Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 4° settimana del tempo di Avvento e Natale (Natale del Signore)
Vangelo secondo Luca 16
1Diceva anche ai discepoli: "C'era un uomo ricco che aveva un amministratore, e questi fu accusato dinanzi a lui di sperperare i suoi averi.2Lo chiamò e gli disse: Che è questo che sento dire di te? Rendi conto della tua amministrazione, perché non puoi più essere amministratore.3L'amministratore disse tra sé: Che farò ora che il mio padrone mi toglie l'amministrazione? Zappare, non ho forza, mendicare, mi vergogno.4So io che cosa fare perché, quando sarò stato allontanato dall'amministrazione, ci sia qualcuno che mi accolga in casa sua.5Chiamò uno per uno i debitori del padrone e disse al primo:6Tu quanto devi al mio padrone? Quello rispose: Cento barili d'olio. Gli disse: Prendi la tua ricevuta, siediti e scrivi subito cinquanta.7Poi disse a un altro: Tu quanto devi? Rispose: Cento misure di grano. Gli disse: Prendi la tua ricevuta e scrivi ottanta.8Il padrone lodò quell'amministratore disonesto, perché aveva agito con scaltrezza. I figli di questo mondo, infatti, verso i loro pari sono più scaltri dei figli della luce.
9Ebbene, io vi dico: Procuratevi amici con la disonesta ricchezza, perché, quand'essa verrà a mancare, vi accolgano nelle dimore eterne.
10Chi è fedele nel poco, è fedele anche nel molto; e chi è disonesto nel poco, è disonesto anche nel molto.
11Se dunque non siete stati fedeli nella disonesta ricchezza, chi vi affiderà quella vera?12E se non siete stati fedeli nella ricchezza altrui, chi vi darà la vostra?
13Nessun servo può servire a due padroni: o odierà l'uno e amerà l'altro oppure si affezionerà all'uno e disprezzerà l'altro. Non potete servire a Dio e a mammona".
14I farisei, che erano attaccati al denaro, ascoltavano tutte queste cose e si beffavano di lui.15Egli disse: "Voi vi ritenete giusti davanti agli uomini, ma Dio conosce i vostri cuori: ciò che è esaltato fra gli uomini è cosa detestabile davanti a Dio.
16La Legge e i Profeti fino a Giovanni; da allora in poi viene annunziato il regno di Dio e ognuno si sforza per entrarvi.
17È più facile che abbiano fine il cielo e la terra, anziché cada un solo trattino della Legge.
18Chiunque ripudia la propria moglie e ne sposa un'altra, commette adulterio; chi sposa una donna ripudiata dal marito, commette adulterio.
19C'era un uomo ricco, che vestiva di porpora e di bisso e tutti i giorni banchettava lautamente.20Un mendicante, di nome Lazzaro, giaceva alla sua porta, coperto di piaghe,21bramoso di sfamarsi di quello che cadeva dalla mensa del ricco. Perfino i cani venivano a leccare le sue piaghe.22Un giorno il povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto.23Stando nell'inferno tra i tormenti, levò gli occhi e vide di lontano Abramo e Lazzaro accanto a lui.24Allora gridando disse: Padre Abramo, abbi pietà di me e manda Lazzaro a intingere nell'acqua la punta del dito e bagnarmi la lingua, perché questa fiamma mi tortura.25Ma Abramo rispose: Figlio, ricordati che hai ricevuto i tuoi beni durante la vita e Lazzaro parimenti i suoi mali; ora invece lui è consolato e tu sei in mezzo ai tormenti.26Per di più, tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi.27E quegli replicò: Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre,28perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento.29Ma Abramo rispose: Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro.30E lui: No, padre Abramo, ma se qualcuno dai morti andrà da loro, si ravvederanno.31Abramo rispose: Se non ascoltano Mosè e i Profeti, neanche se uno risuscitasse dai morti saranno persuasi".
Secondo libro di Samuele 23
1Queste sono le ultime parole di Davide:
"Oracolo di Davide, figlio di Iesse,
oracolo dell'uomo che l'Altissimo ha innalzato,
del consacrato del Dio di Giacobbe,
del soave cantore d'Israele.
2Lo spirito del Signore parla in me,
la sua parola è sulla mia lingua;
3il Dio di Giacobbe ha parlato,
la rupe d'Israele mi ha detto:
Chi governa gli uomini ed è giusto,
chi governa con timore di Dio,
4è come la luce del mattino
al sorgere del sole,
in un mattino senza nubi,
che fa scintillare dopo la pioggia
i germogli della terra.
5Così è stabile la mia casa davanti a Dio,
perché ha stabilito con me un'alleanza eterna,
in tutto regolata e garantita.
Non farà dunque germogliare
quanto mi salva
e quanto mi diletta?
6Ma gli scellerati sono come spine,
che si buttano via a fasci
e non si prendono con la mano;
7chi le tocca usa un ferro o un'asta di lancia
e si bruciano al completo nel fuoco".
8Questi sono i nomi dei prodi di Davide: Is-Bàal il Cacmonita, capo dei Tre. Egli impugnò la lancia contro ottocento uomini e li trafisse in un solo scontro.9Dopo di lui veniva Eleàzaro figlio di Dodò l'Acochita, uno dei tre prodi che erano con Davide, quando sfidarono i Filistei schierati in battaglia, mentre gli Israeliti si ritiravano sulle alture.10Egli si alzò, percosse i Filistei, finché la sua mano, sfinita, rimase attaccata alla spada. Il Signore concesse in quel giorno una grande vittoria e il popolo seguì Eleàzaro soltanto per spogliare i cadaveri.11Dopo di lui veniva Sammà figlio di Aghè, l'Ararita. I Filistei erano radunati a Lechì; in quel luogo vi era un campo pieno di lenticchie: mentre il popolo fuggiva dinanzi ai Filistei,12Sammà si piantò in mezzo al campo, lo difese e sconfisse i Filistei. E il Signore concesse una grande vittoria.
