Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Moderate a poco a poco l' attività  del vostro spirito per ridurvi ad operare con dolcezza e quiete. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 5° settimana del tempo ordinario (Santi Cirillo e Metodio)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 23

1Tutta l'assemblea si alzò, lo condussero da Pilato2e cominciarono ad accusarlo: "Abbiamo trovato costui che sobillava il nostro popolo, impediva di dare tributi a Cesare e affermava di essere il Cristo re".3Pilato lo interrogò: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici".4Pilato disse ai sommi sacerdoti e alla folla: "Non trovo nessuna colpa in quest'uomo".5Ma essi insistevano: "Costui solleva il popolo, insegnando per tutta la Giudea, dopo aver cominciato dalla Galilea fino a qui".
6Udito ciò, Pilato domandò se era Galileo7e, saputo che apparteneva alla giurisdizione di Erode, lo mandò da Erode che in quei giorni si trovava anch'egli a Gerusalemme.

8Vedendo Gesù, Erode si rallegrò molto, perché da molto tempo desiderava vederlo per averne sentito parlare e sperava di vedere qualche miracolo fatto da lui.9Lo interrogò con molte domande, ma Gesù non gli rispose nulla.10C'erano là anche i sommi sacerdoti e gli scribi, e lo accusavano con insistenza.11Allora Erode, con i suoi soldati, lo insultò e lo schernì, poi lo rivestì di una splendida veste e lo rimandò a Pilato.12In quel giorno Erode e Pilato diventarono amici; prima infatti c'era stata inimicizia tra loro.

13Pilato, riuniti i sommi sacerdoti, le autorità e il popolo,14disse: "Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate;15e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte.16Perciò, dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò".17.18Ma essi si misero a gridare tutti insieme: "A morte costui! Dacci libero Barabba!".19Questi era stato messo in carcere per una sommossa scoppiata in città e per omicidio.
20Pilato parlò loro di nuovo, volendo rilasciare Gesù.21Ma essi urlavano: "Crocifiggilo, crocifiggilo!".22Ed egli, per la terza volta, disse loro: "Ma che male ha fatto costui? Non ho trovato nulla in lui che meriti la morte. Lo castigherò severamente e poi lo rilascerò".23Essi però insistevano a gran voce, chiedendo che venisse crocifisso; e le loro grida crescevano.24Pilato allora decise che la loro richiesta fosse eseguita.25Rilasciò colui che era stato messo in carcere per sommossa e omicidio e che essi richiedevano, e abbandonò Gesù alla loro volontà.

26Mentre lo conducevano via, presero un certo Simone di Cirène che veniva dalla campagna e gli misero addosso la croce da portare dietro a Gesù.27Lo seguiva una gran folla di popolo e di donne che si battevano il petto e facevano lamenti su di lui.28Ma Gesù, voltandosi verso le donne, disse: "Figlie di Gerusalemme, non piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli.29Ecco, verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non hanno generato e le mammelle che non hanno allattato.
30Allora cominceranno a 'dire ai monti':

'Cadete su di noi!
e ai colli:
Copriteci!'

31Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?".
32Venivano condotti insieme con lui anche due malfattori per essere giustiziati.

33Quando giunsero al luogo detto Cranio, là crocifissero lui e i due malfattori, uno a destra e l'altro a sinistra.34Gesù diceva: "Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno".
'Dopo essersi poi divise le sue vesti, le tirarono a sorte'.

35Il popolo stava 'a vedere', i capi invece lo 'schernivano' dicendo: "Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio, il suo eletto".36Anche i soldati lo schernivano, e gli si accostavano per porgergli 'dell'aceto', e dicevano:37"Se tu sei il re dei Giudei, salva te stesso".38C'era anche una scritta, sopra il suo capo: Questi è il re dei Giudei.

39Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: "Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e anche noi!".40Ma l'altro lo rimproverava: "Neanche tu hai timore di Dio e sei dannato alla stessa pena?41Noi giustamente, perché riceviamo il giusto per le nostre azioni, egli invece non ha fatto nulla di male".42E aggiunse: "Gesù, ricordati di me quando entrerai nel tuo regno".43Gli rispose: "In verità ti dico, oggi sarai con me nel paradiso".

44Era verso mezzogiorno, quando il sole si eclissò e si fece buio su tutta la terra fino alle tre del pomeriggio.45Il velo del tempio si squarciò nel mezzo.46Gesù, gridando a gran voce, disse: "Padre, 'nelle tue mani consegno il mio spirito'". Detto questo spirò.

47Visto ciò che era accaduto, il centurione glorificava Dio: "Veramente quest'uomo era giusto".48Anche tutte le folle che erano accorse a questo spettacolo, ripensando a quanto era accaduto, se ne tornavano percuotendosi il petto.49Tutti i suoi conoscenti assistevano da lontano e così le donne che lo avevano seguito fin dalla Galilea, osservando questi avvenimenti.

50C'era un uomo di nome Giuseppe, membro del sinedrio, persona buona e giusta.51Non aveva aderito alla decisione e all'operato degli altri. Egli era di Arimatéa, una città dei Giudei, e aspettava il regno di Dio.52Si presentò a Pilato e chiese il corpo di Gesù.53Lo calò dalla croce, lo avvolse in un lenzuolo e lo depose in una tomba scavata nella roccia, nella quale nessuno era stato ancora deposto.54Era il giorno della parascève e già splendevano le luci del sabato.55Le donne che erano venute con Gesù dalla Galilea seguivano Giuseppe; esse osservarono la tomba e come era stato deposto il corpo di Gesù,56poi tornarono indietro e prepararono aromi e oli profumati. Il giorno di sabato osservarono il riposo secondo il comandamento.


Secondo libro delle Cronache 6

1Allora Salomone disse:

"Il Signore ha deciso di abitare nella nube.
2Ora io ti ho costruito una casa sublime,
un luogo ove tu possa porre per sempre la dimora".

3Il re poi si voltò e benedisse tutta l'assemblea di Israele, mentre tutta l'assemblea di Israele stava in piedi4e disse: "Benedetto il Signore Dio di Israele, che ha adempiuto con potenza quanto aveva predetto di sua bocca a Davide, mio padre:5Da quando feci uscire il mio popolo dal paese d'Egitto non mi sono scelto una città fra tutte le tribù di Israele perché mi si costruisse un tempio ove abitasse il mio nome e non mi sono scelto nessuno perché fosse guida del mio popolo Israele;6ora mi sono scelto Gerusalemme perché vi dimori il mio nome e mi sono scelto Davide perché governi il mio popolo Israele.7Davide mio padre aveva deciso di costruire un tempio al nome del Signore, Dio di Israele,8ma il Signore disse a Davide mio padre: Hai deciso di costruire un tempio al mio nome; hai fatto bene a formulare tale progetto;9solo che tu non costruirai il tempio, ma tuo figlio, generato da te, costruirà un tempio al mio nome.10Il Signore ha attuato la sua parola; sono succeduto infatti a Davide mio padre e siedo sul trono di Israele, come aveva preannunziato il Signore e ho costruito il tempio al nome del Signore, Dio di Israele.11Vi ho collocato l'arca dell'alleanza che il Signore aveva conclusa con gli Israeliti".
12Egli si pose poi davanti all'altare del Signore, di fronte a tutta l'assemblea di Israele, e stese le mani.13Salomone, infatti, aveva eretto una tribuna di bronzo e l'aveva collocata in mezzo al grande cortile; era lunga cinque cubiti, larga cinque e alta tre. Egli vi salì e si inginocchiò di fronte a tutta l'assemblea di Israele. Stese le mani verso il cielo e14disse: "Signore, Dio di Israele, non c'è Dio simile a te in cielo e sulla terra. Tu mantieni l'alleanza e la misericordia verso i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore.15Tu hai mantenuto, nei riguardi del tuo servo Davide mio padre, quanto gli avevi promesso; quanto avevi pronunziato con la bocca l'hai adempiuto con potenza, come appare oggi.16Ora, Signore Dio di Israele, mantieni, nei riguardi del tuo servo Davide mio padre quanto gli hai promesso: Non ti mancherà mai un discendente, il quale stia davanti a me e sieda sul trono di Israele, purché i tuoi figli vigilino sulla loro condotta, secondo la mia legge, come hai fatto tu con me.17Ora, Signore Dio di Israele, si adempia la parola che tu hai rivolta al tuo servo Davide!
18Ma è proprio vero che Dio abita con gli uomini sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che ti ho costruita!19Tuttavia volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, Signore mio Dio; ascolta il grido e la preghiera che il tuo servo innalza a te.20Siano i tuoi occhi aperti verso questa casa, giorno e notte, verso il luogo dove hai promesso di porre il tuo nome, per ascoltare la preghiera che il tuo servo innalza in questo luogo.
21Ascolta le suppliche del tuo servo e del tuo popolo Israele, quando pregheranno in questo luogo. Tu ascoltali dai cieli, dal luogo della tua dimora; ascolta e perdona!
22Se uno pecca contro il suo prossimo e, perché gli è imposta una maledizione, viene a giurare davanti al tuo altare in questo tempio,23tu ascoltalo dal cielo, intervieni e fa' giustizia fra i tuoi servi; condanna l'empio, facendogli ricadere sul capo la sua condotta, e dichiara giusto l'innocente, rendendogli quanto merita la sua innocenza.
24Quando il tuo popolo Israele sarà sconfitto dal nemico perché ha peccato contro di te, se si convertirà e loderà il tuo nome, pregherà e supplicherà davanti a te, in questo tempio,25tu ascolta dal cielo, perdona il peccato del tuo popolo Israele e fallo tornare nel paese che hai concesso loro e ai loro padri.
26Quando si chiuderà il cielo e non ci sarà pioggia perché hanno peccato contro di te, se ti pregheranno in questo luogo, loderanno il tuo nome e si convertiranno dal loro peccato perché tu li avrai umiliati,27tu ascolta dal cielo e perdona il peccato dei tuoi servi e del tuo popolo Israele, ai quali indicherai la strada buona su cui camminare, e concedi la pioggia alla terra, che hai dato in eredità al tuo popolo.
28Quando nella regione ci sarà carestia o peste, carbonchio o ruggine, invasione di cavallette o di bruchi, quando il nemico assedierà il tuo popolo nella sua terra o nelle sue città, quando scoppierà un'epidemia o un flagello qualsiasi,29ogni preghiera e ogni supplica fatta da un individuo o da tutto il tuo popolo Israele, in seguito alla prova del castigo e del dolore, con le mani tese verso questo tempio,30tu ascoltala dal cielo, luogo della tua dimora e perdona, rendendo a ciascuno secondo la sua condotta, tu che conosci il cuore di ognuno, poiché solo tu conosci il cuore dei figli dell'uomo.31Fa' sì che ti temano e camminino nelle tue vie per tutti i giorni della loro vita nel paese che hai dato ai nostri padri.
32Anche lo straniero, che non appartiene al tuo popolo Israele, se viene da un paese lontano a causa del tuo grande nome, della tua mano potente e del tuo braccio teso, a pregare in questo tempio,33tu ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, e soddisfa tutte le richieste dello straniero e tutti i popoli della terra conoscano il tuo nome, ti temano come il tuo popolo Israele e sappiano che il tuo nome è stato invocato su questo tempio, che io ho costruito.
34Quando il tuo popolo uscirà in guerra contro i suoi nemici, seguendo la via per la quale l'avrai indirizzato, se ti pregheranno rivolti verso questa città che ti sei scelta, e verso il tempio che ho costruito al tuo nome,35ascolta dal cielo la loro preghiera e la loro supplica e rendi loro giustizia.
36Quando peccheranno contro di te - non c'è, infatti, nessuno senza peccato - e tu, adirato contro di loro, li consegnerai a un nemico e i loro conquistatori li deporteranno in un paese lontano o vicino,37se, nel paese in cui saranno stati deportati, rientrando in se stessi, si convertiranno a te supplicandoti nel paese della loro prigionia dicendo: Abbiamo peccato, abbiamo agito da malvagi e da empi,38se faranno ritorno a te con tutto il cuore e con tutta l'anima, nel paese della loro prigionia ove li avranno deportati e ti supplicheranno rivolti verso il paese che tu hai concesso ai loro padri, verso la città che ti sei scelta e verso il tempio che io ho costruito al tuo nome,39tu ascolta dal cielo, luogo della tua dimora, la loro preghiera e la loro supplica e rendi loro giustizia. Perdona al tuo popolo che ha peccato contro di te.
40Ora, mio Dio, i tuoi occhi siano aperti e le tue orecchie attente alla preghiera innalzata in questo luogo.41Ora, alzati, Signore Dio, vieni al luogo del tuo riposo, tu e l'arca tua potente. Siano i tuoi sacerdoti, Signore Dio, rivestiti di salvezza e i tuoi fedeli esultino nel benessere.42Signore Dio, non rigettare il tuo consacrato; ricordati i favori fatti a Davide tuo servo".


Qoelet 4

1Ho poi considerato tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori sta la violenza, mentre per essi non c'è chi li consoli.2Allora ho proclamato più felici i morti, ormai trapassati, dei viventi che sono ancora in vita;3ma ancor più felice degli uni e degli altri chi ancora non è e non ha visto le azioni malvage che si commettono sotto il sole.
4Ho osservato anche che ogni fatica e tutta l'abilità messe in un lavoro non sono che invidia dell'uno con l'altro. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.

5Lo stolto incrocia le braccia
e divora la sua carne.
6Meglio una manciata con riposo
che due manciate con fatica.

7Inoltre ho considerato un'altra vanità sotto il sole:8uno è solo, senza eredi, non ha un figlio, non un fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è sazio di ricchezza: "Per chi mi affatico e mi privo dei beni?". Anche questo è vanità e un cattivo affannarsi.
9Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica.10Infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi.11Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi?12Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto.

13Meglio un ragazzo povero ma accorto,
che un re vecchio e stolto
che non sa ascoltare i consigli.

