Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 4° settimana del tempo di Avvento e Natale ( San Giovanni Evangelista)
Vangelo secondo Luca 16
1Diceva anche ai discepoli: "C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.2Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.3L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno.4So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.5Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo:6Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta.7Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
9Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
10Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
11Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona".
14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui.15Egli disse: "Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
16La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi.
17È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge.
18Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.
19C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.20Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe,21bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.23Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.24Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.25Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.26Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.27E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre,28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento.29Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.30E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.31Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".
Primo libro dei Maccabei 11
1Il re d'Egitto raccolse forze numerose come la sabbia che è lungo il lido del mare e molte navi e cercava di impadronirsi con inganno del regno di Alessandro per annetterlo al proprio regno.2Venne in Siria con dimostrazioni pacifiche e tutte le città gli aprivano le porte e gli andavano incontro, perché era ordine del re Alessandro di andargli incontro, essendo suo suocero.3Ma quando Tolomeo entrava nelle città, stabiliva in ognuna di esse le sue truppe di guarnigione.4Quando giunse ad Asdòd, gli mostrarono il tempio di Dagon bruciato e i villaggi intorno distrutti, i cadaveri buttati qua e là e quelli carbonizzati dagli incendi nella guerra: li avevano appunto accumulati lungo il percorso del re.5Raccontarono al re quanto aveva fatto Giònata, per metterlo in cattiva luce, ma il re tacque.6Giònata andò incontro al re in Giaffa con grande apparato e si salutarono a vicenda e passarono la notte colà.7Giònata accompagnò poi il re fino al fiume chiamato Elèutero e fece ritorno in Gerusalemme.8Il re Tolomeo si impadronì di tutte le città della costa fino a Selèucia marittima e covava piani iniqui riguardo ad Alessandro.9Mandò un'ambasciata a dire al re Demetrio: "Su, concludiamo un'alleanza fra noi: io ti darò mia figlia, che Alessandro ha in moglie, e la possibilità di rientrare nel regno di tuo padre.10Mi sono pentito di avergli dato mia figlia, perché ha cercato di uccidermi".11Lo calunniò perché egli aspirava al suo regno;12quindi, toltagli la figlia, la diede a Demetrio e cambiò atteggiamento verso Alessandro e divenne così manifesta la loro inimicizia.13Tolomeo entrò in Antiochia e cinse la corona dell'Asia; si pose in capo due corone, quella dell'Egitto e quella dell'Asia.14Alessandro in quel frattempo era in Cilicia, perché si erano sollevati gli abitanti di quelle province.15Appena seppe la cosa, Alessandro venne contro di lui per combatterlo. Tolomeo condusse l'esercito contro di lui e gli andò incontro con forze ingenti e lo sconfisse.16Alessandro fuggì in Arabia per trovarvi scampo e il re Tolomeo trionfò.17L'arabo Zabdiel tagliò la testa ad Alessandro e la mandò a Tolomeo.18Ma anche il re Tolomeo morì tre giorni dopo e quelli che egli aveva lasciato nelle fortezze furono sopraffatti da altri che si trovavano sulle fortezze stesse.19Così Demetrio divenne re nell'anno centosessantasette.
20In quei giorni Giònata radunò gli uomini della Giudea per espugnare l'Acra in Gerusalemme e allestì molte macchine contro di essa.21Allora alcuni nemici del popolo, uomini iniqui, corsero dal re ad annunciare che Giònata assediava l'Acra.22Sentendo la cosa, quegli si adirò; quando ne ebbe conferma, si mise subito in viaggio, venne a Tolemàide e scrisse a Giònata di sospendere l'assedio e di andargli incontro a Tolemàide al più presto per un colloquio.23Quando Giònata ricevette il messaggio, ordinò di continuare l'assedio e, scelti alcuni anziani e sacerdoti, decise di esporre se stesso al pericolo;24prese con sé argento e oro, vesti e molti altri doni e si recò dal re a Tolemàide e trovò favore presso di lui.25C'erano però alcuni traditori del suo popolo a deporre contro di lui,26ma il re lo trattò come lo avevano trattato i suoi predecessori e lo esaltò davanti a tutti i suoi amici,27lo confermò nella dignità di sommo sacerdote e in tutti gli onori che aveva prima e stabilì che fosse annoverato tra i primi suoi amici.28Giònata ottenne che il re dichiarasse la Giudea esente dai tributi insieme alle tre toparchie e alla Samaria e gli promise trecento talenti.29Il re acconsentì e scrisse a Giònata, a proposito di tutto questo, lettere del seguente tenore:
30"Il re Demetrio al fratello Giònata e al popolo dei Giudei salute.31Rimettiamo anche a voi copia della lettera che abbiamo scritta a Làstene nostro parente intorno a voi, perché ne prendiate conoscenza.32Re Demetrio a Làstene suo padre salute.33Abbiamo deciso di beneficare il popolo dei Giudici nostri amici e rispettosi dei nostri diritti, per la loro benevolenza nei nostri riguardi.34Abbiamo assegnato a loro il territorio della Giudea; i tre distretti di Afèrema, Lidda e Ramatàim restano trasferiti dalla Samaria alla Giudea con le loro dipendenze in favore di quanti offrono sacrifici in Gerusalemme, in compenso dei diritti che il re prelevava in passato ogni anno da loro sui frutti della terra e degli alberi.35Da qui innanzi tutte le altre nostre competenze delle decime e delle tasse a noi dovute e le saline e le corone a noi spettanti, tutto condoniamo loro.36Nessuna di queste disposizioni sarà mai revocata da oggi.37Sia dunque vostra cura preparare una copia della presente e rimetterla a Giònata perché sia esposta sul monte santo in luogo visibile".
38Il re Demetrio, vedendo che il paese era in pace sotto di lui e nessuno gli faceva resistenza, congedò le truppe perché ognuno tornasse a casa sua, eccetto le forze straniere che aveva assoldate dalle isole dei pagani. Allora gli si inimicarono tutte le milizie dei suoi padri.39Trifone, che prima stava con Alessandro, vide che tutte le milizie mormoravano contro Demetrio e andò presso l'arabo Imalcue che allevava il piccolo Antioco figlio di Alessandro.40Egli insistette che glielo cedesse per farlo regnare al posto di suo padre e gli riferì quanto aveva detto Demetrio e l'ostilità che avevano per lui i soldati, e rimase là molti giorni.41Giònata intanto mandò a chiedere al re che richiamasse gli occupanti dell'Acra in Gerusalemme e quelli delle altre fortezze, perché erano sempre in lotta con Israele.42Demetrio fece rispondere a Giònata: "Non solo questo farò per te e per il tuo popolo ma colmerò te e il tuo popolo di onori appena ne avrò l'opportunità.43Ora però farai bene a inviarmi uomini che combattano con me, perché si sono ritirate le mie truppe".44Giònata gli inviò ad Antiochia tremila degli uomini più forti; essi si recarono presso il re, e il re si rallegrò della loro venuta.45I cittadini della capitale si radunarono al centro della città in numero di circa centoventimila uomini e volevano eliminare il re.46Il re si rifugiò nel palazzo, ma i cittadini occuparono le vie della città e incominciarono i combattimenti.47Il re chiamò in aiuto i Giudei, i quali accorsero tutti a lui; poi si sparsero per la città e ne uccisero in quel giorno circa centomila;48quindi incendiarono la città, fecero in quel giorno gran bottino e salvarono il re.49I cittadini videro che i Giudei si erano impadroniti della città a loro piacere e si persero d'animo e gridarono verso il re con voce supplichevole:50"Stendi a noi la destra e desistano i Giudei dal combattere noi e la città".51Gettarono le armi e fecero la pace. I Giudei crebbero in fama presso il re e presso quanti erano nel suo regno e fecero ritorno in Gerusalemme portando grande bottino.52Demetrio rimase sul trono del suo regno e il paese fu in pace sotto di lui.53Ma rinnegò quanto aveva detto, cambiò rapporti con Giònata e non corrispose alla benevolenza che questi gli aveva dimostrata e lo fece soffrire molto.
54Dopo questi fatti, Trifone ritornò con Antioco ancora adolescente, il quale cominciò a regnare e cinse la corona.55Si raccolsero presso di lui tutte le milizie che Demetrio aveva licenziate e mossero guerra contro di lui ed egli fuggì e rimase sconfitto.56Trifone catturò gli elefanti e si impadronì di Antiochia.57Allora il giovinetto Antioco scrisse a Giònata: "Ti confermo il sommo sacerdozio, ti faccio capo dei quattro distretti e ti concedo di essere tra gli amici del re".58Gli inviò vasi d'oro e un servizio da tavola con la facoltà di bere in quei vasi, di vestire la porpora e portare la fibbia d'oro.59Nominò anche Simone suo fratello comandante dalla Scala di Tiro fino ai confini dell'Egitto.60Giònata si diede a percorrere la provincia dell'Oltrefiume e le varie città e accorse a lui, come alleato, tutto l'esercito della Siria. Andò ad Ascalòna e i cittadini gli uscirono incontro a rendergli omaggio.61Di là passò a Gaza, ma gli abitanti di Gaza gli chiusero le porte; egli la cinse d'assedio e incendiò i sobborghi e li mise a sacco.62Allora quelli di Gaza supplicarono Giònata, il quale diede loro la destra, prelevando i figli dei loro capi come ostaggi e inviandoli a Gerusalemme; poi percorse la regione fino a Damasco.63Giònata venne a sapere che i capi di Demetrio si trovavano presso Cades in Galilea con un numeroso esercito e con l'intenzione di distoglierlo dall'impresa.64Egli si mosse contro di loro, lasciando il fratello Simone nel paese.65Simone si accampò contro Bet-Zur e l'assalì per molti giorni assediandola.66Allora supplicarono che desse loro la destra ed egli la diede, ma li fece sloggiare di là, occupò la città e vi pose una guarnigione.67Giònata a sua volta e il suo esercito si erano accampati presso il lago di Gennesaret e raggiunsero di buon mattino la pianura di Casòr.68Ed ecco l'esercito degli stranieri avanzare contro di lui nella pianura, dopo aver disposto appostamenti contro di lui sui monti. Essi avanzavano di fronte69quando gli appostati sbucarono dalle loro posizioni e attaccarono battaglia.70Tutti gli uomini di Giònata fuggirono, nessuno di loro rimase se non Mattatia figlio di Assalonne e Giuda figlio di Calfi, comandanti di contingenti dell'esercito.71Allora Giònata si stracciò le vesti, si cosparse il capo di polvere e si prostrò a pregare.72Poi ritornò a combattere contro di loro, li sconfisse e li costrinse alla fuga.73I suoi che erano fuggiti, quando videro ciò, ritornarono a lui e con lui si diedero all'inseguimento fino a Cades dov'era il loro accampamento e là anch'essi si accamparono.74Gli stranieri caduti in quel giorno furono circa tremila. Giònata tornò poi in Gerusalemme.
Giobbe 36
1Eliu continuò a dire:
2Abbi un po' di pazienza e io te lo dimostrerò,
perché in difesa di Dio c'è altro da dire.
3Prenderò da lontano il mio sapere
e renderò giustizia al mio creatore,
4poiché non è certo menzogna il mio parlare:
un uomo di perfetta scienza è qui con te.
5Ecco, Dio è grande e non si ritratta,
egli è grande per fermezza di cuore.
6Non lascia vivere l'iniquo
e rende giustizia ai miseri.
7Non toglie gli occhi dai giusti,
li fa sedere sul trono con i re
e li esalta per sempre.
8Se talvolta essi sono avvinti in catene,
se sono stretti dai lacci dell'afflizione,
9fa loro conoscere le opere loro
e i loro falli, perché superbi;
10apre loro gli orecchi per la correzione
e ordina che si allontanino dalla iniquità.
11Se ascoltano e si sottomettono,
chiuderanno i loro giorni nel benessere
e i loro anni nelle delizie.
12Ma se non vorranno ascoltare,
di morte violenta periranno,
spireranno senza neppure saperlo.
13I perversi di cuore accumulano l'ira;
non invocano aiuto, quando Dio li avvince in catene:
14si spegne in gioventù la loro anima,
e la loro vita all'età dei dissoluti.
15Ma egli libera il povero con l'afflizione,
gli apre l'udito con la sventura.
16Anche te intende sottrarre dal morso
dell'angustia:
avrai in cambio un luogo ampio, non ristretto
e la tua tavola sarà colma di vivande grasse.
17Ma se colmi la misura con giudizi da empio,
giudizio e condanna ti seguiranno.
18La collera non ti trasporti alla bestemmia,
l'abbondanza dell'espiazione non ti faccia fuorviare.
19Può forse farti uscire dall'angustia il tuo
grido,
con tutti i tentativi di forza?
20Non sospirare quella notte,
in cui i popoli vanno al loro luogo.
21Bada di non volgerti all'iniquità,
poiché per questo sei stato provato dalla miseria.
22Ecco, Dio è sublime nella sua potenza;
chi come lui è temibile?
23Chi mai gli ha imposto il suo modo d'agire
o chi mai ha potuto dirgli: "Hai agito male?".
24Ricordati che devi esaltare la sua opera,
che altri uomini hanno cantato.
25Ogni uomo la contempla,
il mortale la mira da lontano.
26Ecco, Dio è così grande, che non lo
comprendiamo:
il numero dei suoi anni è incalcolabile.
27Egli attrae in alto le gocce dell'acqua
e scioglie in pioggia i suoi vapori,
28che le nubi riversano
e grondano sull'uomo in grande quantità.
29Chi inoltre può comprendere la distesa delle
nubi,
i fragori della sua dimora?
30Ecco, espande sopra di esso il suo vapore
e copre le profondità del mare.
31In tal modo sostenta i popoli
e offre alimento in abbondanza.
32Arma le mani di folgori
e le scaglia contro il bersaglio.
33Lo annunzia il suo fragore,
riserva d'ira contro l'iniquità.
Salmi 34
1'Di Davide, quando si finse pazzo in presenza di Abimelech e, da lui scacciato, se ne andò.'
2Alef. Benedirò il Signore in ogni tempo,
sulla mia bocca sempre la sua lode.
3Bet. Io mi glorio nel Signore,
ascoltino gli umili e si rallegrino.
4Ghimel. Celebrate con me il Signore,
esaltiamo insieme il suo nome.
5Dalet. Ho cercato il Signore e mi ha risposto
e da ogni timore mi ha liberato.
6He. Guardate a lui e sarete raggianti,
non saranno confusi i vostri volti.
7Zain. Questo povero grida e il Signore lo ascolta,
lo libera da tutte le sue angosce.
8Het. L'angelo del Signore si accampa
attorno a quelli che lo temono e li salva.
9Tet. Gustate e vedete quanto è buono il Signore;
beato l'uomo che in lui si rifugia.
10Iod. Temete il Signore, suoi santi,
nulla manca a coloro che lo temono.
11Caf. I ricchi impoveriscono e hanno fame,
ma chi cerca il Signore non manca di nulla.
12Lamed. Venite, figli, ascoltatemi;
v'insegnerò il timore del Signore.
13Mem. C'è qualcuno che desidera la vita
e brama lunghi giorni per gustare il bene?
14Nun. Preserva la lingua dal male,
le labbra da parole bugiarde.
15Samech. Sta' lontano dal male e fa' il bene,
cerca la pace e perseguila.
16Ain. Gli occhi del Signore sui giusti,
i suoi orecchi al loro grido di aiuto.
17Pe. Il volto del Signore contro i malfattori,
per cancellarne dalla terra il ricordo.
18Sade. Gridano e il Signore li ascolta,
li salva da tutte le loro angosce.
19Kof. Il Signore è vicino a chi ha il cuore ferito,
egli salva gli spiriti affranti.
20Res. Molte sono le sventure del giusto,
ma lo libera da tutte il Signore.
21Sin. Preserva tutte le sue ossa,
neppure uno sarà spezzato.
22Tau. La malizia uccide l'empio
e chi odia il giusto sarà punito.
23Il Signore riscatta la vita dei suoi servi,
chi in lui si rifugia non sarà condannato.
Zaccaria 8
1Questa parola del Signore degli eserciti mi fu rivolta:2"Così dice il Signore degli eserciti:
Sono acceso di grande gelosia per Sion,
un grande ardore m'infiamma per lei.
3Dice il Signore: Tornerò a Sion e dimorerò in Gerusalemme. Gerusalemme sarà chiamata Città della fedeltà e il monte del Signore degli eserciti Monte santo".4Dice il Signore degli eserciti: "Vecchi e vecchie siederanno ancora nelle piazze di Gerusalemme, ognuno con il bastone in mano per la loro longevità.5Le piazze della città formicoleranno di fanciulli e di fanciulle, che giocheranno sulle sue piazze".6Dice il Signore degli eserciti: "Se questo sembra impossibile agli occhi del resto di questo popolo in quei giorni, sarà forse impossibile anche ai miei occhi?" - dice il Signore degli eserciti -.
7Così dice il Signore degli eserciti:
"Ecco, io salvo il mio popolo
dalla terra d'oriente e d'occidente:
8li ricondurrò ad abitare in Gerusalemme;
saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio,
nella fedeltà e nella giustizia".
9Dice il Signore degli eserciti: "Riprendano forza le vostre mani. Voi in questi giorni ascoltate queste parole dalla bocca dei profeti; oggi vien fondata la casa del Signore degli eserciti con la ricostruzione del tempio.
10Ma prima di questi giorni
non c'era salario per l'uomo,
né salario per l'animale;
non c'era sicurezza alcuna
per chi andava e per chi veniva
a causa degli invasori:
io stesso mettevo gli uomini l'un contro l'altro.
11Ora invece verso il resto di questo popolo
io non sarò più come sono stato prima
- dice il Signore degli eserciti -.
12È un seme di pace:
la vite produrrà il suo frutto,
la terra darà i suoi prodotti,
i cieli daranno la rugiada:
darò tutto ciò al resto di questo popolo.
13Come foste oggetto di maledizione fra le genti, o casa di Giuda e d'Israele, così quando vi avrò salvati, diverrete una benedizione. Non temete dunque: riprendano forza le vostre mani".
14Così dice il Signore degli eserciti: "Come decisi di affliggervi quando i vostri padri mi provocarono all'ira - dice il Signore degli eserciti - e non mi lasciai commuovere,15così invece mi darò premura in questi giorni di fare del bene a Gerusalemme e alla casa di Giuda; non temete.16Ecco ciò che voi dovrete fare: parlate con sincerità ciascuno con il suo prossimo; veraci e sereni siano i giudizi che terrete alle porte delle vostre città.17Nessuno trami nel cuore il male contro il proprio fratello; non amate il giuramento falso, poiché io detesto tutto questo" - oracolo del Signore -.
18Mi fu ancora rivolta questa parola del Signore degli eserciti:19"Così dice il Signore degli eserciti: Il digiuno del quarto, quinto, settimo e decimo mese si cambierà per la casa di Giuda in gioia, in giubilo e in giorni di festa, purché amiate la verità e la pace".
20Dice il Signore degli eserciti: "Anche popoli e abitanti di numerose città si raduneranno21e si diranno l'un l'altro: Su, andiamo a supplicare il Signore, a trovare il Signore degli eserciti; ci vado anch'io.22Così popoli numerosi e nazioni potenti verranno a Gerusalemme a consultare il Signore degli eserciti e a supplicare il Signore".
23Dice il Signore degli eserciti: "In quei giorni, dieci uomini di tutte le lingue delle genti afferreranno un Giudeo per il lembo del mantello e gli diranno: Vogliamo venire con voi, perché abbiamo compreso che Dio è con voi".
Apocalisse 21
1Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più.2Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo.3Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
"'Ecco la dimora' di Dio con gli uomini!
'Egli dimorerà tra di loro
ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro"'.
4'E tergerà ogni lacrima dai loro occhi';
non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno,
perché le cose di prima sono passate".
5E Colui che sedeva sul trono disse: "Ecco, io faccio nuove tutte le cose"; e soggiunse: "Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.
6Ecco sono compiute!
Io sono l'Alfa e l'Omega,
il Principio e la Fine.
'A colui che ha sete' darò 'gratuitamente'
acqua della fonte 'della vita'.
7Chi sarà vittorioso erediterà questi beni;
'io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio'.
8Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolàtri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. È questa la seconda morte".
9Poi venne uno dei sette angeli che hanno le sette coppe piene degli ultimi sette flagelli e mi parlò: "Vieni, ti mostrerò la fidanzata, la sposa dell'Agnello".10L'angelo mi trasportò in spirito su di un monte grande e alto, e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal cielo, da Dio, risplendente della gloria di Dio.11Il suo splendore è simile a quello di una gemma preziosissima, come pietra di diaspro cristallino.12La città è cinta da un grande e alto muro con dodici 'porte': sopra queste porte stanno dodici angeli e 'nomi' scritti, i nomi delle dodici 'tribù dei figli d'Israele'.13'A oriente tre porte, a settentrione tre porte, a mezzogiorno tre porte e ad occidente tre porte'.14Le mura della città poggiano su dodici basamenti, sopra i quali sono i dodici nomi dei dodici apostoli dell'Agnello.
15Colui che mi parlava aveva come misura una canna d'oro, per misurare la città, le sue porte e le sue mura.16La città è a forma di quadrato, la sua lunghezza è uguale alla larghezza. L'angelo misurò la città con la canna: misura dodici mila stadi; la lunghezza, la larghezza e l'altezza sono eguali.17Ne misurò anche le mura: sono alte centoquarantaquattro braccia, secondo la misura in uso tra gli uomini adoperata dall'angelo.18Le mura sono costruite con diaspro e la città è di oro puro, simile a terso cristallo.19Le fondamenta delle mura della città sono adorne di ogni specie di pietre preziose. Il primo fondamento è di diaspro, il secondo di zaffìro, il terzo di calcedònio, il quarto di smeraldo,20il quinto di sardònice, il sesto di cornalina, il settimo di crisòlito, l'ottavo di berillo, il nono di topazio, il decimo di crisopazio, l'undecimo di giacinto, il dodicesimo di ametista.21E le dodici porte sono dodici perle; ciascuna porta è formata da una sola perla. E la piazza della città è di oro puro, come cristallo trasparente.
22Non vidi alcun tempio in essa perché il Signore Dio, l'Onnipotente, e l'Agnello sono il suo tempio.23La città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna perché la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l'Agnello.
24'Le nazioni cammineranno alla sua luce
e i re della terra a lei porteranno la loro magnificenza'.
25'Le' sue 'porte non si chiuderanno mai durante il giorno',
poiché non vi sarà più notte.
26'E porteranno a lei la gloria' e l'onore 'delle nazioni'.
27'Non entrerà in essa nulla d'impuro',
né chi commette abominio o falsità,
ma solo quelli che sono scritti
nel libro della vita dell'Agnello.
Capitolo XLIII: Contro l’inutile scienza di questo mondo
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, non ti smuovano i ragionamenti umani, per quanto eleganti e profondi; ché "il regno di Dio non consiste nei discorsi, ma nelle virtù" (1Cor 4,20). Guarda alle mie parole; esse infiammano i cuori e illuminano le menti; conducono al pentimento e infondono molteplice consolazione. Che tu non legga mai neppure una parola al fine di poter apparire più dotto e più sapiente. Attendi, invece, alla mortificazione dei vizi; cosa che ti gioverà assai più che essere a conoscenza di molti difficili problemi. Per quanto tu abbia molto studiato ed appreso, dovrai sempre tornare al principio primo. Sono io "che insegno all'uomo la sapienza" (Sal 93,10); sono io che concedo ai piccoli una conoscenza più chiara di quella che possa essere impartita dall'uomo. Colui per il quale sono io a parlare, avrà d'un tratto la sapienza e progredirà assai nello spirito. Guai a coloro che vanno ricercando presso gli uomini molte strane nozioni, e poco si preoccupano di quale sia la strada del servizio a me dovuto. Verrà il tempo in cui apparirà il maestro dei maestri, Cristo signore degli angeli, ad ascoltare quel che ciascuno ha da dire, cioè ad esaminare la coscienza di ognuno. Allora Gerusalemme sarà giudicata in gran luce (Sof 1,12). Allora ciò che si nascondeva nelle tenebre apparirà in piena chiarezza; allora verrà meno ogni ragionamento fatto di sole parole.
2. Sono io che innalzo la mente umile, così da farle comprendere i molti fondamenti della verità eterna; più che se uno avesse studiato a scuola per dieci anni. Sono io che insegno, senza parole sonanti, senza complicazione di opinioni diverse, senza contrapposizione di argomenti; senza solennità di cattedra. Sono io che insegno a disprezzare le cose terrene, a rifuggire da ciò che è contingente e a cercare l'eterno; inoltre, a rifuggire dagli onori, a sopportare le offese, a riporre ogni speranza in me, a non desiderare nulla all'infuori di me e ad amarmi con ardore, al di sopra di ogni cosa. In verità ci fu chi, solo con il profondo amore verso di me, apprese le cose di Dio; e le sue parole erano meravigliose. Abbandonando ogni cosa, egli aveva imparato assai più che applicandosi a sottili disquisizioni. Ad alcuni rivolgo parole valevoli per tutti; ad altri rivolgo parole particolari. Ad alcuni appaio con la mite luce di figurazioni simboliche, ad altri rivelo i misteri con grande fulgore. La voce dei libri è una sola, e non plasma tutti in egual modo. Io, invece, che sono maestro interiore, anzi la verità stessa, io che scruto i cuori e comprendo i pensieri e muovo le azioni degli uomini, vado distribuendo a ciascuno secondo che ritengo giusto.
Contro Giuliano - libro quarto
Contro Giuliano - Sant'Agostino d'Ippona
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Riassunto del terzo libro.
1. 1. Passo ora ad esaminare le altre questioni, partendo dall'inizio del secondo dei tuoi libri, con cui hai cercato di confutare il mio. Come stabilito ometterò tutto ciò che non ha nulla a che fare con la questione che ci preme risolvere e non mi fermerò su cose superflue per non distogliere il lettore dall'attenta riflessione con la prolissità dell'opera. Nel precedente libro ho parlato abbastanza perché a chi pensa rettamente fosse chiaro che Dio, buono e vero, è il Creatore degli uomini; che il matrimonio è un bene, e che è stato istituito da Dio con la creazione e l'unione dei due sessi ed è stato benedetto col dono della fecondità; che la concupiscenza tuttavia, per la quale la carne ha voglie contro lo spirito 1, è un male di cui fa buon uso la pudicizia coniugale, e di cui la continenza ancor più santa fa meglio a non farne uso affatto; che il male non è stato mescolato a noi, come sostengono i manichei, da una sostanza non creata da Dio, ma è nato ed è stato tramandato per la disobbedienza di un solo uomo e dev'essere espiato e sanato dall'obbedienza di un altro; che, per il legame con esso, una pena dovuta colpisce chi nasce ed una grazia non dovuta scioglie chi rinasce. Lodando questo male contro di me, ti riveli come mio avversario, combattendolo in te, sei mio testimone; non combattendolo, invece, sei nemico a te stesso. Pertanto, anche se credo di aver risposto abbastanza al tuo primo libro, e benché la questione possa dirsi finita, tuttavia, per non dare l'impressione che non sappia rispondere agli altri tre, esamino quante sciocchezze hai detto anche in essi.La pudicizia coniugale è un dono di Dio.
1. 2. Dopo avere citato alcune parole dal mio libro, esulti perché, "sulla testimonianza dell'Apostolo, ho detto: la pudicizia coniugale è un dono di Dio 2" quasi che per questo egli abbia lodato il male lodato da te, per il quale la carne ha voglie opposte allo spirito 3 e del quale fa buon uso la pudicizia coniugale, come ti ho dimostrato nel mio precedente libro. Non è infatti un piccolo dono di Dio riuscirlo a frenare in maniera da non farlo abbandonare ad alcunché di illecito, e da servirsene solo per generare dei figli destinati alla rigenerazione. Il suo impeto non si frena automaticamente e qualora le membra acconsentissero alle sue brame non si asterrebbe da nessun illecito. Per questo motivo non è degno di lode il movimento in sé, che è sempre inquieto, ma colui che lo frena e ne fa buon uso.L'intenzione dei coniugi pii.
1. 3. I fedeli sposati, pertanto, che per dono del Salvatore sono stati sciolti dal reato di questo male, quando ne fanno buon uso, non preparano come tu obietti, per il regno del diavolo coloro che, per dono dello stesso Salvatore, nascono da essi, ma li generano perché siano sottratti e trasferiti nel regno del Figlio Unigenito. Questa è e dev'essere l'intenzione dei buoni coniugi: che la generazione sia una preparazione alla rigenerazione. Se questo male che i genitori sentono in sé ed a cui, per usare le tue parole, "si è opposta la schiera degli Apostoli" 4, non riguardasse anche i figli, senza dubbio ne sarebbero immuni. Dal momento però che essi ne nascono soggetti perché ti meravigli che i bambini rinascono per essere sciolti dall'obbligazione e per essere premiati alla fine quali vincitori, sia nel caso che siano sottratti a questa vita subito dopo essere stati liberati e sia nel caso che, dopo essere stati liberati, debbono combattere contro di esso in questa vita?L'unione dei corpi è necessaria nel matrimonio.
1. 4. Chi di noi ha mai lontanamente pensato che "l'uso del matrimonio è stato scoperto dal diavolo"? Chi di noi ha mai creduto che "l'unione dei corpi c'è stata per colpa della prevaricazione", dal momento che non può esserci matrimonio senza unione? Non ci sarebbe stato alcun male da usare bene però, se nessuno avesse peccato. Obiettami pure quello che ho detto perché possa spiegarmi: se tu mi obietti quello che non ho detto, quando finiamo?.Il male contratto con la generazione dev'essere sanato con la rigenerazione.
1. 5. Ritieni logico che "se un uomo nasce con un male, vuol dire che il dono di Dio è nocivo: nessuno infatti nasce se non per dono di Dio". Ascolta e comprendi. Il dono di Dio per cui ciascuno esiste e vive non è nocivo a nessuno. Il male della concupiscenza, però, non può sussistere se non in chi esiste e vive. Per questo ci può essere un male in un dono di Dio, che sarà sanato da un altro dono di Dio. Nell'uomo, quindi, che per dono di Dio esiste e vive, ci può essere un male contratto con la generazione, che sarà sanato con la rigenerazione. Nessun bambino, infatti, nascerebbe soggetto al diavolo se non nascesse, ma non per questo la causa di questo male sta nell'essere nato. Il bambino nasce per dono di Dio, ma soggetto al demonio, secondo un giudizio di Dio, certamente occulto, ma forse ingiusto?Il bene dei matrimonio oggetto di preghiera.
2. 6. "Anche il bene coniugale si deve chiedere al Signore se non lo si ha" 5. (Chi altri dovrebbe chiederlo se non colui al quale è necessario?). Con queste parole ti è sembrato che io abbia detto: "Si deve pregare per avere la forza di compiere l'unione coniugale". Io però ho detto che bisogna pregare per la castità coniugale, nella quale non c'è libero uso nel rapporto, ma lecita misura. Se un uomo non può praticare l'unione coniugale, non cerchi neppure la moglie. Secondo le parole dell'Apostolo, infatti: Se non sanno serbarsi continenti, si sposino 6, il matrimonio, come tu stesso ammetti, è un rimedio al male della concupiscenza, che ti ostini a negare pur ammettendo il rimedio 7. Questo rimedio esiste non perché ci sia la concupiscenza qualora non ci fosse, ma per impedire che essa, essendo la sua spinta senza freni, trascini all'illecito. Appartiene a questo genere di richieste quella che facciamo nella preghiera del Signore: Non c'indurre in tentazione 8, poiché ciascuno è tentato dalla propria concupiscenza 9 come afferma l'apostolo Giacomo. Ad essa si riferisce anche l'altra preghiera: Liberaci dal male 10. Lo stesso chiedono i coniugi affinché, con la mente libera dal male, possano fare buon uso del male che hanno nella carne (sanno bene infatti che nella loro carne non dimora il bene 11), poi, sanata tutta la corruttibilità, in essi non rimanga alcun male di cui debbano fare buon uso. Perché ti vai gloriando come se avessi sconfitto un nemico? Vinci piuttosto il nemico interno che tu lodi. Finché quel male combatte dentro di te, la mia vittoria su di te è sicura. Non oserai infatti dire che chi dice il vero sarà vinto da chi dice il falso. Ora io dico che la concupiscenza contro cui combatti è un male, tu invece che è un bene: la guerra che combatti però dimostra che è un male quello che la lingua falsamente dichiara un bene. Accrescendo per di più la tua menzogna con un'altra affermando che io l'ho dichiarata buona. Non ho detto affatto che la concupiscenza di cui l'apostolo Giovanni dice che non è dal Padre 12, è un bene. Ho detto soltanto che è un bene la pudicizia coniugale, che resiste al male della concupiscenza perché, quando questa si eccita, non trascini all'illecito.Il pensiero dei due avversari sulla concupiscenza.