13Tre dei Trenta scesero al tempo della mietitura e vennero da Davide nella caverna di Adullàm, mentre una schiera di Filistei era accampata nella valle dei Rèfaim.14Davide era allora nella fortezza e c'era un appostamento di Filistei a Betlemme.15Davide espresse un desiderio e disse: "Se qualcuno mi desse da bere l'acqua del pozzo che è vicino alla porta di Betlemme!".16I tre prodi si aprirono un varco attraverso il campo filisteo, attinsero l'acqua dal pozzo di Betlemme, vicino alla porta, la presero e la presentarono a Davide; il quale però non ne volle bere, ma la sparse davanti al Signore,17dicendo: "Lungi da me, Signore, il fare tal cosa! È il sangue di questi uomini, che sono andati là a rischio della loro vita!". Non la volle bere. Questo fecero quei tre prodi.
18Abisài, fratello di Ioab, figlio di Zeruià, fu il capo dei Trenta. Egli impugnò la lancia contro trecento uomini e li trafisse; si acquistò fama fra i trenta.19Fu il più glorioso dei Trenta e perciò fu fatto loro capo, ma non giunse alla pari dei Tre.20Poi veniva Benaià, figlio di Ioiadà, uomo valoroso, celebre per le sue prodezze, oriundo da Cabseèl. Egli uccise i due figli di Arièl, di Moab. Scese anche in mezzo a una cisterna, dove uccise un leone, in un giorno di neve.21Uccise anche un Egiziano, uomo d'alta statura, che teneva una lancia in mano; Benaià gli scese contro con un bastone, strappò di mano all'Egiziano la lancia e lo uccise con la lancia di lui.22Questo fece Benaià figlio di Ioiadà, e si acquistò fama tra i trenta prodi.23Fu il più illustre dei Trenta, ma non giunse alla pari dei Tre. Davide lo ammise nel suo consiglio.24Poi vi erano Asaèl fratello di Ioab, uno dei Trenta; Elcanàn figlio di Dodò, di Betlemme.25Sammà di Caròd; Elikà di Caròd;26Cèles di Pelèt; Ira figlio di Ikkès, di Tekòa;27Abièzer di Ànatot; Mebunnài di Cusà;28Zalmòn di Acòach; Maharai di Netofà;29Chèleb figlio di Baanà, di Netofà; Ittài figlio di Ribài, di Gàbaa di Beniamino; Benaià di Piratòn;30Iddài di Nahale-Gaàs;31Abi-Albòn di Arbàt; Azmàvet di Bacurìm;32Eliacbà di Saalbòn; Iasèn di Gun;33Giònata figlio di Sammà, di Aràr; Achiàm figlio di Saràr, di Afàr;34Elifèlet figlio di Acasbài, il Maacatita; Eliàm figlio di Achitòfel, di Ghilo;35Chesrài del Carmelo; Paarài di Aràb;36Igàl figlio di Natàn, da Zobà; Banì di Gad;37Zèlek l'Ammonita; Nacrai da Beeròt, scudiero di Ioab, figlio di Zeruià;38Irà di Ièter; Garèb di Ièter;39Uria l'Hittita. In tutto trentasette.
Salmi 57
1'Al maestro del coro. Su "Non distruggere". Di Davide.'
'Miktam. Quando fuggì da Saul nella caverna.'
2Pietà di me, pietà di me, o Dio,
in te mi rifugio;
mi rifugio all'ombra delle tue ali
finché sia passato il pericolo.
3Invocherò Dio, l'Altissimo,
Dio che mi fa il bene.
4Mandi dal cielo a salvarmi
dalla mano dei miei persecutori,
Dio mandi la sua fedeltà e la sua grazia.
5Io sono come in mezzo a leoni,
che divorano gli uomini;
i loro denti sono lance e frecce,
la loro lingua spada affilata.
6Innàlzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria.
7Hanno teso una rete ai miei piedi,
mi hanno piegato,
hanno scavato davanti a me una fossa
e vi sono caduti.
8Saldo è il mio cuore, o Dio,
saldo è il mio cuore.
9Voglio cantare, a te voglio inneggiare:
svègliati, mio cuore,
svègliati arpa, cetra,
voglio svegliare l'aurora.
10Ti loderò tra i popoli, Signore,
a te canterò inni tra le genti.
11perché la tua bontà è grande fino ai cieli,
e la tua fedeltà fino alle nubi.
12Innàlzati sopra il cielo, o Dio,
su tutta la terra la tua gloria.
Salmi 43
1Fammi giustizia, o Dio,
difendi la mia causa contro gente spietata;
liberami dall'uomo iniquo e fallace.
2Tu sei il Dio della mia difesa;
perché mi respingi,
perché triste me ne vado,
oppresso dal nemico?
3Manda la tua verità e la tua luce;
siano esse a guidarmi,
mi portino al tuo monte santo e alle tue dimore.
4Verrò all'altare di Dio,
al Dio della mia gioia, del mio giubilo.
A te canterò con la cetra, Dio, Dio mio.
5Perché ti rattristi, anima mia,
perché su di me gemi?
Spera in Dio: ancora potrò lodarlo,
lui, salvezza del mio volto e mio Dio.
Geremia 49
1Sugli Ammoniti.
Dice il Signore:
"Israele non ha forse figli,
non ha egli alcun erede?
Perché Milcom ha ereditato la terra di Gad
e il suo popolo ne ha occupate le città?
2Perciò ecco, verranno giorni
- dice il Signore -
nei quali io farò udire a Rabbà degli Ammoniti
fragore di guerra;
essa diventerà un cumulo di rovine,
le sue borgate saranno consumate dal fuoco,
Israele spoglierà i suoi spogliatori,
dice il Signore.
3Urla, Chesbòn, arriva il devastatore;
gridate, borgate di Rabbà,
cingetevi di sacco, innalzate lamenti
e andate raminghe con tagli sulla pelle,
perché Milcom andrà in esilio,
insieme con i suoi sacerdoti e i suoi capi.
4Perché ti vanti delle tue valli,
figlia ribelle?
Confidi nelle tue scorte ed esclami:
Chi verrà contro di me?
5Ecco io manderò su di te il terrore
- parola del Signore Dio degli eserciti -
da tutti i dintorni.Voi sarete scacciati, ognuno per la sua via,
e non vi sarà nessuno che raduni i fuggiaschi.
6Ma dopo cambierò la sorte
degli Ammoniti".
Parola del Signore.
7Su Edom.
Così dice il Signore degli eserciti:
"Non c'è più sapienza in Teman?