14Il ragazzo infatti può uscir di prigione ed esser proclamato re, anche se, mentre quegli regnava, è nato povero.15Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole, stare con quel ragazzo, il secondo, cioè l'usurpatore.16Era una folla immensa quella di cui egli era alla testa. Ma coloro che verranno dopo non avranno da rallegrarsi di lui. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.
17Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male.


Salmi 109

1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'

Dio della mia lode, non tacere,
2poiché contro di me si sono aperte
la bocca dell'empio e dell'uomo di frode;
parlano di me con lingua di menzogna.

3Mi investono con parole di odio,
mi combattono senza motivo.
4In cambio del mio amore mi muovono accuse,
mentre io sono in preghiera.
5Mi rendono male per bene
e odio in cambio di amore.

6Suscita un empio contro di lui
e un accusatore stia alla sua destra.
7Citato in giudizio, risulti colpevole
e il suo appello si risolva in condanna.
8Pochi siano i suoi giorni
e il suo posto l'occupi un altro.
9I suoi figli rimangano orfani
e vedova sua moglie.
10Vadano raminghi i suoi figli, mendicando,
siano espulsi dalle loro case in rovina.

11L'usuraio divori tutti i suoi averi
e gli estranei faccian preda del suo lavoro.
12Nessuno gli usi misericordia,
nessuno abbia pietà dei suoi orfani.
13La sua discendenza sia votata allo sterminio,
nella generazione che segue sia cancellato il suo nome.
14L'iniquità dei suoi padri sia ricordata al Signore,
il peccato di sua madre non sia mai cancellato.
15Siano davanti al Signore sempre
ed egli disperda dalla terra il loro ricordo.

16Perché ha rifiutato di usare misericordia
e ha perseguitato il misero e l'indigente,
per far morire chi è affranto di cuore.
17Ha amato la maledizione: ricada su di lui!
Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani!
18Si è avvolto di maledizione come di un mantello:
è penetrata come acqua nel suo intimo
e come olio nelle sue ossa.

19Sia per lui come vestito che lo avvolge,
come cintura che sempre lo cinge.
20Sia questa da parte del Signore
la ricompensa per chi mi accusa,
per chi dice male contro la mia vita.

21Ma tu, Signore Dio,
agisci con me secondo il tuo nome:
salvami, perché buona è la tua grazia.
22Io sono povero e infelice
e il mio cuore è ferito nell'intimo.
23Scompaio come l'ombra che declina,
sono sbattuto come una locusta.
24Le mie ginocchia vacillano per il digiuno,
il mio corpo è scarno e deperisce.
25Sono diventato loro oggetto di scherno,
quando mi vedono scuotono il capo.

26Aiutami, Signore mio Dio,
salvami per il tuo amore.
27Sappiano che qui c'è la tua mano:
tu, Signore, tu hai fatto questo.
28Maledicano essi, ma tu benedicimi;
insorgano quelli e arrossiscano,
ma il tuo servo sia nella gioia.
29Sia coperto di infamia chi mi accusa
e sia avvolto di vergogna come d'un mantello.

30Alta risuoni sulle mie labbra la lode del Signore,
lo esalterò in una grande assemblea;
31poiché si è messo alla destra del povero
per salvare dai giudici la sua vita.


Isaia 10

1Guai a coloro che fanno decreti iniqui
e scrivono in fretta sentenze oppressive,
2per negare la giustizia ai miseri
e per frodare del diritto i poveri del mio popolo,
per fare delle vedove la loro preda
e per spogliare gli orfani.
3Ma che farete nel giorno del castigo,
quando da lontano sopraggiungerà la rovina?
A chi ricorrerete per protezione?
Dove lascerete la vostra ricchezza?
4Non vi resterà che piegarvi tra i prigionieri
o cadere tra i morti.
Con tutto ciò non si calma la sua ira
e ancora la sua mano rimane stesa.

5Oh! Assiria, verga del mio furore,
bastone del mio sdegno.
6Contro una nazione empia io la mando
e la comando contro un popolo con cui sono in colleraperché lo saccheggi, lo depredi
e lo calpesti come fango di strada.
7Essa però non pensa così
e così non giudica il suo cuore,
ma vuole distruggere
e annientare non poche nazioni.
8Anzi dice: "Forse i miei capi non sono altrettanti re?
9Forse come Càrchemis non è anche Calne?
Come Arpad non è forse Amat?
Come Damasco non è forse Samaria?
10Come la mia mano ha raggiunto quei regni degli idoli,
le cui statue erano più numerose
di quelle di Gerusalemme e di Samaria,
11non posso io forse, come ho fatto
a Samaria e ai suoi idoli,
fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?".

12Quando il Signore avrà terminato tutta l'opera sua sul monte Sion e a Gerusalemme, punirà l'operato orgoglioso della mente del re di Assiria e ciò di cui si gloria l'alterigia dei suoi occhi.
13Poiché ha detto:

"Con la forza della mia mano ho agito
e con la mia sapienza, perché sono intelligente;
ho rimosso i confini dei popoli
e ho saccheggiato i loro tesori,
ho abbattuto come un gigante
coloro che sedevano sul trono.
14La mia mano, come in un nido, ha scovato
la ricchezza dei popoli.
Come si raccolgono le uova abbandonate,
così ho raccolto tutta la terra;
non vi fu battito d'ala,
nessuno apriva il becco o pigolava".
15Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo
o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia?
Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna
e una verga sollevare ciò che non è di legno!
16Perciò il Signore, Dio degli eserciti,
manderà una peste contro le sue più valide milizie;
sotto ciò che è sua gloria arderà un bruciore
come bruciore di fuoco;
17La luce di Israele diventerà un fuoco,
il suo santuario una fiamma;
essa divorerà e consumerà rovi
e pruni in un giorno,
18besso consumerà anima e corpo
e sarà come un malato che sta spegnendosi.
18ala magnificenza della sua selva e del suo giardino;
19il resto degli alberi nella selva
si conterà facilmente,
persino un ragazzo potrebbe farne il conto.

20In quel giorno
il resto di Israele e i superstiti della casa di Giacobbe
non si appoggeranno più su chi li ha percossi,
ma si appoggeranno sul Signore,
sul Santo di Israele, con lealtà.
21Tornerà il resto,
il resto di Giacobbe, al Dio forte.
22Poiché anche se il tuo popolo, o Israele,
fosse come la sabbia del mare,
solo un suo resto ritornerà;
è decretato uno sterminio
che farà traboccare la giustizia,
23poiché un decreto di rovina
eseguirà il Signore, Dio degli eserciti,
su tutta la regione.

24Pertanto così dice il Signore, Dio degli eserciti: "Popolo mio, che abiti in Sion, non temere l'Assiria che ti percuote con la verga e alza il bastone contro di te come già l'Egitto.25Perché ancora un poco, ben poco, e il mio sdegno avrà fine; la mia ira li annienterà".26Contro di essa il Signore degli eserciti agiterà il flagello, come quando colpì Madian sulla rupe dell'Oreb; alzerà la sua verga sul mare come fece con l'Egitto.

27In quel giorno
sarà tolto il suo fardello dalla tua spalla
e il suo giogo cesserà di pesare sul tuo collo.

Il distruttore viene da Rimmòn,
28raggiunge Aiàt, attraversa Migròn,
in Micmàs depone il bagaglio.
29Attraversano il passo;
in Gheba si accampano;
Rama trema,
fugge Gàbaa di Saul.
30Grida con tutta la tua voce, Bat-Gallìm,
sta' attenta, Làisa,
rispondile, Anatòt!
31Madmenà è in fuga,
e alla fuga si danno gli abitanti di Ghebim.
32Oggi stesso farà sosta a Nob,
agiterà la mano verso il monte della figlia di Sion,
verso il colle di Gerusalemme.
33Ecco il Signore, Dio degli eserciti,
che strappa i rami con fracasso;
le punte più alte sono troncate,
le cime sono abbattute.
34È reciso con il ferro il folto della selvae il Libano cade con la sua magnificenza.


Prima lettera ai Corinzi 11

1Fatevi miei imitatori, come io lo sono di Cristo.
2Vi lodo poi perché in ogni cosa vi ricordate di me e conservate le tradizioni così come ve le ho trasmesse.3Voglio però che sappiate che di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l'uomo, e capo di Cristo è Dio.4Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo.5Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata.6Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra.
7L'uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell'uomo.8E infatti non l'uomo deriva dalla donna, ma la donna dall'uomo;9né l'uomo fu creato per la donna, ma la donna per l'uomo.10Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza a motivo degli angeli.11Tuttavia, nel Signore, né la donna è senza l'uomo, né l'uomo è senza la donna;12come infatti la donna deriva dall'uomo, così l'uomo ha vita dalla donna; tutto poi proviene da Dio.13Giudicate voi stessi: è conveniente che una donna faccia preghiera a Dio col capo scoperto?14Non è forse la natura stessa a insegnarci che è indecoroso per l'uomo lasciarsi crescere i capelli,15mentre è una gloria per la donna lasciarseli crescere? La chioma le è stata data a guisa di velo.16Se poi qualcuno ha il gusto della contestazione, noi non abbiamo questa consuetudine e neanche le Chiese di Dio.

17E mentre vi do queste istruzioni, non posso lodarvi per il fatto che le vostre riunioni non si svolgono per il meglio, ma per il peggio.18Innanzi tutto sento dire che, quando vi radunate in assemblea, vi sono divisioni tra voi, e in parte lo credo.19È necessario infatti che avvengano divisioni tra voi, perché si manifestino quelli che sono i veri credenti in mezzo a voi.20Quando dunque vi radunate insieme, il vostro non è più un mangiare la cena del Signore.21Ciascuno infatti, quando partecipa alla cena, prende prima il proprio pasto e così uno ha fame, l'altro è ubriaco.22Non avete forse le vostre case per mangiare e per bere? O volete gettare il disprezzo sulla chiesa di Dio e far vergognare chi non ha niente? Che devo dirvi? Lodarvi? In questo non vi lodo!
23Io, infatti, ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane24e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: "Questo è il mio corpo, che è per voi; fate questo in memoria di me".25Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: "Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me".26Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e bevete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga.27Perciò chiunque in modo indegno mangia il pane o beve il calice del Signore, sarà reo del corpo e del sangue del Signore.28Ciascuno, pertanto, esamini se stesso e poi mangi di questo pane e beva di questo calice;29perché chi mangia e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria condanna.30È per questo che tra voi ci sono molti ammalati e infermi, e un buon numero sono morti.31Se però ci esaminassimo attentamente da noi stessi, non saremmo giudicati;32quando poi siamo giudicati dal Signore, veniamo ammoniti per non esser condannati insieme con questo mondo.
33Perciò, fratelli miei, quando vi radunate per la cena, aspettatevi gli uni gli altri.34E se qualcuno ha fame, mangi a casa, perché non vi raduniate a vostra condanna. Quanto alle altre cose, le sistemerò alla mia venuta.


Capitolo V: L'attento esame di se stessi

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1. Non possiamo fare troppo affidamento su noi stessi, perché spesso ci manca la grazia e la capacità di sentire rettamente. Scarsa è la luce che è in noi, e subitamente la perdiamo per la nostra negligenza. Spesso poi non ci accorgiamo neppure di essere così ciechi interiormente: facciamo il male e, cosa ancora peggiore, ci andiamo scusando. Talora siamo mossi dalla passione, e la prendiamo per zelo; rimproveriamo negli altri piccole cose e passiamo sopra a quelle più grosse, commesse da noi. Avvertiamo con prontezza, e pesiamo ben bene ciò che gli altri ci fanno soffrire, ma non ci accorgiamo di quanto gli altri soffrono per causa nostra. Chi riflettesse bene e a fondo su se stesso, non giudicherebbe severamente gli altri. L'uomo interiore, prima di occuparsi di altre cose, guarda dentro di sé; e, intento diligentemente a se stesso, è portato a tacere degli altri. Solamente se starai zitto sugli altri, guardando specialmente a te stesso, giungerai a una vera e devota interiorità.  

2. Se sarai tutto intento a te stesso e a Dio, ben poco ti scuoterà quello che sentirai dal di fuori. Sei forse da qualche parte, quando non sei presente in te? E se, dimenticando te stesso, tu avessi anche percorso il mondo intero, che giovamento ne avresti ricavato? Se vuoi avere pace e spirituale solidità, devi lasciar andare ogni cosa, e avere dinanzi agli occhi solamente te stesso. Grande sarà il tuo progresso se riuscirai a mantenerti libero da ogni preoccupazione terrena; se invece apprezzerai in qualche modo una qualsiasi cosa temporale, farai un gran passo indietro. Nulla per te sia grande, nulla eccelso, nulla gradito e caro, se non solamente Iddio, oppure cosa che venga da Dio. Considera vano ogni conforto che ti venga da qualsiasi creatura. L'anima che ama Dio disprezza tutto ciò che sia inferiore a Dio. Conforto dell'anima e vera letizia del cuore è soltanto Dio, l'eterno, l'incommensurabile, colui che riempie di sé l'universo.


LETTERA 43: L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta tra il 396 e l'inizio del 397.

L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles (n. 1-4). Si sofferma a lungo sul conciliabolo di Cartagine, sull'ostinazione dei Donatisti e sul loro appello all'imperatore (n. 5-14): equanimità di papa Melchiade e nefandezze di Lucilla e dei Circoncellioni (n. 15-27).

AGOSTINO AI DILETTISSIMI E STIMATISSIMI FRATELLI GLORIO, ELEUSIO, AI FELICI, A GRAMMATICO E A TUTTI GLI ALTRI CHE GRADISCONO QUESTA LETTERA

I destinatari sono stimati più ragionevoli degli altri Donatisti.

