Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 5° settimana del tempo di Avvento e Natale (Santa Famiglia di Nazareth)
Vangelo secondo Giovanni 10
1"In verità, in verità vi dico: chi non entra nel recinto delle pecore per la porta, ma vi sale da un'altra parte, è un ladro e un brigante.2Chi invece entra per la porta, è il pastore delle pecore.3Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore una per una e le conduce fuori.4E quando ha condotto fuori tutte le sue pecore, cammina innanzi a loro, e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce.5Un estraneo invece non lo seguiranno, ma fuggiranno via da lui, perché non conoscono la voce degli estranei".6Questa similitudine disse loro Gesù; ma essi non capirono che cosa significava ciò che diceva loro.
7Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità vi dico: io sono la porta delle pecore.8Tutti coloro che sono venuti prima di me, sono ladri e briganti; ma le pecore non li hanno ascoltati.9Io sono la porta: se uno entra attraverso di me, sarà salvo; entrerà e uscirà e troverà pascolo.10Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza.11Io sono il buon pastore. Il buon pastore offre la vita per le pecore.12Il mercenario invece, che non è pastore e al quale le pecore non appartengono, vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge e il lupo le rapisce e le disperde;13egli è un mercenario e non gli importa delle pecore.14Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me,15come il Padre conosce me e io conosco il Padre; e offro la vita per le pecore.16E ho altre pecore che non sono di quest'ovile; anche queste io devo condurre; ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge e un solo pastore.17Per questo il Padre mi ama: perché io offro la mia vita, per poi riprenderla di nuovo.18Nessuno me la toglie, ma la offro da me stesso, poiché ho il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo comando ho ricevuto dal Padre mio".
19Sorse di nuovo dissenso tra i Giudei per queste parole.20Molti di essi dicevano: "Ha un demonio ed è fuori di sé; perché lo state ad ascoltare?".21Altri invece dicevano: "Queste parole non sono di un indemoniato; può forse un demonio aprire gli occhi dei ciechi?".
22Ricorreva in quei giorni a Gerusalemme la festa della Dedicazione. Era d'inverno.23Gesù passeggiava nel tempio, sotto il portico di Salomone.24Allora i Giudei gli si fecero attorno e gli dicevano: "Fino a quando terrai l'animo nostro sospeso? Se tu sei il Cristo, dillo a noi apertamente".25Gesù rispose loro: "Ve l'ho detto e non credete; le opere che io compio nel nome del Padre mio, queste mi danno testimonianza;26ma voi non credete, perché non siete mie pecore.27Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono.28Io do loro la vita eterna e non andranno mai perdute e nessuno le rapirà dalla mia mano.29Il Padre mio che me le ha date è più grande di tutti e nessuno può rapirle dalla mano del Padre mio.30Io e il Padre siamo una cosa sola".
31I Giudei portarono di nuovo delle pietre per lapidarlo.32Gesù rispose loro: "Vi ho fatto vedere molte opere buone da parte del Padre mio; per quale di esse mi volete lapidare?".33Gli risposero i Giudei: "Non ti lapidiamo per un'opera buona, ma per la bestemmia e perché tu, che sei uomo, ti fai Dio".34Rispose loro Gesù: "Non è forse scritto nella vostra Legge: 'Io ho detto: voi siete dèi'?35Ora, se essa ha chiamato dèi coloro ai quali fu rivolta la parola di Dio (e la Scrittura non può essere annullata),36a colui che il Padre ha consacrato e mandato nel mondo, voi dite: Tu bestemmi, perché ho detto: Sono Figlio di Dio?37Se non compio le opere del Padre mio, non credetemi;38ma se le compio, anche se non volete credere a me, credete almeno alle opere, perché sappiate e conosciate che il Padre è in me e io nel Padre".39Cercavano allora di prenderlo di nuovo, ma egli sfuggì dalle loro mani.
40Ritornò quindi al di là del Giordano, nel luogo dove prima Giovanni battezzava, e qui si fermò.41Molti andarono da lui e dicevano: "Giovanni non ha fatto nessun segno, ma tutto quello che Giovanni ha detto di costui era vero".42E in quel luogo molti credettero in lui.
Secondo libro dei Maccabei 4
1Il suddetto Simone, che si era fatto delatore dei beni e della patria, diffamava Onia, come se avesse percosso Eliodòro e fosse stato l'organizzatore dei disordini;2osava definire nemico della cosa pubblica il benefattore della città, il protettore dei cittadini, il difensore delle leggi.3L'odio era giunto a tal punto che si compirono delle uccisioni da parte di uno dei gregari di Simone;4allora Onia, vedendo l'aggravarsi dell'invidia e accorgendosi che Apollonio figlio di Menèsteo, stratega della Celesira e della Fenicia, aizzava la perfidia di Simone,5si recò dal re, non per far la parte di accusatore dei suoi concittadini, ma per provvedere al bene comune del popolo e di ciascuno in particolare.6Vedeva infatti che senza un provvedimento del re era impossibile ristabilire la pace nella vita pubblica e che Simone non avrebbe messo freno alla sua pazzia.
7Ma, Selèuco essendo passato all'altra vita e avendo preso le redini del governo Antioco chiamato anche Epìfane, Giàsone, fratello di Onia, volle procurarsi con la corruzione il sommo sacerdozio8e, in un incontro con il re, gli promise trecentosessanta talenti d'argento e altri ottanta talenti riscossi con un'altra entrata.9Oltre a questi prometteva di versargli altri centocinquanta talenti, se gli fosse stato concesso di stabilire di sua autorità una palestra e un campo d'addestramento e di erigere una corporazione d'Antiocheni a Gerusalemme.10Avendo il re acconsentito, egli, ottenuto il potere, si diede subito a trasformare i suoi connazionali secondo i costumi greci,11annullando i favori concessi dal re ai Giudei, ad opera di Giovanni, padre di quell'Eupolemo che aveva guidato l'ambasciata presso i Romani per negoziare il patto d'amicizia e di alleanza, e sradicando le leggi cittadine inaugurò usanze perverse.12Fu subito zelante nel costruire una palestra, proprio ai piedi dell'acròpoli, e nell'indurre i giovani più distinti a portare il pètaso.13Così era raggiunto il colmo dell'ellenizzazione e la diserzione verso i costumi stranieri per l'eccessiva corruzione dell'empio e falso sommo sacerdote Giàsone.14Perciò i sacerdoti non erano più premurosi del servizio all'altare, ma, disprezzando il tempio e trascurando i sacrifici, si affrettarono a partecipare agli spettacoli contrari alla legge nella palestra, appena dato il segnale del lancio del disco.15Così tenendo in poco conto le glorie patrie stimavano nobilissime le glorie elleniche.16Ma appunto a causa di queste li sorprese una grave situazione e si ebbero quali avversari e punitori proprio coloro le cui istituzioni seguivano con zelo e a cui cercavano di rassomigliare in tutto.17Non è cosa che resti impunita il comportarsi empiamente contro le leggi divine, come dimostrerà chiaramente il successivo periodo di tempo.
18Celebrandosi in Tiro i giochi quinquennali con l'intervento del re,19l'empio Giàsone inviò come rappresentanti alcuni Antiocheni di Gerusalemme, i quali portavano con sé trecento dramme d'argento per il sacrifico a Ercole; ma questi portatori ritennero non conveniente usarle per il sacrifico, bensì impiegarle per altra spesa.20Così il denaro destinato al sacrificio a Ercole da parte del mandante, servì, grazie ai portatori, per la costruzione delle triremi.
