Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Chi vuol servire Dio si prepari alle tentazioni. La migliore preparazione è armarsi di coraggio. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 3° settimana del tempo di Quaresima

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 7

1Non giudicate, per non essere giudicati;2perché col giudizio con cui giudicate sarete giudicati, e con la misura con la quale misurate sarete misurati.3Perché osservi la pagliuzza nell'occhio del tuo fratello, mentre non ti accorgi della trave che hai nel tuo occhio?4O come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?5Ipocrita, togli prima la trave dal tuo occhio e poi ci vedrai bene per togliere la pagliuzza dall'occhio del tuo fratello.

6Non date le cose sante ai cani e non gettate le vostre perle davanti ai porci, perché non le calpestino con le loro zampe e poi si voltino per sbranarvi.

7Chiedete e vi sarà dato; cercate e troverete; bussate e vi sarà aperto;8perché chiunque chiede riceve, e chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto.9Chi tra di voi al figlio che gli chiede un pane darà una pietra?10O se gli chiede un pesce, darà una serpe?11Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!

12Tutto quanto volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro: questa infatti è la Legge ed i Profeti.

13Entrate per la porta stretta, perché larga è la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa;14quanto stretta invece è la porta e angusta la via che conduce alla vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!

15Guardatevi dai falsi profeti che vengono a voi in veste di pecore, ma dentro son lupi rapaci.16Dai loro frutti li riconoscerete. Si raccoglie forse uva dalle spine, o fichi dai rovi?17Così ogni albero buono produce frutti buoni e ogni albero cattivo produce frutti cattivi;18un albero buono non può produrre frutti cattivi, né un albero cattivo produrre frutti buoni.19Ogni albero che non produce frutti buoni viene tagliato e gettato nel fuoco.20Dai loro frutti dunque li potrete riconoscere.

21Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli.22Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome?23Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.
24Perciò chiunque ascolta queste mie parole e le mette in pratica, è simile a un uomo saggio che ha costruito la sua casa sulla roccia.25Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa non cadde, perché era fondata sopra la roccia.26Chiunque ascolta queste mie parole e non le mette in pratica, è simile a un uomo stolto che ha costruito la sua casa sulla sabbia.27Cadde la pioggia, strariparono i fiumi, soffiarono i venti e si abbatterono su quella casa, ed essa cadde, e la sua rovina fu grande".
28Quando Gesù ebbe finito questi discorsi, le folle restarono stupite del suo insegnamento:29egli infatti insegnava loro come uno che ha autorità e non come i loro scribi.


Secondo libro dei Maccabei 13

1Nell'anno centoquarantanove giunse notizia agli uomini di Giuda che Antioco Eupàtore muoveva contro la Giudea con numerose truppe;2era con lui Lisia, suo tutore e preposto agli affari dello stato, che aveva con sé un esercito greco di centodiecimila fanti, cinquemilatrecento cavalli, ventidue elefanti e trecento carri falcati.3A costoro si unì anche Menelao, il quale incoraggiava con molta astuzia Antioco, non per la salvezza della patria, ma per la speranza di essere rimesso al suo posto di comando.4Ma il Re dei re eccitò l'ira di Antioco contro quello scellerato e, quando Lisia ebbe additato costui come causa di tutti i mali, diede ordine che fosse condotto a Berèa e messo a morte secondo l'usanza del luogo.5Vi è là una torre di cinquanta cubiti piena di cenere. Essa ha un ordigno girevole che da ogni lato fa cadere a precipizio sulla cenere.6Di lassù chi è reo di sacrilegio o chi ha raggiunto gli estremi in certi altri delitti, tutti lo spingono alla morte.7In tal modo l'empio Menelao incontrò la morte e non trovò terra per la sepoltura;8giusto castigo poiché, dopo aver commesso molti delitti attorno all'altare dov'erano il fuoco sacro e la cenere, nella cenere trovò la sua morte.
9Il re avanzava con barbari sentimenti e con l'intenzione di far provare ai Giudei trattamenti peggiori di quelli che avevano subiti sotto suo padre.10Quando Giuda seppe queste cose, ordinò al popolo di pregare il Signore giorno e notte, perché, come altre volte, così anche ora aiutasse coloro che erano in pericolo di essere privati della legge, della patria e del tempio santo11e non permettesse che il popolo, che aveva appena goduto di un breve respiro, cadesse in mano a quegli infami pagani.12Quando ebbero fatto ciò tutti insieme ed ebbero supplicato il Signore misericordioso con gemiti e digiuni e prostrazioni per tre giorni continui, Giuda li esortò e comandò loro di tenersi preparati.13Tenuto poi un convegno a parte con gli anziani, decise che si dovesse, con l'aiuto di Dio, risolvere le cose uscendo a battaglia prima che l'esercito entrasse nella Giudea e si impadronisse della città.14Affidando poi ogni cura al creatore del mondo, esortò i suoi a combattere da prodi fino alla morte per le leggi, per il tempio, per la città, per la patria, per le loro istituzioni, e pose il campo vicino a Modin.15Data ai suoi uomini la parola d'ordine "Vittoria di Dio", con giovani valorosi ben scelti, piombò di notte sulla tenda del re nell'accampamento, uccise circa tremila uomini e trafisse il più grosso degli elefanti insieme con l'uomo che era nella torretta16e alla fine riempirono tutto il campo di terrore e confusione; poi se ne tornarono ad impresa ben riuscita.17Quando già spuntava il giorno, la cosa era compiuta, per la protezione del Signore che aveva assistito Giuda.
18Il re, avuto questo saggio dell'audacia dei Giudei, tentava con l'astuzia la conquista delle posizioni.19Così si spingeva contro Bet-Zur, una ben munita fortezza dei Giudei, ma veniva respinto, aveva sfortuna e falliva;20mentre Giuda faceva giungere il necessario agli assediati.21Intanto Rodoco, appartenente alle file dei Giudei, aveva rivelato i segreti ai nemici: fu ricercato, preso e tolto di mezzo.22Il re tornò a trattare con quelli che erano in Bet-Zur, diede e ricevette la destra di pace e se ne andò. Assalì gli uomini di Giuda ma ebbe la peggio.23Ricevette poi notizia che Filippo, lasciato in Antiochia a dirigere gli affari, agiva da dissennato e ne rimase sconcertato; invitò i Giudei a trattare, si sottomise, si obbligò con giuramento a rispettare tutte le giuste condizioni, ristabilì l'accordo e offrì un sacrificio, onorò il tempio e beneficò il luogo.24Fece accoglienze al Maccabeo e lasciò Egemònide come stratega da Tolemàide fino al paese dei Gerreni.25Venne a Tolemàide, ma i cittadini di Tolemàide si mostrarono malcontenti per quegli accordi; erano irritati contro coloro che avevano voluto abolire i loro privilegi.26Salì allora sulla tribuna Lisia, fece la sua difesa meglio che poté, li persuase, li calmò, li rese ragionevoli; poi tornò ad Antiochia. Così si svolse la spedizione del re e il suo ritorno.


Giobbe 17

1Il mio spirito vien meno,
i miei giorni si spengono;
non c'è per me che la tomba!
2Non sono io in balìa di beffardi?
Fra i loro insulti veglia il mio occhio.
3Sii tu la mia garanzia presso di te!
Qual altro vorrebbe stringermi la destra?
4Poiché hai privato di senno la loro mente,
per questo non li lascerai trionfare.
5Come chi invita gli amici a parte del suo pranzo,
mentre gli occhi dei suoi figli languiscono;
6così son diventato ludibrio dei popoli
sono oggetto di scherno davanti a loro.
7Si offusca per il dolore il mio occhio
e le mie membra non sono che ombra.
8Gli onesti ne rimangono stupiti
e l'innocente s'indigna contro l'empio.
9Ma il giusto si conferma nella sua condotta
e chi ha le mani pure raddoppia il coraggio.
10Su, venite di nuovo tutti:
io non troverò un saggio fra di voi.
11I miei giorni sono passati, svaniti i miei
progetti,
i voti del mio cuore.
12Cambiano la notte in giorno,
la luce - dicono - è più vicina delle tenebre.
13Se posso sperare qualche cosa, la tomba è la mia
casa,
nelle tenebre distendo il mio giaciglio.
14Al sepolcro io grido: "Padre mio sei tu!"
e ai vermi: "Madre mia, sorelle mie voi siete!".
15E la mia speranza dov'è?
Il mio benessere chi lo vedrà?
16Scenderanno forse con me nella tomba
o caleremo insieme nella polvere!


Salmi 84

1'Al maestro del coro. Su "I torchi...". Dei figli di Core. Salmo.'
2Quanto sono amabili le tue dimore,
Signore degli eserciti!
3L'anima mia languisce
e brama gli atri del Signore.
Il mio cuore e la mia carne
esultano nel Dio vivente.
4Anche il passero trova la casa,
la rondine il nido,
dove porre i suoi piccoli,
presso i tuoi altari,
Signore degli eserciti, mio re e mio Dio.

5Beato chi abita la tua casa:
sempre canta le tue lodi!
6Beato chi trova in te la sua forza
e decide nel suo cuore il santo viaggio.

7Passando per la valle del pianto
la cambia in una sorgente,
anche la prima pioggia
l'ammanta di benedizioni.
8Cresce lungo il cammino il suo vigore,
finché compare davanti a Dio in Sion.

9Signore, Dio degli eserciti, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio, Dio di Giacobbe.
10Vedi, Dio, nostro scudo,
guarda il volto del tuo consacrato.
11Per me un giorno nei tuoi atri
è più che mille altrove,
stare sulla soglia della casa del mio Dio
è meglio che abitare nelle tende degli empi.

12Poiché sole e scudo è il Signore Dio;
il Signore concede grazia e gloria,
non rifiuta il bene
a chi cammina con rettitudine.
13Signore degli eserciti,
beato l'uomo che in te confida.


Ezechiele 22

1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Tu, figlio dell'uomo, forse non giudicherai, non giudicherai tu la città sanguinaria? Mostrale tutti i suoi abomini.3Tu riferirai: Dice il Signore Dio: O città che sparge il sangue in mezzo a se stessa, perché giunga il suo tempo, e fabbrica a suo danno idoli con cui contaminarsi!4Per il sangue che hai sparso, ti sei resa colpevole e ti sei contaminata con gli idoli che hai fabbricato: hai affrettato il tuo giorno, sei giunta al termine dei tuoi anni. Ti renderò perciò l'obbrobrio dei popoli e lo scherno di tutta la terra.5I vicini e i lontani si faran beffe di te o città infamata e piena di disordini.6Ecco in te i prìncipi d'Israele, ognuno secondo il suo potere, intenti a spargere sangue.7In te si disprezza il padre e la madre, in te si maltratta il forestiero, in te si opprime l'orfano e la vedova.8Hai disprezzato i miei santuari, hai profanato i miei sabati.9Vi sono in te calunniatori che versano il sangue. C'è in te chi banchetta sui monti e chi commette scelleratezze.10In te si hanno rapporti col proprio padre, in te si giace con la donna in stato di mestruazione.11Uno reca oltraggio alla donna del prossimo, l'altro contamina con incesto la nuora, altri viola la sorella, figlia del padre.12In te si ricevono doni per spargere il sangue, tu presti a interesse e a usura, spogli con la violenza il tuo prossimo e di me ti dimentichi. Oracolo del Signore Dio.
13Ecco, io batto le mani per le frodi che hai commesse e per il sangue che è versato in mezzo a te.14Reggerà il tuo cuore e saranno forti le mani per i giorni che io ti preparo? Io, il Signore, l'ho detto e lo farò;15ti disperderò fra le nazioni e ti disseminerò in paesi stranieri; ti purificherò della tua immondezza,16poi ti riprenderò in eredità davanti alle nazioni e tu saprai che io sono il Signore".
17Mi fu rivolta questa parola del Signore:18"Figlio dell'uomo, gli Israeliti si son cambiati in scoria per me; sono tutti rame, stagno, ferro e piombo dentro un crogiuolo: sono scoria di argento.19Perciò così dice il Signore: Poiché vi siete tutti cambiati in scoria, io vi radunerò dentro Gerusalemme.20Come si mette insieme argento, rame, ferro, piombo, stagno dentro un crogiuolo e si soffia nel fuoco per fonderli, così io, con ira e con sdegno, vi metterò tutti insieme e vi farò fondere;21vi radunerò, contro di voi soffierò nel fuoco del mio sdegno e vi fonderò in mezzo alla città.22Come si fonde l'argento nel crogiuolo, così sarete fusi in mezzo ad essa: saprete che io, il Signore, ho riversato il mio sdegno contro di voi".
23Mi fu rivolta questa parola del Signore:24"Figlio dell'uomo, di' a Gerusalemme: Tu sei una terra non purificata, non lavata da pioggia in un giorno di tempesta.25Dentro di essa i suoi prìncipi, come un leone ruggente che sbrana la preda, divorano la gente, s'impadroniscono di tesori e ricchezze, moltiplicano le vedove in mezzo ad essa.26I suoi sacerdoti violano la mia legge, profanano le cose sante. Non fanno distinzione fra il sacro e il profano, non insegnano a distinguere fra puro e impuro, non osservano i miei sabati e io sono disonorato in mezzo a loro.27I suoi capi in mezzo ad essa sono come lupi che dilaniano la preda, versano il sangue, fanno perire la gente per turpi guadagni.28I suoi profeti hanno come intonacato tutti questi delitti con false visioni e oracoli fallaci e vanno dicendo: Così parla il Signore Dio, mentre invece il Signore non ha parlato.29Gli abitanti della campagna commettono violenze e si danno alla rapina, calpestano il povero e il bisognoso, maltrattano il forestiero, contro ogni diritto.30Io ho cercato fra loro un uomo che costruisse un muro e si ergesse sulla breccia di fronte a me, per difendere il paese perché io non lo devastassi, ma non l'ho trovato.31Io rovescerò su di essi il mio sdegno: li consumerò con il fuoco della mia collera: la loro condotta farò ricadere sulle loro teste". Oracolo del Signore Dio.


Lettera ai Galati 1

1Paolo, apostolo non da parte di uomini, né per mezzo di uomo, ma per mezzo di Gesù Cristo e di Dio Padre che lo ha risuscitato dai morti,2e tutti i fratelli che sono con me, alle Chiese della Galazia.3Grazia a voi e pace da parte di Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo,4che ha dato se stesso per i nostri peccati, per strapparci da questo mondo perverso, secondo la volontà di Dio e Padre nostro,5al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.

6Mi meraviglio che così in fretta da colui che vi ha chiamati con la grazia di Cristo passiate ad un altro vangelo.7In realtà, però, non ce n'è un altro; solo che vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo.8Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!9L'abbiamo già detto e ora lo ripeto: se qualcuno vi predica un vangelo diverso da quello che avete ricevuto, sia anàtema!10Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!

11Vi dichiaro dunque, fratelli, che il vangelo da me annunziato non è modellato sull'uomo;12infatti io non l'ho ricevuto né l'ho imparato da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo.13Voi avete certamente sentito parlare della mia condotta di un tempo nel giudaismo, come io perseguitassi fieramente la Chiesa di Dio e la devastassi,14superando nel giudaismo la maggior parte dei miei coetanei e connazionali, accanito com'ero nel sostenere le tradizioni dei padri.15Ma quando colui che mi scelse fin dal seno di mia madre e mi chiamò con la sua grazia si compiacque16di rivelare a me suo Figlio perché lo annunziassi in mezzo ai pagani, subito, senza consultare nessun uomo,17senza andare a Gerusalemme da coloro che erano apostoli prima di me, mi recai in Arabia e poi ritornai a Damasco.
18In seguito, dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni;19degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore.20In ciò che vi scrivo, io attesto davanti a Dio che non mentisco.21Quindi andai nelle regioni della Siria e della Cilicia.22Ma ero sconosciuto personalmente alle Chiese della Giudea che sono in Cristo;23soltanto avevano sentito dire: "Colui che una volta ci perseguitava, va ora annunziando la fede che un tempo voleva distruggere".24E glorificavano Dio a causa mia.


Capitolo IX: Offrire noi stessi a Dio, con tutto quello che è in noi, pregando per tutti

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Parola del discepolo

1. Tue sono le cose, o Signore, quelle del cielo e quelle della terra: a te voglio, liberamente, offrire me stesso e restare tuo per sempre. O Signore, con cuore sincero, oggi io mi dono a te in perpetuo servizio, in obbedienza e in sacrificio di lode perenne. Accettami, insieme con questa offerta santa del tuo corpo prezioso, che io - alla presenza e con l'assistenza invisibile degli angeli - ora ti faccio, per la mia salvezza e per la salvezza di tutto il popolo, O Signore, sull'altare della tua espiazione offro a te tutti i miei peccati e le colpe da me commesse al cospetto tuo e dei tuoi santi angeli, dal giorno in cui fui capace di peccare fino ad oggi; affinché tutto tu accenda e consumi nel fuoco del tuo amore, cancellando ogni macchia dei miei peccati; affinché tu purifichi la mia coscienza da ogni colpa; affinché tu mi ridia la tua grazia, che ho perduta col peccato, tutto perdonando e misericordiosamente accogliendomi nel bacio della pace. Che posso io fare per i miei peccati, se non confessarli umilmente nel pianto e pregare senza posa per avere la tua intercessione? Ti scongiuro, dammi benevolo ascolto, mentre mi pongo dinanzi a te, o mio Dio. Grande disgusto io provo per tutti i miei peccati; non voglio più commetterne, anzi di essi mi dolgo e mi dorrò per tutta la vita, pronto a fare penitenza e, per quanto io possa, a pagare per essi. Rimetti, o Signore, rimetti i miei peccati, per il tuo santo nome: salva l'anima mia, che tu hai redenta con il tuo sangue prezioso. Ecco, io mi affido alla tua misericordia; mi metto nelle tue mani. Opera tu con me secondo la tua bontà, non secondo la mia perfidia e la mia iniquità.