1. 1. Disse bensì l'apostolo Paolo: L'eretico, dopo una prima ammonizione scansalo, sapendo che una persona siffatta è pervertita ed è condannata da se stessa 1. Non sono però da iscrivere tra gli eretici coloro che difendono la loro opinione, per quanto falsa e perversa, senza ostinata animosità, specialmente quando essa non è frutto della loro audace presunzione, ma eredità ricevuta dai loro genitori sedotti e caduti nell'errore, mentre d'altra parte cercano, sia pure con cauta premura, la verità e son pronti a correggersi appena la trovino. Se dunque non vi ritenessi così disposti, forse non vi invierei nessuna lettera. Ma anche lo stesso eretico, per quanto gonfio della superbia più odiosa e forsennato per l'ostinata mania di questionare, da una parte siamo ammoniti di scansarlo, affinché non tragga in inganno i deboli e i piccoli, ma d'altra parte non rifiutiamo di correggerlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Ecco perché abbiamo inviato ad alcuni capi Donatisti non lettere di comunione, che essi da tempo si rifiutano di ricevere a causa del loro traviamento dalla unità cattolica sparsa su tutta la terra, ma solo lettere private, quali ci è lecito inviare pure ai pagani: anche se i capi qualche volta le hanno lette, tuttavia non han voluto o, come piuttosto crediamo, non han potuto rispondere. Noi però pensiamo d'avere in tal modo adempiuto il nostro dovere di carità, che lo Spirito Santo ci insegna essere obbligati ad usare non solo verso i nostri, ma verso tutti. Egli infatti per mezzo dell'Apostolo ci dice: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella carità vicendevole e verso tutti 2. In un altro passo esorta a riprendere con dolcezza quelli che la pensano diversamente da noi: caso mai - dice - Dio conceda loro di convertirsi alla conoscenza della verità e rinsaviscano dai lacci del demonio, da lui tenuti schiavi dei suo capriccio 3.

Volontà di pace e di bene.

1. 2. Ho voluto premettere queste considerazioni perché nessuno pensi che io vi abbia inviato una lettera mosso più da impudenza che da prudenza e che abbia voluto trattare in questo modo l'affare dell'anima vostra dal momento che non appartenete alla nostra comunione, mentre nessuno forse mi rimproverebbe se vi scrivessi per la faccenda di un podere o per dirimere una. lite sorta per motivo di denaro. Ecco fino a qual punto il mondo è caro agli uomini, mentre essi son diventati senza valore ai propri occhi. Questa lettera sarà quindi testimone a mio discarico nel giudizio di Dio, il quale sa con quale intenzione ho agito e che ha detto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio 4.

Inizio dello scisma donatista.

2. 3. Abbiate dunque la bontà di ricordarvi che, mentre mi trovavo nella vostra città e m'occupavo di alcune questioni relative alla comunione dell'unità cristiana, da esponenti del vostro partito furono esibiti i verbali degli Atti, da cui risultava che circa settanta vescovi avevano condannato Ceciliano, già vescovo cattolico della Chiesa di Cartagine, insieme coi suoi colleghi e quanti l'avevano consacrato. Lì pure fu discussa la causa di Felice di Aptungi come se la sua condotta fosse molto più odiosa e criminale di quella di tutti gli altri. Dopo la lettura di tutti gli Atti, rispondemmo che non c'era da meravigliarsi se gli autori di quello scisma avessero compilato degli Atti e reputato doveroso condannare, senza alcuna valida ragione e senza istruire regolare processo, persone contro le quali erano stati aizzati da persone gelose e scellerate. Tenete bene a mente che noi abbiamo altri Atti ecclesiastici, dai quali risulta che Secondo, vescovo di Tigisi, il quale allora esercitava le funzioni di primate della Numidia, lasciò a Dio il giudizio dei "traditori" lì presenti e rei confessi, e permise che rimanessero nelle sedi vescovili da essi occupate. I nomi di essi sono registrati nella lista di quelli che condannarono Ceciliano, in un altro concilio presieduto dallo stesso Secondo. Egli fu costretto a condannare come "traditori" alcuni vescovi assenti sulla base dei pareri espressi dagli stessi presenti, rei confessi e da lui perdonati.

I Donatisti condannati dai concili di Roma e di Arles.

2. 4. Noi poi dicemmo che poco dopo l'ordinazione di Maggiorino, che essi avevano elevato alla cattedra con nefanda scelleratezza contro Ceciliano, erigendo altare contro altare e portando la divisione nell'unità cristiana con furiose discordie, chiesero all'imperatore di quel tempo, Costantino, come giudici della vertenza altri vescovi, i quali, interponendosi come arbitri, decidessero con il loro verdetto le questioni sorte in Africa che spezzavano il vincolo della pace. Tale richiesta fu esaudita. Con sentenza di Melchiade (6-a), allora vescovo della città di Roma, e dei suoi colleghi di episcopato, mandati dall'Imperatore dietro preghiera dei Donatisti, non risultò alcuna prova a carico di Ceciliano presente al dibattito con tutti quelli che avevano passato il mare per accusarlo e perciò venne confermato nella sua sede vescovile, mentre fu riprovato Donato, suo avversario, anche lui presente. Dopo questi avvenimenti, persistendo tutti essi ostinati nello scelleratissimo scisma, il medesimo Imperatore fece esaminare più diligentemente e definire la medesima questione ad Arles. Essi però contro il verdetto ecclesiastico si appellarono al tribunale di Costantino. Dopo che si giunse alla corte, alla presenza delle due parti, Ceciliano fu giudicato innocente e quelli ne uscirono sconfitti, ma ciò nonostante rimasero nel loro errore. Non fu trascurata neppure la causa di Felice di Aptungi, ma egli pure uscì assolto negli Atti proconsolari in base a un'ordinanza del medesimo Imperatore.

Malafede del vescovo Secondo di Tigisi.

2. 5. Ma poiché tutti questi fatti ve li raccontavamo senza darvene lettura degli Atti processuali, vi parve senza dubbio che facessimo meno di quanto vi aspettavate dalla insistenza della nostra inchiesta. Appena ce ne accorgemmo, non perdemmo un minuto per mandare a cercare gli Atti da leggere come avevamo promesso. Corremmo a prenderli nella Chiesa di Gelizit, per tornare poi subito di là alla vostra città. Tutti gli Atti giunsero dopo nemmeno due giorni interi, e - come ben sapete - vi furono letti in un sol giorno, per quanto ce lo permise il tempo. Prima fu letto il verbale secondo cui Secondo, vescovo di Tigisi, non osò allontanare dal suo collegio episcopale dei "traditori" rei confessi, mentre poi con essi osò condannare Ceciliano, non confesso ed assente, insieme con altri suoi colleghi. Furono poi letti gli Atti proconsolari, in cui Felice, dopo accuratissimo esame, fu riconosciuto innocente. Vi ricordate che questi documenti vi furono letti prima di mezzogiorno? Il pomeriggio demmo lettura delle loro istanze a Costantino e degli Atti ecclesiastici compilati a Roma dopo l'assegnazione da lui fatta dei giudici, Atti coi quali quelli furono condannati, mentre Ceciliano fu confermato nella sua giurisdizione vescovile. Fu letta infine la lettera dell'imperatore Costantino, nella quale apparvero le prove più lampanti della verità delle nostre affermazioni.

Si tratta della salvezza eterna, non di beni terreni.

3. 6. Che volete di più, o signori, che volete di più? Non si tratta dell'oro o dell'argento vostro, non corrono pericolo la terra, i poderi, non infine la salute del vostro corpo; noi ci rivolgiamo alle vostre anime solo per richiamarvi sul dovere di conseguire la vita eterna e di fuggire la morte eterna. Svegliatevi una buona volta! Noi non trattiamo una questione oscura, non cerchiamo di scoprire segreti reconditi, a penetrare i quali non riesca alcuna intelligenza umana o solo qualche raro genio; la cosa è molto chiara. Che cosa balza fuori più chiara? Che cosa si scorge più presto? Affermiamo che furono condannati in un concilio temerario, per quanto si voglia numeroso, degli innocenti assenti. Proviamo ciò con gli Atti proconsolari, secondo la testimonianza dei quali fu giudicato immune da ogni colpa di "tradimento" colui che gli Atti del concilio presentati dai vostri avevano dichiarato la persona più infame. Affermiamo che da "traditori" confessi furono pronunziate sentenze contro quelli che da voi erano chiamati "traditori". Proviamo ciò con gli Atti ecclesiastici in cui sono designati per nome i vescovi dei quali Secondo di Tigisi s'indusse a condonare le colpe che avrebbe dovuto condannare, come se fosse messo a scopo di pace, mentre poi condannò, in combutta con quelli, dei vescovi per colpe non dimostrate, rompendo così la pace. Risultò così evidente che anche da principio non ebbe alcuna preoccupazione di mantenere la pace, ma solo d'evitare spiacevoli conseguenze personali. Infatti Purpurio, vescovo di Limate, gli aveva rinfacciato che Secondo, essendo detenuto agli arresti, era stato rilasciato dal capo dei decurioni e dal senato della città perché consegnasse le Sacre Scritture; era stato rilasciato - dico - certamente non senza un perché, ma per aver consegnato o per aver fatto consegnare qualcosa di sacro. Quello allora, temendo che si potesse provare assai facilmente che il sospetto fosse fondato, accolse il suggerimento di Secondo il giovane, suo consanguineo, e, consultatosi con tutti gli altri vescovi che erano con lui, aveva lasciato al giudizio di Dio colpe più che manifeste; ebbe così l'impressione d'aver provveduto al bene della pace, ma ciò era falsa, poiché aveva pensato solo ai propri interessi!

Iniquità dei processi Donatisti.

3. 7. Se infatti nel suo cuore fosse stata la preoccupazione della pace, non avrebbe condannato poi a Cartagine, in combutta coi "traditori" che presenti e confessi nel processo aveva rilasciato al giudizio di Dio, non avrebbe - dico - condannato come "traditori" vescovi assenti che nessuno aveva potuto dimostrare colpevoli presso di lui. Tanto più avrebbe dovuto egli temere che fosse violata la pace dell'unità, quanto più Cartagine era una città importante e illustre, da cui il male che vi fosse scaturito, si sarebbe diffuso come dalla testa in tutto il corpo dell'Africa. Cartagine era pure vicina ai paesi d'oltremare e celeberrima per la sua chiara fama: aveva quindi un vescovo di sì grande autorità, che poteva pure non considerare affatto la moltitudine dei nemici che avrebbero potuto cospirare contro di lui, dal momento che si vedeva unito per mezzo di lettere di comunione non solo alla Chiesa di Roma, in cui fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica, ma anche alle Chiese di tutte le altre regioni dalle quali il Vangelo è arrivato alla stessa Africa; bastava ch'egli fosse pronto a parlare in propria difesa, qualora i suoi avversari avessero tentato di alienargli quelle Chiese. Ceciliano non aveva voluto prendere parte all'adunanza dei colleghi, che capiva o sospettava o - a quanto essi asseriscono - fingeva di credere che fossero prevenuti dai suoi nemici contro l'imparzialità del suo processo. Se perciò Secondo avesse voluto essere difensore della vera pace, avrebbe dovuto tanto più guardarsi dal condannare vescovi assenti, che non avevano voluto affatto intervenire a quel processo. Non si trattava infatti di preti, di diaconi o chierici di grado inferiore, ma di colleghi nell'episcopato, i quali potevano usare il diritto di riservare l'intero loro processo al tribunale degli altri colleghi, specialmente delle Chiese apostoliche. Presso queste Chiese non avrebbero avuto alcun valore sentenze pronunciate contro di loro stessi assenti, dal momento che non si trovavano ad aver abbandonato in un secondo tempo un tribunale a cui fossero ricorsi in un primo tempo, mentre al contrario non avevano mai voluto ricorrervi, poiché ritenuto da loro sempre sospetto.

Perché si rifiuta il giudizio dei Vescovi trasmarini.

3. 8. Questo insieme di circostanze avrebbe dovuto recare preoccupazioni a Secondo, allora primate, se avesse presieduto il concilio con l'intenzione di preservare la pace; forse avrebbe potuto tappare quelle bocche rabbiose contro persone assenti, dopo averle placate o tenute a freno, se avesse detto: "Vedete, fratelli, come dopo la persecuzione, che s'è abbattuta così violenta, è stata concessa per misericordia di Dio la pace dai sovrani secolari; non dobbiamo essere ora noi, Cristiani e vescovi, a disprezzare l'unità crìstiana che il pagano ormai non perseguita più. Perciò, una delle due: o lasciamo a Dio giudicare tutte queste cause che il flagello di tempi assai turbolenti ha inflitte come tante ferite nel seno della Chiesa; oppure se vi sono tra voi persone che abbiano una conoscenza così esatta delle colpe di costoro, da poterne mettere al corrente l'autorità e confutare vittoriosamente chi le negasse, e hanno paura di essere in comunione con siffatte persone, si rechino dai nostri fratelli e colleghi, vescovi delle Chiese di là dal mare, e lì elevino prima le loro proteste per le azioni e la contumacia di essi, colpevoli d'essersi rifiutati di presentarsi al tribunale dei colleghi africani avendo la coscienza sporca, affinché poi si comunichi loro l'ordine di presentarsi e rispondere delle colpe loro attribuite. Qualora si rifiuteranno, apparirà chiara la loro falsità, e mediante una lettera circolare indicante la denuncia contro ciascuno di essi e inviata in tutte le parti della terra ovunque la Chiesa è già diffusa, saranno scomunicati da tutte le Chiese e per conseguenza si eviterà che qualche errore spunti nella cattedra della Chiesa di Cartagine. Solo quando costoro saranno stati scomunicati da tutta la Chiesa, ordineremo un altro vescovo per il popolo cristiano di Cartagine, senza dover paventare che le Chiese d'oltremare gli neghino la comunione, non considerando deposto dalla sua giurisdizione uno del quale si conosceva in precedenza l'ordinazione e che avrà potuto forse già ricevere lettere di comunione inviate dalle altre Chiese in virtù di quella fama. In caso contrario potrebbe nascere con grande scandalo uno scisma nella Chiesa di Cristo in tempi già tranquilli, se volessimo pronunciare le nostre sentenze in fretta e furia; e noi oseremmo alzare altare contro altare, se agissimo così non già contro Ceciliano, ma contro tutto il mondo che per ignoranza è unito in comunione con lui".