È scomparso il consiglio dei saggi?
È svanita la loro sapienza?
8Fuggite, partite, nascondetevi in un luogo segreto,
abitanti di Dedan,
poiché io mando su Esaù la sua rovina,
il tempo del suo castigo.
9Se vendemmiatori verranno da te,
non lasceranno nulla da racimolare.
Se ladri notturni verranno da te,
saccheggeranno quanto loro piace.
10Poiché io intendo spogliare Esaù,
rivelo i suoi nascondigli
ed egli non ha dove nascondersi.
La sua stirpe, i suoi fratelli, i suoi vicini
sono distrutti ed egli non è più.
11Lascia i tuoi orfani, io li farò vivere,
le tue vedove confidino in me!
12Poiché così dice il Signore: Ecco, coloro che non erano obbligati a bere il calice lo devono bere e tu pretendi di rimanere impunito? Non resterai impunito, ma dovrai berlo13poiché io ho giurato per me stesso - dice il Signore - che Bozra diventerà un orrore, un obbrobrio, un deserto, una maledizione e tutte le sue città saranno ridotte a rovine perenni.
14Ho udito un messaggio da parte del Signore,
un messaggero è stato inviato fra le nazioni:
Adunatevi e marciate contro di lui!
Alzatevi per la battaglia.
15Poiché ecco, ti renderò piccolo fra i popoli
e disprezzato fra gli uomini.
16La tua arroganza ti ha indotto in errore,
la superbia del tuo cuore;
tu che abiti nelle caverne delle rocce,
che ti aggrappi alle cime dei colli,
anche se ponessi, come l'aquila, in alto il tuo nido,
di lassù ti farò precipitare. Oracolo del Signore.
17Edom sarà oggetto di orrore; chiunque passerà lì vicino ne resterà attonito e fischierà davanti a tutte le sue piaghe.18Come nello sconvolgimento di Sòdoma e Gomorra e delle città vicine - dice il Signore - non vi abiterà più uomo né vi fisserà la propria dimora un figlio d'uomo.19Ecco, come un leone sale dalla boscaglia del Giordano verso i prati sempre verdi, così in un baleno io lo scaccerò di là e il mio eletto porrò su di esso; poiché chi è come me? Chi può citarmi in giudizio? Chi è dunque il pastore che può resistere davanti a me?20Per questo ascoltate il progetto che il Signore ha fatto contro Edom e le decisioni che egli ha prese contro gli abitanti di Teman.
Certo, trascineranno via anche i più piccoli del gregge,
e per loro sarà desolato il loro prato.
21Al fragore della loro caduta tremerà la terra.
Un grido! Fino al Mare Rosso se ne ode l'eco.
22Ecco, come l'aquila, egli sale e si libra,
espande le ali su Bozra.
In quel giorno il cuore dei prodi di Edom
sarà come il cuore di una donna nei dolori del parto".
23Su Damasco.
"Amat e Arpad sono piene di confusione,
perché hanno sentito una cattiva notizia;
esse sono agitate come il mare, sono in angoscia,
non possono calmarsi.
24Spossata è Damasco, si volge per fuggire;
un tremito l'ha colta,
angoscia e dolori l'assalgono
come una partoriente.
25Come fu abbandonata la città gloriosa,
la città del tripudio?
26Cadranno i suoi giovani nelle sue piazze
e tutti i suoi guerrieri periranno in quel giorno.
Oracolo del Signore degli eserciti.
27Appiccherò il fuoco alle mura di Damasco
e divorerà i palazzi di Ben-Hadàd".
28Su Kedàr e sui regni di Cazòr, che Nabucodònosor re di Babilonia sconfisse.
Così dice il Signore:
"Su, marciate contro Kedàr,
saccheggiate i figli dell'oriente.
29Prendete le loro tende e le loro pecore,
i loro teli da tenda, tutti i loro attrezzi;
portate via i loro cammelli;
un grido si leverà su di loro: Terrore all'intorno!
30Fuggite, andate lontano, nascondetevi in luoghi segreti
o abitanti di Cazòr - dice il Signore -
perché ha ideato un disegno contro di voi.
Nabucodònosor re di Babilonia
ha preparato un piano contro di voi.
31Su, marciate contro la nazione tranquilla,
che vive in sicurezza. Oracolo del Signore.
Essa non ha né porte né sbarre
e vive isolata.
32I suoi cammelli saranno portati via come preda
e la massa dei suoi greggi come bottino.
Disperderò a tutti i venti
coloro che si tagliano i capelli alle tempie,
da ogni parte farò venire la loro rovina.
Parola del Signore.
33Cazòr diventerà rifugio di sciacalli,
una desolazione per sempre;
nessuno vi dimorerà più,
non vi abiterà più un figlio d'uomo".
34Parola che il Signore rivolse al profeta Geremia riguardo all'Elam all'inizio del regno di Sedecìa re di Giuda.
35"Dice il Signore degli eserciti:
Ecco io spezzerò l'arco dell'Elam,
il nerbo della sua potenza.
36Manderò contro l'Elam i quattro venti
dalle quattro estremità del cielo
e li sparpaglierò davanti a questi venti;
non ci sarà nazione
in cui non giungeranno
i profughi dell'Elam.
37Incuterò terrore negli Elamiti davanti ai loro nemici
e davanti a coloro che vogliono la loro vita;
manderò su di essi la sventura,la mia ira ardente. Parola del Signore.
Manderò la spada a inseguirli
finché non li avrò sterminati.
38Porrò il mio trono sull'Elam
e farò morire il re e i capi.
Oracolo del Signore.
39Ma negli ultimi giorni
cambierò la sorte dell'Elam". Parola del Signore.
Lettera ai Romani 8
1Non c'è dunque più nessuna condanna per quelli che sono in Cristo Gesù.2Poiché la legge dello Spirito che dà vita in Cristo Gesù ti ha liberato dalla legge del peccato e della morte.3Infatti ciò che era impossibile alla legge, perché la carne la rendeva impotente, Dio lo ha reso possibile: mandando il proprio Figlio in una carne simile a quella del peccato e in vista del peccato, egli ha condannato il peccato nella carne,4perché la giustizia della legge si adempisse in noi, che non camminiamo secondo la carne ma secondo lo Spirito.
