaramente che vuole una risposta dal punta di vista del segno; se invece chiede se è un animale, gli risponderei affermativamente con maggiore spontaneità. Infatti, se mi chiedesse soltanto che cosa è l’uomo senza parlare di nome o di animale, la mente, per quella regola del linguaggio da noi condivisa, si porterebbe subito sull'oggetto significato dalle due sillabe e non risponderebbe altro che è un animale o, piuttosto, ne darebbe l'intera definizione, e cioè che é un animale razionale mortale. Non sei di questo avviso?

Adeodato: - Certamente sono di questo avviso. Ma, quando avremo concesso che è un nome, come potremo evitare quella conclusione troppa offensiva secondo cui non siamo uomini?

Agostino: - Come, pensi, se non dimostrando che la conclusione non è tratta dal nostro modo di rispondere affermativamente all'interlocutore? Del resto non c'è affatto da paventare neppure se dichiara di trarla da tale risposta; infatti perché dovrei temere di ammettere che non sono uomo, cioè che non sono queste due sillabe?

Adeodato: - Niente di più vero. Ma allora perché suona offensivo per l’animo quando sente dire "tu dunque non sei un uomo", dal momento che, secondo ciò che si è ammesso, non si potrebbe dire niente di più vero?

Agostino: - Perché, non appena le parole risuonano, sono indotto a pensare che la conclusione si riferisce a ciò che è significato da queste due sillabe, conformemente alla regola, che naturalmente ha grande valore, per la quale la mente, percepiti i segni, si porta subito sulle cose significate.

Adeodato: - Accetto ciò che dici.

I SEGNI E LA CONOSCENZA DELLE COSE


Agostino: - Parimenti vorrei che tu comprendessi che le cose significate valgono di più dei segni. Infatti tutto ciò che è per altro, necessariamente vale di meno rispetto a ciò per cui è. A meno che tu non sia di diversa opinione.

Adeodato: - Mi pare che in proposito non si debba acconsentire troppo in fretta; infatti, se diciamo "melma" (coenum), penso che questo nome sia di gran lunga superiore alla cosa che significa. Il fatto che, nell'udirlo, provochi disgusto non dipende dal suono della parola, anche perché coenum, in quanto nome, cambiata una sola lettera, diventa coelum (cielo). Ma noi sappiamo quanto sia grande la differenza che c'è fra le cose significate da questi nomi. Pertanto non attribuirei mai al segno coenum ciò che detestiamo nella cosa che esso significa e appunto per questo lo reputo superiore alla cosa. Non è un caso dunque che udiamo più volentieri questo segno che non percepiamo la cosa con qualcuno dei sensi.

Agostino: - Dai prova di grande perspicacia. E’ falso dunque che tutte le cose valgono di più dei loro segni?

Adeodato: - Sì, così sembra.

Agostino: - Dimmi allora che cosa hanno avuto di mira, secondo te, coloro che hanno imposto un nome a una cosa tanto brutta e spregevole. Per dirla diversamente, li approvi o li disapprovi?

Adeodato: - Da parte mia non oso né approvarli né disapprovarli, e non so neppure a che cosa mirassero.

Agostino: - Sai tu almeno che cosa hai di mira quando pronunci questo nome?

Adeodato: - Questo sì, certamente. Infatti intendo dare un segno per insegnare o far ricordare al mio interlocutore ciò che ritengo opportuno apprenda o ricordi.

Agostino: - E che? L'insegnare o il far ricordare oppure l'apprendere o il ricordare, che con questo nome tu puoi facilmente offrire o ricevere, non si devono ritenere di maggior valore del nome stesso?

Adeodato: - Concedo che anche la conoscenza ottenuta mediante tale segno è da preferire al segno, ma non per questo penso che sia così anche per la cosa.

Agostino: - Dunque, secondo la nostra tesi, mentre è falso che tutte le cose devono essere preferite ai loro segni, non è falso invece che tutto ciò che è per altro vale di meno di ciò per cui è. La conoscenza della melma appunto, per la quale questo nome è stato istituito, è da preferirsi al nome stesso che, a sua volta, come abbiamo stabilito, è da preferirsi alla melma stessa. E infatti per nessun altro motivo la conoscenza è da preferire al segno di cui si tratta se non perché è provato che il segno è per essa e non essa per il segno. Così è avvenuto per un divoratore o cultore del ventre, come lo chiama l'Apostolo, il quale diceva che viveva per mangiare. Un uomo sobrio che l'ascoltava non riuscì a sopportarlo e gli replicò: "Quanto sarebbe meglio che mangiassi per vivere". In ogni caso entrambi parlavano in base a questa medesima regola. Non per altro infatti il ghiottone fu rimproverato se non perché, col dire che viveva per il cibo, dava prova di stimare così poco la vita da considerarla di minor valore dei piaceri della gola. E se si loda giustamente l'uomo sobrio, lo si fa perché, comprendendo quale delle due cose si dovrebbe compiere per l'altra, cioè quale si dovrebbe subordinare all'altra, ammonì che si deve mangiare per vivere piuttosto che vivere per mangiare.

Allo stesso modo, a un chiacchierone amante delle parole che dicesse: "Insegno per parlare", forse anche tu e chiunque altro capace di giudicare rettamente le cose rispondereste: "Buon uomo, perché piuttosto non parli per insegnare?". Se ciò è vero e tu sai che lo è, vedi certamente quanto siano da considerare di minor pregio le parole rispetto a ciò per cui le usiamo. Il loro stesso uso, peraltro, è da preferire alle parole, perché le parole sono fatte per usarle e noi appunto le usiamo per insegnare. Di quanto dunque l'insegnare è migliore del parlare, di tanto il linguaggio è migliore delle parole. Di conseguenza il contenuto dell'insegnamento (doctrina) è di gran lunga migliore delle parole. Ma io vorrei sentire se per caso tu abbia qualche cosa da ribattere.

Adeodato: - Ammetto che il contenuto dell'insegnamento è migliore delle parole: ma non so se non ci sia nulla da obiettare contro la regola per cui tutto ciò che è per altro vale di meno rispetto a ciò per cui è.

Agostino: - Ne tratteremo in maniera più adeguata e approfondita un'altra volta; per ora quello che tu ammetti è sufficiente per ciò che cerco di stabilire. Tu concedi che la conoscenza delle cose ha maggior valore dei loro segni; pertanto non ti pare che la conoscenza delle cose che sono significate è da preferirsi alla conoscenza dei segni?

Adeodato: - Ma davvero ho concesso che la conoscenza delle cose è superiore alla conoscenza dei segni o non piuttosto che è superiore ai segni stessi? Su questo punto perciò esito a essere d'accordo con te. Forse che, se il nome "melma" è da preferirsi alla cosa che significa, anche la conoscenza di questo nome è da preferirsi alla conoscenza di questa cosa, sebbene il nome di per sé sia inferiore a questa conoscenza? In effetti quattro sono i termini: il nome e la cosa, la conoscenza del nome e la conoscenza della cosa. Siccome il primo è superiore al secondo, perché il terzo non dovrebbe esserlo rispetto al quarto? Ma, qualora non lo sia, per questo deve essere inferiore?

Agostino: - Vedo che hai tenuto presente in modo veramente mirabile quello che hai concesso e hai chiarito quanto pensavi. Ma, come credo, comprendi che questo nome di due sillabe che risuona dicendo "vizio" è superiore rispetto a ciò che significa, mentre la conoscenza di tale nome è di gran lunga inferiore rispetto alla conoscenza dei vizi. Ammesso che proponi alla considerazione i quattro elementi e cioè nome e cosa, conoscenza del nome e conoscenza della cosa: a buon diritto noi preferiamo il primo al secondo. Questo nome infatti, nel poema di Persio in cui si dice: "Ma costui è istupidito dal vizio", non solo non introduce alcunché di vizioso nel verso, ma anzi gli conferisce un certo ornamento, sebbene la cosa significata da questo nome, quale che sia il soggetto in cui si trova, lo renda inevitabilmente vizioso. Ma non va così per il terzo termine rispetto al quarto: vediamo che il quarto eccelle sul terzo. La conoscenza di questo nome infatti è di poco valore rispetto alla conoscenza dei vizi.

Adeodato: - E questa conoscenza, secondo te, è ancora da preferirsi anche se rende più infelici? Persio, fra tutte le pene che la crudeltà dei tiranni ha escogitato o la loro cupidigia fa scontare, considera superiore solo quella da cui sono tormentati gli uomini, costretti a riconoscere i vizi che sono incapaci di evitare.

Agostino: - Con questo modo di ragionare tu puoi dire che neppure la conoscenza delle virtù è da preferirsi alla conoscenza del nome relativo, perché vedere una virtù e non possederla è un supplizio con cui il medesimo poeta satirico si è augurato che fossero puniti i tiranni.

Adeodato: - Dio ci scampi da questa follia. Ormai comprendo che non si deve dare la colpa alle conoscenze in se stesse, attraverso le quali l'istruzione più alta e completa riempie l'anima; inoltre che gli uomini affetti da una malattia tale che, contro di essa, non possono giovarsi neppure di un rimedio così efficace, si devono considerare come i più miseri di tutti. Credo che anche Persio fosse di questo avviso.

Agostino: - Hai ben compreso; ma quale che sia l'opinione di Persio a noi cosa importa? In questa materia infatti non siamo soggetti all'autorità di queste persone. D'altronde qui non è facile spiegare se una conoscenza è da preferirsi a un'altra. Per ora mi è sufficiente quello che si è raggiunto, ossia che la conoscenza delle cose che sono significate, anche se non è migliore della conoscenza dei segni, tuttavia lo è dei segni stessi. Ora perciò esaminiamo più in dettaglio quale sia il genere di cose che, come dicevamo, si possono mostrare per se stesse, senza segni, come parlare, passeggiare, sedere, giacere e simili.

Adeodato: - Mi ricordo di ciò che si tratta.

LE COSE PRECEDONO I SEGNI


Agostino: - Secondo te, si possono mostrare senza segno tutte le azioni che siamo in grado di compiere subito dopo che siamo stati interrogati in proposito, o hai qualche eccezione da fare?

Adeodato: - Io, in verità, considerando e riconsiderando tutto questo genere di azioni, non ho trovato ancora niente che si possa insegnare senza segno, a eccezione forse del linguaggio e dell'insegnare, se per caso qualcuno ci chiede cosa sia l'atto di insegnare. Vedo infatti che qualunque atto io compirò per istruire qualcuno, dopo la sua richiesta, non potrò allontanarmi dalla cosa stessa che desidera che gli sia mostrata. Giacché, come si è detto, se qualcuno mi chiede cosa sia camminare quando ho finito di camminare o sto facendo altro e io tento di insegnargli senza segno ciò che mi ha chiesto mettendomi subito a camminare, come potrò metterlo in guardia dal pensare che il camminare si riduce unicamente a quel tanto che avrò camminato? Se pensa così, si ingannerà perché riterrà che non abbia camminato chiunque avrà camminato più o meno di me. E quello che ho detto di questa parola vale per tutto ciò di cui ho ammesso che si può mostrare senza segno, a eccezione dei due casi che abbiamo escluso.

Agostino: - Su ciò sono d'accordo; ma non ti pare che altro è parlare e altro insegnare?

Adeodato: - Certamente, perché, se fossero la medesima cosa, non si insegnerebbe che parlando; ma poiché insegniamo molte cose con altri segni oltre che con le parole, chi potrebbe dubitare di questa differenza?

Agostino: - E che, insegnare e significare non differiscono affatto o differiscono in qualche cosa?

Adeodato: - Penso che siano la medesima cosa.

Agostino: - Non si esprime correttamente chi dice che noi facciamo dei segni per insegnare?

Adeodato: - Certo, parla in modo corretto.

Agostino: - Bene. E se un altro dicesse che noi insegniamo per fare dei segni, non sarebbe facile smentirlo sulla base del principio stabilito sopra?

Adeodato: - Sì.

Agostino: - Se dunque facciamo dei segni per insegnare e non insegniamo per fare dei segni, altro è insegnare e altro è fare dei segni.

Adeodato: - Dici il vero ed erroneamente ho risposto che si tratta della medesima cosa.

Agostino: - Ora rispondi a questa domanda: chi insegna cosa sia insegnare lo fa facendo dei segni o in altro modo?

Adeodato: - Non vedo come sia possibile in altro modo.

Agostino: - È dunque errato ciò che hai detto poco fa, ossia che si può insegnare la cosa senza segni quando si chiede cosa sia l'insegnare. Vediamo infatti che neppure ciò si può fare senza segni dal momento che hai concesso che altro è fare dei segni e altro è insegnare. Se infatti sono due atti diversi, come è evidente, e se l'uno non può essere mostrato che mediante l'altro, vuol dire che esso non si mostra da sé, come ti era sembrato. Finora dunque non abbiamo trovato nulla che possa mostrarsi da se stesso all'infuori del linguaggio che, fra le altre cose, significa anche se stesso. Ma siccome anche il linguaggio è un segno, non c'è assolutamente nulla che, come sembra, si possa insegnare senza segni.

Adeodato: - Non ho alcun motivo per dissentire.

Agostino: - Da quanto detto dunque risulta che niente si può insegnare senza segni e che la conoscenza in sé è per noi più pregevole dei segni con cui conosciamo, sebbene non tutti gli oggetti che sono significati possano essere migliori dei loro segni.

Adeodato: - Mi pare che sia così.

Agostino: - Ma dimmi. Ricordi quanti giri abbiamo compiuto per ottenere un risultato così modesto? Infatti, da quando abbiamo cominciato a scagliarci contro le parole - ed è molto che lo facciamo -, ci siamo affannati per trovare le risposte a questi tre problemi: se si può insegnare qualche cosa senza segni; se ci sono segni che sono da preferire alle cose che essi significano; e se la conoscenza stessa delle cose è preferibile ai segni. Ma c'è una quarta questione su cui vorrei avere in breve una tua opinione, e cioè se, secondo te, le soluzioni che abbiamo trovato sono tali che ormai non se ne può più dubitare.

Adeodato: - Avrei voluto in verità che, dopo tanti giri e tortuosità, si fosse giunti a risultati certi; ma questa tua ultima domanda, non so come, mi inquieta e non mi consente di dare l'assenso. Mi sembra infatti che non me l'avresti posta se non avessi qualche cosa da obiettare. La complessità stessa delle cose mi impedisce di esaminare l'insieme e di rispondere con sicurezza; temo appunto che, fra tante pieghe, si nasconda qualche cosa su cui l'acutezza della mia mente non è in grado di far luce.

Agostino: - Accolgo con piacere la tua esitazione perché è il segno di uno spirito non avventato ed è la più grande salvaguardia della tranquillità intellettuale. E’ infatti assai difficile non turbarsi quando le opinioni che accettavamo con spontanea e piena adesione crollano di fronte a dimostrazioni in senso contrario e ci vengono quasi strappate dalle mani. Pertanto, come è bene cedere di fronte ad argomenti ben considerati e attentamente esaminati, così è pericoloso ritenere per conosciuto ciò che non lo è. C'è da temere appunto che, poiché spesso vengono demolite opinioni che si presumevano stabili e durature, cadiamo in tale avversione o tale apprensione nei confronti della ragione, che riteniamo di non dover prestare fede neppure alla verità più evidente.