Illogico e stolto procedimento giudiziario.

3. 9. Che cosa avrebbe potuto fare qualcuno che avesse recalcitrato e si fosse rifiutato di attenersi a un suggerimento tanto ragionevole e giusto? Oppure, come avrebbe potuto condannare qualcuno dei colleghi assenti, senza poter disporre degli Atti del concilio e se il primate gli si fosse opposto? Quand'anche si fosse scatenata contro la sede primaziale una fazione di ribelli così forte per cui alcuni avessero già preteso condannare vescovi ch'egli avesse voluto rinviare a giudizio, quanto sarebbe stato meglio separarsi da tali vescovi, inquieti e desiderosi solo di seminare discordie, che mettersi in contrasto con la comunione di tutto il mondo! Non sussistevano però addebiti né contro Ceciliano né contro quanti l'avevano ordinato che si potessero provare in un tribunale d'oltre mare; ecco perché non vollero né rinviarlo a giudizio prima di pronunciare sentenze contro di lui né, dopo averle pronunciate, continuare ad agire in modo che il loro operato fosse portato a conoscenza della Chiesa d'oltre mare, la quale avrebbe dovuto evitare di rompere le relazioni di comunione coi "traditori" condannati in Africa. Se infatti avessero tentato di fare una simile cosa, Ceciliano e tutti gli altri accusati si sarebbero difesi e si sarebbero giustificati con un dibattito molto accurato contro i falsi calunniatori presso i giudici ecclesiastici d'oltre mare.

Concilio empio e scellerato dei Donatisti.

3. 10. Perverso e scellerato al sommo fu perciò quel concilio - come si può credere - dei "traditori", nel quale Secondo di Tigisi aveva perdonato a rei confessi. Siccome s'era sparsa lontano la voce che proprio essi avevano consegnato i Libri Sacri, cercarono di stornare da se stessi il sospetto di quella colpa gettando il discredito sugli altri: e siccome la gente per tutta l'Africa, dando credito ai vescovi, andava propalando false accuse contro personaggi innocenti, che cioè fossero stati condannati a Cartagine come "traditori", cercarono di restare nascosti come in una nube di calunnie proprio quelli che erano realmente "traditori". Vedete quindi, carissimi, che poté accadere ciò che alcuni dei vostri dicevano non essere verisimile, che cioé i "traditori" rei confessi, i quali avevano implorato ed ottenuto che la loro causa fosse lasciata al giudizio di Dio, si eressero poi a giudici per condannare come "traditori" degli assenti. Preferirono, insomma, cogliere l'occasione di coprire altri di false accuse e in tal modo stornare chiacchiere che la gente faceva sul loro conto e impedire che si esaminassero le proprie colpe. Se fosse possibile che nessuno condanni in altri le colpe da lui commesse, l'apostolo Paolo non direbbe a certuni: Per questo, o uomo, chiunque tu sia, che ti atteggi a giudice, sei senza scusa: poiché nell'atto di giudicare gli altri condanni te stesso facendo le medesime cose che giudichi 5. Proprio così fecero essi e perciò queste parole dell'Apostolo si confanno a pieno e a tutta ragione ad essi.

È illecito fare il processo della parte assente.

3. 11. Quando dunque Secondo lasciò al giudizio di Dio le colpe di quei vescovi, non prese affatto un provvedimento utile alla pace e all'unità; altrimenti a Cartagine avrebbe piuttosto preso precauzioni perché non si verificasse lo scisma, dal momento che non c'era alcun reo confesso al quale egli fosse costretto a perdonare, mentre il mezzo più facile per conservare la pace era quello di non lasciare condannare degli assenti. Si sarebbe quindi fatto un grave torto a degli innocenti, se si fossero volute perdonare delle colpe senza che fossero né provate né confessate e, comunque, d'imputati assenti. Poiché riceve il perdono solo chi risulta colpevole senza alcun dubbio. Quanto più inumani e ciechi furono perciò coloro i quali reputarono di poter condannare colpe che non avrebbero potuto neppur condonare perché non sottoposte ad inchiesta! Al contrario, da una parte furono rilasciate al giudizio di Dio colpe risultanti da inchiesta, dall'altra furono condannate colpe non esaminate in giudizio perché quelle altre rimanessero coperte. Ma si obietterà: "Le conoscevano, e come". Anche ammesso ciò, sarebbe stato certamente doveroso perdonare degli assenti: essi infatti non avevano abbandonato il tribunale, al quale non s'erano mai presentati, né la Chiesa era costituita da quei soli vescovi africani e quindi non poteva neppure sembrare che avessero voluto evitare il tribunale della Chiesa coloro che avevano rifiutato di presentarsi al loro tribunale. Non restavano forse migliaia di colleghi d'oltremare? Ebbene, era chiaro che potevano ben essere giudicati da costoro quei vescovi che - a quanto sembrava - consideravano sospetti i colleghi Africani o Numidi. V'è in proposito un passo della Sacra Scrittura, che proclama: Non biasimare alcuno prima d'averlo interrogato e, dopo averlo interrogato, riprendilo con giustizia 6. Se dunque lo Spirito Santo vuole che non si biasimi né si condanni alcuno se non dopo averlo interrogato, quanto più scellerata fu l'azione con cui furono non già biasimati o puniti, ma addirittura condannati dei vescovi che, per essere assenti, non poterono per nulla essere interrogati circa le loro colpe?

Giudizio iniquo contro l'innocente Felice di Aptunga.

3. 12. Costoro però affermano di aver condannato colpe riconosciute in regolare processo, ma le persone erano assenti dal loro tribunale che non avevano mai abbandonato in quanto non vi s'erano mai presentate, le quali anzi avevano sempre dichiarato che era loro sospetta quell'assemblea di giudici ostili; orbene, vi domando, cari fratelli, in che modo fecero l'inchiesta giudiziale? Voi risponderete: "Non lo sappiamo, dal momento che l'istruttoria non è menzionata negli Atti processuali pubblici". Ebbene, ve lo mostrerò io come fecero l'inchiesta. Considerate la causa di Felice d'Aptungi e anzitutto leggete quanto furono più accaniti contro di lui. Avevano dunque istruito il processo di tutti gli altri come quello di costui, il quale in seguito a un'inchiesta accurata e severa risultò in modo assai chiaro essere del tutto innocente. Con quanto maggior senso di giustizia, di sicurezza e quanto più presto dovremmo stimare innocenti coloro le cui colpe furono oggetto di biasimo più blando e condannate con una più lieve riprensione, dal momento che fu trovato innocente colui, contro il quale s'erano accaniti con molto maggiore violenza.

Ricorso all'autorità civile in cause ecclesiastiche.

4. 13. È dunque vero ciò che disse un tale e che vi dispiacque sentire, ma non si deve tacere? Orbene sentite cosa disse quel tale: "Un vescovo non doveva essere assolto dal tribunale del proconsole", come se egli se lo fosse scelto da sé e non fosse stato l'Imperatore a ordinare l'inchiesta, poiché spettava in modo speciale al suo ufficio un affare di cui deve rendere conto a Dio. Erano stati infatti i Donatisti a costituirlo arbitro e giudice della questione relativa alla consegna dei Libri Sacri e allo scisma, anzi erano stati essi a indirizzargli delle suppliche e poi ad appellarsi a lui; con tutto ciò non vollero accettare la sua sentenza. Se quindi è colpevole uno che viene assolto da un giudice terreno anche se l'ha scelto lui stesso, quanto più sono colpevoli quelli che vollero giudice della loro causa un sovrano terreno ? Se invece non è colpa appellarsi all'Imperatore, non è neppure colpa essere interrogati in giudizio dall'Imperatore e quindi nemmeno da colui al quale l'Imperatore delegò la causa. Quell'amico, volle pure fare biasimare che nel processo contro il vescovo Felice un tale fosse stato sospeso al cavalletto per essere pure torturato con gli uncini. Ma poteva forse Felice opporsi che l'inchiesta si svolgesse con tanta accuratezza e severità, dato che il giudice istruttore cercava attentamente d'arrivare alla conoscenza dei fatti? Cos'altro infatti avrebbe significato rifiutare una accurata inchiesta se non dichiararsi reo confesso? Cionondimeno il proconsole, neppure tra le terribili grida dei banditori e le mani insanguinate dei carnefici, avrebbe mai condannato un vescovo assente, che avesse rifiutato di presentarsi al suo tribunale qualora ne avesse avuto un altro da cui la sua difesa poteva essere ascoltata; se poi avesse emesso la condanna, avrebbe dovuto certamente scontare le pene giuste e meritate delle stesse leggi civili.

Incoerente condotta dei Donatisti.

5. 14. Se poi gli atti proconsolari non vi garbano, arrendetevi a quelli ecclesiastici. Vi sono stati letti per intero e punto per punto. Dunque Melchiade, vescovo della Chiesa di Roma, insieme coi vescovi d'oltre mare suoi colleghi, non avrebbe forse dovuto rivendicare il suo diritto di giudicare una causa già definita da settanta vescovi Africani, presieduti dal primate di Tigisi? E perché, dato che neppure lui aveva compiuto alcuna usurpazione? Infatti l'imperatore, essendone stato richiesto, mandò vescovi che sedessero in tribunale con lui e decidessero secondo giustizia in merito a tutta la questione. Vi proviamo ciò non solo con l'istanza dei Donatisti rivolta all'Imperatore, ma ancora con la sua risposta, e l'altra letta a voi - come ricordate - e che ora avete licenza d'esaminare e di copiare. Leggete e considerate attentamente ogni cosa. Rendetevi conto con quanta preoccupazione di conservare la pace e l'unità fu discussa ogni cosa, come fu trattata la persona degli accusatori e per quali macchie alcuni di loro furono ricusati come testimoni. Dalla parola dei presenti risultò chiaro che essi non avevano da lanciare nessuna accusa contro Ceciliano, ma vollero riversare tutta la colpa sulla plebaglia del partito di Maggiorino, cioè sopra una folla sediziosa e contraria all'unità della Chiesa, affinché naturalmente da quella folla fosse accusato Ceciliano: credevano insomma di poter piegare l'animo dei giudici al proprio volere solo a forza di schiamazzi capaci di provocare l'allarme, senza addurre per prova alcun documento, senza esaminare affatto la verità; come se una folla furibonda, ubriacata dalla bevanda dell'errore e della corruzione, potesse denunciare colpe reali contro Ceciliano, quando settanta vescovi, come risultò nel caso di Felice di Aptungi, condannarono con pazza temerità colleghi assenti e innocenti. Sicuro; essi volevano servirsi, per accusare Ceciliano, d'una folla simile a quella con cuì erano andati d'accordo nel pronunciare sentenze contro innocenti neppure interrogati. Ma ora non avevano certo trovato giudici tali da poterli indurre a simile demenza.

Biasimevole condotta di Donato.

5. 15. Prudenti qual siete, potete da voi stessi considerare documentati negli Atti ecclesiastici la malvagità di quelli e la probità dei giudici, come fino alla fine resistettero alle pressioni di far accusare Ceciliano dalla plebaglia di Maggiorino, la quale non aveva alcuna autorità: potete convincervi come da quelli invece erano stati ricercati o accusatori o testimoni o altri individui comunque necessari alla causa, i quali erano venuti con loro dall'Africa e come si spargeva la voce che s'erano presentati ma ch'erano stati allontanati da Donato. Il medesimo Donato aveva bensì promesso non una sola volta, ma spesso, di presentarli, ma dopo averlo promesso non volle più comparire davanti a quel tribunale, dove aveva confessato colpe sì numerose; rifiutando di comparire, dava a vedere di non volere essere presente alla sua condanna essendo state messe in evidenza, alla sua presenza e in base all'interrogatorio sostenuto, colpe meritevoli dì condanna. A ciò si aggiunge che da certe persone fu consegnato un libello di denuncia contro Ceciliano. Dopo questo fatto fu ripresa l'inchiesta per sapere quali persone avevano consegnato il libello, ma non si poté provare alcun addebito a carico di Ceciliano. Ma perché dirvi quanto avete già sentito dire e che potrete leggere ogni volta che lo vorrete?

Diverso modo di agire dei Vescovi Donatisti e del Papa.

5. 16. Vi ricordate quanto fu detto a proposito del numero dei settanta vescovi, quando se ne contrapponeva l'autorità ritenuta assai potente. Quei personaggi di specchiata probità preferirono tuttavia rinunciare a emettere una loro sentenza su infinite questioni tra loro intricate come in una specie di catena indissolubile, senza affatto preoccuparsi del numero dei vescovi o donde fossero stati raccolti. Essi non vedevano in quelle persone che dei ciechi tanto temerari da proferire sentenze avventate contro colleghi assenti e non interrogati. Quanto diversa invece è l'ultima sentenza pronunciata dallo stesso beato Melchiade, quanto incensurabile, quanto imparziale, quanto prudente e pacifica! In base ad essa non osò rimuovere dalla cattedra i colleghi a carico dei quali non era risultato nulla; biasimò con estrema severità il solo Donato, riconosciuto principale autore di tutto il male e lasciò gli altri liberi di riacquistare la guarigione dall'eresia. Era disposto pure a inviare le lettere di comunione perfino ai vescovi che risultavano ordinati da Maggiorino. In tal modo stabilì che in tutti i luoghi ov'erano due vescovi delle due parti fosse confermato quello ordinato in precedenza e all'altro fossero assegnati altri fedeli da governare. O uomo eminente, figlio della pace cristiana e padre del popolo cristiano! Paragonate ora il piccolo numero dei nostri vescovi con la moltitudine di quelli donatisti, mettendo a confronto non un numero con l'altro, ma l'autorità degli uni con quella di costoro: da quella parte la moderazione, da quest'altra la temerità; di là la cautela, di qua la cecità. Lì la mansuetudine non guastò l'imparzialità né l'imparzialità si oppose alla mansuetudine; qua invece non solo sotto il furore si nascondeva la paura, ma dalla paura era pure eccitato il furore. I nostri vescovi s'erano adunati per respingere le false colpe coll'indagine giudiziale di quelle vere, i vostri per nascondere le colpe vere col condannare quelle false.