21Antioco, avendo mandato Apollonio, figlio di Menèsteo, in Egitto per l'intronizzazione del re Filomètore, venne a sapere che costui era diventato contrario al suo governo e quindi si preoccupò della sua sicurezza. Perciò si recò a Giaffa, poi mosse alla volta di Gerusalemme.22Fu accolto da Giàsone e dalla città con dimostrazioni magnifiche e introdotto con corteo di fiaccole e acclamazioni. Così riprese la marcia militare verso la Fenicia.
23Tre anni dopo, Giàsone mandò Menelao, fratello del già menzionato Simone, a portare al re denaro e a presentargli un memoriale su alcuni affari importanti.24Ma quello, fattosi presentare al re e avendolo ossequiato con un portamento da persona autorevole, si accaparrò il sommo sacerdozio, superando l'offerta di Giàsone di trecento talenti d'argento.25Munito delle disposizioni del re, si presentò di ritorno, non avendo con sé nulla che fosse degno del sommo sacerdozio, ma avendo le manie di un tiranno unite alla ferocia di una belva.26Così Giàsone, che aveva tradito il proprio fratello, fu tradito a sua volta da un altro e fu costretto a fuggire nel paese dell'Ammanìtide.27Menelato si impadronì del potere, ma non s'interessò più del denaro promesso al re,28sebbene gliele avesse fatto richiesta Sòstrato, comandante dell'acròpoli; questi infatti aveva l'incarico della riscossione dei tributi. Per questo motivo tutti e due furono convocati dal re.29Menelao lasciò come sostituto nel sommo sacerdozio Lisìmaco suo fratello; Sòstrato lasciò Cratéte, comandante dei Ciprioti.
30Mentre così stavano le cose, le città di Tarso e Mallo si ribellarono, perché erano state date in dono ad Antiòchide, concubina del re.31Il re partì in fretta per riportare all'ordine la situazione, lasciando come luogotenente Andronìco, uno dei suoi dignitari.32Menelao allora, pensando di aver trovato l'occasione buona, sottrasse alcuni arredi d'oro del tempio e ne fece omaggio ad Andronìco; altri poi si trovò che li aveva venduti a Tiro e nelle città vicine.33Ma Onia lo biasimò, dopo essersi accertato della cosa ed essersi rifugiato in località inviolabile a Dafne situata presso Antiochia.34Per questo Menelao, incontratosi in segreto con Andronìco, lo pregò di sopprimere Onia. Quegli, recatosi da Onia e ottenutane con inganno la fiducia, dandogli la destra con giuramento lo persuase, sebbene ancora guardato con sospetto, ad uscire dall'asilo e subito lo uccise senza alcun riguardo alla giustizia.35Per questo fatto non solo i Giudei, ma anche molti altri popoli si mossero a sdegno e tristezza per l'empia uccisione di tanto uomo.36Quando il re tornò dalle località della Cilicia, si presentarono a lui i Giudei della città insieme con i Greci che condividevano l'esecrazione dell'uccisione di Onia contro ogni diritto.37Antioco fu intimamente rattristato, colpito da cordoglio e mosso a lacrime per la saggezza e la grande prudenza del defunto;38subito, acceso di sdegno, tolse la porpora ad Andronìco, ne stracciò le vesti e lo trascinò attraverso tutta la città fino al luogo stesso dove egli aveva sacrilegamente ucciso Onia e là cancellò dal mondo l'assassino. Così il Signore gli rese il meritato castigo.
39Essendo poi avvenuti molti furti sacrileghi in città da parte di Lisìmaco su istigazione di Menelao ed essendosene sparsa la voce al di fuori, il popolo si ribellò a Lisìmaco, quando già molti arredi d'oro erano stati portati via.40La folla era eccitata e piena di furore e Lisìmaco, armati circa tremila uomini, diede inizio ad atti di violenza, mettendo come comandante un certo Aurano già avanzato in età e non meno in stoltezza.41Ma quelli, appena si accorsero dell'aggressione di Lisìmaco, afferrarono chi pietre, chi grossi bastoni, altri raccolsero a manciate la polvere sul posto e si gettarono contro coloro che stavano attorno a Lisìmaco.42A questo modo ne ferirono molti, alcuni ne stesero morti, costrinsero tutti alla fuga, misero a morte lo stesso saccheggiatore del tempio presso la camera del tesoro.
43Per questi fatti fu intentato un processo contro Menelao.44Venuto il re a Tiro, i tre uomini mandati dal consiglio degli anziani difesero presso di lui il loro diritto.45Menelao, ormai sul punto di essere abbandonato, promise una buona quantità di denaro a Tolomeo, figlio di Dorìmene, perché traesse il re dalla sua parte.46Tolomeo invitò il re sotto un portico, come per prendere il fresco, e gli fece mutar parere.47Così il re prosciolse dalle accuse Menelao, causa di tutto il male, e a quegli infelici che, se avessero discusso la causa anche presso gli Sciti, sarebbero stati prosciolti come innocenti, decretò la pena di morte.48Così senza dilazione subirono l'ingiusta pena coloro che avevano difeso la città, il popolo e gli arredi sacri.49Gli stessi cittadini di Tiro, indignati per questo fatto, provvidero generosamente quanto occorreva per la loro sepoltura.50Menelao invece, per la cupidigia dei potenti, rimase al potere, crescendo in malvagità e facendosi grande traditore dei concittadini.
Salmi 90
1'Preghiera. Di Mosè, uomo di Dio.'
Signore, tu sei stato per noi un rifugio
di generazione in generazione.
2Prima che nascessero i monti
e la terra e il mondo fossero generati,
da sempre e per sempre tu sei, Dio.
3Tu fai ritornare l'uomo in polvere
e dici: "Ritornate, figli dell'uomo".
4Ai tuoi occhi, mille anni
sono come il giorno di ieri che è passato,
come un turno di veglia nella notte.
5Li annienti: li sommergi nel sonno;
sono come l'erba che germoglia al mattino:
6al mattino fiorisce, germoglia,
alla sera è falciata e dissecca.
7Perché siamo distrutti dalla tua ira,
siamo atterriti dal tuo furore.
8Davanti a te poni le nostre colpe,
i nostri peccati occulti alla luce del tuo volto.
9Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira,
finiamo i nostri anni come un soffio.
10Gli anni della nostra vita sono settanta,
ottanta per i più robusti,
ma quasi tutti sono fatica, dolore;
passano presto e noi ci dileguiamo.
11Chi conosce l'impeto della tua ira,
tuo sdegno, con il timore a te dovuto?
12Insegnaci a contare i nostri giorni
e giungeremo alla sapienza del cuore.
13Volgiti, Signore; fino a quando?
Muoviti a pietà dei tuoi servi.
14Saziaci al mattino con la tua grazia:
esulteremo e gioiremo per tutti i nostri giorni.
15Rendici la gioia per i giorni di afflizione,
per gli anni in cui abbiamo visto la sventura.
16Si manifesti ai tuoi servi la tua opera
e la tua gloria ai loro figli.
17Sia su di noi la bontà del Signore, nostro Dio:
rafforza per noi l'opera delle nostre mani,
l'opera delle nostre mani rafforza.
Salmi 91
1Tu che abiti al riparo dell'Altissimo
e dimori all'ombra dell'Onnipotente,
2di' al Signore: "Mio rifugio e mia fortezza,
mio Dio, in cui confido".
3Egli ti libererà dal laccio del cacciatore,
dalla peste che distrugge.
4Ti coprirà con le sue penne
sotto le sue ali troverai rifugio.
5La sua fedeltà ti sarà scudo e corazza;
non temerai i terrori della notte
né la freccia che vola di giorno,
6la peste che vaga nelle tenebre,
lo sterminio che devasta a mezzogiorno.