Ma su, ora esaminiamo con l'animo più libero se a buon diritto hai ritenuto di dover dubitare. Ti pongo una questione. Supponi che un tale, inesperto della caccia agli uccelli che si pratica con panie e visco, s'imbatta in un uccellatore, naturalmente armato dei suoi strumenti, ma che non intende servirsene e procede per la sua strada. A questa vista il nostro uomo tratterrà il passo e, meravigliandosi, come capita, rifletterà fra sé e si chiederà a che cosa possa servire quell'attrezzatura. L'uccellatore, vedendosi osservato, per il desiderio di mettersi in mostra preparerà le canne e poi, scoperto nelle vicinanze un uccelletto, con il fusto di una canna e con il falcone lo immobilizzerà, gli metterà le mani sopra e lo catturerà. Quest'uomo non ha insegnato a colui che lo osserva ciò che voleva sapere, senza ricorrere ad alcun segno ma mediante la cosa stessa?

Adeodato: - Temo che si tratti di qualche cosa di simile a ciò che ho detto di colui che chiede che cosa sia camminare. Vedo che neanche nel caso della cattura degli uccelli l'operazione è stata mostrata nella sua totalità.

Agostino: - E' facile liberarti da questa preoccupazione. Aggiungo la clausola che l'osservatore sia abbastanza intelligente da capire tutta intera questa tecnica a partire da ciò che vede. Giacché, per il nostro assunto, è sufficiente che, se non tutte le cose, almeno alcune possano essere insegnate senza segni ad alcuni uomini.

Adeodato: - Ma anch'io posso aggiungere una clausola: se è abbastanza intelligente, una volta che gli è stato indicato con pochi passi cosa è il camminare, capirà in che cosa consiste nella sua totalità.

Agostino: - Fallo pure; da parte mia non solo non mi oppongo, ma anzi ti assecondo. Vedi dunque che ciascuno di noi ha stabilito che alcune cose si possono insegnare ad alcune persone senza segni e che quindi è falso ciò che pensavamo poco fa, ossia che non vi è assolutamente nulla che si possa mostrare senza segni. A partire da questi casi non sono una o due, ma mille le cose che vengono alla mente come tali che si possono mostrare di per sé senza il ricorso ad alcun segno. E allora, scusa, perché ne dubitiamo? Per non parlare dei tanti spettacoli che, in tutti i teatri, gli attori presentano senza ricorrere ai segni ma mediante le cose stesse, Dio e la natura non fanno sì che si mostrino da se stessi a coloro che li osservano questo sole, cioè la luce che inonda e riveste tutte queste cose, la luna e le stelle, le terre, i mari e gli innumerevoli esseri che vi sono generati?

E se consideriamo la questione con maggiore attenzione, forse non troverai nulla che si apprenda mediante i suoi segni. Quando infatti mi viene dato un segno, se io non so di che cosa è segno, esso non può insegnarmi nulla; se invece lo so, che cosa apprendo mediante il segno?

Così quando leggo Et sarabarae eorum non sunt mutatae, la parola non mi mostra la cosa che significa. Se infatti con tale nome si chiamano certi copricapo, forse che, una volta uditolo, ho appreso cosa è il capo e cosa sono i copricapo? Queste cose le conoscevo già; non ne ho acquistata nozione perché le ho sentite nominare da altri, ma perché le ho viste da me. Non è infatti quando per la prima volta le due sillabe della parola "capo" hanno colpito le mie orecchie, come non è quando per la prima volta ho sentito o letto sarabare che ne ho conosciuto il significato. Ma piuttosto, sentendo spesso dire "capo", ho notato e fatta attenzione alla circostanza in cui era pronunciato, così ho trovato che il termine designava una cosa che mi era già ben nota per averla vista. Prima di questa scoperta la parola per me era soltanto un suono; ho appreso che era un segno quando ho trovato di quale cosa era segno. Ma, come ho detto, questa cosa l'ho appresa non per mezzo del significato, ma per mezzo della vista. Perciò è il segno che si apprende attraverso la conoscenza della cosa e non già la cosa stessa attraverso l'emissione del segno.

Per comprendere meglio la questione, supponi che ora, per la prima volta, udiamo il termine "capo". Non sapendo se è soltanto il risuonare di una voce oppure se ha anche un significato, domandiamo che cosa è il capo. (Ricordati che desideriamo conoscere non la cosa significata, ma il segno stesso, conoscenza di cui evidentemente siamo privi fino a che ignoriamo di che cosa è segno). Se dunque alla nostra richiesta ci viene mostrata col dito la cosa stessa, nel vederla apprendiamo il segno che avevamo soltanto udito, ma non ancora conosciuto. Ora, poiché questo segno presenta due aspetti, il suono e il significato, certamente non abbiamo percepito il suono mediante il segno ma mediante l'udito percosso dal suono e il significato mediante la percezione della cosa significata. Il dito teso infatti non può significare niente altro che ciò verso cui esso è teso. Ora il dito non è teso verso il segno, ma verso quella parte del corpo che è chiamata capo; quindi, mediante questo gesto, non posso conoscere né la cosa che conoscevo già né il segno perché il dito non è teso verso di esso.

Ma non voglio occuparmi troppo del dito teso, poiché mi sembra che sia il segno dell'azione stessa del mostrare piuttosto che delle cose che sono da esso mostrate, come avviene, per esempio, quando diciamo "ecco"; infatti, nel pronunciare questo avverbio siamo soliti anche tendere il dito come se un segno solo per mostrare non sia sufficiente. Ora, se mi sarà possibile, cercherò soprattutto di persuaderti che non apprendiamo nulla con i segni che chiamiamo parole. Infatti, come ho detto, piuttosto che la conoscenza della cosa a partire dal suo significato, apprendiamo il valore della parola (ossia il suo significato che si nasconde nel suono) a partire dalla conoscenza della cosa significata.

E ciò che ho detto del capo lo potrei dire anche dei copricapo e di innumerevoli altre cose; ma queste le conoscevo già, mentre le famose sarabare non so ancora cosa siano. E se qualcuno me le indicasse con un gesto o me le dipingesse oppure mi mostrasse qualche cosa di simile, non direi che non me le ha insegnate - cosa che potrei provare facilmente se volessi dilungarmi un po' - ma dico qualche cosa di molto simile e cioè che non me le ha insegnate con le parole. Se poi, scorgendole davanti a me, mi avvertisse dicendo: "ecco le sarabare", apprenderei una cosa che non conoscevo, però non già per mezzo delle parole pronunciate, ma mediante la percezione diretta delle sarabare. Ne deriverebbe che conoscerei e apprenderei anche il valore di questo nome. Nell'apprendere la cosa infatti non è alle parole altrui che ho prestato fede, ma ai miei occhi; alle parole tuttavia forse ho creduto per prestare attenzione, cioè per cercare con lo sguardo la cosa da vedere.

L’UTILITÀ DEL LINGUAGGIO


Le parole hanno valore entro questi limiti; per valutarle quanto più è possibile dirò che ci stimolano soltanto a cercare le cose, ma non ce le presentano perché le conosciamo. Invero mi insegna qualche cosa soltanto chi mi presenta agli occhi o a qualche altro senso del corpo oppure alla mente stessa ciò che voglio conoscere. Dunque, con le parole apprendiamo soltanto le parole, anzi il suono e lo strepito delle parole. Se infatti non sono parole quelle che non sono segni, nell'ascoltare una parola non so se è tale fino a che non ne conosco il significato.

Dunque, con la conoscenza delle cose si ottiene anche la conoscenza delle parole, mentre con l'udire le parole non si apprendono neanche le parole. Infatti non apprendiamo le parole che conosciamo: oppure possiamo affermare che abbiamo apprese quelle che non conosciamo solo dopo che ne abbiamo percepito il significato, la qualcosa avviene non già con l'ascolto delle parole proferite, ma con la conoscenza delle cose significate. È un ragionamento verissimo e formulato in modo ineccepibile quello secondo cui, quando si proferiscono parole, o sappiamo ciò che significano o non lo sappiamo; se lo sappiamo, lo richiamiamo alla memoria piuttosto che apprenderlo; se invece non lo sappiamo, neppure lo richiamiamo alla memoria, ma forse siamo sollecitati a cercarlo.

Ammettiamo poi, dopo aver detto a proposito dei famosi copricapo, il cui nome è da noi percepito soltanto come un suono, che non possiamo conoscerli se non dopo averli visti e che ne possiamo conoscere meglio il nome solo dopo averli conosciuti, che tu obiettassi che abbiamo appreso solo per mezzo di parole come questi fanciulli hanno superato con la fede e la pietà le fiamme e il re, quali lodi hanno cantato a Dio, quali onori si sono meritati perfino dal loro nemico. In tal caso io ti risponderei che conoscevamo già tutto ciò che queste parole significano. Infatti sapevo già cosa sono tre fanciulli, la fornace, il fuoco, il re e, infine, cosa voglia dire illesi dal fuoco e tutto il resto che quelle parole significano. Quanto ad Anania, Azaria e Misael, essi mi sono ignoti tanto quanto le famose sarabare e i loro nomi non mi hanno aiutato per conoscerli né mi potranno ormai più aiutare.

Del resto confesso più di credere che di sapere che tutto ciò che si legge di quella storia sia avvenuto in quel tempo così come è scritto. Questa differenza era nota anche a coloro ai quali crediamo; dice infatti il Profeta: Se non crederete, non comprenderete, e di certo non 1'avrebbe detto se non avesse ritenuto che non c'è nessuna differenza. Dunque ciò che comprendo, lo credo anche; ma non tutto ciò che credo lo comprendo. E so tutto ciò che comprendo, ma non tutto ciò che credo. Del resto non ignoro quanto sia utile credere molte cose che ignoro; e appunto tra le cose utili metto anche la storia dei tre fanciulli.

Dunque, poiché non posso sapere un buon numero di cose, tuttavia so quanto è utile credervi.

Ma su tutte le realtà che comprendiamo interpelliamo la verità non in quanto risuona al di fuori di noi, ma in quanto presiede interiormente allo spirito stesso stimolati forse dalle parole. Ora, colui che noi interpelliamo è colui che insegna, il Cristo di cui si è detto che abita nell'uomo interiore, ossia la Potenza immutabile e la Sapienza eterna di Dio. E' essa che tutte le anime razionali interpellano, ma si apre a ciascuna nei limiti in cui può accoglierla secondo la propria buona o cattiva volontà. E se talora l'anima sbaglia, non avviene per difetto della Verità interpellata, come non è per difetto della luce esterna che gli occhi corporali spesso ci ingannano; questa luce, dobbiamo confessare, la interpelliamo relativamente alle cose visibili, perché ce le mostri secondo le nostre capacità di vedere.

LA VERITÀ INTERIORE


Ma se per i colori interpelliamo la luce e per le altre qualità che percepiamo con il corpo interpelliamo gli elementi di questo mondo, i corpi stessi che percepiamo e i sensi dei quali la mente si serve come interpreti per conoscere questa sorta di oggetti, per le cose intelligibili invece interpelliamo la verità interiore, mediante la ragione. Che cosa si può dire allora per mostrare che con le parole apprendiamo una cosa diversa dal suono che colpisce i nostri orecchi? In effetti tutti gli oggetti che percepiamo li percepiamo o con i sensi o con la mente; gli uni li chiamiamo sensibili, gli altri intelligibili o, per parlare alla maniera dei nostri autori, gli uni carnali, gli altri spirituali. Interrogati sui primi, se sono presenti, rispondiamo dicendo ciò che percepiamo, come quando, per esempio, ci si chiede quale o dove sia la luna nuova mentre la stiamo guardando. In questo caso chi interroga, se non vede lui stesso, crede alle parole, ma non sempre. Ad ogni modo non apprende se non vede egli stesso ciò che gli si dice, e perciò non apprende dal suono delle parole ma dalle cose stesse e dai suoi sensi, poiché le parole, mentre vede, hanno il medesimo suono di quando non vedeva.

Ma quando ci interrogano non più sulle cose che percepiamo direttamente, ma su quelle che abbiamo percepito in precedenza, allora il nostro discorso non riguarda più le cose stesse, ma le immagini che queste hanno impresso nella nostra memoria e che hanno ad essa affidato. In questo caso non so proprio come possiamo dire cose vere, dal momento che ce ne rappresentiamo false, a meno che parliamo non già di ciò che vediamo e percepiamo, ma di ciò che abbiamo visto e percepito. Così, portiamo nel profondo della nostra memoria queste immagini come documenti di cose percepite precedentemente e, quando ne facciamo oggetto di pensiero, abbiamo consapevolezza di non errare nel parlarne. Ma è per noi che queste immagini sono documenti; perciò chi ci ascolta, se le ha percepite lui stesso direttamente, non le apprende mediante le mie parole, ma le riconosce grazie alle immagini che egli stesso ha portato con sé. Se invece non le ha percepite, allora chi non comprende che crede alle parole piuttosto che istruirsi con le cose?

Quando poi si tratta di ciò che percepiamo con la mente, cioè con l'intelletto e la ragione, sicuramente esprimiamo ciò che intuiamo nella luce interiore della verità che inonda di chiarezza e di godimento quello che chiamiamo l'uomo interiore. Ma anche in tal caso chi ci ascolta, se vede anch'egli queste cose con il puro occhio interiore, conosce ciò che io dico con il proprio pensiero e non mediante le mie parole. Neanche a lui perciò insegno, pur dicendo la verità, perché la contempla da solo; infatti è ammaestrato non dalle mie parole, ma dalle cose stesse che gli si manifestano perché Dio gliele svela nell'interiorità, e quindi potrebbe senz'altro rispondere se fosse interrogato su di esse. Non c'è quindi nulla di più assurdo che pensare che è ammaestrato dal mio linguaggio chi potrebbe spiegare le cose stesse prima ancora che gliene parli, se fosse interrogato su di esse.

Accade spesso, è vero, che, interrogati, si comincia col negare ciò che successivamente, pressati con altre richieste, si è costretti ad ammettere. Ma ciò dipende dalla debolezza di chi guarda perché è incapace di riflettere la luce di verità sull'oggetto nella sua totalità. Allora è indotto a farlo in maniera parziale quando è interrogato sulle parti stesse di cui consta l'insieme che non riusciva a vedere nella sua totalità. E anche se vi è condotto dalle parole del suo interlocutore, tuttavia non sono tali parole che insegnano poiché esse ricercano soltanto se egli è idoneo ad apprendere interiormente allo stesso modo dell'interlocutore.