2. Anche tutto quello che ho di buono, per quanto sia molto poco e imperfetto, lo offro a te, affinché tu lo perfezioni e lo santifichi; affinché ti sia gradito e tu voglia accettarlo, accrescendone il valore; affinché tu voglia portarmi - inoperoso e inutile piccolo uomo, qual sono - a un termine beato e glorioso. Offro parimenti a te tutti i buoni desideri delle persone devote e le necessità dei parenti e degli amici, dei fratelli e delle sorelle, di tutti i miei cari e di coloro che, per amor tuo, fecero del bene a me o ad altri; infine di tutte le persone - quelle ancora in vita e quelle che già hanno lasciato questo mondo - che da me desiderarono e chiesero preghiere e sante Messe, per loro e per tutti i loro cari. Che tutti sentano venire sopra di sé l'aiuto della tua grazia, l'abbondanza della consolazione, la protezione dai pericoli, la liberazione dalle pene! Che tutti, liberati da ogni male, ti rendano in letizia grazie solenni. Ancora, e in modo speciale, ti offro preghiere e sacrifici di espiazione per quelli che mi hanno fatto qualche torto, mi hanno cagionato dolore, mi hanno calunniato o recato danno, mi hanno messo in difficoltà; e anche per tutti quelli ai quali io ho dato talora motivo di tristezza e di turbamento, di dolore o di scandalo, con parole o con fatti, consciamente oppure no, affinché tu perdoni parimenti a tutti noi i nostri peccati e le offese vicendevoli. O Signore, strappa dai nostri cuori ogni sospetto, ogni sdegno, ogni collera, ogni contesa e tutto ciò che possa ferire la carità e affievolire l'amore fraterno. Abbi compassione, o Signore, di noi che imploriamo la tua misericordia; concedi la tua grazia a noi che ne abbiamo bisogno; fa che noi siamo fatti degni di godere della tua grazia e che possiamo avanzare verso la vita eterna.


La dottrina cristiana - Libro secondo

La Dottrina Cristiana - Sant'Agostino d'Ippona

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Le cose in sé e come segno.

1. 1. Scrivendo delle cose, premisi l'avvertimento di non badare se non a ciò che esse sono in se stesse e non al fatto se significhino o meno qualche altro oggetto diverso da sé. Viceversa, parlando dei segni dico che bisogna considerare non ciò che sono in sé ma piuttosto il fatto che sono segni, cioè che significano qualcosa. Difatti il segno è una cosa che, oltre all'immagine che trasmette ai sensi di se stesso, fa venire in mente, con la sua presenza, qualcos'altro [diverso da sé]. Vedendo, ad esempio, delle impronte pensiamo che vi sia passato un animale di cui quelle sono appunto le orme; visto il fumo conosciamo che sotto c'è il fuoco; udita la voce di un essere animato, ne discerniamo lo stato d'animo; suonando la tromba, i soldati sono addestrati a discernere se occorra avanzare o retrocedere o fare qualche altra mossa richiesta dalla battaglia.

Varie specie di segni.

1. 2. Dei segni, peraltro, alcuni sono naturali, altri intenzionali. Sono naturali quelli che, senza intervento di volontà umana né di intenzione volta a renderli significanti, di per se stessi fanno conoscere, oltre che se stessi, qualche altra cosa. Così il fumo richiama il fuoco. Fa ciò infatti non perché vuole significare [il fuoco] ma, per la riflessione o la nozione delle cose che noi abbiamo esperimentate, conosciamo che lì deve celarsi anche il fuoco dove si fa vedere solamente il fumo. Anche l'impronta dell'animale passato per un certo luogo appartiene a questa specie di segni. Così il volto dell'uomo adirato o triste palesa il suo stato d'animo, anche senza che lo voglia colui che è in preda all'ira o alla tristezza. Altrettanto si deve dire di qualsiasi altro sentimento, che si manifesta attraverso le tracce che lascia sul volto, anche se noi non facciamo nulla perché si manifesti. Ma di tutta questa categoria di segni non è mia intenzione trattarne adesso. Siccome però rientrava nella nostra divisione della materia, non la si poteva omettere completamente. L'averla menzionato in queste righe sarà sufficiente.

I segni intenzionali.

2. 3. Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano per indicare, quanto è loro consentito, i moti del loro animo, si tratti di sentimenti o di concetti. Nessun altro motivo abbiamo noi di significare, cioè di emettere segni, se non quello di palesare o trasmettere nell'animo altrui ciò che passa nell'animo di colui che dà il segno. Abbiamo stabilito di considerare ed esporre questa categoria di segni per quanto si riferisce agli uomini, poiché anche i segni dati da Dio che sono contenuti nelle sante Scritture sono stati resi manifesti a noi tramite gli uomini che li hanno scritti. Anche gli animali, è vero, hanno dei segni con cui comunicano i desideri del loro animo. Così il gallo, trovato che abbia del becchime, dà con la voce un segno alla gallina perché venga da lui. Così il colombo col suo gemere chiama la colomba o viceversa è chiamato da lei; e molte altre cose di questo genere si è soliti avvertire. Se poi il volto con la sua espressione o il grido di dolore seguono il moto dell'animo senza l'intenzione di significare alcunché o si emettono per significare davvero qualcosa è un'altra questione: una questione che non rientra nella materia di cui stiamo trattando. Per cui, questa parte di argomenti la tralasciamo nell'opera presente come cosa non necessaria.

Principe fra i segni è la parola.

3. 4. Dei segni con i quali gli uomini comunicano fra loro i propri sentimenti, alcuni dicono relazione alla vista, moltissimi all'udito, assai pochi agli altri sensi. Quando infatti facciamo cenni, non diamo segni se non agli occhi di colui che con tale segno vogliamo rendere partecipe del nostro volere. In effetti alcuni sogliono indicare moltissime cose con gesti delle mani. Così gli istrioni col movimento di tutte le membra fanno segni a chi è capace di comprenderli e, per così dire, dialogano con i loro occhi. Così le bandiere e le insegne militari tramite gli occhi significano ai soldati le decisioni dei condottieri. Sono, tutti questi segni, come delle parole visibili. Quanto ai segni che hanno pertinenza con l'orecchio, sono, come ho detto, i più numerosi, specie se vi si includono le parole. È vero infatti che la tromba, il flauto, la cetra, spesso emettono un suono che non solo è gradevole ma che racchiude anche un significato. Ma tutti questi segni, paragonati con le parole, sono pochissimi. In realtà, fra gli uomini le parole hanno il primo posto in senso assoluto quando si tratta di manifestare le cose concepite nell'animo, supposto che le si voglia palesare. Certamente il Signore diede un significato anche al profumo dell'unguento con cui furono profumati i suoi piedi 1, e alla sunzione del Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue diede il significato che volle 2, e la donna che fu guarita toccando l'orlo della sua veste ci indicò qualcosa 3; tuttavia la stragrande quantità di segni, con cui gli uomini trasfondono i propri pensieri, è data da parole. Difatti tutti quei segni di cui brevemente ho elencato le specie li ho potuti esporre a parole, mentre riguardo alle parole, non le potrei elencare in alcun modo con quei segni.

Lo scritto dà solidità alla parola.

4. 5. Le parole tuttavia toccano l'aria e subito spariscono (non durano se non quanto dura il loro suono), per questo come segno delle parole sono state trovate delle lettere, per le quali le parole si mostrano agli occhi, non in se stesse ma trascritte in segni che le rappresentano. Ora questi segni non sono potuti essere comuni fra tutte le genti a causa di un peccato di discordia umana, avendo voluto strappare ciascuno per sé il primato nel mondo. Segno di tale superbia fu quella torre eretta fino al cielo, e in quell'occasione gli uomini, empi, meritarono di contrarre la discordanza non solo degli animi ma anche del linguaggio 4.

La Bibbia, libro scritto in diverse lingue.

5. 6. Questo si è verificato anche nella divina Scrittura, con la quale si viene incontro alle molteplici malattie della volontà umana. Scritta in origine in una lingua, mediante la quale si poté diffondere per l'universo quanto era richiesto, attraverso le lingue dei diversi traduttori si è diffusa in lungo e in largo e si è fatta conoscere dalle genti a loro salvezza. Quelli infatti che la leggono non cercano altro che trovarvi il pensiero e la volontà di coloro che la scrissero e attraverso le facoltà degli scrittori trovarvi la volontà di Dio, in conformità della quale noi crediamo che detti uomini abbiano parlato.

Utile la presenza di difficoltà nella Scrittura.

6. 7. Quelli che leggono la Scrittura a cuor leggero vengono tratti in inganno dalle sue molte e svariate oscurità e ambiguità, e prendono una cosa per un'altra. In certi passi non riescono a trovare nemmeno la materia per false congetture: tanta è l'oscurità con cui alcune cose sono state dette che le si debbono ritenere coperte da densissime tenebre. Tutto questo non dubito che sia avvenuto per una disposizione divina, affinché con la fatica fosse domata la superbia umana e l'intelletto fosse sottratto alla noia, dal momento che il più delle volte le cose che esso scopre facilmente le considera di poco conto. Mi si risponda, ora, di grazia, al quesito che pongo. Uno asserisce che nella Chiesa di Cristo ci sono uomini santi e perfetti, con la cui vita e condotta la Chiesa stessa strappa a tutte le superstizioni coloro che vengono da lei e con l'imitazione dei buoni in certo qual modo se li incorpora. Sono fedeli buoni e veri servi di Dio che, deposti i gravami secolareschi, sono venuti al santo lavacro del battesimo e uscendo dal fonte concepiscono ad opera dello Spirito Santo e producono i frutti della duplice carità, cioè dell'amore di Dio e del prossimo. Mi chiedo dunque a questo punto come mai, se uno dice tali cose in termini prosaici, l'ascoltatore provi meno gusto che se per esprimere le stesse cose gli venga spiegato il Cantico dei Cantici dove alla Chiesa si dice, quasi tessendo l'elogio di una bella donna: I tuoi denti come gregge di pecore tosate che risale dal bagno; tutte generano figli gemelli e tra di loro nessuna è sterile 5. Forse che da ciò si apprende qualcosa di più di quando si udivano le stesse cose espresse in parole molto semplici senza il supporto di questa similitudine? Eppure, non so come, mi fermo a guardare con maggior gusto i santi (quasi fungano da denti della Chiesa) quando li vedo strappare gli uomini ai diversi errori e, addolcita la durezza, trasferirli nel corpo di lei, dopo averli privati del potere di mordere e resi quindi innocui. So anche riconoscere con grandissimo godimento nelle pecore tosate, quasi gente che abbia deposto, come altrettanti tosoni, gli appesantimenti secolari e le riconosco mentre salgono dal bagno, cioè dal battesimo: tutte pecore che generano dei gemelli, cioè i due precetti dell'amore, e constato che nessuna è sterile nel produrre questo santo frutto.

Comprendere i passi difficili in base ai più facili.

6. 8. Come mai io veda con più gusto la cosa di quanto non mi accadrebbe se non trovassi nei Libri divini alcuna similitudine di questo genere, pur essendo identica la cosa in se stessa e identica la cognizione, mi rimane difficile dirlo; ed è anche un problema diverso. Nessuno tuttavia può porre in dubbio che le cose, qualunque siano, si apprendono più volentieri mediante l'uso di similitudini e, se si tratta di questioni investigate con una certa difficoltà, quando le si scopre, ciò riesce molto più gradito. Difatti coloro che non trovano proprio nulla di quello che cercano, soffrono la fame; quelli poi che non fanno ricerche perché hanno le cose a portata di mano, spesso si afflosciano nella noia; e così nell'uno e nell'altro caso bisogna evitare l'illanguidimento. Meravigliosamente quindi e salutarmente lo Spirito Santo ha modellato le sante Scritture in modo che con i passi più manifesti si ovviasse alla fame [del ricercatore], con i passi più oscuri se ne dissipasse la noia. Dai passi oscuri infatti non si ricava altro - dico per approssimazione - all'infuori di quello che altrove si trova detto in maniera completamente manifesta.

Una duplice conversione necessaria al biblista.

7. 9. Prima di tutto dunque ci si deve convertire, mediante il timore di Dio, a conoscere la sua volontà e cosa ci ordini di desiderare o di fuggire. Questo timore deve suscitare in noi il pensiero della nostra mortalità e della morte che effettivamente ci attende e, quasi inchiodando la nostra carne, configgere al legno della croce tutti i moti di superbia. In secondo luogo occorre diventare miti e rispettosi e mai contraddire alle divine Scritture, sia che le si comprenda (com'è quando esse disapprovano qualche nostro vizio), sia che non le si comprenda, quasi che noi siamo in grado di conoscere o di prescrivere le cose in modo migliore. Dobbiamo piuttosto pensare e ritenere che quanto è scritto in esse è superiore e più vero - anche se è nascosto - di tutto ciò che noi possiamo opinare da noi stessi.

Lo Spirito Santo per comprendere la Scrittura.

7. 10. Dopo i due gradini, del timore e della pietà, si giunge al terzo gradino che è quello della scienza, del quale ho ora stabilito di trattare. In esso si esercita ogni appassionato della divina Scrittura, nella quale non vorrà trovare nient'altro se non che occorra amare Dio per se stesso e il prossimo per amore di Dio, e che Dio bisogna amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, mentre il prossimo lo si deve amare come noi stessi 6. Ciò significa che l'amore del prossimo, come anche quello verso noi stessi, occorre riferirlo totalmente a Dio. Di questi due precetti abbiamo trattato nel libro precedente quando parlavamo delle cose. Succede peraltro, e di necessità, che in principio uno, volendo addentrarsi nelle Scritture, si senta avviluppato nell'amore di questo secolo, cioè delle cose temporali. In questo caso egli necessariamente avverte di essere molto distante da quell'intenso amore di Dio e del prossimo qual è prescritto dalla stessa Scrittura. Bisogna allora che il timore che lo fa pensare al giudizio di Dio e quella pietà per la quale non può non credere o non arrendersi all'autorità dei Libri santi lo costringano a piangere su se stesso. In realtà quella scienza che dona la buona speranza non rende l'uomo vanitoso ma lo fa gemere su se stesso: sentimento con il quale, a mezzo di frequenti preghiere, ottiene la consolazione dell'aiuto divino che lo sottrae al peso della disperazione. Così comincia ad essere nel quarto gradino, che è quello della fortezza, per il quale si ha fame e sete di giustizia 7. Con questo sentimento poi si tira fuori da ogni mortifero diletto per le cose che passano e, allontanandosi da tale sorta di godimenti, si volge al gusto delle cose eterne, cioè dell'immutabile Unità che è la Trinità.

Fine di tutti i doni dello Spirito è la Sapienza.

7. 11. Vedendola, per quanto può, brillare lontano, si accorge che per la debolezza del suo sguardo non può reggere a tanta luce, sicché ascende al quinto gradino, cioè al consiglio, che ha per base la misericordia. Ivi purifica l'anima che è, in certo qual modo, in tumulto e in preda al chiasso con se stessa per lo sporco che l'ha deturpata desiderando le cose inferiori. Qui l'uomo è impegnato ad esercitarsi con impegno nell'amore del prossimo e in questo amore compie progressi. Pieno ormai di speranza e integro nelle forze, arrivato all'amore del nemico, ascende al sesto gradino, dove purifica lo stesso occhio con il quale può vedere Dio, quanto è consentito a coloro che muoiono a questo secolo, quanto è loro possibile. In realtà in tanto lo possono vedere in quanto muoiono a questo secolo, mentre in quanto vivono in esso, non lo vedono. È vero che in tal grado lo splendore di quella luce comincia già a farsi vedere più marcato: non solo quindi lo si tollera meglio ma reca anche più godimento; tuttavia è detto che lo si vede ancora in forma enigmatica e come in uno specchio 8. Questo perché finché siamo pellegrini in questa vita, camminiamo nella fede e non nella visione 9, avendo in cielo la nostra dimora 10. In questo gradino poi l'uomo purifica talmente l'occhio del cuore che alla verità non preferisce e nemmeno paragona il proprio prossimo e quindi neanche se stesso, perché non le paragona nemmeno colui che ama come se stesso. Un santo come questo avrà dunque un cuore così semplice e puro che non si lascerà distrarre dalla [contemplazione della] verità né dal desiderio di piacere agli uomini né dalla preoccupazione di evitare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento d'una tal vita. Questo figlio [di Dio] è in grado di ascendere fino alla sapienza, che è l'ultimo gradino, il settimo, e gode di lei pacificato e tranquillo. Inizio della sapienza è infatti il timore del Signore 11, dal quale timore si tende e si giunge alla sapienza attraverso questi gradini.

Libri canonici e libri apocrifi. Criteri di canonicità.

8. 12. Quanto a noi, riportiamo la considerazione a quel terzo gradino del quale avevamo stabilito di approfondire ed esporre ciò che il Signore si fosse degnato di suggerirci. Pertanto sarà diligentissimo investigatore delle divine Scritture colui che, prima di tutto, le legge per intero e ne acquista la conoscenza e, sebbene non le sappia penetrare con l'intelligenza, le conosce attraverso la lettura. Mi riferisco esclusivamente alle Scritture cosiddette canoniche, poiché, riguardo alle altre le legge con tranquillità d'animo chi è ben radicato nella fede cristiana, per cui non succede che gli disturbino l'animo debole e, illudendolo con pericolose menzogne e fantasticherie, gli distorcano il giudizio in senso contrario alla retta comprensione. Nelle Scritture canoniche segua l'autorità della maggior parte delle Chiese cattoliche, tra le quali naturalmente sono comprese quelle che ebbero l'onore di essere sede di un qualche apostolo o di ricevere qualche sua lettera. Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità.

Canone biblico accettato da Agostino.

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach 12; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.

Retto modo di procedere nello studio della Scrittura.

9. 14. In tutti questi Libri le persone animate dal timore di Dio e divenute miti in virtù della religione cercano la volontà di Dio. Ora, riguardo a questo lavoro di ricerca, a volte faticosa, la prima esigenza da rispettare è, come dicevamo, prendere conoscenza di questi libri anche se non si giunge ancora a comprenderli. Se ne dovrà comunque farne lettura, per impararli a memoria o almeno non essere del tutto nell'ignoranza. In seguito si debbono ricercare con più acume e diligenza le cose che in tali libri sono esposte in forma più chiara, si tratti di norme di vita o di princìpi di fede. Ognuno ne troverà tanto di più quanto più è dotato di penetrazione. In concreto, fra le cose che nella Scrittura sono dette in modo palese ci sono tutte quelle che hanno per contenuto la fede e la condotta di vita, cioè la speranza e la carità, di cui abbiamo trattato nel libro precedente. Giunti a questo stadio, quando cioè si è acquistata una certa familiarità con la lingua propria delle Sacre Scritture, bisogna inoltrarsi a scoprire ed esaminare ciò che in esse vi è di oscuro. Per illustrare le espressioni più oscure si prenderanno esempi dai passi più accessibili, di modo che le testimonianze dei passi certi, anche se limitate di numero, tolgano il dubbio ai passi incerti. In questo lavoro giova moltissimo la memoria, la quale, se manca, non possiamo fornirla noi a forza di regole.

