Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Fra di voi amatevi, consigliatevi, correggetevi, ma non portatevi mai né invidia né rancore, anzi il bene di uno sia il bene d i tutti, le pene e le sofferenze di uno siano considerate come pene e sofferenze di tutti, e ciascuno studi di allontanarle o almeno mitigarle, (San Giovanni Bosco)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 4° settimana del tempo di Avvento e Natale ( San Giovanni Evangelista)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 12

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti.2E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.3Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento.4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse:5"Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?".6Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.7Gesù allora disse: "Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura.8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me".
9Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.10I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro,11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

12Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme,13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:

'Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,'
il re d'Israele!

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:

15'Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d'asina.'

16Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto.17Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza.18Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno.19I farisei allora dissero tra di loro: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!".

20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci.21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù".22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.23Gesù rispose: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo.24In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.26Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.27Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!28Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!".
29La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato".30Rispose Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi.31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.32Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".33Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.34Allora la folla gli rispose: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?".35Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va.36Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce".
Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.

37Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;38perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:

'Signore, chi ha creduto alla nostra parola?
E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?'

39E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora:

40'Ha reso ciechi i loro occhi
e ha indurito il loro cuore,
perché non vedano con gli occhi
e non comprendano con il cuore, e si convertano
e io li guarisca!'

41Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui.42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga;43amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio.
44Gesù allora gridò a gran voce: "Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato;45chi vede me, vede colui che mi ha mandato.46Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.48Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.49Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".


Esdra 7

1Dopo questi avvenimenti, sotto il regno di Artaserse, re di Persia, Esdra,
figlio di Seraia,
figlio di Azaria,
figlio di Chelkia,
2figlio di Sallùm,
figlio di Zadòk,
figlio di Achitùb,
3figlio di Amaria,
figlio di Azaria,
figlio di Meraiòt,
4figlio di Zerachia,
figlio di Uzzi,
figlio di Bukki,
5figlio di Abisua,
figlio di Pincas,
figlio di Eleàzaro,
figlio di Aronne sommo sacerdote:6questo Esdra, partì da Babilonia. Egli era uno scriba abile nella legge di Mosè, data dal Signore Dio d'Israele e, poiché la mano del Signore suo Dio era su di lui, il re aveva aderito a ogni sua richiesta.7Nel settimo anno del re Artaserse anche un gruppo di Israeliti, sacerdoti, leviti, cantori, portieri e oblati partirono per Gerusalemme.8Egli arrivò a Gerusalemme nel quinto mese: era l'anno settimo del re.9Egli aveva stabilito la partenza da Babilonia per il primo giorno del primo mese e il primo del quinto mese arrivò a Gerusalemme, poiché la mano benevola del suo Dio era con lui.10Infatti Esdra si era dedicato con tutto il cuore a studiare la legge del Signore e a praticarla e ad insegnare in Israele la legge e il diritto.
11Questa è la copia del documento che il re Artaserse consegnò a Esdra sacerdote, scriba esperto nei comandi del Signore e nei suoi statuti dati a Israele:
12"Artaserse, re dei re, al sacerdote Esdra, scriba della legge del Dio del cielo, salute perfetta. Ora:13da me è dato questo decreto. Chiunque nel mio regno degli appartenenti al popolo d'Israele, dei sacerdoti e dei leviti ha deciso liberamente di andare a Gerusalemme, può venire con te;14infatti da parte del re e dei suoi sette consiglieri tu sei inviato a fare inchiesta in Giudea e a Gerusalemme intorno all'osservanza della legge del tuo Dio, che hai nelle mani,15e a portare l'argento e l'oro che il re e i suoi consiglieri inviano come offerta volontaria per devozione al Dio d'Israele che è in Gerusalemme,16e tutto l'argento e l'oro che troverai in tutte le province di Babilonia insieme con le offerte volontarie che il popolo e i sacerdoti offriranno per la casa del loro Dio a Gerusalemme.
17Perciò con questo argento ti prenderai cura di acquistare tori, arieti, agnelli e ciò che occorre per le offerte e libazioni che vi si uniscono e li offrirai sull'altare della casa del vostro Dio che è in Gerusalemme.18Quanto al resto dell'argento e dell'oro farete come sembrerà bene a te e ai tuoi fratelli, secondo la volontà del vostro Dio.19Gli arredi che ti sono stati consegnati per il culto del tuo Dio, rimettili davanti al Dio di Gerusalemme.20Per il resto di quanto occorre per la casa del tuo Dio e che spetta a te di procurare, lo procurerai a spese del tesoro reale.21Io, il re Artaserse, ordino a tutti i tesorieri dell'Oltrefiume:
Tutto ciò che Esdra, sacerdote e scriba della legge del Dio del cielo, vi domanderà, dateglielo puntualmente,22fino a cento talenti d'argento, cento 'kor' di grano, cento 'bat' di vino, cento 'bat' di olio e sale a volontà.23Quanto è secondo la volontà del Dio del cielo sia fatto con precisione per la casa del Dio del cielo, perché non venga l'ira sul regno del re e dei suoi figli.24Vi rendiamo poi noto che non è permesso riscuotere tributi e diritti di pedaggio su tutti i sacerdoti, leviti, cantori, portieri, oblati e inservienti di questa casa di Dio.
25Quanto a te, Esdra, con la sapienza del tuo Dio, che ti è stata data, stabilisci magistrati e giudici, ai quali sia affidata l'amministrazione della giustizia per tutto il popolo dell'Oltrefiume, cioè per quanti conoscono la legge del tuo Dio, e istruisci quelli che non la conoscono.26A riguardo di chiunque non osserverà la legge del tuo Dio e la legge del re, sia fatta prontamente giustizia o con la morte o con il bando o con ammenda in denaro o con il carcere".
27Benedetto il Signore, Dio dei padri nostri, che ha disposto il cuore del re a glorificare la casa del Signore che è a Gerusalemme,28e ha volto verso di me la benevolenza del re, dei suoi consiglieri e di tutti i potenti principi reali. Allora io mi sono sentito incoraggiato, perché la mano del Signore mio Dio era su di me e ho radunato alcuni capi d'Israele, perché partissero con me.


Siracide 47

1Dopo di questi sorse Natan,
per profetizzare al tempo di Davide.

2Come il grasso si preleva nel sacrificio pacifico,
così Davide dagli Israeliti.
3Egli scherzò con leoni quasi fossero capretti,
con gli orsi quasi fossero agnelli.
4Nella giovinezza non ha forse ucciso il gigante
e cancellata l'ignominia dal popolo,
scagliando con la fionda la pietra,
che abbatté la tracotanza di Golia?
5Poiché aveva invocato il Signore altissimo,
egli concesse alla sua destra la forza
di eliminare un potente guerriero
e riaffermare la potenza del suo popolo.
6Così l'esaltarono per i suoi diecimila,
lo lodarono nei canti del Signore
e gli offrirono un diadema di gloria.
7Egli infatti sterminò i nemici all'intorno
e annientò i Filistei, suoi avversari;
distrusse la loro potenza fino ad oggi.
8In ogni sua opera glorificò
il Santo altissimo con parole di lode;
cantò inni a lui con tutto il cuore
e amò colui che l'aveva creato.
9Introdusse musicanti davanti all'altare;
raddolcendo i canti con i loro suoni;
10conferì splendore alle feste,
abbellì le solennità fino alla perfezione,
facendo lodare il nome santo di Dio
ed echeggiare fin dal mattino il santuario.
11Il Signore gli perdonò i suoi peccati,
innalzò la sua potenza per sempre,
gli concesse un'alleanza regale
e un trono di gloria in Israele.