2. 7. Riconoscendo quanto hai ragionato a vuoto, tocchi, tu dici, l'altro aspetto della mia definizione ed aggiungi: "Se il calore genitale, servitore dell'onestà coniugale, è trattenuto dagli smodati impulsi sia dall'impegno dei fedeli, sia dalla virtù del dono, ma non è estinto dalla grazia, ma solo frenato, è accettabile nel suo genere e nella sua moderazione, ed è condannato solo nei suoi eccessi". Scrivendo queste parole non ti rendi conto che l'unione dei coniugi in vista della generazione è un bene lodevole in quanto con essa è posto un limite lecito al male della concupiscenza. Ma perché non dev'essere chiamato male quello che riconosci dev'essere frenato? Perché poi deve essere frenato, se non per evitare che rechi danno e che si abbandoni alle brutture che brama? Finché non si giunge ad esserne privi del tutto, il desiderio del male è già male anche se non vi si consente. Non si deve quindi pensare al bene che può derivare dalla concupiscenza, ma piuttosto al male che produce. La castità coniugale trattiene la concupiscenza, bramosa di ricavare piacere sia dal lecito che dall'illecito, dal fare cose illecite e la guida verso cose lecite, verso un bene cioè non suo ma di chi ne fa buon uso. L'azione della concupiscenza in se stessa, l'infiammare cioè indifferentemente verso il lecito o verso l'illecito, è indubbiamente un male. Di esso la castità coniugale fa buon uso, ma la continenza verginale fa molto meglio a non farne uso affatto.La generazione non può avvenire senza la concupiscenza.
2. 8. "Se il calore genitale, tu scrivi, poteva essere naturalmente cattivo, doveva essere estirpato più che regolato". Vedi come non hai voluto dire "frenato", come dicevi sopra, ma hai preferito "regolato". Ti sei accorto che non lo può frenare chi non lo ha in contrasto. Cambiando la parola, spinto da quel sentore, hai finito per ammettere che è male ciò che contrasta il bene. Preferisci poi chiamare "calore genitale" perché ti rincresce di chiamare "libidine" o concupiscenza della carne, termine usato abitualmente dal linguaggio divino. Parla dunque così, dì pure: "Se la concupiscenza della carne poteva essere naturalmente cattiva, doveva essere estirpata più che regolata". In tal modo i lettori più lenti, se sanno di latino, possono capire quello che dici. Lo dici però come se tutti quelli che si sposano perché non sopportano la fatica della continenza con cui si resiste alla concupiscenza, e che di conseguenza scelgono di farne buon uso anziché far meglio a non farne uso affatto, non preferirebbero estirparla nel proprio corpo se fosse loro possibile. Se in questo corpo di morte questo male è necessario agli sposati, perché senza di esso non si può avere il bene della generazione, i continenti estirpino la concupiscenza della carne. Tu però, proprio tu che parli e non badi a quello che dici, estirpa la libidine dalle tue membra. A te non è necessaria e non sono buone per te le sue voglie, che ti procureranno la morte, se ad esse acconsenti o ti arrendi.I coniugi fanno un buon uso del male della concupiscenza.
2. 9. Se in te c'è un male che ti contrasta, che tu combatti e sconfiggi quando sei vittorioso, fai molto meglio a non fare uso di questo male di cui fanno buon uso quelli nei quali pretendi che esso sia un bene. Su questo punto o menti o ti sbagli. Non dirai, spero, che la libidine è un bene negli sposati ed è un male invece nei santi, nelle vergini e nei continenti. Abbiamo già la tua tesi dove hai scritto: "Chi conserva la moderazione nella concupiscenza naturale, fa buon uso di un bene; chi invece non la conserva, fa cattivo uso di un bene; chi poi per amore della santa verginità, disprezza anche la moderazione, fa meglio a non far uso di un bene, perché la fiducia nella sua salvezza e nella sua forza gli ha fatto disprezzare il rimedio, onde poter affrontare gloriose lotte" 13. Con queste tue parole, senza ambiguità, dichiari che la concupiscenza della carne esiste negli uni e negli altri, negli sposati cioè e nei continenti. Ora quello di cui gli sposati fanno buon uso ed i continenti fanno meglio a non farne uso, io lo dichiaro un male e tu un bene. Nelle vergini sante, però, e nei continenti appare con evidenza che la concupiscenza è un male contro cui, come ammetti tu pure, essi esercitano gloriose lotte. Senza dubbio quindi non di un bene ma di un male fanno meglio a non far uso. Ed anche i coniugi facendo uso di esso fanno buon uso di un male e non di un bene. Tutta la controversia che è rimasta (seppure è rimasto qualcosa!) è questa: in chi ha consacrato a Dio la propria continenza, la concupiscenza di cui parliamo è un bene o un male? Quella delle due cose che si scoprirà in essi, apparirà con evidenza anche negli sposati poiché questi fanno buon uso della stessa cosa di cui quelli fanno meglio a non far uso. Raccogli pertanto tutta l'energia del tuo acuto ingegno e, a mente serena, rispondi pure, se hai coraggio, "che è un bene quello a cui ha resistito tutta la schiera degli Apostoli", come tu stesso hai ammesso nel precedente libro quando mi rimproveravi perché avevo detto che "le forze della libidine erano tante che ad essa non ha resistito neppure la schiera degli Apostoli" 14. Tutto questo torna piuttosto a vantaggio della mia tesi perché a questo male che tu dichiari un bene, si è opposta non una schiera qualunque di santi, ma proprio quella degli Apostoli. Chi può mai credere che un male abbia tanta forza da poter trovare ammiratori anche tra coloro che lo sconfiggono? Ben lontano in verità sia il credere che qualcuno degli antichi, degli Apostoli, di tutti gli altri santi o, strano a dirsi, anche qualcuno dei nuovi eretici possa professarsi ad un tempo, in maniera incomprensibile naturalmente, vincitore e difensore della libidine, e che, restando nell'eresia pelagiana, si sforzi di dimostrare che egli loda dal profondo dell'anima qualcosa che ucciderebbe l'animo stesso se non fosse sconfitta e che, nello stesso tempo, sconfigge dal profondo dell'anima qualcosa che, se non fosse lodata ne renderebbe vano il domma.L'oggetto della concupiscenza è cattivo.
2. 10. Se in voi c'è ancora un po' di buon senso, vi domando: è possibile che il peccato sia un male e sia un bene il desiderarlo? Cosa infatti la concupiscenza suscita nella carne dei santi continenti se non il desiderio di peccare a cui non acconsentono "esercitando, come tu stesso ammetti, gloriose lotte"? In quella professione di continenza non può non essere male neppure il semplice desiderio dell'unione coniugale. Cosa dunque essa suscita laddove è male qualunque cosa fa, come se vi acconsentisse e lo portasse a compimento? Cosa suscita la concupiscenza laddove nulla di buono viene desiderato da essa? Che cosa può fare la libidine laddove nulla di buono potrà sorgere da essa? Non si dica neppure che essa è presente non importunamente nei coniugati: se essi infatti raggiungono il culmine della castità coniugale faranno qualcosa di buono per mezzo di essa, ma non faranno nulla di buono a causa di essa. Nei santi vergini e continenti che cosa fa, ti scongiuro, che cosa fa questa tua alleata se vaneggi o nemica se rinsavisci? Che cosa fa laddove niente di buono essa può fare e niente di buono si può trarre da essa? Che cosa fa in quelli nei quali è male qualunque desiderio sia concorde con essa? Che cosa essa fa in chi costringe a vigilare e a combattere contro di sé? E se talvolta riesce a rubare loro un consenso almeno nel sonno, cosa fa in costoro che, al risveglio, si lamentano e gemono: Come è possibile che l'anima mia sia ripiena di illusioni 15? Quando il sonno inganna i sensi assopiti, non so proprio come le anime caste possano cadere in cattivi consensi 16, che se l'Altissimo li dovesse imputare, chi potrebbe esser casto?La infirmitas, causa della lotta.
2. 11. Spero che non vorrai chiamare bene questo male, a meno che non sia diventato sordo ad ogni richiamo della verità, al punto da gridare che è un bene desiderare il male, cosa che non oseresti gridare neppure ai sordi. Questo male, dunque, perché non è estirpato dalla carne dei casti? Perché non è estirpato totalmente ad opera della mente? Tu dici che "questo sarebbe dovuto avvenire se fosse stato un male". E siccome questo non avviene negli sposati, nei quali la moderazione è necessaria, ritieni che sia un bene. Fa' bene attenzione però che non avviene neppure in coloro nei quali nessuna moderazione è necessaria. Per essi anzi la sua stessa presenza è dannosa, non al punto da portare alla perdizione, se non gli si dà il consenso, ma in quanto sottrae alla mente dei santi il diletto spirituale di cui l'Apostolo scrive: Io mi diletto, secondo l'uomo interiore, della legge di Dio 17. Questo diletto certamente diminuisce quando l'animo di chi combatte è impegnato non ad appagare ma a contrastare la concupiscenza del piacere carnale. In tal modo egli esercita gloriose lotte ma col risultato di essere allontanato per le stesse lotte dal gusto della bellezza intellettuale. Ma poiché in questa umana miseria il nemico peggiore è sempre la superbia, da cui ci si deve guardare, nella carne dei santi continenti questa concupiscenza non si estingue del tutto, cosicché, mentre combatte contro di essa, l'anima, ammonita da pericoli costanti, non si gonfi fin quando la fragilità umana non arriverà al culmine della perfezione, dove non ci sarà più putredine di dissolutezza o timore di superbia. La virtù si perfeziona nella debolezza 18 perché anche il combattere appartiene alla debolezza. Quanto più facilmente si vince, infatti, tanto meno si combatte. Chi combatterebbe contro se stesso se dentro non ci fosse nulla che lo contrastasse? E cosa ci contrasta dentro di noi, se non ciò che deve essere ancora curato per essere sanato? In noi, dunque, la debolezza è la sola causa del combattimento e la stessa debolezza è ammonimento a non insuperbirsi. La virtù dunque, per cui l'uomo non si insuperbisce quaggiù mentre lo potrebbe, si perfeziona nella debolezza.La concupiscenza è in se stessa un disordine.
2. 12. Per questo i coniugi fanno buon uso di ciò di cui i continenti fanno meglio a non far uso affatto. Il male di cui i coniugi fanno buon uso è insito in essi perché ne facciano buon uso e, affinché non s'insuperbiscano, è insito anche nei continenti che fanno molto meglio a non farne uso. Dei soli eccessi della libidine quindi è incolpato solo chi non le pone un freno, mentre giustissimamente è accusata di per se stessa, a causa dei suoi stessi movimenti, a cui si fa resistenza perché non abbia il sopravvento. È falsa pertanto la tua affermazione: "La moderazione di una cosa che fa male a causa del suo stesso genere, non porta affatto all'innocenza". Non acconsentire ad un male, però, porta all'innocenza, ma non per questo finisce di essere male ciò a cui non si acconsente, anzi proprio per questo indubbiamente è un male appunto perché è bene non acconsentirvi. Che male farebbe chi acconsente ad un buon desiderio, dal momento che non fa nulla di male neppure chi nell'atto matrimoniale, pur con il male della concupiscenza, pone il seme dell'uomo, creatura buona di Dio? Non dirai neppure che "la libidine produce il seme". È creatore del seme dell'uomo, infatti, Colui che crea l'uomo dal seme. Ora a noi interessa donde lo crea. Poiché il contagio di questo male è occulto e funesto, Dio non crea né il seme né l'uomo da uomini che non hanno tale male, anche se taluni sono stati sciolti dal danno di quel male per la rigenerazione, come del resto per essa saranno sciolti anche coloro che nasceranno.La concupiscenza si oppone alla volontà buona.
2. 13. Riguardo alla castità coniugale ho scritto veramente, e non me ne pento, le parole da te citate: "...poiché quando queste cose ci vengono presentate come dono di Dio, si sa a chi dobbiamo chiederle se non le abbiamo e chi dobbiamo ringraziare se le abbiamo". Si ringrazia non per "l'origine della concupiscenza", come tu dici, la cui origine è il primo male dell'uomo, ma "per il dominio di essa", cosa che dici rettamente. Delle due cose, infatti, tu parli "dell'origine e del dominio". Si ringrazia per il dominio sulla concupiscenza perché la si vince nel contrasto. Chi può negare poi che quello che si oppone alla buona volontà non è un bene ma un male, se non chi non ha il bene della volontà per riconoscere come male ciò che lo contrasta?Veramente casto è il coniuge che serba fedeltà per amore di Dio.
3. 14. Dal mio libro tu citi altre parole con cui, dopo avere ricordato, sulla testimonianza dell'Apostolo, che la castità coniugale è un dono di Dio, non ho voluto passare sotto silenzio la questione che ne derivava, quella cioè riguardante il matrimonio di taluni infedeli che vivono castamente con le loro mogli 19. Per negare che le virtù con le quali si vive rettamente sono un dono di Dio e per attribuirle non alla grazia, ma alla natura umana, siete soliti ricorrere all'argomento che taluni infedeli le posseggono. Cercate in tal modo di svuotare la nostra convinzione che nessuno può vivere rettamente se non trae forza dalla fede per mezzo di Gesù Cristo Signore nostro, unico Mediatore tra Dio e gli uomini, dimostrandovi, di conseguenza, suoi manifesti avversari. Ma non andiamo lontano. Se per caso sbaglio, rispondimi. Io ho detto: "Non può essere chiamato veramente casto chi conserva la fedeltà alla moglie ma non per il Dio vero". Per dimostrartelo mi sono servito di quello che mi è sembrato un ottimo argomento. Scrivevo così: "Se la castità è una virtù cui si oppone il vizio della impudicizia e, se tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo, come si può dire veramente casto il corpo, quando l'anima si prostituisce lontano dal vero Dio?" 20. Perché nessuno di voi negasse che l'anima degli infedeli si prostituisce lontano da Dio, mi sono servito di una testimonianza della Sacra Scrittura: Quelli che si allontanano da te periranno; hai mandato in rovina chiunque si prostituisce lontano da te 21. Ma tu, che "persegui, come dici, le mie argomentazioni che a me sembrano molto acute", hai saltato del tutto questa, come se a me fosse sembrata stupida. Vedi un po' quale di queste cose si deve negare. Certamente confesserai subito che la castità coniugale è una virtù e non negherai che tutte le virtù, anche quelle che vengono praticate attraverso il corpo, dimorano nell'animo. Che l'animo dell'infedele si prostituisca lontano da Dio, lo può negare solo chi apertamente si professa nemico della Sacra Scrittura. Da tutto questo, in sintesi, si deduce che ci può essere vera pudicizia nell'anima che si prostituisce, cosa di cui tu stesso vedi l'assurdità, oppure che nell'anima dell'infedele non ci può essere vera castità. Quando dico questo, però, tu fai il sordo. Non è vero, dunque, come mi vai calunniando, che io "lodo i doni per disprezzare la sostanza". Se la sostanza umana, di cui i vizi stessi offrono una testimonianza della sua bontà naturale, non fosse buona, non sarebbe capace dei doni divini. Cos'altro infatti giustamente dispiace nel vizio, se non il fatto che sottrae o sminuisce quello che nella natura piace?La grazia non è mai dovuta.
3. 15. Quando l'uomo dunque viene aiutato da Dio, "non viene aiutato soltanto per conseguire la perfezione", come hai scritto, presupponendo naturalmente che egli inizi senza la grazia il cammino che la grazia perfeziona, ma viene aiutato piuttosto secondo quanto afferma l'Apostolo: Chi in voi ha iniziato l'opera buona, la perfezionerà fino al compimento 22. Tu vuoi che l'uomo si glori del libero arbitrio e non di Dio quando, come tu dici, "è spinto dagli stimoli del suo cuore generoso a fare qualcosa di lodevole". Ma così, se egli deve dare prima per ricevere dopo, la grazia non è più grazia, poiché non è gratuita. Tu dici che "la natura degli uomini, che merita l'aiuto di tale grazia, è buona". Ti sarei grato se ti sentissi dire che questo avviene perché la natura è ragionevole: la grazia di Dio, infatti, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore non è concessa alle pietre, al legno ed agli animali. L'uomo merita la grazia perché è immagine di Dio, ma non nel senso che la buona volontà possa andare avanti senza la grazia, o che possa dar prima per ricevere poi, sicché la grazia non sarebbe più grazia 23 appunto perché non donata gratuitamente ma restituita dovutamente. Che significa poi che, alla vostra maniera, avete creduto che "ho chiamato dono celeste l'effetto della volontà umana", come se la volontà umana si potesse muovere verso il bene senza la grazia di Dio, sicché gli venisse retribuito da Dio l'effetto dovuto? A tal punto avete dimenticato che con la Sacra Scrittura noi diciamo contro di voi: La volontà viene preparata da Dio 24 e: È Dio, infatti, che suscita in noi anche il volere? O ingrati alla grazia di Dio! O nemici della grazia di Cristo e cristiani solo di nome! Non prega forse la Chiesa per i suoi nemici? E cosa chiede? Se ad essi deve essere retribuito secondo il valore della loro volontà, cos'altro può chiedere per essi se non un grande castigo? Ma questo è andare contro di essi, non a loro favore. La Chiesa invece prega per essi, non perché abbiano già la volontà buona, ma perché la loro cattiva volontà si muti in buona. La volontà infatti viene preparata da Dio, ed è Lui, come scrive l'Apostolo, che suscita in voi anche il volere 25.Le virtù dei pagani o non sono vere o sono dono di Dio.
3. 16. Acerrimi nemici qual siete di questa grazia, ci obiettate l'esempio degli empi che, voi dite, "benché estranei alla fede, abbondano di virtù; in essi non c'è l'aiuto di Dio, ma solo il bene di natura, pur se talvolta inficiato da superstizioni, eppure con le sole forze della libertà ingenita spesso sono misericordiosi, modesti, casti, sobri". Così dicendo hai sottratto alla grazia di Dio anche quello che prima le attribuivi, vale a dire l'effetto della volontà. Non hai detto infatti che essi vorrebbero essere misericordiosi, modesti, casti, sobri e non lo sono proprio perché non hanno ancora avuto dalla grazia l'effetto della buona volontà, ma affermi semplicemente che se vogliono esserlo lo sono senz'altro. In essi evidentemente troviamo la volontà e l'effetto della volontà. Cosa rimane alla grazia di Dio in tante evidenti virtù che, a tuo avviso, abbondano in essi? Quanto sarebbe stato meglio, se ti piace lodare gli empi senza ascoltare le parole della Scrittura: Chi dice al colpevole: "Sei innocente" sarà maledetto dai popoli, sarà esecrato dalle nazioni 26, e predicare che essi abbondano di vere virtù? Quanto sarebbe stato meglio riconoscere che anche queste virtù sono un dono di Dio, al cui decreto occulto ma non ingiusto si deve attribuire se taluni nascono stolti o lentissimi d'ingegno e addirittura ottusi nel capire, se altri nascono smemorati, altri forniti di intelligenza o di memoria o di entrambi i doni, tali da poter acutamente comprendere le cose e quindi conservarle nello scrigno di una tenacissima memoria? A Dio si deve altresì se taluni sono remissivi di natura, mentre altri sono molto irascibili anche per futili motivi, e se altri, fra questi estremi, pongono un giusto limite alla bramosia della vendetta; se taluni sono impotenti, o talmente freddi al coito da non essere quasi eccitati, mentre altri sono tanto focosi da non potersi frenare ed altri, fra entrambi gli eccessi, sono capaci di eccitarsi e di frenarsi; se taluni sono molto timidi, altri coraggiosissimi ed altri né l'una né l'altra cosa; così pure se alcuni sono ilari, altri tristi ed altri non inclini né all'una né all'altra cosa. Tutto questo non è attribuito a decisioni o propositi, ma alla natura, tanto che i medici osano attribuirlo alla costituzione fisica. Anche se si potesse provare che non esiste questione o è già chiusa, si può forse dire che ciascuno ha creato il proprio corpo e può attribuirsi alla volontà di ciascuno il fatto di soffrire in misura maggiore o minore di questi mali naturali? Certamente, infatti, nessuno, mentre vive quaggiù, in nessuna maniera e per nessun motivo può non patirli. Purtuttavia, sia se si è gravati da grandi o da piccoli mali, non è lecito dire a colui che si è fatto da sé, anche se onnipotente, giusto e buono: Perché mi hai fatto così? 27 Nessuno, se non il secondo Adamo, può liberare dal giogo che grava sui figli del primo Adamo 28. Quanto sarebbe più accettabile attribuire quelle, che negli infedeli chiami virtù, al dono di Dio più che alla loro volontà soltanto. Essi però lo ignoreranno fino a quando, se sono del numero dei predestinati, riceveranno da Dio lo spirito per capire i doni ricevuti da Dio 29.Se la giustizia viene dalla volontà e dalla natura, Cristo è morto invano.
3. 17. Non può esserci vera virtù senza vera giustizia, né può esserci vera giustizia se non si vive di fede. È scritto infatti: Il giusto vive di fede 30. Chi mai tra coloro che vogliono essere ritenuti cristiani, eccetto i soli pelagiani, o eccetto tu solo forse tra i pelagiani, potrà dichiarare giusto un infedele, giusto un empio, giusto uno che appartiene al diavolo? E questo sia che si tratti di Fabrizio, di Fabio, di Scipione o di Regolo, col nome dei quali hai creduto di spaventarmi come se ci trovassimo in una antica curia romana. Su questo argomento puoi anche appellarti alla scuola di Pitagora o di Platone, nella quale uomini eccezionalmente eruditi in una filosofia molto più nobile delle altre sostenevano che non esistono vere virtù, se non quelle impresse in certo modo nella mente dalla forma di quella eterna ed immutabile sostanza che è Dio. Ebbene, con tutta la forza che mi è data, anche nell'interno di questa scuola continuerò a gridare con la libertà della pietà che neppure in quei filosofi c'è vera giustizia. Il giusto vive di fede. La fede nasce dalla predicazione e la predicazione ha luogo per mezzo della parola di Cristo. Il termine della legge è Cristo, affinché chiunque creda consegua la giustificazione 31. Come possono essere veramente giusti coloro per i quali è viltà l'umiltà del vero Giusto? La superbia li ha allontanati dal punto dove li aveva avvicinati l'intelligenza, poiché pur avendo conosciuto Dio, né gli diedero gloria, come a Dio, né gli resero grazie, ma vaneggiarono nei loro ragionamenti ed il loro cuore insensato si offuscò. Essi che pretendevano di essere sapienti, diventarono stolti 32. Come può esserci vera giustizia se in essi non c'è vera sapienza? Se noi l'attribuissimo a loro, non ci sarebbe motivo per dire che non arrivano al regno del quale è scritto: Il desiderio della sapienza porta al regno 33. Cristo sarebbe morto invano se gli uomini, pur senza la fede in Cristo, potessero giungere per qualunque altra ragione o qualunque altra via alla vera fede, alla vera virtù, alla vera giustizia, alla vera sapienza. E quindi, come l'Apostolo con assoluta verità afferma riguardo alla legge: Se la giustizia si ottiene mediante la legge, Cristo allora è morto inutilmente 34, alla stessa maniera, con identica verità, si potrebbe dire: se la giustizia si ottiene per mezzo della natura e della volontà, Cristo è morto inutilmente. Se una giustizia qualsiasi si ottiene per mezzo della dottrina degli uomini, Cristo è morto inutilmente. Il mezzo che porta alla vera giustizia è lo stesso che porta al regno di Dio. Dio stesso, infatti - sia ben lontano il pensarlo! -, si dimostrerebbe ingiusto se non ammettesse nel suo regno un vero giusto, dal momento che il suo regno è essenzialmente giustizia, come è scritto: Il regno di Dio non è né cibo né bevanda, ma giustizia, pace e gioia 35. Di conseguenza se gli empi non hanno vera giustizia, le altre virtù, compagne e colleghe di essa, anche quando sono presenti, non sono vere virtù. (Quando i doni di Dio non sono riferiti al loro Creatore, per questo stesso fatto i cattivi che se ne servono diventano ingiusti). Per tutte queste ragioni la continenza e la castità non possono essere vere virtù negli empi.Quando le virtù sono "vere ".
3. 18. Tu intendi molto male le parole dell'Apostolo: Quelli che partecipano alla gara s'impongono ogni sorta di privazioni 36. Arrivi infatti ad affermare che la continenza, una virtù tanto grande della quale è scritto che nessuno può essere continente se non gli è dato da Dio 37, la possono possedere anche i flautisti o altri simili individui turpi e infami. Gli atleti, quando partecipano alla gara, si astengono da ogni cosa per conseguire una corona corruttibile; non si astengono tuttavia dalla cupidigia di questa vanità. Questa cupidigia vana e perciò cattiva domina o frena in essi le altre cattive cupidigie, per cui sono detti continenti. Per fare una gravissima offesa agli Scipioni, hai attribuito la continenza tanto lodata in essi, anche agli istrioni, ignorando del tutto che l'Apostolo, nell'esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha preso esempi dalle viziose passioni degli uomini, allo stesso modo come, in un altro passo, la Scrittura, per esortare gli uomini all'amore della sapienza, ha detto che bisogna cercarla come il danaro 38. Si dirà forse per questo che la Sacra Scrittura ha esaltato l'avarizia? Sono note le fatiche e i dolori a cui si assoggettano con pazienza quelli che cercano avidamente il denaro, ed è noto altresì come essi si astengono dai piaceri sia per l'avidità di accrescere il guadagno, sia per il timore di diminuirlo; si sa con quanta sagacia perseguono il guadagno evitando con accortezza i danni e che per lo più hanno paura di toccare i beni degli altri e talvolta disprezzano i beni ad essi sottratti perché non succeda che, nella pretesa di riaverli o nella lite, finiscano per perderne di più. Dalla considerazione di tutte queste cose, giustamente siamo esortati ad amare la sapienza così da desiderare avidamente di farne tesoro e da accrescerla sempre più in noi, evitando che abbia a diminuire in qualche parte; così da sopportare le molestie, frenare le passioni, guardare al futuro e conservare l'innocenza e la disposizione a fare il bene. Quando facciamo tutto questo, abbiamo le vere virtù, perché è vero quello per cui lo facciamo; tutto questo, cioè, è conforme alla nostra natura umana per la salvezza e la vera felicità.Le azioni valgono secondo le intenzioni.
3. 19. Non è una definizione assurda quella di chi ha detto che "la virtù è un abito dell'anima conforme all'ordine della natura " 39. Ha detto il vero ma ignorava quello che era conforme alla natura dei mortali per liberarla e renderla felice. Tutti noi non potremmo desiderare per naturale istinto di essere immortali e felici se questo non fosse possibile. Questo bene sommo però non può pervenire agli uomini se non per mezzo di Cristo e Cristo crocifisso, dalla cui morte è vinta la morte e per le cui ferite la nostra natura è sanata. Per questo il giusto vive della fede 40 in Cristo. Per questa fede infatti egli vive con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia e proprio perché vive con fede egli vive rettamente e sapientemente con tutte queste vere virtù. Se le virtù pertanto non giovano all'uomo per il conseguimento della vera beatitudine che la vera fede in Cristo ci ha promesso immortale, non giovano a nulla e in nessun modo possono essere vere virtù. Vuoi forse chiamare vere virtù quelle degli avari quando escogitano con sagacità le vie del guadagno, quando sopportano molte sofferenze e disagi per accumulare denaro e castigano le varie cupidigie della vita lussuriosa, vivendo con temperanza e sobrietà, o quando, astenendosi dal toccare la roba altrui, disprezzano quello che hanno perduto, cosa che sembrerebbe appartenere alla giustizia, onde evitare il pericolo di perdere di più tra contese e tribunali? Quando si fa qualcosa con prudenza, fortezza, temperanza e giustizia si agirebbe con tutte e quattro le virtù che, secondo il tuo parlare, sono vere virtù, e per conoscere la loro veridicità fosse sufficiente guardare solo quello che si fa e non per qual motivo lo si fa. Affinché quindi non abbia a sembrare un calunniatore, citerò le tue stesse parole: "tutte le virtù hanno la loro origine nell'anima razionale; tutte le affezioni per cui siamo buoni fruttuosamente o sterilmente si trovano nel soggetto della nostra mente: la prudenza, la giustizia, la temperanza e la fortezza. Quantunque la forza di queste affezioni è presente in tutti secondo natura, essa non porta tutti al medesimo fine. A seconda del giudizio della volontà, al cui volere ubbidiscono, esse portano ai beni temporali o a quelli eterni. Quando ciò avviene, variano non in ciò che sono o in ciò che fanno, ma soltanto in ciò che meritano. Esse pertanto non possono perdere il proprio nome o il proprio genere, ma saranno arricchite dall'ampiezza o deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato". Dove abbia appreso tutto questo, lo ignoro. Da esso però appare, mi sembra, che ritieni vere virtù: la prudenza degli avari con cui essi escogitano ogni sorta di guadagno; la giustizia degli avari con cui, per il timore di perdite maggiori, essi sono portati talvolta a disprezzare più facilmente le loro perdite anziché usurpare qualcosa agli altri; la temperanza degli avari con cui essi frenano l'appetito della lussuria, che porterebbe ad un eccessivo dispendio, e si contentano solo del cibo e delle vesti necessarie; la fortezza degli avari, per la quale, come dice Orazio, fuggono la povertà per mare, per terra e per fuoco 41 e per la quale, durante l'invasione barbarica, nessun tormento dei nemici riuscì a costringere alcuni di essi a consegnare i beni che avevano. Queste virtù dunque, turpi e deformi a causa di questo fine, che proprio per questo, in nessun modo sono vere e genuine virtù, a te appaiono talmente vere e belle che "non possono perdere né il nome né il genere, ma possono solo essere deluse dalla pochezza del premio che hanno desiderato", del frutto cioè delle comodità terrene, non dei premi celesti. Sarebbe dunque vera giustizia per Catilina attirare molti con l'amicizia, il mantenerli con l'ossequio ed il dividere con tutti i propri averi; sarebbe per lui vera fortezza il sopportare il freddo, la fame e la sete e vera pazienza il sopportare il digiuno, il freddo e la veglia più di quanto si possa immaginare 42. Chi, se non un insipiente, può avere convinzioni del genere?.I vizi non sempre son opposti alle virtù.
3. 20. Quantunque sia un uomo erudito, tu sei stato ingannato dall'apparenza di verità che hanno quei vizi. Essi sembrano confinanti e vicinissimi alle virtù, mentre in realtà sono tanto lontani da esse, quanto i vizi dalle virtù. La costanza, per esempio, è una virtù a cui si oppone l'incostanza: è un vizio tuttavia la quasi confinante ostinazione che rassomiglia alla costanza. Voglia il cielo che tu non abbia questo vizio, quando avrai riconosciuto che sono vere le cose che dico, perché non abbia a credere di dover restare con ostinazione nel vizio, credendo di amare la costanza. I vizi non soltanto sono manifestamente contrari a tutte le virtù, per una evidentissima differenza, come la temerarietà alla prudenza, ma in certo modo anche vicini e simili, non nella realtà, ma per qualche aspetto ingannevole. Alla prudenza è simile non la temerarietà o l'imprudenza, ma l'astuzia, che è tuttavia un vizio, anche se nella Sacra Scrittura se ne ha una accezione in senso buono nelle parole: Prudenti come i serpenti 43, e una in senso cattivo quando si dice che nel Paradiso il serpente era la più astuta di tutte le bestie selvatiche 44. Per questi vizi, che abbiamo dichiarati quasi confinanti con le virtù, non si possono trovare facilmente neppure i nomi, ma, anche se non si sa come chiamarli, debbono essere ugualmente fuggiti.La vera virtù obbedisce a Dio, non ai piaceri carnali.
3. 21. Sappi pertanto che le virtù debbono essere distinte dai vizi non per i loro compiti, ma per il fine. Il compito è quello che si deve fare, il fine è quello per cui lo si deve fare. Se un uomo fa qualcosa che apparentemente non sembra peccato, si dovrà convincere che è peccato se non lo fa per il fine per il quale lo si deve fare. Non ponendo attenzione a tutto questo, hai separato il fine dai compiti ed hai finito per chiamare vere virtù i compiti senza il fine. Ne segue tanta assurdità che sei costretto a chiamare giustizia anche quella che scopri dominata dall'avarizia. Nell'astenersi dal prendere la roba altrui, se si considera il compito, si ha l'impressione che si tratta di giustizia; se invece si va a cercare il motivo per cui lo si fa e la risposta è che non si perda di più nelle contese, come può essere vera giustizia, quando serve apertamente l'avarizia? Simili virtù le introdusse Epicuro quali schiave del piacere perché servissero a fare tutto quanto si faceva, unicamente per conseguirlo o per conservarlo. Ben lontano sia il pensare che le virtù vere possano essere al servizio di altri all'infuori di colui e per colui a cui diciamo: Dio delle virtù, convertici 45. Le virtù che favoriscono pertanto i diletti della carne o qualsivoglia altra comodità o profitto temporale, non possono decisamente essere vere. E neppure sono vere virtù quelle che non vogliono essere al servizio di nessuna cosa. Le vere virtù sono al servizio di Dio negli uomini e da lui sono donate agli uomini; sono al servizio di Dio negli Angeli e da lui sono donate anche agli Angeli. Tutto quanto di bene viene fatto dagli uomini, anche se dal punto di vista del compito sembra buono, se non lo si fa per il fine indicato dalla vera sapienza, è peccato per la stessa mancanza di rettitudine nel fine.È assurdo parlare di bontà sterile.