Difficoltà create dai segni in uso nella Bibbia.

10. 15. Il contenuto della Scrittura non lo si comprende per due motivi: perché è nascosto o in segni sconosciuti o in segni ambigui. I segni poi sono o propri o traslati. Si chiamano segni propri quelli che si usano per significare quelle cose per cui sono stati inventati. Così quando diciamo " bue " vi intendiamo quell'animale che ogni uomo che parli latino designa, come noi, con questo nome. Sono segni traslati quelli nei quali le cose che significhiamo col termine proprio vengono usate per significare qualcos'altro. Così quando diciamo " bue ", con queste due sillabe vi intendiamo quell'animale che di solito va sotto questo nome ma con quell'animale a sua volta intendiamo l'Evangelista cui allude la Scrittura, secondo l'interpretazione dell'Apostolo, che dice: Non metterai la museruola al bue che trebbia 14.

Indispensabile la conoscenza delle lingue, specialmente il greco e l'ebraico.

11. 16. Nel caso dei segni propri, se li si ignora, grande rimedio è la conoscenza delle lingue. E in concreto la gente che parla latino, alla quale è diretta la presente istruzione, per conoscere le divine Scritture ha bisogno di altre due lingue: l'ebraico e il greco. Con queste si può ricorrere ai testi anteriori, se la quantità delle traduzioni latine, ormai infinita e ricca di varianti, presenta dei dubbi. È noto che nei libri sacri troviamo anche parole ebraiche che non sono state tradotte, come Amen, Alleluia, Racha, Osanna ed altre ancora. Di queste alcune furono conservate nell'antica origine per il prestigio di particolare santità, sebbene le si potesse tradurre. Tali sono Amen e Alleluia. Di altre invece si dice che non possano essere tradotte in altra lingua, come le ultime due poste nell'esempio citato. In determinate lingue ci sono infatti parole che non possono entrare mediante traduzione nell'uso di un'altra lingua. Questo accade soprattutto per le interiezioni, che esprimono un moto dell'animo piuttosto che una parte, sia pur piccola, di frase concepita con la mente. Tali, a quanto si riferisce, dovrebbero essere quelle ultime due. Dicono infatti che Racha sia espressione di uno arrabbiato, Osanna di uno in preda alla gioia. Ma non è per queste poche parole, che sarebbe facilissimo ricercare o domandare, che è necessaria la conoscenza di quelle lingue. La necessità sorge, come è stato detto, dalle divergenze esistenti fra i diversi traduttori. Si possono infatti contare coloro che tradussero le Scritture dall'ebraico in greco, ma è impossibile contare i traduttori latini. Fin dai primi tempi della fede, infatti, man mano che uno veniva in possesso d'un codice greco ed era convinto di possedere un po' di conoscenza dell'una e dell'altra lingua, subito si metteva a tradurre.

Grande utilità forniscono i testi paralleli.

12. 17. È stato, questo, un fatto che, anziché ostacolare, ha favorito la comprensione dei testi, purché chi li va a leggere non sia persona trascurata. Difatti il confronto fra parecchi codici spesso ha giovato a rendere chiare le frasi oscure, come il testo del profeta Isaia, che un interprete ha reso: E i domestici della tua stirpe non disprezzerai 15; mentre un altro: E non disprezzerai la tua carne 16. I due, confrontati fra loro, si confermano a vicenda. In realtà, l'uno si chiarisce mediante l'altro, poiché il termine carne si potrebbe prendere in senso proprio, nel senso cioè che ognuno dovesse ritenersi avvisato a non disprezzare il proprio corpo, mentre i domestici della stirpe, in senso traslato, potrebbero essere i cristiani, nati spiritualmente dallo stesso seme della parola. Orbene, confrontato fra loro il senso dei due traduttori, ci viene alla mente, come più probabile, l'idea che ivi propriamente si dia il precetto di non trascurare i parenti, poiché se confronti i domestici della stirpe con carne, vengono alla mente soprattutto i consanguinei. Di tale portata penso che sia anche quel che dice l'Apostolo: Se in qualche modo potrò suscitare la gelosia fra quelli della mia carne per salvare qualcuno di loro 17, cioè che, ingelositi di quelli che avevano creduto, anche loro abbracciassero la fede. Chiama sua carne i Giudei a motivo della identità di sangue. Allo stesso modo è di quel detto dello stesso profeta Isaia: Se non crederete, non comprenderete 18, che un altro ha tradotto: se non crederete, non avrete stabilità 19. Chi dei due abbia riprodotto a paroletta l'originale, è incerto, se non si leggono i testi originali stessi nella lingua madre; è comunque certo che chi sa leggerli con cognizione di causa, dai due testi ricava un profondo significato. È infatti difficile che due traduttori differiscano talmente fra loro che non si tocchino per qualche elemento di vicinanza. Orbene, l'intelletto riguarda la visione eterna di Dio, la fede invece nutre i piccoli quasi col latte in mezzo alle cose temporali che sarebbero una specie di culle. Adesso dunque camminiamo nella fede, non nella visione 20; e solo se avremo camminato nella fede potremo giungere alla visione, che non è transitoria ma rimane per sempre, quando noi aderiremo alla verità con l'intelletto purificato. Per questo uno diceva: Se non crederete, non avrete stabilità, l'altro invece: Se non crederete, non comprenderete.

Esempi per inculcare la conoscenza delle lingue originali.

12. 18. Il più delle volte il traduttore viene tratto in inganno dal termine ambiguo che reca la lingua antecedente, e, non conoscendo bene il senso della frase, le dà un significato del tutto alieno da quello datole dallo scrittore. Così alcuni codici leggono: Aguzzi i loro piedi a spargere sangue 21. infatti in greco significa tanto " aguzzo " quanto " veloce ". Pertanto intese bene la frase chi tradusse: Veloci sono i loro piedi a spargere il sangue 22, mentre l'altro cadde in errore trascinato nell'altra direzione da una parola a doppio senso. Traduzioni simili non sono soltanto oscure ma false, e la situazione in tali casi è ben diversa: si deve imporre che i codici siano non compresi ma emendati. Uno di tali errori si ha in quest'altro caso. in greco significa " vitello ": motivo per cui alcuni hanno tradotto non " germogli di vite " ma " mandrie di vitelli ". Questo errore si è diffuso in tanti codici che se ne trova sì e no qualcuno con l'altra dicitura. Eppure, l'espressione è chiarissima in quanto manifestata dalle parole che la seguono, e cioè: I vitigni bastardi non metteranno radici profonde 23, espressione molto più aderente al testo che non " mandrie di vitelli ", animali che camminano per terra con le zampe e non aderiscono alla terra mediante radici. In quel passo però anche gli altri testi similari hanno conservato la stessa traduzione.

Le finezze del latino, gradite ai puristi, non necessarie ai pii.

13. 19. Ci sono stati dei traduttori, e parecchi, che si sono espressi ciascuno secondo la sua capacità e il suo giudizio. In tal caso quale sia il significato della frase non appare se non si consulta la lingua da cui traducono; anzi, succede che il più delle volte il traduttore, se non è dotto al massimo grado, cada in errore allontanandosi dal senso dell'autore. Occorre pertanto esigere la conoscenza di quelle lingue dalle quali la Scrittura è passata in latino o avere sott'occhio le traduzioni di coloro che si tennero scrupolosamente fedeli alla paroletta. Queste traduzioni, certo, non sono sufficienti ma da esse si può ricavare la libertà o l'errore di quelli che traducendo preferirono attenersi non tanto alle parole quanto piuttosto alle intere frasi. Spesso infatti si traducono non solo singole parole ma anche intere frasi in modo che assolutamente non possono tollerarsi nell'uso della lingua latina, almeno se uno vuol conservare l'uso degli antichi che parlavano latino. Queste traduzioni, a volte, possono non nuocere al significato, ma disgustano coloro che sono assuefatti a dilettarsi maggiormente del contenuto quando anche nei segni vedono osservata, per quanto si può, la necessaria purezza. Il solecismo, ad esempio (come lo si chiama), non è altro se non l'unione di parole fatta non secondo quella legge con cui le unirono coloro che non senza autorità parlarono prima di noi. Così a chi va in cerca delle cose non interessa se uno dica: Fra gli uomini, o: Fra degli uomini. Così il barbarismo, il quale cos'è mai se non una parola pronunciata non con quelle lettere o quell'accento con cui suole essere pronunciata da quelli che hanno parlato latino prima di noi? Ad esempio il verbo ignoscere [perdonare]. Colui che chiede a Dio di perdonare i propri peccati non si interessa molto se la terza sillaba debba pronunciarsi in forma lunga o breve, qualunque sia il modo secondo cui quel verbo può suonare. Cos'è dunque la purezza della fraseologia se non l'osservanza della consuetudine introdotta dagli altri e confermata dall'autorità degli antichi autori?.

Nell'avvicinarsi alla Scrittura occorre intelligente semplicità.

13. 20. Cose come queste tanto più dispiacciono agli uomini quanto più essi sono deboli, e sono tanto più deboli quanto più smaniano di essere considerati dotti, non di quella scienza mediante la quale siamo edificati ma della scienza dei segni, a motivo della quale non è certo difficile gonfiarsi di superbia. In effetti la conoscenza delle cose di per se stessa molte volte fa alzare la cresta, a meno che non intervenga ad abbassarla il giogo del Signore. A chi infatti mira alla semplice comprensione cosa nuoce se si trova scritto così: Qual è la terra nella quale costoro risiedono in essa? se sia buona o cattiva? E come sono le città nelle quali loro abitano in esse? 24 Io riterrei che questa espressione appartenga a una lingua straniera piuttosto che contenere un qualche senso più profondo. Inoltre c'è quella parola che ormai non riusciamo a togliere via dalla bocca di chi canta: Su di lui invece fiorisce la mia santificazione 25. Il termine latino floriet non pregiudica affatto il senso della frase. L'uditore più dotto preferirebbe che la si correggesse e si dicesse: Florebit e non floriet; correzione che nessun'altra cosa ostacola se non l'abitudine dei cantori. Su cose come queste si potrebbe passar sopra facilmente, quando qualcuno non volesse evitarle, poiché non nuocciono affatto alla retta comprensione. Assai diverso è il caso del detto dell'Apostolo: Ciò che è stolto di Dio è più sapiente per gli uomini; ciò che è debole di Dio è più forte degli uomini 26. Se in questa espressione uno avesse voluto conservare la forma dell'espressione greca e avesse detto: Ciò che è stolto di Dio è più sapiente degli uomini, l'attenzione del lettore avveduto sarebbe certo andata alla verità della frase, ma qualcuno meno intelligente o non avrebbe capito niente o avrebbe capito male. In latino infatti tale espressione non sarebbe soltanto viziosa ma anche causerebbe una ambiguità, quasi che ciò che è stolto e debole negli uomini sia più sapiente e più forte di ciò che è stolto e debole in Dio. Anzi, la stessa espressione: È più sapiente per gli uomini non è senza ambiguità sebbene non contenga solecismi. A prescindere infatti dalla luce che proviene da tutta la frase, non risulta con chiarezza se per gli uomini sia stato detto derivandolo da " a questo uomo " o derivandolo da " da questo uomo ". Per cui è meglio dire: " È più sapiente che non gli uomini ed è più forte che non gli uomini ".

Conoscenza delle lingue e confronto fra i diversi codici.

14. 21. Più avanti parleremo dei segni ambigui; adesso vogliamo trattare dei segni non conosciuti, che sono, per quello che riguarda le parole, di due forme. Difatti a bloccare il lettore c'è o una parola sconosciuta o una frase sconosciuta. Le quali se derivano dalle lingue straniere, bisogna interrogare le persone che parlano quelle lingue o, se si ha tempo e intelligenza, occorre imparare tali lingue o consultare parecchi traduttori confrontandoli fra loro. Se invece è perché non conosciamo certe parole o frasi della nostra propria lingua, queste si impareranno abituandoci a leggere o ad ascoltare. In realtà, nessun'altra cosa è tanto necessaria imparare a memoria quanto quelle specie di parole o di frasi che ignoriamo. Ci può capitare, ad esempio, una persona più istruita a cui si possa domandare ciò che noi non conosciamo, o può darsi che il testo stesso mostri, da quel che precede o da quel che segue o da tutti e due i contesti, quale portata abbia o cosa significhi quel che ignoriamo. In tale ipotesi con l'ausilio della memoria potremo facilmente decifrarlo e apprenderlo. Tuttavia, tanta è la forza dell'abitudine anche nell'imparare che della gente nutrita ed educata nelle Sacre Scritture si stupisca di fronte a certe espressioni dell'uso profano e le ritenga meno latine di quelle che hanno imparato nelle Scritture e che non si trovano negli scrittori latini. In questo campo giova anche moltissimo il numero dei traduttori quando lo si controlla ed esamina confrontando i loro codici. Si badi solo che non ci siano falsificazioni di senso. Difatti la diligenza di coloro che desiderano conoscere le sacre Scritture deve prima di tutto essere vigile nell'emendare i codici, per cui quelli non emendati cedano il posto a quelli emendati, se provengono esclusivamente da un'unica famiglia di traduzioni.

Fra le versioni preferibile l'Itala e, soprattutto, quella dei Settanta.

15. 22. Fra le diverse traduzioni alle altre si preferisca l'Itala, che è più aderente alle parole e più chiara nel pensiero. Per emendare poi qualsiasi codice latino si ricorra ai testi greci, tra i quali, per quel che riguarda il Vecchio Testamento, tutti li supera in autorità la versione dei Settanta 27. A proposito di questi traduttori, presso tutte le Chiese più competenti si dice che abbiano tradotto in virtù di tale e tanta presenza dello Spirito Santo che una sia stata la voce di quegli uomini, pur essendo così numerosi. Si dice anche - e sono molti e non immeritevoli di fiducia quelli che lo affermano - che abbiano tradotto separati, ciascuno nella sua propria cella; eppure nel codice di nessuno di loro si trovò cosa che non si trovasse negli altri, espressa con le stesse parole e la stessa successione [di parole]. Chi oserebbe, non dico preferire, ma anche paragonare qualche altra versione ad una così autorevole? Se poi lavorarono insieme, di modo che una sia stata la voce di tutti a motivo dell'investigazione e del parere comune, nemmeno in tal caso è necessario o conveniente che un sol traduttore, esperto quanto si voglia, pretenda di emendare ciò che d'accordo hanno detto tanti antichi e dotti personaggi. Per la qual cosa, anche se nei codici ebraici si trovasse qualcosa di diverso da quello che hanno detto costoro, credo che bisogni arrendersi al piano divino che si è realizzato per loro mezzo. In tal modo quei libri che il popolo giudaico o per attaccamento religioso o per invidia si rifiutava di far conoscere agli altri popoli, tramite il potere del re Tolomeo furono comunicati con molto anticipo alle genti che per grazia del Signore avrebbero creduto. Può darsi quindi che quegli scrittori abbiano tradotto come credette fosse opportuno dire alle genti lo Spirito Santo che li muoveva all'azione e che aveva donato a tutti un'identica loquela. Ma, come ho detto sopra, non è mai inutile il confronto con gli autori che come questi rimasero più aderenti alle parole per spiegare, in diverse occasioni, il senso della frase. In conclusione, i codici latini del Vecchio Testamento, come avevo cominciato a dire, se è necessario, occorre revisionarli sull'autorità dei codici greci, in particolare dei codici di quegli uomini che, essendo Settanta, a quanto ci è stato tramandato, hanno tradotto come ad una sola voce. Quanto ai libri del Nuovo Testamento, se qualcosa è incerto nella varietà dei testi latini, non c'è dubbio che questi debbono cedere ai greci, soprattutto quelli in uso presso le Chiese meglio istruite e più accurate.

Anche i tropi o traslati sono ricchi di insegnamenti.

16. 23. Per quanto riguarda i segni traslati, se ce ne sono di sconosciuti che costringono il lettore a sospendere il giudizio, li si deve ricercare in parte con la conoscenza delle lingue e in parte con quella delle cose. Ci può infatti essere qualcosa che abbia valore figurativo; e di fatto la piscina di Siloe, dove per comando di Cristo andò a lavarsi il viso colui al quale il Signore aveva spalmato gli occhi col fango fatto mediante lo sputo 28, suggerisce senza dubbio un senso nascosto. Ciononostante, essendo il nome in una lingua sconosciuta, se l'Evangelista non l'avesse tradotto, un significato così importante sarebbe rimasto celato. Così è di molti nomi ebraici che non sono stati tradotti dagli autori dei rispettivi libri. Non c'è dubbio che, se uno riesce a tradurli, contengono una non piccola forza e sono un valido aiuto per risolvere le incomprensibilità della Scrittura. Effettivamente hanno arrecato ai posteri un non piccolo aiuto quegli uomini che, esperti in lingua ebraica, tradussero tutti quei nomi, staccandoli dal contesto scritturale. Così ci han detto cosa significhi Adamo, cosa Eva, cosa Abramo, cosa Mosè, e così pure i nomi geografici come Gerusalemme, Sion, Gerico, Sinai, Libano, Giordano, e ancora tanti altri nomi di quella lingua che a noi sarebbero rimasti sconosciuti. Spiegati e tradotti quei nomi, diventano palesi molte locuzioni figurate contenute nella Scrittura.

Esempi di cose naturali usate in senso traslato.

16. 24. La mancata conoscenza delle cose rende oscure le locuzioni figurate, come accade quando non conosciamo la natura degli animali, o delle pietre, o delle erbe, o di qualsiasi altra cosa che nelle Scritture il più delle volte viene menzionata con valore di similitudine. Così è di quella cosa nota che usa fare il serpente, che cioè per riparare il capo presenta a chi vuol ferirlo il resto del corpo. Questo spiega il detto del Signore in cui ci comanda di essere astuti come serpenti 29. In luogo del nostro capo, che è Cristo 30, dobbiamo offrire ai persecutori il nostro corpo, di modo che non succeda che, in certo qual modo, venga uccisa in noi la fede cristiana, se per risparmiare il corpo rinneghiamo Dio. Del serpente si dice ancora che, cacciandosi forzatamente per le strettoie della sua buca, abbandoni la vecchia squamatura e riceva nuove forze. Quanto ci giova imitare questa astuzia del serpente perché, come dice l'Apostolo, ci spogliamo dell'uomo vecchio e rivestiamo del nuovo 31. E ce ne spogliamo passando per luoghi stretti, avendo detto il Signore: Entra per la porta stretta 32. Ecco come la conoscenza della natura del serpente ci illustra parecchie similitudini che la Scrittura è solita trarre da questo animale. Analogamente la mancata conoscenza di alcuni animali, ricordati non meno del serpente per motivi figurativi, ostacola moltissimo chi vuol comprendere la Scrittura. Così delle pietre, così delle erbe e di tutto ciò che è sostenuto da radici. Sapere, ad esempio, che il carbonchio riluce nell'oscurità illumina molti passi anche oscuri dei nostri libri, dovunque lo si ponga a modo di similitudine. Inoltre ignorare come sia il berillo e il diamante chiude parecchie volte la porta di una esatta comprensione della Bibbia. È facile invece capire come mai la pace permanente sia significata dal ramoscello di olivo che la colomba riportò all'arca al suo ritorno 33. Questo, perché sappiamo che l'olio, anche se liscio, se tocca un altro liquido non si altera e, quanto alla pianta stessa, è tutto l'anno coperta di foglie verdi. Viceversa, molti non conoscono cosa sia l'issopo e quale vigore abbia. Esso giova a liberare il polmone [dal catarro] e così pure, a quel che si racconta, riesce con le sue radici a penetrare la roccia, essendo un'erbetta bassa e piccola. Per questo non riescono a trovare il motivo per cui è detto: Mi aspergerai con l'issopo e io sarò mondato 34.