12Dopo di lui sorse un figlio saggio,
che, in grazia sua, ebbe un vasto regno.
13Salomone regnò in tempo di pace,
Dio dispose che tutto fosse tranquillo all'intorno
perché costruisse una casa al suo nome
e preparasse un santuario perenne.
14Come fosti saggio nella giovinezza,
versando copiosa intelligenza come acqua d'un fiume!
15La tua scienza ricoprì la terra,
riempiendola di sentenze difficili.
16Il tuo nome giunse fino alle isole lontane;
fosti amato nella tua pace.
17Per i tuoi canti, i tuoi proverbi, le tue massime
e per le tue risposte ti ammirarono i popoli.
18Nel nome del Signore Dio,
che è chiamato Dio di Israele,
accumulasti l'oro quasi fosse stagno,
come il piombo rendesti abbondante l'argento.
19Ma accostasti i tuoi fianchi alle donne,
e ne fosti dominato nel corpo.
20Così deturpasti la tua gloria
e profanasti la tua discendenza,
sì da attirare l'ira divina sui tuoi figli
e sofferenze con la tua follia.
21Il regno fu diviso in due
e in Efraim si instaurò un potere ribelle.
22Ma il Signore non rinnegherà la sua misericordia
e non permetterà che venga meno alcuna delle sue parole.
Non farà perire la posterità del suo eletto
né distruggerà la stirpe di colui che lo amò.
Concesse un resto a Giacobbe
e a Davide un germoglio nato dalla sua stirpe.

23Salomone andò a riposare con i suoi padri,
lasciando dopo di sé un discendente,
stoltezza del popolo e privo di senno,
Roboàmo, che si alienò il popolo con i suoi consigli.

24Geroboàmo figlio di Nabàt fece peccare Israele
e aprì a Efraim la via del peccato;
le loro colpe si moltiplicarono assai,
sì da farli esiliare dal proprio paese.
25Essi commisero ogni genere di malvagità
finché non giunse su di loro la vendetta.


Salmi 75

1'Al maestro del coro. Su "Non dimenticare". Salmo. Di Asaf. Canto.'
2Noi ti rendiamo grazie, o Dio, ti rendiamo grazie:
invocando il tuo nome, raccontiamo le tue meraviglie.

3Nel tempo che avrò stabilito
io giudicherò con rettitudine.
4Si scuota la terra con i suoi abitanti,
io tengo salde le sue colonne.

5Dico a chi si vanta: "Non vantatevi".
E agli empi: "Non alzate la testa!".
6Non alzate la testa contro il cielo,
non dite insulti a Dio.

7Non dall'oriente, non dall'occidente,
non dal deserto, non dalle montagne
8ma da Dio viene il giudizio:
è lui che abbatte l'uno e innalza l'altro.

9Poiché nella mano del Signore è un calice
ricolmo di vino drogato.
Egli ne versa:
fino alla feccia ne dovranno sorbire,
ne berranno tutti gli empi della terra.

10Io invece esulterò per sempre,
canterò inni al Dio di Giacobbe.
11Annienterò tutta l'arroganza degli empi,
allora si alzerà la potenza dei giusti.


Isaia 47

1Scendi e siedi sulla polvere,
vergine figlia di Babilonia.
Siedi a terra, senza trono,
figlia dei Caldei,
poiché non sarai più chiamata
tenera e voluttuosa.
2Prendi la mola e macina la farina,
togliti il velo, solleva i lembi della veste,
scopriti le gambe,
attraversa i fiumi.
3Si scopra la tua nudità,
si mostri la tua vergogna.
"Prenderò vendetta
e nessuno interverrà",
4dice il nostro redentore
che si chiama Signore degli eserciti,
il Santo di Israele.
5Siedi in silenzio e scivola nell'ombra,
figlia dei Caldei,
perché non sarai più chiamata
Signora di regni.
6Ero adirato contro il mio popolo,
avevo lasciato profanare la mia eredità;
perciò lo misi in tuo potere,
ma tu non mostrasti loro pietà;
perfino sui vecchi facesti gravare
il tuo giogo pesante.
7Tu pensavi: "Sempre
io sarò signora, sempre".
Non ti sei mai curata di questi avvenimenti,
non hai mai pensato quale sarebbe stata la fine.
8Ora ascolta questo,
o voluttuosa che te ne stavi sicura,
che pensavi: "Io e nessuno fuori di me!
Non resterò vedova,
non conoscerò la perdita dei figli".
9Ma ti accadranno queste due cose,
d'improvviso, in un sol giorno;
perdita dei figli e vedovanza
piomberanno su di te,
nonostante la moltitudine delle tue magie,
la forza dei tuoi molti scongiuri.
10Confidavi nella tua malizia, dicevi:
"Nessuno mi vede".
La tua saggezza e il tuo sapere
ti hanno sviato.
Eppure dicevi in cuor tuo:
"Io e nessuno fuori di me".
11Ti verrà addosso una sciagura
che non saprai scongiurare;
ti cadrà sopra una calamità
che non potrai evitare.
Su di te piomberà improvvisa una catastrofe
che non prevederai.12Sta' pure ferma nei tuoi incantesimi
e nella moltitudine delle magie,
per cui ti sei affaticata dalla giovinezza:
forse potrai giovartene,
forse potrai far paura!
13Ti sei stancata dei tuoi molti consiglieri:
si presentino e ti salvinogli astrologi che osservano le stelle,
i quali ogni mese ti pronosticano
che cosa ti capiterà.
14Ecco, essi sono come stoppia:
il fuoco li consuma;
non salveranno se stessi dal potere delle fiamme.
Non ci sarà bracia per scaldarsi,
né fuoco dinanzi al quale sedersi.
15Così sono diventati per te i tuoi maghi,
con i quali ti sei affaticata fin dalla giovinezza;
ognuno se ne va per suo conto,
nessuno ti viene in aiuto.


Atti degli Apostoli 25

1Festo dunque, raggiunta la provincia, tre giorni dopo salì da Cesarèa a Gerusalemme.2I sommi sacerdoti e i capi dei Giudei gli si presentarono per accusare Paolo e cercavano di persuaderlo,3chiedendo come un favore, in odio a Paolo, che lo facesse venire a Gerusalemme; e intanto disponevano un tranello per ucciderlo lungo il percorso.4Festo rispose che Paolo stava sotto custodia a Cesarèa e che egli stesso sarebbe partito fra breve.5"Quelli dunque che hanno autorità tra voi, disse, vengano con me e se vi è qualche colpa in quell'uomo, lo denuncino".
6Dopo essersi trattenuto fra loro non più di otto o dieci giorni, discese a Cesarèa e il giorno seguente, sedendo in tribunale, ordinò che gli si conducesse Paolo.7Appena giunse, lo attorniarono i Giudei discesi da Gerusalemme, imputandogli numerose e gravi colpe, senza però riuscire a provarle.8Paolo a sua difesa disse: "Non ho commesso alcuna colpa, né contro la legge dei Giudei, né contro il tempio, né contro Cesare".9Ma Festo volendo fare un favore ai Giudei, si volse a Paolo e disse: "Vuoi andare a Gerusalemme per essere là giudicato di queste cose, davanti a me?".10Paolo rispose: "Mi trovo davanti al tribunale di Cesare, qui mi si deve giudicare. Ai Giudei non ho fatto alcun torto, come anche tu sai perfettamente.11Se dunque sono in colpa e ho commesso qualche cosa che meriti la morte, non rifiuto di morire; ma se nelle accuse di costoro non c'è nulla di vero, nessuno ha il potere di consegnarmi a loro. Io mi appello a Cesare".12Allora Festo, dopo aver conferito con il consiglio, rispose: "Ti sei appellato a Cesare, a Cesare andrai".