Il denaro di Lucilla.

6. 17. E perché mai Ceciliano si sarebbe dovuto esporre a farsi ascoltare e giudicare dai Donatisti, dal momento che aveva altri giudici davanti ai quali poteva con tutta agevolezza provare la propria innocenza, qualora gli fosse stato intentato un processo? Non si sarebbe affatto posto nelle mani di quelli nemmeno se, essendo forestiero, fosse stato all'improvviso ordinato vescovo della Chiesa Cartaginese e avesse ignorato quanto potere aveva nel corrompere l'animo dei malvagi e degli inesperti una certa ricchissima Lucilla, ch'egli, ancora diacono, aveva offesa col riprenderla riguardo alla disciplina ecclesiastica. Non doveva mancare nemmeno questa sciagurata circostanza per portare a compimento l'iniquo piano dei Donatisti! Infatti in quel concilio, dove vescovi assenti e innocenti furono condannati da "traditori" rei confessi, erano in verità pochi coloro i quali desideravano coprire le loro colpe coll'infamare gli altri, affinché la gente, stornata da false dicerie, fosse distolta dal ricercare la verità. Pochi dunque erano coloro cui soprattutto stava a cuore questo affare, sebbene fossero i più autorevoli per la complicità dello stesso Secondo, che per paura aveva usato indulgenza verso di loro. Tutti gli altri invece furono comprati e istigati contro Ceciliano - a quanto si narra - soprattutto dal denaro di Lucilla. Esistono di ciò gli Atti presso il governatore Zenofilo; in essi si legge che un certo diacono Nundinario, degradato - a quanto si può capire dagli stessi Atti - da Silvano, vescovo di Cirta, avendo tentato invano di giustificarsi con lui mediante lettere di altri vescovi, nello sfogo dell'ira rivelò e denunziò pubblicamente in tribunale molti fatti, tra cui si legge ricordato come dei vescovi s'erano lasciati corrompere dal denaro di Lucilla, e così nella Chiesa di Cartagine, capitale dell'Africa, era stato eretto altare contro altare! So che questi Atti non ve li leggemmo, perché, come ricordate, ce ne mancò il tempo. In quel fatto influì anche il dispiacere proveniente dalla burbanzosa superbia ferita dal non aver essi ordinato il vescovo di Cartagine.

Perché Ceciliano non volle subire il giudizio dei Donatisti.

6. 18. Per tutte queste cause Ceciliano sapeva che in quella riunione i Donatisti erano andati non già da veri giudici, ma da nemici e corrotti. Quando mai sarebbe stato possibile ch'egli volesse o che il popolo al quale era a capo gli permettesse di abbandonare la sua Chiesa per andarsene in una casa privata ed essere sottoposto non a un'inchiesta di colleghi, ma per essere rovinato da un'assemblea di giudici ostili e faziosi o dal rancore d'una donna? Tanto più che vedeva bene come la propria causa poteva essere discussa in modo incensurabile e imparziale nella Chiesa d'oltremare, estranea a inimicizie private e indifferente all'una e all'altra delle due parti avverse. Se poi gli avversari non avessero voluto presentarsi come parte che promuove il giudizio, si sarebbero da se stessi tagliati fuori dalla santa comunione del mondo cattolico. Se invece avessero tentato di accusarlo, allora vi si sarebbe presentato e avrebbe difeso la propria innocenza contro le loro macchinazioni, come ricordate che in seguito avvenne. Essi invece reclamarono molto tardi il giudizio d'oltremare quand'erano già colpevoli di scisma, già macchiati dall'orribile colpa d'aver alzato altare contro altare. Lo avrebbero fatto certamente prima, se avessero potuto fare assegnamento sulla verità. Ma essi preferirono presentarsi a quel giudizio preceduti dalle false dicerie da essi sparse e che avevano preso una certa consistenza per un lungo lasso di tempo come se si trattasse di un'antica opinione pubblica che già avesse deciso in precedenza. Oppure - com'è più credibile - una volta condannato, a loro arbitrio, Ceciliano, si ritenevano quasi sicuri, confidando fin troppo nel proprio numero e non osando trattare una causa così ingiusta in un tribunale immune da corruzione ov'era possibile scoprire la verità.

Tutta la Chiesa rimaneva unita con Ceciliano.

7. 19. In seguito però i fatti stessi li convinsero che insieme con Ceciliano rimaneva tutta la Cristianità e lettere di comunione dalle Chiese d'oltremare erano inviate a lui ma non al vescovo da loro ampiamente ordinato; provarono allora vergogna di continuare a tacere; poiché si poteva sempre rimproverare ad essi perché mai permettevano che la Chiesa, sparsa fra tanti popoli, essendo all'oscuro della cosa, conservasse la comunione con vescovi condannati e perché mai da se stessi si tagliavano fuori dalla comunione della Chiesa sparsa nel mondo intero e senza colpa, mentre col loro tacere lasciavano che dal mondo cattolico non si mantenessero rapporti di comunione col vescovo da essi ordinato per i fedeli di Cartagine. Scelsero quindi - come si dice - di fare il doppio gioco nel processo a Ceciliano presso la Chiesa d'oltremare, pronti all'una o all'altra evenienza: se cioè fossero riusciti a sopraffarlo ingannando comunque i giudici con false accuse, avrebbero potuto appagare pienamente la bramosia della vendetta; se invece non ci fossero riusciti, avrebbero perseverato nella medesima perversità e avrebbero potuto sempre dire d'essere stati vittime di giudici malvagi. Questa è la scusa di tutti i litiganti in mala fede, quando vengono soverchiati dalla verità anche più lampante; come se non si potesse loro rispondere a questo proposito: "Ecco, ammesso pure che non fossero onesti i giudici che pronunciarono la sentenza a Roma, rimaneva sempre il concilio plenario della Chiesa universale, ove si poteva intentare causa pure agli stessi giudici; in tal modo, se fosse stato dimostrato che avevano esercitato disonestamente l'ufficio di giudici, le loro sentenze sarebbero venute a perdere ogni forza". Dimostrino quindi loro se agirono in tal modo; noi dimostriamo facilmente che ciò non è stato fatto per il semplice motivo che tutto il mondo rifiuta d'essere in comunione con loro; ma anche dato e non concesso che sia stato fatto, anche in questo caso son sconfitti come lo dimostra chiaramente lo stesso loro scisma.

Condanna dei Donatisti al Concilio di Arles.

7. 20. Che cosa però fecero in seguito, risulta più che evidente dalla lettera dell'Imperatore. Essi accusarono di aver giudicato contro giustizia e osarono citare al tribunale non già di altri colleghi, ma dell'Imperatore, quei giudici ecclesiastici, che erano vescovi di grande autorità e che avevano proclamato da una parte l'innocenza di Ceciliano e dall'altra la loro ribalderia. L'Imperatore allora concesse loro di presentarsi al concilio di Arles, formato naturalmente da giudici diversi dai precedenti, non perché tale precauzione fosse necessaria, ma cedendo alle loro malvage pretese e solo mosso dal desiderio di reprimere del tutto la loro insopportabile spudoratezza. L'Imperatore cristiano non osò accogliere le loro sediziose e bugiarde querele né volle giudicare personalmente l'operato dei vescovi che avevano pronunciato il verdetto nel tribunale romano, ma concesse loro di ricorrere - come ho detto - ad altri vescovi: dal verdetto di questi però essi preferirono appellarsi di nuovo all'Imperatore, e avete sentito a tale proposito com'egli li respingesse. Oh, se almeno dopo la sua sentenza avessero posto fine alle loro pazzesche animosità e si fossero arresi una buona volta alla verità com'egli s'era arreso ai loro desideri facendo riesaminare la causa dopo ch'era stata giudicata da vescovi intemerati; egli avrebbe chiesto poi loro scusa, purché intanto i Donatisti non avessero altre obiezioni da accampare qualora non si fossero sottomessi al suo verdetto, al verdetto di colui cioè al quale essi stessi avevano appellato! Egli infatti diede ordine che le parti si presentassero davanti a lui a Roma per trattare la causa. Poiché Ceciliano, non so perché, non si era presentato, l'Imperatore ordinò, dietro loro richiesta, che lo seguissero a Milano. Allora alcuni di essi cominciarono a tirarsi indietro, sdegnati probabilmente che Costantino non li aveva imitati nel condannare in fretta e furia Ceciliano. Saputo ciò, il prudente Imperatore fece scortare gli altri fino a Milano da guardie giudiziarie. Giunse poi pure Ceciliano ed anche lui fu loro presentato come risulta dal suo rescritto; istruito quindi il processo con la diligenza, la cautela e la prudenza che traspare nella sua lettera, giudicò Ceciliano del tutto innocente e i Donatisti come dei veri ribaldi.

Calunnie dei Donatisti contro i Cattolici.

8. 21. Essi infatti ancora battezzano fuori della Chiesa e, se potessero, ribattezzerebbero tutta quanta la Chiesa! offrono il divin sacrificio pur persistendo nella discordia e nello scisma e rivolgono il saluto della pace ai fedeli ch'essi scacciano dalla pace della salvezza! Si lacera l'unità di Cristo; si bestemmia l'eredità di Cristo; si respinge con disprezzo il battesimo di Cristo ma non vogliono essere puniti con castighi temporali comminati dalle ordinarie autorità umane per evitar loro la sciagura che siano destinati alle pene eterne, dovute alle loro molteplici empietà! Per parte nostra noi rinfacciamo loro l'eresia dello scisma, la pazzia di ripetere il battesimo, la scellerata separazione dall'eredità di Cristo, sparsa tra tutte le genti. Basandoci sui libri sacri non solo nostri ma anche loro, citiamo le chiese delle quali ancor oggi leggono i nomi, colle quali però non hanno più legami di comunione; quando quei nomi vengono letti nelle loro assemblee, ai loro lettori dicono: "La pace sia con te", ma non hanno la pace con gli stessi fedeli ai quali quelle lettere furono scritte. Essi inoltre ci rinfacciano o false colpe di defunti o forse vere ma di altri, senza capire che essi sono tutti colpevoli dei fatti che loro rinfacciamo, mentre quelle che rinfacciano a noi sono colpe di quanti fra noi sono simboleggiati nella paglia e nella zizzania della messe del Signore, ma la colpa non può cadere nel frumento; essi infine non considerano che solo coloro i quali approvano i malvagi, sono in comunione coi malvagi, anche se rimangono nell'unità della Chiesa; coloro invece che non approvano i malvagi ch'essi non possono correggere, non osando però sradicare la zizzania prima della mietitura per non sradicare insieme pure il frumento 7, non sono conniventi con le loro azioni ma comunicano solo con l'altare di Cristo. In tal modo non solo non vengono macchiati da essi, ma meritano pure d'essere lodati ed esaltati dalle parole di Dio, per il motivo che essi, affinché non venga bestemmiato il nome di Cristo per causa degli orribili scismi, tollerano per il bene dell'unità il male che riprovano per il bene dell'equità.

Antiche personali colpe rinfacciate dai Donatisti a tutti i Cattolici!

8. 22. Se hanno orecchie, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle Chiese 8. Così, infatti, si legge nell'Apocalisse di Giovanni: All'angelo della Chiesa d'Efeso, scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. Conosco le tue azioni, le tue fatiche e la tua pazienza, so che non puoi sopportare i malvagi e mettesti alla prova coloro che si dicono ma non sono apostoli e li trovasti bugiardi e li sopportasti per il mio nome e non ti sei stancato 9. Se volesse che queste parole si debbano intendere dell'angelo dei cieli superiori e non dei capi delle Chiese, nelle frasi seguenti non direbbe: Ma ho da rimproverarti perché non hai mantenuto la tua primitiva carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e ravvediti e torna a compiere le opere di prima, altrimenti io verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto se non ti ravvedrai 10. Tali espressioni non possono essere rivolte agli angeli del cielo, i quali conservano sempre la carità; quelli che da essa s'allontanarono e decaddero, sono il diavolo e i suoi angeli 11. Chiama quindi primitiva carità quella con cui sopportò i falsi apostoli per il nome di Cristo e gli comanda di ricuperarla e di tornare a compiere le opere di prima. A noi invece voi rinfacciate colpe commesse da persone malvage, colpe non nostre ma di altri e per di più in parte a noi ignote; anche se le vedessimo veramente sotto i nostri occhi e le tollerassimo per l'unità perdonando alla zizzania onde non recar danno al frumento, ci proclamerebbe non solo degni di nessun rimprovero, ma anche di non piccola lode chiunque non fosse sordo di mente alle parole della Sacra Scrittura.

Esempi di tolleranza religiosa nella Sacra Scrittura.