3. 22. È possibile dunque che siano fatte delle opere buone, senza che agisca bene chi le fa. È un bene, per esempio, cercare di aiutare un uomo in pericolo, specie se innocente. Chi lo aiuta però, se lo fa amando di più la gloria degli uomini che quella di Dio, non compie bene l'opera buona, perché non compie bene quello che non compie con una volontà buona. Lungi sia chiamare volontà buona quella che cerca la gloria in altri o in se stessa e non in Dio. Non si può definire buono neppure il suo frutto. Un albero cattivo, infatti, non può fare frutti buoni. L'opera buona piuttosto deve essere attribuita a colui che opera bene anche per mezzo dei cattivi. Per la qual cosa non puoi neppure immaginare quanto t'inganni l'opinione secondo cui "tutte le virtù sono affezioni, grazie alle quali siamo buoni fruttosamente o sterilmente". Non possiamo infatti essere buoni sterilmente perché non siamo buoni quando siamo sterili. Un albero buono produce frutti buoni 46. Lungi sia che Dio buono, che ha preparato la scure per gli alberi che non portano frutti buoni, tagli e getti nel fuoco gli alberi buoni 47. Gli uomini buoni, per nessuna ragione possono essere sterili. Quelli invece che non sono buoni, possono essere più o meno cattivi.Perché la Chiesa combatte i pelagiani.
3. 23. Anche quelli che hai voluto ricordare, di cui l'Apostolo ha detto: I pagani pur privi di legge sono legge a se stessi. Essi mostrano scritta nei loro cuori la realtà della legge 48, non vedo come possano esserti di aiuto. Hai cercato di dimostrare per mezzo di essi che anche gli estranei alla fede di Cristo possono avere una vera giustizia, per il fatto che, sulla testimonianza dell'Apostolo, essi compiono secondo natura ciò che la legge prescrive 49. Con maggior evidenza hai espresso qui il vostro domma, per il quale siete nemici della grazia di Dio, che ci viene da Gesù Cristo Signore nostro, che porta via i peccati del mondo 50: hai introdotto cioè un genere di uomini in grado di piacere a Dio per la legge della natura, senza la fede in Cristo. Questo è il motivo principale per cui la Chiesa cristiana vi detesta. Ma cosa vuoi che essi siano? Hanno essi vere virtù ma sono sterili poiché non agiscono per Dio, oppure piacciono a Dio anche per queste azioni e da lui sono premiati con la vita eterna? Se li dichiari sterili, a che giova loro il fatto che, secondo l'Apostolo, li difenderanno i loro pensieri... nel giorno in cui Dio giudicherà le azioni occulte degli uomini 51? Se poi quelli che sono difesi dai loro pensieri non sono sterili per il fatto che hanno compiuto secondo natura le opere della legge e perciò trovano l'eterna ricompensa presso Dio, senza dubbio alcuno per questo sono giusti poiché vivono della fede 52.Senza la fede non si può piacere a Dio.
3. 24. Hai inteso a tuo piacimento, e l'hai esposto non secondo il suo significato ma secondo quello che gli hai dato, la testimonianza dell'Apostolo da me citata: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato 53. L'Apostolo infatti parlava di cibi. Dopo aver detto: Se colui che è nel dubbio mangia, è condannato, non avendo agito secondo la fede 54, ha inteso dimostrare questa specie particolare di peccato con un argomento di ordine generale aggiungendo: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato. Ti posso concedere qui che si deve intendere soltanto dei cibi. Cosa invece dirai dell'altra testimonianza che parimenti ti ho citata ed a cui nulla hai obiettato, non avendo trovato una via per girarla a tuo favore, quella cioè scritta agli Ebrei: senza la fede è impossibile piacere 55? Per fare tale affermazione egli intendeva tutta la vita dell'uomo, nella quale il giusto vive di fede. Tuttavia, pur essendo impossibile piacere a Dio senza la fede, ti piacciono tanto le virtù senza la fede che vai predicando che sono vere virtù, e che per mezzo di esse gli uomini sono buoni. Poi, quasi spinto dal pentimento di averle lodate, non esiti a dichiararle sterili.Gli uomini senza fede peccano, perché non agiscono con un retto fine.
3. 25. Questi dunque, che sono giusti secondo la legge naturale, se piacciono a Dio gli piacciono per la fede, perché è impossibile piacergli senza la fede. E per quale fede essi piacciono, se non per quella di Cristo? Così infatti si legge negli Atti degli Apostoli: In Lui Dio ha accreditato la fede dinanzi a tutti col risuscitarlo dai morti 56. Per questo è stato detto che, pur essendo senza la legge, hanno compiuto le opere della legge secondo natura, perché sono giunti al Vangelo dal paganesimo e non dalla circoncisione a cui era stata affidata la legge. È stato detto "secondo natura" poiché la natura stessa è stata in essi corretta dalla grazia di Dio affinché potessero credere. Per mezzo di questi, però, non ti è possibile dimostrare quello che vorresti, che cioè gl'infedeli hanno vere virtù: anch'essi, infatti, sono fedeli. Se non avessero la fede di Cristo, non potrebbero essere giusti né piacere a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede. Nel giorno del giudizio i loro pensieri li difenderanno solo per essere puniti in maniera più blanda, per il fatto che hanno comunque compiuto secondo natura le opere della legge, portando scritta nel proprio cuore l'opera della legge al punto da non fare agli altri quello che essi non avrebbero voluto soffrire. Hanno mancato solo nel fatto che, non avendo fede, non hanno indirizzato queste opere al fine al quale avrebbero dovuto indirizzarle. Fabrizio sarà punito meno di Catilina, non perché egli era buono, ma soltanto perché questi era più cattivo. Fabrizio era meno empio di Catilina non perché possedeva vere virtù, ma solo perché ha deviato di meno dalle vere virtù.Non si dà un luogo intermedio tra l'inferno e il cielo.
3. 26. A tutti costoro che hanno dimostrato alla patria terrena un amore profano ed hanno servito con virtù civile, non vera, ma simile alla vera, i demoni o la gloria umana, a tutti costoro, voglio dire, ai vari Fabrizio, Regolo, Fabio, Scipione, Camillo ed a tutti gli altri, al pari dei fanciulli morti senza battesimo, preparerete forse un luogo intermedio tra la perdizione ed il regno dei cieli, dove non siano nel tormento ma in una gioia eterna, essi che non sono piaciuti a Dio, al quale è impossibile piacere senza la fede, che non hanno avuto mai né nelle opere né nel cuore? Non riesco a credere che la vostra spregiudicatezza possa estendersi fino a simili impudenze. "Andranno dunque, tu ci chiedi, alla perdizione eterna quelli in cui c'era la vera giustizia?". O voce avventata per impudenza ancora maggiore! In loro non c'era la vera giustizia, lo ripeto, perché le azioni si giudicano dal fine e non semplicemente dagli atti.La castità di un animo peccatore non è autentica virtù.
3. 27. Da uomo elegantissimo e garbatissimo, con tono faceto e spiritoso dichiari: "Se si afferma che la castità degli infedeli non è castità, per la stessa ragione si deve dire che il corpo dei pagani non è corpo; che gli occhi dei pagani non hanno la capacità di vedere; che il grano che cresce nel campo dei pagani non è grano e tante altre cose di tale assurdità da muovere al riso gli uomini intelligenti". Il vostro riso per la verità muove gli intelligenti al pianto e non al riso, come il riso dei pazzi muove al pianto il cuore degli amici sani. In contrasto con la Sacra Scrittura pertanto osi negare che l'animo dell'infedele è idolatra, oppure affermare che nel suo animo idolatra c'è vera castità, e ridi e sei sano di mente? Da che parte, in che modo, per quale motivo può avvenire questo? Ebbene, la loro non è vera castità e la vostra non è vera sanità. Nell'animo dell'idolatra non c'è vera castità, e c'è veramente pazzia nell'uomo che fa tale vergognosa affermazione e ci ride su. Lungi da noi dire che il corpo dei pagani non è corpo o altro del genere. E per giunta non è neppure conseguente che se non è vera la virtù di cui l'empio possa gloriarsi, non è vero neppure il suo corpo che è creato da Dio. Tranquillamente, invece, possiamo affermare che la fronte degli eretici non è fronte, se col nome di fronte intendiamo non la parte del corpo creata da Dio, ma il pudore. Cosa avresti detto se, nello stesso mio libro al quale ti vanti di aver risposto, non avessi preammonito che nella tesi secondo cui affermiamo che tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato 57, non siano incluse quelle cose che negli infedeli sono dono di Dio sia nei beni dell'anima che in quelli del corpo? Ivi sono inclusi singolarmente anche questi che vai garrendo a vuoto: il corpo, gli occhi e tutte le altre membra. A quel genere appartiene anche il grano che cresce nel campo dei pagani, del quale non essi, ma Dio è il creatore. Non hai forse citato fra le altre anche queste mie parole: "L'anima, il corpo, ogni altro bene insito naturalmente nell'anima o nel corpo sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha fatti, mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non viene dalla fede è peccato"? Se avessi tenuto a mente questo mio breve ma preciso pensiero, non saresti stato tanto impudente da affermare che noi avremmo potuto ritenere che "il corpo dei pagani non sia corpo, che i loro occhi non abbiano la possibilità di vedere o che il grano del campo dei pagani non è grano". Come svegliato dal sonno, ti ripeto le mie parole che probabilmente sono sfuggite alla tua memoria se hai fatto simili affermazioni: "Sono doni di Dio anche nei peccatori, perché non essi ma Dio li ha creati; mentre delle opere che essi compiono è detto: Tutto ciò che non deriva dalla fede è peccato". Quando dici cose insensate e ridi, sei simile ad un pazzo; quando poi non fai attenzione o dimentichi le cose vere dette da me e ricordate da te poco fa, e inserite nella stessa opera con cui ti vanti di rispondere alla mia, non rassomigli a chi è pazzo ma a chi è in letargo.La lotta tra la carne e lo spirito dura tutta la vita.
3. 28. Con ironia, dichiari "di meravigliarti che un ingegno tanto grande, il mio cioè, non ha capito quanto vi ho anche aiutato con l'affermazione: "alcuni peccati sono vinti da altri". Subito dopo aggiungi e concludi: "l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente con l'amore della santità, che Dio aiuta. Se infatti, i peccati sono vinti dai peccati, quanto più facilmente i peccati possono essere vinti dalle virtù?". Come se noi negassimo che l'aiuto di Dio abbia tanta forza da privarci oggi stesso, se lo volesse, da tutte le cattive cupidigie, contro cui combattiamo vittoriosamente. Tutto questo però non avviene e neppure tu lo neghi. Perché poi non avvenga, chi può conoscere la mente di Dio 58? Non credo di sapere poco tuttavia, quando so che, qualunque ne sia il motivo, in Dio giusto non c'è iniquità, né debolezza nella sua onnipotenza. C'è dunque qualcosa nel suo sublime e nascosto disegno per cui durante tutto il tempo nel quale viviamo in questa carne mortale ci deve essere in noi un male contro cui deve combattere il nostro spirito e per cui dobbiamo dire: Rimetti a noi i nostri debiti 59. Ma per parlarti da uomo a uomo, da uomo a cui la dimora terrena opprime l'animo teso verso l'alto 60, per quanto attiene ai meriti delle nature volute da Dio, non c'è nulla nelle creature di più eminente della mente razionale. Logico quindi che una mente buona piaccia maggiormente a se stessa e si diletti maggiormente di se stessa più di qualsiasi altra creatura. Sarebbe troppo lungo voler dimostrare disputando quanto sia pericoloso, anzi dannoso per la ragione un simile compiacimento, mentre si gonfia per questo tifo e si innalza per la malattia dell'orgoglio per tutto il tempo che non vede, come lo vedrà alla fine, quel Sommo ed Immutabile Bene, al cui paragone disprezzerà se stessa e, per amor Suo, diventerà ai suoi occhi tanto vile e si riempirà talmente dello spirito di Dio da porselo innanzi non solo con la ragione, ma anche con un amore eterno. Lo comprende bene colui che, stanco per la fame, rientra in se stesso e dice: Mi leverò e ritornerò da mio padre 61. Questo male della superbia allora soltanto finirà di tentare ed allora soltanto cesserà di essere nostro avversario di lotta, quando l'anima sarà saziata di tale meravigliosa visione e sarà infiammata da tanto amore per il Bene superiore, che non le sarà più possibile staccarsi dall'amore suo per compiacersi di se stessa. Non potrebbe essere questo il motivo per cui in questo luogo di debolezza dobbiamo vivere giorno per giorno, sotto il peso della remissione dei peccati per evitare di vivere con superbia? Proprio a causa di questo male della superbia, l'apostolo Paolo non poté fare affidamento sul suo arbitrio. Poiché non era ancora giunto alla partecipazione di un bene così grande, allorquando non sarebbe stato più possibile insuperbirsi, gli fu posto accanto un angelo di satana che lo schiaffeggiasse quaggiù dove è possibile insuperbirsi 62.La presunzione dei pelagiani.
3. 29. Sia questo il motivo o ce ne sia un altro molto più nascosto, non si può tuttavia dubitare del fatto che fin quando cammineremo sotto il peso di questo corpo corruttibile, se diciamo di non aver peccato, inganniamo noi stessi e la verità non è in noi 63. Per questo la S. Chiesa, anche in quelle membra in cui non c'è macchia di crimine o ruga di falsità 64, nonostante l'opposizione della vostra superbia, non cessa di ripetere a Dio: Rimetti a noi i nostri debiti 65. Chi non conosce i vostri dommi non può capire con quanta arroganza e con quale presunzione della vostra virtù tu abbia detto: "Con l'amore della santità e l'aiuto di Dio, l'uomo può essere privo di peccati molto facilmente". Voi, infatti, volete che nella volontà dell'uomo ci sia preventivamente, senza l'aiuto di Dio, l'amore della santità, che poi Dio deve aiutare secondo il merito, non gratuitamente. Siete così convinti che in questa vita piena di travagli l'uomo possa essere privo di peccati tanto da non avere motivo di dire: Rimetti a noi i nostri debiti. Talvolta però dai l'impressione di aver fatto l'affermazione con una certa timidezza, per il fatto che non hai detto: "può essere privo di tutti i peccati". In verità non hai voluto dire nemmeno "alcuni", ma, come arrossendo dinanzi a te stesso per l'eccessiva vostra presunzione, hai moderato il pensiero così che potesse essere difeso da noi e da voi. Qualora si discutesse tra i pelagiani si dovrebbe asserire che non è stato detto "alcuni" perché tu hai affermato che l'uomo può essere privo di tutti i peccati. Qualora poi si discutesse tra noi, si dovrebbe rispondere che non è stato detto "tutti", perché hai voluto intendere che qualsiasi uomo si trova nella necessità di chiedere perdono per alcuni peccati. Noi però che conosciamo il vostro pensiero, non possiamo ignorare con quale significato l'avete detto.I pagani compiono le opere di misericordia con un fine cattivo.
3. 30. Tu dirai: "Se un pagano veste una persona nuda, la sua azione è forse peccato perché non viene dalla fede?". Certamente, in quanto non proviene dalla fede è peccato, ma non perché è peccato l'azione in se stessa, l'atto cioè di vestire l'ignudo: solo l'empio però nega che è peccato il gloriarsi di tale opera al di fuori del Signore. Anche se si è discusso già abbastanza, siccome è un argomento tanto importante, ti prego di ascoltarmi ancora un tantino affinché lo comprenda. Citando le tue stesse parole: "Se un pagano, (che non vive della fede), veste un ignudo, libera qualcuno dal pericolo, cura le ferite di un malato, spende le ricchezze per oneste amicizie e non può essere spinto alla falsa testimonianza neppure con i tormenti", ti domando se queste opere buone le fa bene o male. Se le fa male, quantunque esse siano buone, non puoi negare che commette peccato appunto perché compie male qualcosa. Ma poiché non vuoi ammettere che, facendo tali azioni, egli fa peccato, senza dubbio dirai che egli compie buone azioni e le compie bene. Un albero cattivo dunque produce frutti buoni, cosa che la Verità nega possa avvenire. Non precipitare. Esamina piuttosto con attenzione cosa ti convenga rispondere. Puoi forse affermare che l'infedele è un albero buono? Piace dunque a Dio: al Buono non può non piacere ciò che è buono. E dove vanno a finire le parole: senza la fede è impossibile piacere a Dio 66? O forse risponderai che è un albero buono non in quanto è infedele, ma in quanto è un uomo? Di chi allora il Signore ha detto: Non può un albero cattivo produrre frutti buoni 67, dal momento che chiunque esso sia, può essere solo un uomo o un angelo? Ma se un uomo in quanto uomo è un albero buono, anche un angelo in quanto angelo è un albero buono. Entrambi sono opera di Dio, Creatore delle nature buone. Ma così non esisterà un albero cattivo, di cui è stato detto che non può produrre frutti buoni. Quale infedele pensa così infedelmente? Non in quanto uomo, pertanto, perché è opera di Dio, ma in quanto uomo di cattiva volontà, uno è albero cattivo e non può portare frutti buoni. Vedi dunque se puoi osare chiamare buona una volontà infedele.La misericordia è buona se nasce dalla fede.
3. 31. Forse dirai: la volontà misericordiosa è buona. Sarebbe esatta questa affermazione se la misericordia fosse sempre buona come è sempre buona la fede di Cristo, la fede cioè operante per mezzo della carità 68. Ma se si trova una misericordia cattiva come quella per cui in giudizio viene esaltata la persona di un povero 69, o quella per cui il re Saul ha meritato dal Signore una condanna e con misericordia per giunta poiché, mosso da affetto umano, contro il suo comando, aveva perdonato il re prigioniero 70, rifletti seriamente se per caso la misericordia buona non sia se non quella di questa fede buona. Affinché possa vedere questo senza ombra di dubbio, dimmi se ritieni buona una misericordia senza fede. Se, infatti, è vizio aver misericordia in modo cattivo, senza dubbio è vizio aver misericordia senza fede. Se poi anch'essa di per se stessa per naturale compassione, è un'opera buona, di questa fa cattivo uso chi ne fa uso senza fede. Chi compie quest'opera buona senza fede, la compie male ed indubbiamente pecca chi compie male qualcosa.La cattiva intenzione dei pagani nel fare il bene.
3. 32. Da questo si deduce che le stesse opere buone che compiono gl'infedeli non sono di loro, ma di Colui che fa buon uso dei cattivi. Sono di loro invece i peccati per i quali fanno male anche le cose buone, perché le fanno non con volontà fedele, ma infedele, vale a dire, le fanno con volontà stolta e nociva. Questa volontà - nessun cristiano ne dubita - è l'albero cattivo, che non può produrre se non frutti cattivi, cioè i peccati. Tutto ciò che non deriva dalla fede, infatti, che tu lo voglia o no, è peccato 71. Per questo Dio non può amare tali alberi e deciderà di tagliarli, se tali rimarranno, poiché senza la fede è impossibile piacere a Dio 72. Mi sto fermando su questo punto però come se tu non li avessi già dichiarati sterili. Come è possibile che tu non stia giocando in queste dispute o non stia delirando, se insisti a lodare i frutti di alberi sterili? Questi frutti o non esistono o, se sono cattivi, non debbono essere lodati. Se poi i frutti sono buoni, gli alberi non possono certo essere sterili, anzi debbono essere buoni, essendo buoni i loro frutti e debbono pure piacere a Dio, al quale i buoni alberi non possono non piacere. In tal caso però sarebbe falso quello che è scritto: Senza la fede è impossibile piacere 73.La mediazione di Cristo necessaria alla salvezza di tutti.
3. 33. Cosa risponderai se non parole vuote? "lo ho dichiarato, tu dici, sterilmente buoni quegli uomini che non indirizzano a Dio le opere buone che compiono e che, di conseguenza, non ricevono da lui la vita eterna". Dio dunque, buono e giusto, condanna i buoni alla morte eterna? Mi rincresce finanche dire quante stupidaggini ti vengono dietro mentre pensi, dici, e scrivi tali cose e nel riprenderti in tali cose come censore, che anch'io non finisca di istupidirmi allo stesso modo. Brevemente, perché non succeda che, mentre in queste cose tu sbagli molto di più di quanto è ammissibile, io dia l'impressione di dibattere con te solo sulle parole. Cerca di comprendere le parole del Signore: Se il tuo occhio è malato, tutto intero il tuo corpo sarà tenebroso, se il tuo occhio è sano, tutto intero il tuo corpo sarà illuminato 74. Sappi vedere in quest'occhio l'intenzione con cui ognuno compie le sue opere e per questo riconosci che chi compie le opere buone senza l'intenzione della fede buona, di quella cioè che opera per amore, significa che quasi tutto il corpo, costituito da quelle opere come da membra, è tenebroso, pieno cioè dell'oscurità dei peccati. Come alternativa, in considerazione della tua ammissione che le opere degl'infedeli, che pur ti sembrano buone, non riescono a condurre gli uomini alla salvezza eterna ed al regno, sappi che noi siamo convinti che quel bene, quella buona volontà, quell'opera buona non possono essere concesse a nessuno senza la grazia di Dio per mezzo dell'Unico Mediatore tra Dio e gli uomini. Solo attraverso quel bene è possibile arrivare al dono eterno di Dio ed al suo regno. Tutte le altre opere che sembrano poter meritare apprezzamento tra gli uomini, siano pur viste da te come vere virtù, come opere buone e fatte senza peccato. Per quanto mi riguarda questo so, che non le fa una volontà buona: una volontà infedele ed empia infatti non può essere buona. Volontà del genere, però, anche se da te sono dette alberi buoni, è sufficiente che siano sterili presso Dio, perché non siano buone. Siano pure fruttuose fra gli uomini per i quali sono anche buone, magari per tuo interessamento, per la tua lode e, se vuoi, mentre ne sei tu il piantatore, tu lo voglia o no, io rimango convinto che l'amore del mondo, per cui ciascuno è amico di questo mondo, non viene da Dio; che l'amore di gioire di qualsiasi creatura, senza l'amore del Creatore, non viene da Dio; che l'amore di Dio, infine, con cui si arriva fino a Dio non può derivare che da Dio Padre per mezzo di Gesù Cristo con lo Spirito Santo. Per quest'amore del Creatore ciascuno fa buon uso anche delle creature. Senza quest'amore del Creatore invece, nessuno ne fa buon uso. Questo amore è necessario perché anche la castità coniugale sia bene beatifico, perché, quando si fa uso della carne del coniuge, l'intenzione sia rivolta non al piacere della libidine, ma alla volontà della procreazione, e perché qualora vinca il piacere e diriga l'azione a se stesso e non alla propagazione dei figli, si commetta un peccato veniale in virtù del matrimonio cristiano.Perché gli uomini nascano sotto il potere del diavolo.
4. 34. Non ho mai detto quello che mi fai dire, dopo avere citate alcune altre parole del mio libro: che i figli, cioè, "sono soggetti al potere del diavolo per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". Ben diverso infatti è dire "che nascono dall'unione dei corpi" e "per il fatto che nascono dall'unione dei corpi". La causa del male cioè non sta nel fatto che nascono dall'unione dei corpi. Anche nella ipotesi, infatti, che la natura umana non fosse stata viziata dal peccato dei primi uomini, i figli non avrebbero potuto nascere se non dall'unione dei corpi. Prima che rinascano nello spirito, coloro che nascono dall'unione dei corpi si trovano sotto il potere del diavolo, perché nascono per mezzo di quella concupiscenza, per cui lo spirito ha voglie contro la carne e che costringe lo spirito ad avere desideri contro di essa 75. Tra il bene ed il male non ci sarebbe questa lotta se nessuno avesse peccato. Come non c'era lotta alcuna prima della caduta, così non ce ne sarà alcuna quando scomparirà l'infermità.La libidine negli animali non è un vizio.
5. 35. Proponi altre mie parole e ne fai un'abbondante disquisizione: "Poiché noi siamo composti di beni disuguali dei quali uno è comune agli dèi e l'altro alle bestie, l'anima deve avere il dominio sul corpo. La parte migliore, vale a dire l'anima, fornita di virtù, deve comandare bene alle membra del corpo ed alle passioni" 76. Non pensi però che alle passioni non si comanda come alle membra. Le passioni sono cattive e noi le freniamo con la ragione e le combattiamo con la mente. Le membra, al contrario, sono buone e le muoviamo secondo l'arbitrio della volontà, eccezion fatta dei genitali, quantunque anch'essi siano buoni in quanto sono opera di Dio. Essi sono chiamati "parti vereconde" perché sono mossi più facilmente dalla libidine che dalla ragione. Ad essi riusciamo solo ad impedire di giungere fino alla soddisfazione della eccitazione, a differenza del facile dominio che abbiamo sulle altre membra. Quando si fa cattivo uso delle membra buone se non quando si permette loro di assentire ai cattivi desideri che sono in noi? Tra di essi il più turpe è la libidine, la quale, se non trova resistenza, commette cose terribilmente immonde. Di questo male fa buon uso solo la castità coniugale. Questa libidine non è un male nelle bestie poiché non è in contrasto con la ragione, che esse non hanno. Perché dunque non credere che gli uomini nel paradiso terrestre, prima del peccato, abbiano avuto da Dio la possibilità di procreare i figli con movimenti tranquilli e tranquilla unione o mescolanza delle membra senza alcuna libidine o con una tale, la cui sollecitazione non prevenisse né andasse oltre la volontà? O forse per voi la libidine è poca cosa perché piace, a meno che non piaccia proprio perché vi sollecita mentre non volete o la contrastate? Di essa i pelagiani anche nelle controversie si gloriano come di un bene, mentre i santi tra i gemiti supplicano di essere liberati dal male.Una calunnia di Giuliano.
6. 36. "Calunniosamente mi addossi la ridicola contraddizione di aver dichiarato alcuni rei per opere di bene ed altri santi per opere cattive, per il fatto di avere detto che gli infedeli, facendo uso del bene del matrimonio senza la fede, lo trasforrnano in colpa ed in peccato, mentre, al contrario, il matrimonio dei fedeli pone il male della concupiscenza al servizio della giustizia" 77. Io però non ho detto che alcuni diventano rei per opere di bene, ma per opere cattive, poiché fanno un cattivo uso di cose buone e neppure che altri diventano santi per opere cattive, ma per opere buone, poiché fanno buon uso di cose cattive. Se non vuoi capire o fingi di non capire, non molestare quelli che vogliono e possono capire.Dio non è l'autore del male.
7. 37. "Pur se qualcuno potrebbe nascere cattivo, tu dici, non potrebbe mai essere trasformato in buono da un'abluzione". Alla stessa maniera dovresti dire: il corpo che è stato creato mortale, non può diventare immortale. Nell'un caso come nell'altro diresti una falsità. Dio infatti non l'ha creato cattivo quando ha creato l'uomo, ma il bene che egli ha creato ha contratto il male dal peccato, che Egli non ha creato. Risana invece questo male che non ha creato, nel bene che ha creato.Il potere del diavolo è soggetto a Dio.
7. 38. Noi non diciamo che "il diavolo ha istituito il matrimonio", né che "ha inventato la mescolanza seminale dei due sessi", né che "è opera sua l'unione dei coniugi in vista della generazione". Sono tutte cose volute da Dio e tutte potrebbero benissimo esistere senza il male della concupiscenza, se il diavolo non avesse inferto la ferita della prevaricazione, dalla quale sarebbe derivata la discordia tra lo spirito e la carne. Non rifletti su te stesso e non arrossisci per la tua garrula loquacità con cui vai dicendo tante stupidaggini, quale per esempio quella che "il diavolo sorprenderebbe i coniugi nella loro unione e, come se li avesse sorpresi in un'azione di sua competenza, non permette che siano generati dei figli destinati ad essere liberi dalla rigenerazione"? Quasi che, se il diavolo potesse fare tutto quello che vuole, si asterrebbe dallo strangolare gli empi avanzati in età, posti sotto il suo potere, non appena egli scopra la loro disposizione a diventare cristiani. Non è affatto logico, come vai immaginando, che il diavolo si oppone con minacce e terrore ai genitori che si uniscono per procreare figli destinati alla rigenerazione. Attraverso la ferita inferta dal diavolo, per la quale zoppica tutto il genere umano, viene generato qualcosa, essendone Dio il Creatore, che da Adamo passa a Cristo. Tutta la schiera dei diavoli infatti non avrebbe potuto avere in suo potere neppure i porci se Cristo non lo avesse permesso ad essi che lo richiedevano 78. Occorre tenere presente altresì che il Signore sa suscitare la corona dei martiri dalle persecuzioni stesse del diavolo, che egli permette, facendo buon uso di qualsiasi genere di mali per l'utilità dei buoni. Anche nei coniugi che non pensano neppure alla rigenerazione dei figli o addirittura la detestano, è un'opéra buona del matrimonio la mescolanza dei sessi per la procreazione, ed il suo frutto è l'ordinata ricezione della prole. Essi tuttavia fanno cattivo uso di quel bene e peccano per il fatto che si gloriano di generare e di aver generato una prole empia. Gli uomini, infatti, macchiati quanto si voglia di peccati, per essere stati contagiati o per averli commessi, in quanto uomini sono sempre un bene, ed appunto perché sono un bene è bene che nascano.Il fine della procreazione non giustifica l'adulterio.
7. 39. Ma perché "i figli siano generati, non è detto che si debbano commettere adulteri o stupri". Tu ritieni di poterci spingere a simili assurdità perché diciamo che il matrimonio produce il bene della prole dal male della libidine. Da questa nostra tesi vera e giusta in nessun modo può derivare la tua conclusione falsa e perversa. Per il fatto che Cristo ha detto: Procuratevi amici con la ricchezza iniqua 79, non per questo dobbiamo accrescere la nosra iniquità e commettere furti e rapine per nutrire con più larga generosità un numero maggiore di poveri. Allo stesso modo che con la ricchezza iniqua bisogna procurarsi gli amici che ci accolgano negli eterni padiglioni, così i coniugi dalla piaga del peccato originale debbono generare i figli destinati ad essere rigenerati per la vita eterna. Come non è permesso commettere furti, frodi, depredazioni per procurarsi, con l'aumento dei soldi attraverso i delitti, un maggior numero dei giusti amici poveri, così non bisogna aggiungere al male con cui siamo nati adulteri, stupri, fornicazioni perché nascano figli in maggior abbondanza. Altro è in verità fare buon uso di un male preesistente ed altro è commettere un male che non c'era. Nel primo caso si compie un bene volontario da un male contratto dai genitori; nel secondo caso si accresce il male contratto dai genitori con altre colpe personali e volontarie. Per la verità, è interessante notare che, mentre si dispensa lodevolmente ai bisognosi il denaro di iniquità, è molto più lodevole frenare la concupiscenza camale con la virtù della continenza anziché farne uso per il frutto del matrimonio. È tanto grande, infatti, il suo male che non farne uso è meglio che farne buon uso.La grazia secondo la dottrina pelagiana.
8. 40. Dopo aver citato altre mie parole, chiacchieri molto contro di esse senza dire niente, riportando sul tappeto questioni che sono state chiuse in precedenti discussioni. Se anch'io volessi ripeterle, quando finiremmo? Tra le altre, ripeti la vostra asserzione contro la grazia di Cristo, già tante volte ripetuta: che cioè "appellandoci alla grazia, facciamo diventare buoni gli uomini per fatale necessità", mentre vi chiudono la bocca e vi bloccano la lingua i bambini stessi che non sanno ancora parlare. Con molta loquacità vi affannate, con la speranza di convicere gli altri, a ricostruire qualcosa che Pelagio stesso ha condannato nel tribunale dei Vescovi palestinesi, "che la grazia di Dio, cioè, viene data secondo i meriti". Non riuscite però a trovare nei bambini alcun merito per il quale coloro che vengono adottati quali figli di Dio possano distinguersi da coloro che muoiono senza aver ricevuto questa grazia.La grazia proveniente.
8. 41. È una calunnia attribuire a me l'affermazione che "non ci si deve aspettare alcun impegno dalla volontà umana, in contrasto con le parole del Signore: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto, perché chiunque chiede riceve, chi cerca trova e a chi bussa sarà aperto 80". Vedo già che voi cercate di riporre qui i meriti che precedono la grazia, il chiedere appunto, il cercare, il bussare. A tali meriti sarebbe dovuta la grazia che, di conseguenza, non potrebbe chiamarsi più grazia, come se prima non ci fosse stata alcuna grazia che avesse toccato il cuore per poter chiedere a Dio un bene beatifico, o per poter cercare Dio o poter bussare a lui. A vuoto quindi sarebbe stato scritto: la sua misericordia mi previene 81, ed a vuoto saremmo comandati di pregare per i nostri nemici 82 se non fosse nelle sue possibilità convertire i cuori avversi e lontani.L'universale volontà salvifica di Dio.