13Erano trascorsi alcuni giorni, quando arrivarono a Cesarèa il re Agrippa e Berenìce, per salutare Festo.14E poiché si trattennero parecchi giorni, Festo espose al re il caso di Paolo: "C'è un uomo, lasciato qui prigioniero da Felice, contro il quale,15durante la mia visita a Gerusalemme, si presentarono con accuse i sommi sacerdoti e gli anziani dei Giudei per reclamarne la condanna.16Risposi che i Romani non usano consegnare una persona, prima che l'accusato sia stato messo a confronto con i suoi accusatori e possa aver modo di difendersi dall'accusa.17Allora essi convennero qui e io senza indugi il giorno seguente sedetti in tribunale e ordinai che vi fosse condotto quell'uomo.18Gli accusatori gli si misero attorno, ma non addussero nessuna delle imputazioni criminose che io immaginavo;19avevano solo con lui alcune questioni relative la loro particolare religione e riguardanti un certo Gesù, morto, che Paolo sosteneva essere ancora in vita.20Perplesso di fronte a simili controversie, gli chiesi se voleva andare a Gerusalemme ed esser giudicato là di queste cose.21Ma Paolo si appellò perché la sua causa fosse riservata al giudizio dell'imperatore, e così ordinai che fosse tenuto sotto custodia fino a quando potrò inviarlo a Cesare".22E Agrippa a Festo: "Vorrei anch'io ascoltare quell'uomo!". "Domani, rispose, lo potrai ascoltare".
23Il giorno dopo, Agrippa e Berenìce vennero con gran pompa ed entrarono nella sala dell'udienza, accompagnati dai tribuni e dai cittadini più in vista; per ordine di Festo fu fatto entrare anche Paolo.24Allora Festo disse: "Re Agrippa e cittadini tutti qui presenti con noi, voi avete davanti agli occhi colui sul conto del quale tutto il popolo dei Giudei si è appellato a me, in Gerusalemme e qui, per chiedere a gran voce che non resti più in vita.25Io però mi sono convinto che egli non ha commesso alcuna cosa meritevole di morte ed essendosi appellato all'imperatore ho deciso di farlo partire.26Ma sul suo conto non ho nulla di preciso da scrivere al sovrano; per questo l'ho condotto davanti a voi e soprattutto davanti a te, o re Agrippa, per avere, dopo questa udienza, qualcosa da scrivere.27Mi sembra assurdo infatti mandare un prigioniero, senza indicare le accuse che si muovono contro di lui".


Capitolo IX: Obbedienza e sottomissione

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 1.     Stare sottomessi, vivere soggetti a un superiore e non disporre di sé è cosa grande e valida. E' molto più sicura la condizione di sudditanza, che quella di comando. Ci sono molti che stanno sottomessi per forza, più che per amore: da ciò traggono sofferenza, e facilmente se ne lamentano; essi non giungono a libertà di spirito, se la loro sottomissione non viene dal profondo del cuore e non ha radice in Dio. Corri pure di qua e di là; non troverai pace che nell'umile sottomissione sotto la guida di un superiore. Andar sognando luoghi diversi, e passare dall'uno all'altro, è stato per molti un inganno.  

2.     Certamente ciascuno preferisce agire a suo talento, ed è maggiormente portato verso chi gli dà ragione. Ma, se Dio è dentro di noi, dobbiamo pur talvolta lasciar perdere i nostri desideri, per amore della pace. C'è persona così sapiente che possa conoscere pienamente ogni cosa? Perciò non devi avere troppa fiducia nelle tue impressioni; devi ascoltare volentieri anche il parere degli altri. Anche se la tua idea era giusta, ma la abbandoni per amore di Dio seguendo quella di altri, da ciò trarrai molto profitto. Stare ad ascoltare ed accettare un consiglio - come spesso ho sentito dire - è cosa più sicura che dare consigli. Può anche accadere che l'idea di uno sia buona; ma è sempre segno di superbia e di pertinacia non volersi arrendere agli altri, quando la ragionevolezza o l'evidenza lo esigano.


DISCORSO 220 NELLA VEGLIA DI PASQUA

Discorsi - Sant'Agostino

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La solennità ripete quel che nella realtà è avvenuto una volta per tutte. La memoria conservatrice di ciò che si pensa.

1. Noi sappiamo, fratelli, e con fermissima fede professiamo, che Cristo è morto per noi una volta per sempre 1, l'innocente per i peccatori, il padrone per i servi, il libero per i carcerati, il medico per i malati, il beato per i sofferenti, il ricco per gli indigenti, il ricercatore per i perduti, il ricompratore per i venduti, il pastore per il gregge e, ecco la cosa più stupenda, il creatore per la creatura; conservando la sua natura eterna si è donato in quella che è stata creata; in quanto Dio, nascosto, manifesto in quanto uomo; per la onnipotenza, datore di vita, per l'infermità, soggetto alla morte; immutabile nella divinità, passibile nella carne; come dice l'Apostolo: Egli è stato messo a morte per i nostri peccati, ed è risuscitato per la nostra giustificazione 2. Questo è avvenuto una volta per sempre, ben lo sapete. Però, anche se la verità, con tanti richiami della Scrittura, ricorda che è avvenuto una volta per sempre, la solennità annuale lo ripete di volta in volta come se sempre fosse la prima. E non sono in contrasto verità e solennità, quasi una dica il falso e l'altra il vero. La verità indica che è avvenuto realmente una volta per sempre; la solennità lo rinnova di volta in volta celebrandolo nel cuore dei fedeli. La verità c'indica che cosa e come è avvenuto; la solennità, invece, non compiendo per la prima volta, ma celebrando, non lascia che passino cose già passate. Pertanto Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato 3. È lui dunque che è stato ucciso una volta per sempre, lui che più non muore, su cui la morte non ha più potere 4. E allora, parlando secondo la verità, noi diciamo che la Pasqua è avvenuta una volta per sempre e che non si ripeterà più; parlando secondo la solennità, diciamo che la Pasqua viene ogni anno. E penso che in questo senso si debba intendere quel che è scritto nel Salmo: Il pensiero dell'uomo ti confesserà e le rimanenze del pensiero ti celebreranno feste solenni 5. Se infatti di quanto si dice degli avvenimenti temporali il pensiero non lo consegnasse alla memoria, dopo un po' di tempo non se ne troverebbe più traccia. Perciò il pensiero dell'uomo, quando percepisce la verità, dà gloria al Signore; le rimanenze del pensiero, poi che restano nella memoria in tempi opportuni non cessando di celebrare feste solenni, perché il pensiero stesso non venga giudicato ingrato. Così si spiega la solennità tanto luminosa di questa notte, in cui, vegliando, è come se rinnovassimo con le rimanenze del pensiero, la risurrezione del Signore che, a pensarci oggettivamente, confessiamo avvenuta una volta per sempre. Ed ora che la verità che vi ho illustrato vi ha resi [più] edotti, non succeda che, abbandonando la celebrazione, vi rendiate irreligiosi. È essa che ha reso illustre questa notte per tutto il mondo. Essa mette in evidenza la numerosità delle schiere cristiane, essa confonde l'accecamento dei Giudei, essa travolge gli idoli dei pagani.

 

1 - 1 Pt 3, 18; cf. Rm 6, 10; Eb 7, 27; 9, 28; 10, 10.

2 - Rm 4, 25.

3 - 1 Cor 5, 7.

4 - Rm 6, 9.

5 - Sal 75, 11.


12 - La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto.