8. 23. Aronne tollera il popolo che reclama l'idolo, lo costruisce e l'adora 12. Mosè tollera tante migliaia di persone mormoranti contro Dio e tante volte offendenti il suo santo nome 13. David tollera il suo persecutore Saul, ch'era stato spinto dai suoi scellerati costumi ad abbandonare le cose celesti e a scrutare i misteri infernali per mezzo delle arti magiche; eppure quando fu ucciso egli lo vendicò e lo chiamò pure Cristo del Signore a causa del rito sacro con cui era stato consacrato re 14. Samuele tollera i ribaldi figli di Eli e i propri figli perversi; ma il popolo, ripreso dalla divina verità per non averli voluti sopportare, fu castigato dalla divina severità. Tollera infine lo stesso popolo superbo e dispregiatore di Dio 15. Isaia tollera coloro che avevano tante vere colpe da lui prese di mira con tanti strali. Geremia tollera coloro da parte dei quali soffre tante persecuzioni. Zaccaria tollera Farisei e scribi, quali la Sacra Scrittura ci attesta erano in quel tempo. So d'aver omesso molti personaggi; coloro che lo desiderano e lo possono, leggano i Libri della Sacra Scrittura e troveranno che tutti i santi, servi e amici di Dio, ebbero sempre persone da tollerare nel loro popolo; ma tuttavia comunicando con essi nella celebrazione dei riti sacri di quel tempo non solo non si macchiavano, ma erano lodevoli nel sopportarli, studiandosi di conservare, come dice l'Apostolo, l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 16. Riflettano pure che dopo la venuta del Signore si troverebbero molto più numerosi esempi di tale tolleranza per tutto il mondo, se fosse stato possibile riferirli per iscritto nella Sacra Scrittura; tuttavia ponete attenzione a quelli accennati e che si trovano in essa. Lo stesso Signore tollera Giuda, quel vero demonio, quel ladro che lo vendette, e lascia che riceva, mescolato tra discepoli incensurabili, ciò che i fedeli sanno essere il prezzo del nostro riscatto. Gli Apostoli tollerano dei falsi apostoli e Paolo passa la vita con una lodevolissima tolleranza tra chi va in cerca dei propri interessi e non di quelli di Cristo, mentre egli ricerca non il proprio interesse ma quello di Cristo. Infine, come ho ricordato poc'anzi, dalla voce di Dio viene lodato sotto il termine di "Angelo" il capo della Chiesa perché, pur detestando i malvagi, tuttavia li tollerò per il nome del Signore dopo averli messi alla prova e averli riscontrati bugiardi.

Gesta criminose dei Circoncellioni.

8. 24. Ma perché non interrogano se stessi? Non tollerano forse essi le stragi e gl'incendi dei Circoncellioni, quelli che venerano i cadaveri di quanti si uccidono da sé precipitandosi nei precipizi e per tanti anni i gemiti di tutta l'Africa sotto le incredibili vessazioni del solo Ottato? Non voglio denunciare le dominazioni tiranniche delle singole regioni, città e borgate dell'Africa e gli attacchi briganteschi fatti alla luce del sole. Preferisco che questi misfatti ve li diciate tra voi o all'orecchio o in pubblico, come vi piacerà. Poiché dovunque rivolgerete lo sguardo, vi si presenterà ciò che dico, o meglio, quel che non dico. Ma non per questo accusiamo gli individui da voi amati, poiché non li biasimiamo per il fatto che tollerano i malvagi, ma perché sono intollerabilmente malvagi a causa dello scisma, dell'altare contro l'altare, per essere separati dall'eredità di Cristo diffusa in tutto il mondo come è stato promesso tanto tempo prima 17. Deploriamo e piangiamo la pace violata, l'unità lacerata, i battesimi reiterati, i sacramenti cancellati, mentre essi sono santi pure nelle persone scellerate. Se fanno poco conto di ciò, considerino gli esempi che dimostrano qual conto ne fece Dio. Quelli che fabbricarono l'idolo furon tolti di mezzo con la consueta morte di spada 18; invece i capi di quelli che vollero fare la sedizione furono inghiottiti dalla terra spalancatasi, mentre la folla consenziente fu consumata dal fuoco 19. Dalla diversità dei castighi si riconosce la diversità delle colpe.

Chi è fuori dell'eredità di Cristo, non è della famiglia di Dio.

9. 25. Durante la persecuzione vengon consegnati i Libri Santi; orbene, coloro che li consegnarono confessano e sono lasciati al giudizio di Dio! Degli innocenti invece non vengono neppure interrogati e tuttavia vengono condannati da giudici temerari! Con prove lampanti vien riconosciuto innocente da un'assemblea di giudici fidati e informati colui che era stato incriminato molto più gravemente degli altri tra quelli condannati pur essendo assenti. L'assemblea giudicante dei vescovi si appella all'Imperatore: si sceglie come giudice l'Imperatore; ebbene l'Imperatore è disprezzato quando emette il suo giudizio! I fatti avvenuti li avete letti, i fatti che avvengono adesso li vedete; se avete qualche dubbio a proposito di quelli, osservate bene questi altri. Non stiamo a discutere appellandoci a libri antichi, agli archivi pubblici, agli Atti dei processi giudiziari o ecclesiastici. Il nostro libro più grande è il mondo intero; in esso leggo avverato ciò che nel libro di Dio leggo annunziato: Il Signore - dice - mi ha detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato; chiedimi e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini della terra 20. Chi non comunica con questa eredità, sappia che è escluso dall'eredità, qualunque altro libro egli possegga. Chi attacca questa eredità, dà segno di essere estraneo alla famiglia di Dio. Certo: la questione si aggira sulla consegna dei Libri divini nei quali quest'eredità è stata promessa. Va bene; allora deve reputarsi come uno che consegnò alle fiamme il testamento, chi si mette in lite contro la volontà del testatore. Qual torto mai t'ha fatto, o setta di Donato, la Chiesa di Corinto? Quanto dico di questa Chiesa, voglio che s'intenda di tutte le altre tanto lontane come essa. Qual torto vi hanno fatto le Chiese che non potevano in alcun modo sapere né quel che avete fatto, né chi avete infamati? Ha forse il mondo perduto la luce di Cristo per il fatto che una Lucilla fu offesa da Ceciliano in un angolo dell'Africa?

Concilio Donatista dovuto alla mente di Lucilla.

9. 26. Infine comprendano che cosa fecero: a ragione dopo un certo spazio di tempo la loro azione è rimbalzata contro i loro occhi. Domandate per causa di qual donna Massimiano, che si dice essere parente di Donato, si staccasse dalla comunione di Primiano e come, da una assemblea di vescovi della sua fazione, fece condannare Primiano e si fece ordinare vescovo in opposizione a lui; domandate in qual modo Maggiorino da un'altra assemblea di vescovi, suoi partigiani, radunati per mezzo di Lucilla, fece condannare Ceciliano assente e in opposizione a questo fu ordinato vescovo. Dunque, volete forse ritenere valido il processo con cui Primiano fu discolpato contro la fazione di Massimiano, e non volete ritenere valido il processo con cui fu discolpato Ceciliano dai vescovi dell'unica Chiesa contro la fazione di Maggiorino? Vi domando forse, fratelli, vi chiedo forse qualcosa di straordinario, vi chiedo forse di capire qualcosa di difficile? Tra la Chiesa d'Africa e tutte le altre Chiese del mondo corre un'enorme distanza; se poi si paragona con le altre, sia per l'autorità sia per il numero dei fedeli, essa è incomparabilmente inferiore a tutte; ma anche supponendo che nella Chiesa d'Africa risiedesse l'unità, se però venisse paragonata e tutte le altre comunità cristiane del mondo, sarebbe di gran lunga più piccola, ancora più piccola della setta di Massimiano paragonata alla setta di Primiano. Ma io vi domando solo, e mi pare sia giusto, che il concilio di Secondo di Tigisi, riunito dagli intrighi di Lucilla contro Ceciliano assente, contro le Chiese apostoliche e contro tutto il mondo unito nella comunione con Ceciliano, valga almeno quanto vale il concilio dei Massimianisti, esso pure riunito dagli intrighi di non so quale donna contro l'assente Primiano e contro tutti gli altri fedeli donatisti dell'Africa uniti in comunione con Primiano. Cosa può esservi più chiaro a capirsi di ciò? Cos'altro di più giusto vi si chiede?

"Nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio".

9. 27. Tutto ciò che vi ho detto, voi lo vedete, oltre che saperlo e addolorarvene; ma anche Dio vede che nulla vi costringe a rimanere in codesto pestifero e sacrilego scisma, purché allo scopo d'acquistare il regno spirituale superiate l'affetto carnale e non esitiate a disgustare le amicizie umane, che nel giudizio di Dio non gioveranno a nulla, per evitare le pene eterne. Ebbene andate: domandate e sappiate che cosa possono rispondere a queste nostre contestazioni: se esibiscono documenti scritti, li esibiamo pure noi; se affermano che i nostri sono falsi, non si sdegnino se diciamo altrettanto dei loro. Nessuno cancella dal cielo il decreto di Dio, nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio: egli le promise il mondo intero, essa ha riempito il mondo intero: ha in sé tanto i buoni che i malvagi, ma sulla terra non perde se non i malvagi e in cielo non fa entrare se non i buoni. Questo discorso che per grazia di Dio (egli lo sa bene) scaturisce dall'immenso amore per la pace e per voi, sarà per voi solo un ammonimento se lo vorrete, ma un documento anche se non lo vorrete.


 

1 - Tt 3, 10.

2 - 1 Ts 3, 12.

3 - 2 Tm 2, 26.

4 - Mt 5, 9.

5 - Rm 2, 1.

6 - Qo 11, 7.

7 - Mt 13, 24-30.

8 - Ap 2, 7 11 17; 3, 6 13.

9 - Ap 2, 1-3.

10 - Ap 2, 4-5.

11 - Mt 25, 41; Ap 12, 9.

12 - Es 32, 1-6.

13 - Es 14, 11; 15, 24; 16, 2 8; 17, 2 s.; Nm 14, 2; 16, 41.

14 - 1 Sam 28, 7-20.

15 - 1 Sam 2, 27 ss.; 3, 21b; 8, 1-5; passim.

16 - Ef 4, 3.

17 - Sal 2, 8.

18 - Es 32, 1-28.

19 - Nm 16, 1-35; 41, 49.

20 - Sal 2, 7 8.


1 - Maria santissima parte con Giovanni per Efeso e lì viene visitata da Giacomo.

La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda

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365. Appena la Signora , di nuovo nel suo oratorio, fu scesa dalla nube sulla quale era stata trasportata ed ebbe toccato il suolo, si prostrò ad abbracciare la polvere allo scopo di magnificare l'Onnipotente per quanto la sua destra aveva prodigiosamente operato in quella circostanza a vantaggio di lei stessa, di Giacomo e del regno in cui si era recata. Considerando con la sua ineffabile semplicità che, mentre ancora ella viveva nella carne mortale, si stava costruendo un tempio a lei intitolato perché vi fosse invocata, si annientò a tal punto nella stima di sé al suo cospetto che pareva si fosse completamente dimenticata di essere sua vera madre, creatura impeccabile e infinitamente superiore in santità a tutti i supremi serafini. Si abbassò e apprezzò questi benefici come se fosse stata un vermiciattolo e l'essere più insignificante e peccatore, giudicando che, con un simile debito, doveva sollevarsi al di sopra di se stessa a gradi di perfezione più eminente. Tanto decise e tanto fece, giungendo con la sua sapienza e modestia fin dove la nostra capacità non può innalzarsi.

366. Per quattro giorni ella spese la maggior parte del tempo in questo, come anche nel pregare con fervore per la difesa e la crescita della Chiesa, mentre Giovanni preparava quanto era necessario al percorso e all'imbarco per Efeso. Quindi, il cinque gennaio dell'anno quarantesimo dall'incarnazione, egli la avvisò che era ormai il momento di andare perché tutto era stato disposto. La Maestra dell'obbedienza si inginocchiò senza replica né indugio, chiese al Signore licenza di uscire dalla città e subito si congedò dal padrone della casa e dagli altri che vi dimoravano. Si può facilmente immaginare il dolore che essi dovettero provare, dato che, legati a lei e costretti ad esserle affezionati con ossequio per la sua dolcissima conversazione e per i favori della sua generosità, in un istante restavano senza consolazione e senza il ricchissimo tesoro del cielo nel quale trovavano tanti beni. Si offrirono di seguirla e, poiché non era conveniente, la supplicarono tra le lacrime di affrettare il rientro e di non separarsi definitivamente da quella abitazione, della quale già da molto era in possesso. Ella gradì queste pie e caritatevoli profferte, lo esternò con umili e riconoscenti dimostrazioni e, dando speranza del suo ritorno, mitigò la loro sofferenza.

367. Domandò, poi, all'Apostolo il permesso di visitare i luoghi santi, adorando colui che li aveva consacrati con la sua presenza e con il suo prezioso sangue; lo fece con straordinaria devozione e nel pianto, insieme a lui, che con il sommo conforto che ricevette standole accanto esercitò eroici atti di virtù. La beatissima Vergine vide presso ciascuno di essi l'angelo che lo difendeva e raccomandò ancora a tutti di resistere a Lucifero ed ai suoi, affinché non li distruggessero o profanassero, come desideravano e avrebbero tentato di fare per mezzo dei giudei. Per questo li avvertì di sventare con le loro ispirazioni i pensieri malvagi e le suggestioni diaboliche con cui il drago procura di indurre gli uomini a cancellare la memoria di Cristo, e li incaricò di ciò per tutti i secoli, perché tale rabbia sarebbe durata per sempre. Essi eseguirono tutto quello che ordinò loro.

368. Quindi ella, genuflessa, si fece benedire per dare inizio al viaggio, come soleva fare con suo Figlio, perché nei confronti del discepolo amato, da lui lasciatole in sua vece, fu sempre docile e sottomessa. Molti credenti di Gerusalemme le presentarono denaro, doni e cocchi per il tragitto da lì alla costa, come anche tutto l'occorrente fino all'arrivo. La prudente Regina della povertà, però, manifestando dimessamente gratitudine, soddisfece tutti senza prendere nulla e si diresse al porto su un asinello. Il ricordo degli spostamenti fatti in passato con Gesù e Giuseppe e l'ardore per l'Altissimo, che la obbligava come allora a peregrinare, risvegliavano nel suo cuore teneri e riverenti sentimenti. Per essere ineccepibile in tutto, si rimise un'altra volta alla volontà di Dio, accettando, per la sua gloria e per l'esaltazione del suo nome, la pena di essere priva della vicinanza del suo Unigenito e del suo sposo, mentre in molte occasioni ne aveva goduto con abbondante sollievo, nonché di perdere la quiete del cenacolo, posti così venerabili e la compagnia di tanti bravi fedeli; poi, lo lodò per aver messo al suo fianco l'Evangelista per assisterla nonostante tali assenze.