7Mille cadranno al tuo fianco
e diecimila alla tua destra;
ma nulla ti potrà colpire.
8Solo che tu guardi, con i tuoi occhi
vedrai il castigo degli empi.
9Poiché tuo rifugio è il Signore
e hai fatto dell'Altissimo la tua dimora,
10non ti potrà colpire la sventura,
nessun colpo cadrà sulla tua tenda.
11Egli darà ordine ai suoi angeli
di custodirti in tutti i tuoi passi.
12Sulle loro mani ti porteranno
perché non inciampi nella pietra il tuo piede.
13Camminerai su aspidi e vipere,
schiaccerai leoni e draghi.
14Lo salverò, perché a me si è affidato;
lo esalterò, perché ha conosciuto il mio nome.
15Mi invocherà e gli darò risposta;
presso di lui sarò nella sventura,
lo salverò e lo renderò glorioso.
16Lo sazierò di lunghi giorni
e gli mostrerò la mia salvezza.
Isaia 44
1Ora ascolta, Giacobbe mio servo,
Israele da me eletto.
2Così dice il Signore che ti ha fatto,
che ti ha formato dal seno materno e ti aiuta:
"Non temere, Giacobbe mio servo,
Iesurùn da me eletto,
3poiché io farò scorrere acqua sul suolo assetato,
torrenti sul terreno arido.
Spanderò il mio spirito sulla tua discendenza,
la mia benedizione sui tuoi posteri;
4cresceranno come erba in mezzo all'acqua,
come salici lungo acque correnti.
5Questi dirà: Io appartengo al Signore,
quegli si chiamerà Giacobbe;
altri scriverà sulla mano: Del Signore,
e verrà designato con il nome di Israele".
6Così dice il re di Israele,
il suo redentore, il Signore degli eserciti:
"Io sono il primo e io l'ultimo;
fuori di me non vi sono dèi.
7Chi è come me? Si faccia avanti e lo proclami,
lo riveli di presenza e me lo esponga.
Chi ha reso noto il futuro dal tempo antico?
Ci annunzi ciò che succederà.
8Non siate ansiosi e non temete:
non forse già da molto tempo
te l'ho fatto intendere e rivelato?
Voi siete miei testimoni: C'è forse un dio fuori di me
o una roccia che io non conosca?".
9I fabbricatori di idoli sono tutti vanità e le loro opere preziose non giovano a nulla; ma i loro devoti non vedono né capiscono affatto e perciò saranno coperti di vergogna.10Chi fabbrica un dio e fonde un idolo senza cercarne un vantaggio?11Ecco, tutti i suoi seguaci saranno svergognati; gli stessi artefici non sono che uomini. Si radunino pure e si presentino tutti; saranno spaventati e confusi insieme.
12Il fabbro lavora il ferro di una scure, lo elabora sulle braci e gli da' forma con martelli, lo rifinisce con braccio vigoroso; soffre persino la fame, la forza gli viene meno; non beve acqua ed è spossato.13Il falegname stende il regolo, disegna l'immagine con il gesso; la lavora con scalpelli, misura con il compasso, riproducendo una forma umana, una bella figura d'uomo da mettere in un tempio.14Egli si taglia cedri, prende un cipresso o una quercia che lascia crescere robusta nella selva; pianta un frassino che la pioggia farà crescere.
15Tutto ciò diventa per l'uomo legna da bruciare; ne prende una parte e si riscalda o anche accende il forno per cuocervi il pane o ne fa persino un idolo e lo adora, ne forma una statua e la venera.16Una metà la brucia al fuoco, sulla brace arrostisce la carne, poi mangia l'arrosto e si sazia. Ugualmente si scalda e dice: "Mi riscaldo; mi godo il fuoco".17Con il resto fa un dio, il suo idolo; lo venera, lo adora e lo prega: "Salvami, perché sei il mio dio!".
18Non sanno né comprendono; una patina impedisce agli occhi loro di vedere e al loro cuore di capire.19Essi non riflettono, non hanno scienza e intelligenza per dire: "Ho bruciato nel fuoco una parte, sulle sue braci ho cotto perfino il pane e arrostito la carne che ho mangiato; col residuo farò un idolo abominevole? Mi prostrerò dinanzi ad un pezzo di legno?".20Si pasce di cenere, ha un cuore illuso che lo travia; egli non sa liberarsene e dire: "Ciò che tengo in mano non è forse falso?".
21Ricorda tali cose, o Giacobbe,
o Israele, poiché sei mio servo.
Io ti ho formato, mio servo sei tu;
Israele, non sarai dimenticato da me.
22Ho dissipato come nube le tue iniquità
e i tuoi peccati come una nuvola.
Ritorna a me, poiché io ti ho redento.
23Esultate, cieli, poiché il Signore ha agito;
giubilate, profondità della terra!
Gridate di gioia, o monti,
o selve con tutti i vostri alberi,
perché il Signore ha riscattato Giacobbe,
in Israele ha manifestato la sua gloria.
24Dice il Signore, che ti ha riscattato
e ti ha formato fino dal seno materno:
"Sono io, il Signore, che ho fatto tutto,
che ho spiegato i cieli da solo,
ho disteso la terra; chi era con me?
25Io svento i presagi degli indovini,
dimostro folli i maghi,
costringo i sapienti a ritrattarsi
e trasformo in follia la loro scienza;
26confermo la parola dei suoi servi,
compio i disegni dei suoi messaggeri.
Io dico a Gerusalemme: Sarai abitata,
e alle città di Giuda: Sarete riedificate
e ne restaurerò le rovine.
27Io dico all'oceano: Prosciugati!
Faccio inaridire i tuoi fiumi.
28Io dico a Ciro: Mio pastore;
ed egli soddisferà tutti i miei desideri,
dicendo a Gerusalemme: Sarai riedificata;
e al tempio: Sarai riedificato dalle fondamenta".
Atti degli Apostoli 23
1Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: "Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza".2Ma il sommo sacerdote Ananìa ordinò ai suoi assistenti di percuoterlo sulla bocca.3Paolo allora gli disse: "Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?".4E i presenti dissero: "Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?".5Rispose Paolo: "Non sapevo, fratelli, che è il sommo sacerdote; sta scritto infatti: 'Non insulterai il capo del tuo popolo'".
6Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: "Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti".7Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise.8I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose.9Ne nacque allora un grande clamore e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi, protestavano dicendo: "Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?".10La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza.11La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: "Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma".
12Fattosi giorno, i Giudei ordirono una congiura e fecero voto con giuramento esecratorio di non toccare né cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo.13Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura.14Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: "Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo.15Voi dunque ora, insieme al sinedrio, fate dire al tribuno che ve lo riporti, col pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi".
16Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere del complotto; si recò alla fortezza, entrò e ne informò Paolo.17Questi allora chiamò uno dei centurioni e gli disse: "Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualche cosa da riferirgli".18Il centurione lo prese e lo condusse dal tribuno dicendo: "Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha detto di condurre da te questo giovanetto, perché ha da dirti qualche cosa".19Il tribuno lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: "Che cosa è quello che hai da riferirmi?".20Rispose: "I Giudei si sono messi d'accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, col pretesto di informarsi più accuratamente nei suoi riguardi.21Tu però non lasciarti convincere da loro, poiché più di quaranta dei loro uomini hanno ordito un complotto, facendo voto con giuramento esecratorio di non prendere cibo né bevanda finché non l'abbiano ucciso; e ora stanno pronti, aspettando che tu dia il tuo consenso".
22Il tribuno congedò il giovanetto con questa raccomandazione: "Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni".
23Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: "Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto.24Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice".25Scrisse anche una lettera in questi termini:26"Claudio Lisia all'eccellentissimo governatore Felice, salute.27Quest'uomo è stato assalito dai Giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l'ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano.28Desideroso di conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio.29Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro legge, ma che in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia.30Sono stato però informato di un complotto contro quest'uomo da parte loro, e così l'ho mandato da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui. Sta' bene".
31Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride.32Il mattino dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza.33I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo.34Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilicia, disse:35"Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori". E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.
Capitolo XXXV: In questa vita, nessuna certezza di andar esenti da tentazioni
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché avrai vita, avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e vieni assalito da destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte e dall'altra, dello scudo della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più, se non terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico proposito di tutto soffrire per amor mio, non potrai reggere l'ardore della lotta e arrivare al premio dei beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere braccio valido contro ogni ostacolo: "la manna viene concessa al vittorioso" (Ap 2,17), mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore.
2. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi preparare. Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente sopportare, per amore di Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie, miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via della virtù e costituiscono una prova per chi si è posto al servizio di Cristo; cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una eterna ricompensa io darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una umiliazione destinata a passare.
3. Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono, invece, tante difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni. Sennonché, con la virtù della sopportazione, essi si tennero sempre ritti, confidando più in Dio che in se stessi; consci che "le sofferenze del momento presente non sono nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18). O vuoi tu avere subito quello che molti ottennero a stento, dopo tante lacrime e tante fatiche? "Aspetta il Signore, comportati da uomo" (Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non disertare. Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo, per la gloria di Dio. Strabocchevole sarà la mia ricompensa. Io sarò con te in ogni tribolazione.
DISCORSO 317 SUL MARTIRE STEFANO
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaTraslate in Africa le reliquie di Santo Stefano. Grande ricompensa all'amore verso i nemici. Esempio del Padre celeste.
1. 1. Il beato martire Stefano, dopo gli Apostoli e dagli Apostoli ordinato primo Diacono, ottenne la corona prima degli Apostoli; con il martirio rese illustri quelle terre, da morto, ha visitato queste. Ma un morto, se non vivesse anche da morto, non farebbe visite. Un poco di "polvere" ha radunato tanta moltitudine: le "ceneri" non si vedono, i benefici sono in piena vista. Considerate, carissimi, che cosa Dio ci riserverà nella terra dei viventi, egli che tanti benefici elargisce grazie alla "polvere" di morti. Il corpo di santo Stefano è venerato in ogni luogo, ma a riscuotere lode è il merito della sua fede. Tendiamo a conseguire benefici di ordine temporale in modo che, imitandolo, meritiamo di ricevere quelli eterni. Quanto nel suo martirio ha proposto alla nostra imitazione il beato Martire, questo considerare, questo credere, questo compiere: è la valida celebrazione della solennità di un Martire. Dei precetti importanti e salutari, divini e altissimi che il Signore nostro ha dato ai suoi discepoli, agli uomini risulta gravoso quello per il quale ordinò di amare i loro nemici. Oneroso il precetto, ma grande la ricompensa. Infine, notate che cosa abbia detto nell'esortare a ciò: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano e pregate per coloro che vi perseguitano 1. Hai udito il compito, attendi la ricompensa, e fa' attenzione a quanto aggiunge: Perché siate figli del vostro Padre che è nei cieli, che fa sorgere il suo sole sopra i buoni e sopra i malvagi e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti 2. Lo vediamo, non lo possiamo negare. È stato forse detto alle nubi: Piovete sui campi dei miei devoti e ritiratevi dai campi dei miei bestemmiatori? Forse è stato detto al sole: Lasciati vedere da quelli che mi onorano, non farti vedere da quelli che mi maledicono? Benefici dal cielo, benefici dalla terra; sgorgano le sorgenti, i campi sono rigogliosi, gli alberi si caricano di frutti. Hanno di queste cose i buoni e le hanno pure i malvagi; le hanno quanti sono riconoscenti e le hanno gli ingrati. Crediamo che non riservi nulla ai buoni chi elargisce tanti beni a buoni e malvagi? Concede ai buoni e ai malvagi ciò che dette anche ai lapidatori di Stefano: tuttavia ai buoni riserva in realtà quanto ha dato a Stefano.
Altro esempio nel Cristo.
2. 2. Soprattutto, quindi, fratelli, ad esempio di questo Martire, impariamo ad amare i nostri nemici. L'esempio ci è stato offerto da Dio Padre, che fa sorgere il sole su buoni e malvagi. Questo ha detto pure il Figlio di Dio, in seguito alla sua Incarnazione, con la bocca della sua carne che assunse per amore dei suoi nemici. Infatti, egli che ama i suoi nemici venne al mondo e trovò suoi nemici proprio tutti, non trovò alcun amico. Per i nemici versò il sangue: con il suo sangue, però, convertì i nemici. Cancellò con il suo sangue i peccati dei suoi nemici: cancellando i peccati, da nemici li rese amici. Anche Stefano era uno dei suoi amici: anzi, lo è e lo sarà. Tuttavia, per primo, il Signore stesso mostrò sulla croce quello che prescrisse. Infatti, mentre i Giudei, da ogni lato, gridavano sdegnati, erano furenti, dileggiavano, ingiuriavano, crocifiggevano, disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno 3. È la cecità infatti a crocifiggermi. La cecità crocifiggeva: ma il Crocifisso, del suo sangue, faceva un collirio per loro.
Esempio di Santo Stefano. Il Vangelo: documento e testamento.
2. 3. Ma ci sono uomini restii al precetto, avidi del premio che non amano i loro nemici, ma pretendono di potersi vendicare di loro, né fanno caso che, se il Signore avesse voluto vendicarsi dei suoi nemici, non sarebbe rimasto nessuno a lodarlo. Quando ascoltano questo passo del Vangelo, secondo il quale il Signore disse sulla croce: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno, si dicono: Egli ha potuto in quanto Figlio di Dio, in quanto Unigenito del Padre. Sulla croce pendeva un corpo, ma all'interno si celava Dio. Ma che siamo noi per fare queste cose? Ingannò chi diede il precetto? Lungi da noi: non ingannò. Se ritieni sia troppo per te imitare il tuo Signore, bada a Stefano, tuo conservo. Cristo Signore è il Figlio Unigenito del Padre, lo è forse anche Stefano? Cristo Signore nacque da una vergine intemerata: anche Stefano forse? Cristo Signore venne in una carne immune da peccato, ma simile alla carne del peccato 4: forse anche Stefano? Nacque come sei nato tu; donde tu sei nato egli nacque; ebbe nuova vita da colui dal quale anche tu l'hai ricevuta; fu redento allo stesso prezzo versato per te; vale tanto quanto tu vali. Ci è stato procurato un documento. Il Vangelo è il documento, dove risulta che tutti siamo stati comprati: come lui, anche tu. È documento in quanto siamo servi; è testamento perché siamo figli. Tieni conto di lui, osserva il tuo conservo.
L'esempio dei Santi: lucerna per gli occhi deboli. L'amore verso i nemici: dono di Dio.
3. 4. Per te, che hai gli occhi deboli, è troppo fissare il sole? Guarda la lucerna. Disse infatti il Signore ai suoi discepoli: Nessuno accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa 5. La casa è il mondo, il lucerniere è la croce di Cristo: la lucerna che splende sul lucerniere è Cristo che pende dalla croce. Sullo stesso lucerniere splendeva anche colui che in un primo tempo custodiva le vesti dei lapidatori, Paolo da Saulo, agnello da lupo, e piccolo e grande; rapitore di agnelli e pastore di agnelli; sullo stesso lucerniere egli splendeva nell'affermare: Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo 6. Così risplenda - disse - la vostra luce davanti agli uomini 7. Ecco, la luce di Stefano risplende, risplende questa lucerna: volgiamoci ad essa. Nessuno dica: È troppo per me: era un uomo e tu sei un uomo. Ma non l'ebbe da se stesso. O che la ricevette e poi ha chiuso per te? La sorgente è comune a tutti: bevi là dove egli bevve. Egli ricevette quale dono di Dio: chi dette è nell'abbondanza; chiedi anche tu e ricevi.