5Quelli infatti che vivono secondo la carne, pensano alle cose della carne; quelli invece che vivono secondo lo Spirito, alle cose dello Spirito.6Ma i desideri della carne portano alla morte, mentre i desideri dello Spirito portano alla vita e alla pace.7Infatti i desideri della carne sono in rivolta contro Dio, perché non si sottomettono alla sua legge e neanche lo potrebbero.8Quelli che vivono secondo la carne non possono piacere a Dio.
9Voi però non siete sotto il dominio della carne, ma dello Spirito, dal momento che lo Spirito di Dio abita in voi. Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene.10E se Cristo è in voi, il vostro corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustificazione.11E se lo Spirito di colui che ha risuscitato Gesù dai morti abita in voi, colui che ha risuscitato Cristo dai morti darà la vita anche ai vostri corpi mortali per mezzo del suo Spirito che abita in voi.
12Così dunque fratelli, noi siamo debitori, ma non verso la carne per vivere secondo la carne;13poiché se vivete secondo la carne, voi morirete; se invece con l'aiuto dello Spirito voi fate morire le opere del corpo, vivrete.
14Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio.15E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto uno spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: "Abbà, Padre!".16Lo Spirito stesso attesta al nostro spirito che siamo figli di Dio.17E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se veramente partecipiamo alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.
18Io ritengo, infatti, che le sofferenze del momento presente non sono paragonabili alla gloria futura che dovrà essere rivelata in noi.
19La creazione stessa attende con impazienza la rivelazione dei figli di Dio;20essa infatti è stata sottomessa alla caducità - non per suo volere, ma per volere di colui che l'ha sottomessa - e nutre la speranza21di essere lei pure liberata dalla schiavitù della corruzione, per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio.22Sappiamo bene infatti che tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto;23essa non è la sola, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l'adozione a figli, la redenzione del nostro corpo.24Poiché nella speranza noi siamo stati salvati. Ora, ciò che si spera, se visto, non è più speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe ancora sperarlo?25Ma se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza.
26Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili;27e colui che scruta i cuori sa quali sono i desideri dello Spirito, poiché egli intercede per i credenti secondo i disegni di Dio.
28Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene di coloro che amano Dio, che sono stati chiamati secondo il suo disegno.29Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli;30quelli poi che ha predestinati li ha anche chiamati; quelli che ha chiamati li ha anche giustificati; quelli che ha giustificati li ha anche glorificati.
31Che diremo dunque in proposito? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?32Egli che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha dato per tutti noi, come non ci donerà ogni cosa insieme con lui?33Chi accuserà gli eletti di Dio? Dio giustifica.34Chi condannerà? Cristo Gesù, che è morto, anzi, che è risuscitato, sta alla destra di Dio e intercede per noi?35Chi ci separerà dunque dall'amore di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada?36Proprio come sta scritto:
'Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno,
siamo trattati come pecore da macello'.
37Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori per virtù di colui che ci ha amati.38Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire,39né potenze, né altezza né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarci dall'amore di Dio, in Cristo Gesù, nostro Signore.
Capitolo XLVI: Affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più importanza di quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza? Ti potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di interiorità e non tiene Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà libero dal timore degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
2. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio, invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato, "qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero; così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana. Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano, passa degno di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal 7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza. Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare", non potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal 142,2).
DISCORSO 260/C NELLA DOMENICA DELL'OTTAVA DELLA SANTA PASQUA
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella Biblioteca
Godiamo quando la Chiesa genera nuovi figli.
1. Non credo che sia una novità di cui non avete mai sentito parlare, anzi son certo che si tratti di una cosa nota alla vostra fede, che, come in quanto uomini - cioè nella nostra carne - siamo nati dai nostri genitori, così spiritualmente nasciamo da Dio Padre e dalla madre Chiesa. In tal modo lo stesso Signore Dio, che è nostro creatore perché ci dà la vita tramite i genitori, è anche nostro rigeneratore per la vita che ci dà lui direttamente con l'intervento della Chiesa. Nella prima generazione si contrae il vincolo del peccato, nella seconda viene sciolto. Là siamo generati per succedere ai nostri genitori destinati a morire, qua per aderire a chi rimane per sempre. È comunque un fatto che i figli di famiglia nati prima, quando nascono in casa altri fratelli, si rallegrano con affetto fraterno e il piacere per avere dei consanguinei che dividono con loro la stessa luce supera di gran lunga il dispiacere di doversi dividere l'eredità. Ebbene, quanto più grande e più genuina non dev'essere la gioia che dobbiamo provare noi vedendo dei figli dell'uomo che, nati come noi, per la grazia del santo battesimo vengono rigenerati e diventano figli del loro Creatore, e così tutti nasciamo per partecipare a quella eredità che, nei riguardi dei suoi possessori, rimane indivisa per tutti e viene accordata tutta a tutti? Dice: Il Signore è la parte della mia eredità 1. Riflettiamo su queste parole dette dal profeta David, e cioè che Dio è la nostra eredità, e pensiamo a quel che aggiungono e l'apostolo Giovanni: Dio è carità 2 e l'apostolo Paolo: La carità non è invidiosa 3. Quanto più grande sarà il numero dei compartecipi e dei compagni che vedremo nascere come noi per il possesso comune di una tale eredità, tanto maggiore dovrà essere la nostra gioia, frutto di carità, essendo proprio la carità il premio che ci viene assegnato come nostro possesso. In verità, se l'eredità altro non è se non l'amore, dimostrerebbe di non voler essere erede colui che non amasse il coerede. Pertanto, le parole che, con l'aiuto del Signore, stiamo per rivolgere a coloro che celebrano l'ottavo giorno da quando han ricevuto il battesimo ricevetele anche voi e ricevetele con gioia tanto maggiore quanto maggiore è l'esultanza derivante dai vincoli della nuova fraternità. Nello stesso tempo anche i catecumeni, che la santa madre Chiesa ha già concepito con un sacramento non ancora del tutto completo, facciano pressione contro il seno di lei mossi dal desiderio d'uscire alla nuova luce e si affrettino a diventare maturi e a nascere.
Battesimo e diluvio.