8. 42. Adducendo la testimonianza dell'Apostolo, affermi che: Dio apre a tutti quelli che bussano poiché egli vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità 83. Vorresti farci intendere, secondo il vostro insegnamento, che non tutti si salvano ed arrivano alla conoscenza della verità perché essi si rifiutano di chiedere mentre Dio vuole dare; si rifiutano di cercare mentre Dio vuol mostrare; si rifiutano di bussare mentre Dio vuole aprire. Questo vostro sentire lo confutano con il loro silenzio gli stessi bambini, che non chiedono, non cercano e non bussano, che anzi, mentre sono battezzati gridano, respingono, ricalcitrano, eppure ricevono, trovano, viene loro aperto ed entrano nel regno di Dio, dove per loro c'è la salvezza eterna e la conoscenza della verità. Sono molto più numerosi però i bambini che non ricevono l'adozione di questa grazia da Colui che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità. Ad essi il Signore non può dire: io volevo e tu non hai voluto 84. Se infatti avesse voluto veramente, quale dei bambini, che non possiedono ancora l'arbitrio della volontà, avrebbe potuto resistere alla sua onnipotentissima volontà? Perché non prendere allora secondo la medesima accezione le due seguenti espressioni dell'Apostolo: Dio vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità 85, e: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita 86? (Dio infatti vuole che siano salvi ed arrivino alla conoscenza della verità tutti quelli ai quali, per l'opera di giustizia di uno solo, perviene la grazia che dà la giustificazione alla vita). Non ci si venga a dire perciò: Anche se Dio vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, non giungono solo perché non vogliono. Perché mai tante migliaia di bambini, che muoiono senza aver ricevuto il battesimo, non arrivano al regno di Dio dove c'è la conoscenza della verità? Che forse non sono uomini o non sono compresi nelle parole tutti gli uomini? O forse si può dire che Dio vuole ed essi no, quando non sanno ancora volere e non volere e quando neppure quelli che, morti in tenera età dopo il battesimo, giungono per mezzo della grazia alla conoscenza della verità che è nel regno di Dio, hanno voluto essere rinnovati dal battesimo di Cristo? Dal momento quindi che né quelli che non vengono battezzati perché non vogliono, né questi vengono battezzati perché vogliono, per qual motivo Dio che vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità, permette che tanti, pur non opponendo alcuna resistenza alla sua volontà, non giungano al regno, dove c'è la vera conoscenza della verità?Il caso dei bambini che muoiono senza battesimo.
8. 43. Forse potrai dire che la ragione per cui i bambini non sono nel numero di quelli che Dio vuole tutti salvi, sta nel fatto che godono già della salvezza, di cui si parla, non avendo contratto alcun peccato. Ne seguirebbe un'assurdità ancor più intollerabile. In tal maniera, infatti, rendi Dio più benevolo verso uomini empi e scellerati al massimo grado, anziché verso uomini del tutto innocenti e puri da ogni macchia di colpa. Dal momento che Dio, siccome vuole che tutti gli uomini si salvino, vuole anche che quelli giungano nel suo regno: è la conseguenza logica per essi, qualora si salvino. Coloro invece che non vogliono sono essi stessi a non volerlo. Dio stesso però si rifiuta di ammettere nel suo regno un immenso numero di fanciulli che sono morti senza battesimo ma non sono impediti da alcun peccato, come voi sostenete, e che si trovano nella condizione, da nessuno posta in dubbio, di impossibilità a resistergli con una volontà contraria. In tal modo accade che Dio vuole che siano cristiani tutti, ma di essi molti non vogliono, e che d'altra parte non vuole che lo siano tutti, mentre di essi non c'è nessuno che non vuole. Questo è contrario alla verità. Il Signore conosce quelli che Sono Suoi 87 e la sua volontà è ben determinata sulla loro salvezza e sul loro ingresso nel suo regno. In tal senso si debbono intendere le parole: Vuole che tutti gli uomini si salvino ed arrivino alla conoscenza della verità 88, così come, alla stessa maniera s'intendono le altre parole: Per l'opera di giustizia di uno solo perviene a tutti gli uomini la giustificazione che dà la vita 89.Tutti coloro che si salvano, si salvano perché Dio vuole e li aiuta.
8. 44. Se poi credi che nella testimonianza dell'Apostolo "tutti" coloro che sono giustificati in Cristo debbano essere intesi per "molti" - molti altri infatti non sono vivificati in Cristo -, ti si può rispondere che, in tal modo, anche nell'altra espressione Vuole che tutti gli uomini si salvino e giungano alla conoscenza della verità, tutti coloro che egli vuole arrivino a detta grazia, debbano intendersi per "molti". Probabilmente però è molto più esatto interpretare che nessuno giunge se non colui che Dio vuole che giunga. Nessuno può venire a me, disse il Figlio, se il Padre che mi ha mandato, non lo abbia attratto 90. Ed ancora: Nessuno può venire a me, se non gli è dato dal Padre mio 91. Tutti quelli che si salvano, dunque, ed arrivano alla conoscenza della verità, per suo volere si salvano e per suo volere arrivano. Anche quelli che, come i bambini, non hanno l'uso della volontà, sono rigenerati per suo volere così come essi sono stati creati per opera sua. Quelli invece che hanno l'uso della volontà non possono volere la salvezza se non per volontà e con l'aiuto di Colui che prepara la volontà 92.In Dio non c'è ingiustizia.
8. 45. Se mi domandi: perché dunque egli non trasforma la volontà di tutti coloro che non vogliono? Ti risponderò: perché non affilia a sé con il lavacro di rigenerazione i bambini che muoiono mentre non hanno ancora la volontà e tanto meno ne hanno una contraria? Se ti accorgi che questo per te è molto più profondo di quanto tu possa comprendere, ti debbo dire che altrettanto profondi per entrambi sono l'uno e l'altro caso, vale a dire: per quale motivo Dio, nei grandi e nei piccoli, ad alcuni vuol prestare il suo aiuto e ad altri no? Eppure siamo fermamente convinti che presso Dio non c'è iniquità 93 per cui condanni alcuni senza demeriti, e che c'è la bontà, in virtù della quale egli libera molti senza meriti. In quelli che sono condannati, dimostra ciò che è dovuto a tutti; affinché quelli che sono salvati comprendano da quale pena dovuta sono stati prosciolti e quale perdono hanno ricevuto con una grazia non dovuta.Il destino e la grazia.
8. 46. Voi non sapete pensare come si conviene a cuori cristiani, e preferite, secondo il vostro pensiero, sostenere che tutto ciò avviene per fatalità. È vostra, infatti, non nostra la sentenza che "deriva dalla fatalità tutto ciò che non deriva dai meriti". Affinché ora, in base a questa definizione non succeda che tutto quanto accade agli uomini derivi dalla fatalità se non deriva dai meriti, siete costretti ad affermare per quanto vi è possibile, meriti e demeriti, onde evitare che, togliendo i meriti, il fato diventi una conseguenza necessaria. Ma proprio per questo vi vien detto: se tutto ciò che l'uomo riceve senza meriti, deve avvenire necessariamente per fatalità, e se bisogna imbastire dei meriti, onde evitare che, tolti quelli, il fato diventi una conseguenza necessaria, bisogna dire che i bambini che non hanno meriti, sono battezzati per fatalità e per fatalità entrano nel regno di Dio, mentre, al contrario, i bambini che non hanno demeriti non sono battezzati per fatalità e per fatalità non entrano nel regno di Dio. Sono gli stessi bambini però, che non sanno ancora parlare, a dimostrarvi che siete piuttosto voi gl'inventori del fato. Noi, al contrario, affermando i demeriti dell'origine viziata, sosteniamo che un bambino entra nel regno di Dio in virtù della grazia perché Dio è buono, mentre un altro giustamente non vi entra perché Dio è giusto. In nessun caso esiste il fato: Dio fa quello che vuole. Quando sappiamo che Dio, a cui grazia e giudizio con voce fedele vogliamo cantare 94, condanna l'uno per giusta sentenza e assolve l'altro per gratuita misericordia, chi siamo noi per domandare a Dio: Per quale motivo condanni o assolvi l'uno piuttosto che l'altro? Un oggetto di creta dirà forse a chi l'ha modellato: Perché mi ha fatto così? Il vasaio non può disporre liberamente dell'argilla per origine viziata e condannata e formare dalla stessa massa qui un vaso di ornamento, secondo la misericordia, e là uno volgare, secondo la giustizia 95? Non li fa entrambi vasi di ornamento perché la natura, come se fosse senza colpa, non si reputi degna di averlo meritata; non li fa entrambi vasi "volgari", perché la misericordia trionfa del giudizio 96. In tal modo il condannato non si lamenta per la dovuta condanna ed il salvato non si gonfia superbamente del merito gratuito. Umilmente piuttosto rende grazie, quando in colui dal quale viene esigito il debito riconosce cosa gli viene condonato nella medesima circostanza.La grazia e il libero arbitrio.
8. 47. Riferisci poi che in un altro libro ho scritto: "se si insiste nell'affermare la grazia si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio si nega la grazia". È una calunnia. Non l'ho mai detto, ma la stessa difficoltà della questione può aver indotto a pensare che io lo creda o l'abbia detto. Non credo superfluo riportare le mie parole precise affinché i lettori si rendano conto di come tu falsifichi i miei scritti e con quale coscienza abusi dei meno dotati e degli ignari, perché credano che stai rispondendo per il solo fatto che non vuoi stare zitto. Nell'ultima parte del mio primo libro al santo Piniano, intitolato La grazia contro Pelagio, scrivevo: "La questione sulla grazia ed il libero arbitrio è talmente difficile a comprendersi che quando si difende il libero arbitrio pare che si neghi la grazia, quando invece si asserisce la grazia si crede di togliere il libero arbitrio e via dicendo" 97. Da uomo onesto e veritiero, hai cancellato le parole che io ho detto ed hai detto quelle che hai immaginato. Ho detto che la questione è difficile a comprendersi e non che è incomprensibile. Molto meno posso aver detto quello che calunniosamente mi hai fatto dire: "se si insiste nell'affermare la grazia, si nega il libero arbitrio; se invece si insiste nell'affermare il libero arbitrio, si nega la grazia". Riporta le mie parole e si svuoterà la tua calunnia. Rimetti al proprio posto le parole "pare" e "si crede" e saranno evidenti gli inganni a cui ricorri in un argomento di tanta importanza. Non ho detto "si nega la grazia", ma "pare che si neghi la grazia". Non ho detto "si nega il libero arbitrio o si toglie", ma "si crede di togliere". Prometti quindi che "quando i libri cominceranno ad essere esaminati, porrai a nudo e distruggerai l'empietà delle mie tesi". Chi non aspetta la saggezza di chi parla, quando ha conosciuto la credibilità del mentitore?La verginità fisica e spirituale.
8. 48. Che vuoi dire con le parole: "Non è necessario lodare la grazia dicendo che essa elargisce ai suoi beneficati quello che i peccati elargiscono agli empi"? Probabilmente le riferisci alla castità coniugale che credi l'abbiano anche gli empi. O uomo litigioso, dalla grazia viene concessa la vera virtù, non quella che si chiama virtù, ma non lo è. Perché poi metti insieme castità e verginità, quasi fossero dello stesso genere? La castità riguarda l'anima, la verginità il corpo. Quella può restare integra nell'anima, mentre questa può essere violentemente tolta nel corpo. Al contrario questa può restare integra nel corpo, mentre quella vien corrotta nell'anima da una volontà dissoluta. Per questo non ho detto che vero matrimonio, vera vedovanza e vera verginità, ma che "vera castità sia essa coniugale, vedovile o verginale, dev'essere chiamata solo quella che è unita alla vera fede" 98. Pertanto, si può essere sposati, vedovi, o vergini, ma non casti se ci si sporca con una volontà macchiata e se, con pensieri immondi, si pensa di perpetrare stupri. Tu insisti tuttavia nell'affermare che in essi c'è vera castità anche con la fornicazione nell'animo, della quale sono colpevoli tutti gli empi, come afferma la Sacra Scrittura.Accuse di Giuliano sulla libidine.
8. 49. Chi di noi ha mai affermato che è peccato l'unione dei genitali, in cui il matrimonio fa buon uso del male della concupiscenza per procreare i figli? La concupiscenza non sarebbe un male se si eccitasse ad un lecita unione solo in vista della procreazione. Nella situazione attuale la castità coniugale, resistendole, diventa limite al male e perciò è buona. Non è vera pertanto la tua calunniosa asserzione che "il suo crimine rimane impunito per la religione" perché non c'è crimine quando per il bene della fede si fa buon uso del male della libidine. Né qui si può dire, come pensi: Facciamo il male perché ne derivi il bene 99, poiché il matrimonio in nessuna sua parte è cattivo. Non appartiene ad esso, infatti, il male che non ha fatto ma ha trovato negli uomini che i genitori generano. Nei progenitori, invece, che non sono nati da alcun genitore, l'inquieto male della concupiscenza carnale, di cui il matrimonio avrebbe dovuto far buon uso, si è aggiunto a causa del peccato e non del matrimonio, che ne sarebbe uscito giustamente condannato. Perché dunque mi chiedi "se, nei matrimoni cristiani, io chiami pudicizia o impudicizia il piacere dell'unione carnale"? Ti rispondo: Chiamo pudicizia non l'unione ma il buon uso di quel male.Questo buon uso fa sì che quel male non possa essere neppure chiamato impudicizia. L'impudicizia, infatti, è il cattivo uso di quello stesso male, così come è pudicizia verginale il non farne uso affatto. Salva, pertanto, la castità coniugale, con la nascita, da un male si contrae un male che sarà purificato con la rinascita.La verginità di chi non ha fede.
8. 50. "Se a causa del male della libidine - tu dici - anche dagli sposi cristiani nasce una prole incriminata, ne segue che la castità verginale dev'essere apportatrice di felicità. Siccome, però, la si trova negli infedeli, questi, adornati della virtù della castità, sono superiori ai cristiani macchiati della peste della libidine". Non è così. T'inganni di molto. Non sono infatti macchiati dalla peste della libidine quelli che ne fanno buon uso, anche se generano figli macchiati dalla peste della libidine e destinati, di conseguenza, ad essere rigenerati, né si trova la castità verginale negli infedeli, anche se in essi si trova la verginità della carne. La vera castità non può dimorare in un'anima separata da Dio. Per questo motivo la verginità degli infedeli non è superiore al matrimonio dei fedeli: ma gli sposi che fanno buon uso del male sono superiori ai vergini che fanno cattivo uso di un bene. Quando i fedeli sposati, pertanto, fanno buon uso del male della libidine, "presso di loro" non si esercita, come calunniosamente affermi, "l'impunità del crimine in virtù della fede", ma, proprio in virtù della fede, in essi c'è non la falsa, bensì la vera virtù della castità.Confronto della dottrina agostiniana con quella manichea.
8. 51. "Se qualcuno commette omicidio con la coscienza intimorita è reo perché ha avuto timore, mentre se commette qualche delitto con audace esultanza, quasi mosso dalla convinzione di farlo per la fede, sfugge alla colpa". Che importa a noi, se, a tuo dire, i manichei fanno quest'affermazione? Per la verità non ho mai sentito che i manichei dicano questo. Ma che importa a noi se lo dicono o se è solo una tua calunnia? A noi basta che non lo dica la fede cattolica che noi possediamo e col cui peso ti schiacciamo. Al di fuori della fede, infatti, noi riteniamo che non sono veramente buone quelle opere che sembrano tali, perché le opere veramente buone debbono piacere a Dio 100. Siccome non è possibile piacere a Dio senza la fede, ne segue che non può esserci un'opera veramente buona senza la fede. D'altro canto le opere apertissimamente cattive, non le fa la fede, la quale opera per mezzo della carità 101, perché la carità non fa male al prossimo 102.La concupiscenza naturale non è buona.
8. 52. "Si deve dichiarare buona - tu dici - la concupiscenza naturale" (vergognandoti però di dire carnale), che, "mantenuta entro la sua misura, non è macchiata da colpa alcuna di peccato". Come può essere mantenuta nella sua misura, ti scongiuro, come può essere mantenuta se non quando le si resiste? E perché le si resiste se non perché non ci riempia di cattivi desideri? E come può essere buona?.La vergogna provata dalla prima coppia dopo il peccato.
9. 53. Arrivi anche alle parole del mio libro dove affermo: "Quei primi coniugi il cui matrimonio fu benedetto da Dio, con le parole: crescete e moltiplicatevi 103, non erano forse nudi e non arrossivano 104? Per quale motivo dunque, dopo il peccato, da quelle membra derivò un disordine, se non perché sopravvenne un movimento illecito, che certamente non ci sarebbe stato nel matrimonio se gli uomini non avessero peccato?" 105. Avendo dapprima notato che secondo la S. Scrittura queste mie parole sono state poste in maniera tale che, chiunque abbia letto o leggerà quel passo del Genesi finirà per approvare quanto io ho scritto, hai sudato molto per contraddirmi con una lunghissima disputa, ma hai mancato di sincerità. Sei rimasto fermo sulla tua tesi distorta quantunque l'esperienza dimostri che tu non sei riuscito a scardinare la mia tesi giusta. Del tuo contraddittorio tralascio i gesti e i vanti, frutti di un individuo ansimante ed incapace di arrivare dove si propone, ma che tuttavia, entro la nebulosità in cui si nasconde, finge di esserci giunto. Con l'aiuto del Signore, però, esaminerò le frasi fondamentali del tuo discorso e le stritolerò, affinché chi leggerà le tue e le mie parole possa vederne a terra sconfitto tutto il corpo, soprattutto rendendosi conto che le cose ripetute da te in mille modi, sono state spesso distrutte da me.Il matrimonio prima del peccato.
9. 54. Tra l'altro affermi che "io sono persuaso di poter dimostrare che Dio ha istituito un matrimonio spirituale per il fatto che dopo il peccato, i primi uomini, vergognandosi, coprirono le membra in cui risiede la libidine". Se il matrimonio senza la libidine è spirituale, ne segue, sulla tua autorità, che saranno spirituali anche i corpi quando non ci sarà la libidine. O per caso siete propensi ad amare questa libidine al punto da ritenerla presente nei corpi risuscitati, così come ritenete che sia stata presente nei corpi che erano nel paradiso prima del peccato? Non dico affatto, come mi fai dire, che "non è naturale quello senza di cui la natura non può sussistere". Dico soltanto che si chiama naturale quel vizio senza di cui, nelle condizioni attuali, la natura umana non nasce, quantunque all'inizio essa non sia stata creata tale. Per questo motivo quel male non ha avuto origine dalla creazione della natura, bensì dalla cattiva volontà del primo uomo e non rimarrà, ma sarà condannato o sanato.Il pudore.
9. 55. Paragoni la mia tesi "ad una cimice che come dà fastidio da viva, così puzza quando viene schiacciata". Vorresti dire che quasi "ti vergogni di schiacciarmi con una vittoria", oppure che "hai in orrore l'inseguirmi ed il distruggermi come se io sconfitto mi nascondessi nel sudiciume". La ragione sta nel fatto che "il tuo pudore, quasi custode del tempio, ti toglie la libertà di parola nella parte del tuo discorso, in cui dovresti schiacciarmi o annientarmi, appunto perché sei costretto a trattare argomenti che generano rossore". Perché mai non riesci a parlare liberamente del bene che vai lodando? Perché mai non dovrebbe esservi libertà di parlare di un'opera di Dio, se la sua dignità è rimasta incontaminata e se il peccato non vi ha prodotto alcunché che ingenerasse pudore e togliesse la libertà di parola?La libidine è una malattia.
10. 56. "Se non c'è matrimonio senza libidine, tu continui, e voi in linea generale condannate la libidine, automaticamente condannate anche il matrimonio". Di questo passo potresti dire: "se si condanna la morte bisognerà condannare tutti i mortali". Se la libidine derivasse dal matrimonio, non esisterebbe prima del matrimonio o al di fuori di esso. Tu dici: "Non può essere chiamata malattia qualcosa senza di cui non esiste matrimonio, poiché il matrimonio può esistere senza peccato, mentre la malattia è dichiarata peccato dall'Apostolo". Ti risponderò dicendo che non ogni malattia è detta peccato. Questa malattia invece è una pena del peccato, senza di cui non può esistere la natura umana non ancora sanata in ogni sua parte. Se poi la libidine non può essere un male perché senza di essa non può esserci il bene del matrimonio, da un altro punto di vista il corpo non può essere buono, perché senza di esso non si può commettere il male dell'adulterio. Questo è falso e così pure quello. Chi ignora d'altra parte il comando rivolto agli sposati dall'Apostolo: che ciascuno sappia possedere il proprio corpo (vale a dire la propria moglie) non seguendo la spinta della concupiscenza come i pagani che non conoscono Dio 106? Chi legge l'Apostolo su questo argomento ti abbandonerà. Non ti vergogni inoltre di introdurre o di ritenere presente nei coniugi prima del peccato la libidine che tu stesso, benché con un po' di rossore, riconosci come male? Non sei forse tu che ti nascondi nel sudiciume quando t'incoroni con la libidine della carne e del sangue come di un roseo fiore di paradiso e, piacevolmente soffuso di tale colore, arrossisci e nello stesso tempo lodi?L'unione dei sessi nell'ipotesi che l'uomo non avesse peccato.
11. 57. Come è possibile trovare tanto diletto nel chiacchierare per dimostrare con una lunga disquisizione cose che già professiamo ed insegniamo, come se le negassimo? Chi nega, infatti, che ci sarebbe stata ugualmente l'unione dei sessi se non ci fosse stato di mezzo il peccato? Al pari delle altre membra, anche i genitali sarebbero stati mossi dalla volontà e non eccitati dalla libidine, oppure, se vogliamo, sarebbero stati mossi dalla libidine (non intendiamo rattristarvi troppo a suo riguardo) ma non quale essa è, bensì da una libidine posta al servizio della volontà. Veramente voi, per difendere la vostra protetta, vi affannate con tanta fedeltà che patireste violenza se non la collocaste anche nel paradiso quale essa è in questo momento. Voi dite che ivi essa non è diventata tale per il peccato, ma che sarebbe rimasta tale anche se nessuno avesse peccato. In quella pace si sarebbe combattuto con essa, o per non combattere, sarebbe stata appagata ogni qualvolta si fosse eccitata. Oh sante delizie del paradiso! Oh pudore di tanti vescovi! Oh fedeltà di tanti casti!L'autorità dei filosofi nella questione sul pudore.
12. 58. Con la pretesa di dimostrare che non tutto ciò che si copre, lo si copre per la vergogna derivante dal peccato, ti dilunghi nel ricordare le numerose parti del corpo che normalmente portiamo coperte. Quasi che quelle parti fossero state coperte solo dopo il peccato, come hanno fatto quei primi uomini, di cui stiamo discutendo, che dopo il peccato hanno ricoperto quelle parti vergognose, che, prima del peccato, non erano né vergognose né coperte. "Nel libro di Tullio, tu dici, Balbo ne ha parlato molto diligentemente con Cotta" 107. Spinto da questo, continui e fai alcune osservazioni per accrescere la mia vergogna, poiché, pur con il magistero della Sacra Legge, non ho compreso cose alla cui conoscenza i gentili sono potuti arrivare col solo aiuto della ragione. E riporti le parole di Balbo dal libro di Cicerone per insegnarci cosa gli stoici abbiano pensato delle differenze fra maschi e femmine negli animali muti e cosa abbiamo pensato dei genitali e della mirabile attrazione dell'unione dei corpi. Tuttavia prima di citare le parole di Tullio o di qualsivoglia altro, con molta cautela hai voluto ammonire che "egli ha colto l'occasione di trattare della funzione dei sessi, parlando degli animali, poiché per pudore aveva tralasciato di trattarla nella descrizione dell'uomo". Che vuol dire "per pudore"? Che forse il pudore viene offuscato nel sesso dell'uomo, nel quale Dio opera in maniera più degna come si conviene in una natura più eccellente? Gli stoici ti hanno insegnato a parlare delle cose occulte, non ad arrossire di quelle vergognose. Successivamente aggiungi "in che modo egli descriva l'uomo nel suo parlare; in qual modo esponga che lo stomaco sta al di sopra dell'intestino e come esso sia il ricettacolo dei cibi e delle bevande; come i polmoni ed il cuore ricevano l'aria dall'esterno; come nell'intestino avvengano cose mirabili con l'aiuto dei nervi e come esso, molteplice e tortuoso, trattenga e contenga tutto quello che ha ricevuto, secco o umido che sia, e tante altre cose del genere fino alla descrizione del modo in cui vengono espulsi gli avanzi dei cibi con la contrazione o il rilassamento degli intestini". Avendo potuto descrivere questi processi nelle bestie, per quale motivo è passato a descriverli nell'uomo, se non perché essi non sono vergognosi, così come non era stato vergognoso descrivere nelle bestie i genitali e la funzione dei sessi, cosa che invece è vergognoso fare negli uomini? La ragione è la stessa per cui dopo il peccato i genitali sono stati ricoperti con foglie di fico. Nella descrizione del corpo umano, giunto al punto dove si tratta dell'espulsione degli avanzi dei cibi, scrive: "In verità non è difficile dire come avviene. È bene tuttavia non parlarne affinché il discorso non abbia qualcosa di sgradevole". Non ha detto: "affinché il discorso non abbia qualcosa che ingeneri confusione o vergogna", ma: "non abbia qualcosa di sgradevole". Altro è ciò che infonde terrore ai sensi per la propria deformità ed altro è ciò che infonde pudore alle menti, pur se è bello. Quello offende il gusto; questo invece muove la libidine o da essa è mosso.Il valore delle citazioni dei filosofi.
12. 59. Qual giovamento dunque ti portano queste cose? "Lo stesso nostro Creatore - tu dici - non ha conosciuto alcun difetto nella sua arte per occultare con tanta diligenza i nostri organi vitali". Ben lontano sia in verità che tanto Creatore possa aver conosciuto qualche difetto nella sua arte. Il motivo per cui li ha nascosti l'hai dichiarato tu stesso poco sopra: "perché non si rovinassero o incutessero paura". Gli organi che i primi coniugi hanno ricoperto con foglie di fico 108 non si rovinavano né incutevano paura allorquando erano nudi e non arrossivano 109. a riservatezza della pudicizia ora evita di guardare quelle membra affinché la vista di esse non alletti più che spaventi. Hai sperato invano, dunque, che la tua tesi potesse essere aiutata dalla testimonianza degli stoici, non essendo propriamente favorevole ad essi, che non hanno riposto alcuna particella di bene umano nel piacere del corpo. Essi hanno preferito del resto lodare la libidine nelle bestie più che negli uomini, al contrario di come hai fatto tu. Tullio invero, in armonia con la loro opinione, dice da qualche parte di non credere che "il bene di un montone sia identico a quello di Publio l'africano". Questa espressione avrebbe dovuto ammonirti meglio su cosa avresti dovuto pensare della libidine degli uomini.Cicerone riconosce la miseria della condizione umana, pur ignorandone la causa.
12. 60. Se hai piacere che diciamo ancora qualcosa su tali scritti letterari, poiché anche in essi si trovano parecchie vestigia di verità, credo sia tuo dovere confessare apertamente che le parole citate da te non hanno valore alcuno contro di noi. Esamina piuttosto se quello che sto per dire non sconvolga la tua asserzione. Nel terzo libro Sulla Repubblica, lo stesso Tullio dice che "l'uomo è venuto alla luce da una natura non madre, ma matrigna, con un corpo nudo, fragile, debole e con l'anima ansiosa per le angustie, trepidante per i timori, fiacco per le fatiche, incline al piacere, ma che tuttavia, quasi sepolto in lui, c'è il fuoco divino dell'ingegno e della mente" 110. Cosa rispondi? Lo scrittore non ha fatto derivare questi mali dalle cattive abitudini dei viventi, ma ha incolpato la natura. Ha visto la realtà, ne ha ignorata la causa. Gli era sconosciuto il motivo per cui era imposto un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti 111. Non conoscendo la Sacra Scrittura, ignorava il peccato originale. Se avesse sentito bene della libidine che tu difendi, non gli sarebbe dispiaciuto che l'animo fosse ad essa incline.Cicerone chiama le libidini parti viziose dell'animo.
12. 61. Se poi difendi la libidine come un bene inferiore verso cui l'animo non deve piegarsi dai beni superiori, non perché sia un male ma solo perché è l'infimo dei beni, ascolta le parole ancora più chiare che lo stesso autore scrive nel terzo libro Sulla Repubblica, parlando della ragione del comando: "non vediamo noi che dalla natura stessa è stato dato a tutti i migliori un dominio con grande utilità per i deboli? Perché Dio comanda all'uomo, l'anima al corpo e la ragione alla libidine, all'ira ed alle altre forze viziose della stessa anima?" 112. Secondo l'insegnamento di costui, riconosci alfine che sono forze viziose dell'anima quelle che tu ritieni buone? Ascolta ancora: "È necessario conoscere, aggiunge poco dopo, le differenze tra il comandare e il servire. Come diciamo che l'anima comanda al corpo così diciamo che comanda anche alla libidine: al corpo come il re ai suoi cittadini o il padre ai figli; alla libidine, invece, come il padrone ai servi, perché la reprime e la spezza. Le disposizioni dei re, degli imperatori, dei magistrati, dei genitori, dei popoli comandano ai cittadini o agli alleati, come l'anima al corpo. I padroni invece opprimono i servi come la sapienza, la parte più nobile dell'animo, sovrasta le altre forze viziose e deboli, quali la libidine, l'ira e le altre passioni". Hai ancora da blaterare contro di noi qualcosa tratta dagli scrittori di letteratura profana? Se cercassi di sapere quello che dici a favore di questo errore - che Dio voglia allontanare da te! - contro tanti vescovi, esimi interpreti delle parole divine, ed in qual modo stai resistendo alla loro santità, cosa potrà rappresentare per te Tullio perché tu non gli rinfacci che su questo argomento ha vaneggiato e delirato? Lascia perdere dunque i libri di quel genere e non voler insegnarci da essi qualcosa con tono sprezzante, affinché non accada che, mentre credi di essere innalzato, non venga schiacciato dalle loro testimonianze.Il movimento dei genitali prima del peccato non era indecoroso.
13. 62. Cosa hai creduto invano di argomentare dall'eccitazione della donna, di cui essa stessa si vergogna? La donna non ha coperto infatti un movimento visibile, ma, avendo nelle stesse membra una sensazione occulta, simile a quella dell'uomo, entrambi hanno coperto quelle parti che nel reciproco sguardo entrambi avevano sentite mosse in se stessi ed entrambi erano arrossiti per se stessi o l'uno per l'altro. Continuando a parlare vanamente, chiedi che "le vereconde orecchie ti perdonino e, più che indignarsi, si lamentino per la tua dura necessità". Perché mai provi dell'imbarazzo nel parlare delle opere di Dio? Perché chiedi che ti si perdoni? La richiesta di perdono da parte tua non è forse anch'essa una accusa della libidine? "Se il membro dell'uomo, tu dici, poteva eccitarsi anche prima della colpa, non è stata introdotta alcuna novità". Sì, poteva eccitarsi anche prima, ma non era indecente, tale cioè da ingenerare vergogna. Lo muoveva infatti il comando della volontà e non la carne con voglie opposte allo spirito. Proprio qui sta la novità vergognosa che la vostra nuova dottrina difende con impudenza. In linea generale, non ho mai condannato il moto dei genitali, o, come tu dici "affermativamente". Ho semplicemente condannato il moto prodotto dalla concupiscenza, per la quale la carne ha voglie opposte allo spirito 113. Se il tuo errore lo difende come un bene, non saprei proprio in qual modo il tuo spirito possa avere desideri opposti ad essa, opposti, cioè, ad un male.La disobbedienza delle membra conseguenza della disobbedienza dell'uomo.
13. 63. "Se la libidine si trovava nel frutto di quell'albero, tu dici, essa si rivela come opera di Dio e, di conseguenza, è difesa anche come buona". Ti rispondo: la libidine non si trovava nel frutto dell'albero, che, di conseguenza, era buono. Cattiva è la disobbedienza della libidine, che è sorta dopo la disobbedienza dell'uomo commessa nell'albero, mentre Dio l'abbandonava a se stesso. Sia ben lontano il pensare che Dio, in qualunque età della vita umana o in qualunque tempo, da un albero buono abbia conferito un beneficio, a causa del quale gli uomini avessero nelle membra un avversario contro cui la pudicizia dovesse combattere.Giuliano loda la concupiscenza, ma condanna la lussuria.
13. 64. Sappiamo bene che "l'apostolo Giovanni, quando scriveva: Tutto ciò che è nel mondo: la concupiscenza della carne, la concupiscenza degli occhi, il tronfio orgoglio della vita, non è dal Padre, ma è dal mondo 114, non ha inteso condannare questo mondo, vale a dire, il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in esso di sostanziale, poiché proviene dal Padre per opera del Figlio". Sappiamo tutto questo. Non ce lo insegnare. Volendo spiegare la concupiscenza della carne che l'Apostolo esclude possa derivare dal Padre, hai detto che "con essa si deve intendere la lussuria". Ma se ti domando a cosa si debba acconsentire perché si abbia la lussuria e cosa si debba contrastare perché non la si abbia, la tua tesi ti è di fronte: rifletti se è ancora da lodarsi quello che è lussuria se gli acconsenti o è continenza se gli resisti. Mirabile sarebbe che decida se debba maggiormente disprezzarla insieme alla lussuria, che si ha acconsentendole, oppure se debba lodarla con la continenza che le dichiara guerra. In questa guerra la castità è la vittoria della continenza la lussuria quella della concupiscenza. Saresti giudice incorrotto ed integro, nel lodare la continenza e nel disprezzare la lussuria; pur tuttavia tratti come una persona la concupiscenza (vedi tu perché hai paura di offenderla!) così da non arrossire nel lodarla insieme alla sua avversaria e da non avere il coraggio di disprezzarla insieme alla sua vittoria. Lungi sia che qualche uomo di Dio ti ascolti quando disprezzi la lussuria per approvarti poi quando lodi la concupiscenza, cosicché dal tuo parlare ritenga un bene quello che in se stesso sperimenta come un male. Chi inoltre nella lotta sconfiggerà la concupiscenza, che a torto esalti, non avrà la lussuria che tu giustamente disprezzi. Come potremo però obbedire all'apostolo Giovanni, se amiamo la concupiscenza della carne? Mi dirai: Non è lei che esalto. Qual è dunque quella che Giovanni esclude venga dal Padre? La lussuria, risponderai. Ma non saremo lussuriosi se non quando ameremo la concupiscenza che lodi. Proprio per questo, quando l'Apostolo diceva: non amate la concupiscenza della carne, voleva che noi non fossimo lussuriosi. Quando ci viene proibita la lussuria, quindi, ci viene proibito di amare la concupiscenza della carne lodata da te. Siccome questa però, che ci è proibito di amare non è dal Padre, anche la concupiscenza che tu esalti non viene dal Padre. Due beni infatti che vengono dal Padre non possono combattersi tra di loro. La continenza e la concupiscenza invece si combattono tra di loro. Decidi quale delle due vorresti che venga dal Padre. Vedo la tua perplessità: saresti favorevole alla concupiscenza, ma arrossisci per la continenza. Ebbene, vinca il tuo pudore e da esso sia sconfitto il tuo errore. E poiché dal Padre viene la continenza con cui è sconfitta la concupiscenza della carne, ricevi da lui la continenza per la quale giustamente sei arrossito e sconfiggi la concupiscenza, che con bocca malvagia hai esaltato.Il piacere dei sensi.