La penetrazione dei numeri utile per l'approfondimento della Scrittura.

16. 25. L'ignoranza dei numeri impedisce di comprendere molte cose poste nella Scrittura in forma traslata o figurativa. Ad esempio, una mente che io chiamerei nobile non può non rimanere sorpresa dal perché mai Mosè, Elia e lo stesso nostro Signore abbiano digiunato quaranta giorni 35. Questo fatto comporta un groviglio di simbologie che non si scioglie se non mediante la conoscenza e la meditazione del numero in parola, il quale contiene il dieci preso quattro volte, quasi che si sia voluta inserire nel tempo la conoscenza di tutte le cose. Difatti il corso del giorno e dell'anno si svolgono sulla base del numero quattro: il giorno secondo frazioni orarie costituenti il mattino, il mezzogiorno, la sera e la notte; l'anno, secondo i mesi, della primavera, dell'estate, dell'autunno e dell'inverno. Orbene, noi, che pur viviamo nel tempo, ci dobbiamo astenere, o con altro termine " digiunare ", dai piaceri temporali in vista dell'eternità nella quale vogliamo avere la vita. Anzi, dallo stesso fluire del tempo ci si offre l'ammaestramento del disprezzo delle cose temporali e della brama delle cose eterne. Quanto poi al numero dieci, esso a sua volta ci inculca simbolicamente la conoscenza del Creatore e della creatura; l'essere trino infatti è proprio del Creatore, mentre il sette indica la creatura, a motivo della vita e del suo corpo. Nella vita infatti ci sono tre elementi, per i quali ci si dice anche di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente 36. Quanto poi al corpo, vi appaiono manifestissimi i quattro elementi da cui risulta. In questo numero dieci presentato a noi nella prospettiva temporale, mentre lo si moltiplica per quattro, ci si dà l'ordine di vivere con castità e continenza, segregati dai piaceri temporali, che sarebbe poi il digiunare per quaranta giorni. A questo ci richiama la legge, rappresentata dalla persona di Mosè, a questo i Profeti rappresentati da Elia; a questo lo stesso nostro Signore, che, quasi ricevesse la testimonianza dalla Legge e dai Profeti, là sul monte risplendette in mezzo a loro di fronte ai tre discepoli che lo guardavano stupiti 37. Successivamente si ricerca come dal numero quaranta si formi il cinquanta, numero altamente sacro nella nostra religione a motivo della Pentecoste 38. Questo numero moltiplicato per tre - a motivo dei tre periodi: prima della legge, sotto la legge e sotto la grazia, o a motivo del nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo - con l'aggiunta eminentissima, cioè, della stessa Trinità si riferisce al mistero della Chiesa quando sarà perfettamente purificata. Si arriverà cioè a quei centocinquantatré pesci, presi dalle reti gettate a destra nella pesca dopo la risurrezione del Signore 39. Così in moltissime altre forme numeriche certe misteriose rappresentazioni sono poste nelle sacre Scritture, forme che rimangono inesplorate ai lettori a causa dell'ignoranza dei numeri.

Nozioni di musica e comprensione della Scrittura.

16. 26. Non pochi contenuti impedisce e nasconde l'ignoranza di certe realtà in campo musicale. Un tale, ad esempio, partendo dalla differenza fra salterio e cetra, scoprì in maniera non bizzarra alcuni simbolismi annessi alle cose. Così è del salterio a dieci corde 40. Non scriteriatamente si cerca tra gli esperti se abbia una qualche esigenza musicale che richieda un così elevato numero di corde, o, se non ce l'ha, il numero di per se stesso debba essere preso piuttosto con valore mistico. Il quale valore potrebbe derivare dal rapporto col decalogo della legge - il cui numero, se si vogliono fare ricerche, non si deve riferire ad altri all'infuori del Creatore e della creatura - o dal numero dieci di per se stesso, come sopra è stato esposto. E poi c'è il numero della durata della costruzione del tempio, riferito dal Vangelo 41, cioè il numero di quarantasei anni. Mi pare che abbia un non so che di musicale, e, riferito all'edificio del corpo del Signore, in vista del quale si fa menzione del tempio, esso costringe certi eretici a confessare che il Figlio di Dio non si rivestì di un corpo fittizio ma veramente umano. Effettivamente troviamo in parecchi passi delle sante Scritture che il numero e la musica sono collocati in posizioni di privilegio.

Esempio di racconti favolosi: l'origine delle Muse.

17. 27. Né bisogna ascoltare le false superstizioni dei pagani a proposito delle Muse, che essi supposero essere nove, figlie di Giove e di Memoria. Li confuta Varrone, del quale non saprei dire se nel paganesimo ci sia un uomo più informato e un ricercatore più accanito a proposito di cose come queste. Dice che in una non so quale città - non ne ricordo il nome - si misero a concorso presso tre artisti tre statue delle Muse. Le si doveva porre come dono votivo nel tempio di Apollo e sarebbero state scelte e comprate, di preferenza, quelle dell'artista che le avesse fatte più belle. Accadde invece che quegli artisti presentarono le loro opere tutte ugualmente belle: tutte e nove piacquero alla cittadinanza e tutte furono comprate per essere esposte nel tempio di Apollo. A loro - dice ancora Varrone - più tardi il poeta Esiodo impose il nome. Non fu dunque Giove a generare le nove muse ma tre artisti ne composero tre per ciascuno. E, quanto a quella città, ne aveva messe a concorso tre non perché qualcuno le aveva così viste in sogno o perché loro stesse avevano mostrato agli occhi di qualcuno di essere in tal numero, ma perché era facile osservare che ogni suono - che è la materia delle canzoni - si presenta per sua natura in triplice forma. Infatti, o lo si emette con la voce, come quando senza strumento si canta con la gola, o soffiando, come accade nelle trombe o nei flauti, o per percussione, come nella cetra o nei tamburi e in tutti gli altri strumenti che emettono suoni quando li si percuote.

Il cristiano accetta la verità anche se scoperta da pagani.

18. 28. Stiano o no le cose come dice Varrone, quanto a noi non dobbiamo per delle superstizioni dei profani rifuggire dalla musica, se da essa possiamo trarre vantaggi per comprendere le sante Scritture. Né dobbiamo badare alle loro banalità teatrali quando trattiamo delle cetre e degli organi e ciò contribuisce alla comprensione delle cose spirituali. Difatti non ci siamo sentiti obbligati a non imparare le lettere perché dicono che loro inventore sia stato Mercurio. Ancora, per il fatto che essi dedicarono templi a Giustizia e a Virtù, preferendo di adorare nella pietra ciò che invece si sarebbe dovuto custodire nel cuore, non per questo dobbiamo fuggire la giustizia e la virtù. Tutt'altro! Ogni cristiano buono e sincero, dovunque trova la verità, comprende che appartiene al suo Signore e, confrontandola e discernendola, ripudi anche nei libri sacri gli elementi superstiziosi ivi indotti. Si rammarichi - e ne stia in guardia - che gli uomini, conoscendo Dio, non l'hanno glorificato come Dio né l'hanno ringraziato ma, diventati vani nei loro pensieri, si oscurò il loro stupido cuore. Dicendo di essere sapienti, divennero stolti e scambiarono la gloria del Dio incorruttibile con l'immagine figurata dell'uomo corruttibile, o degli uccelli o dei quadrupedi o dei serpenti 42.

Distinzione fra le dottrine del paganesimo.

19. 29. Tutto questo argomento, essendo sommamente necessario, dobbiamo spiegarlo con la massima diligenza. Ebbene, due sono le categorie della dottrina dei pagani, che da loro poi vengono tradotte in pratica anche nei costumi: una comprende le cose istituite dagli uomini, l'altra le cose che, come hanno essi stessi notato, si sono già realizzate o sono state istituite da Dio. Ciò che è di istituzione umana in parte è superstizioso, in parte no.

Vacuità e stoltezza di molte superstizioni pagane.

20. 30. È superstizioso tutto ciò che è stato inventato dagli uomini per fabbricarsi o prestare culto agli idoli e mira a venerare come dio la creatura o singoli esseri del mondo creato. Inoltre lo è tutto ciò che fanno per consultare i demoni e federarsi con loro stipulando patti convenzionati sulla base di segni, come sarebbero gli artifizi della magia: cose che i poeti sono soliti ricordare piuttosto che insegnare. Del medesimo genere sono i libri degli aruspici e degli àuguri, distinguendosene per una, diciamo cosi, più libera vacuità. In questo genere rientrano ancora gli amuleti e le fattucchierie, riprovati dalla stessa scienza medica e consistenti in incantesimi o in certi segni chiamati sigilli o nell'appendere certe cose ovvero legarle addosso o anche nel compiere delle forme di salti, se è lecito chiamarli così: salti che non tendono all'allenamento del corpo ma a significare delle cose occulte o anche manifeste. Tutte queste cose con vocabolo più blando essi le chiamano " realtà fisiche " per far vedere che esse non influiscono in forza di una superstizione ma giovano per la loro natura. Tali sono gli orecchini all'estremo di ciascun orecchio, o gli anelli di osso di struzzo alle dita; o come, quando ti viene il singhiozzo, ti si dice di tenere con la destra il pollice della sinistra.

Superstizioni balorde ridicolizzate dallo stesso Catone.

20. 31. A queste si debbono aggiungere le mille altre stupidissime pratiche a cui sogliono badare, come, ad esempio, se un membro palpita, se quando due amici camminano l'uno accanto all'altro una pietra o un cane o un bambino passa loro fra mezzo. Che poi essi diano un calcio alla pietra, quasi avesse potere di rompere l'amicizia è, naturalmente, meno nocivo del prendere a schiaffi un bimbo innocente che di corsa passa in mezzo ai due che camminano l'uno a fianco dell'altro. Il bello poi è quando, come a volte capita, i cani si prendono le difese dei bambini. Difatti - e questo succede moltissime volte - alcuni individui sono così superstiziosi che osino colpire anche il cane che sia passato nel loro mezzo; ma ciò non impunemente, in quanto il cane, oggetto della vana fattucchieria, talvolta manda prontamente da un medico vero colui che lo ha colpito. Superstizione sono anche queste altre usanze: calcare la soglia di casa tutte le volte che vi si passa dinanzi; tornare a letto se mentre si mettono i calzari si starnutisce; tornare a casa se camminando si inciampa; quando i sorci rodono un vestito, tremare di più per l'incubo di un male futuro che rammaricarsi per il danno subito. Fine, al riguardo, è il detto di Catone quando fu consultato da uno che gli diceva avergli i sorci rosicchiato le scarpe. Rispose non essere strabiliante una cosa del genere; veramente strabiliante sarebbe stato se le scarpe avessero rosicchiato i sorci.

Le scempiaggini dei genetliaci o matematici.

21. 32. Né si debbono distinguere da questo genere di perniciosa superstizione quelli che vanno sotto il nome di genetliaci, a motivo delle considerazioni fatte in base al giorno del compleanno e che ora la gente chiama astrologi. È vero che essi, quando uno nasce, ricercano la vera posizione delle stelle e qualche volta anche l'indovinano; tuttavia sbagliano di grosso quando da tali ricerche si sforzano di predire le nostre azioni o gli eventi connessi con tali azioni, vendendo agli uomini inesperti una miserabile servitù. Ecco infatti uno che va del tutto libero da un simile astrologo. Lo paga per uscire, dalle sedute presso di lui, schiavo o di Marte o di Venere o piuttosto di tutte le stelle, alle quali i primi che errarono e trasmisero l'errore ai posteri diedero il nome o di qualche bestia, a causa della somiglianza, o di qualche uomo, al fine di onorare costui. Né c'è da stupirsi se, in tempi recenti e a noi vicini, la stella chiamata " stella del mattino " i Romani abbiano tentato di dedicarla al culto e al nome di Cesare; e la cosa facilmente sarebbe riuscita e la costumanza ormai inveterata se la stella da chiamarsi con questo nome non se la fosse già in antecedenza accaparrata Venere, antenata di Cesare: la quale peraltro non vantava alcun diritto di trasmettere agli eredi ciò che viva non aveva mai posseduto né chiesto di possedere. In effetti, dove un posto era vacante e non era legato con l'onore dovuto a qualcuno morto in precedenza, è stato fatto ciò che si è soliti fare in simili occasioni. Così per i mesi: il quinto e il sesto mese noi li chiamiamo Luglio e Agosto, appellazioni intese a dare onore a Giulio Cesare e a Cesare Augusto. Allo stesso modo chiunque lo voglia può capire che anche quelle stelle hanno compiuto i loro giri nel cielo anche quando non portavano i nomi che portano adesso. Quanto a quei morti di cui gli uomini furono costretti dal potere reale a onorare la memoria, la cosa piacque per l'umana vanità; con l'imporre i loro nomi alle stelle si dava l'impressione di volere innalzare al cielo quegli stessi che morivano lì fra mezzo a loro. Ma, comunque vengano chiamati dagli uomini, sono sempre astri creati da Dio e da lui sistemati come gli parve opportuno. Essi hanno un movimento stabile, mediante il quale vengono distinti i tempi nella loro varietà. Determinare a che punto si trovi questo moto quando nasce ogni uomo è cosa facile, sulla base di leggi scoperte e poste in scritto da coloro che la sacra Scrittura condanna quando dice: Se tanto poterono conoscere da riuscire a valutare il mondo, come mai non hanno con maggiore facilità scoperto il Signore del mondo? 43

Grave errore e pazzia condizionare la vita umana al corso delle stelle.

22. 33. È peraltro un grave errore e una grande pazzia voler predire, da tale investigazione, i costumi, gli atti, e gli avvenimenti di coloro che nascono. E in effetti tale superstizione viene riprovata, senza alcuna tergiversazione, da coloro che hanno imparato a disimpararla. Quelle infatti che essi chiamano costellazioni sono la descrizione delle stelle come si trovavano quando nasceva quel tale nei confronti del quale questi sciagurati venivano consultati da altri più sciagurati ancora. Ora può accadere che due gemelli vengano alla luce a distanza talmente ridotta che fra loro non si possa computare alcun momento di tempo e designarlo con i numeri delle costellazioni. In tal modo alcuni gemelli cadono necessariamente sotto le stesse costellazioni, mentre poi non hanno identici gli eventi nelle cose che fanno o subiscono ma, il più delle volte, sono talmente diversificati che uno vive felicissimo e l'altro molto infelice. Così accadde a Esaù e Giacobbe. Sappiamo che nacquero gemelli e così ravvicinati che Giacobbe, che nasceva per secondo, si trovava a tenere con la mano il piede del fratello che nasceva per primo 44. Certamente il giorno e l'ora di nascita di questi due non si possono precisare altrimenti che assegnando a tutti e due la stessa costellazione. Eppure la Scrittura ci attesta - e la cosa è passata sulla bocca di tutte le genti - che grandissima fu la diversità fra i costumi, gli eventi, le fatiche e i successi dell'uno e dell'altro.

La presunzione umana, causa di falsità.

22. 34. Né è cosa pertinente quella che essi affermano e cioè che la stessa frazione di tempo, per quanto minima e insignificante, che distanzia il parto di due gemelli vale molto nell'ordine oggettivo dei fatti naturali, data la velocità quanto mai celere dei corpi celesti. Anche se concedessi che ciò vale moltissimo, tuttavia non potrebbe essere reperito dall'astrologo nelle costellazioni, esaminando le quali egli stesso confessa di predire i destini. Se dunque non gli risulta dall'esame delle costellazioni, che necessariamente osserva unificate, tanto se le consulti per Giacobbe quanto per suo fratello, che utilità può ricavare dal fatto che esse distano nel cielo - che lui oltraggia nella sua sicumera parlandone con leggerezza - ma non distano nella tavoletta che egli consulta inutilmente sebbene preoccupato e ansioso? Concludendo, anche queste opinioni basate su certi segni reali trovati dall'umana presunzione, dovrebbero essere quasi ricondotte alla stregua di quei fatti e convenzioni con il demonio di cui si parlava sopra.

Gli angeli cattivi intervengono talora ad ingannare l'uomo.

23. 35. Da tutto questo deriva, per un occulto giudizio divino, che gli uomini, bramosi di cose cattive, secondo i meriti della loro volontà siano consegnati (dovendo essere illusi e ingannati) agli angeli prevaricatori che s'incaricano appunto di illuderli e ingannarli. A costoro infatti, secondo il bellissimo ordine che regna nelle cose, per disposizione della divina Provvidenza è assoggettata questa parte del mondo che è la più bassa. A motivo di queste illusioni e inganni diabolici succede che, mediante le varie superstizioni e le diverse specie di perniciose divinazioni, vengano dette molte cose passate e future, né accadono altrimenti da quanto divinato. Molte cose avvengono ancora dinanzi agli osservatori in conformità con le loro osservazioni, di modo che questi, imbrigliati [nell'errore], divengano più avidi di sapere e siano irretiti sempre più nei molteplici lacci del loro perniciosissimo errore. Questa è una specie di fornicazione dell'anima di cui salutarmente la Scrittura divina non ha voluto tacere; né da essa ha dissuaso l'anima con minacce terribili perché rifuggisse dal seguirla soltanto a motivo delle falsità che dicono quelli che la praticano ma anche - dice - se vi dicessero così e così avvenisse, non dovete prestare loro fede 45. Non per il fatto, quindi, che lo spettro di Samuele morto preconizzi al re Saul cose vere 46, si devono esecrare di meno tali atti sacrileghi in forza dei quali quello spettro fu costretto a presentarsi. Così negli Atti degli Apostoli. Quando quella donna ventriloqua diede una testimonianza veridica agli apostoli del Signore, Paolo non risparmiò quello spirito ma piuttosto liberò la donna rimproverando e cacciando il demonio 47.