Il rimprovero di chi ama non ferisce mai. L'amore di Stefano verso i suoi uccisori.
4. 5. Il Signore accusò di colpevolezza i Giudei in modo duro e pungente, ma per amore: Guai a voi, Scribi e Farisei ipocriti 8. Quando diceva queste parole, chi non direbbe che egli li odiasse? Giunto alla croce, disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno 9. Così pure Stefano; nelle sue parole, prima biasimò: Gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie. Son parole di santo Stefano, indirizzate ai Giudei: Gente testarda e pagana nel cuore e nelle orecchie, voi avete sempre opposto resistenza allo Spirito Santo, come anche i vostri padri. Quale dei profeti non hanno ucciso i vostri padri? 10 Parlando in tal modo, fece capire che odiava, che era crudele. La lingua grida, il cuore ama. Abbiamo udito gridare la lingua, diamo prova che l'animo amava. Infatti corsero immediatamente a raccogliere pietre, uomini duri alle pietre dure, e lanciavano contro di lui quello che essi stessi erano. Veniva lapidato con pietre chi moriva per la Pietra, come dice l'Apostolo: Ma la pietra era Cristo 11. E se ebbe tanta tenacia nell'insegnare, notate quanto evidente sia stata la sua pazienza nella morte. Quelli squassavano il corpo di lui a colpi di pietra, ed egli pregava per i nemici: l'uomo esteriore veniva schiacciato e l'uomo interiore implorava. Ma il Signore che lo aveva munito, che lo aveva approvato, che gli aveva posto non sulla mano, ma sulla fronte il suo sigillo, osservava dall'alto il suo soldato per aiutarlo combattente, per coronarlo vincitore. Infine, gli si rivelò. Disse infatti Stefano: Ecco, vedo i cieli aperti e il Figlio dell'uomo alla destra di Dio 12. Era il solo a vederlo perché si mostrava a lui solo. E che disse a proprio favore? Signore Gesù, ricevi il mio spirito 13. Pregando per sé, stette in piedi, per loro piegò il ginocchio: per sé, in posizione eretta, per loro si teneva chino; per sé, diritto nella persona, per loro in umiltà: piegò il ginocchio, quindi disse: Signore, non imputare loro questo peccato 14. E, detto questo, si addormentò. O sonno di pace! Chi si addormentò in mezzo alle pietre dei nemici, come sarà vigilante nelle sue ceneri? Si addormentò sicuro, tranquillo nella pace, perché aveva consegnato il suo spirito al Signore.
Stefano amò i suoi nemici.
5. 5. Dunque, Stefano amò i suoi nemici. Infatti, egli che per sé pregava stando in piedi, pregando per loro, fissò a terra un ginocchio. Certamente adempì quanto è stato scritto. Fu riconosciuto autentico imitatore della passione del Signore e perfetto discepolo di Cristo, egli che, nel martirio, aveva adempiuto quanto aveva ascoltato dal Maestro. Il Signore infatti, pendendo dalla croce, disse: Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno 15, e il beato Stefano, trovandosi già ricoperto di pietre, disse: Signore Gesù, non imputare loro questo peccato 16. Uomo apostolico, fatto ormai, da discepolo, maestro! Bisognava infatti che il primo martire di Cristo seguisse la dottrina del Maestro. Prega per gli empi, prega per i bestemmiatori, prega per i suoi lapidatori. Allora, poiché era difficile essere esaudito a favore di tali uomini, si aggiunse la debolezza perché la carità divenisse più salda. Si inginocchiò, fece violenza. Pensate che non sia stato esaudito quando disse: Signore, non imputare loro questo peccato? Venne esaudito. Molti credettero infatti e proprio di quelli. Ma non voglio farvi andare lontano. Quanto a quel Saulo, che lapidava con le mani di tutti, che custodiva le vesti dei lapidatori 17, fu in suo favore che venne esaudito Stefano. In seguito incrudeliva; ricevuta l'autorizzazione scritta, si pose crudele alla ricerca di cristiani, assetato di sangue, anelante stragi 18. E il Signore che aveva esaudito Stefano a suo vantaggio gli disse: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 19 Ha pregato per te colui che hai ucciso. Ed io ti scelgo perché tu diventi mio testimone e muoia per me 20.
6. 5. Celebriamo dunque il Natale di santo Stefano e rendiamogli il culto con la dovuta venerazione. Abbiamo celebrato il Natale del Signore; celebriamo anche il Natale del Servo. Siamo intervenuti numerosi per il Natale dei Salvatore, prendiamo parte pure in molti alla celebrazione del Natale del Martire. L'intemerata Vergine Maria dette alla luce nostro Signore, e la santa madre Chiesa condusse Stefano glorioso alla palma del martirio.
1 - Mt 5, 44.
2 - Mt 5, 45.
3 - Lc 23, 34.
4 - Cf. Rm 8, 3.
5 - Mt 5, 15.
6 - Gal 6, 14.
7 - Mt 5, 16.
8 - Mt 23, 13.
9 - Lc 23, 34.
10 - At 7, 51.
11 - 1 Cor 10, 4.
12 - At 7, 55.
13 - At 7, 58.
14 - At 7, 59.
15 - Lc 23, 34.
16 - At 7, 59.
17 - Cf. At 7, 60.
18 - Cf. At 9, 1 ss.; 22, 5.
19 - At 9, 4; cf. 22, 7; 26, 14.
20 - Cf. At 9, 15; 26, 16.
25 - Gesù, Maria e Giuseppe per volontà divina si stabiliscono nella città di Eliopoli.
La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca653. Le memorie rimaste in molti paesi d'Egitto di alcuni prodigi che operò il Verbo incarnato hanno potuto dare motivo ai santi e ad altri autori, perché alcuni scrivessero che i nostri esuli abitarono in una città ed altri affermassero lo stesso di altre. Tutti, però, possono dire la verità ed accordarsi distinguendo il periodo che si trattennero in Ermopoli, in Menfi o Babilonia d'Egitto ed in Mataria, perché non solo si fermarono in queste città, ma anche in altre. Ciò che io ho compreso è che, essendo passati per esse, giunsero ad Eliopoli e qui fissarono la loro dimora. I santi angeli che li guidavano, infatti, dissero alla divina Regina e a san Giuseppe che dovevano fermarsi in quella città. Qui, come in altre parti, oltre alla rovina degli idoli e dei loro templi avvenuta con il loro arrivo, il Signore voleva operare altre meraviglie per sua gloria e riscatto di molte anime. Dispose così che agli abitanti di quella città, secondo il felice auspicio del suo nome che significa città del sole, apparisse il Sole di giustizia' e di grazia e li illuminasse abbondantemente. Con questo annuncio stabilirono lì la loro abituale abitazione. San Giuseppe subito iniziò a cercarla offrendo l'affitto adeguato, ed il Signore dispose che trovasse una casa umile e povera, adatta a loro abitazione, un po' fuori città, come la desiderava la Regina del cielo.