Così, ad esempio, ti potrei domandare, in merito a ciò che stiamo trattando, se con le parole non si possa insegnare nulla. La domanda dapprima ti sembrerebbe assurda perché non sei capace di abbracciare l'intera questione. Sarebbe quindi opportuno che, tenendo conto delle forze di cui disponi per ascoltare il maestro interiore, ti chiedessi: "Da chi hai appreso le cose che, stando alle mie parole, riconosci esser vere, di cui sei certo e che affermi di conoscere?" Tu forse risponderesti che te le ho insegnate io. Allora io soggiungerei: "E che, se ti dicessi che ho visto un uomo volare, le mie parole ti renderebbero così certo come se sentissi dire che i saggi sono migliori degli stolti?". Tu certamente lo negheresti e risponderesti che non credi alla prima affermazione o, anche se vi credessi, tuttavia non ne hai conoscenza, mentre conosci con assoluta certezza la seconda. Allora ti renderesti conto che, tanto relativamente alla prima, che non conosceresti nonostante la mia affermazione, quanto relativamente alla seconda, che invece conosceresti perfettamente, non hai appreso nulla dalle mie parole perché, se fossi interrogato su ciascuna delle due separatamente, confermeresti che la prima ti è ignota e la seconda nota. E quindi dovresti ammettere completamente la tesi che avevi precedentemente negata, poiché avresti acquisito una conoscenza chiara e certa delle parti che la compongono e cioè che, a proposito di tutto ciò che diciamo, l'uditore o ignora se è vero o non ignora che è falso oppure sa che è vero. Nel primo di questi tre casi egli crede, congettura o dubita; nel secondo nega decisamente e nel terzo afferma: in nessun caso però apprende. È indubbio infatti che dalle mie parole non ha appreso nulla tanto chi non sa nulla della cosa dopo le nostre parole, quanto chi sa di aver ascoltato falsità e chi, interrogato, sarebbe in grado di rispondere dicendo le medesime cose che sono state dette.

LE APORIE DEL LINGUAGGIO


Perciò, anche relativamente alle realtà che si percepiscono con la mente, chi non è capace di percepirle ascolta inutilmente le parole di chi le percepisce, se non per il fatto che è utile credervi fintanto che si ignorano. Ma chiunque è in grado di percepirle è interiormente discepolo della Verità, all'esterno è giudice di chi parla o, meglio, delle sue parole, perché per lo più conosce le cose di cui si parla, anche se le ignora chi ne parla. Ad esempio, un tale, che è seguace dell'epicureismo e che ritiene l'anima mortale, enuncia gli argomenti proposti sull'immortalità dagli uomini più saggi in presenza di un uditore capace di comprendere le verità spirituali. Questi giudica che l'altro dice il vero, mentre colui che parla non solo ignora se dice il vero, ma anzi lo considera completamente falso. Si deve dunque ritenere che insegna ciò che ignora? Eppure si serve delle medesime parole di cui si potrebbe servire se sapesse.

Alle parole dunque ormai non resta neppure la funzione di rivelarci il pensiero di colui che parla, perché non è certo se conosce le cose di cui parla. Aggiungi poi i mentitori e gli ingannatori: dal loro esempio puoi facilmente comprendere che le parole non solo non svelano il pensiero, ma anzi lo occultano. Non discuto affatto che le parole delle persone veritiere tendono e, in qualche modo, si impegnano a manifestare il pensiero di chi parla e che, per universale consenso, vi riuscirebbero se non si consentisse ai mentitori di parlare. Pur tuttavia abbiamo spesso sperimentato in noi e negli altri che le parole proferite non corrispondono alle cose che si pensano. Questo, secondo me, può accadere in due modi: in primo luogo, quando un discorso imparato a memoria e più volte ripetuto viene pronunciato pensando ad altro (questo ci capita spesso quando cantiamo un inno); in secondo luogo, quando ci escono alcune parole al posto di altre, contro la nostra volontà, per un errore della stessa lingua: neppure in questo caso l'udito percepisce i segni delle cose che abbiamo nella mente. Anche i mentitori certamente pensano alle cose che dicono al punto che, sebbene non sappiamo se dicono il vero, tuttavia sappiamo che hanno nella mente ciò che dicono, salvo che anche per loro non si verifichi uno dei due casi detti sopra. Se poi qualcuno sostiene che questi fenomeni avvengono solo qualche volta e ce se ne accorge quando accadono - benché restino spesso occulti e mi abbiano spesso ingannato quando ascoltavo - non faccio obiezione.

Ma a questi casi se ne aggiunge un altro, sicuramente assai frequente e sorgente di innumerevoli dissensi e controversie; è il caso di chi, parlando, significa ciò che pensa, ma per lo più soltanto per sé e per qualche altro, mentre per l'interlocutore e per alcuni altri non significa la medesima cosa. Così, supponiamo che un tale dica alla nostra presenza che l'uomo è inferiore per valore ad alcune bestie; noi, non riuscendo a sopportare la cosa, respingeremmo con grande energia un'affermazione così falsa e dannosa. Ma egli forse per valore intende le forze del corpo e con questo termine esprime ciò che pensa, per cui, né mente, né erra relativamente alle cose, né connette le parole imparate a memoria pensando ad altro né, per un errore di lingua, proferisce cose diverse da quelle che vuole: soltanto chiama ciò che pensa con un nome diverso dal nostro. A questo proposito saremmo subito d'accordo con lui se potessimo scorgere il suo pensiero; egli però non è riuscito ancora a manifestarcelo, nonostante abbia proferito le parole ed abbia spiegato la sua opinione.

Dicono che ad errori di questo tipo si può rimediare con le definizioni. Fanno rilevare infatti che,

se nella presente questione si definisse il valore, apparirebbe chiaro che la controversia non riguarda la cosa, ma la parola. Però, anche concedendo che sia così, quanti uomini capaci di definizioni è possibile trovare? Per di più contro l'arte del definire sono state avanzate molte obiezioni che in questa sede non è opportuno richiamare e che io, da parte mia, non approvo del tutto.

Lascio da parte il fatto che molte parole non le udiamo bene, eppure ne discutiamo a lungo e molto, come se le avessimo udite. Ad esempio, poco fa, a proposito di una parola punica, mentre io dicevo che significa misericordia, tu dicevi di aver udito dagli esperti di questa lingua che significa pietà. Ma io, opponendomi, asserivo che ti era del tutto sfuggito ciò che avevi udito; mi pareva infatti che non avessi detto pietà ma fede. Eppure eri seduto molto vicino a me e in nessun modo questi due nomi potevano ingannare l'udito per somiglianza di suono. Per molto tempo tuttavia ho ritenuto che non sapessi cosa ti era stato detto; invece ero io che non sapevo ciò che tu avevi detto. Infatti, se ti avessi inteso bene, non mi sarebbe sembrato affatto assurdo che pietà e misericordia in punico siano designate da un solo vocabolo. Queste cose accadono spesso, ma, come ho detto, mettiamole da parte perché non sembri che io accusi le parole della trascuratezza di chi ascolta o anche della sordità degli uomini. Sono più inquietanti i casi enumerati precedentemente, cioè quelli nei quali le parole sono state proferite in latino e percepite in maniera chiara e pur tuttavia non riusciamo a conoscere il pensiero di coloro che parlano, pur essendo della medesima lingua.

Comunque voglio concederti senza riserve che, quando le parole sono state afferrate dall'udito di uno che le conosce, possa essergli noto che il suo interlocutore ha pensato alle cose che tali parole significano. Ma con questo forse viene a sapere anche ciò che è ora in questione, cioè che gli ha detto la verità?

UNO SOLO É IL MAESTRO DI TUTTI


Forse che i maestri hanno per professione di far percepire e di far tenere a mente i loro pensieri anziché le discipline che pensano di trasmettere con le parole? E chi è preso da così sciocca curiosità da mandare il figlio a scuola perché apprenda ciò che il maestro pensa? Piuttosto, una volta che i maestri abbiano esposto con parole tutte le discipline che professano di insegnare, compresa quella relativa alla virtù e alla saggezza, allora i cosiddetti discepoli considerano in se stessi se ciò che è stato detto è vero, guardando naturalmente alla verità interiore secondo le loro forze. Quindi apprendono e, quando hanno scoperto nella propria interiorità che sono vere le cose dette, lodano i loro maestri, senza sapere che non lodano i maestri ma degli uomini dotti, ammesso che costoro sappiano ciò di cui fanno professione.

Dunque gli uomini si ingannano nel chiamare maestri quelli che non lo sono, perché il più delle volte non c'è intervallo fra il momento della parola e il momento della conoscenza; e, poiché apprendono immediatamente nell'interiorità dopo l’avvertimento di colui che parla, suppongono di aver appreso dal di fuori, da colui che ha richiamato la loro attenzione.

Ma tutta l'utilità delle parole che, a ben considerare, non è poca, se Dio lo consente, la esamineremo un'altra volta. Per ora ti ho già avvertito di non concederle più del dovuto, affinché non solo si creda, ma si incominci anche a comprendere la verità di ciò che è stato scritto per divina sollecitazione. Cioè di non considerare nessuno come nostro maestro sulla terra perché l'unico maestro di tutti è in cielo.

Poi cosa voglia dire "in cielo" ce lo insegnerà colui che ci fa dare dagli uomini con segni, dall'esterno, l'avvertimento a ricevere il suo insegnamento ritornando all'interno, verso di lui. Amare e conoscere lui costituiscono la vita beata che tutti proclamano di cercare, ma che pochi possono compiacersi veramente di aver trovata.

Ma ora vorrei che tu mi dicessi cosa pensi di tutto questo mio discorso. Se infatti riconosci che ciò che è stato detto è vero, qualora fossi stato interrogato su ciascuna delle affermazioni, avresti dovuto rispondere che le sapevi. Puoi dunque comprendere da chi le hai apprese; non certo da me perché, se ti avessi interrogato, mi avresti risposto su ogni cosa. Se invece non riconosci che è vero, non ti abbiamo insegnato né io né lui: io perché non sono mai in grado di insegnare, lui perché tu non sei ancora in grado di apprendere.

Adeodato: - Io, in verità, dall'avvertimento contenuto nelle tue parole ho appreso che con le parole non si fa altro che avvertire l'uomo perché apprenda e che ci sono poche possibilità che il linguaggio riveli qualche cosa del pensiero di colui che parla. Ho appreso inoltre che insegna, se si può dire il vero, quegli soltanto che, mentre parlava dall'esterno, ci ha avvertito che abita nell'interiorità. Perciò, con l'aiuto della sua grazia, lo amerò tanto più ardentemente quanto più progredirò nell'apprendere.

Comunque ti sono molto grato del discorso che mi hai tenuto, soprattutto perché ha prevenuto e dissolto tutte le obiezioni che ero pronto a farti. Inoltre non hai lasciato da parte assolutamente nulla di ciò che mi rendeva dubbioso e su cui questo oracolo interiore non mi abbia risposto nel modo indicato dalle tue parole.


Parte 3

Quaderno II - Santa Faustina Kowalska

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G.M.G. Cracovia, 1936 O VOLONTA’ DI DIO, SII IL MIO AMORE!

ESERCIZI SPIRITUALI DI OTTO GIORNI 20.X.1936. Gesù mio, oggi mi ritiro nel deserto per parlare solo con Te, o mio Maestro e Signore. Taccia la terra, Tu solo parli a me, o Gesù. Tu sai che non comprendo altra voce all'infuori della Tua, o buon Pastore. Nella dimora del mio cuore c'è il deserto, dove nessuna creatura può entrare. Tu solo vi sei Re.

Quando andai in cappella per cinque minuti di adorazione, chiesi a Gesù come dovevo fare questi esercizi spirituali. All'improvviso sentii nell'anima questa voce: “Desidero che ti trasformi tutta in amore e arda nel fuoco come una pura vittima d'amore”… O Verità Eterna, concedimi un raggio della Tua luce, per conoscere Te, Signore, ed esaltare degnamente la Tua infinita Misericordia e nello stesso tempo fammi conoscere me stessa e tutto l'abisso di miseria che sono.

Ho scelto per patroni durante questi esercizi spirituali, S. [sic!] Claudio de la Colombière e S. Geltrude, perché intercedano incessantemente per me presso la Madonna ed il Salvatore Misericordioso. In questa meditazione sulla creazione ... in un attimo la mia anima si è unita al Suo Creatore e Signore. Durante questa unione ho conosciuto il mio scopo e la mia destinazione. Il mio scopo è quello di unirmi intimamente a Dio attraverso l'amore e la mia destinazione è quella di adorare ed esaltare la Misericordia di Dio. Il Signore me l'ha fatto conoscere chiaramente e sperimentare in modo avvertibile anche fisicamente. Non finisco di stupirmi, quando conosco ed esperimento l'amore sconfinato che Dio ha per me. Chi è Dio? E chi sono io? Altro non posso pensare. Solo l'amore comprende questo incontro e l'unione di questi due spiriti, cioè Dio Spirito e l'anima della creatura. Più Lo conosco, più mi sprofondo in Lui con tutta la potenza del mio essere.

« Durante questi esercizi ti terrò continuamente accanto al Mio Cuore, in modo che conosca meglio la Misericordia che ho per gli uomini e specialmente per i poveri peccatori ». Il giorno in cui cominciarono gli esercizi spirituali venne a trovarmi una suora che era venuta per pronunciare i voti perpetui, e mi confidò che non aveva affatto fiducia in Dio e che si abbatteva per un nonnulla. Le risposi: « Ha fatto bene, sorella, a dirmelo, pregherò per lei ». E le dissi alcune parole e quanto dispiaccia a Gesù la mancanza di fiducia ed in particolare da parte di un'anima eletta. Mi rispose che a cominciare dai voti perpetui, si sarebbe esercitata nella fiducia. Ora so che perfino anime elette e già avanti nella vita religiosa e spirituale, non hanno il coraggio di fidarsi completamente di Dio. E ciò avviene perché poche anime conoscono l'insondabile Misericordia di Dio e la Sua grande bontà.

La grande Maestà di Dio, che è penetrata in me oggi e ancora mi penetra, mi ha procurato un grande timore, ma un timore reverenziale e non un timore servile che è una cosa ben diversa dal timore reverenziale. Il timore reverenziale è sorto oggi nel mio cuore dall'amore e dalla conoscenza della grandezza di Dio e questa è una grande gioia per l'anima. L'anima trema di fronte alla più piccola offesa di Dio, ma questo non la turba né le offusca la felicità. Dove governa l'amore, li tutto va bene. Mi capita che mentre ascolto la meditazione, una parola m'introduce in una più stretta unione col Signore e non so più quello che dice il Padre. So che mi trovo accanto al misericordiosissimo Cuore di Gesù, il mio spirito s'immerge totalmente in Lui e vengo a conoscere in un attimo più cose di quante potrei conoscerne dopo lunghe ore di ricerche intellettuali o di meditazione. Sono lampi improvvisi di luce, che mi fanno conoscere una cosa come la vede Iddio, sia per quanto concerne il mondo interiore, come pure quello esterno. Vedo che Gesù opera Lui stesso nella mia anima durante questi esercizi spirituali; io cerco soltanto di essere fedele alla Sua grazia. Ho affidato l'anima completamente all'influsso di Dio. Questo Sovrano celeste si è impossessato totalmente della mia anima. Sento che vengo trasportata al di sopra della terra e del cielo, nella vita intima di Dio, dove conosco il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, ma sempre nell'unità della Maestà.

Mi chiuderò nel calice di Gesù, al fine di confortarLo continuamente. Fare tutto ciò che sarà in mio potere per salvare le anime, farlo attraverso la preghiera e la sofferenza.