La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda

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1204. Il nostro Salvatore, con le meraviglie e i prodigi che aveva operato nel cenacolo, lasciava già ben sistemato ed ordinato il regno che l'eterno Padre con la sua immutabile volontà gli aveva affidato. Subentrata la notte seguente il giovedì della cena, sua Maestà decise di uscire dalla casa dove aveva celebrato gli straordinari misteri per entrare nella dolorosa lotta della sua passione e morte, per mezzo della quale si doveva compiere la redenzione umana. Nello stesso tempo anche Maria lasciò il luogo dove si era ritirata in preghiera, per incontrarsi con lui. Quando il Principe dell'eternità e la Regina furono di fronte, la spada del dolore trapassò il cuore di entrambi ferendoli, nel medesimo istante, in un modo così intenso da superare ogni pensiero umano ed angelico. L'addolorata Madre si prostrò a terra adorando Gesù come suo vero Dio e redentore ed egli, rimirandola con volto austero e grato per essere figlio suo, le parlò dicendo: «Madre mia, mi troverò nella tribolazione assieme a voi; facciamo la volontà del mio eterno Padre e portiamo a compimento la salvezza degli uomini». La gran Regina si offrì al sacrificio con tutto il cuore, chiese la benedizione a sua Maestà e avendola ricevuta si ritirò nuovamente nella sua stanza, dove il Signore le concesse di vedere tutto quello che accadeva e quanto il suo santissimo Figlio stava per operare, affinché ella potesse accompagnarlo e cooperare in ogni cosa nella misura che le spettava. Il padrone di quella casa, presente a questo congedo, per impulso divino la offrì subito con tutto quello che vi era dentro alla Signora del cielo, affinché se ne servisse durante la sua permanenza a Gerusalemme. Maria l'accettò con umile riconoscenza e vi rimase in compagnia dei mille angeli dediti alla sua custodia, che l'assistevano sempre in forma visibile solo a lei, e di alcune delle pie donne che aveva condotto con sé.

1205. Il nostro Redentore e maestro uscì dal cenacolo con tutti gli uomini che avevano assistito alla cena e alla celebrazione dei suoi misteri. Subito molti di questi si congedarono, incamminandosi per diverse strade, al fine di dedicarsi ciascuno alle proprie occupazioni. Sua Maestà, seguito solo dai dodici apostoli, diresse i suoi passi verso il monte degli Ulivi, situato appena fuori della città di Gerusalemme, dalla parte orientale. Da ciò Giuda, reso dalla rea perfidia più che mai accorto e sollecito nel consegnare ai farisei il divin Maestro, congetturò che vi andasse a trascorrere la notte in preghiera, come di solito faceva. Quell'occasione gli parve molto opportuna per metterlo nelle mani degli scribi e dei farisei, suoi alleati. Con questa infelice decisione seguì Gesù, fermandosi ogni tanto e lasciandolo andare avanti con gli altri apostoli, senza che questi peraltro se ne accorgessero. Nel momento in cui li perdette di vista, si lanciò in tutta fretta verso il precipizio della sua rovina: camminava ansioso, pieno di gran timore e turbamento, segno della malvagità che doveva commettere. E invaso da questa inquieta sollecitudine, come chi abbia la coscienza tarlata dal rimorso, correndo giunse sbalordito alla casa dei sommi sacerdoti. Accadde allora che Lucifero, il quale nutriva il sospetto che Cristo nostro bene fosse il vero Messia - come si disse nel capitolo decimo -, scorgendo la fretta di Giuda nel procurare a questi la morte, andò incontro al traditore sotto l'aspetto di un suo amico, un uomo molto malvagio, a cui l'empio discepolo aveva confidato la sua delittuosa azione. Sotto quelle sembianze il dragone gli parlò, senza essere da lui conosciuto, e gli disse che, sebbene quell'intento di vendere il suo Maestro in principio gli fosse sembrato buono, per le malvagità che aveva sentito da lui stesso narrare, in seguito riflettendovi sopra aveva preso in esame un'alternativa migliore e più sicura. E soggiunse che gli sembrava opportuno che non lo consegnasse ai sommi sacerdoti ed ai farisei, perché dopotutto Gesù non era poi così cattivo come pensava e glielo aveva descritto, né meritava la morte; e inoltre lo preavvertì del fatto che successivamente sarebbe potuta cadere addosso a lui qualche grande disgrazia, se il Salvatore avesse operato dei miracoli in virtù dei quali si fosse liberato.

1206. Lucifero ordì questa insidiosa trama per revocare con un più forte timore le suggestioni, che aveva precedentemente infuso nel perfido cuore del discepolo traditore contro l'Autore della vita. Ma la sua nuova malizia gli riuscì vana, perché Giuda, che volontariamente aveva perduto la fede e non nutriva i violenti sospetti del demonio, volle mettersi a rischio cercando la morte del suo Maestro piuttosto che esporsi allo sdegno dei farisei se lo avesse lasciato in vita. Invaso dal terrore, per la sua abominevole ingordigia non fece caso al consiglio di Lucifero, benché reputasse che questi fosse l'uomo di cui aveva assunto l'aspetto. E siccome egli era già stato abbandonato dalla grazia divina, non volle né poté lasciarsi persuadere dal consiglio del demonio a retrocedere dalla sua cattiveria. Ora, mentre l'Autore della vita si trovava a Gerusalemme, i sommi sacerdoti si stavano consultando sul modo in cui Giuda avrebbe adempiuto la promessa di consegnarlo ad essi. In quel momento entrò il traditore, e riferì loro che il suo Maestro si era recato con gli altri discepoli sul monte degli Ulivi e quella notte gli sembrava la migliore occasione per catturarlo, qualora essi fossero andati con cautela e preparati, affinché non sfuggisse dalle loro mani con gli artifici e gli stratagemmi che egli ben conosceva. I sacrileghi sacerdoti si rallegrarono tanto e si affrettarono a reclutare gente armata per catturare l'innocentissimo Agnello.

1207. Sua Maestà stava intanto discutendo, con gli undici apostoli, della salvezza eterna di tutti noi e degli stessi che tramavano la sua morte. Oh, inaudita e mirabile contesa della malizia umana e dell'immensa bontà e carità divina! Se sin dal primo uomo incominciò questa lotta del bene e del male nel mondo, nella morte del nostro Redentore i due estremi giunsero al sommo grado a cui potevano arrivare, poiché ciascuno di essi operò in presenza dell'altro nel modo supremo che gli fu possibile: gli uomini con la propria malizia togliendo la vita al loro stesso Creatore e redentore, e questi dandola per essi con immensa carità. In tale occasione fu necessario - a nostro modo di intendere - che l'anima santissima di Cristo nostro bene volgesse la sua attenzione sulla sua santissima Madre, e facesse lo stesso la sua divinità, al fine di trovare fra le creature qualche oggetto di compiacimento in cui far dimorare il suo amore ed arrestare la sua giustizia. Difatti, solo in quella pura creatura scorgeva degnissimamente consumata la passione e morte che gli veniva preparata dagli uomini; solo in quella santità senza limiti la giustizia divina si ritrovava in parte compensata della malizia umana. Nell'umiltà e nella fedelissima carità di questa celeste Signora restavano depositati i tesori dei meriti di Cristo nostro Signore, affinché in virtù di questi e della sua morte rinascesse in seguito la Chiesa come nuova fenice da cenere ardente. Questo compiacimento, che l'umanità del nostro Redentore riceveva dalla vista della santità di Maria, gli dava sostegno e coraggio per vincere la malizia dei mortali, poiché reputava giustamente spesa la sua pazienza nel soffrire tali pene, avendo tra gli uomini la sua amantissima e degna Madre.