654. Trovata dunque questa casa in Eliopoli, vi fissarono la loro dimora. La celeste Signora con il suo santissimo Figlio ed il suo sposo Giuseppe, entrando subito in questo luogo appartato, si prostrò a terra baciandola con profonda umiltà ed affettuosa riconoscenza, rendendo grazie all'Altissimo per aver ritrovata quella quiete dopo un così gravoso e lungo peregrinare. Ringraziò la stessa terra e gli elementi che qui la sostentavano, perché nella sua incomparabile umiltà si giudicava sempre indegna di tutto ciò che riceveva. Adorò Dio e offrì a lui quanto, in quel luogo, avrebbe dovuto compiere. Interiormente gli fece dono delle sue facoltà e dei suoi sensi, e promise di soffrire pronta, serena e coscienziosa quante tribolazioni all'Onnipotente fosse piaciuto inviarle in quell'esilio, poiché la sua saggezza le prevedeva ed il suo affetto le abbracciava. Con la sapienza divina le stimava molto, perché aveva intuito che nel giudizio divino sono bene accette e che il santissimo Figlio le avrebbe considerate come eredità e ricchissimo tesoro. Dopo questa nobile attività si umiliò a spazzare e a rassettare la povera casetta con l'aiuto dei santi angeli, facendosi prestare perfino lo strumento con cui ripulirla. I nostri santi forestieri si ritrovarono sufficientemente sistemati in ordine alla casa; mancavano, però, di tutto ciò che riguarda il vitto e le suppellettili necessarie per vivere. L'approvvigionamento miracoloso, con il quale erano stati sostentati per mano degli angeli, cessò, poiché ora si trovavano in un paese abitato. Il Signore li pose nuovamente alla mensa normale dei più poveri, che è il mendicare l'elemosina. Essendo ormai nella necessità e patendo la fame, san Giuseppe andò a chiederla per amore di Dio. I poveri, con tale esempio, non si lamentino della loro sventura e non si vergognino di porvi rimedio usando questo mezzo, quando non ne troveranno altro, poiché subito si iniziò a mendicare per sostenere la vita del medesimo Signore di tutto il creato, il quale volle assoggettarsi a ciò anche per impegnarsi a restituire all'occasione il cento per uno.
655. Così come avvenne negli altri paesi d'Egitto, nei primi tre giorni di permanenza ad Eliopoli, la Regina del cielo non ebbe per sé e per il suo Unigenito altro sostentamento, se non quello che chiese in elemosina san Giuseppe, padre putativo, fino a quando egli, con il suo lavoro, non cominciò a procurare qualche aiuto. Fece una nuda predella nella quale potesse sdraiarsi la vergine Madre ed una culla per il Figlio. Il santo sposo, infatti, non aveva altro letto che la nuda terra e la casa rimase senza mobili sino a che, con il proprio sudore, poté acquistarne alcuni dei più indispensabili per vivere tutti e tre. Non voglio passare sotto silenzio ciò che mi è stato rivelato, cioè che, tra tanta estrema povertà e necessità, Maria e Giuseppe non fecero mai menzione della casa di Nazaret, né dei loro parenti ed amici, né dei regali dei re che essi avevano distribuito e che, invece, avrebbero potuto conservare. Parlarono di tutt'altro e, nel trovarsi in tanta ristrettezza e desolazione, non si lamentarono rivolgendo il pensiero al passato e temendo il futuro. In tutto, anzi, conservarono un'incomparabile gioia e pace, rimettendosi alla divina Provvidenza nella loro più grande scomodità e povertà. Oh, viltà dei nostri cuori infedeli! Quante afflizioni e penose inquietudini proviamo nel vederci poveri e con qualche bisogno! Subito ci rammarichiamo di aver perso un'occasione in cui avremmo potuto trovare qualche soluzione, pensando che, se avessimo fatto l'una o l'altra cosa, non ci troveremmo in questa o in quella pena. Tutte queste angosce sono vane e stoltissime, perché non sono di nessun vantaggio. In genere sentiamo il danno procuratoci e non il peccato per il quale l'abbiamo meritato, mentre sarebbe stato saggio non aver dato origine alle nostre pene, che spesso ci meritiamo, con le colpe. Siamo tardi e duri di cuore per intendere le cose spirituali in merito alla nostra giustificazione ed agli aumenti della grazia; inoltre, siamo terreni e materiali, ed anche temerari nel consegnarci alle concupiscenze del mondo ed ai suoi affanni. Certamente, la vita dei nostri pellegrini è una severa riprensione della nostra rozzezza e bassezza.
656. La prudentissima Signora ed il suo sposo, con allegrezza e privi di ogni bene temporale, presero dimora nella povera casetta che avevano trovato. Delle tre stanzine, in cui era divisa, una fu consacrata a tempio o santuario dove stesse il bambino Gesù e con lui la sua purissima madre. Qui fu posta la culla e la nuda predella sino a che, dopo alcuni giorni, col lavoro di san Giuseppe e con la compassione di alcune donne devote affezionatesi alla Regina, giunsero ad avere qualche cosa per potersi riparare tutti. Un'altra stanzina fu destinata al santo sposo, che vi dormiva e vi si raccoglieva per pregare. La terza gli serviva come officina e bottega per esercitare il suo mestiere. Vedendo la gran Signora l'estrema povertà in cui si trovavano, e che il lavoro di san Giuseppe doveva essere maggiore per potersi sostentare in un paese dove non erano conosciuti, decise di aiutarlo come poteva; si procurò del lavoro da fare con le proprie mani, per mezzo di quelle pie donne che avevano cominciato a frequentarla, innamorate della sua modestia e soavità. Tutto ciò che faceva e toccava usciva perfettissimo dalle sue mani; così si sparse la voce della sua abilità nei lavori e non gliene mancarono per alimentare il suo Figlio, vero Dio e vero uomo.
657. Per procurarsi tutto quello che era necessario per il vitto, per vestire san Giuseppe, per arredare la casa, benché poveramente, e per pagare l'affitto, le parve bene impiegare tutto il giorno nel lavoro, vegliando tutta la notte nei suoi esercizi spirituali. Determinò così, non perché avesse qualche avidità, e neppure perché di giorno mancasse alla contemplazione, poiché rimaneva sempre in essa ed alla presenza del Dio bambino, come tante volte si è detto e si dirà. Però gli speciali esercizi, nei quali spendeva alcune ore del giorno, volle trasferirli alla notte per poter lavorare di più, senza domandare né aspettare che Dio operasse miracoli in ciò che con la sua operosità e con l'aumento del lavoro poteva conseguire. In tali casi, infatti, chiederemmo miracoli più per comodità che per necessità. È vero che la prudente Regina domandava all'eterno Padre che la sua misericordia li provvedesse del necessat1o per alimentare il suo Figlio unigenito, ma al tempo stesso lavorava. Come chi non confida in sé né nel proprio impegno, lavorando chiedeva ciò che, con tale mezzo, concede il Signore alle altre creature.