Cerco di essere sempre come Betania per Gesù, affinché dopo le numerose fatiche possa riposare. Nella santa Comunione trovo un'unione così stretta ed indicibile che, se anche volessi descriverla, non troverei le espressioni adatte. Questa sera ho visto Gesù nell'aspetto che aveva durante la Sua Passione. Aveva gli occhi rivolti al Padre Suo e pregava per noi.

Sebbene fossi malata, oggi ho deciso di fare come al solito l'ora santa. Durante tale ora ho visto Gesù flagellato alla colonna. Durante quella tremenda tortura, Gesù pregava e dopo un momento mi ha detto: «Sono poche le anime che meditano sulla Mia Passione con vero sentimento. Alle anime che meditano devotamente sulla Mia Passione, concedo il maggior numero di grazie.

Senza un Mio aiuto particolare, non sei nemmeno capace di ricevere le Mie grazie; sai che cosa sei ». Oggi dopo la santa Comunione ho parlato moltissimo con Gesù di persone che mi sono particolarmente care. Tutto ad un tratto ho udito queste parole: « Figlia Mia, non ti sforzare con tale loquacità. Quelli che tu ami in modo particolare, anch'io li amo in modo particolare e per riguardo a te, li colmo con le mie grazie. Mi fai piacere quando Mi parli di loro, ma non farlo con sforzi eccessivi ».
O Salvatore del mondo, mi unisco alla Tua Misericordia. O mio Gesù, unisco tutte le mie sofferenze alle Tue e le depongo nel tesoro della Chiesa per il bene delle anime. Oggi, sotto la guida di un angelo, sono stata negli abissi dell'inferno. E un luogo di grandi tormenti per tutta la sua estensione spaventosamente grande. Queste le varie pene che ho viste: la prima pena, quella che costituisce l'inferno, è la perdita di Dio; la seconda, i continui rimorsi di coscienza; la terza, la consapevolezza che quella sorte non cambierà mai; la quarta pena è il fuoco che penetra l'anima, ma non l'annienta; è una pena terribile: è un fuoco puramente spirituale acceso dall'ira di Dio; la quinta pena è l'oscurità continua, un orribile soffocante fetore, e benché sia buio i demoni e le anime dannate si vedono fra di loro e vedono tutto il male degli altri ed il proprio; la sesta pena è la compagnia continua di satana; la settima pena è la tremenda disperazione, l'odio di Dio, le imprecazioni, le maledizioni, le bestemmie. Queste sono pene che tutti i dannati soffrono insieme, ma questa non è la fine dei tormenti. Ci sono tormenti particolari per le varie anime che sono i tormenti dei sensi. Ogni anima con quello che ha peccato viene tormentata in maniera tremenda e indescrivibile. Ci sono delle orribili caverne, voragini di tormenti, dove ogni supplizio si differenzia dall'altro. Sarei morta alla vista di quelle orribili torture, se non mi avesse sostenuta l'onnipotenza di Dio. Il peccatore sappia che col senso col quale pecca verrà torturato per tutta l'eternità. Scrivo questo per ordine di Dio, affinché nessun'anima si giustifichi dicendo che l'inferno non c'è, oppure che nessuno c’è mai stato e nessuno sa come sia. Io, Suor Faustina, per ordine di Dio sono stata negli abissi dell'inferno, allo scopo di raccontarlo alle anime e testimoniare che l'inferno c'è. Ora non posso parlare di questo. Ho l'ordine da Dio di lasciarlo per iscritto. I demoni hanno dimostrato un grande odio contro di me, ma per ordine di Dio hanno dovuto ubbidirmi. Quello che ho scritto è una debole ombra delle cose che ho visto. Una cosa ho notato e cioè che la maggior parte delle anime che ci sono, sono anime che non credevano che ci fosse l'inferno. Quando ritornai in me, non riuscivo a riprendermi per lo spavento, al pensiero che delle anime là soffrono così tremendamente, per questo prego con maggior fervore per la conversione dei peccatori, ed invoco incessantemente la Misericordia di Dio per loro. O mio Gesù, preferisco agonizzare fino alla fine del mondo nelle più grandi torture, piuttosto che offenderTi col più piccolo peccato.


G.M.G.
“Figlia Mia, se per tuo mezzo esigo dagli uomini il culto della Mia Misericordia, tu devi essere la prima a distinguerti per la fiducia nella Mia Misericordia. Esigo da te atti di Misericordia, che debbono derivare dall'amore verso di Me. Devi mostrare Misericordia sempre e ovunque verso il prossimo: non puoi esimerti da questo, né rifiutarti né giustificarti. Ti sottopongo tre modi per dimostrare Misericordia verso il prossimo: il primo è l'azione, il secondo è la parola, il terzo la preghiera. In questi tre gradi è racchiusa la pienezza della Misericordia ed è una dimostrazione irrefutabile dell'amore verso di Me. In questo modo l'anima esalta e rende culto alla Mia Misericordia. Sì, la prima domenica dopo Pasqua è la festa della Misericordia, ma deve esserci anche l'azione ed esigo il culto della Mia Misericordia con la solenne celebrazione di questa festa e col culto all'immagine che è stata dipinta. Per mezzo di questa immagine concederò molte grazie alle anime, essa deve ricordare le esigenze della Mia Misericordia, poiché anche la fede più forte, non serve a nulla senza le opere”. O mio Gesù, aiutami Tu direttamente in tutto, poiché vedi quanto sono piccolina e per questo conto unicamente sulla Tua bontà, o Dio.


ESAME DI COSCIENZA PARTICOLARE.

Unione con Cristo Misericordioso. Col cuore abbraccio il mondo intero e specialmente i paesi selvaggi e perseguitati; per essi chiedo Misericordia. Due propositi di carattere generale. Primo: cercare il raccoglimento interiore ed osservare rigorosamente la regola del silenzio. Secondo: fedeltà alle ispirazioni interiori; tradurle in vita e in azioni secondo il parere del direttore spirituale. Durante questa malattia desidero adorare la volontà di Dio e, per quanto sarà in mio potere, cercherò di prendere parte a tutte le pratiche di pietà che si fanno in comune. Per ogni dispiacere e sofferenza ringrazierò ardentemente il Signore.

Sento spesso che all'infuori di Gesù, non ho aiuti da nessuna parte, benché qualche volta abbia molto bisogno di chiarimenti in merito alle richieste del Signore. Questa sera improvvisamente ho ricevuto uno sprazzo di luce da Dio in merito ad una certa questione. Per dodici anni avevo riflettuto su una certa questione e non ero riuscita a comprenderla. Oggi Gesù mi ha fatto conoscere quanto ciò Gli è piaciuto.

FESTA DI CRISTO RE. 25.X.1936.

Durante la santa Messa mi ha investito un tale ardore interiore d'amor di Dio e per la salvezza delle anime, che non riesco ad esprimere. Sento che sono tutta un fuoco, che combatterò contro ogni male con l'arma della Misericordia. Ardo dal desiderio di salvare le anime; percorro tutto il mondo in lungo e in largo e m'inoltro fino agli estremi di esso, fin nei luoghi più selvaggi, per salvare le anime. Lo faccio mediante la preghiera ed il sacrificio. Desidero che ogni anima esalti la Misericordia di Dio, poiché ognuno sperimenta su di sé gli effetti di tale Misericordia. I santi in cielo adorano la Misericordia del Signore, io desidero adorarla fin d'ora qui in terra e diffonderne il culto, come Dio lo vuole da me. Mi sono resa conto che in certi momenti e nei più difficili sarò sola, abbandonata da tutti e dovrò far fronte a tutte le tempeste e combattere con tutte le forze dell'anima, perfino contro coloro dai quali mi attendevo un aiuto. Ma non sono sola, con me c'è Gesù; con Lui non ho paura di nulla. Mi rendo bene conto di tutto e so quello che Dio vuole da me. La sofferenza, il disprezzo, lo scherno, la persecuzione, l'umiliazione saranno la mia porzione stabile, non conosco altra via; per un amore sincero, l'ingratitudine. Questa è la strada che devo battere, seguendo le orme di Gesù. Gesù mio, mia forza ed unica mia speranza, sì, in Te solo c'è tutta la mia speranza; la mia fiducia non rimarrà delusa. Il giorno della rinnovazione dei voti. La presenza di Dio penetra nella mia anima in modo non solo spirituale, ma l'avverto anche fisicamente.

2 novembre 1936.

Verso sera dopo i vespri andai al cimitero, pregai un momento e all'improvviso vidi una delle nostre suore che mi disse: « Siamo nella cappella». Compresi che dovevo andare nella cappella e pregare li per acquistare le indulgenze. Il giorno dopo, durante la santa Messa, vidi tre colombe bianche che si alzavano in volo dall'altare verso il cielo. Mi fu dato di comprendere che non solo quelle tre care anime, che avevo visto, erano andate in paradiso, ma molte altre che non erano morte nel nostro istituto. Oh, quanto è buono e misericordioso il Signore! Colloquio con Padre Andrasz alla fine degli esercizi spirituali. Mi ha meravigliato enormemente una cosa, che ho notato durante ogni conversazione in cui ho attinto consigli e indicazioni dal Padre e precisamente: ho notato che Padre Andrasz, a tutte le domande che gli facevo sulle cose che esige da me il Signore, mi rispondeva con tale chiarezza e decisione, come se lui stesso avesse vissuto questo. O Gesù mio, se ce ne fossero di più di tali guide spirituali, le anime sotto una simile direzione giungerebbero in breve tempo all'apice della santità e non sprecherebbero grazie tanto grandi. Io ringrazio continuamente Dio per questa grande grazia, perché nella Sua bontà si è degnato di porre sulla strada della mia vita spirituale queste colonne luminose che mi rischiarano il cammino, affinché non vada fuori strada o non mi attardi nel tendere all'intima unione col Signore. Ho un grande amore per la Chiesa che educa le anime e le conduce a Dio.

31.X.36.

Colloquio con la Madre Generale. Quando parlai con la Madre Generale della questione di uscire, ottenni questa risposta: « Se Gesù vuole che lei, sorella, abbandoni questa Congregazione, mi dia un qualche segno che è Lui che lo vuole. Lei, sorella, preghi per tale segno, poiché io temo che lei possa essere vittima di qualche illusione. Ma d'altra parte non vorrei porre ostacoli alla volontà di Dio, né oppormi ad essa, poiché anch'io desidero fare la volontà di Dio ». E così ci accordammo che rimango ancora così come sono, fino al momento in cui il Signore farà conoscere alla Madre Superiora che Lui vuole che abbandoni questa Congregazione. E quindi tutta questa faccenda è stata rinviata ancora per un po'. Vedi, Gesù, che ora dipende soltanto da Te. Sono completamente tranquilla, nonostante le grandi sollecitazioni; io da parte mia ho fatto tutto, ed ora tocca a Te, Gesù mio, e così apparirà evidente che la causa è Tua. Io da parte mia sono pienamente d'accordo con la Tua volontà, fa' di me quello che Ti piace, o Signore, dammi solo la grazia di amarTi con sempre maggior ardore; questa è la cosa che mi sta più a cuore, non desidero nient'altro all'infuori di Te, o Eterno Amore. Non importa per quali strade mi condurrai, se dolorose o gioiose. Io desidero amarTi in ogni attimo della mia vita. O Gesù, se Tu mi ordini di andare a compiere la Tua volontà, io andrò ... se mi ordini di restare, resterò. Non importa quello che dovrò soffrire, sia in un caso che nell'altro. O mio Gesù, se andrò, so quello che debbo sopportare e patire; sono d'accordo con ciò con piena consapevolezza e l'ho già accettato con un atto della mia volontà. Non m'importa quello che è racchiuso per me in questo calice, mi è sufficiente sapere che me l'ha dato la mano amorevole di Dio. Se mi richiami da questa strada e mi ordini di restare, resterò nonostante tutte le sollecitazioni interiori.

Se me le manterrai ancora nell'anima e mi lascerai in questa agonia interiore anche fino alla fine della vita, l'accetto con piena consapevolezza della volontà e con amorevole sottomissione a Te, o mio Dio. Se rimarrò, mi nasconderò nella Tua Misericordia, o mio Dio, così profondamente in modo che nessuno sguardo possa scorgermi. Nella mia vita desidero essere un incensiere pieno di fuoco nascosto; e Ti sia gradito il fumo che s'innalza verso di Te, o Ostia viva. Sento nel mio cuore che ogni piccolo sacrificio fomenta il fuoco del mio amore verso di Te, benché in modo così silenzioso e nascosto, che nessuno riesce a vederlo. Quando dissi alla Madre Generale che il Signore voleva che la Congregazione recitasse questa coroncina per placare lo sdegno di Dio, la Madre mi rispose che per il momento non poteva introdurre queste nuove preghiere non approvate. « Ma, sorella, mi dia questa coroncina; forse durante qualche adorazione si potrà recitare. Vedremo. Sarebbe bene che il reverendo dr. Sopocko stampasse un opuscoletto con la coroncina. In tal caso sarebbe meglio e più facile poterla recitare in Congregazione; mentre così è un po' difficile ». Le anime sante in paradiso esaltano la Misericordia del Signore, poiché esse hanno sperimentato su di sé questa infinita Misericordia. Ciò che quelle anime fanno in paradiso, io incomincio a farlo già su questa terra. Glorificherò Dio per la Sua infinita bontà e m'impegnerò perché altre anime conoscano e adorino questa inesprimibile ed inconcepibile Misericordia di Dio.
Promessa del Signore: « La Mia Misericordia avvolgerà in vita e specialmente nell'ora della morte le anime che reciteranno questa coroncina ». O mio Gesù, insegnami ad aprire le viscere della Misericordia e dell'amore a tutti coloro che me lo chiedano. O Gesù, o mia Guida, ammaestrami Tu, affinché tutte le mie preghiere ed azioni abbiano impresso il sigillo della Tua Misericordia.

18.XI.1936.

Oggi ho cercato di fare tutte le mie pratiche di pietà prima della benedizione, perché mi sentivo peggio del solito. Perciò subito dopo la benedizione sono andata a coricarmi. Però quando entrai in dormitorio, conobbi all'improvviso interiormente che dovevo entrare nella cella di Sr. N. che aveva bisogno d'aiuto. Entrai subito in quella cella e Sr. N. mi disse: « Che fortuna che Dio l'ha condotta qui sorella ». E parlava con una voce così bassa che riuscii a capire a malapena. Mi disse: « Sorella, mi porti per favore un po' di tè col limone, perché ho una gran sete e non posso muovermi perché soffro molto ». Ed in realtà soffriva molto ed aveva la febbre alta. Le feci il servizio e con quel po' di tè spense l'arsura delle sue labbra. Quando entrai nella mia cella, la mia anima venne avvolta da un grande amor di Dio e compresi quanto occorra fare attenzione alle ispirazioni interiori e seguirle fedelmente. E la fedeltà ad una grazia, ne attira altre.

19.XI.1936.