14. 65. Hai perfino ritenuto opportuno chiedere l'aiuto del piacere di tutti i sensi, come se il piacere degli organi genitali con così grande avvocato non fosse sufficiente a se stesso, se non gli venisse in soccorso la schiera dei colleghi. Ritieni "logico, infatti, che dovremmo dire derivati dal diavolo e non da Dio i sensi della vista, dell'udito, del gusto, dell'odorato, del tatto, se ammettiamo che la concupiscenza della carne, a cui ci opponiamo con la continenza, non esisteva nel paradiso prima del peccato, ma è sopraggiunta a causa del peccato, ispirato al primo uomo dal diavolo". In tal modo non sai o fingi di non sapere che, in qualsiasi senso del corpo, altro è la vivacità, l'utilità e la necessità di sentire ed altro la libidine del sentire. La vivacità del sentire si ha quando, in misura maggiore o minore, uno riesce a percepire nelle stesse cose materiali ciò che è vero a seconda del loro modo o della loro natura distinguendolo più o meno dal falso. L'utilità del sentire sta nel determinare quello che si deve approvare o riprovare, accettare o respingere, desiderare o evitare per il corpo e la vita che ci portiamo appresso. La necessità del sentire si ha quando i nostri sensi sono costretti a percepire anche le cose che non vogliono. La libidine del sentire invece, di cui ora trattiamo, è quella che ci spinge a sentire il desiderio del piacere carnale sia che la nostra mente è favorevole, sia che è contraria. Essa è avversa all'amore della sapienza ed è nemica delle virtù. Per quanto attiene all'unione dei due sessi, il matrimonio fa buon uso di questo male quando i coniugi generano i figli per mezzo di esso, ma non fanno nulla solo per esso. Se avessi voluto o potuto distinguerlo dalla vivacità, dall'utilità e dalla necessità dei sentire, avresti compreso quanto vanamente hai detto tante cose superflue. Il Signore infatti non ha detto: chiunque guarda una donna, ma chiunque guarda una donna desiderandola ha già commesso in cuor suo adulterio con lei 115. Se non sei ostinato, ecco la distinzione tra il senso del vedere e la libidine del sentire. Quello l'ha creato Dio quando ha formato il corpo; questa l'ha seminata il diavolo, quando ha ispirato il peccato.Il desiderio del piacere sensibile dev'essere vinto.
14. 66. Gli uomini pii dunque lodino il cielo e la terra e tutto ciò che c'è in essi e attraverso di essi lodino Dio per la loro bellezza, non per l'ardore della libidine. Il religioso e l'avaro in maniera diversa lodano lo splendore dell'oro: l'uno con la venerazione per il Creatore, l'altro con l'ansia di possedere la creatura. Un canto sacro muove certamente l'animo all'amore della pietà: se anche qui viene riprovata la libidine dell'ascolto, qualora si desideri il suono e non il significato, quanto a maggior ragione dev'essere provata se si diletta nel sentire canzoncine vuote e magari sporche? Gli altri tre sensi più attinenti al corpo ed in certo senso più grossolani, non si proiettano fuori, ma compiono all'interno quanto compete loro. L'odorato si distingue da chi odora; il sapore da chi gusta ed il tatto da chi tocca. Non sono infatti la stessa cosa il caldo e il freddo o il liscio o il rude; né questi sono la stessa cosa che il molle e il duro, così come da essi si distingue notevolmente il pesante e il leggero. Quando in tutte queste cose si evitano le molestie, quali il puzzo, l'amaro, il caldo, il freddo, il rude, il duro, il pesante, si ha ricerca di comodità, non libidine del piacere. I contrari di queste cose, che accettiamo tranquillamente, quando non hanno rilevanza per la salute o per l'allontanamento del dolore e della fatica, anche se sono accettati con una certa soddisfazione quando ci sono, non debbono essere desiderati con libidine quando non ci sono. Non è bene il desiderarli. Simile appetito infatti dev'essere domato e sanato anche nelle cose di qualsiasi genere. Quale uomo, quantosivoglia castigatore della propria concupiscenza, entrando in un luogo impregnato di profumo d'incenso, può evitare di sentirne il soave odore, a meno che non chiuda le narici o con forza di volontà si alieni dai sensi del corpo? Uscendo da quel luogo, avrà forse desiderio di esso in casa o dovunque vada? Qualora poi lo desideri, dovrà forse saziare questo desiderio o non piuttosto frenarlo ed agire con lo spirito contro le voglie della carne, finché non giunga alla sua primitiva sanità, nella quale non avrà più desideri del genere? È una piccola cosa ma è come è scritto: chi disprezza il poco, muore a poco a poco 116.Il piacere e la necessità di mangiare.
14. 67. Abbiamo bisogno del sostegno degli alimenti. Se non fossero piacevoli non li potremmo neppure prendere e con nausea li respingeremmo: dobbiamo anche guardarci da pericolosi fastidi. La debolezza del nostro corpo ha bisogno non solo del cibo, ma anche del suo sapore, non per appagare la libidine, ma per salvaguardare la salute. Quando la natura pertanto richiede in certo modo i sussidi che le mancano, non si chiama libidine, ma solo fame o sete. Quando, però, dopo aver consumato il necessario, l'amore del cibo sollecita ulteriormente l'animo, già è libidine, già è male cui non bisogna cedere ma resistere. Queste due cose la fame, cioè, e l'amore del mangiare le distingue anche il poeta, quando, dopo il travaglio del mare, giudicando essere stato sufficiente per i compagni di Enea, naufraghi e forestieri, l'aver preso tanto cibo quanto ne richiedeva la necessità di mangiare, scriveva:...saziata la fame e tolte via le mense... 117
Lo stesso Enea, invece, quando fu ricevuto ospite da Evandro, ritenendo giustamente che il banchetto regale più ricco offriva da mangiare in misura superiore al necessario, non ritenne sufficiente dire:
saziata la fame,
ma aggiunge:
soddìsfatto l'amore del mangiare 118
Quanto a maggior ragione spetta a noi conoscere e distinguere quale sia la necessità di mangiare e quale il piacere della voracità. È compito nostro nutrire con lo spirito desideri avversi alle voglie della carne, dilettarci della legge di Dio secondo l'uomo interiore 119, e non offuscare minimamente la serenità del suo gusto con piaceri libidinosi. Questo piacere del mangiare, dunque, lo si deve reprimere non col mangiare, ma con l'astinenza.
Nel paradiso nessun eccesso.
14. 68. Chi, sobrio di mente, non preferirebbe, se fosse possibile, prendere cibi o bevande senza alcun pungente piacere carnale, così come prendiamo gli alimenti gassosi, che assorbiamo o emettiamo dall'aria che ci circonda aspirando ed espirando? Questo alimento che prendiamo senza intermissione con la bocca e col naso, non sa di niente e non ha alcun odore, eppure, senza di esso, non possiamo vivere neanche per un piccolo intervallo di tempo, mentre possiamo stare a lungo senza cibo o bevanda. Purtuttavia non se ne avverte il bisogno, ma solo il fastidio, quando si chiudono la bocca e le narici oppure quando, per decisione della volontà, interrompiamo per un tantino, fino a quando lo permette il fastidio stesso, il compito dei polmoni, con cui, come con dei mantici, a movimenti alternati aspiriamo o emettiamo respiri vitali. Quanto saremmo più felici se potessimo prendere cibo e bevanda ad intervalli lunghi, come ora, o ad intervalli ancor più lunghi, senza l'allettante soavità del sapore. Quanto fastidio e quanta rovina allontaneremmo! Se quelli che prendono gli alimenti con temperanza in questa vita sono chiamati parchi e sobri e giustamente sono tenuti in onore - non mancano in verità coloro che prendono il cibo solo nella misura richiesta dalla natura o anche in misura inferiore, preferendo, nel caso dovessero sbagliarsi nel misurare il necessario, aver mangiato di meno anziché di più - quanto a maggior ragione è necessario ritenere che, in quella dignità originaria ci sarebbe stata una misura onesta nel prendere il cibo, per offrire al corpo animale solo il necessario, senza eccedere in nulla la misura naturale, così come bisogna ritenere che si siano comportati i primi uomini nel paradiso?L'ipotesi della libidine nel paradiso.
14. 69. Non si può passare sotto silenzio che alcuni, non disprezzabili espositori della parola di Dio, sono propensi a credere che nel paradiso non c'era alcun bisogno di tale alimento, ma che lì vi sarebbe stato il solo piacere ed il solo alimento del quale si diletta e si ciba il cuore dei sapienti. È stato scritto: Maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra 120. Sono d'accordo con quelli che intendono queste parole secondo il sesso corporeo e visibile, così come le altre che seguono: Poi Dio disse: ecco, io vi dò ogni sorta di graminacee produttrici di semente, che sono sulla superficie della terra ed anche ogni sorta di alberi in cui vi sono frutti portatori di seme: costituiranno il vostro nutrimento. Ma a tutte le fiere della terra, a tutti i volatili del cielo e a tutti gli esseri che strisciano sulla terra e nei quali è l'alito di vita, io dò come nutrimento le erbe verdi 121. Essi intendono queste parole nel senso che entrambi i sessi facevano uso dei medesimi alimenti di cui si servivano anche gli altri animali e da essi ricevevano un congruo sostentamento necessario al corpo animale, sia pure immortale sotto un certo aspetto, perché non fosse rovinato dalla necessità; dall'albero della vita invece per non essere condotti a morte dalla vecchiaia. Per nessun motivo però sarei disposto a credere che, in quel luogo di tanta felicità, la carne abbia potuto avere voglie opposte allo spirito e lo spirito contro la carne e che, a causa di questo conflitto, essi siano vissuti senza pace interiore, o che lo spirito non abbia contrastato i desideri della carne o che li abbia appagati con turpe sottomissione, ogni qualvolta la libidine avesse suggerito qualcosa. Bisogna dunque concludere che lì non c'era alcuna concupiscenza della carne, ma si viveva in modo tale che tutto il necessario veniva ottenuto con appropriati compiti delle membra, senza alcun movimento libidinoso - non perché non viene seminata con la libidine, infatti, ma solo dal volontario movimento delle mani dell'agricoltore, la terra non concepisce i suoi frutti da partorire - oppure, per non offendere troppo quelli che in qualche modo difendono i piaceri del corpo, che ivi c'era la libidine dei sensi carnali, ma in tutto soggetta alla volontà razionale, che era presente solo per servire alla salute del corpo o alla propagazione della stirpe ed in misura tale da non distrarre per nulla la mente dalla gioia della celeste contemplazione, escludendo qualunque vano o importuno movimento. Da essa insomma sarebbe derivato solo il giovamento e nulla sarebbe stato fatto per essa.L'uso del piacere inevitabile.
14. 70. Quanto diversa sia nella realtà attuale, lo sanno molto bene quelli che la combattono. Si insinua infatti in quelli che vedono o sentono qualcosa, anche se vedono o sentono per altri motivi, con moto improvviso tra le cose necessarie che nulla hanno a che fare con essa, per carpire una voluttuosa sensazione sia pure escludendo la percezione del piacere di toccare. E negli stessi pensieri, anche quando nulla di scabroso appare dinanzi agli occhi o risuona nelle orecchie, quanti ricordi di cose già svanite o sopite essa non cerca di risvegliare insieme a turpi ricordi? Quanto strepito non crea nelle sante e caste intenzioni col frastuono di sordidi richiami? Quando poi si arriva all'uso del piacere necessario, con cui ristoriamo il nostro corpo, chi può spiegare come essa non ci permetta di percepire la misura della necessità e come nasconda o oltrepassi il limite del ristabilimento della salute, attraendo verso qualsiasi piacere si presenti? Chi può spiegare come, mentre riteniamo insufficiente quello che di fatto lo è, spinti dalle sue sollecitazioni, volentieri siamo portati a credere di servire la salute, mentre in realtà serviamo la ghiottoneria? Il male fatto ce lo attesta la spiacevole indigestione, per paura della quale spesso ci nutriamo meno di quanto sia sufficiente a togliere la fame. La cupidigia, come si vede, ignora dove finisce la necessità.Le differenze dei piaceri carnali.
14. 71. Il piacere del mangiare e del bere può essere tollerato purché, con maggior volontà possibile, stiamo attenti a non rimpinzarci troppo facilmente, eccedendo talvolta nella misura del vitto sufficiente. Contro questa concupiscenza del cibo combattiamo col digiuno o col cibarci con maggiore sobrietà e facciamo buon uso di essa, che è un male, quando attraverso di essa ci procuriamo solo ciò che può tornare utile alla salute. Ho detto che questo piacere può essere tollerato perché la sua forza non è sufficiente a distrarci dai pensieri attinenti alla sapienza, se con diletto siamo intenti ad essi. Durante i banchetti, infatti, riusciamo non solo a pensare, ma anche a discutere di grandi problemi e, mentre si mangia e si beve, parliamo senza perdere minimamente l'attenzione nel dire o nell'ascoltare e, forse più intensamente che se ci venisse letto, imprimiamo nella nostra mente quello che desideriamo conoscere o ricordare. L'altra libidine, invece, quella per la quale ti scontri con tanto ardore, anche quando si fa uso di essa con buoni intendimenti, nella generazione per esempio, può mai permettere, nel mentre la si appaga, di pensare, non dico alla sapienza, ma a qualunque altro problema? Ad essa non si dedicano totalmente il corpo e l'anima? Ed il culmine del suo piacere non viene forse raggiunto con un certo soffocamento della mente? Quando poi essa prende il sopravvento e spinge anche gli sposati ad unirsi non per la generazione ma per la passione del godimento carnale, che Paolo afferma aver detto a modo di concessione, non a modo di comando 122, la mente emerge e, dopo quel turbine, respira l'aria dei pensieri constatando la verità di quanto qualcuno ha detto circa la vicinanza del pentimento al piacere. Quale uomo, amante del bene spirituale, sposato solo per la propagazione della prole, non vorrebbe procreare i figli senza di essa, se fosse possibile, o per lo meno senza la sua forte passione? Se non ci è dato di pensare nulla di meglio credo sia nostro dovere attribuire alla vita del paradiso che indubbiamente era molto più bella, quello che i santi coniugi amerebbero in questa vita.I filosofi pagani condannano il piacere corporale.
14. 72. La filosofia dei pagani, per carità, non sia più nobile di quella dei cristiani, che è la sola vera filosofia, se con questo nome si vuole significare lo studio e l'amore della sapienza! Considera, infatti, quanto Tullio dice nel dialogo dell'Ortensio. Le sue parole avrebbero dovuto piacerti di più delle parole di Balbo che difendeva gli stoici. Quantunque vere, quelle parole non hanno potuto aiutarti perché si riferivano alla parte inferiore dell'uomo, al corpo. Ascolta dunque ciò che egli dice per la vitalità della mente contro il piacere del corpo: Bisogna forse bramare i piaceri del corpo che, giustamente e significativamente, da Platone sono stati chiamati allettamento ed esca dei mali? Quale indebolimento della salute, quale deformazione del temperamento e del corpo, quale turpe danno, quale disonore non viene evocato e destato dal piacere? Il suo eccitamento così come è il più forte, è il maggior nemico della filosofia. Il grande piacere del corpo infatti non può andare d'accordo con il pensiero. Mentre si fa uso di quel piacere, di cui nulla c'è di più forte, chi mai è capace di riflettere, di ragionare, o di pensare qualche cosa? Chi mai può avere tanta impetuosità da voler eccitare i propri sensi giorno e notte, senza la minima pausa, come nel culmine del piacere voluttuario? Quale uomo sano di mente non avrebbe preferito che la natura non ci avesse dato alcun piacere? 123 Queste parole le ha dette uno che non sapeva nulla della vita dei primi uomini, della felicità del paradiso e della risurrezione dei corpi. Arrossiamo dunque per queste veritiere affermazioni degli empi, noi che abbiamo imparato, nella vera e santa filosofia della vera pietà, che la carne ha voglie contro lo spirito e lo spirito contro la carne 124. Cicerone però ignorava perché avvenisse ciò, eppure, a differenza di quello che fai tu, non solo non favoriva la concupiscenza ma la contrastava tenacemente, cosa che al contrario tu non solo non fai ma ti arrabbi energicamente con quelli che lo fanno. Con timidezza cerchi di lodare le voglie dello spirito e della carne, in lotta tra di loro come in guerra, quasi temendo di avere come nemica quella che potrebbe sconfiggere l'altra. Coraggio, piuttosto, non avere paura, loda la concupiscenza dello spirito contro quella della carne perché essa combatte tanto più acremente, quanto più castamente. Senza timore alcuno, quindi, condanna la legge che contrasta la mente, con la medesima legge contro cui essa è in contrasto.Contemplazione della bellezza e eccitamento della libidine.
14. 73. Altro è la considerazione della bellezza, anche corporale, sia quella che si vede, come il colore o la figura, sia quella che si sente, come il canto o la melodia, considerazione riservata all'animale ragionevole, e altro è la commozione della libidine, che deve essere frenata dalla ragione. S. Giovanni apostolo, infatti, ha detto che la concupiscenza che ha voglie contro lo spirito non viene dal Padre 125. Nessuno la può giudicare buona, se non chi non ama che il suo spirito abbia desideri opposti ad essa. Se non sia tale nel movimento e nell'ardore dei genitali, lo spirito non abbia desideri opposti ad essa affinché non si dimostri ingrato nutrendo desideri opposti al dono di Dio. Le si dia tutto ciò che brama, come ad una cosa che viene dal Padre, e qualora non si ha nulla da darle, si chieda al Padre non che la tolga di mezzo o la reprima, ma che appaghi integralmente la concupiscenza da lui donata. Se questo è parlare da insipienti, perché paragonarla al vino o al cibo? Perché illuderci di dire qualcosa quando affermiamo: "né l'ubriachezza condanni il vino, né l'ingordigia il cibo, né l'oscenità disonori la libidine", dal momento che non si ha né ebrietà, né ingordigia, né oscenità quando la concupiscenza della carne è vinta dallo spirito che nutre desideri contro di essa? "La sua colpa sta nell'eccesso", dici tu. Non ti rendi conto, però (come ti sarebbe stato molto facile, qualora avessi voluto sconfiggere quella anziché me), che per non cadere nell'eccesso è necessario resistere al male della concupiscenza. Due sono i mali: l'uno lo possediamo e l'altro lo commettiamo se non resistiamo a quello che possediamo.La libidine nelle bestie non è un disordine.
14. 74. Abbiamo già detto in precedenza che nelle bestie la concupiscenza non è un male perché in esse non ha voglie opposte allo spirito. Esse infatti non hanno la ragione con cui soggiogare la libidine sconfiggendola o con cui lavorare per combatterla. Chi ti ha detto che "si pecca sempre ad imitazione delle bestie"? Per controbattere questa tesi che nessuno ti aveva obiettato ti sei affannato tanto da raccogliere una congerie di cose superflue che anche la scienza medica insegna dopo averle osservate nelle bestie. Affinché, però, non si creda che la concupiscenza della carne non è un male, per il fatto che è un bene nelle bestie, la cui natura, incapace di aspirare alla sapienza, può trovare diletto in essa, è stato ribadito che è un bene nelle bestie che vi trovano diletto senza alcun contrasto, mentre è un male negli uomini, nei quali essa ha voglie opposte allo spirito.L'autorità dei filosofi nella questione sulla libidine.
15. 75. Hai invocato l'aiuto di una massa di filosofi affinché, non potendolo fare la naturale abilità delle bestie, venissero in soccorso alla tua protetta almeno gli errori di uomini dotti. Chi non vede però come il tuo appellarti a uomini dotti e a sette diverse è solo ostentazione di sapere, se non appena legge le tue parole scopre che non hanno nulla a che fare con i problemi che ci riguardano? Chi può infatti ascoltare i filosofi da te ricordati: Talete di Mileto, uno dei sette sapienti, Anassimandro, Anassimene, Anassagora, Senofane, Parmenide, Leucippo, Democrito, Empedocle, Eraclito, Melisso, Platone, i Pitagorici, ciascuno con la propria soluzione dei problemi naturali? Chi può, dico, ascoltare tutto questo, soprattutto se si tratta di gente non erudita, qual è la maggioranza degli uomini, senza restare stupito dallo strepito dei nomi e delle scuole riunite insieme e senza giudicarti grande, per il fatto che hai potuto imparare tante cose? Questo tu vuoi. Limitandoti in effetti a citare tanti nomi alla rinfusa che nulla hanno a che fare con i problemi di nostro interesse, non hai detto assolutamente nulla. Avevi preannunciato di dire queste cose e poi hai scritto: "Tutti i filosofi, benché insegnavano altro nelle scuole, pur adorando gli idoli come la plebe, nel compiere ricerche sulle cause naturali, tra tante futilità, hanno tuttavia come intravisto alcune porzioni di verità, che, pur evanescenti per la loro nebulosità, giustamente possono essere anteposte al vostro domma contro cui stiamo combattendo". Per provarlo hai creduto dover aggiungere i nomi dei filosofi e dei fisici che anch'io or ora ho citato, con le opinioni che hanno avuto sulle cause naturali, ma non hai voluto o non hai potuto ricordarli tutti. Nessun uomo di dottrina dubita che in questo hai ingannato solo gli'inesperti. Avevi cominciato a dimostrare "che tutti i filosofi che hanno tentato di fare ricerche sulle cause naturali, giustamente possono essere preferiti al domma contro cui dovevi combattere". Perché allora, per non parlare di molti altri, nel ricordare Anassimene ed il suo discepolo Anassagora, hai taciuto l'altro discepolo Diogene, il quale, sui fenomeni naturali, ha avuto opinioni diverse da quelle del maestro e del discepolo e ha proposto un proprio sistema? E se avesse pensato qualcosa che non potesse essere preferito a noi, a cui, a tuo dire, debbono essere preferiti tutti coloro che hanno espresso teorie sulla natura delle cose? E se, per dimostrare questo, ti fossi gonfiato insipientemente, ricordando a vuoto il nome e le tesi dei filosofi? Ne hai saltato uno che avresti dovuto esaminare più attentamente per la sua connessione con il maestro e il condiscepolo. Hai avuto forse timore che fosse scambiato con Diogene il Cinico, o che, portando lo stesso nome, ai lettori venisse in mente costui che è stato più di te protettore della libidine, giacché non si vergognava di praticarla in pubblico, ragione per cui la sua setta ha preso il nome dai cani. Tu invece ti professi difensore della libidine, ma nel contempo arrossisci della tua protetta, che non si addiceva alla fede ed alla libertà del protettore.Le opinioni dei filosofi sul bene dell'uomo.
15. 76. Dimmi, ti prego: se era tuo desiderio anteporre a noi i filosofi, per qual motivo non hai parlato di quelli che con molta ingegnosità hanno disputato dei costumi nella parte della filosofia che essi chiamavano "etica" e noi "morale"? Questo infatti sarebbe stato molto congruente con te che reputi il piacere del corpo un bene dell'uomo, sia pure inferiore alla bontà della mente. Ma chi non vede le tue intenzioni? Hai cercato di evitare che, proprio sulla questione del piacere, ti possano schiacciare quei filosofi più onesti, che Cicerone ha chiamato "consolari" per la loro onorabilità e magari gli stessi stoici, acerrimi nemici del piacere, la cui testimonianza hai creduto di poter riferire dalla persona di Balbo nel dialogo del medesimo Cicerone, testimonianza senz'altro vera ma perfettamente inutile alla tua causa. Volendo nascondere la loro convinzione che il piacere del corpo non costituisce alcun bene per l'uomo, non hai ricordato nulla del problema morale, né nomi né dottrina di filosofi, cosa che sarebbe stata molto pertinente alla nostra questione, se qualcosa si poteva provare dai filosofi. Contro costoro infatti non avrebbe potuto difenderti, non dico Epicuro, che ha riposto tutto il bene dell'uomo nel piacere del corpo, giacché non pensi, come lui, ma neppure Dinomaco, la cui filosofia ti è piaciuta. Egli pensava di poter unire il piacere all'onestà, e che, al pari dell'onestà, il piacere potesse essere appetibile di per se stesso 126. Ritenendola ostile a te, hai avuto paura di toccare questa parte riguardante i costumi. Vedi bene che proprio in ciò che costituisce il culmine della nostra controversia, quali e quanti filosofi e di quale straordinaria fama tra le genti sono preferiti a te. Pensa soprattutto a Platone che Cicerone non dubita di chiamare quasi dio dei filosofi 127. Tu stesso non hai potuto fare a meno di citarlo quando hai voluto metterci contro o preferire a noi le teorie naturalistiche dei filosofi anziché quelle moralistiche. E non dimenticare che Platone giustamente e significativamente ha detto che i piaceri sono l'allettamento e l'esca dei mali.I filosofi ignorarono il peccato del primo uomo.
15. 77. Hai forse ritenuto necessario ricordare quanto i filosofi da te citati pensavano della condizione dell'uomo, perché anch'esso è attinente alla questione naturale ed in qualche modo lo richiedeva la nostra causa? Non l'hai fatto ed a ragione. Cosa infatti essi avevano imparato ed insegnato del primo uomo Adamo e di sua moglie, della loro prima caduta, dell'astuzia del serpente o della loro nudità, senza vergogna prima del peccato e con vergogna subito dopo? Cosa infine avevano sentito delle parole dell'Apostolo: per opera di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte; così la morte passò a tutti gli uomini, perché in lui tutti peccarono 128? Ignari di queste parole e di questa verità, cosa avrebbero potuto sapere? In verità, se circa la condizione dell'uomo hai ritenuto doveroso non citare per niente le teorie degli uomini molto lontani dalle nostre Sacre Scritture, ed hai pensato molto bene: quanto meno avrebbero potuto esserti di aiuto le parole citate da te riguardanti le loro opinioni sull'inizio di questo mondo visibile, problema intorno a cui non c'è controversia alcuna tra di noi? La tua mente piuttosto è sconvolta dalla vanità dell'orgoglio, come se avessi appreso chissà che cosa dai libri dei filosofi.I filosofi più vicini alla fede cristiana.
15. 78. Non sembra, però, che si siano avvicinati invano alla fede cristiana quelli che, vedendo questa vita piena di inganni e di miserie, hanno pensato che tutto fosse avvenuto per disegno di Dio, riconoscendo invero la giustizia al Creatore, da cui è stato fatto ed è governato questo mondo. Quanto hanno pensato meglio di te ed in maniera più aderente alla verità sull'origine dell'uomo, i filosofi che Cicerone, quasi guidato e spinto dall'evidenza stessa della verità, ha citato nell'ultima parte del dialogo dell'Ortensio. Dopo aver detto molte cose sulla vanità ed infelicità dell'uomo, come vediamo e lamentiamo: Per questi errori e contrarietà della vita umana, egli dice, è successo che talvolta nell'antichità i vati o gli espositori delle sacre iniziazioni e della mente divina, dànno l'impressione di avere intravisto qualcosa, dal momento che affermano che siamo nati per scontare pene contratte per qualche delitto commesso in una vita precedente. Per la stessa ragione è accaduto che noi siamo in certo modo colpiti da un supplizio, descritto da Aristotele, simile a quello che subivano coloro che un tempo cadevano nelle mani dei predoni etruschi. I poveretti venivano uccisi con una crudeltà raffinata: i loro corpi vivi erano legati il più stretto possibile ai cadaveri, facendo combaciare l'uno all'altro. Come i vivi ai cadaveri, le nostre anime sono unite ai corpi 129. Quelli che pensavano in questo modo non hanno visto forse meglio di te il grave giogo posto sul figli di Adamo, nonché la potenza e la giustizia di Dio, anche se non hanno potuto intravedere la grazia, concessa dal Mediatore per la liberazione dell'uomo? Ecco quindi che, su tua istigazione, ho trovato dagli scritti dei filosofi qualcosa che può essere realmente anteposto a te, che in essi non hai potuto trovare nulla di simile e non hai voluto tacere per esortarmi a trovare quello che va contro di te.La testimonianza dell'Apostolo sul pudore;
16. 79. Come puoi ritenere favorevole a te una testimonianza dell'Apostolo che è contro di te, e, senza sapere quello che dici, dichiarare vergognose le nostre membra che prima del peccato erano nude e non ingeneravano turbamento? Ho dovuto usare infatti la medesima testimonianza dell'Apostolo che hai usato tu: quelle membra del corpo che ritieniamo le più deboli, sono molto più necessarie 130 e tutte le altre parole che hai aggiunto per noi. Vale la pena però di considerare come sei arrivato a dire: "È tempo ormai di far vedere sull'autorità della Legge, oltre che sulla evidenza della natura, che le nostre membra sono state formate in modo tale che alcune godessero di una libertà ed altre fossero coperte da pudore. A conferma sia citato il maestro dei gentili, che scrivendo ai Corinzi, dice: Il nostro corpo non è composto di un membro solo, ma di molte membra 131". Dopo aver citato le parole con cui l'Apostolo spiega mirabilmente l'unità e la concordia delle membra, scrivi: "Avendo nominato poche membra di tutto il corpo, per pudore non ha voluto nominare i genitali". Ma con queste parole non rimproveri te stesso? Era pudore dunque non nominare direttamente quello che Dio rettamente si era degnato di fare? Poteva il banditore vergognarsi di proclamare ciò che il Giudice stesso non si era vergognato di creare? Non è meglio dire che quelle membra che Dio aveva create oneste, noi le abbiamo rese disoneste con il peccato?Corretta interpretazione del testo apostolico.
16. 80. Su questo argomento aggiungi la testimonianza dell'Apostolo che si esprime, ce lo ricordi, in questi termini: Quelle membra del corpo che riteniamo le più deboli, sono molto più necessarie, e quelle che stimiamo le meno nobili del corpo, sono quelle che circondiamo di un più grande onore, e le nostre membra meno decenti sono trattate con decoro maggiore; al contrario, quelle oneste non ne hanno bisogno. Iddio ha composto il corpo in modo da dare maggiore onore a ciò che ne manca, affinché non vi sia divisione nel corpo ma le membra siano vicendevolmente sollecite del bene comune 132. Subito dopo, qual vincitore, esclami: "Ecco uno che ha veramente compreso l'opera di Dio, ecco un fedele predicatore della sua sapienza: le nostre membra meno decenti sono trattate con maggiore onore". Hai creduto di poter legare tutta la tua causa ad una sola parola che dici di aver letto nell'Apostolo: le membra meno decenti. Se avessi letto invece: le nostre membra disoneste, non ti saresti servito affatto di questa testimonianza. In nessuna maniera infatti, e tanto meno prima del peccato, Dio avrebbe potuto creare qualcosa di disonesto nelle membra del corpo umano. Impara pertanto quello che ignori non avendo voluto indagare con diligenza. L'Apostolo ha scritto: disoneste, ma alcuni traduttori, tra i quali, penso, quello che è stato letto da te, per vergogna, credo, hanno chiamato meno decenti quelle membra che l'Apostolo aveva dichiarate disoneste. Lo si prova dalle parole stesse scritte nel codice da cui le hai tradotte. La parola intesa da te come meno decenti, in greco suona: . Le parole che seguono: sono circondate da maggiore onore in greco suonano che integralmente vengono interpretate onestà. Ne segue che ad si deve dare il significato di disoneste. L'altra aggiunta, infine: quelle oneste in greco suonano , donde appare chiaro che le membra che sono state chiamate sono disoneste. Ma, all'infuori di ogni considerazione delle parole greche, avrebbe dovuto parlarti chiaramente il fatto che sono dette disoneste quelle parti del corpo che copriamo con maggiore cura, mentre sono dette oneste le parti del corpo che non hanno bisogno di essere coperte. Quale significato avrebbero infatti le parole quelle oneste non ne hanno bisogno, se non che sono disoneste quelle parti che hanno bisogno di essere coperte? Si adopera l'onestà quindi con le cose disoneste allorquando queste sono ricoperte per quel senso di verecondia della natura ragionevole. La loro onestà ed il loro onore è la copertura, tanto più abbondante quanto più disoneste sono le parti. L'Apostolo non avrebbe scritto tali parole se avesse descritto il corpo quale l'uomo lo possedeva quando era nudo e non si vergognava.La vergogna dell'uomo e della donna dopo la perdita della grazia.