Dio permette la pestilenziale combutta tra demoni e uomini perversi.

23. 36. Tutti gli artifizi di questo tipo di superstizione, o sciocca o malefica, derivanti da una, chiamiamola così, pestilenziale combutta fra gli uomini e i demoni, essendo come dei patti di incredula e ingannevole amicizia stipulati [fra l'uomo e il diavolo], debbono essere respinti ed evitati in maniera assoluta dal cristiano. Dice l'Apostolo: Non che l'idolo sia qualcosa ma perché ciò che immolano lo immolano ai demoni e non a Dio. Ora io non voglio che voi siate in alleanza con i demoni 48. Ebbene, ciò che l'Apostolo diceva a proposito degli idoli e delle carni che immolate venivano offerte in loro onore, lo stesso si deve ritenere di tutti i segni immaginari che conducono o al culto degli idoli o a venerare come Dio il mondo creato o qualche sua parte, come pure di tutte quelle cose che hanno pertinenza con la pratica di fasciature o altre fattucchierie. Tutte queste cose non sono imposte da Dio quasi in forma ufficiale per aumentare l'amore di Dio e del prossimo ma dissipano il cuore dei miseri [che le praticano] mediante le varie forme di bramosia che ognuno ha per le cose temporali. In tutte queste dottrine bisogna dunque temere ed evitare ogni collaborazione con i demoni, i quali insieme con il loro principe, il diavolo, non si propongono altro che tentare di chiudere e di serrare la porta del nostro ritorno. Congetture umane e fallaci sono state inventate dagli uomini a proposito delle stelle che Dio creò e ordinò. Allo stesso modo, a proposito di esseri che nascono o di cose che esistono in un dato modo, conforme all'economia della divina Provvidenza, molti hanno scritto molte cose, architettate generalmente o quasi sulla base di congetture umane, qualora per caso accadano in maniera fuori dell'ordinario, come quando partorisca una mula o un oggetto sia colpito dal fulmine.

Alla radice di molte superstizioni c'è la curiosità o l'ansia.

24. 37. Tutte queste cose hanno tanto valore quanto loro ne presta la presunzione degli animi, alleata con i demoni mediante una specie di comune linguaggio. Tutte poi sono piene di pestilenziale curiosità, di inquietudine tormentosa e di asservimento mortale. Hanno colpito la fantasia dell'uomo non perché valessero qualcosa ma perché hanno colpito e le si è prese in considerazione quasi fossero segni, ed hanno cominciato a valere; e per questo motivo si presentano diversamente alle diverse persone, cioè a ciascuno secondo quello che pensa o presume. Difatti quegli spiriti, che si prefiggono di ingannare, procurano a ciascuno cose corrispondenti a quelle da cui vedono essere ciascuno intrappolato mediante le sue congetture e i consensi che dà. Prendiamo ad esempio la lettera " X ": ha un'unica forma - la si scrive con due assi incrociate -, eppure una cosa significa in greco, un'altra in latino, non di per se stessa ma perché quel significato si è convenuto di darle. Pertanto, uno che conosce le due lingue, se scrivendo vuol indicare qualcosa a un greco, non prende quella lettera con lo stesso significato col quale la usa quando scrive a un latino. Così, con lo stesso e identico suono Beta in greco si indica una lettera, in latino è il nome di un ortaggio. E quando dico Lege, con queste due sillabe una cosa vi intende chi è greco e un'altra chi è latino. Come si vede, dunque, tutti questi significati suscitano nell'animo dei moti in conformità con quanto si è convenuto nell'ambiente sociale di ciascuno e, siccome si è convenuto diversamente, suscitano moti diversi. Né furono gli uomini a convenire su di loro perché già anticipatamente avevano un qualche significato, ma in tanto significavano qualcosa in quanto così avevano convenuto gli uomini. Così è di quei segni con cui ci si procura la sciagurata connivenza con i demoni: essi valgono secondo le attribuzioni date da ciascuno. Questo appare nella maniera più lampante nel rito degli àuguri, i quali, e prima di osservare i segni e quando posseggono i segni osservati, si danno da fare per non vedere il volo degli uccelli e non udire la loro voce. In effetti, questi segni sono nulli, se non vi si aggiunge il giudizio consenziente di chi li ha osservati.

Rappresentazioni umane non superstiziose.

25. 38. Recise e sradicate dall'animo cristiano tutte queste pratiche, è tempo ormai di esaminare quelle altre pratiche umane che non sono superstizioni, non sono state cioè inventate per trattare con i demoni ma con gli altri uomini. Difatti tutte le cose che fra gli uomini hanno un valore per il fatto che essi hanno convenuto di attribuirglielo sono istituzioni umane; e fra queste alcune sono superflue e di lusso, altre utili e necessarie. Per esempio, se i segni che nel ballare fanno gli istrioni avessero un significato in base alla natura e non all'invenzione o al consenso degli uomini, non ci sarebbe stato bisogno, nei primi tempi, che, mentre il pantomimo ballava, l'araldo annunziasse al popolo cartaginese ciò che voleva indicare il ballerino. Ora questa cosa la ricordano ancora molti vecchi, dal cui racconto noi l'abbiamo raccolta. E la cosa è da credersi perché anche adesso se entra in teatro uno che sia all'oscuro di tali scempiaggini, se non c'è un altro che gli spieghi il significato di tante mosse, inutilmente vi pone tutta l'attenzione. Tutti però cercano una certa similitudine significante, di modo che gli stessi segni, per quanto possono, siano simili alle cose che significano. Ma siccome una cosa può essere simile ad un'altra sotto parecchi aspetti, tali segni non sono fissi fra gli uomini, a meno che non ce li renda il consenso dell'uomo.

 
Istituzioni umane valide o truffaldine.

25. 39. Per quanto concerne le pitture, le statue e le altre opere figurative simili a queste, specialmente se composte da bravi artisti, nessuno si sbaglia, osservandone la somiglianza, a riconoscere le cose a cui sono simili. Ebbene, tutta questa categoria di segni la si deve computare come una istituzione superflua introdotta dagli uomini, a meno che non ci sia un qualche interesse per loro in vista del perché, dove, quando e con quale autorità vengano fatte. A migliaia poi sono le favole immaginarie e le falsità e le menzogne di cui si dilettano gli uomini, e tutte sono di istituzione umana. E in effetti nessuna cosa deve stimarsi più propria degli uomini, cioè ricavata dalla loro realtà umana, di quanto non lo siano le falsità e le menzogne. Invece sono da ritenersi istituzioni utili e necessarie degli uomini nei confronti con gli altri uomini tutte quelle differenze che piacque loro trovare nell'ambito del vestirsi e dell'igiene o del rispetto e della distinzione dei sessi. Innumerevoli sono le specie dei segni senza i quali la società umana non potrebbe o per nulla o non senza incomodi mantenersi. Essi consistono in pesi e misure, nel conio e nella valutazione di monete, e sono propri di ogni città e popolo. Così tanti altri di questo genere che, se non fossero di istituzione umana, non varierebbero a seconda dei popoli né, in ciascun popolo in particolare, cambierebbero a discrezione dei suoi governanti.
Il cristiano illuminato sa scegliere fra le diverse invenzioni umane.

25. 40. Quanto a tutta questa parte di istituzioni umane, che utilmente o necessariamente servono nell'uso della vita, il cristiano non deve fuggirle, anzi, nella misura che è sufficiente, deve prenderne conoscenza per ritenerle nella memoria.

26. 40. Alcune di queste istituzioni, opera dell'uomo, sono sfumate e in certo qual modo simili a quelle naturali. Di esse, quelle che dicono riferimento a patti con i demoni, come è stato detto, le si deve rigettare e detestare. Quanto invece a quelle che gli uomini ritengono nei loro rapporti vicendevoli, le si deve accettare, per quel tanto che non sono né di lusso né superflue. Soprattutto si debbono accettare le forme delle lettere, senza le quali non potremmo leggere, e la varietà delle lingue, per quanto è sufficiente, come abbiamo esposto sopra. Di questo tipo sono anche le note [calligrafiche], note che imparano coloro che con nome appropriato si chiamano notai. Queste sono cose utili: non è illecito impararle, poiché non implicano superstizione né illanguidiscono con il lusso, purché ci si lasci occupare da loro tanto da non impedirci cose più importanti, per imparare le quali le prime debbono fungere da serve.

Osservazioni di dettaglio.

27. 41. Ancora: le cose che gli uomini hanno accumulato non con propria istituzione ma ricercando o gli eventi dei tempi passati o le istituzioni provenute da Dio, non le si deve considerare istituzioni umane. Alcune di queste dicono riferimento ai sensi del corpo, altre invece alla ragione, dote dell'anima. Ebbene, quelle che si raggiungono con i sensi del corpo, o le crediamo se sono narrate, o le sentiamo se ci vengono mostrate, o le accettiamo, magari per via di congetture, se sono oggetto di esperienza.

Somma utilità della storia.

28. 42. Quanto ci insegna quella scienza chiamata storia nei riguardi degli eventi passati e la loro successione giova moltissimo alla comprensione dei libri santi, anche se è scienza che si impara fuori della Chiesa nella istruzione ricevuta da giovani. In base alle Olimpiadi e ai nomi dei consoli noi infatti indaghiamo spesso su molti eventi, e la mancata conoscenza del consolato nel quale il Signore nacque e di quello in cui morì portò alcuni all'errore di credere che il Signore morì all'età di quarantasei anni. In realtà dissero i Giudei che nello spazio di questi anni era stato costruito il tempio 49, che figuratamente rappresentava il corpo del Signore. Che il Signore sia stato battezzato all'età di circa trent'anni noi lo riteniamo un dato certo per l'autorità del Vangelo 50, ma quanti anni sia rimasto in questa vita dopo il battesimo lo possiamo, è vero, intendere dal succedersi delle azioni compiute da lui, tuttavia per dissipare ogni ombra di dubbio, da qualunque parte derivi, si desume con assoluta certezza dalla storia profana comparata col Vangelo. Così infatti si vede che non fu detto invano che il tempio fu costruito in quarantasei anni, e, se questo numero non può riferirsi all'età del Signore, lo si riferisce alla conformazione più intima del corpo umano, di cui non esitò a rivestirsi per amore nostro l'unico Figlio di Dio, ad opera del quale furono fatte tutte le cose 51.

Con la conoscenza della storia si risolvono molte questioni bibliche.

28. 43. Nei riguardi della storia, omettendo i Greci, ricorderò il nostro Ambrogio e come egli risolse quella grande questione che, in atteggiamento di critici spietati, ponevano i lettori e gli ammiratori di Platone. Costoro osavano dire che tutte le massime di nostro Signore Gesù Cristo, che essi si sentivano costretti ad ammirare ed elogiare, egli le avesse apprese dai libri di Platone, poiché è innegabile che Platone è esistito molto tempo prima della venuta del Signore. Il soprannominato vescovo, considerando la storia profana scoperse che Platone si recò in Egitto al tempo di Geremia. Essendo questo Profeta anche egli in Egitto, è più probabile - dimostra Ambrogio - che Platone attraverso Geremia abbia attinto alla nostra letteratura, per poter insegnare e scrivere le cose che in lui si elogiano. In realtà prima della letteratura del popolo ebraico, in cui si segnala il culto per l'unico Dio - di quel popolo, dico, dal quale secondo la carne è venuto il nostro Signore 52 -, non visse nemmeno Pitagora, dai successori del quale - dicono costoro - Platone apprese la teologia. Pertanto, considerati i tempi, diviene molto più attendibile l'opinione che costoro abbiano attinto dalla nostra letteratura tutte le cose buone e vere che hanno detto, anziché il Signore Gesù Cristo abbia attinto dagli scritti di Platone. Credere una tal cosa sarebbe il colmo della pazzia.

Altro è la storia, altro le fantasticherie di certi pagani.

28. 44. Per quanto con il racconto storico si narrino anche le istituzioni concernenti il passato degli uomini, non per questo la storia in se stessa deve annoverarsi fra le stesse istituzioni umane. Infatti le cose passate, che non possono diventare irrealizzate, sono da ascriversi nell'ordine dei tempi, dei quali creatore e padrone è Dio. E poi, una cosa è raccontare i fatti, un'altra è l'insegnare il da farsi. Ora la storia narra fedelmente e utilmente i fatti, al contrario dei libri degli aruspici e di ogni altra letteratura di questo genere, che insegnano il da farsi o il da osservarsi in base all'audacia del parlatore e non in base alla fedeltà di un testimone.

Vantaggi e pericoli delle cognizioni scientifiche.

29. 45. C'è anche un genere di narrazione che è simile alla descrizione e col quale si segnalano alle persone, che ne sono all'oscuro, non le cose passate ma quelle presenti. A questo genere appartengono tutte le composizioni concernenti la geografia, la natura degli animali, delle piante, delle erbe, delle pietre e di altri corpi. Di questo genere di scritti abbiamo trattato sopra e abbiamo insegnato che la loro conoscenza ha del valore positivo per risolvere gli enigmi delle Scritture. Non li si deve prendere come dei segni nel senso che appartengano al genere dei rimedi o di qualche astruseria superstiziosa. In effetti, già sopra abbiamo collocato a parte quel genere e lo abbiamo separato da questo [di cui parlo adesso e] che è lecito e libero. Un conto infatti è dire: Se berrai di quest'erba sminuzzata ti passerà il dolore di pancia, e un altro conto è dire: Se ti appendi al collo quest'erba, ti passerà il mal di pancia. Nel primo caso si ha una mistura salutare che si approva, nel secondo un segno superstizioso che si condanna. È vero che, quando non si tratta di incantesimi, di evocazioni o di amuleti, il più delle volte rimane dubbio se la cosa che si lega a un corpo che si vuol guarire o in qualsiasi altro modo si applica ad esso abbia della virtù per forza naturale - e allora si potrebbe adoperare liberamente - o le provenga da qualche connessione con la categoria degli incantesimi. In questo caso il cristiano se ne deve guardare con tanto maggiore cautela, quanto sembrerà essere maggiore la sua efficacia. Ma quando non si sa in forza di quale causa un segno è efficace, è interessante osservare l'intenzione con cui ciascuno se ne serve, nell'ambito sempre di guarire o normalizzare i corpi, tanto nel campo della medicina che in quello dell'agricoltura.

Astronomia e astrologia.

29. 46. Quanto alla cognizione degli astri, essa non costituisce un racconto ma una osservazione, e di tali osservazioni la Scrittura ne contiene molto poche. Da un lato, in effetti, è noto a moltissimi il ciclo lunare, al quale ricorriamo per fissare la celebrazione solenne che ogni anno facciamo della passione del Signore, dall'altro però pochissimi conoscono senza errore il sorgere delle rimanenti stelle e così pure il loro tramontare o gli altri loro periodi. Questa conoscenza, di per se stessa, sebbene non sia connessa con alcuna superstizione, tuttavia non giova molto, anzi, quasi per niente, nell'esposizione delle divine Scritture; piuttosto la ostacola per l'inutile attrazione che esercita sull'anima. E, siccome ha delle affinità col dannosissimo errore di coloro che con canti insulsi predicono gli eventi, è più sbrigativo e più serio disprezzarla. Essa, tuttavia, oltre che l'osservazione delle cose presenti, ha anche qualcosa che la rende simile al racconto delle cose passate, in quanto dalla presente posizione degli astri e dal loro moto ci è consentito ricorrere normalmente anche alle tracce del loro passato. Essa permette di fare delle congetture precise sui tempi futuri, congetture non basate su ipotesi o fenomeni divinatori ma comprovate ed esatte. Non per questo comunque siamo autorizzati a tentare di ricavare da loro alcunché in rapporto con le nostre azioni o avvenimenti, come sono le conclusioni pazzesche dei genetliaci, ma solo per quanto si riferisce alle stelle in se stesse. Porto l'esempio di chi osserva la luna. Guardando in che fase è oggi e come era tanti anni fa, si può dire anche come sarà fra un certo numero di anni. Così anche quelli che osservano le singole stelle: chi ne sa calcolare il corso in base alla scienza riesce di solito a rispondere [con uguale precisione]. Di tutto questo scibile e di ciò che si riferisce al suo uso, ecco pertanto esposto il mio parere.

Le conoscenze delle varie attività umane.

30. 47. Si dovrebbe anche parlare delle altre arti. Ci sono quelle in cui si costruisce qualcosa che, prodotto da un operaio, rimane anche dopo che l'opera di lui è terminata: così una casa, un mobile, uno strumento di vario uso e oggetti di questo tipo. Ci sono attività in cui si collabora con Dio, che è l'artefice vero e proprio: tali la medicina, l'agricoltura, la guida di una nave. Altre ce ne sono in cui tutto l'effetto si esaurisce nell'azione, come il ballo, la corsa, la lotta. In tutte queste arti gli esperimenti del passato permettono di congetturare anche le cose future: difatti ognuno che le pratica nell'agire non muove le membra se non ricollega il ricordo del passato con la tensione verso l'avvenire. Alla conoscenza di queste arti nello stesso ambito della vita umana si deve ricorrere moderatamente e di sfuggita, non per praticarle, a meno che qualche dovere ce lo imponga (cosa di cui non voglio ora trattare), ma per darne un giudizio, di modo che non succeda che ignoriamo completamente ciò che la Scrittura vuole insegnare quando desume da queste arti qualche espressione figurata.

Conoscenza della dialettica, dei suoi vantaggi e pericoli.

31. 48. Rimangono le scienze che dicono relazione non ai sensi del corpo ma all'intelletto, dote dell'anima, dove fanno da regine la dialettica e la matematica. La dialettica reca moltissima utilità là dove si tratta di penetrare e risolvere qualsiasi genere di problemi che si trovano nelle sacre Lettere. Nell'usarla occorre soltanto evitare la smania di litigare e quella specie di ostentazione puerile di far cadere in trappola l'avversario. Ci sono infatti, e numerosi, i cosiddetti sofismi, cioè conclusioni false di un ragionamento che spesso rassomigliano talmente alle vere da trarre in inganno non solo i tardi d'ingegno ma anche gli intelligenti, se non vi badano con tutta accortezza. Una volta un tale al suo interlocutore propose questo raziocinio: " Ciò che sono io, tu non lo sei ". E l'altro acconsentì, sebbene la cosa fosse solo parzialmente vera, ma mentre l'uno era cavilloso l'altro era sempliciotto. Allora quegli riprese: " Orbene io sono un uomo ". E quando l'altro ebbe ammesso anche questo, il primo tirò la conclusione dicendo:" Quindi tu non sei un uomo ". Questo genere di conclusioni capziose viene detestato - a quanto posso ritenere - dalla Scrittura là dove dice: Chi parla da sofista è meritevole di odio 53. Inoltre anche un parlare non capzioso ma che va alla ricerca di abbellimenti verbali più di quanto non convenga al parlare serio è [dalla Scrittura] chiamato parlare sofisticato.