Oggi, durante la S. Messa, ho visto Gesù che mi ha detto: « Sta' tranquilla, figlia Mia; vedo i tuoi sforzi, che gradisco molto ». Ed il Signore scomparve ed era il momento di accostarsi alla S. Comunione. Dopo la S. Comunione all'improvviso vidi il Cenacolo ed in esso Gesù e gli Apostoli. Vidi l'istituzione del SS.mo Sacramento. Gesù mi permise di penetrare nel Suo intimo e conobbi la Sua grande Maestà e nello stesso tempo il Suo grande abbassamento. Quella luce misteriosa, che mi permise di conoscere la Sua Maestà, mi svelò contemporaneamente quello che c'è nella mia anima. Gesù mi fece conoscere l'abisso della Sua mitezza e della Sua umiltà e mi fece capire espressamente che vuole questo da me. Sentii lo sguardo di Dio nella mia anima, che mi riempì di un amore ineffabile, ma capii che il Signore guardava con amore le virtù ed i miei sforzi eroici e conobbi che questo attirava Iddio verso il mio cuore. Per questo compresi che non era sufficiente che mi preoccupassi solo delle virtù normali; perciò m'impegno a praticare le virtù eroiche. Benché la cosa all'esterno sia del tutto normale, tuttavia diverso è il modo che solo l'occhio di Dio riesce a scorgere.

O Gesù mio, quello che ho scritto è soltanto una pallida ombra di quello che comprendo nell'anima; e queste sono cose puramente spirituali. Ma per scrivere qualche cosa di quello che il Signore mi fa conoscere, debbo usare dei termini che non mi soddisfano affatto, poiché non rendono bene la realtà. La prima volta che ricevetti questa sofferenza fu così: dopo i voti annuali, un certo giorno mentre pregavo vidi un grande bagliore e da quel bagliore uscirono dei raggi che m'investirono e subito provai un terribile dolore alle mani, ai piedi ed al costato e le punture della corona di spine. Provavo questa sofferenza il venerdì durante la santa Messa, ma durava un momento molto breve. La cosa si ripeté per alcuni venerdì, ma in seguito non sentii alcun dolore fino al momento attuale cioè fino alla fine di settembre di quest'anno. Nel corso di questa malattia, il venerdì durante la santa Messa, sento che vengo investita dalla stessa sofferenza, che si ripete ogni venerdì e qualche volta quando incontro un'anima che non è in stato di grazia. Benché la cosa avvenga raramente, la sofferenza dura pochissimo; ma è terribile e senza una particolare grazia di Dio non potrei sopportarla. Esternamente non ho alcun segno di questa sofferenza. Quello che verrà in seguito non lo so. Tutto per le anime...

21.XI.1936.

O Gesù, vedi che non sono né gravemente malata e nemmeno sana. M'infondi nell'anima l'entusiasmo per l'azione e non ho le forze, arde in me il fuoco del Tuo amore e quello che non riesco ad ottenere con le forze fisiche, viene pareggiato con l'amore. Gesù, il mio spirito soffre di nostalgia e desidera ardentemente unirsi a Te, ma mi trattengono le Tue opere. Non è ancora completo il numero delle anime che debbo condurre a Te. Desidero le fatiche, le sofferenze; si adempia in me tutto quello che hai stabilito prima dei secoli, o mio Creatore e Signore. Comprendo soltanto la Tua parola; essa sola mi dà forza. Il Tuo spirito, Signore, è spirito di pace e nulla riesce a turbare il mio intimo, poiché vi dimori Tu, Signore. So di essere sotto il Tuo particolarissimo sguardo, o Signore. Non indago con timore sui Tuoi disegni nei miei riguardi; il mio compito è quello di accettare tutto dalle Tue mani. Non temo nulla, benché imperversi la tempesta e tremendi fulmini si abbattano attorno a me. Ed allora mi sento veramente sola, ma il mio cuore sente Te e la mia fiducia aumenta notevolmente e vedo tutta la Tua onnipotenza che mi sostiene. Con Te, o Gesù, vado attraverso la vita, nelle giornate serene e in quelle di tempesta, con un grido di gioia, cantando sottovoce l'inno della Tua Misericordia. Non interromperò il mio canto d'amore, finché non lo riprenderà il coro degli angeli. Non c'è alcuna forza al mondo che possa trattenermi nella mia corsa verso Dio. Vedo che non sempre, nemmeno i superiori, comprendono la strada attraverso la quale il Signore mi conduce e non me ne meraviglio. Un certo momento vidi Don Sopocko che pregava e che esaminava questa causa. Ad un tratto vidi che veniva tracciato un cerchio di luce sul suo capo. Benché lo spazio ci separi, lo vedo spesso, specialmente quando lavora, allo scrittoio, nonostante la stanchezza.

22.XI.1936.

Oggi durante la santa confessione Gesù mi ha parlato per bocca di un certo sacerdote. Quel sacerdote non conosceva la mia anima ed io mi sono accusata solo dei peccati. Egli tuttavia mi ha detto queste parole: « Adempi fedelmente tutto quello che Gesù vuole da te, nonostante le difficoltà. Sappi che, se gli uomini dovessero anche adirarsi contro di te, Gesù non si adira e non si adirerà mai contro di te. Non badare ad alcuna considerazione umana ». Sulle prime mi stupii di questo insegnamento, ma poi compresi che il Signore parlava per mezzo suo, mentre lui si rendeva ben poco conto della questione. O sacro mistero, quali grandi tesori racchiudi in te! O fede santa, segnale nel mio cammino!

24.XI. Oggi ho ricevuto una lettera da Don Sopocko. Da questa lettera ho saputo che di tutta questa causa s'interessa Dio stesso. Come l'ha iniziata il Signore, allo stesso modo il Signore la porterà a termine, e più difficoltà vedo, più sono tranquilla. Se tutta questa causa non riguardasse una grande gloria per Dio ed il bene di tante anime, il demonio non si opporrebbe a questo modo; ma egli intuisce quello che sta per perdere con quest'opera. Ora ho capito che satana odia più che mai la Misericordia; essa è il suo maggior tormento. Ma la parola del Signore si realizzerà. La parola di Dio è viva e le difficoltà non annientano le opere di Dio, ma dimostrano che sono di Dio... Un certo momento ho visto il convento di questa nuova Congregazione. Mentre giravo e visitavo tutto, all'improvviso ho visto un gruppo di bambini, la cui età si aggirava dai cinque agli undici anni. Appena mi videro, mi circondarono e cominciarono a gridare ad alta voce: « Difendici dal male » e mi fecero entrare nella cappella che c’era in quel convento. Quando entrai nella cappella, vidi Gesù martoriato. Gesù guardò benevolmente verso di me e mi disse che veniva «offeso gravemente dai fanciulli. Tu difendili dal male!».

Da quel momento prego per i fanciulli. Ma sento che la sola preghiera non basta. O mio Gesù, Tu sai quanta fatica occorre per trattare sinceramente e con semplicità con coloro dai quali la nostra natura rifugge, oppure con coloro che consapevolmente od anche inconsapevolmente ci hanno fatto soffrire. Umanamente la cosa è impossibile. In quei momenti più che in altre circostanze, cerco di scoprire Gesù in quelle date persone e per amore di Gesù faccio tutto per quelle persone. In queste azioni l'amore è puro; questo esercitarsi nella carità tempra l'anima e la rafforza. Non m'aspetto nulla dalle creature. Per questo non provo alcuna delusione; so che la creatura è povera in sé e che posso dunque attendermi da essa? Dio per me è tutto, desidero valutare tutto alla luce di Dio.

Il mio rapporto col Signore è al presente totalmente spirituale. La mia anima è toccata da Dio e s'immerge tutta in Lui fino a dimenticare se stessa. Imbevuta di Dio da parte a parte annega nella Sua bellezza, annega tutta in Lui. Non riesco a descrivere ciò, poiché scrivendo adopero i sensi e li, in quell'unione, i sensi non agiscono. C'è la fusione di Dio e dell'anima, c'è una così stretta vita in Dio alla quale è ammessa l'anima, che è impossibile esprimerla a parole. Quando l'anima ritorna alla vita normale, allora s'accorge che questa vita è un crepuscolo, una foschia, una sonnolenta inerzia, quasi una fasciatura che avvolge un bimbo. In quei momenti l'anima riceve soltanto da Dio, poiché essa da sé non fa nulla, non fa il minimo sforzo; Dio opera tutto in lei. Però quando l'anima torna allo stato normale, vede che non è in suo potere rimanere di più in quell'unione. Quei momenti sono brevi, ma duraturi nei loro effetti. L'anima non può rimanere a lungo in quello stato, poiché diversamente per forza di cose si libererebbe per sempre dai vincoli del corpo, sebbene anche così sia sostenuta miracolosamente da Dio. Iddio fa conoscere all'anima in modo chiaro quanto l'ama, come se essa sola fosse oggetto della Sua compiacenza. L'anima conosce ciò in modo chiaro e quasi senza veli. Si lancia di getto verso Dio, ma si sente bambina. Essa sa che ciò non è in suo potere; perciò Iddio si abbassa fino a lei e la unisce a Sè in un modo...

Qui debbo tacere poiché non so descrivere quello che l'anima sta vivendo. È strano che, sebbene l'anima che vive quest'unione con Dio non sappia darle una forma precisa e una definizione, tuttavia quando incontra un'altra anima simile, s'intendono misteriosamente fra di loro in queste cose, anche se non parlano molto fra loro. L'anima unita in tal modo a Dio conosce facilmente un'altra anima simile, anche se quella non le ha svelato il suo intimo, ma ha solo parlato normalmente con lei. E una specie di parentela spirituale. Di anime unite in questo modo a Dio non ce ne sono molte: sono meno di quanto pensiamo. Ho notato che il Signore concede questa grazia alle anime per due motivi. Il primo è quando l'anima deve compiere una grande opera che, parlando esclusivamente dal punto di vista umano, supera le sue forze. Nel secondo caso ho notato che Dio la concede per guidare e tranquillizzare simili anime, benché il Signore possa concedere questa grazia come Gli piace ed a chi Gli piace. Inoltre ho notato questa grazia in tre sacerdoti, uno dei quali è un sacerdote secolare e due sono religiosi e in due suore, ma non nello stesso grado. In quanto a me, ho ottenuto per la prima volta questa grazia e per un brevissimo momento all'età di diciotto anni, nell'ottava del Corpus Domini, durante i vespri, quando feci a Gesù il voto perpetuo di castità. Vivevo ancora nel mondo, ma dopo poco entrai in convento. Questa grazia durò un brevissimo momento, ma la potenza di tale grazia è grande. Dopo questa grazia sopravvenne un lungo intervallo. Per la verità durante questo intervallo ottenni dal Signore molte grazie, ma di altro genere.

Quello fu un periodo di prove e di purificazione. Quelle prove furono così dolorose che la mia anima sperimentò il completo abbandono da parte di Dio, venne immersa in tenebre fitte. Notai e compresi che nessuno poteva liberarmi da quei tormenti e che non potevano nemmeno capirmi. Ci furono due momenti nei quali la mia anima fu sprofondata nella disperazione, una volta per mezz'ora, la seconda volta per tre quarti d'ora. Sia per quanto riguarda le grazie sia per quanto concerne le prove di Dio, non posso descriverne esattamente la grandezza; anche se usassi non so quali parole, tutto ciò non sarebbe che una pallida ombra. Tuttavia il Signore m'immerse in quei tormenti ed il Signore mi liberò. La cosa però durò un paio d'anni; poi ottenni di nuovo questa eccezionale grazia dell'unione col Signore che dura tuttora. Tuttavia anche in questo secondo periodo dell'unione ci furono dei brevi intervalli. Però al presente da un po' di tempo non ho avuto alcun intervallo, ma la grazia m'immerge sempre più profondamente in Dio. La grande luce, da cui viene illuminato l'intelletto, fa conoscere la grandezza di Dio, non come se l'anima dovesse conoscere in Lui i singoli attributi come prima; no, qui avviene diversamente: in un attimo conosco tutta l'essenza di Dio. L'anima nello stesso istante si sprofonda tutta in Lui e prova una felicità così grande come gli eletti in paradiso, benché gli eletti in paradiso vedano Dio faccia a faccia e siano completamente felici, in modo assoluto. La loro conoscenza di Dio però non è uguale, come mi ha fatto conoscere Dio. Questa conoscenza più profonda ha inizio qui sulla terra in base alla grazia, ma in larga misura dipende dalla nostra fedeltà alla grazia. Tuttavia l'anima che sperimenta questa ineffabile grazia dell'unione, non può dire di vedere Iddio faccia a faccia, dato che qui c'è il lievissimo velo della fede; ma così lieve che l'anima può dire che vede Dio e parla con Lui.

Essa è divinizzata, Iddio fa conoscere all'anima quanto l'ama e l'anima vede che anime migliori e più sante di lei non hanno ottenuto queste grazie, perciò è investita da un sacro stupore, che la mantiene in una profonda umiltà e si sprofonda nel suo nulla e nel suo sacro stupore e più essa si umilia, tanto più intimamente Iddio si unisce a lei e si abbassa fino a lei. L'anima in quel momento è come nascosta; i suoi sensi inattivi; essa in un attimo conosce Dio e s’immerge in Lui. Conosce tutta la profondità dell'Insondabile e più la sua conoscenza è profonda, tanto più ardentemente l'anima anela a Lui. È grande la reciprocità tra l'anima e Dio! Quando l'anima esce dal nascondimento, i sensi gustano ciò di cui l'anima si è deliziata; senz'altro anche questa è una grande grazia di Dio, ma non è puramente spirituale. Alla prima fase i sensi non prendono parte. Ogni grazia dà all'anima potenza ed energia per l'azione, coraggio per affrontare le sofferenze. L'anima sa bene quello che Dio vuole da lei e compie il Suo volere nonostante le contrarietà. L'anima però in cose di questo genere non può procedere da sola, deve attenersi ai consigli di un confessore illuminato, poiché diversamente può sbagliare oppure non ottenere alcun profitto.
Comprendo bene, o mio Gesù, che come una malattia si misura col termometro ed una febbre alta indica la gravità della malattia, così nella vita spirituale la sofferenza è il termometro che misura l'amor di Dio di un'anima.

Il mio fine è Dio... e la mia felicità è fare la volontà di Dio e nessuna cosa al mondo riuscirà a turbarmi questa felicità: nessuna potenza, nessuna forza. Oggi in cella da me c'è stato il Signore e mi ha detto: « Figlia Mia, ti lascio ormai per poco in questa Congregazione. Te lo dico, affinché approfitti con maggior diligenza delle grazie che ti concedo».

27.XI.1936.