658. Gesù si compiacque molto dell'accortezza di sua Madre e della conformità che gli dimostrava con la sua stretta povertà e, in contraccambio di questa fedeltà, volle alleggerirla alquanto del lavoro che aveva incominciato. Un giorno dalla culla così le parlò: «Madre mia, voglio sistemare la tua vita e le tue preoccupazioni materiali». La divina Madre si pose subito in ginocchio e rispose: «Dolcissimo amore mio e Signore di tutto il mio essere, io vi lodo e magnifico perché avete accondisceso al mio desiderio e pensiero. Questo era propenso a far sì che la vostra divina volontà regolasse i miei passi, indirizzasse le mie opere secondo il vostro consenso, e regolasse le mie occupazioni in ciascuna ora del giorno secondo il vostro compiacimento. Poiché in voi Dio si è fatto uomo e vi siete degnato di accondiscendere ai miei desideri, parlate, luce dei miei occhi, perché la vostra serva vi ascolta». Disse il Signore: «Madre mia carissima, all'inizio della notte - per noi le nove - vi porrete a dormire e riposerete un poco. Dalla mezzanotte fino al far del giorno rimarrete in contemplazione con me, e loderemo il mio eterno Padre; poi preparerete il necessario per il sostentamento vostro e di san Giuseppe. Dopo di che mi nutrirete, nelle vostre braccia, fino all'ora terza, in cui mi riporrete in quelle del vostro sposo per sollievo della sua fatica. Voi vi ritirerete nella vostra stanza fino a quando verrà l'ora di dargli da mangiare; poi ritornerete al lavoro. Poiché qui non avete le sacre Scritture, che vi procuravano consolazione, leggerete nella mia scienza la dottrina della vita eterna, affinché in tutto mi seguiate perfettamente. E pregate sempre il mio eterno Padre per i peccatori».
659. Con questa norma si regolò Maria santissima per tutto il tempo che dimorò in Egitto. Ogni giorno dava il latte tre volte al bambino Gesù. Quando, infatti, egli le indicò l'orario in cui doveva allattarlo la prima volta, non le ordinò di non darglielo altre volte, come lei aveva fatto fin dalla sua nascita. Quando la divina Madre lavorava, stava sempre alla presenza del bambino Gesù in ginocchio e, tra i colloqui e i discorsi che facevano, era molto facile che il Re dalla culla e la Regina dal suo lavoro formassero misteriosi cantici di lode. Se questi fossero stati scritti, sarebbero più eminenti di tutti i salmi e i cantici che celebra la Chiesa, e di quanto in essa oggi si serba scritto. Non vi è dubbio che il medesimo Dio parlerebbe per mezzo della sua umanità e della sua santissima Madre con maggiore sublimità e più magnificamente che per mezzo di Davide, Mosè, Maria, Anna e di tutti i Profeti. Questi cantici facevano sentire la divina Madre sempre rinnovata, e colma di nuovo amore verso Dio, desiderosa di unirsi a lui. Ella sola era la fenice che rinasceva in questo incendio, l'aquila reale che poteva mirare fissamente il sole dell'ineffabile luce così da vicino come nessun'altra creatura ha mai potuto. Ella attuava il fine per cui il Verbo di Dio prese carne nel suo corpo verginale, quello cioè di guidare e portare al suo eterno Padre le creature razionali. Era la sola, tra tutte, non condizionata dal peccato né dai suoi effetti, né da passioni o cupidigie, libera da tutto ciò che è terreno e appesantisce la natura. Così volava dietro al suo amato, innalzandosi a sublimi dimore, e non riposava se non nel suo centro, che è la Divinità. Poiché aveva sempre davanti agli occhi la via e la luce, cioè il Verbo incarnato, e gli affetti ed i desideri rivolti all'essere immutabile di Dio, correva fervorosa a lui e stava più nel fine che nel mezzo, più dove amava che dove viveva.
660. Alcune volte Gesù bambino dormiva davanti alla sua felice e fortunata Madre, affinché, anche in questo, si attuasse quanto dice il Cantico: Io dormo, ma il mio cuore veglia. Per lei il santissimo corpo di suo Figlio era un cristallo purissimo e chiaro, attraverso il quale guardava e penetrava l'interno della sua anima divinizzata, con tutti gli atti interiori che essa compiva; così ella si mirava e rimirava in quello specchio immacolato. Alla divina Signora era di speciale consolazione vedere tanto deste le facoltà dell'anima santissima del suo Figlio in opere così gloriose di uomo e Dio insieme e, nel medesimo tempo, vedere dormire i sensi del bambino con tanta quiete e rara bellezza, essendo ciò dovuto all'unione ipostatica dell'umanità con la divinità. La nostra lingua non è in grado di narrare, senza svilirne l'oggetto, i dolci affetti, le infiammate elevazioni e gli atti sublimi che Maria santissima faceva in queste occasioni; però, dove mancano le parole, operi la fede ed il cuore.
661. Quando era tempo di dare a san Giuseppe il conforto di tenere il bambino Gesù, sua madre gli diceva: «Figlio e Signore mio, guardate il vostro servo fedele con amore di figlio e di padre, e compiacetevi nella purezza della sua anima tanto sincera ed accetta agli occhi vostri». Ed al santo diceva: «Sposo mio, ricevete nelle vostre braccia il Signore che chiude nel suo pugno tutto il cielo e tutta la terra, ai quali diede l'essere per la sola sua bontà infinita, e sollevate la vostra stanchezza con colui che è la gloria di tutto il creato». Il santo riceveva questo favore con profonda umiltà e riconoscenza. Era solito domandare alla sua celeste sposa se potesse osare di fare al bambino qualche carezza. Assicurato dalla prudente Madre, egli gliele faceva e, con questo conforto, dimenticava il fastidio delle sue fatiche e tutte, anzi, gli diventavano facili e molto dolci. Anche mentre prendevano il cibo, Maria santissima e san Giuseppe tenevano con loro il bambino e, dopo avergli dato da mangiare, la divina Regina dava così maggiore e più dolce alimento alla sua anima che al corpo, venerandolo, adorandolo ed amandolo come Dio eterno, e, cullandolo nelle sue braccia come bambino, lo accarezzava con la tenerezza di una madre affettuosa verso il suo figlio diletto. Non è possibile valutare l'attenzione con la quale si esercitava nei suoi due compiti di creatura: l'uno, verso il suo Creatore, considerandolo nella sua divinità come Figlio dell'eterno Padre, Re dei re, Signore dei signori, il creatore che mantiene in vita tutto l'universo; l'altro, guardandolo come vero uomo nella sua infanzia, per servirlo ed allevarlo. Nelle due posizioni, entrambe motivo di amore, ella era tutta infiammata ed accesa in atti eroici di meraviglia, lode ed affettuosa devozione. Quanto al resto operato dai due celesti sposi, posso solamente dire che essi erano di ammirazione agli angeli, e che portavano al culmine la santità ed il compiacimento del Signore.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
662. Figlia mia, essendo proprio vero che io, con il mio Figlio santissimo ed il mio sposo, entrai in Egitto dove non avevamo amici né parenti, in un paese di religione diversa, senza rifugio, protezione né aiuto umano per nutrire un Figlio che io tanto amavo, ben si lasciano comprendere le tribolazioni ed i disagi che sopportammo, dato che il Signore permetteva che ne fossimo afflitti. La tua considerazione non può rendersi conto della pazienza e della tolleranza con la quale li pativamo, né gli stessi angeli sono in grado di valutare il premio che mi diede l'Altissimo per l'amore con il quale sopportai tutto, più che se fossi stata in grandissima prosperità. È vero che mi affliggeva molto vedere il mio sposo in tanta necessità e ristrettezza, ma in questa medesima pena benedicevo il Signore e la vivevo in letizia. Figlia mia, desidero che, in ogni occasione in cui ti porrà il Signore, tu mi imiti in questa elevata sopportazione e serena dilatazione di cuore ed anche che, in esse, tu sappia distinguere con prudenza ciò che spetta al tuo interno e ciò che spetta all'esterno, dando a ciascuno di essi quel che devi, nell'azione e nella contemplazione, senza che l'una di queste due cose impedisca l'altra.