2. Da tutti i rinati mediante il battesimo di Cristo si celebra con somma devozione la solennità di questa ottava, e il motivo è da ricercarsi nel fatto che in essa e per essa le genti sparse per ogni dove nel mondo sono state assoggettate al nome di Cristo conseguendone la salvezza. Sforziamoci dunque, con l'aiuto del Signore, a riproporre in brevi parole quale sia il suo significato e quale il contenuto di un così grande mistero. Come questa cosa sia in pieno accordo con le esigenze della nostra fede, vogliatelo ripensare insieme con me, anche voi, istruiti come siete nella dottrina cristiana. Chi infatti non sa che nell'antichità la terra fu purificata dai peccati mediante il diluvio? In esso si preannunziava il mistero del santo battesimo, nel quale, parimenti per mezzo dell'acqua, vengono cancellati tutti i peccati dell'uomo; e in quella stessa occasione fu costruita l'arca, fatta di legno non soggetto a putrefazione, dove erano raccolte solo otto persone, quell'arca che simboleggiava la Chiesa. Ciò che al tempo del diluvio, con le cui acque furono cancellati i peccati, viene indicato col numero otto - cioè otto persone - questo stesso nell'amministrazione del battesimo, con le cui acque vengono distrutti i peccati, viene parimenti suggerito dal numero otto, cioè otto giorni. Gli eventi che contengono un qualche significato possono paragonarsi ai suoni emessi dalla nostra bocca. Come infatti una stessa e identica realtà può esprimersi in modi svariati, con parole e linguaggi diversi, così si è soliti rappresentare una stessa e identica cosa non solo con suoni diversi l'uno dall'altro ma anche con molti e varii eventi figurativi, senza che venga in se stessa modificata. In forza di ciò, sebbene abbiamo in un caso otto persone e nell'altro otto giorni, non si esprime qui una cosa e là un'altra ma la stessa cosa in modi differenti, cioè con diversità di segni, come se a cambiare non fossero - diciamo così - se non le lettere.
Traversie della vita e quiete dell'eternità.
3. Col numero otto si rappresentano dunque le cose che hanno pertinenza col mondo avvenire, dove nulla diminuisce o s'accresce con l'evolversi dei tempi ma tutto persevera costantemente in una beatitudine immutabile. E se è vero che il succedersi del tempo nell'ordine presente si snoda sul numero sette ripetuto a spirale, è esatto che il giorno eterno si chiami - per via di approssimazione - giorno ottavo. In esso i santi che l'abbiano raggiunto superando le peripezie del tempo presente non avranno da distinguere - poiché non ci saranno più tali avvicendamenti - il giorno dalla notte né il tempo di essere occupati dal tempo della quiete: loro sorte sarà, per sempre, una quiete dove si vigila e un'occupazione dove si è inattivi, non per pigrizia ma perché l'attività non comporta lavoro. Ancora. Come ai santi, passato il tempo incluso nel ciclo settenario, è riservato l'ottavo giorno, cioè la felicità eterna, così agli empi, trascorso velocemente il tempo indicato dal numero sette, è riservato, come giorno ottavo, il giudizio di condanna. Da questo giudizio desiderava essere liberato l'autore del Salmo sesto, che ha per titolo: Sulle ottave 4. Gemendo espone la sua miseria e dice: Signore, non rimproverarmi nel tuo sdegno; nella tua ira non castigarmi 5. Una cosa simile ritorna anche nel Salmo undicesimo, che reca parimenti l'iscrizione: Sulle ottave. In questo Salmo si mostra come tutte le avversità del tempo presente occorre sopportarle per conseguire il premio della vita eterna. Ci si mette in guardia dal pericolo che, cominciando ad abbondare il male, non si raffreddi la carità e ci si ricorda che chi non avrà perseverato sino alla fine non potrà salvarsi 6. Si fa il caso di uno che voleva riporre la sua fiducia negli altri uomini ma trova in molti - anche in quelli che meno sospettava - le trappole, i raggiri, e tanta boria vacua e superba. Buon per lui in tale frangente volgere lo sguardo al giorno ottavo, al giorno eterno, dove la sua gioia sarà imperturbata e non ci saranno compagnie cattive che la intacchino. Lasciamolo pertanto dire gemendo, lasciamolo pregare con lacrime: Salvami, Signore! Il santo è venuto meno; la verità è scomparsa tra i figli dell'uomo 7. Così infatti comincia quel Salmo. Preghi però con ferma speranza, come è detto nelle ultime espressioni dello stesso Salmo, che termina con le parole: Tu però, Signore, ci salverai e ci custodirai in eterno da questa generazione 8. Si potrebbe, così, dire che il Salmo comincia con il numero sette e si snoda fino a raggiungere l'otto, procedendo da gloria in gloria come mosso dallo Spirito del Signore 9.
I cattivi non conseguiranno il sabato del Signore.
4. Ma che dire del fatto che altrove per bocca del profeta promette pace su pace 10? O se non che lo stesso sabato, indicato dal settimo giorno, sebbene incluso nel giro dei giorni del tempo presente, contiene già in sé un riposo? È il riposo promesso ai santi anche su questa terra e consistente nell'esenzione da ogni procella mondana che li disturbi, finché essi, compiute le opere buone, si riposino nel loro Dio. Per indicare tutto questo in epoca molto anteriore, dopo che ebbe creato tutte le cose - che erano tutte buone assai - lui stesso nel settimo giorno si riposò 11. O c'è per caso un motivo diverso per il quale sia stato scritto nel libro del santo Giobbe: Sei volte ti ho liberato dalle strettezze e nel settimo giorno non ti toccherà alcun male 12? Inoltre il settimo giorno non ha tramonto; e questo accade perché senza assalti e nuvole di tristezza - la quale è originata ordinariamente dalla convivenza con uomini malvagi in mezzo ai quali ci si trova - introduce i santi nel giorno ottavo, cioè nella beatitudine eterna. Una cosa è infatti riposare nel Signore mentre si è ancora nell'ambito del tempo - cosa raffigurata dal settimo giorno, cioè dal sabato - e un'altra trascendere tutti i tempi ed essere per sempre immedesimati con l'artefice dei tempi. Questo raffigura l'ottavo giorno, il quale, non entrando nel giro degli altri giorni, si presenta come contenente un richiamo all'eternità. I nostri sette giorni, effettivamente, che si snodano con una successione continua e sempre si ripetono, servono a tracciare l'intero evolversi del tempo. Figuratamente con questi giorni non si rappresentano però coloro che amano il mondo presente, i quali non desiderano - nel loro settimo giorno - il riposo del sabato spirituale. A un tal sabato essi non aspirano non avendo un desiderio capace di immetterli nel giorno ottavo, cioè nell'eternità. Immersi nelle loro abitudini transitorie, abbandonano il Creatore e si abbassano ad adorare la creatura, e così diventano empi. In vista di ciò, colui che canta sulle, ottave, dopo aver detto: Tu, Signore, ci salverai e ci custodirai in eterno da questa generazione, aggiunge subito: Tutt'intorno camminano gli empi 13, Cioè coloro che, schiavi di calcoli terreni, non riescono a gustare ciò che è eterno.