Oggi in ispirito sono stata in paradiso e ho visto l'inconcepibile bellezza e felicità che ci attende dopo la morte. Ho visto come tutte le creature rendono incessantemente onore e gloria a Dio. Ho visto quanto è grande la felicità in Dio, che si riversa su tutte le creature, rendendole felici. Poi ogni gloria ed onore che ha reso felici le creature ritorna alla sorgente ed esse entrano nella profondità di Dio, contemplano la vita interiore di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, che non riusciranno mai né a capire né a sviscerare. Questa sorgente di felicità è immutabile nella sua essenza, ma sempre nuova e scaturisce per la beatitudine di tutte le creature. Comprendo ora San Paolo che ha detto: « Occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò nel cuore d'uomo ciò che Dio prepara per coloro che Lo amano ». E Dio mi fece conoscere la sola ed unica cosa che ai Suoi occhi ha un valore infinito e questa è l'amore di Dio, l'amore, l'amore ed ancora una volta l'amore. E nulla è paragonabile ad un solo atto di puro amor di Dio. Oh, quali ineffabili favori concede Iddio ad un'anima che Lo ama sinceramente! Oh, felici quelle anime che già qui su questa terra godono dei Suoi particolari favori! Ed esse sono le anime piccole ed umili. Grande è la Maestà di Dio, che ho conosciuto più a fondo, che gli spiriti celesti adorano secondo il grado della loro grazia e la gerarchia in cui si dividono.

La mia anima quando ha visto la potenza e la grandezza di Dio non è stata colpita dallo spavento né dal timore; no, no, assolutamente no! La mia anima è stata colmata di serenità e d'amore e più conosco la grandezza di Dio e più gioisco per come Egli è. E gioisco immensamente per la sua grandezza e sono lieta di essere così piccola, perché, proprio perché sono piccola, mi prende in braccio e mi tiene accanto al Suo cuore. O mio Dio, quanta pena mi fanno gli uomini che non credono nella vita eterna! Quanto prego per loro, affinché li investa il raggio della Misericordia e Dio li stringa al Suo seno paterno. O Amore, o regina delle virtù! L'amore non conosce timore; attraversa tutti i cori degli angeli che montano la guardia davanti al Suo trono. Esso non teme nessuno, esso raggiunge Dio e s'immerge in Lui come nel suo unico tesoro. Il Cherubino con la spada di fuoco, che fa la guardia al paradiso, non ha potere su di esso. O puro amor di Dio, quanto sei grande ed impareggiabile! Oh, se le anime conoscessero la Tua potenza!

Oggi sono molto debole, non posso nemmeno fare la meditazione in cappella, ma debbo andare a coricarmi. O mio Gesù, Ti amo e desidero adorarTi con la mia debolezza, sottomettendomi totalmente alla Tua santa volontà.
Devo vegliare molto su me stessa soprattutto oggi, perché comincia a invadermi un'eccessiva sensibilità per tutto. Cose alle quali, se fossi in buona salute, non baderei affatto, oggi mi irritano. O mio Gesù, mio scudo e mia forza, concedimi la grazia di uscire vittoriosa da questa contingenza. O mio Gesù, trasformami in Te, con la potenza del Tuo amore, affinché io sia un degno strumento per annunciare la Tua Misericordia.

Ringrazio il Signore per questa malattia e per i disturbi fisici, poiché ho tempo per parlare con Gesù. La mia delizia sta nel trascorrere lunghi momenti ai piedi di Dio nascosto; e le ore mi passano come minuti, senza che me ne accorga. Sento che arde in me un fuoco e non comprendo altra vita, se non quella del sacrificio, che proviene dall'amore puro.

29.XI.1936.

La Madonna mi ha insegnato a prepararmi alla festa del Natale del Signore. L'ho vista oggi senza il Bambino Gesù e mi ha detto: « Figlia Mia, procura di essere mite e umile affinché Gesù che dimora continuamente nel Tuo cuore possa riposare. Adoralo nel tuo cuore. Non uscire dai tuo raccoglimento interiore. Ti otterrò, figlia Mia, la grazia di questo genere di vita interiore, di modo che senza che abbandoni la tua intimità, possa adempiere all'esterno tutti i tuoi doveri con maggior precisione. Rimani continuamente con Lui nel tuo cuore. Egli sarà la tua forza. Con le creature mantieni quei rapporti che la necessità ed i tuoi doveri esigono. Sei un'abitazione gradita del Dio vivente, nella quale Egli dimora continuamente con amore e compiacimento, e la viva presenza di Dio, che senti in maniera più viva ed evidente, ti confermerà, figlia Mia, in ciò che ti ho detto. Cerca di comportarti così fino al giorno di Natale ed in seguito Egli ti farà conoscere come dovrai trattare con Lui e come unirti a Lui ».

30.XI.1936.

Oggi, durante i vespri, un dolore mi ha attraversato l'anima. Vedo che quest'opera oltrepassa le mie forze sotto ogni aspetto. Sono una piccola bimba di fronte all'enormità di questo compito e solo per un ordine preciso di Dio mi accingo a compierla. E d'altra parte anche queste grandi grazie sono divenute per me un peso che riesco a sopportare a malapena. Vedo l'incredulità da parte dei superiori e i dubbi di vario genere e di conseguenza il comportamento diffidente nei miei confronti. O Gesù mio, vedo che anche grazie così grandi possono essere una sofferenza ed è proprio così; non solo possono essere per questo motivo delle sofferenze, ma debbono esserlo come caratteristica dell'azione di Dio. Comprendo bene che se non fosse Dio stesso a tener salda l'anima in queste varie prove, essa da sola non ci riuscirebbe; e per questo Dio stesso è il suo scudo. Mentre di seguito, durante i vespri, continuavo ad esaminare questa specie di miscuglio di sofferenze e di grazie, ad un tratto udii la voce della Madonna: «Sappi, figlia Mia, che sebbene Io sia stata innalzata alla dignità di Madre di Dio, sette spade dolorose mi hanno trafitto il cuore. Non far nulla a tua difesa; sopporta tutto con umiltà. Dio stesso prenderà le tue difese».

1.XII.1936. RITIRO SPIRITUALE DI UN GIORNO.

Oggi, durante la meditazione del mattino, il Signore mi ha fatto conoscere e comprendere chiaramente l'immutabilità dei Suoi desideri. E vedo chiaramente che nessuno mi può dispensare dall'obbligo di compiere la volontà di Dio da me conosciuta. La salute gravemente compromessa e la mancanza delle forze fisiche non sono un motivo sufficiente e non mi dispensano da quest’opera, che il Signore stesso sta portando avanti, mentre io debbo essere soltanto uno strumento nelle Sue mani. Ed eccomi dunque, Signore, per fare la Tua volontà. Comandami secondo i Tuoi eterni disegni e le Tue predilezioni, concedimi però la grazia di esserTi sempre fedele. Quando ho parlato con Dio nascosto, mi ha fatto conoscere e comprendere che non debbo pensarci su molto e non debbo aver paura delle difficoltà che posso incontrare. «Sappi che Io sono con te. Io stabilisco le difficoltà e Io le supero e in un attimo posso mutare gli atteggiamenti contrari in atteggiamenti favorevoli a questa causa».

Nel colloquio odierno il Signore mi ha chiarito molte cose, ma qui non scrivo tutto. Dare sempre la precedenza agli altri in tutte le circostanze specialmente durante la ricreazione. Ascoltare tranquillamente senza interrompere, anche se mi raccontassero dieci volte la stessa cosa. Non farò mai domande su di una cosa che suscita molto la mia curiosità. Proposito: continuare la stessa cosa, cioè unirmi con Cristo Misericordioso. Proposito generale: raccoglimento interiore, silenzio. Nascondimi, Gesù, negli abissi della Tua Misericordia e poi mi giudichino pure gli altri come loro piace. Non parlare mai delle proprie vicende. Nella sofferenza cercare sollievo nella preghiera. Nei dubbi anche i più piccoli, consigliarsi solo col confessore. Avere sempre il cuore aperto per accogliere le sofferenze degli altri, e le proprie sofferenze immergerle nel cuore di Gesù, in modo che all'esterno non vengano notate, per quanto è possibile. Cercare di mantenere sempre l'equilibrio, anche se le circostanze sono eccezionalmente tempestose. Non permettere che venga turbata la propria quiete ed il proprio raccoglimento interiore. Nessuna cosa è paragonabile alla tranquillità dell'anima. Quando mi viene rimproverata qualche cosa ingiustamente, non giustificarsi; se la superiora vorrà conoscere la verità, cioè se ho torto o ragione, lo apprenderà non necessariamente da me. Io debbo accettare tutto con un atteggiamento interiore di umiltà. Trascorrerò questo Avvento secondo le indicazioni datemi dalla Madonna: nella mitezza e nell'umiltà. Trascorro dei momenti con la SS.ma Vergine. Attendo con ardente nostalgia la venuta del Signore. I miei desideri sono grandi. Desidero che tutti i popoli conoscano il Signore; desidero preparare tutte le nazioni a ricevere il Verbo Incarnato. O Gesù, fa' che la sorgente della Tua Misericordia scaturisca con maggiore abbondanza, poiché l'umanità è molto malata, e perciò ha più che mai bisogno della Tua compassione. Tu sei un mare sconfinato di Misericordia per noi peccatori e maggiore è la nostra miseria, maggiore è il diritto che abbiamo alla Tua Misericordia. Tu sei la sorgente che rende felice ogni creatura per mezzo della Tua infinita Misericordia.

Oggi parto per Pradnik, che è nei dintorni di Cracovia; vado a curarmi e debbo restarvi tre mesi. Mi sistema colà il grande ed amorevole interessamento dei superiori e specialmente della nostra amata Madre Generale, che ha tanta sollecitudine per le suore ammalate. Ho accettato questa grazia della cura, ma mi affido completamente alla volontà di Dio. Faccia Dio di me quello che vuole. Non desidero altro se non fare la Sua santa volontà. Mi unisco alla Madonna e abbandono Nazaret per andare a Betlemme, dove trascorrerò le feste del santo Natale fra estranei, ma con Gesù, Maria e Giuseppe, poiché questa è la volontà di Dio. Cerco di compiere in tutto la volontà di Dio, non desidero maggiormente la guarigione che la morte; mi sono affidata totalmente alla Sua infinita Misericordia e come una piccola bimba vivo nella massima tranquillità. Procuro soltanto che il mio amore per Lui sia sempre più profondo e più puro, per essere la delizia del Suo sguardo ...... Il Signore mi ha detto di recitare questa coroncina per nove giorni prima della festa della Misericordia.

La novena deve cominciare il Venerdì Santo. «Durante questa novena elargirò alle anime grazie di ogni genere». Quando fui presa da un po' di timore per dover rimanere così a lungo sola fuori dalla Congregazione, Gesù mi disse: « Non sarai sola, poiché Io sono con te sempre ed ovunque. Accanto al Mio Cuore non aver paura di nulla. Sono Io stesso che ho provocato la tua partenza. Sappi che il mio occhio controlla con grande attenzione ogni movimento del tuo cuore. Ti trasferisco in quel luogo isolato, per poter Io solo plasmare il tuo cuore secondo le Mie intenzioni per il futuro. Di che cosa hai paura? Se sei con Me, chi oserà toccarti? Però sono enormemente contento, figlia Mia, che tu Mi confidi i tuoi timori. ParlaMi di tutto così semplicemente ed alla buona, Mi procurerai una grande soddisfazione. Io ti comprendo, poiché sono Dio e Uomo. Questo linguaggio semplice del tuo cuore Mi è più gradito degli inni composti appositamente per onorarMi. Sappi, figlia Mia, che più il tuo linguaggio è semplice, più riesci ad attirarMi verso di te. Ed ora sta' tranquilla accanto al Mio Cuore; deponi la penna e preparati a partire ».

9.XII.1936.

Questa mattina sono partita per Pradnik. Mi ha accompagnata Suor Crisostoma. Ho una cameretta per conto mio; assomiglio in tutto ad una carmelitana. Dopo che è partita Suor Crisostoma e sono rimasta sola, mi sono immersa nella preghiera, affidandomi alla speciale protezione della Madonna. Essa sola è sempre con me ed Essa, come una buona Madre, segue tutte le mie vicende ed i miei sforzi. All'improvviso vidi Gesù, che mi disse: «Sta' tranquilla, bambina Mia; vedi che non sei sola. il Mio Cuore veglia su di te ». Gesù mi ha dato tanta forza nei riguardi di una certa persona; sento la forza nell'anima.

UN PRINCIPIO MORALE.

Quando non si sa che cosa sia meglio fare, occorre riflettere, esaminare la cosa e chiedere consiglio, poiché non è lecito agire nel dubbio della coscienza. Nell'incertezza dire a se stessi: qualunque cosa farò, sarà ben fatta; ho l'intenzione di farla bene. Dio accetta quello che noi consideriamo buono, questo Dio lo accetta e lo considera buono. Non abbattersi se, passato il tempo, ciò che abbiamo fatto non si dimostra buono. Il Signore Dio guarda l'intenzione con la quale cominciamo e secondo questa darà la ricompensa. Questo è un principio al quale dobbiamo attenerci. Anche oggi sono andata a fare una breve visita al Signore prima di coricarmi. Il mio spirito si è immerso in Lui, come nell'unico mio tesoro; il mio cuore ha riposato un momento vicino al Cuore del mio Sposo. Sono stata illuminata su come comportarmi con le persone che mi stanno attorno e sono tornata alla mia solitudine. Il medico mi ha circondato con le sue premure; vedo attorno a me dei cuori ben disposti.

10.XII.1936.

Oggi mi sono alzata presto e, ancora prima della santa Messa, ho fatto la meditazione. Qui la santa Messa è alle sei. Dopo la santa Comunione il mio spirito è sprofondato nel Signore, come l'unico oggetto del suo amore. Ho notato che venivo inghiottita dalla Sua onnipotenza. Quando sono tornata nella mia solitudine non mi sono sentita bene ed ho dovuto coricarmi subito. Una suora mi ha portato delle gocce, ma mi son sentita male tutto il giorno. Verso sera ho cercato di fare l'ora santa, ma non ci sono riuscita; mi sono unita soltanto a Gesù sofferente. La mia stanzetta isolata è vicino ad una sala dove ci sono gli uomini. Non sapevo che gli uomini fossero così chiacchieroni; dal mattino fino a notte fonda continuano a parlare di svariati argomenti. Nella sala delle donne c'è molto più silenzio. Si fa sempre questa accusa alle donne; io però ho avuto modo di convincermi del contrario. Difficile per me concentrarmi nella preghiera in mezzo a quelle risate e a quelle spiritosaggini. Non mi danno alcun disturbo solo quando la grazia di Dio prende totalmente possesso di me, poiché allora non so quello che avvenga attorno a me.

O Gesù mio, questa gente quanto poco parla di Te! Parlano di tutto, ma non di Te, o Gesù. E se parlano poco, certamente non Ti pensano affatto. Si occupano del mondo intero, ma su di Te, o Creatore, il silenzio. È triste per me, o Gesù, vedere questa grande indifferenza e ingratitudine da parte delle Tue creature. O mio Gesù, desidero amarTi per loro e ricompensarTi col mio amore. L'IMMACOLATA CONCEZIONE. Fin dal mattino ho avvertito la vicinanza della Madre SS. ma. Durante la santa Messa l’ho vista così splendente e bella, che non ho parole per poter esprimere almeno in piccola parte la Sua bellezza. Era tutta bianca, cinta da una sciarpa azzurra; anche il manto azzurro, la corona sul capo e da tutta la Sua persona s'irradiava uno splendore inconcepibile. “Sono la Regina del cielo e della terra, ma soprattutto la vostra Madre”. Mi strinse al Suo Cuore e disse: « Ti sono sempre vicina nelle sofferenze ». Sentii la potenza del Suo Cuore Immacolato che si trasmise alla mia anima. Ora comprendo perché da due mesi mi sono preparata a questa festa e perché l'ho attesa con tanta nostalgia. Da oggi m'impegnerò per la massima purezza dell'anima, in modo che i raggi della grazia di Dio vi si riflettano in tutto il loro splendore. Desidero essere come il cristallo, per trovare compiacimento davanti ai Suoi occhi.