Occhi aperti di fronte ai tranelli del dialettico.

31. 49. Ci sono inoltre certi raziocini con affermazioni vere collegate però con conclusioni false, derivanti dalla convinzione erronea di colui col quale si parla. L'uomo buono ed erudito fa leva su tali conclusioni affinché colui dal cui errore esse derivano arrossisca e abbandoni l'errore, poiché, a voler rimanere in tale errore, necessariamente dovrebbe accettare anche quello che riprova. Non erano infatti vere le conclusioni tirate dall'Apostolo quando diceva: Nemmeno Cristo è risorto 54, o anche: Vana è la nostra predicazione e vana è la vostra fede 55. Queste e tutte le altre affermazioni che aggiunge sono false, poiché in effetti Cristo è risorto e non era falsa la predicazione di quanti annunziavano questo evento né la fede di coloro che in esso credevano. Ma queste conclusioni false giustamente le si connetteva con quell'affermazione [falsa in se stessa] secondo cui non ci sarebbe stata la risurrezione dei morti. Ripudiando queste false conclusioni - che sarebbero state vere se di fatto non ci fosse stata la risurrezione dei morti - ne seguiva come conseguenza la realtà della risurrezione stessa dei morti. Essendoci dunque conclusioni vere derivanti non solo da premesse vere ma anche false, è facile apprendere il metodo delle concatenazioni logiche vere anche dalle scuole che non sono della Chiesa; la verità delle affermazioni è tuttavia da ricercarsi sempre nei Libri santi posseduti dalla Chiesa.

Struttura ed efficacia del sillogismo.

32. 50. La verità dei sillogismi, in se stessa, non è stata inventata dagli uomini ma da loro soltanto constatata e formulata, per poterla imparare e insegnare. Si tratta infatti di una realtà che si trova da sempre nell'ordine delle cose e chi l'ha stabilita è Dio. Così è di colui che narra l'ordine dei tempi: non è lui che lo costituisce. Così colui che descrive le località o la natura degli animali, delle piante o delle pietre, non mostra cose istituite dagli uomini. Anche colui che osserva le stelle e i loro moti non mostra una cosa istituita da sé o dagli altri uomini. Allo stesso modo colui che dice: " Quando è falsa la conclusione, necessariamente deve essere falsa anche la premessa ", dice una cosa verissima, che però non è lui a renderla tale: egli soltanto la osserva. Secondo questa norma procede quel ragionamento dell'apostolo Paolo sopra ricordato. La premessa infatti, è, in quel caso, che non c'è la risurrezione dei morti, cosa che affermavano coloro dei quali l'Apostolo voleva demolire l'errore. In effetti, a quella premessa, secondo la quale non c'è risurrezione dei morti, tiene dietro necessariamente la conclusione: Nemmeno Cristo è risorto 56. Ora questa conclusione è falsa - Cristo infatti è risorto -, per cui la premessa deve essere falsa anch'essa. Siccome poi tale premessa è che i morti non risorgono, segue necessariamente che essi risorgono. Detto in breve, il ragionamento fila così: Se non si dà risurrezione dei morti nemmeno Cristo è risorto; ma Cristo è risorto; quindi la risurrezione dei morti esiste. Questo modo di ragionare per cui tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente non l'hanno inventato gli uomini ma solo constatato. E questa regola riguarda la struttura del raziocinio, che è vera, non la verità delle affermazioni [sulle quali si argomenta].

Nesso fra premesse e conclusioni.

33. 51. Nel passo citato, dove si trattava della risurrezione, è vera e la struttura del raziocinio e la conclusione che se ne deduce. Nelle affermazioni false invece la verità dell'argomentazione è di questo tipo. Supponiamo che uno abbia ammesso come vera la seguente proposizione: Se la lumaca è un animale, ha una voce. Ammesso questo, quando gli sarà stato dimostrato che la lumaca non ha voce - dal momento che tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente - dovrà concludere che la lumaca non è un animale. Questa conclusione è falsa ma, una volta ammesso un antecedente falso, è vera la concatenazione che porta a tale conclusione. Pertanto la verità di una proposizione ha valore di per se stessa, mentre la verità di un raziocinio si basa su ciò che crede o ammette colui col quale si ragiona. È per questo che, come dicevamo sopra, da un'argomentazione con premesse vere deduciamo anche una conclusione falsa, affinché colui del quale vogliamo correggere l'errore si penta di aver ammesso la proposizione antecedente, vedendo che sono da respingere le conseguenze. Da ciò si può facilmente comprendere che, come da false proposizioni si possono tirare conclusioni vere, così da vere proposizioni conclusioni false. Poni il caso che uno abbia fatto l'ipotesi: Se quel tale è giusto è anche buono, e che la cosa sia stata ammessa per vera. Il primo avrebbe potuto a quel punto sussumere: Ma egli non è giusto, e supponiamo che questa sua sussunta parimenti sia stata accettata. Da queste premesse egli avrebbe potuto tirare questa conclusione: Pertanto non è buono. Orbene, anche se tutte queste cose siano vere, non è tuttavia vera la norma con cui si è arrivati alla conclusione. Infatti quando si toglie un conseguente, si toglie necessariamente anche l'antecedente, ma quando si toglie un antecedente non si toglie necessariamente anche il conseguente. È vero quando diciamo: Se è un oratore è anche un uomo; ma se da questa affermazione passiamo all'altra: Ma non è un oratore, non sarebbe conseguente concludere: Allora non è un uomo.

Regole della logica e verità delle affermazioni.

34. 52. Si conclude che una cosa è conoscere le norme che sono alla base del raziocinio, un'altra conoscere la verità delle affermazioni. Con le prime si impara cosa sia conseguente, cosa non conseguente e cosa ripugni. È conseguente l'espressione: Se è un oratore è anche un uomo; non conseguente: Se è un uomo è anche un oratore; ripugna: Se è un uomo è anche un quadrupede. Si tratta sempre comunque di valutare la concatenazione in se stessa. Quando invece si tratta della verità delle affermazioni, si debbono considerare le affermazioni in se stesse, non la loro concatenazione. Comunque, quando affermazioni incerte si uniscono mediante una relazione logica vera ad affermazioni vere e certe, necessariamente anche esse diventano certe. Ci sono poi alcuni che, per avere imparato la dottrina del comporre raziocini esatti,, si vantano quasi che tale risorsa sia la stessa verità delle affermazioni; mentre al contrario altri, pur possedendo la verità dell'affermazione, si deprimono a torto per il fatto che ignorano le norme del tirare conclusioni. Certamente però è in condizione migliore chi sa che c'è la risurrezione dei morti che non coloro che sanno essere conseguente che, se non c'è risurrezione dei morti, nemmeno Cristo risorse 57.

Definizioni vere, possibili anche in cose false.

35. 53. La scienza del definire, del dividere o del distribuire, sebbene la si adoperi anche in cose il più delle volte false, di per sé tuttavia non è falsa, né è stata inventata dagli uomini, ma è stata riscontrata nell'ordine delle cose. È vero che di essa si sono serviti abitualmente i poeti nei loro racconti favolosi e così pure i falsi filosofi e gli eretici, cioè i falsi cristiani nelle loro teorie errate. Non per questo tuttavia è falso che nel definire, nel dividere o nel distribuire non si possa accettare ciò che non ha connessione con la cosa in se stessa o scartare ciò che con la cosa ha connessione. Questo è vero anche se non sono vere le cose che si definiscono o distribuiscono. C'è infatti una definizione per lo stesso falso, e lo definiamo dicendo che il falso è una cosa rappresentata diversamente da quella che è, o in qualche altra maniera. Si tratta di una definizione vera, sebbene il falso non possa mai essere cosa vera. E ne possiamo fare anche la divisione, dicendo che ci sono due specie di falso: una delle cose che proprio non possono essere, un'altra delle cose che potrebbero essere ma non sono. Così chi dice: Sette più tre fa undici, dice una cosa che non può essere in senso assoluto, mentre uno che dice, ad esempio: Il primo di gennaio è piovuto, per quanto la cosa non sia accaduta, dice tuttavia una cosa che sarebbe potuta accadere. Pertanto la definizione e la ripartizione delle cose false può essere verissima, sebbene le cose false in se stesse non possano certo essere vere.

Norme e limiti dell'eloquenza.

36. 54. Ci sono inoltre alcuni precetti riguardanti una dialettica più evoluta che si chiama eloquenza. Sono precetti veri, sebbene possano servire per insegnare il falso. Ma, siccome ci si può insegnare anche il vero, non bisogna incolpare l'arte in se stessa ma la perversità di chi se ne serve malamente. Infatti non è stato stabilito dagli uomini il fatto che una manifestazione di affabilità concili l'animo dell'ascoltatore, o che una narrazione breve e chiara trasmetta facilmente ciò che si intenda dire, o che la varietà nell'esporre tenga attenti gli uditori e non li annoi. Così di altre norme analoghe, che si adoperano in cause tanto false quanto vere e sono di per se stesse vere in quanto fanno o conoscere o credere qualcosa o spingono gli animi o a cercare o a rifuggire alcunché. Esse sono state scoperte perché tale è la realtà delle cose e non introdotte affinché le cose stessero in tale maniera.

Non si preferiscano retorica e dialettica alla sapienza del cuore.

37. 55. Questa parte di dottrina, quando la si conosce, deve usarsi più per comunicare le cose che si sono comprese che non come mezzo per comprenderle. Viceversa, l'altra parte - quella delle conclusioni, delle divisioni e delle distribuzioni - aiuta moltissimo chi mira a comprenderle. Ci si tenga però lontani dall'errore per cui gli uomini, quando hanno imparato queste regole, credono d'aver toccato con mano la verità stessa della vita beata. Il più delle volte capita, in effetti, che si comprendano in se stesse le cose, per comprendere le quali si imparano queste norme, con facilità maggiore di quanto non si comprendano le scienze complicatissime e spinosissime che insegnano tali norme. È come quando uno, volendo dare le norme per camminare, cominci col dire che non bisogna alzare il piede che sta dietro se non quando poggia in terra quello che sta avanti e poi descriva minuziosamente come si debbano muovere gli appoggi delle articolazioni e dei polpacci. È vero tutto quel che dice, né si può camminare in altra maniera; ma è più facile che gli uomini facciano quei movimenti camminando di quanto non lo sia il porvi mente quando li fanno o li capiscano quando ne sentono parlare. Quanto poi a quelli che non possono camminare, molto meno ancora si preoccupano di cose che non possono conseguire con la propria esperienza. Così il più delle volte una persona intelligente vede che una conclusione non è consistente prima ancora di capirne le norme. Chi invece è tardo d'ingegno non la vede, ma molto meno vede le norme che la riguardano. Comunque, in tutte queste cose spesso la presentazione della verità ci diletta più di quanto non ne siamo aiutati nel disputare o nel giudicare. È vero che [tali arti] possono rendere gli ingegni più esercitati; c'è però il pericolo che li renda anche più maliziosi e più gonfi [d'orgoglio]. Occorre cioè badare che quelli che hanno appreso tali scienze non amino o ingannare con discorsi o domande basate sul verosimile né credano di avere raggiunto chi sa quali grandezze, per cui si preferiscono ai buoni e agli onesti.

La scienza dei numeri.

38. 56. Quanto alla scienza dei numeri, anche a chi è eccezionalmente tardo d'ingegno è evidente che essi non sono stati inventati dagli uomini, ma piuttosto da loro investigati e scoperti. Non può succedere, riguardo ai numeri, quel che è successo nei riguardi della prima sillaba della parola Italia: gli antichi la pronunciavano breve, ma intervenne Virgilio ed è diventata lunga 58. Non così ciascuno di proprio arbitrio può fare sì che tre per tre non faccia nove o che non formino una figura quadrata o che non siano il triplo rispetto a tre, una volta e mezzo rispetto a sei, il doppio di nessun numero perché i numeri dispari non hanno la metà 59. Sia dunque che li si consideri in se stessi sia che vengano usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti, i numeri hanno regole immutabili, regole che non sono state inventate dagli uomini ma scoperte dall'acume degli ingegni più dotati.

Le creature dovrebbero portare l'uomo alla lode del creatore.

38. 57. Uno potrebbe amare tutte queste cose per vantarsene quando si trova fra gente ignara e non piuttosto per investigare da che dipende la verità di quelle cose che si è accorto essere solo vere e come mai alcune fra di esse sono non solo vere ma anche immutabili, se appunto comprende che sono immutabili. In questo modo dalla forma dei corpi perviene alla mente umana. E poi, trovando che quest'anima è mutevole, perché ora sa ora non sa, la vede collocata fra la verità incommutabile che la sovrasta e le rimanenti cose che sono mutevoli e inferiori a lei. Così deduce che tutte le creature rivolgono l'uomo alla lode e all'amore dell'unico Dio, dal quale riconosce che tutto deriva. Chi ragiona così può, certo, sembrare dotto, anche se non è in alcun modo sapiente.

Il giovane cristiano di fronte alle conquiste della scienza.

39. 58. Ai giovani appassionati del sapere, dotati di intelligenza e timorati di Dio che ricercano la sapienza si possono dare salutarmente questi precetti: non si permettano di seguire con animo tranquillo - quasi che bastassero per raggiungere la vita beata - nessuna scienza di quelle che si professano al di fuori della Chiesa di Cristo, ma le valutino con mente lucida e con diligenza. Potrà succedere che si imbattano in scienze inventate dagli uomini, diverse a causa della diversa volontà di chi le ha inventate e cadute in oblio a causa dei sospetti che suscita chi è incappato nell'errore o, soprattutto, casi in cui tali scienze contengono una società stipulata con i demoni quasi per mezzo di patti o convenzioni fondate su certi segni. In questi casi i nostri giovani le debbono radicalmente rigettare e detestare. E inoltre debbono disinteressarsi delle scienze umane superflue e di lusso. Quanto invece alle istituzioni umane che servono alla convivenza sociale, a motivo dei rapporti che hanno con la vita presente, non le debbono trascurare. Una parola sulle altre scienze che si trovano presso i pagani. Positiva è la descrizione delle cose, passate e presenti, che riguardano i sensi del corpo. Ad esse devono aggiungersi gli esperimenti e le supposizioni delle arti utili nell'ambito della fisica. Positivo pure l'uso del metodo del raziocinio e del numero. All'infuori di queste materie credo che altre utili non ci siano. E riguardo a tutto questo deve osservarsi la norma: Nulla di troppo! 60 soprattutto riguardo a quelle cose che, avendo relazione con i sensi del corpo, sottostanno all'andare del tempo e sono contenute nello spazio.

Utilità dei sussidi biblici: lavoro da incrementarsi.

39. 59. Alcuni si sono dati da fare per tradurre separatamente tutti i verbi e i nomi ebraici, siriani, egiziani o scritti in qualsiasi altra lingua usata nelle sante Scritture, qualora questi verbi e nomi si trovino senza traduzione. Ciò fece Eusebio nei riguardi della cronologia storica, a motivo di certe questioni dei Libri divini che ne richiedevano l'apporto. Gli altri lo fecero nei riguardi delle altre materie consimili, per liberare il cristiano dalla necessità di sostenere molti lavori a motivo di poche cose. Allo stesso modo ritengo che compia un'opera veramente caritatevole e vantaggiosa ai fratelli colui che con gioia si dedica ad elencare in scritto, facendone la sola spiegazione e descrivendo le cose in forma generica, tutte le località geografiche, gli animali, le erbe, le piante, le pietre e i metalli sconosciuti e tutti gli oggetti di vario genere di cui la Scrittura fa menzione. Lo stesso può farsi anche nei riguardi dei numeri, limitando il computo ai soli numeri ricordati nella divina Scrittura. In questo campo alcune ricerche, o forse tutte, sono già state eseguite; difatti abbiamo trovato molte nozioni elaborate e messe in iscritto da cristiani buoni e dotti, come non avremmo mai pensato. Sono lavori che giacciono nell'oscurità per la negligenza di molti o perché certi invidiosi li hanno occultati. Non so se la stessa cosa possa farsi sul sistema di discutere; credo anzi che la cosa sia impossibile perché la discussione è collegata a guisa di nervatura lungo tutto intero il testo scritturale. Questo lavoro aiuta i lettori più a risolvere e spiegare le ambiguità che non a conoscere i segni ignoti di cui ora ci occupiamo.

Conquiste filosofiche e arti liberali: da usarsi con criterio.

40. 60. Riguardo ai cosiddetti filosofi, massimamente ai platonici, nell'ipotesi che abbiano detto cose vere e consone con la nostra fede, non soltanto non le si deve temere ma le si deve loro sottrarre come da possessori abusivi e adibirle all'uso nostro. Ci si deve comportare come gli Ebrei con gli Egiziani. Questi non solo veneravano gli dèi ed imponevano ad Israele oneri gravosi che il popolo detestava fino a fuggirne, ma diedero loro vasi e gioielli d'oro e d'argento e anche delle vesti. Il popolo ebraico all'uscita dall'Egitto di nascosto se li rivendicò come propri, per farne - diciamo così - un uso migliore. Non fecero ciò di loro arbitrio ma per comando di Dio, e gli egiziani a loro insaputa glieli prestarono: ed effettivamente erano cose delle quali essi non facevano buon uso 61! Lo stesso si deve dire di tutte le scienze dei pagani. Esse racchiudono invenzioni simulate e superstiziose come pure gravi pesi che costringono a un lavoro superfluo, cose tutte che ciascuno di noi, uscendo dal mondo pagano al seguito di Cristo deve detestare ed evitare. Contengono però insieme a questo anche arti liberali, più consone con il servizio della verità, e alcuni utilissimi precetti morali; presso di loro si trovano anche alcune verità sul culto dell'unico Dio. Tutto questo è come il loro oro e argento, che essi non inventarono ma estrassero da certe - chiamiamole così - miniere della divina Provvidenza, che si espande dovunque. È vero che essi nella loro perversione e iniquità ne abusano per rendere culto ai loro dèi; non per questo però il cristiano, pur separandosi con lo spirito dalla loro miserabile società, deve buttar via tali ritrovati, qualora servano alla giusta missione di predicare il Vangelo. Sarà anche lecito prendere ed adibire ad uso cristiano anche la loro veste, cioè le istituzioni, opera di uomini, che siano aderenti alla convivenza umana, alla quale in questa vita non possiamo sottrarci.