L'umiltà è via alla gloria.
5. Osservando questi giorni, dai quali è impossibile escludere qualsiasi significato allegorico, si riscontra che l'ottavo giorno è lo stesso che il primo. Primo giorno dopo il sabato è la domenica, ma questo primo giorno scompare quando sopraggiunge il secondo. Invece in quel giorno di cui questo nostro primo e ottavo sono simbolo c'è sempre presente l'eternità. Vi è presente l'eternità primordiale, della quale alle origini i nostri progenitori furono privati a causa del peccato e noi decademmo nella presente condizione di mortalità. E c'è anche l'ultima - o, diciamo così, l'ottava - che è quella che recupereremo dopo la resurrezione, quando, ultima nemica, sarà distrutta la morte 14 e questo corpo corruttibile si rivestirà d'incorruttibilità e questo corpo mortale di immortalità 15. Allora il figlio tornato riceverà la veste che aveva indossata prima: quella veste che gli sarà restituita alla fine - cioè, per così dire, nel giorno ottavo - dopo le peripezie del lungo peregrinare, dopo aver pascolato i porci 16, e subìto le altre tribolazioni della vita mortale, cioè dopo aver percorso tutti e sette i cicli del tempo. Pertanto non fu senza motivo che il nostro Signore - che più non muore né la morte ha alcun potere su di lui 17 - identificò il primo e l'ottavo giorno degnandosi di comprovare tutto questo nella sua carne col fatto paradigmatico della sua resurrezione corporea. A questa sua glorificazione noi dobbiamo tendere per la via dell'umiltà. Lo ricaviamo dall'episodio in cui egli, proprio per inculcare questa esigenza, rispondendo ai suoi discepoli che la desideravano e ambivano di stare uno alla sua destra e l'altro alla sua sinistra, disse: Potete bere al calice da cui io sto per bere? 18 Con questo faceva loro intendere che la via verso le altezze inizia da questa valle di lacrime 19, e che mai sarebbero stati degni di raggiungere le sommità celesti se prima non avessero umilmente accettato di subire il ludibrio della croce.
Con la mente rivolti al giorno eterno.
6. Lo conferma anche l'ultimo verso del Salmo undecimo - al quale, come dicevamo, è premesso il titolo: Sulle ottave dove si dice: Signore, secondo la tua altezza hai moltiplicato i figli degli uomini 20. Opportunamente questo verso lo si intende riferito al Signore Gesù Cristo, che nella sua persona, essendo Figlio di Dio e Figlio dell'uomo, rese i figli degli uomini figli di Dio. In questa terra tali figli di Dio sono pochi in confronto col numero stragrande dei peccatori: sono come pochi grani nell'aia dove abbonda la pula. Questa pula appare sparsa dappertutto, come se [nell'aia] ci sia essa sola, mentre i grani se ne stanno nascosti e sembrano scomparire. Dio però nella Gerusalemme celeste li moltiplica secondo la sua altezza, lui che chiama le cose non esistenti come se esistessero 21. Ma da quale altezza? Qui è da vedersi quella cecità che parzialmente s'abbattè su Israele affinché la totalità delle genti entrasse e così tutto intero Israele si salvasse 22. Al riguardo un'esclamazione esce dalla bocca dell'Apostolo: O altezza della ricchezza della sapienza e della scienza di Dio! 23 Non andiamo dunque a cercare le rovinose altezze delle posizioni mondane. Siamo infatti morti e la nostra vita è nascosta con Cristo in Dio: quando apparirà Cristo, nostra vita, allora appariremo anche noi con lui nella gloria 24. Perciò il desiderio sia costantemente rivolto al giorno ottavo, dove sarà terminato l'intero corso dei tempi in cui si aggirano gli empi 25. Siccome in forza della speranza ci è concesso di abitare in anticipo nel cielo 26, viviamo con Cristo e in Cristo, a somiglianza degli angeli di Dio, e sentiamoci già partecipi dell'eternità di colui che non ricusò di rendersi partecipe della nostra mortalità. Notate qui che, come nell'ottava dei sacramenti il giorno ottavo giunge dopo i sette, così accade nel sacramento della Pentecoste, che arriva dopo sette settimane che chiudiamo nel quarantanovesimo giorno. Anche lì si aggiunge un ottavo giorno per arrivare al numero completo di cinquanta: una unità nel numero minore e parimenti una unità nel numero maggiore. Ma, per quanto concerne l'eternità, di cui l'ottavo giorno è simbolo, non può né crescere né diminuire: è un oggi perpetuo, poiché non c'è tempo nuovo che subentri a quello che se ne va. Quell'oggi non inizia con la fine del giorno di ieri né termina quando inizierà il domani, ma è un oggi che rimane per sempre. Se ci sono stati tempi passati, essi son tutti passati senza che quel giorno passasse; e se verranno tempi futuri, verranno tutti senza che quel giorno inizi.
Non mescolatevi ai cattivi ma camminate per la via stretta.