In questo giorno ho visto un certo sacerdote circondato dallo splendore che proveniva da Lei; evidentemente quell'anima ama l'Immacolata. Una misteriosa nostalgia avvolge la mia anima; mi meraviglio che essa non distacchi l'anima dal corpo. Desidero Iddio, desidero immergermi in Lui. Comprendo che mi trovo in un terribile esilio; tutta la potenza della mia anima tende ad innalzarsi verso Dio. O abitanti della mia patria, ricordatevi di questa esiliata. Quando cadranno i veli anche per me? Benché io veda e senta in maniera ravvicinata, un velo molto tenue mi divide dal Signore. Io desidero vederLo faccia a faccia, ma avvenga tutto secondo la Tua volontà.


11.XII.

Oggi non ho potuto esser presente a tutta la santa Messa; sono rimasta solo durante le parti più importanti e, dopo la santa Comunione, sono tornata subito nella mia stanzetta d'isolamento. All'improvviso mi ha investito la presenza di Dio e in quel momento per un brevissimo istante ho sperimentato la Passione del Signore. In quell'animo ho conosciuto più a fondo l'opera della Misericordia. Di notte sono stata svegliata di soprassalto e sono venuta a sapere che una certa anima si rivolgeva a me perché pregassi e che aveva un gran bisogno di preghiere. Brevemente, ma con tutta l'anima, ho pregato che il Signore le facesse la grazia. Il giorno appresso, dopo mezzogiorno, quando sono entrata nella sala, ho visto una persona che stava agonizzando ed ho saputo che l'agonia era cominciata di notte. Dopo aver verificato ho saputo che era proprio quando mi era stato chiesto di pregare. Ad un tratto sentii nell'anima una voce: “Recita la coroncina che ti ho insegnato”.

Corsi a prendere il rosario, m'inginocchiai vicino all'agonizzante e cominciai con tutto il fervore dello spirito a recitare la coroncina. Improvvisamente l'agonizzante aprì gli occhi, guardò verso di me e non riuscii a terminare tutta la coroncina che essa era già morta in una misteriosa serenità. Pregai fervorosamente il Signore, perché mantenesse la promessa che mi aveva fatto per la recita della coroncina. Il Signore mi fece conoscere che quell'anima aveva ottenuto la grazia che il Signore mi aveva promesso. Quell'anima fu la prima che sperimentò la promessa del Signore. Sentii come la potenza della Misericordia avvolgeva quell'anima. Quando entrai nella mia cameretta d'isolamento udii queste parole: «Nell'ora della morte difenderò come Mia gloria ogni anima che reciterà questa coroncina, oppure altri la reciteranno vicino ad un agonizzante, ed otterranno per l'agonizzante lo stesso perdono. Quando vicino ad un agonizzante viene recitata questa coroncina, si placa l'ira di Dio e l'imperscrutabile Misericordia avvolge l'anima e si commuovono le viscere della Mia Misericordia, per la dolorosa Passione di Mio Figlio».

Oh, se tutti conoscessero quanto è grande la Misericordia del Signore, e quanto noi tutti abbiamo bisogno di questa Misericordia e specialmente in quell'ora decisiva!

Oggi per un'anima ho ingaggiato una battaglia con gli spiriti delle tenebre. Che odio tremendo nutre satana per la Misericordia di Dio! Lo vedo da come si oppone a tutta quest'opera.
O Gesù Misericordioso, disteso sulla croce, ricordati dell'ora della nostra morte! O Misericordiosissimo Cuore di Gesù, aperto dalla lancia, nascondimi nell'ultima ora della morte. O Sangue e Acqua, che scaturisti dal Cuore di Gesù, come sorgente d'insondabile Misericordia per me, o Gesù agonizzante, ostaggio di Misericordia, mitiga l'ira di Dio nell'ora della mia morte.


12.XII.1936.

Oggi sono stata soltanto alla santa Comunione e per un po' alla santa Messa. Tutta la mia forza sta in Te, o Pane Vivo. Sarebbe difficile per me trascorrere una giornata, senza accostarmi alla S. Comunione. Egli è il mio scudo. Senza di Te, Gesù, non riesco a vivere. Gesù, il mio Amore, oggi mi ha fatto comprendere quanto mi ami, sebbene fra di noi ci sia un abisso così grande: il Creatore e la creatura, e tuttavia in un certo modo è come se ci fosse l'uguaglianza; l'amore pareggia l'abisso. Egli stesso si abbassa fino a me e mi rende idonea a trattare familiarmente con Lui. Mi sono immersa in Lui annientandomi quasi completamente, e tuttavia, sotto il Suo sguardo amorevole la mia anima acquista potenza, vigore e la consapevolezza che ama ed è amata in modo particolare, sa che l'Onnipotente la difende. Una simile preghiera benché breve, dà però molto all'anima, mentre ore intere di preghiera normale non danno all'anima la luce, che le dà un breve istante di preghiera superiore.
Dopo mezzogiorno sono stata per la prima volta sulla veranda. E’ venuta a trovarmi Suor Felicia e mi ha portato qualche cosetta che mi serviva e alcune bellissime mele e i saluti dell'amata Madre Superiora e delle care consorelle.

13.XII.1936. LA CONFESSIONE DAVANTI A GESU’.

Quando considerai che erano già tre settimane che non mi confessavo, mi misi a piangere, vedendo la fragilità della mia anima e certe difficoltà. Non mi ero confessata a causa di circostanze sfavorevoli. Il giorno in cui ci fu la confessione, in ero a letto. La settimana dopo, la confessione ci fu nel pomeriggio ed io la mattina ero partita per l'ospedale. Questo pomeriggio è venuto nella mia cameretta d'isolamento Padre Andrasz e si è seduto, affinché mi confessassi. Prima non ha scambiato nemmeno una parola. Sono stata enormemente contenta, poiché desideravo tanto confessarmi. Come al solito svelai tutta la mia anima. Il Padre mi rispose ad ogni piccola cosa. Mi sentii stranamente felice per aver potuto così dire tutto. Per penitenza mi disse di recitare le litanie del Nome di Gesù. Quando volevo fargli presente la difficoltà che avevo per recitare quelle litanie, si alzò e mi diede l'assoluzione. Improvvisamente dalla Sua persona cominciò a sprigionarsi un grande splendore e vidi che non era Padre Andrasz, ma Gesù. Le Sue vesti erano bianche come la neve e scomparve immediatamente. In un primo momento rimasi un po' ansiosa, ma poco dopo una certa tranquillità entrò nella mia anima. Notai che Gesù confessa come gli altri confessori. Tuttavia il mio cuore durante quella confessione intuii stranamente qualche cosa, che in un primo momento non ero riuscita a capire che significato avesse.

16.XII.1936.

La giornata odierna l'ho offerta per la Russia; tutte le mie sofferenze e preghiere le ho offerte per quel povero paese. Dopo la S. Comunione, Gesù mi ha detto: «Non posso sopportare più a lungo questo paese; non legarMi le mani, figlia Mia». Compresi che, se non fosse per le preghiere delle anime care a Dio, tutta questa nazione sarebbe stata già annientata. Oh, quanto soffro per questa nazione, che ha espulso Dio dai propri confini!

O sorgente inesauribile della Misericordia di Dio, riversati sopra di noi. La Tua bontà non ha confini. Conferma, Signore, la potenza della tua Misericordia sull'abisso della mia miseria, poiché la Tua pietà è senza limiti. Misteriosa ed irraggiungibile è la Tua Misericordia, che riempie di stupore le menti degli uomini e degli angeli. L'Angelo Custode mi ha raccomandato di pregare per una certa anima e la mattina ho saputo che si trattava di una persona che era entrata in agonia in quel momento. In maniera sorprendente Gesù mi fa conoscere che qualcuno ha bisogno delle mie preghiere. In modo particolare vengo a conoscerlo quando, chi ha bisogno delle mie preghiere, è un'anima in agonia. Questo ora si verifica più spesso che in passato. Gesù mi ha fatto conoscere quanto Gli è cara un anima che vive della volontà di Dio, dando con ciò a Dio la massima gloria. Oggi ho compreso che, se anche non portassi a termine nulla di quello che vuole il Signore da me, so che verrò ricompensata come se avessi concluso tutto, poiché Egli vede l'intenzione con la quale ho iniziato. E se anche mi chiamasse a Sé oggi stesso, quest'opera non soffrirebbe nulla per questo, poiché Lui solo è il Padrone e dell'opera e dell'operaio. Il mio compito è quello di amarLo alla follia. Tutte le opere sono una gocciolina davanti a Lui; l'amore ha un significato, ha forza e merito. Ha svelato alla mia anima vasti orizzonti; l'amore pareggia gli abissi.

17.XII.1936.

Ho offerto la giornata odierna per i sacerdoti. Oggi ho sofferto più di qualunque altro giorno, sia interiormente che esteriormente. Non pensavo che si potesse soffrire tanto in un giorno solo. Ho cercato di fare l'ora santa, durante la quale il mio spirito ha assaporato l'amarezza dell'Orto degli Ulivi. Lotto da sola sostenuta dal Suo braccio contro ogni genere di difficoltà, che mi si posano davanti come muri incrollabili; tuttavia ho fiducia nella potenza del Suo Nome e non ho paura di nulla. In questa solitudine Gesù stesso è il mio Maestro. Egli stesso mi educa e mi ammaestra, sento che mi trovo sotto l'influsso di una Sua attività particolare. Per i Suoi inesplicabili disegni ed insondabili decreti, mi unisce a sé in modo speciale e mi permette di penetrare in segreti impensabili. C'è un segreto che mi unisce al Signore, di cui nessuno deve essere messo a conoscenza, nemmeno gli angeli. E benché io volessi rivelarlo, non saprei come esprimermi; e tuttavia vivo di questo e vivrò in eterno. Questo segreto mi differenzia dalle altre anime qui in terra e nell'eternità.

O giorno luminoso e bello, nel quale si adempiranno tutti i miei desideri! O giorno agognato, che sarai l'ultimo della mia vita! Sono lieta per l'ultimo tocco che il mio Artista divino darà alla mia anima, che conferirà alla mia anima una bellezza particolare, che mi distinguerà dalla bellezza delle altre anime. O gran giorno, nel quale si confermerà l'amore di Dio in me! In quel giorno per la prima volta canterò davanti al cielo ed alla terra l'inno della Misericordia infinita del Signore. Questa è la mia opera e la missione assegnatami dal Signore fin dalla fondazione del mondo. Affinché il canto della mia anima sia gradito alla Santissima Trinità, guida e plasma la mia anima Tu stesso, o Spirito di Dio. Mi armo di pazienza ed attendo la Tua venuta, o Dio Misericordioso; ed in quanto ai tremendi dolori ed ai timori dell'agonia in quei momento, più che in ogni altro, confiderò nell'abisso della Tua Misericordia e Ti ricorderò, o Misericordioso Gesù e dolce Salvatore, tutte le promesse che mi hai fatto. Questa mattina ho avuto una specie di avventura; mi si era fermato l'orologio e non sapevo quando dovevo alzarmi e mi dispiaceva tralasciare la santa Comunione. Era sempre buio, perciò non potevo orientarmi per sapere quand'era l'ora di alzarmi. Mi sono vestita, ho fatto la meditazione e sono andata in cappella, ma era ancora chiusa e c'era ovunque un gran silenzio. Mi sono immersa in preghiera, specialmente per gli ammalati. Adesso vedo che gli ammalati hanno bisogno di tante preghiere. Finalmente la piccola cappella venne aperta. Ho fatto fatica a pregare, poiché mi sentivo fortemente esausta e, dopo la santa Comunione, tornai subito nella mia stanzetta d'isolamento. Improvvisamente vidi il Signore che mi disse: « Sappi, figlia Mia, che Mi è gradito l'ardore del tuo cuore, e come tu desideri ardentemente unirti a Me nella santa Comunione, così anch'io desidero donarMi tutto a te. E come ricompensa per il tuo zelo ardente, riposa accanto al Mio Cuore ». In quel momento il mio spirito sprofondò nel Suo Essere, come una goccia in un oceano sconfinato annegò in Lui, come nell'unico suo tesoro. Fu allora che conobbi che il Signore permetteva certe difficoltà per la Sua maggior gloria.

18.XII.1936.

Oggi ero abbattuta poiché è già una settimana che non viene nessuno a farmi visita. Quando mi sono lamentata col Signore, mi ha detto: « Non ti basta che vengo Io ogni giorno a farti visita? ». Chiesi perdono al Signore e scomparve l'abbattimento. O Dio, o mio Sostegno, mi basti Tu. Questa sera sono venuta a sapere che una certa anima aveva bisogno delle mie preghiere; ho pregato con fervore, ma ho avvertito che era ancora troppo poco, quindi ho continuato più a lungo. il giorno dopo ho saputo che proprio a quell'ora era entrata in agonia una certa anima e l'agonia era durata fino al mattino. Ho saputo anche che era passata attraverso dure battaglie. In modo misterioso Gesù mi fa conoscere che un'anima agonizzante ha bisogno delle mie preghiere. Sento quello spirito che mi chiede in modo vivo e chiaro di pregare. Non sapevo che ci fosse una tale unione fra le anime. Spesso è il mio Angelo Custode che me lo dice.

il Bambino Gesù, durante la santa Messa, è la gioia della mia anima. Spesso lo spazio non esiste per me, vedo un certo sacerdote che lo fa scendere sull'altare. Con grande nostalgia attendo il Natale vivo, l'attesa assieme alla Madonna. O Luce eterna, che vieni su questa terra, illumina la mia mente e rafforza la mia volontà, affinché non venga meno nei momenti delle prove impegnative. La Tua luce disperda ogni ombra di dubbio, la Tua onnipotenza operi attraverso me. Confido in Te, o Luce increata. Tu, o Bambino Gesù, mi sei d'esempio nel compiere la volontà del Padre Tuo, Tu che hai detto: « Ecco Io vengo a fare la Tua volontà », fa' che anch'io adempia fedelmente in tutto la volontà di Dio. O Bambino Divino, concedimi questa grazia. O mio Gesù, l'anima mia prova nostalgia per i giorni delle prove, ma quando la mia anima è offuscata, non lasciarmi sola, stringimi fortemente a Te. Metti una custodia alle mie labbra, affinché il profumo delle sofferenze sia conosciuto e gradito soltanto da Te. O Gesù misericordioso, con quale ardente desiderio Ti sei affrettato verso il Cenacolo, per consacrare l'ostia che debbo prendere durante la mia vita. Hai desiderato, o Gesù, dimorare nel mio cuore; il Tuo Sangue vivo si unisce al mio sangue.