1208. La gran Signora dal luogo dove se ne stava ritirata in preghiera vedeva tutto quello che andava succedendo: i pensieri dell'ostinato Giuda e il modo in cui si appartò dal collegio apostolico; come gli parlò Lucifero sotto l'aspetto di quell'uomo, suo conoscente; quello che avvenne quando il discepolo traditore si recò dai sommi sacerdoti, e ciò che questi disposero e operarono per catturare in fretta il Signore. La nostra capacità non è sufficiente a spiegare il dolore che, per questa conoscenza infusa, penetrava il purissimo cuore della vergine Madre, gli atti di virtù che ella esercitava alla vista di tali malvagità e il modo in cui si comportava dinanzi a questi avvenimenti: basti dire che tutto successe con pienezza di sapienza, di santità e di compiacimento della santissima Trinità. Maria sentì pure compassione per Giuda e pianse la perdita di quel perverso discepolo, compensando la sua empietà con l'adorazione, la confessione, l'amore e la lode dello stesso Signore, che egli aveva venduto con un tradimento così ingiurioso e sleale; sarebbe stata disposta e pronta a morire per la sua salvezza, se fosse stato necessario. La prudentissima Signora pregò anche per coloro che stavano tramando la cattura e la morte del suo Agnello divino, poiché li rimirava; li stimava e li reputava come oggetti che si dovevano acquistare ed apprezzare con il valore inestimabile di una vita e di un sangue preziosi, quali erano quelli di un Dio incarnato.

1209. Il nostro Salvatore proseguì il suo cammino verso il monte degli Ulivi e, passando il torrente Cedron, entrò nell'orto del Getsèmani. Ivi, parlando a tutti gli apostoli che lo seguivano, disse: «Sedetevi qui, mentre io vado a pregare; e pregate anche voi per non entrare in tentazione». Gesù diede loro questo avvertimento affinché fossero perseveranti e forti nella fede di fronte alle tentazioni che aveva predetto nella cena: essi si sarebbero scandalizzati in quella notte al vederlo patire, e tutti quanti sarebbero stati investiti da satana per essere gettati nell'inquietudine e nel turbamento con false suggestioni, come era stato profetizzato che il pastore doveva essere maltrattato e percosso, e le pecorelle dovevano essere disperse. Il Maestro della vita, quindi, lasciando gli altri otto apostoli insieme, prese con sé san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, e con loro si appartò in un luogo, dove non pote va essere visto né sentito dai rimanenti. Restando con questi tre, alzò gli occhi verso l'eterno Padre, lo adorò e lodò come era solito fare, e nel suo intimo elevò una preghiera e una supplica perché si adempisse la profezia di Zaccaria. Egli permetteva, così, alla morte di avvicinarsi a lui, che era innocentissimo e senza peccato, e comandava alla spada della giustizia divina di risvegliarsi sul pastore e sull'uomo, che era anche vero Dio, per riversare su di lui tutta la sua asprezza, trafiggendolo fino a togliergli la vita. A tal fine Gesù si offrì di nuovo al Padre per soddisfare la sua giustizia, a riscatto di tutto il genere umano; inoltre diede consenso ai tormenti della passione e morte di affliggerlo proprio nella parte in cui la sua santissima umanità era sensibile. Da quel momento in poi respinse ogni consolazione e ogni sollievo che gli sarebbe potuto traboccare dalla parte insensibile, affinché con questa rinuncia le sue pene e i suoi dolori giungessero al sommo grado del patire. E l'Onnipotente concesse ed approvò tutto, secondo la volontà della santissima umanità del Verbo.

1210. Questa supplica di Cristo espresse l'assenso che apri le porte al mare della passione e dell'amarezza, perché entrassero con impeto nella sua anima, come egli aveva detto per bocca di Davide. E così incominciò a sentire paura ed angoscia, e tutto preso da questi sentimenti disse ai tre apostoli: «La mia anima è triste fino alla morte». E poiché queste parole e questa tristezza del nostro Redentore racchiudono tanti misteri, fonte di insegnamento per noi, riferirò nel modo in cui l'ho compreso qualcosa di ciò che mi è stato dichiarato. Sua Maestà permise che la sua mestizia raggiungesse, sia per natura che per miracolo, il sommo grado, proporzionatamente a tutta la parte sensibile della sua umanità. E per il naturale desiderio di vivere non si rattristò solo nella parte inferiore del suo essere, ma anche nella parte superiore, con la quale considerava la riprovazione degli innumerevoli uomini per cui doveva morire, conoscendola dai giudizi e dai decreti imperscrutabili della giustizia divina. Questa fu la causa della sua maggiore tristezza, come dirò in seguito. E non disse che era mesto per la morte, ma fino alla morte, perché fu meno la tristezza causata in lui dal naturale desiderio di vivere in vista della morte così vicina che non quella di vedere la perdita dei reprobi. In verità, a prescindere dalla necessità di questa morte per la redenzione umana, la sua santissima volontà era pronta a vincere questa naturale brama per lasciarci un insegnamento: si riteneva obbligato a patire per ricambiare il beneficio di quella gloria che aveva ricevuto la sua umanità durante la vita terrena, nel corso della trasfigurazione. In tal modo quello che aveva ricevuto sarebbe stato bilanciato da quello che avrebbe pagato. Noi così saremmo stati istruiti da questa dottrina per mezzo dei tre apostoli, testimoni di quella gloria e di questa angoscia e scelti proprio a tal fine: divulgare l'uno e l'altro mistero, che compresero con una illuminazione particolare, data loro appositamente.

1211. Perché rimanesse soddisfatto l'immenso amore che il nostro salvatore Gesù nutriva per noi, fu necessario che questa misteriosa tristezza lo inondasse profondamente, in modo da farlo patire fino al sommo grado; difatti, se così non fosse stato non sarebbe rimasta appagata la sua carità, né si sarebbe potuto comprendere chiaramente che questa non era estinguibile dalle molte acque delle tribolazioni'°. Ed in uno stato di tale sofferenza il divin Maestro esercitò questa carità verso i tre apostoli condotti con sé, i quali erano turbati perché sapevano che già si avvicinava l'ora in cui egli doveva patire e morire, secondo quello che aveva dichiarato loro in tanti modi e per via di molte predicazioni. La viltà che essi soffrivano li confondeva e li faceva vergognare, senza che avessero il coraggio di manifestarla. Ma l'amantissimo Signore li prevenne palesando loro la mestizia che avrebbe sofferto fino alla morte, affinché essi vedendolo afflitto e pieno di angosce non si vergognassero di sentire le loro pene e i timori da cui erano assaliti. La manifestazione della tristezza del Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo racchiudeva tuttavia un altro mistero: essi, tra tutti gli altri, erano pieni di meraviglia, ammirando il dominio che il loro Maestro aveva sopra le creature, e nutrivano un concetto più sublime della sua divinità e della sua eccellenza come anche della grandezza della sua dottrina, della santità delle sue opere e della sua prodigiosa potenza nei miracoli. E perché fossero confermati nella fede che egli era uomo vero e sensibile, fu conveniente che questi tre apostoli fossero privilegiati dal favore di vederlo mesto ed afflitto, come un semplice mortale, affinché nella loro testimonianza la santa Chiesa fosse istruita contro gli errori che il demonio pretendeva di seminare in seno ad essa sulla verità dell'umanità di Cristo nostro salvatore, e noi fedeli ricevessimo questa consolazione quando ci avessero afflitto le tribolazioni e fossimo stati oppressi dall'amarezza.

1212. Illuminati interiormente i tre apostoli con questa dottrina, l'Autore della vita soggiunse: «Restate qui e vegliate con me». Con questo invito insegnava ad essi a mettere in pratica tutti gli avvertimenti che aveva loro dato, e li ammoniva a rimanere saldi nei suoi precetti e perseveranti nella fede; a non piegare dalla parte del nemico e ad essere attenti e vigilanti per riconoscerlo e resistergli, nell'attesa di vedere, superate le ignominie della passione, l'esaltazione del suo nome. Il Signore, pronunciati questi consigli, si allontanò per un certo tratto dal luogo dove si trovavano Pietro, Giovanni e Giacomo, e prostratosi a terra con il suo divin volto pregò il Padre eterno dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice!». Cristo, nostro bene, elevò questa preghiera dopo essere sceso dal cielo con la piena volontà di morire e patire per gli uomini; e quindi abbracciò volontariamente la sua passione non curandosi dell'atroce pena che gli avrebbe provocato e della gioia che gli era posta innanzi. Corse così con ardentissimo amore verso la morte, gli obbrobri, i dolori e le afflizioni, stimando in sommo grado gli uomini, che aveva deciso di riacquistare con il prezzo del suo sangue. Ora, poiché con la sua divina ed umana sapienza e con la sua inestimabile carità dominava il timore naturale della morte, non sembra che questa sola paura potesse motivare tale richiesta. Questo ho compreso nella luce che mi è stata data intorno agli arcani misteri della preghiera del nostro Salvatore.