7. Dimenticate dunque le cose del passato e protendetevi verso quelle dell'avvenire, cercando con tutto l'impegno di conseguire la palma della vocazione divina 27. Fratelli e figli carissimi, anche quando avrete deposto i segni del sacramento, portate sempre nel cuore la speranza del giorno eterno di cui stiamo parlando. Mediante le vesti candide, come con una parola visibile, si stampa nelle vostre menti un germe luminoso consistente nella novità di vita. Quando le cambierete, fate che non si cambi quello che esse rappresentano, ma che risplenda per la luce della fede e della verità. Non macchiatele con alcuna sozzura di costumi sregolati, di modo che in quel giorno non vi troviate nudi 28 ma senza alcun ostacolo passiate dalla gloria della fede alla gloria della visione. Con il rito solenne di oggi si compie la vostra uscita da queste transenne, che in quanto spiritualmente bambini vi separano dagli altri fedeli. Quando vi sarete mescolati al comune ceto del popolo cristiano, mettetevi dalla parte dei buoni, ricordando che le compagnie cattive pervertono i buoni costumi. Essendo giustificati, praticate la sobrietà ed evitate il peccato 29. Vi ho infatti fidanzati a un solo uomo, come vergine casta da presentare a Cristo; e temo che, come il serpente con la sua astuzia ingannò Eva, così anche i vostri sentimenti si corrompano facendovi perdere quella castità, dono di Dio, che si consegue in Cristo 30. L'amicizia che è di questo mondo rende adultere le anime, facendole tradire l'unico e vero e legittimo Sposo 31, dal quale avete ricevuto come anello lo Spirito Santo. Guardatevi dal camminare per la via spaziosa, che conduce alla perdizione e nella quale molti camminano 32. Non vi stancate di percorrere la via stretta, al termine della quale c'è l'ampiezza eterna. Se a volte, come fatalmente capita durante la vita di ogni uomo mentre scorre fra i marosi del mondo presente, incontrerete delle tentazioni 33 e ci saranno persone, anche molte, che come cani vi abbaieranno attorno con le loro malvagità, perseverate nella fede, gioite nella speranza e, ardenti di carità, cantate sulle ottave, dicendo: Salvami, Signore, perché il santo è venuto meno, la verità è scomparsa tra i figli dell'uomo; ciascuno ha pronunziato vanità nei riguardi del suo prossimo 34.
Figli dell'uomo diventati, in Cristo, figli di Dio.
8. Per quanto concerne voi, figli dell'uomo divenuti ormai figli di Dio, fino a quando vorrete essere duri di cuore? 35 Non amate la vanità né cercate avidamente la menzogna: così non darete alcun adito al diavolo 36. Ognuno di voi aderisca fermamente a Cristo e resti immutabilmente fedele alla parola di Dio che ha abbracciata. Se verrà a trovarsi in mezzo alle tentazioni e agli scandali che gli ribollano all'intorno, non si creda, per il fatto che da ogni parte lo avvolge la paglia e gli impedisce di vedere i compagni che con lui saranno un giorno nel granaio, di essere solo lui il grano di Dio. Ripensi ai tempi antichi quando sulla terra non era ancora stato versato il sangue di Cristo, prezzo di riscatto per tutto il mondo. Il santo Elia diceva: Sono rimasto io solo, ma dal cielo gli fu risposto: Io mi sono riservato settemila uomini che non hanno piegato il ginocchio dinanzi a Baal 37. Questi settemila, quando insieme con Elia venivano trebbiati sull'aia di questo mondo, non costituendo ancora un unico mucchio e non toccandosi fra loro, avevano ciascuno l'impressione di essere soli. Considerata fra tutte le genti invece, la quantità degli uomini eletti per essere del Signore è certo più consistente: essa viene preservata in eterno dalla presente generazione. Dio infatti per suo occulto decreto moltiplicherà i figli degli uomini secondo la profondità della sua sapienza 38.
1 - Sal 15, 5.
2 - 1 Gv 4, 8. 16.
3 - 1 Cor 13, 4.
4 - Sal 6, 1.
5 - Sal 6, 2.
6 - Cf. Mt 24, 12-13.
7 - Sal 11, 2.
8 - Sal 11, 8.
9 - 2 Cor 3, 18.
10 - Is 57, 19 (sec. LXX).
11 - Gn 1, 31; 2, 2.
12 - Gb 5, 19.
13 - Sal 11, 9.
14 - Cf. 1 Cor 15, 26.
15 - Cf. 1 Cor 15, 53.
16 - Cf. Lc 15, 11 ss.
17 - Cf. Rm 6, 9.
18 - Mt 20, 22.
19 - Cf. Sal 83, 7.
20 - Sal 11, 9.
21 - Cf. Rm 4, 17.
22 - Rm 11, 25-26.
23 - Rm 11, 33.
24 - Cf. Col 3, 3-4.
25 - Cf. Sal 11, 9.
26 - Cf. Fil 3, 20.
27 - Cf. Fil 3, 13-14.
28 - Cf. 2 Cor 5, 3.
29 - 1 Cor 15, 33-34.
30 - 2 Cor 11, 2-3.
31 - Cf. Gc 4, 4.
32 - Mt 7, 13.
33 - Cf. Gc 1, 2.
34 - Sal 11, 2-3.
35 - Sal 4, 3.
36 - Cf. Ef 4, 27.
37 - Rm 11, 3. 4; cf. 1 Re 19, 10-18.
38 - Cf. Rm 11, 33.
4 - A dodici anni il fanciullo Gesù si reca a Gerusalemme con sua Madre e suo padre e, nascosto a loro, rimane nel tempio.
La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca746. Durante la Pasqua degli azzimi, Gesù, Maria e Giuseppe ogni anno, come già ho riferito, compivano il viaggio al tempio. A dodici anni - tempo in cui si dovevano manifestare gli splendori della sua inaccessibile e divina luce - Gesù, insieme ai genitori, andò a Gerusalemme, secondo l'usanza. La solennità degli azzimi durava sette giorni, come disponeva la legge, e quelli più importanti erano il primo e l'ultimo. I nostri divini e celesti pellegrini si trattenevano a Gerusalemme per tutto il settenario, celebrando la festa nel culto del Signore e pregando come abitualmente facevano gli israeliti, sebbene nel segreto del mistero fossero così singolari e differenti da tutti gli altri. La fortunata Madre ed il suo santo sposo in questi giorni ricevevano dalla mano del Signore grazie e benefici superiori a qualsiasi umana immaginazione.