Chi può comprendere quest'intima unione? Il mio cuore racchiude l'Onnipotente, l'Incomprensibile. O Gesù, donami la Tua vita divina; il Tuo Sangue puro e generoso pulsi nel mio cuore con tutta la Sua forza. Ti dono tutto il mio essere. Trasformami in Te e rendimi idonea a compiere in tutto la Tua santa volontà e a contraccambiarTi il mio amore. O mio dolce Sposo, Tu sai che il mio cuore non conosce nessuno all'infuori di Te. Hai aperto nel mio cuore un abisso insaziabile di amore per Te; dal primo istante che Ti ho conosciuto, il mio cuore Ti ha amato e si è immerso in Te, come nell'unico suo oggetto d'amore. Il Tuo amore puro e onnipotente sia uno stimolo ad agire. Chi concepisce e comprende a fondo l'abisso di Misericordia che è scaturito dal Tuo cuore? Ho conosciuto per esperienza quanta invidia c'è anche nella vita spirituale. Riconosco che sono poche le anime veramente grandi, pronte a calpestare tutto ciò che non è Dio. O anima, fuori di Dio non troverai la bellezza. Oh, che base fragile ha chi s'innalza a danno degli altri! Che perdita!

19.XII.1936.

Questa sera ho avvertito nella mia anima che una certa persona aveva bisogno delle mie preghiere. Ho cominciato subito a pregare e improvvisamente ho conosciuto nel mio intimo e sentito lo spirito che me lo chiedeva. Ho pregato tanto a lungo, finché mi sono sentita tranquilla. La coroncina è un grande aiuto per gli agonizzanti. Prego spesso secondo un'intenzione che vengo a conoscere interiormente e prego tanto a lungo, finché nella mia anima avverto che la preghiera ha ottenuto il suo effetto. Specialmente ora che sono qui in quest'ospedale, sperimento un'intima unione con gli agonizzanti che, all'inizio della loro agonia, mi chiedono di pregare. Iddio mi ha dato un contatto misterioso con gli agonizzanti. Dato che la cosa succede abbastanza spesso, ho avuto modo di verificare anche l'ora. Oggi, alle undici di sera, sono stata svegliata all'improvviso ed ho sentito chiaramente che c'era accanto a me uno spirito che chiedeva preghiere; addirittura una forza sconosciuta mi ha costretta a pregare. La mia visione è puramente spirituale, per mezzo di una illuminazione improvvisa che in quel momento Dio mi trasmette. Prego tanto a lungo, finché sento la tranquillità nell'anima. Non dura sempre a lungo allo stesso modo; capita qualche volta che dopo una «Ave Maria» sono già tranquilla ed allora recito il «De Profundis» e non prego oltre. E alle volte capita che recito tutta la coroncina e solo allora arriva la tranquillità. Ed ho constatato anche che, quando mi sento costretta a pregare per un tempo più lungo e provo un'inquietudine interiore, l'anima affronta lotte più accanite ed un'agonia più lunga. Il modo usato per verificare l'ora è il seguente: ho l'orologio e controllo l'ora; il giorno dopo mi parlano della morte di quella persona. Domando l'ora, che corrisponde alla lettera, e lo stesso è per l'agonia. Mi dicono: « Oggi è morta la tale persona, ma così subito e si è addormentata tranquillamente ».

Capita che la persona morente si trovi nel secondo o nel terzo padiglione, ma per lo spirito lo spazio non esiste. Mi capita di venire a conoscere le stesse cose anche a qualche centinaia di chilometri di distanza. Mi è capitato più di una volta con parenti e familiari ed anche con consorelle e con anime che in vita non avevo conosciuto affatto. O Dio d'infinita Misericordia, che mi permetti di recare sollievo e aiuto agli agonizzanti con le mie povere preghiere, sii benedetto tante migliaia di volte, quante sono le stelle nel cielo e le gocce d'acqua in tutti gli oceani. La Tua Misericordia ti suoni da tutta l'estensione della terra e s'innalzi fino ai piedi del Tuo trono, per esaltare questo Tuo massimo attributo, cioè la Tua indicibile Misericordia. O Dio, questa sconfinata Misericordia rapisce in una nuova estasi le anime sante e tutti gli spiriti celesti.

Quei puri spiriti s'immergono in un sacro stupore, adorando l'incomprensibile Misericordia di Dio che li rapisce in una nuova estasi; la loro adorazione avviene in maniera perfetta. O Dio eterno, quanto ardentemente desidero adorare questo Tuo massimo attributo, cioè la Tua insondabile Misericordia. Vedo tutta la mia piccolezza e non posso paragonarmi agli abitanti del paradiso, che, in una santa ammirazione, esaltano la Misericordia del Signore, ma anch'io ho trovato un modo perfetto per adorare questa inconcepibile Misericordia di Dio. O Gesù dolcissimo, che Ti sei degnato di permettere a me misera di conoscere la Tua insondabile Misericordia. O Gesù dolcissimo, che hai amabilmente voluto che io parlassi al mondo intero della Tua inconcepibile Misericordia, ecco oggi prendo in mano questi due raggi, che sono scaturiti dal Tuo Cuore misericordioso, cioè il Sangue e l'Acqua e li spargo su tutta la faccia della terra, affinché ogni anima sperimenti la Tua Misericordia e, dopo averla sperimentata, l'adori per i secoli infiniti. O Gesù dolcissimo, che nella Tua inconcepibile benevolenza Ti sei degnato di unire il mio misero cuore al Tuo Cuore misericordiosissimo, ecco col Tuo Cuore adoro Dio nostro Padre, come nessun'anima l'ha mai adorato.

21.XII.1936.

Nel pomeriggio c'è sempre una radio accesa, perciò avverto la mancanza del silenzio. Fino a mezzogiorno, continua conversazione e chiasso. Mio Dio, mi ero rallegrata per il silenzio, per parlare solo col Signore, ma qui è tutto l'opposto. Adesso però non mi disturba più niente, né le conversazioni né la radio. In una parola, niente. La grazia di Dio ha fatto in modo che, quando prego, non so nemmeno dove mi trovi; so soltanto che la mia anima è unita al Signore e così mi passano i giorni in questo ospedale.
Resto ammirata per le tante umiliazioni e sofferenze che affronta quel sacerdote per la causa; lo vedo in momenti particolari e lo sostengo con la mia indegna preghierà. Soltanto Dio può dare un tale coraggio, poiché diversamente l'anima cederebbe. Ma vedo con gioia che tutte queste difficoltà contribuiscono a procurare una maggior gloria di Dio.

Il Signore non ne ha molte di queste anime. O eternità infinita, tu illumini gli sforzi delle anime eroiche, dato che la terra ripaga questi sforzi con l'ingratitudine e con l'odio. Queste anime non hanno amici, sono solitarie. In quella solitudine si rafforzano, attingono la forza soltanto da Dio; sia pure con umiltà, ma anche con coraggio affrontano tutte le tempeste che s'abbattono su di loro. Essi, come quelle querce alte come il cielo, sono irremovibili e solo in questo c'è il loro unico segreto: attingono la forza da Dio e tutto ciò di cui hanno bisogno, lo hanno per sé e per gli altri. Portano il loro peso, ma sanno e sono capaci di prendere su di sé i pesi degli altri. Sono vere colonne luminose, sulle vie di Dio, che vivono esse stesse nella luce ed illuminano gli altri. Loro stessi vivono sulle alture e agli altri, più piccoli, sanno indicarle, aiutandoli a raggiungerle.

O mio Gesù, Tu vedi che non so scrivere come si deve; per di più non ho nemmeno una penna buona e certe volte scrive così male, tanto che debbo scrivere frasi intere lettera per lettera e questo non è ancora tutto. Ho anche la difficoltà che prendo nota di queste poche cose di nascosto dalle suore; perciò certe volte debbo chiudere il quaderno ogni momento ed ascoltare pazientemente i racconti di una data persona e così se ne va il tempo che avevo destinato per scrivere e quando lo chiudo in tutta fretta, il quaderno si macchia. Scrivo col permesso dei superiori e per ordine del confessore. E curioso il fatto che qualche volta scrivo in modo passabile, mentre altre volte in verità, io stessa riesco a leggere a fatica.

23.XII.1936.

Trascorro dei momenti con la Madonna e mi preparo al momento solenne della venuta di Gesù. La Madonna mi dà degli insegnamenti in merito alla vita interiore dell'anima con Gesù, specialmente nella santa Comunione. Solo nell'eternità conosceremo quale grande mistero compie in noi la santa Comunione. Sono i momenti più preziosi della vita. O mio Creatore, ho nostalgia di Te. Tu mi comprendi, Signore mio. Tutto ciò che c'è sulla terra, mi sembra una pallida ombra. Io voglio e desidero Te, benché Tu faccia per me molte cose inconcepibili, poiché Tu stesso mi fai visita in modo singolare; tuttavia tali visite non leniscono le ferite del cuore, ma suscitano in me una sempre maggiore nostalgia di Te, o Signore. Prendimi con Te, Signore, se questa è la Tua volontà. Tu sai che muoio, sì muoio di nostalgia di Te, ma non posso morire. O morte, dove sei? Mi attiri nell'abisso della Tua Divinità, ma Ti nascondi dietro una fitta nebbia. Tutto il mio essere è immerso in Te; io però desidero contemplarTi faccia a faccia. Quando avverrà questo per me? Oggi mi ha fatto visita Suor Crisostoma. Mi ha portato dei limoni, delle mele ed un piccolo albero di Natale. Mi ha fatto un grandissimo piacere. La Madre Superiora ha chiesto al medico, tramite Suor Crisostoma, di permettermi di andare a casa per le feste ed il medico ha acconsentito volentieri. E stata una gioia per me ed ho pianto come una bimba. Suor Crisostoma è rimasta meravigliata vedendo il mio brutto aspetto e che sono tanto cambiata. E mi ha detto: « Sai, mia cara Faustina, di sicuro morirai; devi soffrire tremendamente! ». Le ho risposto che oggi soffrivo più degli altri giorni, ma non era niente; che per la salvezza delle anime non era troppo. O Gesù misericordioso, dammi le anime dei peccatori.


22 settembre 1943

Maria Valtorta

  Dice Gesù:
   «Dal mio Vangelo esce un insegnamento per voi, umani così divisi dall’odio.

   Ieri ti ho lasciata tranquilla per darti tempo di cambiare il pensiero e lo sguardo - anche questo, sì, perché vi sono sguardi colpevoli per l’odio che li ricolma come e più di ogni parola - filtrando i movimenti del tuo cuore attraverso l’insegnamento dolcissimo di Maria.

   Le tempeste che sconvolgono un lago non si calmano di colpo e soprattutto, calmandosi, non restituiscono alle acque l’aspetto di prima immediatamente. Il torbido resta per qualche tempo a corrompere colore e limpidità delle acque, e solo quando le onde sono totalmente calmate, anche nel profondo, l’acqua si chiarifica e torna azzurra e serena come il cielo. Lo stesso è quando l’odio si precipita col suo vento di inferno in un cuore. Ci vuole del tempo perché l’anima si depuri dal suo tossico anticristiano.

   Bada, Maria, che Io comprendo che sotto certi agenti dolorosi è umano che sorga l’odio. Ma voi non siete umani soltanto. Anzi l’umanità è fase transitoria della vostra vita, mentre il sopraumano è ciò che non conosce brevità, perché dal momento in cui siete creati dal Padre voi siete e sarete sempre, in luce o in tenebre, a seconda del vostro agire sulla Terra, non fino alla fine del mondo, ma nell’eternità che non ha fine.

   La Terra! La lunga[362], dieci e dieci e dieci millenaria vita della terra cristiana, e la sette volte millenaria vita della Terra, pianeta creato dal Padre, che è nel mio tempo? Un attimo di eternità.

   Ieri ti stavi purificando e ti ho lasciata immersa in questo lavoro necessario a tutti e specie ai miei diletti, perché Io non posso sostare dove è odio. Ricordalo sempre. Fosse anche il più umanamente giusto e comprensibile degli odi. E ora parlo per te e per
tutti.

   L’insegnamento di cui ti parlo e che vi dà il mio Vangelo, e che voi poco o nulla meditate, è insegnamento di alta carità. Tre sono gli episodi che ve lo dànno. Vi sono spiegati con altre forme, ma Io, in quest’ora d’odio fra le razze del mondo, ve lo spiego a modo mio: il modo che tanto vi sarebbe bisogno di meditare per uscire da questo pelago d’inferno nel quale voi avete tramutato la Terra.

   Il centurione[363] che implora per il suo servo paralizzato, la donna cananea dalla risposta che è grido di smisurata fiducia, la moglie di Ponzio Pilato. Tre gentili, tre fuori della Legge del Padre. Ma fra i figli di Abramo, ma fra i viventi nella Legge data dal Signore al suo Profeta fra le folgori del Sinai, chi aveva un cuore pari a quei tre cuori? Hanno avuto fede in Me più dei miei connazionali, hanno riconosciuto chi Io sono al lume di questa fede, e il loro credere non è rimasto senza premio.

   Ora Io voglio che questo vi faccia persuasi che in tutte le razze, in tutte le nazioni vi sono dei buoni, degli sconosciuti figli di Dio, poiché è mio figlio chi crede in Me e cerca Me con purezza di cuore. Neppure in Israele Io avevo trovato tanta fede quanta ne trovai in questi tre cuori venuti a Me senza che Io li avessi materialmente chiamati. E, come questi lontani, quanti ce ne sono fra i viventi!

   Non giudicate, figli, e non disprezzate. Amate soltanto, amate tutti; avete un unico Padre Creatore, ricordatevelo, siete perciò fratelli fra voi. Un’unica polvere[364] vi ha composto e un unico soffio vi ha animati.

   Perché allora tanto odio l’un verso l’altro? Non siate duri verso i fratelli. Guardate Gesù, il Maestro che non falla e che non ha respinto il centurione pagano e la cananea, giudicata, in Israele, una lebbrosa d’anima.

   Badate che non sia Dio che giudica voi tali, infetti come siete di ferocia, di frode, di lussuria e di superbia. Mondatevi al fuoco dell’amore. Esso è acqua lustrale che vi rende l’anima nuovamente bianca ed è tocco che apre i vostri occhi accecati, i vostri orecchi tappati, che dà vita al vostro animo paralizzato e vi rende capaci di capire ciò che il Divino Spirito dice al vostro spirito, bisognoso di tanta luce e di tanto perdono.»

[362] La lunga… Abbiamo, come sempre, riportato fedelmente il testo autografo, pur ritenendo che la scrittrice, che non era portata per i numeri, avrebbe forse do­vuto scrivere così: La lunga, due volte millenaria vita della terra cristiana, e la sette volte sette [cioè: innumerevoli volte] millenaria vita della Terra, pianeta…
[363] Il centurione, in Matteo 8, 5-13; Luca 7, 1-10; la donna cananea, in Matteo 15, 21-28; Marco 7, 24-30; la moglie di Ponzio Pilato, in Matteo 27, 19.
[364] unica polvere… unico soffio…, quelli di Genesi 2, 7.