663. Quando mancherà alle tue suddite il necessario per la vita, lavora per procurarlo debitamente. Lasciare qualche volta la tua quiete per questo obbligo non è un perderla, tanto più quando osserverai il consiglio che ti ho dato molte volte, cioè di non perdere di vista il Signore per qualsiasi occupazione. Tutto infatti potrai fare con la sua divina luce e grazia, se sarai sollecita senza turbarti. Quando con mezzi umani si può guadagnare convenientemente ciò di cui si ha bisogno, non si devono aspettare miracoli, né astenersi dal lavorare, nella speranza che Dio provvederà e soccorrerà in modo soprannaturale. Egli aiuta con mezzi piacevoli, comuni ed idonei; inoltre, la fatica del corpo è un mezzo opportuno, affinché anch'esso con l'anima compia il suo sacrificio al Signore, acquistandosi il merito nella modalità ad esso consona. La creatura, lavorando, può lodare Dio ed adorarlo in spirito e verità. Tuttavia, affinché tu possa eseguire ciò, indirizza tutte le tue azioni alla benevolenza che attualmente il Signore ti mostra ed esaminale con lui, pesandole nella sua bilancia, con l'attenzione fissa alla divina luce che t'infonde l'Onnipotente.30-31 Maggio 22, 1932 Scene dilettevole che forma l’anima al suo Creatore. La Divina Volontà darà alla creatura il dono della scienza infusa, che le sarà come occhio divino.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) La mia povera mente nuota nel mare immenso della Divina Volontà, in questo mare si mormora continuamente, ma che cosa si mormora? Amore, lode, ringraziamenti, e l’Ente Supremo si fa incontro col suo mormorio a quello della creatura, e dà amore per ricevere amore, che dolce incontro tra il Creatore e la creatura, che si danno amore a vicenda, ed in questo scambio d’amore si formano le onde d’amore, di luce, di bellezze indescrivibile, cui la povera creatura, non essendo capace di rinchiuderle tutti in sé, si sente affogare, e mentre ha preso chi sa quanto, l’affogamento che sente l’impedisce di poter ridire ciò che sente in sé, dei segreti ineffabile d’amore, di luce, di conoscenze divine, che il mormorio dell’Eterno ha rinchiuso nell’anima sua. Ma mentre mi perdevo in tante conoscenze da non saper ridire, mi sento balbuziente, mi mancano i vocaboli adatti, e per non spropositare passo avanti. Ed il mio amabile Gesù, compassionando la mia incapacità e piccolezza, mi ha stretto a Sé fra le sue braccia, e mi ha detto:
(2) “Figlia mia benedetta, tu hai ragione, ché la tua piccolezza si sente affogare sotto l’immensità della mia luce, del mio amore e delle innumerevoli verità che contiene il nostro Essere adorabile e santo, ma la nostra potenza ed immensità si diletta di riempire tanto la creatura di luce, d’amore, di svariate nostre conoscenze, di santità, fino ad affogarle, è una delle scene più belle, vedere la creatura come affogata nella nostra immensità, che vuol parlare e si affoga di luce, d’amore, di verità sorprendenti. Oh! come è bello che vuol parlare di ciò che sente, e le nostre onde la investono e la riducano al silenzio. Però Noi con questo modo facciamo sfoggio di Noi con la nostra amata creatura, e facciamo come un maestro che vuol far sfoggio della sua scienza al suo piccolo discepolo, mette tutto fuori di ciò che sa ed il discepolo ascolta, si riempie la mente, il cuore; ma siccome sono state tante le cose che le ha detto, non sa ridire nulla, ma però le giova ad apprezzare ed amare il maestro, ed a sperare dove può giungere l’altezza della sua scienza. Stando sotto la sua direzione le giova al maestro per farsi conoscere e riscuotere l’attenzione e l’affetto e fedeltà del discepolo. Così facciamo Noi per farci conoscere e per farci amare, quando vediamo la creatura vuota di tutto, che non vuole altro che la nostra Divina Volontà, ci dilettiamo tanto, fino ad affogarla di luce, d’amore e delle nostre verità che ci appartengono, e poi le andiamo sminuzzando a poco a poco ciò che le abbiamo infuso tutto insieme, e così pure ci dilettiamo di adattarci alla sua piccola capacità.
(3) Ora, tu devi sapere che chi vive nella Divina Volontà, riacquisterà, tra tante prerogative, il dono della scienza infusa, dono che le sarà di guida per conoscere il nostro Essere Divino, che le faciliterà lo svolgimento del regno del Fiat Divino nell’anima sua, le sarà di guida nell’ordine delle cose naturale, sarà come la mano che la guida in tutto e farà conoscere la vita palpitante del Voler Divino in tutte le cose create ed il bene che continuamente le porge. Questo dono fu dato ad Adamo nel principio della sua creazione, insieme con la nostra Divina Volontà possedeva il dono della scienza infusa, in modo che conosceva con chiarezza le nostre verità divine, non solo, ma tutte le virtù benefiche che possedevano tutte le cose create a bene della creatura, dalla cosa più grande, fino al più piccolo filo di erba. Ora come respinse la nostra Divina Volontà col far la sua, il nostro Fiat ritirò la sua vita ed il dono di cui era stato portatore, quindi rimase all’oscuro senza la vera e pura luce della conoscenza di tutte le cose. Onde col ritornare la vita della mia Volontà nella creatura, ritornerà il suo dono della scienza infusa. Questo dono è inseparabile dalla mia Divina Volontà, com’è inseparabile la luce dal calore, e dove Essa regna forma l’occhio pieno di luce nel fondo dell’anima, la quale, guardando con quest’occhio divino, acquista la conoscenza di Dio e delle cose create per quanto a creatura è possibile. Ora, ritirandosi la mia Volontà l’occhio resta cieco, perché Colei che animava la vista è partita, cioè non è più vita operante della creatura. Succede come al corpo, fino a tanto che l’occhio è sano essa vede, distingue i colori, gli oggetti, le persone, ma se la pupilla si oscura e perde la luce, rimane cieco, quindi non sa distinguere più nulla, al più si aiuterà a via di sentire, per sapere e comprendere qualche cosa, ma la sua luce si è spenta ed è finita. Forse avrà l’occhio, ma non più pieno di vita di luce, ma di dense tenebre che sono portatrice di dolore alla vista perduta. Tale è la mia Volontà, dove Essa regna accentra nell’anima questo dono della scienza infusa, che più che occhio vede e comprende, ma senza sforzo, le verità divine, le conoscenze più difficile del nostro Ente Supremo, ma con una facilità meravigliosa, senza artifizio e senza studio, molto più le cose naturali, nessuno può conoscere la sostanza, il bene che c’è dentro, se non chi le ha create, quindi nessuna meraviglia se il nostro Voler Divino si fa rivelatore, nell’anima dove regna, del nostro Essere Divino e delle cose che Lui stesso ha creato, e non regnando tutto è tenebre per la povera creatura, i nostri figli sono ciechi e non conoscono, né amano Colui che li ha creati, che più che padre li ama e sospira l’amore dei figli suoi. La mia Volontà Divina, dove regna, non va con le mani vuote, ma porta tutti i beni che possiede, e se ingrati la costringono a ritirarsi, tutto si porta con Sé, perché è inseparabile dai beni suoi. Essa fa come il sole, come sorge il mattino così fa dono della sua luce e dei suoi benefici effetti alla terra, e come si ritira la sera, tutta la luce se la porta con sé, nulla vi resta, neppure una stilla di luce per la notte, e perché? Perché non può, né le viene dato di poter distaccare una sola particella di luce, perché è inseparabile dalla sua luce e dove va, con la pienezza di luce che possiede forma il pieno giorno. Perciò sii attenta, perché dove regna la mia Volontà, vuol fare cose grandi, vuol dar tutto, né si adatta a fare cose piccole, ma vuol formare il pieno giorno e sfoggiare in doni e con magnificenza”.