369. Per darle più sostegno e alleviamento, alla partenza le si resero visibili tutti i suoi custodi, che la circondarono. Con questa scorta e quella terrena del solo Giovanni camminò fino alla nave in procinto di salpare, intrattenendosi in continui e soavi colloqui e cantici con gli spiriti sovrani, e talora con il fortunato Apostolo, il quale, premuroso e sollecito, si prodigava per lei con mirabile riguardo in tutto quello che sapeva opportuno. Per tale atteggiamento, aveva verso di lui riconoscenza con inespri-

mibile umiltà, perché queste due qualità le facevano apparire i suoi servizi immensi e gratuiti, benché essi le fossero dovuti per tante cause.

370. Quando furono sulla riva, salirono a bordo con altri passeggeri. La Signora , che non era mai stata prima in mare in questo modo, penetrò con assoluta chiarezza il vastissimo Mediterraneo e la sua comunicazione con l'oceano: ne scrutò la profondità, l'estensione e la larghezza, le caverne nascoste e l'occulta disposizione, le sabbie e le miniere, i flussi e i riflussi, gli animali, le balene, le varietà di pesci piccoli e grossi e ciò che vi era racchiuso. Ebbe, poi, nozione di quante persone vi erano annegate ed erano perite solcandolo; si rammentò, dunque, della verità contenuta nel Siracide, cioè che i naviganti parlano dei suoi pericoli, e del passo del salmo in cui si afferma che sono mirabili l'elevarsi e la superbia delle sue tumide onde. Intese tutto questo, oltre che per concessione speciale del Salvatore, anche perché partecipava in grado sublime dei privilegi della natura angelica, come pure degli attributi divini, a imitazione e somiglianza dell'umanità santissima di lui. Con queste prerogative, non solo ella comprendeva ogni cosa quale è in se stessa e senza inganni, ma la sfera delle sue cognizioni sorpassava quella degli esseri celesti.

371. Quando dinanzi alle sue facoltà e alla sua sapienza si aprì quell'ampia prospettiva, in cui riverberava come in uno specchio nitidissimo la grandezza di Dio, sollevò il suo spirito con ardentissimo volo fino a lui, che tanto risplende nelle sue meravigliose opere, magnificandolo in tutte e per tutte. Provando compassione come madre pietosa per coloro che si abbandonano all'indomita forza dei flutti per attraversarli con enorme rischio, pregò ferventemente per loro sua Maestà di proteggerli se l'avessero supplicata chiedendo con devozione la sua intercessione e il suo patrocinio. Egli le accordò subito quello che domandava e si impegnò a favorire chi avesse avuto con sé qualche immagine di lei e nelle burrasche l'avesse invocata con affetto come stella del mare. Questa promessa permette di capire che, se i cattolici vanno incontro a incidenti e affogano, ciò accade perché essi ignorano tale soccorso o perché, per i propri peccati, meritano di non ricordarsene nelle tempeste e non la implorano con vera fede; infatti, la parola dell'Altissimo non può venire meno, né la Regina negherebbe il suo aiuto ai bisognosi e agli afflitti in grave difficoltà.

372. In questa circostanza avvenne ancora un fatto eccezionale. Quando Maria scorse i diversi animali acquatici, li benedisse e comandò loro di confessare e celebrare il proprio Creatore nella forma ad essi conveniente. Allora questi, docili, con incredibile velocità accorsero in una moltitudine innumerevole intorno all'imbarcazione, senza che ne mancasse alcuna specie; mostrarono le teste in superficie e, muovendosi e agitandosi in modo singolare e piacevole, si trattennero a lungo, per riconoscerla come signora, prestarle obbedienza, festeggiarla e in qualche maniera ringraziarla di essersi degnata di entrare nell'elemento in cui vivevano. Tutti coloro che erano lì si stupirono per questo prodigio mai visto, che dette motivo di riflessione e discussione perché tale quantità di pesci di disparate dimensioni, così stretti e accalcati, impediva di procedere; però, non ne colsero la ragione, tranne Giovanni, che per un bel po' non riuscì a frenare le lacrime per la gioia e poi invitò la dolce Vergine a dare loro licenza di andarsene, dato che l'avevano ascoltata tanto prontamente allorché li aveva esortati alla lode. Lo fece e immediatamente quella massa disparve, lasciando il mare calmo, sereno e assai limpido, per cui proseguirono il viaggio e in poche giornate giunsero alla meta.

373. Scesero a terra e anche qui ella compì delle azioni straordinarie, curando infermi e indemoniati, che in sua presenza restavano liberi all'istante. Non mi attardo ad esporle, perché occorrerebbero parecchi libri e più tempo se dovessi riportare tutto quanto faceva e i benefici del cielo che spargeva ovunque, come strumento e dispensatrice dell'onnipotenza divina. Riferisco solo quelle che sono necessarie per la Storia e che bastano per manifestare qualcosa di ciò che non si sa ancora dei suoi miracoli. Risiedevano ad Efeso dei credenti provenienti dalla Palestina, sebbene non molti, e avuta notizia dell'arrivo della Madre di Gesù si recarono a visitarla e ad offrirle le proprie case e sostanze. Ella, che non cercava né ostentazione né comodità mondane, scelse come alloggio l'abitazione di alcune donne ritirate e non ricche, che stavano sole, senza compagnia di uomini. Queste, per beneplacito del Signore, la misero a sua disposizione con carità e benevolenza e, dopo avere esaminato la costruzione con l'intervento degli angeli, assegnarono una camera notevolmente appartata a lei e un'altra all'Evangelista; essi vi rimasero finché stettero in tale città.

374. Maria beatissima espresse la sua gratitudine e subito andò nella sua stanza, dove, prostrata come al solito, adorò l'essere immutabile di Dio. Consegnandosi in sacrificio per servirlo in quel posto, disse: «Altissimo, con la vostra immensità riempite l'universo. Io, umile ancella, desidero eseguire perfettamente la vostra volontà in ogni occasione, luogo e momento in cui la vostra provvidenza mi porrà, perché siete tutto il mio bene e tutta la mia vita. Solo a voi si indirizzano i miei aneliti e sentimenti. Orientate i miei pensieri, le mie parole e le mie opere affinché vi compiacciano». La prudentissima Regina comprese che egli accoglieva questa preghiera e rispondeva con la sua virtù promettendole di assisterla e governarla sempre.

375. Continuò l'orazione intercedendo per la Chiesa e ordinando ciò che era sua intenzione fare per aiutare da lì i suoi membri. Chiamò i custodi e ne inviò alcuni a soccorrere i Dodici e i discepoli, che sapeva più provati dalle persecuzioni suscitate dai diavoli per mezzo degli infedeli. Ne mandò diversi anche a difendere Paolo dai pericoli che incombevano su di lui in Damasco, da dove in quei giorni egli fuggì perché i giudei gli davano la caccia come afferma nella seconda lettera ai corinzi raccontando che fu calato per il muro, e da quelli che Lucifero gli preparava sulla strada per Gerusalemme, che stava per percorrere; contro di lui, infatti, lo sdegno dell'inferno era più furente che contro gli altri apostoli. Di tale spostamento egli scrive ai galati, precisando che lo fece dopo tre anni, che non si devono calcolare dalla sua conversione, ma dal suo ritorno dall'Arabia. Lo si deduce anche dal testo, in cui, terminando di parlare di quest'ultimo, soggiunge subito che andò da Cefa; esso, altrimenti, resterebbe molto confuso.

376. Con più chiarezza lo si verifica in base al computo che si è fatto dalla lapidazione di Stefano e del trasferimento della Vergine. Il protomartire fu ucciso dopo il compimento del trentaquattresimo anno dalla nascita del Salvatore, contando dal Natale; se lo si fa dalla circoncisione, come si usa oggi, morì a sette giorni dalla fine di quell'anno, poiché tanti ne mancavano al primo gennaio. Paolo divenne cristiano il venticinque gennaio del trentasei e, se fosse giunto nella città santa dopo tre anni, vi avrebbe trovato Maria e Giovanni, ma egli stesso attesta che dei Dodici non vide nessun altro se non Giacomo di Alfeo, il Minore; certo, se essi fossero stati presenti, non avrebbe omesso di incontrarli, e così avrebbe nominato anche l'Evangelista. Ciò avvenne nel quaranta, dopo che erano già trascorsi completamente quattro anni da allora e poco più di un mese dalla partenza della Signora, mentre gli apostoli, eccetto i due che conobbe, erano già ciascuno nella propria provincia.

377. Secondo questo calcolo, egli spese il primo anno, o la maggior parte di esso, dirigendosi in Arabia e portandovi l'annuncio, e i tre successivi in Damasco. Perciò Luca, benché non narri quel primo viaggio, nel capitolo nono degli Atti comunica che, parecchi giorni dopo che aveva abbracciato la fede, gli abitanti di tale località fecero un complotto per ammazzarlo, intendendo con tale indicazione temporale i quattro anni che erano passati. Aggiunge immediatamente che, scoperte tali trame, i discepoli lo fecero discendere di notte dalle mura, e così egli arrivò a Gerusalemme. Sebbene qui fosse risaputa la trasformazione che si era realizzata in lui, c'era sempre timore riguardo alla sua perseveranza, essendo stato in precedenza un nemico tanto dichiarato del Redentore, e dunque la comunità ecclesiale al principio si guardava da lui. Allora Bàrnaba lo prese con sé e lo condusse presso Pietro, Giacomo e gli altri. Paolo, ai piedi del vicario di Cristo, glieli baciò domandandogli con fiumi di lacrime che lo perdonasse, poiché si era pentito dei suoi errori e peccati, e lo accettasse tra i suoi sudditi e tra i seguaci del suo Maestro, il cui nome desiderava diffondere fino a versare il proprio sangue.

378. Anche da questo sospetto si desume che la Regi na non fosse più lì, perché in caso contrario egli le si sarebbe presentato prima che ad alcun altro e sarebbe venuta meno ogni paura; inoltre, sarebbero state chieste informazioni direttamente a lei, che anzi nella sua prudenza avrebbe prevenuto ciò, premurosa ed attenta come era a dare consolazione. Dato che ella era in Efeso, non c'era chi potesse assicurare della sua costanza e della sua grazia, finché Pietro non le sperimentò vedendolo prostrato davanti a sé. A quel punto lo accolse con profondo gaudio suo e degli altri, che benedissero tutti con umiltà e fervore il Signore e disposero che egli uscisse fuori a proclamare il lieto messaggio, come in effetti fece con meraviglia di chi lo conosceva. Le sue parole erano dardi infuocati che penetravano i cuori di coloro che le udivano, lasciandoli attoniti; per questo, in due giorni l'intera città entrò in agitazione allo spargersi della notizia della conversione, che già si andava apprendendo per esperienza.

379. Satana e i suoi non dormivano in questa circostanza, nella quale, per loro più grande tormento, li risvegliò maggiormente il flagello dell'Onnipotente; all'ingresso dell'Apostolo in Gerusalemme, infatti, percepirono che la virtù divina operante in lui li opprimeva e rovinava. Essi, però, dal momento che la loro superbia e malizia non si estinguerà mai per l'eternità, appena sentirono contro di sé una forza tanto violenta, si irritarono ancor più nei suoi confronti. Il drago convocò con incredibile rabbia molte legioni dei suoi demoni, che esortò un'altra volta a farsi animo e a misurare in quell'impresa il vigore della loro malvagità per annientare Paolo, senza che restasse in tutto il mondo una sola pietra che non fosse smossa a tal fine. Quelli eseguirono senza indugio il piano concertato e inasprirono Erode e i giudei nei suoi confronti, approfittando del singolare zelo con cui egli cominciò a predicare.

380. La Madre era al corrente di tutto, non solo per la sua mirabile scienza, ma anche perché i custodi che aveva mandato a proteggerlo la avvisavano di quello che succedeva. Ella aveva previsto da un lato il sollevamento che costoro avrebbero provocato contro di lui e dall'altro l'importanza di conservarlo in vita per l'esaltazione dell'Altissimo e la propagazione della buona novella, ed inoltre sapeva che cosa lo minacciasse in tale frangente; quindi, ne ricevette nuova sollecitudine, che era ulteriormente accresciuta dalla distanza dalla Palestina, dove avrebbe potuto dare sostegno ai suoi più da vicino. Comunque, non trascurò di farlo anche da lì con l'efficacia delle incessanti suppliche che tra i gemiti moltiplicava senza sosta, e contemporaneamente prendendosi cura di essi in altri modi tramite il servizio degli angeli. Dio, per sollevarla, in seguito ad una di tali invocazioni le disse che l'avrebbe esaudita e avrebbe liberato il giovane dalle macchinazioni diaboliche. E così fu; questi, infatti, mentre stava pregando nel tempio, ebbe un'estasi straordinaria con sublimi illuminazioni e rivelazioni che lo resero giubilante, e gli fu comandato di allontanarsi prontamente per trovare riparo da quanti lo odiavano e non avrebbero tollerato la sua testimonianza.

381. Per questo motivo egli in quella occasione non si trattenne più di quindici giorni, come scrive ai galati; negli Atti si legge poi che dopo alcuni anni, ritornato da Mileto e da Efeso nella città santa, dove fu catturato, comunicò tale rapimento e l'ordine che gli era stato impartito. Riferì tutto al capo degli apostoli e, in considerazione del pericolo che correva, fu accompagnato in segreto a Cesarèa e quindi a Tarso, affinché evangelizzasse i gentili senza differenze. Di tutti questi eccelsi benefici Maria era lo strumento e la mediatrice, per intercessione della quale venivano elargiti dal suo Unigenito, e di ogni cosa aveva immediatamente cognizione, dando grazie da parte sua e della Chiesa.

382. Posto al sicuro Paolo, ella aveva fiducia che la Provvidenza avrebbe soccorso suo cugino Giacomo, per il quale aveva particolare preoccupazione e che era ancora a Saragozza, assistito dai cento spiriti celesti che a Granada gli aveva messo accanto perché lo difendessero; questi andavano e venivano dal suo cospetto con le domande del futuro martire e gli avvertimenti che gli dava, e in tale maniera egli fu informato del trasferimento di lei. Quando, poi, la cappella del Pilar fu sistemata convenientemente, la affidò al vescovo e ai discepoli che rimanevano in quella località, come anche in altre della Spagna. Fatto ciò, alcuni mesi dopo l'apparizione, partì da lì continuando a trasmettere il lieto annuncio. Giunto sulla costa della Catalogna, si imbarcò per l'Italia, dove presto proseguì il viaggio finché non salpò per l'Asia, ansioso di incontrare la Vergi ne, sua sovrana e suo rifugio.