1213. E per manifestare ciò che ho inteso, rendo noto che in tale occasione il nostro redentore Gesù e l'eterno Padre trattavano dell'impresa più ardua che Cristo dovesse svolgere, quale era la redenzione umana, frutto della passione e della sua morte di croce, per l'occulta predestinazione dei santi. Ed in questa preghiera il divin Maestro presentò all'Onnipotente i suoi tormenti, il suo sangue preziosissimo e la sua morte, che offriva per tutti i mortali, come prezzo sovrabbondante per ciascuno di quelli già nati e di quelli che sarebbero nati sino alla fine del mondo. Da parte del genere umano presentò tutti i peccati, le infedeltà, le ingratitudini e gli oltraggi che i malvagi avrebbero commesso per rendere inutile la sua obbrobriosa morte, da lui accettata e sofferta per loro e per quelli che in effetti sarebbero stati condannati alla pena eterna per non aver approfittato della sua clemenza. E benché morire per gli amici e per i predestinati fosse al nostro Salvatore benaccetto, e come desiderabile, patire e morire per i reprobi gli era molto amaro e penoso, poiché per loro non vi era un fine per cui il Signore soffrisse fino alla morte. Sua Maestà chiamò questo dolore calice: il nome con cui gli ebrei designavano ciò che era causa di molta angoscia e di grande pena. Difatti, lo stesso Gesù ne aveva fatto uso, con questo significato, parlando con i figli di Zebedeo, quando aveva chiesto loro se anch'essi avrebbero potuto bere il calice come egli avrebbe dovuto fare. Questo calice per Cristo nostro bene fu molto più amaro, in quanto comprese che la sua passione e morte per i reprobi non solo sarebbe stata senza frutto, ma occasione di scandalo ridondando per loro in maggior pena e castigo per averla disprezzata e per non averne tratto il frutto che avrebbero dovuto.

1214. Ho dunque compreso che la preghiera di Cristo nostro Signore consistette nel chiedere al Padre che passasse da lui il calice amarissimo di morire per i reprobi e che - essendo ormai inevitabile la morte - nessuno, se fosse stato possibile, si perdesse. La redenzione che egli offriva era sovrabbondante per tutti, e per quanto dipendeva dalla sua volontà egli l'applicava a tutti affinché a tutti giovasse efficacemente. Ma se ciò non fosse stato possibile rimetteva la sua santissima volontà in quella dell'eterno Padre. Il nostro Salvatore ripeté questa supplica per tre volte`, ad intervalli, pregando a lungo in preda all'angoscia, come dice san Luca, e come richiedeva la grandezza e l'importanza del caso trattato. A nostro modo di intendere si verificò in questo frangente una specie di contesa tra la santissima umanità di Cristo e la sua divinità: l'una, per l'intimo amore che portava agli uomini della sua stessa natura, desiderava che tutti per mezzo della sua passione conseguissero la salvezza eterna; l'altra faceva presente che, per i suoi altissimi giudizi, era già prestabilito il numero dei predestinati, e conformemente all'equità della sua giustizia non si doveva concedere il beneficio a chi tanto lo disprezzava con libera volontà e si rendeva indegno della vita dell'anima, resistendo a chi gliela procurava ed offriva. Da questo conflitto scaturirono l'amarezza di Cristo e la lunga preghiera che recitò invocando il potere del suo eterno Padre, essendo tutte le cose possibili alla sua infinita maestà e grandezza.

1215. L'agonia del nostro Salvatore si intensificò in virtù del grande amore che nutriva per noi e della resistenza che prevedeva sarebbe stata posta al conferimento a tutti gli uomini dei frutti della sua passione e morte. Ed allora arrivò a sudare abbondantemente grosse gocce di sangue, che caddero fino a terra. E benché la sua supplica fosse condizionata e non gli fosse concesso ciò che chiedeva, in particolare per i reprobi, ottenne che gli aiuti fossero grandi e frequenti per tutti i mortali e si moltiplicassero in chi li avesse accolti senza frapporre ostacolo. Inoltre ottenne che i giusti e i santi partecipassero con sovrabbondanza del frutto della redenzione e fossero arricchiti copiosamente di doni e grazie di cui i reprobi si sarebbero resi indegni. Pertanto la volontà umana di Cristo conformandosi a quella divina accettò la passione per tutti: per i reprobi, in modo sufficiente, perché fossero loro dati gli aiuti necessari, se avessero voluto approfittarne; per i predestinati, nella forma più piena ed efficace, perché avrebbero cooperato alla grazia. Così restò predisposta e quasi effettuata la salvezza del corpo mistico della santa Chiesa, sotto il suo capo e suo artefice, Cristo nostro bene.

1216. Ora, a compimento di questo divino decreto, poiché sua Maestà si trovava per la terza volta a pregare in preda all'angoscia, l'eterno Padre inviò il santo arcangelo Michele affinché lo confortasse nei sensi corporali, dichiarandogli sensibilmente ciò che lo stesso Signore già sapeva con la scienza della sua santissima anima. Difatti, niente avrebbe potuto dirgli l'angelo che il Signore non sapesse, come anche nessun altro effetto avrebbe potuto operare nel suo intimo per questo suo intento. Tuttavia, come si è già detto, poiché Cristo aveva sospeso il sollievo che dalla sua onniscienza sarebbe potuto ridondare nella sua santissima umanità, lasciandola per quanto possibile patire in sommo grado come poi egli disse sulla croce, ricevette allora un altro conforto nella parte sensitiva con il messaggio del santo arcangelo. E questo conforto fu un'esperienza nuova che mosse in lui i sensi e le facoltà naturali. Ciò che san Michele disse da parte dell'eterno Padre consistette nel dichiarare e far percepire a Gesù che non era possibile - come sua Maestà sapeva - che si salvassero coloro che non lo volevano. Nella giustificazione divina aveva tanta rilevanza il numero dei predestinati, benché fosse minore di quello dei reprobi; e tra quelli era compresa la sua santissima Madre, la quale era degno frutto della sua redenzione e oggetto di invocazione dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, delle vergini e dei confessori, i quali si sarebbero molto distinti nel suo amore ed avrebbero operato strepitosi prodigi per esaltare il santo nome dell'Altissimo. Tra tutti questi l'angelo gli nominò, dopo gli apostoli, anche i fondatori degli ordini religiosi, con il carisma proprio a ciascuno; inoltre gli manifestò o riferì altri grandi ed arcani misteri, che non è necessario dichiarare, né io ho l'ordine di farlo, poiché quanto ho già detto è sufficiente per proseguire la narrazione di questa Storia.