16. 81. Vedi pertanto con quanta impudenza hai detto che "all'inizio gli uomini erano nudi perché il coprirsi appartiene alla umana ingegnosità che essi ancora non avevano". Ne seguirebbe che prima del peccato erano inetti e dopo il peccato sono diventati ingegnosi. Dopo aver detto queste e molte altre idiozie, quasi con eleganza ed acume concludi: "Non hanno reso i genitali disonesti o diabolici perché avevano peccato, ma, poiché avevano paura, hanno ricoperto quelle membra che restavano nella medesima onestà originaria". Al che rispondo dicendoti che le membra non sono affatto diaboliche per quanto riguarda la loro sostanza, la loro forma, la loro qualità, tutte opere di Dio. Se quelle membra però sono rimaste nella identica onestà primitiva, perché mai l'Apostolo le ha dette disoneste? Giustamente tu stesso hai ammesso che prima erano oneste: non avresti potuto infatti pensare diversamente se non con blasfema opinione. Quelle membra, quindi, che Dio aveva fatto oneste, l'Apostolo le ha chiamate disoneste. Ti domando il motivo. Se non è avvenuto a causa del peccato, per quale altro motivo è avvenuto? Chi ha reso disoneste le opere oneste di Dio cosicché l'Apostolo le chiamasse disoneste? È stato, forse, il nostro modo di essere nel quale si vede la ingegnosità del Creatore o la libidine nella quale c'è la pena del peccatore? Anche adesso, infatti, ciò che Dio vi compie è onesto, mentre ciò che l'origine vi contrae è disonesto. Purtuttavia, affinché non ci siano divisioni nel corpo, Dio ha dato al senso naturale il dono che le membra siano sollecite le une per le altre e che le parti rese disoneste dalla concupiscenza siano ricoperte dal pudore.La vergogna conseguenza della concupiscenza.
16. 82. "Perché mai, tu dici, al suono della voce di Dio che passeggiava nel paradiso, Adamo e sua moglie si nascosero, se le cinture potevano bastare a coprire la nudità dei genitali di cui si vergognavano 133"? Ma che dici, quando non trovi niente da dire? Non capisci che cercarono un nascondiglio il più recondito possibile perché erano trepidanti di fronte a Dio? La copertura posta intorno ai lombi copriva l'eccitazione che essi sentivano in se stessi mentre arrossivano. Se quando erano nudi non sentivano vergogna, ne segue che dopo il peccato si sono coperti perché si vergognavano.Senza dubbio era la vergogna della disonestà. Le parole: Erano nudi, ma non sentivano mutua vergogna 134, sono state scritte perché apparisse chiaro che hanno coperto quelle membra proprio per la vergogna. Qui, invece, nascondendosi in mezzo al paradiso, Adamo rispose: Ho sentito la tua voce mentre camminavi nel giardino e mi sono nascosto perché ero nudo 135. Lì c'era la manifesta vergogna, qui l'occulta coscienza, che dopo la caduta aveva portato internamente la manifesta vergogna; lì il frutto del pudore, qui del timore; lì la concupiscenza che imponeva il rossore, qui la coscienza che richiedeva la pena. Come uno sciocco, nascondendo il corpo, credeva di sfuggire a Colui che guarda l'interno dell'anima. Quale significato hanno le parole del Signore: Chi ti ha fatto sapere che eri nudo, se non il fatto che hai mangiato dell'albero del quale ti avevo comandato di non mangiare? 136 Cos'altro può significare la rivelazione della nudità per aver mangiato il frutto proibito, se non che dal peccato era stato spogliato quello che la grazia ricopriva? Grande, infatti, era la grazia di Dio laddove il corpo terreno ed animale non possedeva la bestiale libidine. Colui che, rivestito della grazia non aveva nel corpo nudo di che vergognarsi, spogliato della grazia ha sentito la necessità di coprirsi.Nulla che appartiene alla natura dell'uomo fu creato dal diavolo.
16. 83. "È necessario fuggire - scrivi ancora - l'opinione secondo la quale nelle membra dell'uomo o nei suoi sensi il diavolo ha creato qualcosa". Perché ci contrapponi le tue stravaganti obiezioni? Il diavolo non ha creato nulla nella natura dell'uomo, ma, convincendolo al peccato, ha solo violato quello che Dio aveva creato buono, cosicché, per la ferita inferta dal libero arbitrio di due uomini, tutto il genere umano è diventato zoppo. Ecco che circonda i tuoi sensi la miseria del genere umano. Sei uomo, non ritenere estraneo a te nulla di ciò che è umano 137. Quello che non soffri tu, compatiscilo negli altri. Per quanta felicità terrena possa avere a tua disposizione, neppure tu trascorri un giorno della tua vita terrena senza una lotta interna, se è vero che ti sforzi di porre in atto ciò che professi. Quando non riesci più a ricordare, guarda i fanciulli; quali e quanti mali debbono soffrire; tra quante menzogne, tra quanti tormenti, tra quanti errori e paure crescono. Quando sono cresciuti poi, e magari sono al servizio di Dio, l'errore li tenta ancora per ingannarli; li tentano la fatica o il dolore per spezzarli, la libidine per accenderli; la tristezza per prostrarli; il tifo per esaltarli. E chi può spiegare rapidamente tutti i pesi con i quali è appesantito il giogo sui figli di Adamo? L'evidenza di questa miseranda situazione, ha spinto i filosofi pagani, che nulla sapevano o credevano del peccato originale, ad affermare che siamo nati per espiare i peccati commessi in una vita precedente e che le nostre anime sono unite al corpo corruttibile alla maniera del supplizio a cui i predoni etruschi erano soliti condannare i prigionieri: uomini vivi legati a cadaveri 138! L'Apostolo tronca la credenza secondo cui le singole anime sono inserite nei diversi corpi in rapporto ai meriti di una vita precedente. Che altro rimane, se non che la causa di questi mali sia l'iniquità o l'impotenza di Dio, oppure la pena del primo ed antico peccato? Siccome, però, Dio non è né ingiusto né impotente, resta solo quello che non vuoi ma sei costretto ad ammettere: un gravame assegnato da Dio e un giogo pesante sui figli dell'uomo, dal giorno nel quale sono usciti dal seno della madre fino al giorno nel quale ritorneranno alla madre di tutti 139, non ci sarebbe stato se non ci fosse stato in precedenza il demerito del peccato originale.Apparizione della Beata Vergine sulla montagna di La Salette con altri fatti prodigiosi
San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco
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Per ubbidire ai decreti di Urbano VIII mi protesto, che a quanto si dirà nel libro di miracoli, rivelazioni, o di altri fatti, non intendo di attribuire altra autorità, che umana; e dando ad alcuno titolo di Santo o Beato, non intendo darlo se non secondo l'opinione; eccettuate quelle cose e persone, che sono state già approvate dalla S. Sede Apostolica. {4 [403]}
Al lettore
Un fatto certo e maraviglioso, attestato da migliaia di persone, e che tutti possono anche oggidì verificare, è l'apparizione della beata Vergine, avvenuta il 19 settembre 1846[1].
Questa nostra pietosa Madre è apparsa in forma e figura di gran Signora a due pastorelli, cioè ad un {5 [405]} fanciullo di 11 anni, e ad una villanella di 15 anni, là sopra una montagna della catena delle Alpi situata nella parochia di La Salette in Francia. Ed essa comparve non pel bene soltanto della Francia, come dice il Vescovo di Grenoble, ma pel bene di tutto il mondo; e ciò per avvertirci della gran collera del suo Divin Figlio, accesa specialmente pei tre peccati: la bestemmia, la profanazione delle feste e il mangiar grasso ne'giorni proibiti.
A questo tengono dietro altri fatti prodigiosi raccolti eziandio da pubblici documenti, oppure attestati da persone la cui fede esclude ogni dubbio intorno a quanto riferiscono.
Questi fatti valgano a confermare i buoni nella religione, a confutare quelli che forse per ignoranza vorrebbero porre un limite alla potenza e alla misericordia del Signore dicendo: Non è più il tempo dei miracoli.
Gesù disse che nella sua Chiesa si sarebbero operati miracoli maggiori che Egli non operò: e non fissò nè tempo nè numero, perciò finchè vi sarà la {6 [406]} Chiesa, noi vedremo sempre la mano del Signore che farà manifesta la sua potenza con prodigiosi avvenimenti, perchè ieri ed oggi e sempre G. C. sarà quello che governa e assiste la sua Chiesa fino alla consumazione dei secoli.
Ma questi segni sensibili della Onnipotenza Divina sono sempre presagio di gravi avvenimenti che manifestano la misericordia e la bontà del Signore, oppure la sua giustizia e il suo sdegno, ma in modo che se ne tragga la sua maggior gloria e il maggior vantaggio delle anime.
Facciamo che per noi siano sorgente di grazie e di benedizioni; servano di eccitamento alla fede viva, fede operosa, fede che ci muova a fare il bene e a fuggire il male per renderci degni della sua infinita misericordia nel tempo e nella eternità. {7 [407]}
Apparizione della B. Vergine sulle montagne della Salette
Massimino, figlio di Pietro Giraud, falegname del borgo di Corps, era un fanciullo di 11 anni: Francesca Melania figlia di poveri parenti, nativa di Corps era una giovinetta di anni 15. Niente avevano di singolare: Amendue ignoranti e rozzi, amendue addetti a guardare il bestiame su pei monti. - Massimino non sapeva altro che il Pater e l'Ave; Melania ne sapeva poco più, tanto che per la sua ignoranza non era ancora stata ammessa alla s. Comunione.
Mandati dai loro genitori a guidare il bestiame nei pascoli, non fu se non per puro accidente che il giorno 18 {9 [409]} settembre, vigilia del grande avvenimento, s'incontrarono sul monte, mentre abbeveravano le loro vacche ad una fontana.
La sera di quel giorno, nel far ritorno a casa col bestiame, Melania disse a Massimino: «Domani chi sarà il primo a trovarsi sulla Montagna?» E all'indomani, 19 settembre, che era un sabato vi salivano insieme, conducendo ciascuno quattro vacche ed una capra. La giornata era bella e serena il sole brillante. Verso il mezzogiorno udendo suonare la campana dell'Angelus, fanno breve preghiera col segno della s. Croce; di poi prendono le loro provvisioni di bocca e vanno a mangiare presso una piccola sorgente, che era a sinistra d'un ruscelletto. Finito di mangiare, passano il ruscello, depongono i loro sacchi presso una fontana asciutta, discendono ancora qualche passo, e contro il solito si addormentano a qualche distanza l'uno dall'altro.
Ora ascoltiamo il racconto dagli stessi pastorelli tal quale essi lo fecero la {10 [410]} sera del 19 ai loro padroni e di poi le mille volte a migliaia di persone.
«Noi ci eravamo addormentati... racconta Melania, io mi sono svegliata la prima; e, non vedendo le mie vacche, svegliai Massimino dicendogli: Su andiamo a cercare le nostre vacche. Abbiamo passato il ruscello, siamo saliti un po’in su, e le vedemmo dalla parte opposta coricate. Esse non erano lontane. Allora tornai giù a basso; e a cinque o sei passi prima di arrivare al ruscello, vidi un chiarore come il Sole, ma ancor più brillante, non però del medesimo colore, e dissi a Massimino: Vieni, vieni presto a veder là abbasso un chiarore[2].
«Massimino discese subito dicendomi: Ov'è questo chiarore? E glielo indicai col dito rivolto alla piccola fontana; ed ei si fermò quando lo vide. Allora noi vedemmo una Signora in mezzo alla luce; essa sedeva sopra un mucchio di sassi, col volto tra le
{11 [411]} mani. Per la paura io lasciai cadere il mio bastone. Massimino mi disse: tienlo il bastone; se la ci farà qualche cosa, le darò una buona bastonata.
«In seguito questa Signora si levò in piedi, incrocicchiò le braccia e ci disse: Avanzatevi, miei ragazzi: Non abbiate paura; son qui per darvi una gran nuova.» Allora noi passammo il ruscello, ed essa si avanzò sino al luogo, dove prima ci eravamo addormentati. Essa era in mezzo a noi due, e ci disse piangendo tutto il tempo che ci parlò (ho veduto benissimo le sue lagrime): «Se il mio popolo non si vuole sottomettere, sono costretta dì lasciar libera la mano di mio Figlio. Essa è così forte, così pesante, che non posso più trattenerla.
«È gran tempo che soffro per voi! Se voglio che mio Figlio non vi abbandoni, debbo pregarlo costantemente; e voi altri non ne fate conto. Voi potrete ben pregare, ben fare, giammai non potrete compensare la sollecitudine, che mi sono data per voi. {12 [412]}
«Vi ho dati sei giorni per lavorare, mi sono riservato il settimo, e non si vuole accordarmelo. Questo è ciò che rende tanto pesante la mano di mio Figlio.
«Se le patate si guastano, è tutto per causa vostra. Ve lo feci vedere 1'anno scorso (1845); e voi non avete voluto farne caso, e, trovando patate guaste, bestemmiavate mettendovi frammezzo il nome di mio Figlio.
«Continueranno a guastarsi, e quest'anno per Natale non ne avrete più (1846).
«Se avete del grano non dovete seminarlo: tutto ciò che voi seminerete, sarà dai vermi mangiato; e quello che nascerà andrà in polvere, quando lo batterete.
«Verrà una grande carestia[3]. {13 [413]}
«Avanti che venga la carestia, i fanciulli al di sotto dei sette anni saranno presi da un tremore e moriranno tra le mani delle persone che li terranno: gli altri faranno penitenza per la carestia.
«Le noci si guasteranno, e le uve marciranno...[4]
«Se si convertono, le pietre e gli scogli si cambieranno in mucchi di grano, e le patate verranno prodotte dalla terra stessa.»
«Quindi ci disse: {14 [414]}
«Dite voi bene le vostre orazioni, o miei ragazzi?
«Noi rispondemmo entrambi: Non troppo bene, o Signora.
«Ah miei fanciulli, dovete dirle bene la sera e la mattina. Quando non avete tempo dite almeno un Pater ed un'Ave Maria: e quando avrete tempo ditene di più.
«Alla Messa non vanno che alcune donne vecchie, e le altre lavorano alla Domenica tutta 1'estate; e all'inverno i giovani, quando non sanno che fare, vanno alla Messa per mettere in ridicolo la religione. In quaresima si va alla macelleria a guisa di cani.
«Quindi ella disse: Non hai tu veduto, o mio ragazzo, del grano guasto?
«Massimino rispose: Oh! no,Signora. Io, non sapendo a chi facesse que¬sta domanda, risposi sotto voce.
«No, Signora, non ne ho ancora veduto.
«Voi dovete averne veduto, mio ragazzo (rivolgendosi a Massimino), una volta verso il territorio di Coïn con vostro {15 [415]} padre. Il padrone del campo disse a vostro padre che andasse a vedere il suo grano guasto; voi ci siete andati entrambi. Prendeste alcune spighe nelle vostre mani, e strofinate andarono tutte in polvere, e voi vi ritornaste. Quando eravate ancora una mezz'ora distanti da Corps, vostro padre vi diede un pezzo di pane, e vi disse: Prendi, o figlio mio, mangia ancora del pane in quest'anno; non so chi ne mangierà l'anno venturo, se il grano continua a guastarsi in questo modo.
«Massimino rispose: Oh! si, Signora, ora me ne ricordo; poco fa non me ne sovveniva.
«Dopo ciò quella Signora ci disse: «Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo.
«Indi ella passò il ruscello, ed a due passi di distanza, senza rivolgersi verso di noi, ci disse di nuovo: Ebbene, miei ragazzi, voi lo farete sapere a tutto il mio popolo.
«Ella salì di poi una quindicina di passi, sino al luogo ove eravamo andati per cercare le nostre vacche; {16 [416]} ma essa camminava sopra l'erba; i suoi piedi non ne toccavano che la cima. Noi la seguivamo; io passai davanti alla Signora e Massimino un poco di fianco, a due o tre passi di distanza. E la bella Signora si è innalzata così (Melania fa un gesto levando la mano di un metro e più); Ella rimase così sospesa nell'aria un momento. Dopo Ella rivolse uno sguardo al Cielo, indi alla terra; dopo non vedemmo più la testa... non più le braccia... non più i piedi... sembrava che si fondesse; non si vide più che un chiarore nell'aria; e dopo il chiarore disparve.
«Dissi a Massimino: È forse una gran santa? Massimino mi rispose: Oh! se avessimo saputo ch'era una gran santa, noi le avremmo detto di condurci con essa. Ed io gli dissi: E se ci fosse ancora? Allora Massimino slanciò la mano per raggiungere un poco del chiarore, ma tutto era scomparso. Osservammo bene, per iscorgere se non la vedevamo più.
E dissi: Essa non vuol farsi vederem per non farci sapere ove sen vada. Dopo ciò andammo dietro alle nostre vacche.»
Questo è il racconto di Melania; la quale interrogata come quella Signora fosse vestita rispose:
«Essa avea scarpe bianche con rose attorno... ve ne erano di tutti i colori; aveva le calze gialle, un grembiale giallo, una veste bianca tutta cospersa di perle, un fazzoletto bianco al collo contornato di rose, una cuffia alta un poco pendente avanti con una corona di rose attorno. Aveva una catenella, alla quale era appesa una croce col suo Cristo: a diritta una tanaglia, a sinistra un martello; all'estremità della Croce un'altra gran catena pendeva, come le rose intorno al suo fazzoletto da collo. Aveva il volto bianco, allungato; io non poteva riguardarla molto tempo, perchè ci abbagliava.»
Interrogato separatamente Massimino fa lo stessissimo racconto, senza variazione alcuna, nè per la sostanza {18 [418]} e neppure per la forma; il quale perciò ci asteniamo di qui ripetere.
Sono infinite e stravaganti le insidiose domande che loro si fecero, specialmente per ben due anni, e sotto interrogatorii di 5, 6, 7 ore di seguito coll'intento di imbarazzarli, di confonderli, di trarli in contraddizione. Certo è, che forse mai nessun reo fu dai tribunali di giustizia investito così con tante difficoltà e interrogazioni intorno ad un delitto imputatogli.
Segreto dei due pastorelli.
Subito dopo 1'apparizione, Massimino e Melania, nel far ritorno a casa, s'interrogarono tra di loro, perche mai la gran Dama dopo che ebbe detto «le uve marciranno» ha tardato un poco a parlare e non faceva che muovere le labbra, senza far intendere che cosa dicesse?
Nell'interrogarsi su di ciò a vicenda, diceva Massimino a Melania «A me essa ha detto una cosa, ma mi ha proibito {19 [419]} di dirtelo.» S'accorsero entrambi d'aver ricevuto dalla Signora, ciascuno separatamente, un segreto colla proibizione di non dirlo ad altri. Or pensa tu, o lettore, se i ragazzi possono lacere.
È cosa incredibile a dirsi quanto siasi fatto e tentato per cavar loro di bocca in qualche modo questo secreto. Fa meraviglia a leggere i mille e mille tentativi adoperati a quest'uopo da centinaia e centinaia di persone per ben vent'anni. Preghiere, sorprese, minaccie, ingiurie, regali e seduzioni d'ogni maniera, tutto andò a vuoto; essi sono impenetrabili.
Il vescovo di Grenoble, uomo ottuagenario, si credette in dovere di comandare ai due privilegiati fanciulli di far almeno pervenire il loro segreto al santo Padre, Pio IX. Al nome del Vicario di Gesù Cristo i due pastorelli ubbidirono prontamente e si decisero a rivelare un segreto, che fino allora nulla aveva potuto strappar loro di bocca. L'hanno dunque scritto essi medesimi (dal giorno dell'apparizione {20 [420]} in poi erano stati messi alla scuola, e ciascheduno separatamente); quindi piegarono e suggellarono la loro lettera; e tutto ciò alla presenza di persone ragguardevoli, scelte dallo stesso vescovo a servir loro di testimonii. Indi il vescovo inviò due sacerdoti a portare a Roma questo misterioso dispaccio.
Il 18 luglio 1851 rimettevano a S. S. Pio IX tre lettere, una di Monsignor vescovo di Grenoble, che accreditava questi due inviati, le due altre contenevano il segreto dei due giovanetti della Salette; ciascun di essi aveva scritto e sigillata la lettera contenente il suo segreto alla presenza di testimonii che avevano dichiarato 1'autenticità delle medesime sulla coperta.
S. S. aprì le lettere, e cominciata a leggere quella di Massimino, «Vi ha proprio, disse, il candore e la semplicità di un fanciullo.» Durante quella lettura si manifestò sul volto del Santo Padre una certa emozione; gli si contrassero le labbra, gli si gonfiarono {21 [421]} le gote. «Trattasi, disse il Papa ai» due sacerdoti, trattasi di flagelli, di» cui la Francia è minacciata. Non» essa sola è colpevole, lo sono pure» 1'Allemagna, 1'Italia, 1'Europa» intiera, e meritano dei castighi. Io» temo assai l'indifferenza religiosa» ed il rispetto umano.»
Concorso alla Salette.
La fontana, presso alla quale erasi riposata la Signora, cioè la V. Maria, era come dicemmo, asciutta; e, a detta di tutti i pastori e paesani di quei contorni, non dava acqua se non dopo abbondanti pioggie e dopo lo scioglimento delle nevi. Ora questa fontana, asciutta nello stesso giorno dell'apparizione, il giorno dopo cominciò a zampillare, e da quell'epoca l'acqua scorre chiara e limpida senza interruzione.
Quella montagna nuda, dirupata, deserta, abitata dai pastori, appena quattro mesi dell'anno, è divenuta il teatro di un concorso immenso di {22 [422]} gente. Intere popolazioni traggono da ogni parte a quella privilegiata montagna; e piangendo per tenerezza, e cantando inni e cantici si vedono chinare la fronte sopra quella terra benedetta, dove ha risuonato la voce di Maria: si vedono baciare rispettosamente il luogo santificato dai piedi di Maria; e ne discendono pieni di gioia, di fiducia e di riconoscenza.
Ogni giorno un numero immenso di fedeli vanno divotamente a visitare il luogo del prodigio. Nel primo anniversario dell'apparizione (19 settembre 1847), oltre a settanta mila pellegrini d'ogni età, d'ogni sesso, d'ogni condizione ed anche d'ogni nazione coprivano la superficie di quel terreno...
Ma ciò che fa sentire vie più la potenza di quella voce venuta dal Cielo, è che si produsse un mirabile cambiamento di costumi negli abitanti di Corps, di La Salette, di tutto il cantone e di tutti i dintorni, e in lontane parti ancora si diffonde e si propaga... {23 [423]} Hanno cessato di lavorare la Domenica: hanno dismessa la bestemmia... Frequentano la Chiesa, accorrono alla voce dei loro Pastori, si accostano ai santi Sacramenti, adempiono con edificazione il precetto della Pasqua fino a quel momento generalmente negletto. Taccio le molte e strepitose conversioni, e le grazie straordinarie nell'ordine spirituale.
Nel luogo dell'apparizione sorge ora una Chiesa maestosa con vastissimo edifizio, dove i viaggiatori dopo di aver soddisfatta la loro divozione possono agiatamente ristorarsi ed anche passarvi a gradimento la notte.
Dopo il fatto di La Salette Melania fu inviata alle scuole con maraviglioso progresso nella scienza e nella virtù. Ma si sentì ognora sì accesa di divozione verso alla B. V. Maria, che determinò di consacrarsi tutta a Lei. Entrò di fatto nelle carmelitane scalze tra cui, secondo il giornale Echo de Fourvière 22 ottobre 1870, sarebbe {24 [424]} stata dalla s. Vergine chiamata al cielo. Poco prima di morire scrisse la se guente lettera a sua madre.
11 settembre 1870.
«CARISSIMA ED AMATISSIMA MADRE,
«Che Gesù sia amato da tutti i cuori. - Questa lettera non è solo per voi, ma è per tutti gli abitanti del mio caro paese di Corps. Un padre di famiglia, amorosissimo verso i suoi figli, vedendo che dimenticavano i loro doveri, che disprezzavano la legge loro imposta da Dio, che diventavano ingrati, si risolvette di castigarli severamente. La sposa del Padre di famiglia dimandava grazia, e nello stesso tempo recavasi dai due più giovani figli del Padre di famiglia, cioè i due più deboli e più ignoranti. La sposa che non può piangere nella casa del suo sposo (che è il Cielo) trova nei campi di questi miserabili figliuoli lagrime in abbondanza: essa espone i suoi timori e le sue minaccie, se non si torna indietro, se non si osserva {25 [425]} la legge del Padrone di casa. Un piccolissimo numero di persone abbraccia la riforma del cuore, e si mette ad osservare la santa legge del Padre di famiglia; ma ahimè! la maggioranza rimane nel delitto e vi si immerge sempre più. Allora il Padre di famiglia manda dei castighi per punirli e per trarli da questo stato di induramento. Questi figli sciagurati pensano di poter sottrarsi al castigo, afferrano e spezzano le verghe che li percuotono, invece di cader ginocchioni, domandar grazia e misericordia, e specialmente promettere di cambiar vita. Infine il padre di famiglia, irritato ancor di più, da mano ad una verga ancor più forte e batte e batterà infino a che lo si riconosca, si umiliino e domandino misericordia a Colui che regna sulla terra e nei cieli.
«Voi mi avete capito, cara madre e cari abitanti di Corps: questo Padre di famiglia è Dio. Noi siamo tutti suoi figli; nè io nè voi 1'abbiamo amato come avremmo dovuto; non abbiamo {26 [426]} adempito, come conveniva, i suoi comandamenti: ora Dio ci castiga. Un gran numero dei nostri fratelli soldati muoiono, famiglie e città intere son ridotte alla miseria; e se non ci rivolgiamo a Dio, non è finito. Parigi è colpevole assai perchè ha premiato un uomo cattivo che ha scritto contro la divinità di Gesù Cristo. Gli uomini hanno un tempo solo per commettere peccati; ma Dio è eterno, e castiga i peccatori. Dio è irritato per la moltiplicità dei peccati, e perchè è quasi sconosciuto e dimenticato. Ora chi potrà arrestare la guerra che fa tanto male in Francia, e che fra poco ricomincerà in Italia? ecc. ecc. Chi potrà arrestare questo flagello?
«Bisogna 1o che la Francia riconosca che in questa guerra vi è unicamente la mano di Dio; 2° che si umilii e chiegga colla mente e col cuore perdono de'suoi peccati; che prometta sinceramente di servire Dio colla mente e col cuore, e di obbedire ai suoi comandamenti senza rispetto umano. Alcuni pregano, domandano a {27 [427]} Dio il trionfo di noi Francesi. No, non è questo che vuole il buon Dio: vuole la conversione dei francesi. La Beatissima Vergine è venuta in Francia, e questa non si è convertita: è perciò più colpevole delle altre nazioni; se non si umilia, sarà grandemente umiliata. Parigi, questo focolare della vanità e dell'orgoglio, chi potrà salvarla se fervorose preghiere non s'innalzano al cuore del buon Maestro?
«Mi ricordo, cara madre e carissimi abitanti, del mio caro paese, mi ricordo, quelle divote processioni, che facevate sul sacro monte della Salette, perchè la collera di Dio non colpisse il vostro paese! La S. Vergine ascoltò le vostre fervide preci, le vostre penitenze e tutto quanto faceste per amor di Dio. Penso e spero, che attualmente tanto più dovete fare delle belle processioni per la salvezza della Francia; cioè perchè la Francia ritorni a Dio, perchè Dio non aspetta che questo per ritirare la verga, di cui si serve per flagellare il suo popolo ribelle. Preghiamo dunque molto, {28 [428]} sì, preghiamo; fate le vostre processioni, come le faceste nel 1846 e 47: credete che Dio ascolta sempre le preghiere sincere dei cuori umili. Preghiamo molto, preghiamo sempre. Non ho mai amato Napoleone, perchè ricordo la intiera sua vita. Possa il divin Salvatore perdonargli tutto il male che ha fatto; e che fa ancora!
«Ricordiamoci che siam creati per amare e servire Dio, e che fuori di questo non vi ha vera felicità. Le madri allevino cristianamente i loro figliuoli, perchè il tempo delle tribulazioni non è finito. Se io ve ne svelassi il numero e le qualità, ne restereste inorriditi. Ma non voglio spaventarvi; abbiate fiducia in Dio, che ci ama infinitamente più dì quello che noi possiamo amarlo. Preghiamo, preghiamo, e la buona, la divina, la tenera Vergine Maria sarà sempre con noi: la preghiera disarma la collera di Dio; la preghiera è la chiave del Paradiso.
«Preghiamo pei nostri poveri soldati, preghiamo per tante madri desolate {29 [429]} per la perdita dei loro figliuoli, consacriamo noi stessi alla nostra buona Madre celeste: preghiamo per questi ciechi, che non vedono che è la mano di Dio, che ora percuote la Francia. Preghiamo molto e facciamo penitenza. Tenetevi tutti attaccati alla santa Chiesa, e al nostro S. Padre che ne è il Capo visibile e il Vicario di Nostro Signor Gesù Cristo sulla terra. Nelle vostre processioni, nelle vostre penitenze pregate molto per lui. Infine mantenetevi in pace, amatevi come fratelli, promettendo a Dio di osservare i suoi comandamenti e di osservarli davvero. E per la misericordia di Dio voi sarete felici, e farete una buona e santa morte, che desidero a tutti mettendovi tutti sotto la protezione dell'augusta Vergine Maria. Abbraccio di cuore (i parenti). La mia salute è nella Croce. Il cuore di Gesù veglia su di me.
MARIA, DELLA CROCE, vittima di Gesù. {30 [430]}
Altra apparizione della santa Vergine in Francia
Altra apparizione che sembra presagire cose più consolanti è quella avvenuta in Francia il 17 gennaio 1871. Noi ci serviamo delle stesse parole con cui è raccontato dal giornale La Frusta di Roma, 7 marzo e dalla Décentralisation giornale di Francia.
Racconto di un'apparizione della SS. Vergine accaduta nel villaggio di Pont-Min, comune di Saint-Ellier, cantone di Landivy, dipartimento della Mayenne in Francia, al 17 gennaio 1871.
«Un ragazzo di 11 anni, era occupato a pestare la biada pel suo cavallo in compagnia di suo padre in un granaio del borgo. {31 [431]}
«Essendo uscito verso le sei della sera, egli considerava il tempo, che gli sembrava assai bello, quando fu tutto ad un tratto preso da stupore e di ammirazione nel vedere al di sopra della casa del signor Lecoq, una donna alta e bella, vestita con una sottana turchina seminata di stelle, acconciato il capo di un velo sormontato da una corona.
«Il fanciullo chiama subito suo padre, che accorre, ma non vedendo nulla, si burla di suo figlio e lo rimanda al lavoro.
«La curiosità peraltro ricondusse il piccolo ragazzo nel luogo ove egli avevi veduto la Signora colle scarpe e colla corona di oro. La maravigliosa apparizione continua ad incantarlo. Esso chiama sua madre, che al pari di suo marito non potendo vedere niente sgrida il povero fanciullo e lo tratta da insensato.
«Allora egli grida a suo fratello dell'età di 9 anni, di venire presto accanto a sè e questo pure distingue perfettamente l'immagine aerea radiante {32 [432]} di bellezza. Invano i parenti stupefatti dubitano ancora... I due fanciulli sostengono di avere la Signora innanzi agli occhi e ne fanno la medesima descrizione.
«Grande agitazione regna in questo umile villaggio; un assembramento si forma subito e cresce sempre più intorno a quei piccoli ragazzi che raccontano così belle cose.
«Due monache istitutrici, uscendo dalla loro scuola, maravigliate di questo assembramento, si avvicinano e si informano dell'avvenimento che può attrarre tanta gente e cagionare una tale emozione. Esse interrogano i fanciulli e ricevono con pio incanto le loro dichiarazioni persistenti; ma è invano che esse tengono i loro occhi fìssi verso il luogo dell'apparizione, non vedono niente.
«Rientrate nel loro convitto, le Monache ancor tutte commosse, invitano tre delle loro scolari di andare a vedere presso ai giovani ragazzi al di sopra dell'abitazione di Lecoq. Tre piccole fanciulle 1'una di 12 anni, {33 [433]} l'altra di 9, e 1' ultima di 8 anni e mezzo, si affrettano di rendersi al luogo della visione celeste.
«Appena arrivate, la più avanzata in età esclama: - È la Madonna SS. Oh! quanto è bella!
«Essa è alta come suor Vitaliana, disse 1'altra di 9 anni.
E le due piccole fanciulle fanno una descrizione simile del tutto a quella de'piccoli ragazzi.
«Allora l'emozione e la maraviglia raddopiano in presenza delle affermazioni sempre più precise di questi giovani testimonii, che, così fortuitamente riuniti, non possono veramente essere nè gli autori, nè i complici di una soperchieria di questa natura.
«Il fatto diventa seriissimo ed allora si manda a chiamare il Curato, venerando vecchio, che conduce ed edifica quella parochietta da 37 o 38 anni.
«Senza dare molta importanza a queste prime informazioni, egli giudica, e con ragione, di andare ad esaminare ciò che accade, e verificare {34 [434]} da se medesimo ciò che vi può essere di vero in questi rumori, e di fondato in queste relazioni.
«Appena arrivato al luogo, i fanciulli esclamavano: - Una croce rossa si forma sul petto della Madonna Santissima! - Allora il buon curato disse ai suoi parochiani: - Figli miei, preghiamo e recitiamo la corona.
«Nel mentre che si recitavano le Ave Maria, le stelle si moltiplicavano sulla veste di Maria, era al dire dei fanciulli, come un formicaio di scintillette dorate.
«Dopo la recita della corona, si cantò il Magnificat: allora si sviluppò uno stendardo lungo dieci metri incirca e largo un metro.