383. Egli ottenne facilmente quello che bramava e poté prostrarsi ai piedi di colei che aveva partorito il suo Creatore, versando copiose lacrime di gioia e di venerazione. Con questi accesi sentimenti le espresse umilmente riconoscenza per gli incomparabili aiuti che per mezzo di lei gli erano stati concessi dalla divina destra nel corso della sua missione, nonché per le visite che ella gli aveva fatto e per quanto in esse gli aveva donato. La Maestra della modestia lo fece subito rialzare dichiarando: «Ricordate che voi siete unto del Signore, suo Cristo e suo ministro, e io un vile vermiciattolo»; proferendo ciò, si inginocchiò e gli chiese di benedirla come sacerdote. L'Apostolo si fermò per alcuni giorni, così che dette ragguaglio al fratello di quello che gli era accaduto ed ebbe con lei arcani colloqui, dei quali basta riportare i seguenti.

384. La prudentissima Regina per congedarlo gli disse: «Carissimo, vi resta ormai poco tempo. Siete consapevole di quanto profondamente vi ami nel mio Gesù e aspiri ad introdurvi nell'intimo della sua amicizia senza fine, per la quale egli vi ha plasmato, redento e chiamato; voglio manifestarvi adesso questo affetto e vi offro tutto quello che con l'ausilio del cielo potrò fare per voi come vera madre». A tanto ineffabile generosità Giacomo rispose con eccezionale riverenza: «Signora mia, che avete generato il mio Salvatore, vi ringrazio con tutta l'anima per questo nuovo favore, confacente alla vostra smisurata carità, ed imploro la vostra benedizione per andare al supplizio per lui. Se sarà suo beneplacito e a suo onore, vi scongiuro di non lasciarmi solo nel mio sacrificio e di mostrarvi ai miei occhi nel transito, in modo tale che mi possiate presentare a sua Maestà come ostia gradita».

385. Ella assicurò che si sarebbe rivolta all'Onnipotente e non avrebbe mancato di adempiere ciò se questi avesse disposto così a sua gloria. Con tale speranza e con altre parole di vita eterna lo confortò e lo incoraggiò alla sofferenza che lo sovrastava; fra l'altro affermò: «Quali tormenti e quali pene potranno mai parere gravi per entrare nel gaudio intramontabile? Tutto quello che è violento diviene soave, e quanto c'è di più terribile risulta amabile e appetibile per chi ha inteso che bene infinito avrà in cambio di una momentanea tribolazione. Mi congratulo con voi perché è prossimo il vostro affrancamento dalle passioni della carne, per esultare in Dio come comprensore e vedere l'allegrezza del suo volto. A causa di tale sorte meravigliosa vi traete dietro il mio cuore, dato che conseguirete tanto imminentemente quello cui anelo e abbandonerete il mondo per il possesso indefettibile del riposo senza termine. Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché tutte le tre Persone nell'unità di una essenza vi sostengano nel dolore e vi dirigano nei vostri desideri; e il mio vi accompagnerà nel vostro luminoso olocausto».

386. Oltre a questo per accomiatarsi aggiunse altre cose, con mirabile sapienza e somma capacità di consolazione, e gli impose che, arrivato alla visione beatifica, esaltasse la Trinità da parte di lei e di tutti e pregasse per la Chie sa. Egli lo promise, supplicandola ancora di custodirlo e proteggerlo nell'ora suprema, ed ella confermò il proprio impegno. Infine, il discepolo parlò così: «Benedetta fra le donne, il vostro esempio e la vostra intercessione sono l'appoggio sul quale la comunità ecclesiale, adesso e per tutti i secoli, deve posare sicura tra le persecuzioni e le tentazioni dei nemici del Signore; e la vostra carità sarà lo strumento del vostro legittimo martirio. Non dimenticatevi mai del regno di Spagna, dove è stato portato il Vangelo: tenetelo sotto il vostro speciale patrocinio e conservate in esso il vostro sacro tempio e la fede che io, indegno, vi ho annunciato. Datemi la vostra benedizione». Maria gli garantì che lo avrebbe esaudito e, benedicendolo, lo licenziò.

387. Giacomo salutò anche Giovanni, con abbondante pianto di entrambi, non tanto per la tristezza quanto piuttosto per il giubilo dovuto alla fortuna del fratello più grande, che sarebbe stato il primo nella felicità perenne e nella palma della vittoria. Quindi, si incamminò subito verso la città santa, dove poté predicare per qualche giorno. L'eccelsa sovrana dell'universo rimase lì, attenta a ciò che succedeva a lui e agli altri apostoli, senza perderli dalla sua vista interiore e senza interrompere le sue orazioni per loro e per tutti i credenti. L'ormai vicina uccisione del testimone di Cristo fu occasione perché nell'ardente Madre si suscitassero tanti incendi d'amore e struggimenti di morire per il suo Unigenito che ella conquistò assai più corone di lui e di tutti assieme; infatti, con ciascuno si caricò di molti patimenti, più duri per il suo castissimo e ferventissimo cuore di quelli provocati dai coltelli e dal fuoco per i loro corpi.

 

Insegnamento della Regina del cielo

388. Figlia mia, negli ammonimenti di questo capitolo ti sono date numerose regole per agire irreprensibilmente. Considera che, come l'Altissimo è principio e origine delle creature e delle loro facoltà, così ne è logicamente il fine: se esse ricevono tutto immeritatamente, devono tutto a chi lo concesse loro per grazia; e se è accordato loro per operare, devono tutte le opere a lui, e non a se stesse né ad alcun altro. Questa verità, che io comprendevo chiaramente e ponderavo in me, mi spingeva all'esercizio che parecchie volte hai recepito e scritto con stupore, cioè a prostrarmi al suolo e ad adorare l'essere immutabile di Dio con profonda venerazione. Meditavo su come egli mi avesse fatto dal nulla e modellato dalla terra, e mi umiliavo al suo cospetto, confessando che mi dava vita, movimento ed esistenza, che senza di lui non sarei stata niente e che a lui dovevo ogni cosa. Con tali riflessioni tutto quello che facevo e sopportavo mi sembrava poco, pur non cessando di compiere il bene agognavo continuamente ad affaticarmi e a penare, e non mi saziavo mai trovandomi obbligata e indigente. Questa scienza è conforme alla razionalità e ancor più alla luce della rivelazione, e potrebbe essere acquistata, dato che il debito è comune e manifesto. Intanto, tra la smemorataggine generale, ti chiedo di essere intenta ad imitarmi negli atti che ti ho reso noti, e ti esorto soprattutto ad abbracciare la polvere e a piegarti maggiormente quando sarai sollevata ai favori dei più intimi amplessi. Osserva in che modo mi comportavo se ottenevo qualche beneficio singolare, come allorché l'Onnipotente ordinò che, prima del mio trapasso, mi venisse dedicato un santuario dove fossi invocata e celebrata. Questo ed altri doni mi fecero abbassare al di là di qualsiasi immaginazione, ed io ero traboccante di azioni ammirevoli; valuta, allora, quello che tocca a te, così scarsamente riconoscente di fronte alla sua liberalità.

389. Bramo anche, carissima, che ricalchi le mie orme nell'essere alquanto circospetta e povera nel soddisfare le tue necessità senza molte comodità, benché ti siano profferte dalle tue monache e da coloro che ti vogliono bene. Al riguardo, scegli sempre o accetta ciò che è più misero, modesto, rigettato e vile, poiché non puoi seguire diversamente me, che rinunciai senza rumore e di buon garbo all'ostentazione, agli averi e a tutti gli agi che mi furono messi a disposizione a Gerusalemme e ad Efeso per il viaggio e per l'abitazione, prendendo il minimo indispensabile. In questa virtù ne sono racchiuse molte che fanno lieti, mentre il mondo cieco e abbindolato si appaga e si precipita dietro a tutto quello che è opposto ad essa.

390. Stai in guardia con sollecitudine anche da un altro diffuso errore: gli uomini, sebbene sappiano che tutte le ricchezze del corpo e dell'anima appartengono al Signore, abitualmente se ne appropriano e le tengono così strette che non solo non gliele porgono spontaneamente, ma, se egli talora le toglie loro, se ne affliggono e lamentano come se fossero stati ingiuriati e avesse fatto loro qualche aggravio. Tanto disordinatamente i genitori sono soliti amare i figli e i figli i genitori; i mariti le mogli e le mogli i mariti; tutti, poi, la roba, l'onore, la salute e gli altri beni temporali, e taluni anche quelli spirituali. Se questi vengono loro a mancare, non hanno misura nel dolore e, pur non potendo recuperare ciò a cui aspirano, sono inquieti e inconfortabili e passano dai sentimenti alla ragione e all'ingiustizia. Con un simile vizio non soltanto condannano i decreti della provvidenza divina e si lasciano sfuggire i meriti che acquisirebbero consegnando a sua Maestà quello che hanno perso e sacrificandogli quello che è suo, ma fanno capire che avrebbero reputato felicità ultima il godere di tali realtà caduche e transitorie, e con esse sarebbero stati contenti per molti secoli.

391. Nessuno dei discendenti di Adamo poté mai avere per nulla di quaggiù più o altrettanto affetto di quanto ne ebbi io per mio Figlio e per Giuseppe; però, poiché esso era ordinato in modo assolutamente corretto mentre ero in loro compagnia, offrii di tutto cuore al Padre il rimanere priva della loro presenza familiare per tutti gli anni che vissi senza di essi. Sii rassegnata ed abbandonata nella stessa maniera quando avrai bisogno di qualche cosa di quelle che devi amare in Dio, giacché fuori di lui non hai licenza di amarne alcuna. Non sia perpetua in te che l'ansia di posare il tuo sguardo sul sommo Bene e di possederlo completamente e in eterno nella patria; anela a questo con lacrime, e a tale scopo sostieni con allegrezza tutte le amarezze e gli affanni. D'ora innanzi abbi il vivo desiderio di patire come hanno fatto i santi, per renderti degna di lui, e fai attenzione che esso sia tale che la volontà di soffrire compensi le tribolazioni che non consegui, rattristandoti di non essere all'altezza di quanto vagheggi tanto intensamente. Nei voli interiori delle persone assetate della visione beatitifica non si deve mescolare l'intento di sgravarsi con essa dei travagli della vita, il quale indica che non si è attaccati al Creatore, ma a se stessi e ai propri comodi; e questo non vale alcun premio ai suoi occhi, che penetrano e soppesano tutto. Se, però, come fedele serva e sposa di Gesù, opererai ciò senza inganno e con pienezza di perfezione, ambendo la sua contemplazione per stringerti a lui, lodarlo e non offenderlo mai più, e ricercherai tutte le pene solo a tal fine, stai certa che ci vincolerai molto a te e giungerai a quello stato di amore che sospiri, dato che è appunto per questo che siamo così generosi con te.


San Salvador (El Salvador), 2 febbraio 1992. Presentazione di Gesù Bambino al Tempio. Incontro al Signore che viene.

Don Stefano Gobbi

«Figli prediletti venite con Me, vostra Mamma Celeste, incontro al Signore che viene. Lasciatevi portare fra le mie braccia materne, come, con amore ed immensa beatitudine, ho portato Gesù Bambino al Tempio di Gerusalemme.Voi oggi rivivete, nella celebrazione liturgica, questo mistero. E tu, mio piccolo bimbo, ti trovi in questo giorno a fare i tuoi Cenacoli in questa Nazione, da tanti anni divisa, ferita e colpita da una guerra civile sanguinosa e crudele. E proprio oggi Io ho donato ad essa il bene prezioso della Pace.

- Venite con Me incontro al Signore che viene nella pace. Gesù è la vostra pace. Lui vi porta alla comunione con il Padre Celeste, nel suo Spirito di Amore e vi dona la sua stessa vita divina, che vi ha meritato sul Calvario, col Sacrificio della Redenzione. Questo mondo non conosce la pace, perché non accoglie Gesù. Allora mio compito materno è quello di aprire i cuori di tutti i miei figli, per ricevere il Signore che viene. Perché soltanto allora potrà giungere sul mondo la pace, tanto invocata ed attesa.

- Venite con Me incontro al Signore che viene nell'amore. Questa umanità è prostrata sotto il giogo pesante della violenza, dell'odio, dell'egoismo sfrenato, della divisione e della guerra. Quanti soffrono, quanti sono calpestati e vengono oppressi ed uccisi ogni giorno, a causa di questa così grande incapacità di amare! Così il mondo è reso un immenso deserto ed il cuore degli uomini è diventato freddo e duro, insensibile e chiuso alle necessità dei piccoli, dei poveri e dei bisognosi. Questo mondo non è capace di amare perché non accoglie Gesù. Gesù è l'Amore. Gesù che viene porterà tutti alla perfezione dell'Amore. Allora il mondo diventerà un nuovo giardino di vita e di bellezza e formerà una sola famiglia, unita dal legame soave della divina carità.

- Venite con Me incontro al Signore che viene nella gioia. Solo Gesù fra voi può aprire i vostri cuori alla dolce esperienza della beatitudine e della gioia. Dimenticate il sanguinoso passato. Siano chiuse le profonde ferite di questi dolorosi tempi della purificazione e della grande tribolazione, perché la vostra liberazione è vicina. Per questo oggi, mentre mi contemplate nel mistero della Presentazione al Tempio del mio Bambino Gesù, vi invito a lasciarvi portare fra le mie braccia nel tempio spirituale del mio Cuore Immacolato, per offrirvi alla gloria della Santissima Trinità e condurvi così verso i tempi nuovi che vi attendono».