1217. Gli evangelisti riportano che nel recitare quest'accorata supplica, durante le pause, il nostro Salvatore si recava a visitare gli apostoli e ad esortarli che vegliassero, pregassero e non entrassero in tentazione. Egli fece ciò per sollecitare i prelati della sua Chiesa a pascere il gregge loro affidato. E difatti, se per aver cura di essi il vigilantissimo pastore lasciò la preghiera che gli stava tanto a cuore, in questa sua premura rimane implicitamente dichiarato quello che devono fare i prelati e quanto debbano posporre gli affari e gli interessi alla salvezza dei fedeli. E perché si comprenda il bisogno che avevano gli apostoli di essere visitati da sua Maestà, avverto che il dragone infernale dopo che fu cacciato dal cenacolo, come ho detto sopra, rimase per qualche tempo afflitto e affranto nelle voragini dell'abisso; poi ebbe però il permesso di uscirne, perché la sua malizia doveva servire per l'esecuzione dei decreti del Signore. Immediatamente con molti demoni si avventò su Giuda per impedirgli - nel modo che ho già esposto - la vendita di Gesù, ma non potendo dissuaderlo si diresse contro gli apostoli, perché sospettava che nel cenacolo questi avessero ricevuto dal loro Maestro grandi favori, che egli desiderava scoprire per distruggerli, se avesse potuto. Il nostro Salvatore vide la crudeltà e il furore del principe delle tenebre e dei suoi ministri, e come padre amantissimo, supremo e vigilante si premurò di avvertire i suoi piccoli figli, seguaci alle prime armi, quali erano gli apostoli. Li svegliò e comandò loro che pregassero e stessero desti contro i nemici, perché non cadessero nella tentazione che nascostamente li minacciava e che essi non prevedevano né avvertivano.

1218. Il divin Maestro ritornò, dunque, nel luogo dove stavano i tre apostoli, ma li trovò che dormivano per essersi lasciati vincere dal tedio e dalla tristezza che pativano, nonostante come uomini prescelti fossero maggiormente tenuti a stare svegli e ad imitarlo. Vennero a cadere invece in quella tiepidezza di spirito in cui furono vinti dal sonno e dalla pigrizia. Prima di svegliarli per parlare con loro, sua Maestà si fermò a guardarli e pianse un po' vedendoli, per la loro negligenza, sepolti ed oppressi da quell'ombra di morte, mentre appunto Lucifero stava in agguato su di essi. Disse allora a Pietro: «Simone, così dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola con me?». E quindi soggiunse a lui ed agli altri: «Vegliate e pregate per non entrare in tentazione, perché i miei e vostri nemici non dormono come fate voi». Cristo nostro bene riprese san Pietro non solamente perché egli era capo ed eletto come superiore di tutti gli altri, e perché tra loro si era distinto nel protestare con fervore, dicendo che sarebbe stato disposto anche a morire per lui e che non lo avrebbe rinnegato quando anche tutti gli altri scandalizzati fossero stati sul punto di abiurare, ma anche perché con quei propositi e con quelle offerte, che allora egli aveva fatto di vero cuore, aveva meritato fra tutti di essere ripreso ed avvertito. Il Signore senza dubbio corregge quelli che amai' e si compiace sempre dei buoni propositi, anche se possono venir meno nell'esecuzione come accadde a san Pietro, il più fervoroso dei Dodici. Nel capitolo seguente parlerò della terza volta in cui Cristo nostro salvatore tornò di nuovo indietro a svegliare tutti gli apostoli, cioè di quando Giuda era prossimo a consegnarlo ai suoi nemici.

1219. Frattanto, la Signora dei cieli si era ritirata nel cenacolo in compagnia delle pie donne, e nella divina luce vedeva con somma chiarezza tutte le opere e i misteri del suo santissimo Figlio nell'orto, senza che le fosse nascosta alcuna cosa. Nello stesso tempo in cui il Signore si ritirò con i tre apostoli, Pietro, Giovanni e Giacomo, anche la divina Regina si appartò in una stanza con le tre Marie. Lasciò così il resto delle sante donne, di cui Maria Maddalena era stata designata come superiora, esortandole a pregare ed a vegliare per non cadere in tentazione. Con le tre donne a lei più familiari supplicò invece l'eterno Padre che le sospendesse ogni sollievo e ogni consolazione che le impedisse di patire in sommo grado, sia nella parte fisica che in quella spirituale, a imitazione del suo santissimo Figlio, affinché nel suo corpo verginale avvertisse lo strazio delle piaghe e dei tormenti che lo stesso Gesù doveva patire. Questa richiesta fu esaudita dalla santissima Trinità; pertanto la Madre sentì tutti i dolori del proprio Figlio, come si dirà in seguito. E benché da una parte questi fossero tali da farla più volte morire, se la destra dell'Altissimo non l'avesse miracolosamente preservata, dall'altra, siccome furono dati a lei dalla mano del Signore, agirono da sostegno e conforto della sua vita, perché nel suo ardente e sconfinato amore sarebbe stata più violenta la pena di veder patire e morire il suo benedetto Unigenito senza soffrire con lui.

1220. La Regina scelse le tre Marie perché l'accompagnassero e l'assistessero nella passione, e a tal fine esse furono istruite sui misteri di Cristo con grazia e cognizione maggiore rispetto alle altre donne. Ritiratasi con queste tre, la purissima Madre incominciò nuovamente a sentire tristezza ed angoscia e disse: «L'anima mia è afflitta perché deve patire e morire il mio amato figlio e Signore, ed io non posso morire con lui e con gli stessi tormenti. Pregate, o amiche mie, affinché non vi sorprenda la tentazione». Proferite queste parole, si allontanò un poco da loro e, accompagnando la preghiera del nostro Salvatore nell'orto, elevò la stessa supplica nel modo che conveniva a lei e conformemente a quanto conosceva della volontà umana del suo santissimo Figlio. Ma la Regina dei cieli, sapendo lo sdegno che il dragone nutriva anche contro le tre donne, ritornava, come Cristo con gli apostoli, ad esortarle per continuare poi l'orazione del Salvatore, vivendo la sua stessa agonia. Pianse anche la condanna dei reprobi, perché le furono manifestati grandi misteri sull'eterna predestinazione e riprovazione. E per imitare in tutto il Redentore del mondo, e cooperare con lui, la divina Signora giunse ad avere un sudore di sangue, simile a quello di Cristo. Per disposizione della santissima Trinità le fu così inviato l'arcangelo san Gabriele per confortarla, come fu mandato san Michele al nostro Salvatore. Il santo principe dichiarò a Maria la volontà dell'Altissimo con le stesse parole che san Michele proferì a Gesù. E così la Madre ed il Figlio furono simili nell'operare e nel conoscere, nella misura che conveniva a ciascuno, poiché in entrambi furono identiche la preghiera e la causa del dolore e della tristezza che soffrirono. Ho compreso che in questa circostanza la prudentissima Signora teneva pronti dei teli per tutto ciò che nella passione doveva succedere al suo amantissimo Figlio; ed allora inviò nell'orto, dove il Signore stava sudando sangue, alcuni dei suoi angeli perché, con uno di questi panni, asciugassero e tergessero il suo venerabile viso. I ministri dell'Altissimo poterono eseguire tale compito poiché sua Maestà per amore e maggior merito della Madre accondiscese a questo pietoso e tenero affetto. Giunta poi l'ora in cui il nostro Salvatore doveva essere catturato, l'addolorata Madre avvisò le tre Marie: tutte ne fecero lamento con amarissimo pianto, ma si distinse in modo particolare la Maddalena, perché più delle altre era infiammata di amore e di fervorosa carità.

Insegnamento della Regina del cielo

1221. Figlia mia, tutto quello che hai inteso e raccolto in questo capitolo è un richiamo e un avviso di somma importanza per tutti i mortali e per te, se saprai trarre ed applicare la giusta considerazione. Rifletti, dunque, e medita nel tuo intimo quanto debba stare a cuore la questione della predestinazione o riprovazione eterna delle anime che il mio santissimo Figlio trattò con tanta ponderazione. Difatti, la difficoltà o l'impossibilità che tutti gli uomini fossero salvi e beati gli rese oltremodo amara la passione e morte che accettò e patì per la redenzione di tutti. In questo conflitto interiore, egli manifestò il valore e l'importanza di questa impresa; e perciò moltiplicò le preghiere e le suppliche al suo eterno Padre, spingendosi per amore degli uomini fino a sudare copiosamente il suo sangue d'inestimabile prezzo, perché la sua morte non avrebbe potuto essere applicata fruttuosamente a tutti, per la malizia con la quale i reprobi se ne sarebbero resi indegni. Il mio figlio e Signore ha giustificato la sua causa nell'aver procurato a tutti la salvezza senza limiti, con il suo sconfinato amore e con i suoi meriti; e l'eterno Padre l'ha giustificata nell'aver dato al mondo la redenzione, che ha posto in potere di ciascuno, affinché chiunque, a suo libero arbitrio, stenda la mano o alla vita o alla morte, o all'acqua o al fuoco conoscendo la distanza che intercorre fra loro.