Autori cristiani ben forniti di cultura classica.

40. 61. In realtà, cos'altro fecero molti nostri buoni fedeli? Non ci accorgiamo forse come fosse sovraccarico di oro, di argento e di vesti quando usciva dall'Egitto Cipriano, dottore incantevole e martire beatissimo? Come lo fosse Lattanzio e come lo fossero Vittorino, Ottato, Ilario, per tacere dei vivi? Come lo fossero innumerevoli padri greci? Una tal cosa fece per primo lo stesso Mosè, servo fedelissimo di Dio, del quale sta scritto che era istruito in ogni sorta di sapienza degli Egiziani 62. A tutti questi uomini la cultura superstiziosa dei gentili - specie in quei tempi in cui, respingendo il giogo di Cristo, perseguitava i cristiani - mai avrebbe fornito scienze ritenute utili se avesse sospettato che esse si sarebbero cambiate fino a rendere culto all'unico Dio, dal quale sarebbe stato abbattuto il culto vano degli idoli. Se quindi diedero oro, argento e vesti al popolo di Dio che usciva dall'Egitto, lo fecero perché ignoravano come le cose che davano sarebbero tornate a onore di Cristo. Quanto infatti accadde nell'Esodo senza dubbio aveva valore simbolico per raffigurare quest'altro fatto: cosa che mi permetto di asserire senza pregiudicare altri significati di identico o più alto valore.

Accostarsi alla Scrittura ricchi di scienza e carità. Proprietà dell'issopo.

41. 62. Quando lo studioso di sacra Scrittura, equipaggiato in questa maniera, comincerà ad avvicinarsi ad essa per indagarne il senso, non cessi di pensare a quell'ammonimento dell'Apostolo: La scienza gonfia, la carità costruisce 63. Così infatti si persuaderà che, sebbene esca ricco dall'Egitto, non potrà essere salvo se non avrà celebrato la Pasqua. Ora la nostra Pasqua è Cristo che si è immolato 64, e l'immolazione di Cristo nient'altro ci insegna più insistentemente di ciò che lui stesso grida - come a gente che vede soffrire in Egitto sotto il Faraone -: Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati da pesi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime. Infatti il mio giogo è soave e il mio peso leggero 65. A chi dice queste cose se non ai miti e agli umili di cuore, che non sono gonfiati dalla scienza ma costruiti dalla carità?. Ricordino dunque quelli che nei tempi antichi celebrarono la Pasqua attraverso ombre e figure: quando si ingiungeva loro di segnalare gli stipiti bagnandoli col sangue dell'agnello, essi li bagnarono mediante l'issopo 66, un'erba tenera ed umile che però ha le radici più forti e penetranti di ogni altra pianta. Così è di noi. Radicati e fondati nella carità dobbiamo saper comprendere, insieme a tutti i santi, quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità 67, cioè la croce del Signore. Di questa croce la larghezza sta nel legno trasversale su cui si stendono le braccia; la lunghezza, da terra fino al legno orizzontale, e su di essa sta confitto il resto del corpo dalle braccia in giù; l'altezza, dal legno orizzontale sino alla sommità, dove poggia il capo; la profondità, ciò che, conficcato per terra, rimane nascosto. Con questo segno della croce si descrive tutto l'agire del cristiano: compiere in Cristo opere buone, a lui aderire con perseveranza, sperare le cose celesti, non profanare i sacramenti. Purificati da questi impegni di vita rinnovata, noi saremo in grado di conoscere la carità di Cristo che supera ogni scienza umana 68 e per la quale egli è uguale al Padre - lui per opera del quale furono fatte tutte le cose 69 - sicché siamo ripieni di ogni pienezza di Dio. Nell'issopo c'è anche una virtù purificante, per cui non succederà che, gonfiandoci la scienza per le ricchezze tolte agli Egiziani, il nostro polmone tumefatto aspiri a cose superbe. Dice: Mi aspergerai con issopo e sarò purificato, mi laverai e sarò più bianco della neve. Mi farai ascoltare gioia e letizia 70. Poi aggiunge come logica conseguenza, per dimostrare che con l'issopo si rappresenta la purificazione dall'orgoglio: Ed esulteranno le ossa che hai umiliato 71.

Confronto fra S. Scrittura e scienze umane.

42. 63. È da considerare che la quantità di oro, argento e vesti che quel popolo portò con sé dall'Egitto fu molto piccola rispetto alle ricchezze che accumulò poi a Gerusalemme, come risalta principalmente sotto il re Salomone 72. Allo stesso modo si deve dire che tutta la scienza - scienza invero utile - ricavata dai libri del paganesimo è molto piccola se la si confronta con la scienza desunta dalle divine Scritture. In effetti, qualunque cosa possa l'uomo imparare dal di fuori [delle Scritture], se è nociva, è in esse condannata; se è utile, è in esse contenuta. E quando uno ha trovato nelle Scritture tutte le cose che utilmente potrebbe imparare altrove, troverà inoltre in esse, e con molto maggiore abbondanza, tante altre cose che non si trovano assolutamente altrove, mentre nelle Scritture, e lì soltanto, le si apprende, data la loro mirabile altezza e umiltà. Segni sconosciuti non ostacolino il lettore munito di questo bagaglio di istruzioni; sia mite e umile di cuore, si assoggetti con mansuetudine al giogo di Cristo. Gravato del suo peso, che poi non è grave ma leggero; fondato e radicato e costruito nella carità, che la scienza non riesce a gonfiare, si accosti a scrutare e a discutere i segni ambigui che si trovano nelle Scritture, dei quali mi accingerò a dire adesso nel terzo libro quel che il Signore si degnerà di suggerirmi.


Note:



1 - Cf. Gv 12, 3. 7.

2 - Cf. Lc 22, 19-20.

3 - Cf. Mt 9, 20-22.

4 - Cf. Gn 11, 1-9.

5 - Ct 4, 2.

6 - Cf. Mt 22, 37-39.

7 - Cf. Mt 5, 6.

8 - Cf. 1 Cor 13, 12.

9 - Cf. 2 Cor 5, 6-7.

10 - Cf. Fil 3, 20.

11 - Cf. Sal 110, 10; Sir 1, 16.

12 - Cf. Retract. 2, 4, 2.

13 - Ibidem.

14 - 1 Cor 9, 9.

15 - Is 58, 7 (sec. LXX).

16 - Is 58, 7 (Vulg.).

17 - Rm 11, 14.

18 - Is 7, 9 (sec. LXX).

19 - Is 7, 9 (Vulg.).

20 - Cf. 2 Cor 5, 7.

21 - Sal 13, 3 (sec. LXX).

22 - Sal 13, 3 (Vulg.).

23 - Sap 4, 3 (sec. LXX).

24 - Nm 13, 19 (sec. LXX).

25 - Sal 131, 18.

26 - 1 Cor 1, 25.

27 - Cf. De civ. Dei 18, 43.

28 - Cf. Gv 9, 7.

29 - Cf. Mt 10, 16.

30 - Cf. Ef 4, 15.

31 - Cf. Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10.

32 - Mt 7, 13.

33 - Cf. Gn 8, 14.

34 - Sal 50, 9.

35 - Cf. Es 24, 18; 1 Re 19, 8; Mt 4, 2.

36 - Cf. Mt 22, 37.

37 - Cf. Mt 17, 1-4; Mc 9, 2-6.

38 - Cf. At 2, 1ss.

39 - Cf. Gv 21, 6-11.

40 - Cf. Sal 32, 2; 91, 4.

41 - Cf. Gv 2, 20.

42 - Rm 1, 21-23.

43 - Sap 13, 9.

44 - Cf. Gn 25, 25.

45 - Dt 13, 2-3.

46 - Cf. 1 Sam 28, 14-20; Sir 46, 23.

47 - Cf. At 16, 16-18.

48 - 1 Cor 10, 19-20.

49 - Cf. Gv 2, 20.

50 - Cf. Lc 3, 23.

51 - Cf. Gv 1, 3.

52 - Cf. Rm 9, 5.

53 - Sir 37, 23.

54 - 1 Cor 15, 13.

55 - 1 Cor 15, 14.

56 - 1 Cor 15, 13.

57 - 1 Cor 15, 13.

58 - Cf. VERG., Aen. 1, 2.

59 - Cf. AUG., Ep. 3, 2; De lib. arb. 2, 8, 22.

60 - TEREN., Andr. 1, 61.

61 - Cf. Es 3, 21-22; 12, 35-36.

62 - Cf. At 7, 22.

63 - 1 Cor 8, 1.

64 - Cf. 1 Cor 5, 7.

65 - Mt 11, 28-30.

66 - Cf. Es 12, 22.

67 - Ef 3, 18.

68 - Ef 3, 19.

69 - Cf. Gv 1, 3.

70 - Sal 50, 9-10.

71 - Sal 50, 10.

72 - Cf. 1 Re. 10, 14-27.


5 - La conoscenza che l'Altissimo mi diede della sacra Scrittura.

La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda

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52. Parlerò, o Signore, con la tua grande Maestà, poiché sei il Dio della misericordia, sebbene io sia polvere e cenere, e supplicherò la tua incomprensibile grandezza affinché dal tuo trono altissimo tu guardi a questa vilissima e inutilissima creatura, e affinché tu mi sia propizio, continuando a darmi la tua luce per illuminare il mio intelletto. Parla, o Signore, la tua serva ascolta. Parlò dunque l'Altissimo che corregge i saggi e, rimandandomi al capitolo ottavo dei Proverbi, mi illuminò su questo mistero, come è lì contenuto, e innanzi tutto me ne rivelò il senso letterale, che è il seguente:

53. Il Signore mi possedette nel principio delle sue vie, prima che facesse cosa alcuna, dal principio. Fui ordinata dall'eternità e dalle cose antiche, prima che fosse fatta la terra. Ancora non esistevano gli abissi e già io ero concepita; ancora non erano scaturite le sorgenti delle acque, né i monti si erano stabiliti col loro greve peso; prima dei colli io venivo generata, prima che facesse la terra, i fiumi e i cardini del mondo; quando preparava i cieli, io ero presente; quando con legge certa e tracciando un cerchio arginava gli abissi, quando nell'alto dava consistenza ai cieli e pesava le fonti delle acque; quando circondava il mare col suo confine e dava ordine alle acque perché non uscissero dai loro confini; quando poneva le fondamenta della terra, io ero con lui, disponendo tutte le cose, ogni giorno mi dilettavo, scherzando continuamente dinanzi a lui, scherzando sul globo terrestre, e la mia delizia era stare con i figli degli uomini.

54. Sin qui è il passo dei Proverbi su cui l'Altissimo mi illuminò. Anzitutto intesi che tratta delle idee e dei decreti presenti nella sua mente divina prima di creare il mondo; compresi che letteralmente parla della Persona del Verbo incarnato e della sua Madre santissima e misticamente dei santi angeli e profeti; poiché prima di fissare e formare le idee per creare il resto delle creature materiali, ideò e determinò l'umanità santissima di Gesù Cristo e della sua purissima Madre: questo significano le prime parole.

55. Il Signore mi possedette nel principio delle sue vie. In Dio non vi furono vie, né la sua divinità ne aveva bisogno, eppure le fece, perché per queste vie tutte le creature capaci di conoscerlo io conoscessero e si recassero a lui. In questo principio, prima che nella sua idea creasse qualunque altra cosa, e quando voleva fare sentieri ed aprire cammini nella sua mente divina per comunicare la sua divinità e per dare inizio a tutto, dapprima stabilì di creare l'umanità del Verbo, che doveva essere la via per cui gli altri sarebbero andati al Padre. Insieme a questo decreto vi fu quello relativo alla sua santissima Madre, per mezzo della quale la Divinità doveva venire nel mondo, formandosi e nascendo da lei come Dio e come uomo. Perciò dice: «Dio mi possedette». Infatti la Maestà divina li possedette ambedue. Possedette il Figlio in quanto Dio, perché come tale già era possesso, proprietà e tesoro del Padre, senza potersene separare, dato che sono una stessa sostanza divina con lo Spirito Santo. Non meno lo possedette in quanto uomo, per la conoscenza e il decreto della pienezza di grazia e di gloria che gli avrebbe elargito fin dalla sua creazione ed unione ipostatica. Ma poiché tale decreto e possesso non si doveva eseguire se non per mezzo della Madre, che avrebbe generato e partorito il Verbo, giacché non stabilì di crearne il corpo dal niente, né da altra materia, era conseguente che egli possedesse colei che doveva dargli forma umana. E così la possedette e la riservò per sé in quello stesso istante, volendo efficacemente che in nessun tempo e momento avesse diritto o parte in lei, per quanto spetta alla grazia, il genere umano, né alcun altro, ma solamente lui, il Signore. Egli si impadronì di questa proprietà come di parte unicamente sua, come doveva essere per dargli forma umana della sua stessa sostanza; solo lei poteva chiamarlo figlio ed egli poteva chiamare solo lei madre, e madre degna di avere un Dio per figlio, volendosi Dio fare uomo. Ora, come tutto questo precedeva in dignità tutto il creato, così dovette anche precedere nella volontà e mente del supremo Creatore. Perciò dice:

56. Prima che facesse cosa alcuna, dal principio. Fui ordinata dall'eternità e dalle cose antiche. In questa eternità di Dio, che noi concepiamo ora come rappresentandoci un tempo interminabile, quali erano le cose antiche, se non ve n'era ancora nessuna creata? È' chiaro che egli parla delle tre Persone divine e vuol dire che dalla sua divinità senza principio e da quelle cose che solo sono antiche, cioè la Trinità indivisa - poiché il resto, che ha principio, è tutto nuovo - l'unione del Verbo eterno con l'umanità per mezzo della santissima Vergine fu ordinata quando solo esistere l'antico Increato e prima che s'immaginasse il futuro da crearsi. Entro questi due estremi si pose al centro l'unione ipostatica, con l'intervento di Maria santissima, cosicché entrambi, Cristo e Maria, furono ordinati immediatamente dopo Dio e prima di ogni altra creatura. Tale ordine fu il più ammirabile che mai si fece e che mai si farà. Così la prima e più stupenda immagine della mente di Dio, dopo l'eterna generazione, fu quella di Cristo, e subito dopo quella della sua Madre.

57. Di fatto, quale altro, se non questo, può essere stato l'ordine che qui si pone in Dio: in lui l'ordine consiste nell'essere tutto unito ciò che ha in se stesso, senza bisogno che una cosa tenga dietro all'altra, né che alcuna si perfezioni aspettando le perfezioni dell'altra, succedendosi tra loro stesse. Tutto fu ordinatissimo nella sua eterna natura, lo è e sempre lo sarà. Quello che ordinò fu che la persona del Figlio s'incarnasse e da questa umanità divinizzata cominciasse l'ordine del volere divino e dei suoi decreti, che fosse il capo e l'esempio di tutti gli altri uomini e di tutte le altre creature, al quale tutti fossero ordinati e subordinati. Questo infatti era il più perfetto ordine ed accordo nell'armonia delle creature: che uno fosse primo e superiore e da lui avesse inizio l'ordine di tutta la natura, specialmente quella dei mortali. Ma tra questi la prima era la Madre dell'uomo-Dio, come la suprema tra le semplici creature umane, la più vicina a Cristo e, per mezzo di lui, alla Divinità. Con tale ordine cominciò a sgorgare dal trono di Dio l'acqua di fonte cristallina, in maniera che scorresse prima verso l'umanità del Verbo, e subito dopo verso la sua santissima Madre nel grado e nel modo possibile ad una semplice creatura, ma altresì adeguato ad una creatura che fosse Madre dello stesso creatore. Ora, era opportuno che tutti gli attributi divini si effondessero in lei e che non gliene fosse negato alcuno, per quanto fosse capace di riceverne, essendo inferiore unicamente a Cristo nostro Signore, ma incomparabilmente superiore in gradi di grazia a tutte le altre creature capaci di grazia e di doni. Questo fu l'ordine disposto dalla Sapienza: incominciare da Cristo e dalla Madre sua; per questo il testo aggiunge:

58. Prima che fosse fatta la terra. Ancora non esistevano gli abissi e già io ero concepita. La terra di cui qui si parla è quella del primo Adamo. Prima che si decidesse la sua formazione e che nella mente divina si formassero gli abissi delle idee ad extra, Cristo e la Madre sua erano già ideati e formati. Si chiamano abissi perché tra l'essere di Dio increato e quello delle creature vi è una distanza infinita e questa, a nostro modo d'intendere, fu misurata solo quando le creature furono ideate e formate, poiché proprio allora furono nel loro modo quegli abissi di distanza immensa. Ma prima di tutto questo il Verbo era già concepito: non solo per la generazione eterna del Padre, ma anche perché era stabilita e concepita nella mente divina la sua generazione temporale da Madre vergine piena di grazia, mentre senza la madre, e tale madre, non si poteva determinare questa generazione temporale con efficace e compiuto decreto. Qui dunque, in quella immensità beatifica fu concepita, allora, Maria santissima e la sua memoria eterna fu scritta nel seno di Dio, affinché per tutti i secoli e l'eternità non fosse mai cancellata. Così restò impressa e disegnata dal supremo Artefice nella sua mente divina e posseduta dal suo amore con inseparabile amplesso.