«Tutto ad un tratto un'asta dorata si formò sullo stendardo, e nel mentre che si cantavano i versetti del Cantico della SS. Vergine appariva l'iscrizione seguente.
«Sulla medesima riga... - Mais priez, mes enfants, Dieu vous exaucera eh peu de temps. Ma pregate, figli miei, Iddio vi esaudirà fra poco tempo! poi {35 [435]} un punto dorato rosso come il sole e al disotto: Mon fils se laisse toucher! Mio figlio si lascia placare! - E la linea si termina da una grande balza rossa.
«Nel mentre che si recitava il Rosario, avevano fatto venire un altro fanciullo di sei anni che vide anche egli benissimo 1'apparizione.
Ciò che testimonierebbe irrefutabilmente della realtà del prodigio, sarebbe l'attitudine e le mosse d'un fanciullo di 18 mesi. Quando la madre lo voltava dalla parte opposta egli faceva visibili sforzi per essere rivoltato verso la splendida apparizione.
«Dopo il Magnificat si cantò l’Inviolata. Nel mentre la Madonna SS. alzò un poco gli occhi e sorrise ai fanciulli.
«In seguito s'intuonò la Salve Regina. Allora Maria Santissima ravvicinò e riunì le sue mani chiuse come per portare una bandiera.
«Una croce rossa venne a collocarvisi. Un Crocifisso più rosso era collocato sulla Croce ed al posto dell’iscrizione {36 [436]} INRI si trovava in lettere lunghe di 10 centimetri: Iésus Christ.
Si recitarono ancora più Cantici e le Litanie. Allora intorno alla Madonna Santissima si formò un'aureola azzurra che l’inviluppò interamente. All'altezza de'piedi e delle spalle apparirono nell'aureola medesima quattro ceri cortissimi. Poi una stella sembrò uscire dai piedi della Santissima Vergine ed accese successivamente i due ceri dei piedi, e i due delle spalle e venne a collocarsi sulla corona.
«Infine la Vergine sembrò prendere dietro a sè un gran velo bianco di cui si coprì tutta intera. Non si vide più altro che l'alto della corona ed il tutto sparì. {37 [347]}
Relazione di Monsig. Pietro Losanna vescovo di Biella
INTORNO AL FATTO AVVENUTO NELLA CAPPELLA DELLA MADONNA D'OROPA
Il 28 luglio 1869
La istantanea guarigione ottenuta per l'intercessione di Maria SS. d'Oropa dalla giovane Vittoria Maria Meinardi di Carignano ha meritamente commossi i fedeli di questa nostra Diocesi, e tutti i devoti di quel Santuario, che sappiamo vivamente desiderosi di conoscere da quali circostanze fosse accompagnato quel mirabile fatto. Crediamo pertanto opportuno, appoggiati anche all'unanime parere di una Commissione di dotti e pii Teologi e Sacerdoti, presso noi espressamente {38 [438]} convocati, di pubblicare la presente notificanza a sfogo della comune pietà.
L'Amministrazione del R. Ospizio di Carità della città di Carignano che suole annualmente concedere uno o due giorni di diporto alli poveri ricoverati, aderiva nello scorso luglio alle vive istanze dei medesimi, di permettere loro quest'anno una visita al Santuario d'Oropa. Fra i ricoverati avvi una povera giovane, per nome Vittoria Meinardi, nata il sette maggio mille ottocento trentasei, orfana fin da tenera età d'amendue i genitori, ed entrata in quell’Ospizio il 23 agosto 1842. Sugli undici anni essa fu colpita da gravi dolori ai piedi e da forti artriti, che in breve tempo la ridussero nell'impossibilità di camminare, neppur colle gruccie, e neanco di star ginocchioni. Il medico dell'Ospizio, sig. Bionda, ora defunto e il quale allora la visitò, a nulla riuscendo ogni rimedio, la dichiarava incurabile. Lo stato dell'infelice era veramente miserevole. Essa non è alta che un {39 [439]} metro e tre centimetri, totalmente rachitica, con un apparato muscolare esilissimo, un'ossatura universalmente disgraziata, e gibbosità alla colonna vertebrale; da oltre vent'anni ovunque dovesse trasferirsi, o alla chiesa o al dormitorio o a mensa e via dicendo, bisognava che alcuna delle compagne di peso ve la portasse, e nell'atto del trasporto la regione sua lombare cadeva inerte fuor delle braccia della portante, essendo essa fin costretta ad aggrapparsi al collo della medesima onde tenervisi, come i due medici attuali dell'Ospizio di cui l'uno la conosce da 20 anni e 1'altro da 18, espressamente attestano.
Molti di Carignano lo sanno ed han dichiarato, che la conoscevano e la visitavano, massime per motivo dei lavori in cui è valente assai, come sa pure molto bene leggere e scrivere.
La buona Vittoria saputo della progettata visita all'insigne nostro Santuario, supplicò caldamente di esservi pure condotta per chiedere la grazia della guarigione alla Madonna in cui da {40 [440]} lungo tempo aveva riposto una singolare fiducia. L'Amministrazione in vista del gran desiderio della medesima e conoscendone la vivissima fede e pietà, glie lo concedeva. Partirono da Carignano alle due antimeridiane del 27 luglio 1869 in numero di oltre 80 persone, tra cui il M. Rev. Rettore dell'Ospizio e quattro Suore di carità, dette Figlie di s. Vincenzo, alle quali è affidato il regime interno del pio stabilimento. Verso le ore dieci del mattino stesso già erano a Biella, donde non guari dopo si avviarono alla volta d'Oropa parte a piedi e parte in vettura, tra cui la Vittoria. La quale con amabile e pia ingenuità nella relazione, che ne scrisse poi, racconta, come lungo quel viaggio di quando in quando si rivolgesse con confidenza alla Madre delle misericordie, supplicandola di volerle fare quella grazia, e per questo ancora si astenesse dal guardar alcun paese od altra curiosità, e ad ogni immagine della Vergine che per via incontrava, le rivolgesse al medesino le più ferventi preghiere. {41 [441]}
Al Santuario quella sera nulla avvenne di notevole, se non il racconto fatto dal Sacerdote Collegiale cui spettava di predicare, come suol farsi ogni giorno nell'estate. Egli prese appunto a parlare delle grazie singolarissime ottenutesi per intercessione di Maria SS. di Oropa e fra molti altri ricorda specialmente il fatto di quel fanciullo da quattro anni, incapace di camminare, e portato dalla madre sua in quella stessa Basilica, dove a suggerimento di lei avendo proferto quelle parole: Vergine Santissima, vi prego di farmi guarire, sull'istante guarì.
Cominciò egli tosto a camminare per la chiesa con universale maraviglia; il quale racconto fece sovra la povera Vittoria sì profonda impressione, e le inspirò tanta confidenza, da tenersi già sicura di conseguire essa pure la desiderata grazia. Onde quella sera e la seguente mattina non cessava mai di ripetere quella preghiera medesima.
Il mattino del mercoledì, 28 luglio, quasi tutta la Comunità accostossi alla s. Comunione, e vi fu portata anche {42 [442]} la Vittoria, e quindi dopo la refezione recaronsi alla visita delle Cappelle in gruppi distinti: nell'ultimo, insieme colla madre superiora suor Luigia Chiattone, eravi la nostra giovane con alcune caritatevoli compagne che se la trasmettevano a vicenda. Lesse ella medesima quasi tutte le considerazioni e preghiere apposite, supplicando in ciascuna delle cappelle, come essa racconta, la Santissima Vergine di ottenermi dal suo e mio Gesù la grazia di guarire.
Verso le 2 1/2 pomeridiane del giorno stesso, la comunità si raccolse nella chiesa pel canto delle Litanie. Vittoria fu seduta nel banco prossimo all'altare di s. Filippo, rimpetto alla cappella della Madonna. Ecco il momento, disse allora a Maria, nel quale mi farete questa grazia; tutti pregano per me, fate conoscere a tutti la grande vostra potenza e misericordia; non avete da dir altro a Gesù che un voglio, e subito è fatto, e andava ripetendo: Vergine Santissima, fatemi guarire, fatemi guarire, con altre simili invocazioni. {43 [443]} Cantate le Litanie, una delle compagne per nome Domenica Brusa, avvicinatasi a lei, Vittoria, le disse, vieni, ora ti porto dentro nella cappella, ma non voglio più portarti via. Giuntevi, essa volle esser posta a terra, ove potè stare inginocchiata a gran stupore delle compagne. Rivoltasi quindi alla superiora, signora madre, le disse, guardi Vittoria è in ginocchio, che le era prima del tutto impossibile. Qui essa a'piedi dell'altare rinnova le sue fervide preghiere, e votasi a Maria, promettendole, se guarisce, e i superiori il permettano, di tornare un altro anno al Santuario con una guernitura di propria mano per l'altare di Lei. La superiora intenerita in vederla così ginocchioni, le si pone accanto e le dice all'orecchio, Vittoria, prega, Vittoria abbi fede... E poco stante, alzati Vittoria, alzati... Ed ella; non so se posso. La madre l'aiuta, e già Vittoria è in piedi; e quella insistendo, Vittoria coraggio, cammina, cammina... essa, giunte le mani, fissa un istante la Statua della Vergine, quindi {44 [444]} rivolta alla superiora, la Madonna mi ha ottenuta la grazia, afferma con sicurezza, e porgendole la madre un dito della sua sinistra mano, essa il prese e si fa per camminare verso la porticina della cappella, e di fatto sull'istante cammina, esce, discende il gradino... Prodigio, prodigio, esclama, non potendo più contenere la sua gioia la buona superiora, ed esclamano con lei dentro la cappella, e nella chiesa tutti i presenti, che erano in gran numero, e non pure dell'Ospizio di Garignano, ma di altri luoghi assai. La commozione prodotta nel loro animo da questa repentina guarigione non è possibile a descriversi da noi... altro non udivasi, scrive con graziosa e commovente semplicità la stessa Vittoria, che singhiozzi e pianti di consolazione: di me non parlo perchè in quel gran momento non so quel che passava, nè che si operava, ma quello che so certamente, si è che io non poteva camminare ed ora la SS. Vergine d'Oropa mi ha ottenuta la grazia e cammino, e la ricevetti nel giorno 28 luglio. {45 [445]}
Fu quel di per tutto il Santuario d'Oropa un giorno di festa, di cantici, di lode e ringraziamenti a Dio ed alla Vergine, non saziandosi i fedeli di cercare della Vittoria onde coi loro occhi vederla a camminare e rivolgendo nel tempo stesso a lei ed alle suore mille interrogazioni.
Noi pure, che del fatto avevamo tosto ricevuto annunzio dal Canonico Rettore, e con grande consolazione il mattino seguente potemmo vedere quella buona giovane nel nostro palazzo, dove i superiori e le suore dell'Istituto con altre signore di Carignano ce la condussero e dove fece alla presenza nostra alcuni passi senza appoggio di sorta. Ci risulta inoltre da autentiche relazioni già rimesseci dietro nostro invito dall'Ospizio di Carignano, che grandissima fn il mattino delli 30 luglio la sorpresa degli amministratori del medesimo, quando videro comparirsi dinanzi camminando sui suoi piedi la Vittoria Meinardi, e fare alcuni giri per la sala senza essere sostenuta. Siccome alta maraviglia {46 [446]} destò l’annunzio di tale guarigione in quanti di quella città l'aveano prima conosciuta, ond'è, che ordinatosi tosto un triduo di ringraziamento nella chiesa dell'Ospizio, v'intervenne, oltre ai ricoverati, numeroso clero e popolo, maravigliati tutti di vedere la Vittoria stessa traversare sovra i suoi piedi la navata della chiesa.
Essa frattanto continua a camminare; anzi come attesta 1'amministrazione, con sempre maggior facilità e disinvoltura.
Ora chi ponga mente a tutte le circostanze onde venne preceduto ed accompagnato il fatto in discorso e segnatamente alle sì diverse condizioni della Vittoria prima e dopo la visita al Santuario d'Oropa, per cui mentre da più di 20 anni era inabile a muoversi ora cammina, come attestano i due dottori nella accennata loro relazione, non potrà a meno di affermare che il dito di Maria è qui manifesto.
Uniamoci pertanto tutti a rendere le più vive grazie all'Altissimo, e prendiamo da tal fatto opportuno argomento {47 [447]} onde celebrare la prossima solennità con più d'entusiasmo, ravvivando nel nostro cuore la pietà e la fiducia nella gran Donna d'Oropa, la s. Madre di Dio, per cui mezzo l'Unigenito suo figliuolo e Redentor nostro si compiace ognora di compiere le più splendide maraviglie della sua misericordiosa onnipotenza. Così sia.
Biella, dal nostro palazzo vescovile il 25 agosto 1869.
GIO. PIETRO VESCOVO.
D. IORIO Segretario. {48 [448]}
Maravigliosa efficaccia di una processione[5].
Una grande siccità desolava i paesi della Giudea e si temeva che andando perduti i raccolti la fame venisse a decimare quelle infelici popolazioni. I Turchi atterriti dal timore di quel disastro si radunarono nelle moschee a fare suppliche al loro Maometto, ma non essendo stati esauditi fecero ricorso ai padri francescani dimoranti in Aen-Karem, supplicandoli a pregare il Signore Iddio dei cristiani affinchè si degnasse di concedere una benefica pioggia. I religiosi {49 [449]} approfittando delle buone disposizioni di quegli infedeli decisero di fare una pubblica processione di penitenza portando la statua di s. Giovanni Battista dalla chiesa del loro convento a quella di s. Elisabetta fuori dell'abitato. I Turchi avvisati preventivamente dal piissimo curato, P. Avila francescano, spazzarono le vie per le quali doveva passare la processione. Il giorno 23 marzo dell'anno 1870 dopo il lasso di molti secoli si vedeva la prima volta inalberata in quel paese la croce e si udivano per le strade i sacri cantici dei cattolici. Gl'infedeli pieni anch'essi d'entusiasmo sparavano le loro pistole ed i loro fucili in segno di allegria e inchinavano riverentemente all'immagine del gran precursore.
L'immagine divota rimase nella chiesa di s. Elisabetta dove si andava a pregare ogni giorno per ottenere la sospirata grazia. Il dì seguente, 4 marzo fu visto il cielo annuvolarsi quasi all'istante, e poco dopo cominciò la pioggia che durò due giorni di seguito. {50 [450]} I Turchi riconobbero in ciò un miracolo di san Giovanni, per cui nel giorno 22 dello stesso mese quando la statua fu riportata nella chiesa del convento dei Francescani, raddoppiarono la loro festa e vollero pure penetrare in Chiesa, dove assistettero divoti e silenziosi alla funzione di rendimento di grazie all'Altissimo pel beneficio ricevuto.
Prodigiosa manifestazione di Gesù nella ss. Eucaristia.
Lo stesso anno, nello stesso paese si fece la solenne processione del SS. Sacramento, nel giorno del Corpus Domini. Le strade per le quali passava erano state ornate ed abbellite dai Turchi, i quali diceano pubblicamente che da quella processione speravano la preservazione delle cavallette, le quali minacciavano la totale distruzione dei frutti della terra, mangiando perfino le radici delle piante e le cortecce degli alberi. Intervennero alla {51 [451]} religiosa processione oltre i Francescani dimoranti di famiglia in s. Giovanni, varii altri del convento del SS. Salvatore e di quello di Betlemme, le monache del monte Sion, le loro alunne in numero di circa ottanta tutte bianco vestite e con bandiere e fiori in mano. Il sacerdote Ratisbona, il famoso Ebreo convertito dalla Regina dei cieli in Roma nella chiesa di s. Andrea delle Fratte, e quanti cattolici si trovavano nei dintorni ci prendevan parte. Il nostro Dio Sacramentato portavasi sotto baldachino dal padre Giuseppe da Iesi Minore Osservante. Questo venerando vecchio dall'alta statura, dai bianchi capelli, dalla candida e lunga barba conosciuto da tutti per la semplicità di colomba e per la santità della vita, risvegliava nella mente di chi lo vedeva l'idea del santo vecchio Simeone.
I Musulmani usciti tutti dalle abitazioni, disposti a gruppi quinci e quindi lungo le vie per dove passava la processione, miravano il devoto corteggio e stupefatti davano sfogo agli affetti {52 [452]} del loro cuore con frequenti spari di archibugi e con altre dimostrazioni di gioia. Tutti i loro sguardi però stavano rivolti con compiacenza al padre Giuseppe che portava il SS. Sacramento. Ma che cosa vedevano mai quei poveri Turchi nelle mani di quel novello Simeone? Forse le specie Eucaristiche? Forse l'argentea sfera? Niente di tutto questo. Vedevano un bellissimo vivo e raggiante Bambino, che volgendo qua e là le dolci pupille, le piegava amorosamente sopra di quei miseri seguaci dell'Islamismo che nerimaneano maravigliati. Questo Bambino non fu veduto da alcun cristiano, forse perchè Signa dantur infidelibus, non fidelibus.
I cristiani conobbero la maravigliosa apparizione quando terminata la processione udirono i Turchi uomini e donne che andavano con premura dicendo: Quanto era bello quel Bambino che il P. Giuseppe portava in processione? Dove lo ha trovato? - Ma il padre Giuseppe non portava alcun Bambino! Loro si rispondeva. - Sì che lo ha {53 [453]} portato: l'abbiam veduto noi: il Bambino appoggiava il capo sovra di un braccio e i piedi sull'altro braccio del padre Giuseppe. Ma quale non fu il loro stupore quando furono assicurati dai cristiani che veramente il padre Giuseppe non avea portato alcun Bambino ma lo stesso Uomo Dio vero, vivo e nascosto sotto le specie del pane! Si accrebbe poi al sommo la loro maraviglia quando si seppe da tutti, che nello stesso giorno di quella apparizione di Gesù Bambino, le cavallette si erano allontanate dai confini del loro territorio e che più non si videro.
Fu in questo modo che Gesù Cristo, dopo molti secoli dalla caduta del regno dei Crociati, ha voluto essere riportato in processione solenne per la prima fiata, per le strade di quella città, dove chiuso tuttavia nel purissimo seno della Vergine Immacolata, si recò, or corre il decimo nono secolo, a visitare il suo Precursore nella casa di s. Elisabetta. {54 [454]}
Gesù predica agli infedeli.
Nell'anno 1869 duecento Turchi della setta degli Scietlie, abitanti in un sobborgo di Damasco, chiamato Midan si dichiararono cristiani: ad essi poco dopo si aggiunsero oltre cento Scietlie della Celesiria, non che molti di altri paesi e Beduini. Queste conversioni avvennero in seguito a molte apparizioni di Gesù e di Maria sua vergine madre che si degnarono istruire personalmente intorno alla vera religione quei miseri seguaci dell'Islamismo. Più volte Maria SS. fece loro udire queste parole: Fuor di Gesù Cristo non vi ha salvezza.
In una notte dopo di aver pregato per lungo tempo gli Scietlie si addormentarono, ed il Signore si compiacque di apparire a tutti, ma separatamente, senza saper l'uno ciò che accadeva all'altro. Svegliati che furono ciascheduno raccontava al compagno di aver veduto Gesù Cristo e tutti rispondevano: {55 [455]} anch'io l'ho veduto, anch'io l'ho veduto! In tale visione il Signore li aveva confortati, ed esortati a seguitare la via incominciata; ed essi erano tanto pieni d'allegrezza, gratitudine, fede e amore che non potevano contenersi e volevano uscire per la città a predicare la Divinità di Gesù Cristo. - Un'altra volta con Gesù apparve loro Maria la quale disse. Questo è mio figlio; Gesù è la verità e lo ripete per tre volte.
Alla conversione di 300 Turchi tenne dietro quella di non poche donne turche tra cui una parente di certo Abdelcader. Cadata in grave malattia essa aveva fatto prova di tutti i mezzi che l'arte può suggerire. Ma un suo figlio che si era già fatto cristiano scorgendo inutile ogni mezzo umano, mosso da viva fede, madre, le disse, Se credi in Gesù Cristo, riacquisterai la salute. L'inferma promise di credere e di farsi cristiana se guariva; e la sua fede la guarì sull'istante. Per corrispondere meglio che poteva alla grazia ricevuta, cominciò tosto ad occuparsi della conversione {56 [456]} delle donne, esercitando l'ufficio di Catechista. Giovata dal divino aiuto riusci a convertire 9 donne, di cui quattro Algerine e quattro Damascene. Il marito di una di esse ne fu altamente sdegnato e nel trasporto del suo sdegno concepì il reo disegno di ucciderla; ma di nottegli apparvero due personaggi, i quali, come egli stesso riferisce, rimproverandolo della sua malvagia intenzione, lo minacciarono severamente e gli misero le gambe nel fuoco, significando che gli stavan pronti peggiori mali se avesse ancora recate altre molestie alla sua moglie per motivo della sua conversione. Atterrito da quelle minacce e dai mali sofferti quel marito non osò più nè dire nè fare cosa alcuna contro alla moglie cristiana.
Malgrado questi ed altre prodigiose chiamate divine alcuni turchi non sapevano risolversi ad una sincera conversione, ma spaventevoli visioni punirono la loro ingratitudine verso un Dio che in modi cotanto prodigiosi manifestava la sua bontà. I Beduini
{57 [457]} un giorno mentre pregavano udirono diverse volte queste parole: Lasciate Maometto, non vi ha salvezza fuori di Gesù Cristo! Finalmente ebbero ordine dal Signore di venire in Damasco e da Lui stesso fu indicato loro la strada, la casa, il nome di Ibraim capo dei Neofiti[6].
S. Giuseppe salva dai briganti.
La provincia di Ho-Nan (Cina) nella quale predicava il Missionario Ungaro era infestata orribilmente dai briganti i quali riuniti in eserciti sterminati scorrazzavano ovunque, saccheggiando, uccidendo, rovinando tutto ciò che loro si parava innanzi. Molti pacifici abitanti preferivano darsi da per se stessi la morte anzichè aspettarla da quei masnadieri. {58 [458]}
Nel marzo del 1866, in preparazione alla festa di s. Giuseppe il Missionario dava gli esercizi spirituali in un villaggio quasi tutto cristiano. Quando ecco un forte allarme e un grido disperato: Fuggiamo, fuggiamo, s'avvicinano i briganti!
Spaventati i cristiani si affollano intorno al sacerdote ricercando consiglio. Pieno di fede e certamente inspirato così dal Signore, miei figli, disse loro: «Non temete, la festa del nostro gran Patrono s. Giuseppe non è molto lontana. Abbiate fede in lui, fate col massimo fervore la sua novena; non abbiate alcun timore che egli ci salverà nè permetterà che i suoi divoti siano molestati dai briganti.»
A queste parole si acquietarono e seguitarono a compiere tranquillamente le domestiche faccende: ma dopo alcuni giorni si ripetè l'allarme e si udiva in lontananza il rimbombo del cannone. Il Missionario riposta tutta la sua fiducia in s. Giuseppe si presentò in mezzo ai cristiani e li {59 [459]} assicurò senza esitazione. «Abbiate fede e siate certi che s. Giuseppe ci salverà ed il nemico non ci farà alcun male.» Tutti obbedirono nè alcuno fuggi. La gente dei vicini villaggi che fuggendo passava vicino alle case dei cristiani esortava i fedeli a darsi alla fuga, ma essi stavano sicuri e pieni di fiducia in s. Giuseppe. La festa del gran Taumaturgo si avvicinava. Si prepararono tutti con una buona confessione, e con piena tranquillità di spirito festeggiarono quel gran giorno colla comunione generale. E san Giuseppe li esaudì. - In tutti i villaggi vicini non vi era più anima viva, che tutti erano fuggiti ed i cristiani tranquilli aspettavano gli eventi. I briganti non giunsero nemmeno dopo la festa, benchè fossero lontani soltanto poche miglia. Sia benedetto il Signore che ha scelto questo suolo per glorificare il suo padre putativo e per additare a noi un potentissimo avvocato. {60 [460]}
Conversione ottenuta per intercessione di s. Giuseppe.
Un giovane di onesta famiglia sedotto dai compagni fuggì dalla casa paterna per arruolarsi tra le bande dei masnadieri lasciando nel duolo la vedova madre. Dopo una serie di lacrimevoli vicende tornato a casa cadde infermo e si manifestò in lui una etisia polmonare. All'approssimarsi dell'estate cominciò a decadere in modo che vicina se ne prevedeva la fine. La Pasqua era passata, ma egli non avea potuto o voluto accostarsi ai Sacramenti. Venuta poi l'occasione del Giubileo e vedendosi vicino a soccombere vi fu chi l'esortò a chiamare un prete per confessarsi e comunicarsi. Ma egli si rifiutò dicendo con isdegno che se il Signore volea che facesse il Giubileo gli restituisse la sanità ed allora sarebbe andato da se alla Chiesa.
Intanto il male aggravandosi la madre, {61 [461]} benchè piangesse amaramente, non avea il coraggio di chiamare il paroco, perchè la malattia del povero figlio, diceva essa, non desse il tracollo. Misera condizione di tanti ammalati, i quali per tal falso pretesto si lasciano morire senza sacramenti!
Una parente dell'infermo, che più volte era stata a visitarlo, mossa a compassione del suo stato ne parlò con una sua amica divota di s. Giuseppe e detto fatto. Fu deciso di mandargli la reliquia di s. Giuseppe e suggerirgli che pregasse il santo ad impetrargli la salute per poter fare le sue divozioni.
Accettò egli volentieri la reliquia e l'immagine di s. Giuseppe alle quali cose prese tanto amore che non le volle mai più lasciare finchè visse. Il dì seguente trovatolo meglio disposto la suddetta persona gli propose di permettere che un sacerdote di specchiata virtù lo visitasse e lo benedicesse. Avutone il consenso, tosto il sacerdote fu da lui e in breve dolcemente lo indusse a mondar 1'anima sua colla {62 [462]} confessione, ed a ricevere il S. Viatico. Non è a dire qual cambiamento operassero i Sacramenti nel cuore di quel povero giovane! Divenne tutto mansueto e paziente colle persone di famiglia, e rassegnato nel suo male. Passava le notti recitando la corona ed altre orazioni e quando era stanco si lamentava colla madre di non poter pregare più a lungo.
Giunto agli estremi il medesimo sacerdote gli amministrò l'olio santo, dopo di che passato ancora alcun tempo nel modo più edificante spirò placidamente l'anima nel bacio del Signore invocando il nome di s. Giuseppe di cui si teneva appeso al collo la reliquia e lasciando in tutti fondata speranza ch'egli sia andato a godere in cielo una vita colma di veri beni che non finiranno mai più.
S. Giuseppe salva una fanciulla da morte.
Manetta Frassè d'anni 11 del comune di Canopiana (Cremona) il giorno {63 [463]} 28 marzo 1865 facea la sua prima comunione e si aggregava alla congregazione del culto perpetuo di s. Giuseppe. Ritornava la pia giovanetta dalla Chiesa col cuore pieno di santo affetto, stringendo fra le mani l'immagine del s. Patriarca, dispensata dal paroco al popolo in segno delle comunione Pasquale. Entrato in casa, essendo salita per non so quali faccende sul solaio al dissopra del secondo piano, fu colta da vertigine e cadde da quell'altezza sul selciato della sottoposta via. Al colpo accorre la madre, ed oh spettacolo! vede sua figlia immobile e nuotante nel sangue, che in copia le sgorgava dalla bocca. Coll'aiuto dei vicini viene trasportata come cadavere sul suo letticciuolo. La voce corse tosto pel paese che ella era morta. Il paroco si recò tosto a quella casa più per consolare i desolati parenti, che per porgere aiuto a chi si credeva estinta. Entrato nella stanza ove giaceva la giovinetta la esaminò attentamente e si accorse che ella dava ancora qualche segno di vita. La chiamò {64 [464]} replicatamente, invocò s. Giuseppe, la benedisse nel nome di Lui, animandola a confidare nel santo, il quale o l'avrebbe portata in Paradiso, o risanata. Ed oh sorpresa! Dopo qualche momento manda un profondo sospiro,... apre gli occhi lordi di sangue,... li fissa nell'immagine del santo che le era stata posta a fianco,... pronuncia distintamente con voce animata le tre giaculatorie: Gesù, Giuseppe e Maria ecc. Non è a spiegare quanta sia stala la commozione di tutti gli astanti per tale avvenimento. Il paroco parti di là onde nascondere le lagrime di consolazione che gli pioveano dagli occhi, e non aveva ancor messo piede nella casa parochiale, che la figlia era fuori di letto e reggendosi da sè camminava e diremo saltava di gioia lodando Iddio e ringraziando s. Giuseppe pel segnalato benefizio che le aveva ottenuto dall'immensa bontà divina[7]. {65 [465]}
Repentina guarigione dalla sordità per intercessione di Maria Ausiliatrice.
Chi entra nella chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in Torino, ne vede le pareti, la sacra Immagine e l'altare ornati di una svariata quantità di voti che ricordano diversi segnalati benefizi che l'augusta Regina del Cielo ottenne a'suoi divoti. Uno di essi attesta la repentina guarigione dalla sordità del T. Antonio Cinzano prevosto vic. foraneo di Castelnuovo d'Asti.
Fra i molti incqmmodi che travagliavano la cagionevole sanità di quel buon Pastore era la sordità, che lo rendeva inetto agli affari più importanti della parochia, specialmente 1'assistenza agli infermi e l'ascoltare le Confessioni dei fedeli.
Dopo diciotto mesi di peggioramento il suo malore giunse a tanto, che udiva nemmeno più la parola pronunciata con tutta gagliardia vicino all'orecchio. {66 [466]} È difficile immaginarsi quale cordoglio cagionassegli un simile stato! Il rincrescimento di non poter compiere i suoi doveri degenerò in tetra malinconia, che finiva di rovinare quel po'di sanità che ancora gli rimaneva.
Avendo inutilmente fatto prova dei ritrovati dell'arte, pensò di ricorrere all'aiuto del cielo, alla protezione della Vergine Ausiliatrice. Ascoltiamo le stesse sue parole con cui soleva con piacere raccontare quel fatto. Oggi, diceva, voglio raccomandarmi a questa buona Madre nella santa Messa, e se, come tanti ottennero, potrò anch'io essere liberato da questo mio miserabile stato, farò un offerta per la chiesa testè costrutta in Torino.
Ciò detto si veste de'sacri arredi, va all'altare e comincia: In nomine Patris ecc. Colui che serviva la Messa secondo il solito risponde ad alta voce quanto poteva. Più sottovoce, dice il Prevosto, mi stordisci con queste parole, e continua: Iudica me, Deus ecc. L'altro risponde più piano ma con voce tuttora elevata. Ma il celebrante dice {67 [467]} recisamente: Io odo, parla più sotto voce, la Madonna mi ha fatta la grazia.
Niuno può farsi giusta idea della commozione che provai nella celebrazione di quella memoranda Messa, narrava con trasporto di gioia. Ora mi cadevano le lagrime, ora innalzava giaculatorie di gratitudine alla santa Vergine Ausiliatrice. Ma il pensiero dominante era di dare a quel fatto tutta la pubblicità possibile affinchè fosse ovunque glorificata l'Augusta Madre del Salvatore ad esempio di chi, trovandosi in gravi tribolazioni, volesse fare a lei ricorso.
Terminata la Messa e giunto in sacristia le sue prime parole furono: Io sono guarito, Maria Ausiliatrice mi ha fatto la grazia.
Egli raccontava spesso questo fatto con gran compiacenza e desiderava che venisse quanto prima pubblicato, ma per ragionevoli motivi si giudicò bene di differire quella pubblicazione fino ad ora, che la Divina Provvidenza chiamò all'altra vita il compianto Pastore, che sarà sempre di grata {68 [468]} memoria presso ai Castelnovesi e presso a tutti quanti ebbero opportunità di conoscerlo[8].
In confermazione di quanto sopra il sacerdote Savio Ascanio, allora viceparoco di Castelnuovo d'Asti, aggiugne quanto segue: La sordità del nostro prevosto era giunta a tal segno, che non udiva più il suono gagliardissimo del campanone. Quando parti dalla casa parochiale per recarsi a celebrar la s. Messa, il giorno della festa degli Angeli Custodi, era afflittissimo ed aveva fatto piangere la fantesca perchè credeva parlasse espressamente a bassa voce per fargli dispetto, mentre ella gridava con quanta ne aveva in gola per farsi capire sebbene inutilmente. {69 [469]} Diceva che ricuperò l'udito tutto ad un tratto nel cominciare In nomine Patris della s. Messa. Reduce dalla chiesa sembrava pazzo per la straordinaria contentezza. Chiamò subito il vicecurato facendo una lunga e così concitata scampanellata che sembrava volesse strappar la fune del campanello. Disceso il vicecurato gli raccontò come la Madonna gli avesse ottenuta la grazia e come era suo fermo proposito di recarsi all'Oratorio di s. Francesco di Sales, ossia alla chiesa di Maria Ausiliatrice per ringraziarla. Ciò che fece quanto prima con molta divozione. Quel dì che venne a compire quell’atto religioso sembrava fuor di se per la contentezza. Celebrata la santa messa all'altar di Maria Ausiliatrice, non finiva più lungo il giorno di raccontare la grazia ottenuta, magnificando la grande potenza di Maria. Di poi per dare ancora uno sfogo alla sua divozione, volle salire sulla cupola della chiesa per toccare e baciarvi i piedi della statua dorata che rappresenta colei che la Chiesa proclama potente
{70 [470]} aiuto dei cristiani. Ciò cagionò grande maraviglia atteso la sua avanzata età e la sua sanità da molto tempo cagionevole. È poi degno di osservazione che fino a tanto che visse godeva sempre assai quando aveva qualche occasione di parlare della Madonna, incoraggiando tutti a fare con fede ricorso a lei nei bisogni della vita.