1222. Ma quale scusa o discolpa pretenderanno di presentare gli uomini per essersi dimenticati della propria eterna salvezza, quando mio Figlio ed io con l'Onnipotente la desiderammo ardentemente per essi e ci prodigammo con tanta cura ed affetto affinché l'accettassero? E se nessuno dei mortali trova giustificazione per la propria accidia e la propria stoltezza, ancor meno la troveranno nel giorno del giudizio i figli della santa Chiesa, che hanno ricevuto la fede in questi mirabili sacramenti e che durante la vita differiscono solo di poco dagli infedeli e dai pagani. Non credere, figlia mia, che sia stato scritto invano che molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Temi questa sentenza, e rinnova nel tuo cuore la sollecitudine e lo zelo per la tua salvezza, considerandoti ancor più obbligata per la maggior conoscenza che hai ricevuto su misteri così eccelsi. Ed anche se tu non avessi alcun interesse per la vita eterna e per la tua felicità, ciononostante dovresti sentirti mossa a corrispondere all'amorevolezza con la quale ti manifesto tanti e così divini segreti. E poiché ti chiamo mia figlia e sposa del mio Signore, devi comprendere che il tuo compito deve essere amare e patire senza alcuna attenzione alle cose visibili. Io, che sempre impiegai le mie facoltà con grande zelo in queste due azioni, ti invito ad imitarmi e, affinché tu giunga a seguirmi, voglio che la tua preghiera sia continua, senza sosta, e che vegli un'ora con me. E quest'ora deve essere tutto il tempo della vita mortale, perché paragonata all'eternità è meno che un'ora, anzi un momento. Con questa disposizione, voglio che tu prosegua nella venerazione dei misteri della passione, e che li scriva, li senta e li imprima nel tuo cuore.


26-31 Settembre 15, 1929 Il sole: simbolo della Divina Volontà. Il germe della Divina Volontà nell’atto della creatura.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo ripetendo i miei atti nel Divin Volere, per seguire i suoi in tutte le opere sue, e pensavo tra me: “A che pro ripetere sempre i medesimi atti, qual gloria posso dare al mio Creatore?” Ed il mio dolce Gesù, uscendo da dentro il mio interno mi ha stretto fra le sue braccia per raffermarmi e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, la ripetizione dei tuoi atti nel Fiat Divino spezza l’isolamento di Esso, e genera la compagnia a tutti gli atti che fa la Divina Volontà. Quindi Essa non si sente più sola, ma tiene a chi può ridire le sue pene, le sue gioie, e affidare i suoi segreti. E poi, un’atto continuamente ripetuto è virtù divina, e tiene virtù di generare i beni che non esistono, di riprodurli e comunicarli a tutti. Un atto continuato è solo capace di formare la vita e di poter dar vita. Guarda il sole, simbolo della mia Divina Volontà, che mai lascia la creatura e che mai si stanca di fare il suo atto continuato di luce; ogni giorno ritorna a visitare la terra, dando sempre i suoi beni, ritorna per rintracciare col suo occhio di luce i beni già dati, e che molte volte non trova: non trova il fiore che ha colorito con la bellezza delle sue tinte e profumati sol col toccarli con le sue mani di luce; non trova il frutto, cui sviscerandosi ha comunicato la sua dolcezza e maturato col suo calore; quante cose non trova il sole dopo che si ha sviscerato con tanti atti più che materni, per formare le più belle fioriture e formare tante piante, crescere tanti frutti col suo alito di luce e di calore, perché l’uomo strappandoli alla terra se n’è servito per alimentare la sua vita. Oh! se il sole fosse capace di ragione e di dolore, si cambierebbe in lacrime di luce e di fuoco ardente, per piangere sopra ciascuna cosa che ha formato e non trova; ma nel suo dolore non cambierebbe volontà col cessare di comunicare i suoi beni alla terra per formare di nuovo ciò che l’è stato tolto, perché è natura sua, per quanto di male le potrebbero fare, di dare sempre il suo atto di luce, nel quale ci sono tutti i beni, senza mai cessare. Tale è la mia Divina Volontà, più che sole si sviscera sopra ciascuna creatura per darle vita continua, si può dire è il suo alito onnipotente di luce e d’amore con cui investe le creature, le forma e le cresce, e se il sole dà luogo alla notte, la mia Divina Volontà non mai lascia a sé soli i suoi cari parti, plasmati, vivificati, formati, cresciuti, col suo alito e bacio ardente di luce, non c’è un istante in cui la mia Divina Volontà lasci la creatura, e che riversandosi sopra di lei non le comunichi le sue varie tinte di bellezza, la sua dolcezza infinita, il suo amore inestinguibile, che cosa non le fa e dà la mia Divina Volontà? Tutto, eppure non è riconosciuta, né amata, né conservano in loro i beni che le comunica. Qual dolore! Mentre si sviscera sopra ciascuna creatura, non trova i beni che comunica, e nel suo dolore continua il suo atto di luce sopra di loro senza mai cessare. Ecco perciò chi deve vivere nel mio Fiat deve avere i suoi atti ripetuti e continui, per far compagnia e raddolcirla nel suo intenso dolore”.

(3) Dopo di ciò continuavo a valicare il mare interminabile del Fiat Divino, e come emettevo i miei piccoli atti nell’Eterno Volere, così si formavano nell’anima mia tanti germi, ed il seme di questi germi era di luce di Volontà Divina, variati da tanti colori, ma animati tutti di luce, ed il mio dolce Gesù facendosi vedere, ad uno ad uno alitava quei germi, e come li fiatava, quei germi crescevano tanto, da toccare l’immensità divina. Io sono restata meravigliata nel vedere la bontà del mio sommo bene Gesù, che con tanto amore prendeva nelle sue mani santissime quei germi per alitargli, e poi li metteva tutti in ordine nell’anima mia, e guardandomi con amore mi ha detto:

(4) “Figlia mia, dove c’è la forza creatrice della mia Divina Volontà, il mio alito divino ha la potenza di rendere immensi gli atti della creatura, perché mentre la creatura opera nel mio Fiat, nel suo atto vi entra la forza creatrice, la quale vi mette la sorgente dell’immensità divina, ed il piccolo atto della creatura si converte, chi in sorgente di luce, chi in sorgente d’amore, altri in sorgente di bontà, di bellezza, di santità, insomma, quanti più atti fa, tante sorgenti divine più acquista, e crescono tanto da sperdersi nell’immensità del suo Creatore. Succede come al lievito, che ha virtù di fermentare la farina, purché nel formare il pane vi si metta il piccolo lievito come germe di fermentazione. Invece se non si mette il lievito, ad onta che sia la stessa farina, il pane non verrà mai fermentato, ma azzimo. Così è la mia Divina Volontà, più che lievito che getta la fermentazione divina nell’atto umano, e l’atto umano diventa atto divino. Ed Io quando trovo il germe della mia Divina Volontà nell’atto della creatura, mi diletto di fiatare l’atto di essa, e lo elevo tanto, da renderlo immenso, molto più che quell’atto lo possiamo chiamare atto nostro, Volontà nostra operante nella creatura”.