59. Ancora non erano scaturite le sorgenti delle acque. Ancora le immagini e le idee delle creature non erano uscite dall'origine e dal principio loro, dato che non erano ancora sgorgate le fonti della Divinità, per mezzo dei canali della bontà e della misericordia affinché la volontà divina decidesse l'universale creazione e la comunicazione dei suoi attributi e delle sue perfezioni. Infatti, rispetto a tutto il resto dell'universo, queste acque e queste sorgenti erano ancora trattenute e racchiuse nell'immenso pelago della Divinità, non avendo nel loro stesso essere scaturigini né correnti per manifestarsi e non essendo state inviate agli uomini; ma appena cominciarono ad esistere, furono indirizzate a Cristo e alla sua Madre vergine. Quindi si aggiunge:

60. Né i monti si erano stabiliti col loro greve peso: perché fino ad allora Dio non aveva ancora deciso neppure la creazione degli alti monti, vale a dire dei Patriarchì, dei Profeti, degli Apostoli, dei Martiri e degli altri Santi di maggiore perfezione, né ancora era stato stabilito il decreto di così importante decisione col suo greve peso e con la sua equità, in quel modo forte e soave che ha Dio nei suoi consigli e nelle sue grandi opere. Inoltre ella fu generata non solamente prima dei monti, che sono i grandi santi, ma prima delle colline, che sono gli ordini dei santi angeli, prima dei quali fu formata nella mente divina sia l'umanità santissima di Gesù Cristo unita ipostaticamente al Verbo divino, sia la Madre che la generò. Questo Figlio e questa Madre furono prima di tutti gli ordini angelici, per cui, se Davide disse nel salmo 8: Che cosa è l'uomo perché te ne ricordi e il figlio dell'uomo perché te ne curi? Eppure l'hai fatto poco meno degli angeli, tutti devono intendere e conoscere che Cristo è insieme uomo e Dio, e che appunto perché è Dio, e ad un tempo uomo superiore, sta al di sopra di tutti gli uomini e di tutti gli angeli, e tutti sono inferiori e servi suoi. Ne consegue che egli è primo nella mente e nella volontà divina e, unitamente e inseparabilmente con lui, vi è una Donna e vergine purissima, perché madre sua e quindi superiora e regina di ogni altra creatura.

61. Intanto se l'uomo - come dice lo stesso salmo - fu coronato di onore e di gloria e costituito sopra tutte le opere delle mani del Signore, questo fu perché l'uomo-Dio suo capo gli meritò tale corona, come meritò quella che ebbero gli angeli. Di conseguenza, lo stesso salmo, dopo aver detto che l'uomo fu abbassato ad essere inferiore agli angeli, aggiunge che lo costituì sopra le opere delle sue mani, cioè anche sopra gli angeli, perché anch'essi sono opera delle sue mani. E così Davide comprese tutto dicendo che Dio fece gli uomini poco inferiori agli angeli, ma che, se erano inferiori nella natura, doveva pure esservene uno che fosse superiore e costituito sopra gli stessi angeli perché anch'essi opera delle mani di Dio. Questa superiorità aveva origine dall'essere della grazia, cioè non derivava solo dalla divinità unita all'umanità, ma anche dall'umanità stessa, in virtù della grazia che dall'unione ipostatica sarebbe risultata in essa e poi nella sua Madre santissima. Non solo, ma persino alcuni dei santi, in virtù dello stesso Signore incarnato, possono conseguire un grado ed un seggio superiore agli stessi angeli. Ora, dice:

62. Io venivo generata ed è più che dire concepita. Infatti, l'essere concepita si riferisce all'intelletto divino della beatissima Trinità quando fu conosciuta e quando fu come discussa l'opportunità dell'incarnazione, mentre l'essere generata si riferisce alla volontà che decise quest'opera perché fosse eseguita efficacemente, poiché la santissima Trinità nel suo divino concistoro stabilì e in un certo senso eseguì prima di tutto in se stessa quest'opera meravigliosa dell'unione ipostatica e dell'essere di Maria santissima. Perciò, in questo capitolo, prima dice che fu concepita e poi che fu generata, ossia costituita, perché dapprima fu conosciuta e subito dopo determinata e voluta.

63. Prima che facesse la terra, i fiumi e i cardini del mondo. Prima di formare un'altra terra - perciò ripete due volte terra - cioè quella del paradiso terrestre, dove il primo uomo fu trasportato dopo essere stato creato dalla prima terra, dalla polvere (dal campo di Damasco), prima di questa seconda terra in cui l'uomo peccò, fu stabilito di creare l'umanità del Verbo, nonché la materia da cui doveva essere formato, che era la Vergine, dato che Dio doveva prevenirla affinché non avesse parte nel peccato, né fosse ad esso soggetta. I fiumi e i cardini del mondo sono la Chiesa militante e i tesori della grazia e dei doni che con impeto dovevano sgorgare dalla sorgente della Divinità, raggiungendo tutti, e, in modo particolarmente efficace, i santi e gli eletti. Essi appunto come cardini si muovono in Dio, rimanendo dipendenti dal suo volere attraverso le virtù della fede, della speranza e della carità, mediante le quali si sorreggono, si animano e si regolano, muovendosi verso il sommo bene ed ultimo fine, nonché verso le relazioni con gli uomini, senza perdere i cardini a cui si appoggiano. Ancora qui si comprendono i sacramenti e l'ordinamento della Chiesa, la sua protezione ed invincibile fermezza, la sua bellezza e santità senza macchia né ruga perché appunto ciò significano questo «mondo» e questi «fiumi» della grazia. Ora, prima che l'Altissimo preparasse tutto ciò, ordinasse questo «mondo» e corpo mistico di cui Cristo nostro bene doveva essere capo, decise l'unione del Verbo con la natura umana e ne stabilì la Madre, per mezzo ed intervento della quale avrebbe operato queste meraviglie nel mondo.

64. Quando preparava i cieli, io ero presente. Quando preparava e predisponeva il cielo e il premio che voleva elargire ai giusti figli di questa Chiesa dopo il loro esilio, era lì presente l'umanità unita col Verbo, meritando loro come capo la grazia, e con lui era presente altresì la sua Madre santissima. Dio, avendo preparato al Figlio e alla Madre la maggior parte di tale gloria, sul loro esempio, preparava e predisponeva quella che voleva dare agli altri santi.

65. Quando con legge certa e tracciando un cerchio arginava gli abissi... Questo versetto sta a significare che Dio decideva di cingere gli abissi della sua divinità nella Persona del Figlio, con legge e confine certi, che nessun vivente avrebbe potuto vedere né comprendere, quando faceva questo cerchio e questa specie di argine. In esso nessuno mai poté, né può, penetrare fuorché il solo Verbo - dato che egli solo può comprendere se stesso - per umiliarsi e racchiudere la divinità nell'umanità, la divinità ed umanità insieme prima nel ventre di Maria santissima e poi nella piccola quantità e nelle specie del pane e del vino, e infine con esse nell'angusto petto di un uomo peccatore e mortale. Tutto questo indicavano quegli abissi, quella legge, quel cerchio o confine, che chiama legge certa sia per il molto che comprende, sia per segnare la certezza di questo fatto, che pareva impossibile ad essere quanto malagevole a spiegarsi. Invero, non pare che Dio potesse sottostare a una legge, né chiudersi entro limiti determinati, eppure tanto poté fare e rese possibile la sapienza e la potenza del Signore stesso, nascondendosi in una cosa limitata.

66. Quando nell'alto dava consistenza ai cieli e pesava le fonti delle acque; quando circondava il mare col suo confine e dava ordine alle acque perché non uscissero dai loro confini. Qui ai giusti dà il nome di cieli, perché lo sono, poiché Dio ha in loro la sua dimora per mezzo della grazia, per la quale dà ad essi sede e fermezza, sollevandoli - quantunque viatori - al di sopra della terra, secondo le disposizioni di ciascuno, e poi, nella Gerusalemme celeste, dà loro luogo e sede, secondo i loro meriti. Per essi soppesa le fonti delle acque e le divide, distribuendo a ciascuno con equità e peso i doni della grazia e della gloria, le virtù, gli aiuti e le perfezioni, secondo quello che la divina sapienza dispone. Quando fu deciso di fare questa divisione delle acque, fu stabilito di dare all'umanità unita al Verbo tutto il mare della grazia e dei doni che gli derivava dalla divinità in quanto Unigenito del Padre. Ora, benché questo mare fosse infinito, gli si pose un confine, che fu l'umanità in cui abita la pienezza della divinità. In questo confine rimase nascosta trentatré anni, per poter abitare con gli uomini, e perché non accadesse a tutti come ai tre Apostoli sul Tabor. Nello stesso istante in cui tutto questo mare e queste fonti della grazia giunsero a Cristo Signore nostro, come immediato alla Divinita, ridondarono anche nella sua Madre santissima come immediata al suo Figlio unigenito. Infatti senza la Madre, e tale madre, non sarebbero stati disposti ordinatamente, con tutta perfezione, i doni del suo Figlio, né poteva cominciare con altro fondamento l'ammirabile armonia della creazione celeste e spirituale, nonché la distribuzione dei doni nella Chiesa militante e in quella trionfante.

67. Quando poneva le fondamenta della terra, io ero con lui, disponendo tutte le cose. Le opere ad extra sono comuni a tutte e tre le Persone divine, perché tutte sono un solo Dio, una sola sapienza, un solo potere, cosicché era necessario e inevitabile che il Verbo, in cui secondo la Divinità furono fatte tutte le cose, fosse col Padre per farle. Ma qui dice di più, perché anche in quanto uomo il Verbo era già presente nella volontà divina con la sua Madre santissima, dato che, come per mezzo del Verbo in quanto Dio furono fatte tutte le cose, così in primo luogo per lui, come il fine più nobile e degno, furono create le fondamenta della terra e tutto quanto è contenuto in essa. Per questo dice:

68. Ogni giorno mi dilettavo, scherzando continuamente dinanzi a lui, scherzando sul globo terrestre. Il Verbo incarnato gioiva tutti i giorni, perché conosceva tutti i giorni dei secoli e le vite dei mortali che, confrontate con l'eternità, sono un breve giorno. Di questo gioiva: che la successione dei secoli avrebbe avuto un termine, affinché, compiuto l'ultimo giorno in tutta perfezione, gli uomini godessero della grazia e corona di gloria. Gioiva, come enumerando i giorni in cui sarebbe disceso dal cielo in terra ad assumere la natura umana. Sapeva che i pensieri e le opere degli uomini erano come uno scherzo e che tutti erano burla ed inganno. Guardava ai giusti, che, comunque deboli e limitati, erano tuttavia adatti a ricevere la comunicazione e manifestazione della sua gloria e delle sue perfezioni. Guardava il suo stesso essere immutabile, la pochezza degli uomini e come doveva incarnarsi tra loro; si dilettava nelle sue stesse opere, particolarmente in quelle che disponeva per la sua Madre santissima, dalla quale gli era tanto gradito prendere forma d'uomo, facendola degna di un'opera così ammirabile. Erano questi i giorni nei qua-li il Verbo incarnato si deliziava. E siccome al concepire e ideare tutte queste opere e alla decisione efficace della divina volontà, doveva seguire l'esecuzione di tutte, il Verbo divino aggiunse:

69. La mia delizia era stare con i figli degli uomini. La mia delizia è patire per loro e favorirli, il mio piacere è morire per loro, la mia letizia essere loro maestro e riparatore. La mia delizia è sollevare il povero dalla polvere e unirmi all'umile, per questo abbassare la mia divinità, coprendola e nascondendola con la loro natura: annichilirmi e umiliarmi, sospendendo la gloria del mio corpo per farmi passibile e meritare loro l'amicizia del Padre mio, divenire mediatore tra la sua giustissima indignazione e la malizia degli uomini ed essere loro esempio e capo, che possano imitare e seguire. Queste sono le delizie del Verbo incarnato.

70. O Bontà incomprensibile ed eterna, quanto ammirata e sospesa io rimango, vedendo le immensità del vostro essere immutabile a confronto con la piccolezza dell'uomo! E quanto ancora vedendo il vostro amore farsi mediatore tra due estremi di tanto incomparabile distanza, amore infinito per una creatura non solamente piccola, ma anche ingrata! Oh, su quale oggetto basso e vile voi ponete, o Signore, i vostri occhi, e su quanto nobile oggetto poteva e doveva l'uomo porre gli occhi e gli affetti suoi, in vista di un così grande mistero! Sospesa nella meraviglia e nella tenerezza del mio cuore, lamento la sventura dei mortali, le tenebre e la cecità loro, perché non si dispongono a conoscere quanto presto la vostra Maestà cominciò a guardarli e a preparare loro la vera felicità, con tanta cura e con tanto amore, come se nella loro consistesse la vostra.

71. Fin da principio, ab initio, il Signore ebbe presente nella sua mente tutte le opere e il loro ordinamento, così come le doveva creare: le numerò e pesò con la sua equità e rettitudine. E come sta scritto nella Sapienza, conobbe la disposizione del mondo prima di crearlo, il principio, il mezzo e la fine dei tempi, i loro mutamenti, il ciclo degli anni, la disposizione delle stelle, la forza degli elementi, la natura degli animali, l'istinto delle bestie, la forza dei venti, le differenze delle piante, le virtù delle radici e i pensieri degli uomini. Tutto soppesò e numerò, e non solamente le creature materiali e razionali, come suona alla lettera, ma tutte lé altre che misticamente sono da queste significate e che tralascio, perché ora non è questo il mio intento.


16 agosto 1943

Maria Valtorta

Dice Gesù:
   «Sono il “Primogenito di fra i morti”[240] secondo l’ordine umano e divino.

   Primogenito secondo l’ordine umano perché figlio, per parte di madre, di Adamo, sono il primo generato, della stirpe di Adamo, che sono nato come avrebbero dovuto nascere tutti i figli dei creati dal Padre mio.

   Non sbarrare gli occhi. Maria è nata per volere di Dio senza macchia e questa preservazione è stata voluta giustamente per preparare la mia venuta. Ma senza uno speciale volere, Maria, nata da uomo e donna insieme congiunti secondo la legge della natura, non sarebbe stata diversa da tutte le altre creature venute dalla radice contaminata di Adamo. Sarebbe stata una grande “giusta”, come molti e molte altre dell’antico tempo, ma nulla di più. La Grazia, Vita dell’anima, sarebbe stata uccisa in Lei dal peccato d’origine.

   Sono Io che ho vinto la morte e la Morte. Io che ho richiamato in Vita i morti del Limbo. Dormivano. Come Lazzaro, la cui risurrezione[241] adombra questa più vera. Io li ho chiamati. E sono risorti. Io, nato da donna figlia di Adamo, ma senza macchia d’origine, ossia come avrebbero dovuto essere tutti i figli di Adamo, sono perciò il Primogenito, secondo l’ordine naturale, di Adamo, nato vivo in mezzo ai generati morti di Adamo.

   Sono il “Primogenito” secondo l’ordine divino perché sono il Figlio del Padre, il Generato, non il creato da Lui.

   Generare vuol dire produrre una vita. Creare vuol dire formare. Io posso creare un nuovo fiore. L’artista può creare una nuova opera. Ma solo un padre e una madre possono generare una vita.

   Sono dunque il “Primogenito” perché, nato da Dio, sono alla testa di tutti i nati (secondo la grazia) da Dio.

   Quando con la mia Morte ho squassato le porte dell’al di là e ne ho tratto i dormenti alla prima risurrezione, ho anche aperto le chiuse dei laghi mistici nel cui lavaggio si deterge il segno che uccide, muore la Morte dello spirito, la vera Morte, e nasce la Vita dello spirito, la vera Vita.

   Sono infine il “Primogenito” di fra i morti perché la mia Carne entrò prima nel Cielo, dove entreranno alla Risurrezione ultima le carni dei santi i cui spiriti attendono nella Luce la glorificazione del loro io completo, come è giusto che sia perché santificarono se stessi vincendo la carne e martirizzandola per portarla a vittoria, come è giusto che sia perché i discepoli sono simili al Maestro, per amoroso volere del Maestro, e Io, Maestro vostro, sono entrato nella Gloria con la mia Carne che fu martirizzata per la gloria di Dio.

   Più avanti ti parlerò[242] delle due risurrezioni, viste sempre da voi con riferimenti umani, mentre vanno viste con vista spirituale.

   Questa mia Primogenitura divina e umana mi dà, di conseguenza, diritti sovrani, poiché è sempre il primogenito di un re colui che eredita la corona. E quale re più Re del Padre mio?

   Re eterno il cui regno non ha principio né fine e contro il quale nessun nemico ha potere. Re unico senza rivali che mi eleva nel generarmi alla sua stessa sovranità perché Io sono Uno col Padre, consustanziale a Lui, inscindibile da Lui, parte viva, attiva, perfetta di Lui. Re santo, santo, santo di una Perfezione tale che è non immaginabile a mente umana. Sfolgora nel Cielo, sulla Terra e sugli abissi, dilaga sui monti, investe di Sé quanto è, la santità gloriosa del Padre mio, santità che Noi adoriamo perché è quella da cui siamo generati e da cui procediamo.

   Gloria, gloria, gloria al Padre, Maria, gloria sempre perché da Lui viene ogni bene ed il primo Bene sono Io, tuo Salvatore.

   Il mio regno non è di questa Terra, secondo quanto vuol dire regnare sulla Terra. Ma è Regno della Terra. Poiché Io sulla Terra avrò regno. Regno palese e vero, non solo spirituale quale è ora e di pochi. L’ora verrà in cui sarò Re solo e vero di questa Terra che ho comperata col mio Sangue, della quale sono stato creato Re dal Padre con ogni potere su di essa. Quando verrò? Che è l’ora rispetto all’eternità? E che ti importerà dell’ora quando sarai nell’eternità?

   Verrò. Non avrò nuova carne poiché ne ho già una perfetta. Evangelizzerò, non come evangelizzai, ma con forza nuova, perché allora i buoni saranno non umanamente buoni come lo erano i discepoli della mia prima venuta, ma saranno spiritualmente buoni, e i malvagi saranno spiritualmente malvagi, satanicamente malvagi, perfettamente malvagi. Perciò la forma sarà consona alle circostanze, perché, se usassi la forma di 20 secoli or sono, sarebbe superata per i perfetti nel bene e sarebbe offrire modo ai satanici di recare un’offesa che non è permessa recare al Verbo glorificato. Come una rete di maglia fina, trascinerò dietro alla mia Luce i giunti alla sottigliezza spirituale, ma i pesanti, per la congiunzione della carne con Satana, i Morti dello spirito, che la putredine dell’anima tiene confitti nel fango, non entreranno nella mia Luce e finiranno di corrompersi nella congiunzione col Male e con la Tenebra.

   Per ora preparo il tempo futuro usando singolarmente la Parola che scende dai Cieli a dar luce alle anime pronte a riceverla. Faccio di voi i radiotelefonisti intenti a udire l’insegnamento che è perfetto e che avevo già dato e che non muto, poiché Una è la Verità, ma che è stato dimenticato o svisato, troppo dimenticato e troppo svisato perché faceva comodo dimenticarlo e svisarlo.

   Faccio questo perché ho pietà dell’Umanità che muore senza il pane dello spirito. Come ho dato Me per pane dell’anima vostra, così ora porgo la mia Parola per pane del vostro spirito. E ripeto:[243] “Beati coloro che ascoltano la parola di Dio e l’osservano”.»