(Fin qui il sac. Savio Ascanio).
Una medaglia di Maria Ausiliatrice.
Se grande è la bontà divina quando concede qualche segnalato favore agli uomini, deve essere grande altresì la gratitudine di essi nel riconoscerlo, manifestarlo ed anche pubblicarlo ove possa tornar a sua maggior gloria.
In questi tempi, è forza di proclamarlo, Dio vuole con molti eccelsi favori glorificare l'augusta sua Geninitrice invocata col titolo di AUSILIATRICE. {71 [471]}
Il fatto che avvenne a me stessa è prova luminosa di quanto asserisco, liricamente adunque per dar gloria a Dio e dar vivo segno di gratitudine a Maria aiuto dei cristiani, testifico che nell'anno 1867 fui assalita da terribile mal d'occhi. I miei genitori mi posero sotto la cura dei medici, ma peggiorando vie più il mio male divenni come cieca, così che dal mese di agosto dell'anno 1868 mia zia Anna dovette condurmi per circa un anno sempre a mano alla chiesa per udire la santa Messa, cioè fino al mese di maggio del 1869.
Al vedere poi che tutte le cure dell'arte più a nulla giovavano, mia zia ed io, avendo inteso come già a non pochi altri facendo preghiere a Maria Ausiliatrice avevansi ottenute grazie segnalate, piena di fede mi feci condurre al Santuario a lei testè dedicato in Torino. Giunti a quella città, passammo dal medico che aveva la cura de'miei occhi. Dopo attenta visita, sotto voce disse a mia zia: di questa zitella c'è poco a sperare.
Come! rispose spontaneamente mia {72 [472]} zia, V. S. non sa che cosa sia per fare il Cielo. Essa parlava così per la grande fiducia che aveva nell'aiuto di Colei che tutto può presso Dio.
Finalmente giungemmo alla meta del nostro viaggio.
Era un sabato di maggio 1869, quando in sulla sera io veniva a mano condotta alla chiesa di Maria Ausiliatrice in Torino. Desolata perchè priva affatto dell'uso della vista andava in cerca di conforto da Colei che è chiamata Aiuto dei Cristiani. - Aveva la faccia tutta coperta di panni neri, con un cappello di paglia; la detta zia e la nostra compaesana, maestra Maria Artero, m'introdussero in sacrestia. Noto qui di passaggio, che oltre alla privazione della vista pativa mal di capo e tali spasimi di occhi, che un solo raggio di luce bastava per farmi delirare. - Fatta breve preghiera all'altare di Maria Ausiliatrice, mi fu impartita la benedizione ed incoraggiata ad aver fiducia in Colei, che la Chiesa proclama Vergine potente che dà la vista ai ciechi. - Dopo il sacerdote {73 [473]} m'interrogò così: «Da quanto tempo avete questo male d'occhi?» «È molto tempo che soffro, ma che vedo più poco son circa tre anni, ma che vedo più niente è quasi un anno.» «Non avete consultati i dottori dell'arte? Che ne dicono essi? Avete usati rimedi?» «Abbiamo, disse mia zia, usato ogni sorta di rimedi, ma non potemmo ottenere alcun vantaggio. I medici dicono che essendo guasti gli occhi, non possono più darci speranza...» Dicendo queste parole si mise a piangere. «Non discerni più gli oggetti grossi dai piccoli?» Dissemi il Sacerdote. «Non discerno più niente, risposi.»
In quel momento mi furono tolti i panni dalla faccia: di poi mi fu detto: Rimira le finestre, non puoi distinguere la luce di esse, dalle mura che sono totalmente opache?
«Misera me? Non posso distinguere niente.
«Desideri di vedere?
«S'immagini quanto lo desidero? Lo desidero più che ogni altra cosa {74 [474]} del mondo. Io sono una povera fanciulla, la cecità mi rende infelice per tutta la vita.
«Ti servirai degli occhi soltanto a vantaggio dell'anima, e non mai ad offendere Dio?
«Lo prometto di tutto cuore. Ma povera me! Io sono una giovane sventurata!... Ciò detto proruppi in pianto.
«Abbi fede, la s. Vergine ti aiuterà.
«Spero che mi aiuterà, ma intanto io sono affatto cieca.
«Tu vedrai.
«Che cosa vedrò?
«Dà gloria a Dio ed alla beata Vergine, e nomina l'oggetto che tengo tra mano.
«Io allora facendo uno sforzo cogli occhi, li fissai; Oh sì, esclamai con sorpresa, io vedo.
«Che?
«Una medaglia.
«Di chi?
«Della s. Vergine.
«E da quest'altro lato della medaglia che vedi? {75 [475]}
«Da questo lato vedo un vecchio col bastone fiorito in mano; è s. Giuseppe.
«Madonna SS., esclamò mia zia, dunque tu vedi?
«Ma sì che ci vedo. O mio Dio! La s. Vergine m'ha fatta la grazia.
In questo momento volendo colla mano prendere la medaglia, la spinsi in un angolo della sacrestia in mezzo ad un genuflessorio. La mia zia voleva tosto andarla a prendere ma ne fu proibita. Lasciate, le fu detto, che la vada a prendere la nipote stessa; e così farà conoscere che Maria le ottenne perfettamente la vista. La qual cosa io feci prontamente senza difficoltà.
Allora io, la zia, colla maestra Artero empiendo la sacrestia di esclamazioni e di giaculatorie, senza più nulla dire a quelli che erano presenti, senza nemmeno ringraziare Dio del segnalato favore ricevuto, ce ne siamo partiti in fretta quasi deliranti per contentezza; io camminava avanti colla faccia scoperta, le due altre dietro.
Ma di lì a pochi giorni ritornammo {76 [476]} a ringraziare la Madonna ed a benedire il Signore per l'ottenuto favore, e in pegno di questo abbiamo fatto un'offerta alla Vergine Ausiliatrice. E da quel beato giorno fino ad oggi non ho mai più sentito alcun dolore negli occhi e continuo a vedere come non avessi mai sofferto nulla. La mia zia poi asserisce che da lungo tempo pativa un violento reumatismo nella spina dorsale, con dolori al braccio destro e mal di capo, per cui era divenuta inabile ai lavori campestri. Nel momento che io acquistai la vista ella rimase eziandio perfettamente guarita. Sono già trascorsi due anni e nè io, come già dissi, nè mia zia avemmo a lamentare i mali da cui fummo per sì lungo tempo travagliate.
A questa religiosa scena fra gli altri erano presenti Genta Francesco da Ghieri, sac. Scaravelli Alfonso, Maria Artero maestra di scuola.
Gli abitanti di Vinovo poi, che prima erano soliti a vedermi condurre alla chiesa per mano, ed ora andare da me stessa, e leggendo in essa libri di {77 [477]} divozione pieni di maraviglia mi domandano: chi fece mai questo? ed io rispondo a tutti: È Maria Ausiliatrice che mi ha guarita. Perciò io ora a maggior gloria di Dio e della beata Vergine sono assai contenta che questo fatto sia ad altri raccontato e pubblicato, affinchè tutti conoscano la grande potenza di Maria, alla quale niuno mai fece ricorso senza essere esaudito.
Vinovo 26 marzo 1871.
MARIA STARDERO.
Avvenimento prodigioso di soriano.
Ecco ciò che scrive il Rev.mo P. Jandei Generale dell'Ordine dei PP. Predicatori intorno al prodigioso avvenimento di Soriano ai provinciali del suo ordine.
«Memori delle divine parole, con cui lo Spirito Santo ci avvisa, che le {78 [478]} opere di Dio hanno a promulgarsi, perchè rendongli onore (Tob. c. 12), era Nostro desiderio sin dallo scorso settembre parteciparvi un prodigioso avvenimento, con cui Dio volle ancora una volta illustrare il famoso santuario del nostro s. Patriarca in Soriano di Calabria. Ma in consimili eventi non essendo prudente consiglio di prestar piena fede alle prime voci diffuse dalla fama, che spesso illude e travede, abbiamo differito sino a che il Pastore di quella diocesi avesse, dietro nostra preghiera, fatto procedere ad una regolare inchiesta, la quale in questi giorni ci venne da Lui stesso per mezzo del P. Provinciale di Calabria trasmessa, e della quale ci affrettiamo a comunicarvi il risultato.
«A voi tutti è ben noto il Santuario di Soriano dedicato al P. s. Domenico, la cui antica immagine sia per l'origine che le viene attribuita, sia per le grazie che di continuo si ottengono, riscuote la più alta venerazione non solo di quella provincia, ma eziandio delle vicine e lontane. {79 [479]} Il giorno 15 di settembre che in tutto l'Ordine è sacro alla commemorazione di quella immagine, quivi si festeggia con maggiore solennità, la quale è terminata da divota processione con una statua scolpita in legno di naturale grandezza. Ora in quest'anno, essendo esposta alla pubblica venerazione al lato sinistro dell'altare la predetta statua, mentre compiute le sacre funzioni, circa trenta persone poco prima del mezzogiorno pregavano, d'improvviso si vide il sacro simulacro, come se vivo fosse, muoversi all'innanzi, quindi retrocedere, alzare e poi deporre il braccio destro e corrugando la fronte accompagnare questi moti con isguardi or severi e minacciosi verso gli astanti, ora mesti ed ora dolci e riverenti quando verso la Vergine del SS. Rosario volgevali a quella guisa, come ci vien riferito, che gli evangelici banditori adoprano dal sacro pergamo.
«Quali si rimanessero a quella vista le persone che pregavano, non si potrà di leggieri immaginare o concepire: {80 [480]} il timore e la maraviglia quinci e quindi saccedendosi dentro di loro, le rese attonite e vacillanti, cosicchè sulle prime non prestarono fede a'loro medesimi occhi. Ma poichè dal vicendevole ed unanime consenso si avvidero non essere illusione, ma realtà, risuonò altamente la chiesa di voci che gridavano: s. Domenico, s. Domenico! Miracolo, miracolo! nè altro poteano o sapean pronunciare.
«Il prodigioso avvenimento, come era ben naturale, colla rapidità del lampo si diffuse, ed in men che non si dice, l'intiera popolazione abbandonata ogni domestica faccenda trasse in folla al santuario, cosicchè ben duemila persone poterono essere spettatrici del prodigioso movimento del santo simulacro, che perdurò lo spazio di un'ora e mezza incirca. Intanto tra i presenti, ed i sopravvegnenti moltiplicavansi le preghiere, le lagrime, le acclamazioni, le maraviglie.
E quantunque sì gran numero di spettatori, che ad una voce constatavano il prodigio, togliesse ogni sospetto {81 [481]} d’inganno o di frode, nondimeno si volle soddisfare a chi o per prudente dubitazione o per ispirito di incredulità non ne fosse pienamente convinto: e ciò tornò a maggior conferma, ed evidenza del prodigio, dissipandosi così ogni ombra, che poscia avrebbe potuto offuscarlo. Quindi per compiacere chi sospettava di qualche ottica illusione, si tolsero alcuni ornamenti di carta dorata, che in arco circondavano, senza però toccarlo, il sacro Simulacro: si discoprì la mensa che sostenevalo per assicurare taluno che aveva volto il pensiero a qualche frode od inganno. Altre minori riflessioni furono disciolte dal comune consenso dimostrandosi, che niuna naturale cagione come quella del forte vento che in quel giorno soffiava, poteva muovere in maniera si pronunciata ed espressiva una statua di legno di non mediocre peso, quando i ceri non si estinguevano, ed altri oggetti leggieri si rimanevano immobili, cosicchè ogni prova tornò a maggior certezza del prodigio. Perciò, questo {82 [482]} cessato, il divoto e grato popolo Sorianese volle si recasse in processione nelle ore pomeridiane quel portentoso simulacro, siccome prima delle luttuose vicende, che afflissero l'Italia, costumavasi dai nostri religiosi custodi del Santuario.
«È questo, M. R. P. Provinciale, il prodigioso avvenimento, del quale prima ci pervennero da private lettere unanimi ragguagli, oggi confermati dal M. R. Vicario Foraneo di Soriano, il quale per ordine di S. E. Mons. Vescovo di Mileto ne distese autentica relazione sottoscritta con giuramento da trenta testimonii oculari scelti tra le persone più capaci ed oneste del paese, sebbene innumerevoli altri, come ivi si dice, avessero attestato la verità del prodigioso movimento.
«A noi non è lecito investigare i giudizi di Dio, che solo dobbiamo umilmente adorare, ed è perciò che non possiamo sentenziare sull'intenzione de'suoi altissimi fini che sono a'mortali impenetrabili: quis cognovit sensum Domini, aut quis Consiliarius {83 [483]} eius fuit? Tuttavia sappiamo che tutte le vie del Signore sono misericordia e verità: universae viae Domini, misericordia et veritas: e quindi le luttuose circostanze del tempo in cui è accaduto quel prodigio ci permettono di legittimamente supporre, che Iddio abbia voluto dar questo segno per avvisarci, che i peccati del mondo hanno ricolmo il calice dell'ira sua, e per animarci a raddoppiare di fervore a fine di disarmare la sua vendicatrice giustizia. Comunque ella sia M. R. P. a questo avvenimento, che possiam chiamare domestico, scuotendo la nostra tiepidezza accendiamoci di santo zelo, animiamoci a calcare da buoni figli le vestigia del s. Patriarca, e coll'assidua preghiera imploriamo la divina misericordia affinchè, placato lo sdegno, conceda alla santa Chiesa ed alla società giorni di tranquillità e di pace.
«Attesa la pressochè generale dispersione dei Religiosi in causa delle attuali vicende, non abbiamo diretta la presente a tutti come sarebbe stato {84 [484]} nostro desiderio, persuasi che la P. V. penserà a farla conoscere ai suoi religiosi.
«In questa dolce lusinga benediciamo nel Signore la P. V. e tutta la sua Provincia e ci raccomandiamo alle orazioni di tutti.
«Roma dal Conv. di S. M. sopra Minerva li 8 dicembre 1870.
Fr. A. VINCENTIUS JANDEL.
Mag. Ord. Praedicatorum.
(Dai periodici: Il Divin Salvatore e la Buona Settimana).
Guarigione da una cancrena.
Fra gli ameni e strepitosi fatti che si raccontano a gloria di Dio e ad onore di Maria Ausiliatrice, avvene uno succeduto nella persona di certa Castello Maria di Villastellone. Ella stessa ha voluto fare l'esposizione, che letteralmente {85 [485]} trascriviamo. Io era, ella dice, da tre anni travagliata da una pustola maligna al naso, che i medici qualificavano cancro-erpetico. Non ho mai risparmiato cosa che l'arte abbia potuto suggerirmi, ma senza alcun vantaggio. La piaga, dopo aver consumata la maggior parte del naso e del labbro superiore, cominciava a dilatarsi internamente al cervello: le stesse facoltà mentali cominciavano già a turbarsi. Priva affatto di speranza negli aiuti umanismi sono rivolta al Cielo, alla gran Madre di Dio, che nel nostro paese aveva già concessi straordinarii favori. Aveva udito a raccontare, come ad intercessione di Maria Ausiliatrice, alcuni miei patrioti avevano ottenuto abbondante raccolto dei bozzoli, altri la pioggia per le campagne e la cessazione dalla mortalità del bestiame, la sistemazione di affari o il termine di liti rovinose.
Ognuno soleva ricorrere facendo una novena di preghiere con promessa di qualche limosina pel decoro della chiesa dedicata a Maria Ausiliatrice in {86 [486]} Torino, dove ogni giorno hanno luogo particolari esercizi di cristiana pietà, per invocare la clemenza di questa celeste benefattrice a favore di chi trovasi nelle tribolazioni.
Animata pertanto da questi fatti, e spinta dal male che prendeva proporzioni ognor più minacciose, mi risolsi di ricorrere anch'io a Colei che ogni giorno è chiamata aiuto dei cristiani. Promisi pertanto di recitare alcune preghiere per un tempo determinato con una offerta a quella chiesa se otteneva la grazia.
In modo sensibile e, a giudizio dei medici, prodigioso, cominciò in quello stesso giorno a mitigarsi la crudezza del male a segno, che in pochi giorni fui totalmente guarita.
Chi mi rimira in faccia, giudica di veder un naso artefatto per la varietà della carnagione e del colore; ma è opera del Signore, che, facendomi in modo prodigioso guarire, mi ha in certo modo nuovamente creata quella parte del volto mio. A suo tempo mi sono recata a compire la mia obbligazione, {87 [487]} accostandomi eziandio ai Sacramenti della confessione e comunione, ed affinchè ognor più si accresca fra i cristiani la confidenza nel patrocinio di Maria Ausiliatrice, sono assai contenta che questa relazione sia ad altri raccontata, e se ne dia anche pubblicità in quel modo che si giudicherà tornare a maggior gloria di Dio e della Madre della Misericordia. Chi poi volesse viepiù accertarsi del fatto, rimiri la cicatrice che tuttora apparisce, e conoscerà chiaramente quanto profondo e inveterato fosse il male, da cui per intercessione della B. V. Maria sono stata guarita.
Villastellone 15 ottobre 1870.
MARIA CASTELLO. {88 [488]}
Con permissione ecclesiastica. {89 [489]}
Indice
PROTESTA DELL'AUTORE |
pag. 3 |
AL LETTORE. |
5 |
APPARIZIONE DELLA B. VERGINE SULLE MONTAGNE DELLA SALETTE |
9 |
Segreto dei due pastorelli |
19 |
Concorso alla Solette |
22 |
Altra apparizione della santa Vergine in Francia |
31 |
Relazione di Monsig. Pietro Losanna vescovo di Biella intorno al fatto avvenuto nella cappella della Madonna d’Oropa il 28 luglio 1869 |
38 |
Maravigliosa efficacia di una processione |
49 |
Prodigiosa manifestazione di Gesù nella SS. Eucaristia |
51 {90 [491]} |
Gesù predica agli infedeli |
pag. 55 |
S. Giuseppe salva dai briganti. |
58 |
Conversione ottenuta per intercessione di s. Giuseppe |
61 |
S. Giuseppe salva una fanciulla da morte |
63 |
Repentina guarigione dalla sordità per intercessione di Maria Ausiliatrice |
66 |
Una medaglia di Maria Ausiliatrice |
71 |
Avvenimento prodigioso di Soriano |
78 |
Guarigione da una cancrena |
86 {91 [492]} |
[1]Su questo fatto straordinario si possono consultare molte operette e parecchi giornali stampati contemporaneamente al fatto e segnatamente:
1. Notizia sull'apparizione di Maria SS. (Torino, 1847).
2. Santo officiale dell'apparizione, ecc. (1848).
3. Il libretto stampato per cura del sac. Giuseppe Gonfalonieri (Novara, presso Enrico Grotti).
[2]Erano tra le due e le tre ore dopo mezzogiorno.
[3]Avvenne difatto una grande carestia in Francia, e sulle strade si trovavano grandi torme di pezzenti affamati, che si recavano a mille a mille per le città per questuare: e mentre che da noi in Italia incarì il grano in sul far della primavera 1847, in Francia per tutto l'inverno del 46 - 47 si patì gran fame. Ma la vera penuria di alimenti, la vera fame fu provata nei disastri della guerra del 1870-71. In Parigi da un grande personaggio fu imbandito ai suoi amici un lauto pranzo di grasso nel venerdì Santo. Pochi mesi dopo in questa medesima città i più agiati cittadini furono costretti a nutrirsi di vili alimenti e di carni dei più sozzi animali. Non pochi morirono di fame.
[4]Nel 1849 le noci andarono a male da per tutto; e quanto alle uve tutti ne lamentano ancora il guasto e la perdita. Ognuno rammenta il guasto immenso che la crittogama cagionò all'uva in tutta l'Europa per lo spazio d'oltre a venti anni dal 1849 al 1869.
[5]Dalle corrispondenze di Terra santa pubblicate dal giornale di Roma. Il Divin Salvatore ricaviamo le seguenti notizie.
[6]Le notizie riguardanti i fatti testè esposti sono più a lungo esposti nel giornale di Roma, Il Divin Salvatore nei numeri 1°, 2°, 4° 1870.
[7]I tre fatti antecedentemente esposti furono estratti dal periodico intitolato: Il Divoto di J. Giuseppe.
[8]Il T. Antonio Cinzano in età di anni 66, dopo aver esemplarmente governata la parochia di Castelnuovo d'Asti per anni 38, con generale rincrescimento cessava di vivere il 6 di marzo 1870. - Dio mandò un ottimo successore nel sacerdote Rossi, che in breve tempo seppe guadagnarsi l'affetto de'suoi parochiani, pel cui bene consacra il suo zelo e le sue fatiche.
20 febbraio 1945
Maria Valtorta
Non so come farò a scrivere tanto, perché sento che Gesù si vuole presentare col suo Evangelo vissuto ed io ho sofferto tutta la notte per ricordare la visione seguente, della quale ho scarabocchiato le parole udite, come potevo, per non dimenticarle.
Tempo di persecuzione, una delle più grandi persecuzioni perché i cristiani sono torturati in masse, non presi singolarmente. Il luogo è la cavea di un Circo (si chiamano così?). Insomma è un locale certo sito sotto le gradinate del Circo e adibito a ricovero dei gladiatori, bestiari ecc. ecc., di tutti gli addetti al Circo, insomma. Premetto che dirò male i nomi perché sono 35 anni che non leggo nulla di storia romana e perciò…
In questo locale ampio, ma scuro — perché ha luce solo da una porta spalancata su un corridoio che certo porta all'interno del Circo, e forse all'esterno del medesimo, e da una finestrella, direi una feritoia bassa, a livello del suolo del Circo, da cui vengono rumori di folla — sono ammassati molti e molti cristiani di ogni età. Dai bambini di pochissimi anni, ancora fra le braccia delle madri — e due, per quanto sui due anni, ancora poppano all'esausta mammella materna — ai vecchi cadenti.
E vi sono anche dei gladiatori, già con l'elmo e quella relativa corazza che difende e non difende, perché lascia scoperte ancora parti vitali quale il giugulo e le parti dell'addome all'altezza e posizione del fegato e della milza. Indossano questa parziale armatura sulla nuda pelle ed hanno in mano la corta e larga daga fatta quasi a foglia di castano. Sono bellissimi uomini, non tanto per il volto quanto per il corpo robusto e armonico di cui noto ad ogni movimento il guizzare agile dei muscoli. Alcuni hanno cicatrici di vecchie ferite, altri non mostrano nessun segno di ferita. Parlano fra loro e rilevo che devono essere di paesi sottomessi a Roma, prigionieri di guerra certo, perché non usano che un latino molto bastardo e pronunciato con voce dura e gutturale, quando si rivolgono ai cristiani che in attesa della morte cantano i loro dolci e mesti inni.
Un gladiatore, alto quasi due metri — un vero colosso biondo come il miele e dai chiari occhi di un azzurro grigio, miti pur fra tanta ombra di ferro che riflette sul suo volto la visiera dell'elmo — si rivolge ad un vecchio tutto vestito di bianco, dignitoso, austero, più ancora: ascetico, che tutti i cristiani venerano col massimo rispetto. "Padre bianco, se le bestie ti risparmiano io ti dovrò uccidere. Così è l'ordine. E me ne spiace perché in Pannonia ho lasciato un vecchio padre come te".
"Non te ne dolere, figlio. Tu mi apri il Cielo. E da nessuno, nella mia lunga vita, avrò mai avuto dono più bello di quello che tu mi dài".
"Anche nel Cielo, luogo dove certo è il tuo Dio come nel mio vi sono i nostri dèi ed in quello di Roma i loro, ancora è morte e lotta. Vuoi tu ancora soffrire per odio di dèi come qui soffri?".
"Il mio Dio non è che solo. Nel suo Cielo Egli regna con amore e giustizia. E chi là perviene non conosce che eterno gaudio".
"L'ho udito dire da più e più cristiani durante questa persecuzione. E ho detto ad una fanciulla che mi sorrideva mentre calavo su lei la daga… e ho finto d'ucciderla ma non l'ho uccisa per salvarla, perché era tenera e bionda come un'erica giovanetta dei miei boschi,… ma non m'è servito… Di qui non la potei portare fuori, e il giorno dopo ai serpenti fu dato quel corpo di latte e rosa…". L'uomo tace con aspetto mesto.
"Che le hai detto, figlio?" chiede il vecchio.
"Ho detto: 'Lo vedi? Non sono cattivo. Ma è il mio mestiere. Sono schiavo di guerra. Se è vero che il tuo Dio è giusto digli che si ricordi di Albulo, mi chiamano così a Roma, e si faccia vedere col suo bene'. Mi ha detto: 'Sì'. Ma è morta da giorni e nessuno è venuto".
"Finché non sei cristiano, Dio non ti si mostra che nei suoi servi. E quanti di essi ti ha portato! Ogni cristiano è un servo di Dio, ogni martire un amico, tanto amico da vivere fra le braccia di Dio".
"Oh! molti… e io, non solo io, anche Dacio e Illirico, e anche altri di noi, tristi nella nostra sorte, siamo stati presi dal vostro giubilo… e lo vorremmo. Voi siete in catene… noi no. Ma neppure il soffio ci è libero. Se Cesare lo vuole, ecco ci incatenano l'alito dandoci morte. Ti fa ribrezzo parlarci di Dio?".
"È l'ultima mia gioia della Terra, figlio, ed è ben grande. Ti benedica Gesù, mio Dio e Maestro, per essa. Sono prete, Albulo, ho consumato la vita nel predicarlo e nel portare a Lui tante creature. E più non speravo di avere questa gioia. Odi…" e il vecchio, a lui e agli altri gladiatori assiepatisi intorno, ripete la vita di Gesù, dalla nascita alla morte di croce, e dice, schematicamente, le necessità essenziali della Fede. Parla seduto su un masso che fa da banchina, pacato, solenne, tutto un candore nei capelli lunghi, nella barba mosaica, nella veste, tutto un ardore nello sguardo e nella parola. Si interrompe solo due volte per benedire due gruppi di cristiani tratti nell'arena per essere gettati, in giuochi nautici, in pasto ai coccodrilli. Poi riprende a parlare fra il cerchio dei robusti gladiatori, quasi tutti biondi e rosei, che l'ascoltano a bocca aperta.
Si chiama Crisostomo1 quel dottore della Chiesa. Ma che nome dare allora a questo che non si nomina?
Termina dicendo: "Questo l'essenziale da credere per avere il Battesimo e il Cielo".
Le voci robuste dei gladiatori, una decina, fanno rimbombare la volta bassa: "Lo crediamo. Dacci il tuo Dio".
"Non ho nulla per aspergervi, non una goccia d'acqua o altro liquido, e la mia ora è giunta. Ma troverete il modo… No! Dio me lo dice! Un liquido è pronto per voi".
"I cristiani ai leoni!" ordina il sorvegliante. "Tutti".
Il vecchio prete in testa, dietro gli altri, fra cui le madri sul cui seno si sono addormentati i pargoli, entrano cantando nell'arena.
Che folla! che luce! che rumore! quanti colori! È gremita inverosimilmente di popolo d'ogni ceto. Nella parte che il sole invade vi è popolo più basso e rumoroso, nella parte all'ombra vi è il patriziato. Toghe e toghe, ventagli di struzzo, gioielli, conversazioni ironiche e a voce più bassa. Al centro della parte all'ombra, il podio imperiale col suo baldacchino porpureo, la sua balaustra infiorata e coperta di drappi e i suoi sedili soffici per il riposo del Cesare e dei patrizi e cortigiani suoi invitati. Due tripodi in oro fumano ai lati estremi della balconata e spargono essenze rare. I cristiani vengono spinti verso la parte al sole.
Dimenticavo una cosa. Al centro dell'arena è un… non so come dirlo. È una costruzione in marmo da cui salgono al cielo zampilli sottili, impalpabili di acqua, e sulla piattaforma di questa costruzione, di un ovale allungato, alta un due metri scarsi dal suolo, sono statuette di dèi in oro, e tripodi, in cui ardono incensi, sono davanti ad esse. I cristiani sono dunque ammassati dalla parte solare. Faccio uno schizzo come so.
I leoni irrompono. Il vecchio prete si avanza solo, per primo, a braccia tese. Parla: "Romani, per i miei fratelli e per me pace e benedizione. Gesù, per la gioia che ci date di confessarlo col sangue, vi dia Luce e Vita eterna. Noi di questo lo preghiamo perché grati vi siamo della porpora eterna di cui ci vestite col…".
Un leone ha preso il balzo dopo essersi avvicinato strisciando quasi al suolo, e lo atterra e azzanna alla spalla. La veste ed i capelli di neve sono già tutti rossi.
È il segnale dell'attacco bestiale. La torma delle fiere a balzi si lancia sul gregge dei miti. Una leonessa con un colpo di zampa strappa ad una madre uno dei pargoli dormenti, ed è così feroce la zampata che asporta parte del seno della madre che si rovescia, forse lacerata fino al cuore, sull'arena e muore. La belva, a colpi di coda e di zampa, difende il suo tenero pasto e lo sgranocchia in un baleno. Una piccola macchia rossa resta sulla sabbia, unica traccia del pargolo martire, mentre la belva si alza leccandosi il muso.
Ma i cristiani sono molti e le belve poche in confronto. E forse già sazie. Più che divorare uccidono per uccidere. Atterrano, sgozzano, sventrano, leccano un poco e poi passano altrove, ad altra preda.
Il popolo si inquieta perché manca la reazione nei cristiani e perché le bestie non sono feroci a sufficienza. Urla: "A morte! A morte! Anche l'intendente a morte! Non sono leoni questi, ma cani ben pasciuti! Morte ai traditori di Roma e di Cesare!".
L'imperatore dà un ordine e le belve vengono ricacciate nei loro antri. Vengono fatti entrare i gladiatori per il colpo di grazia. La folla urla i nomi dei preferiti: "Albulo, Illirico, Dacio, Ercole, Polifemo, Tracio" e altri ancora. Non sono solo i soli gladiatori ai quali ha parlato il vecchio martire, che agonizza nell'arena con un polmone quasi scoperto da un colpo di zampa. Ma anche altri che entrano da altre parti.
Albulo corre al vecchio prete. La gente dice: "Fàllo soffrire! Alzalo, che si veda il colpo! Forza Albulo!". Ma Albulo si china invece a chiedere al vecchio qualcosa e, avuto un cenno di assenso, chiama i compagni che hanno prima udito parlare il vecchio prete.
Non riesco a capire ciò che fanno, se si fanno benedire o che avviene, perché i loro robusti corpi fanno come un tetto sul vecchio prostrato. Ma lo capisco quando vedo che una mano senile già vacillante si alza sul gruppo di teste strette l'una all'altra e le asperge del sangue di cui si è fatta piena come una coppa. Poi ricade.
I gladiatori, spruzzati di quel sangue, scattano in piedi e alzano la daga che brilla nella luce. Urlano forte: "Ave, Cesare, imperatore. I trionfatori ti salutano" e poi, ratti come un fulmine, corrono a quella costruzione che è in mezzo al circo, balzano su essa, rovesciano idoli e tripodi, li calpestano.
La folla urla come impazzita. Chi vorrebbe difendere il gladiatore preferito, chi invoca morte atroce ai novelli cristiani. Che, per loro conto, tornati sull'arena, stanno allineati, sereni, magnifici come statue di giganti, con un sorriso nuovo sul volto fiero.
Cesare, un brutto, obeso, cinico uomo incoronato di fiori e vestito di porpora, si alza fra la corona dei suoi patrizi tutti in vesti bianche. Solo alcuni hanno una balza rossa. La folla fa silenzio in attesa della sua parola. Cesare – chi sia non so questo viso rincagnato e vizioso – tiene tutti in sospeso per qualche minuto, poi rovescia il pollice in basso e dice: "Vadano a morte per i compagni".
I gladiatori non convertiti, che intanto hanno sgozzato i malvivi cristiani con la metodicità con cui un beccaio sgozza gli agnelli, si rivoltano, e con la stessa automatica freddezza e precisione aprono ai compagni la gola, al giugolo. Come manipolo di spighe che la roncola taglia stelo a stelo, i dieci neo-cristiani, aspersi del sangue del prete martire, si fanno veste di porpora eterna col loro sangue e cadono con un sorriso, riversi, guardando il cielo in cui si inalba il loro giorno beato.
Non so che Circo sia. Non so che età del cristianesimo. Non ho dati. Vedo e dico ciò che vedo. Io non ho mai messo piede in nessuna Arena o Circo o Colosseo; perciò non posso dare il minimo indizio. Per la folla e la presenza del Cesare direi essere a Roma. Ma non so. Mi rimane nel cuore la visione del vecchio prete martire e dei suoi ultimi battezzati, e basta.
Ora poi, e sono le 11, vedo questo.
[Segue il capitolo 113 – che inizia ripetendo le quattro righe iniziali dello scritto di questo giorno – dell'opera L'EVANGELO. Della stessa opera seguono ancora, con date dal 21 al 28 febbraio 1945, i capitoli da 114 a 120]
1 Crisostomo, che significa "bocca d'oro", è detto in riferimento a Giovanni Crisostomo, padre e dottore della Chiesa, del quarto secolo.