747. Trascorsi i giorni della festa, quando presero la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Si tenne nascosto mentre essi proseguivano il loro viaggio, ignari di quanto stesse accadendo. Per permettere questo, il Signore si valse delle usanze e del gran numero di gente che, in quella solennità, era incalcolabile, tanto da dover dividere in gruppi i forestieri, separando le donne dagli uomini per convenienti motivi di discrezione e riservatezza. I fanciulli che partecipavano a queste feste erano accompagnati, indifferentemente, o dai padri o dalle madri non essendovi pericoli di decoro. San Giuseppe pensò, così, che il fanciullo Gesù fosse in compagnia della sua santissima Madre con la quale stava di solito; né immaginava che ella potesse andare senza di lui sapendo che la divina Regina lo amava e conosceva più di ogni creatura angelica ed umana. La gran Signora non aveva giustificazioni valide per giudicare che il suo Figlio santissimo andasse con san Giuseppe, ma lo stesso Signore la distolse da tale preoccupazione con altri divini e santi pensieri, affinché non vi badasse. Nel momento in cui si fosse accorta di essere sola senza il suo amatissimo e dolcissimo Figlio, avrebbe immaginato che san Giuseppe lo tenesse con sé e che il Signore delle altezze si fosse fatto compagno di lui per dargli consolazione.
748. Con questa convinzione i santi Maria e Giuseppe camminarono un giorno intero. I forestieri uscivano dalla città per diverse strade e allontanandosi da Gerusalemme ricomponevano le proprie famiglie. Maria santissima e il suo sposo si ritrovarono insieme nel luogo stabilito per sostare la prima notte dall'uscita da Gerusalemme. La gran Signora vide che il fanciullo Dio non era con Giuseppe come aveva immaginato ed egli ugualmente si accorse che non era con sua madre. Entrambi ammutolirono per lo spavento e la sorpresa, senza potersi parlare per un po' di tempo. Ciascuno, giudicandosi con profonda umiltà, diede a se stesso la colpa accusandosi di aver avuto poca cura del santissimo Figlio e di averlo perso di vista. Ignoravano il mistero e il modo in cui sua Maestà avesse fatto questo. Riprendendo poi animo, i celesti sposi con sommo dolore si consigliarono su ciò che fosse bene fare. L'amorosa Madre disse a san Giuseppe: «Sposo e signore mio, non avrà quiete il mio cuore se non ritorniamo, con sollecitudine, in cerca del mio Figlio santissimo». Così fecero. Iniziarono la ricerca tra i parenti e gli amici, ma nessuno fu in grado di dare notizie di lui, né di alleviare il loro dolore. Al contrario, questo aumentò per le risposte negative da parte di coloro che testimoniavano di non averlo veduto durante il ritorno da Gerusalemme.
749. L 'afflitta Madre si rivolse ai suoi santi angeli. Quelli che portavano l'insegna del santissimo nome di Gesù - dei quali si parlò a proposito della circoncisione - erano rimasti con lo stesso Signore, mentre altri accompagnavano la Madre purissima: ciò avveniva sempre quando si separavano. A questi, che erano circa diecimila, la loro Regina domandò: «Amici e compagni miei, ben conoscete la giusta causa del mio dolore. Io vi chiedo che in così amara afflizione siate voi il mio conforto, dandomi notizie del mio amato, affinché io lo cerchi e lo ritrovi. Date qualche respiro al mio affannato cuore che, lontano dal suo bene e dalla sua vita, mi balza fuori dal petto per rintracciarlo». I santi angeli sapevano che la volontà del Signore era di offrire alla sua Madre santissima l'occasione di tanti meriti. Non era tempo di rivelarle il mistero e pur non perdendo di vista il loro Creatore e nostro redentore, le risposero con parole di consolazione senza dirle dove si trovasse il suo Figlio santissimo e cosa stesse facendo. Nonostante questo aumentavano i dubbi della prudentissima Signora e con grande dolore crescevano anche le sue sollecitudini, le sue lacrime e i suoi sospiri per rintracciare diligentemente non la dramma perduta, come per la donna nel Vangelo, ma tutto il tesoro del cielo e della terra.
750. La Madre della sapienza parlava con se stessa e nel suo cuore prendevano forma vari pensieri. Il primo era se Archelao avesse avuto notizie del fanciullo Gesù e imitando la crudeltà di Erode, suo padre, lo avesse fatto arrestare. Benché la Regina del cielo sapesse attraverso le divine Scritture, nonché le rivelazioni e gli insegnamenti del suo Figlio santissimo e maestro divino, che non era ancora giunto il tempo della passione e morte del suo e nostro Redentore e che non gli avrebbero tolto la vita, fu afferrata dal dubbio e dal timore che lo avessero messo in prigione e lo stessero maltrattando. Pensando umilmente e bassamente di sé, sospettò di averlo disgustato nel servizio e nell'assistenza, tanto da indurlo a ritirarsi nel deserto con il suo precursore san Giovanni. Altre volte, parlando con il suo assente Bene, gli diceva: «Dolce amore e gloria dell'anima mia, per il desiderio che avete di patire per gli uomini non eviterete alcun sacrificio né alcuna offerta con la vostra immensa carità. Anzi, mi immagino, padrone e Signore mio, che di proposito ne andrete in cerca. Dove andrò? Dove vi ritroverò, luce degli occhi miei? Volete che il dolore di essere separata da voi mi tolga la vita? Non mi meraviglio, mio Bene, che castighiate con la vostra lontananza colei che non seppe approfittare del beneficio della vostra compagnia. Perché, Signore mio, mi avete arricchita con i dolci regali della vostra infanzia, se io poi dovevo rimanere priva della vostra amabile assistenza e dottrina? Ahimè! Come non potei meritare di avervi per figlio e godervi in questo tempo, così ora confesso purtroppo quanta riconoscenza vi debbo per avermi la benignità vostra accettato come serva. Se, poiché sono vostra Madre indegna, posso avvalermi di questo titolo per cercarvi, come mio Dio e come mio bene datemi, o Signore, la possibilità di farlo e concedetemi ciò che mi manca per essere degna di ritrovarvi. Io vivrò contenta con voi nel deserto, nelle pene e nelle fatiche, nelle tribolazioni e da qualunque parte. Mio Signore, l'anima mia desidera che io meriti, con dolori e tormenti, di morire se non vi trovo, o di vivere in vostra compagnia e al vostro servizio. Quando il vostro essere divino si celò al mio intimo, mi restò però la presenza della vostra amabile umanità: benché questa si mostrasse a me severa e meno affabile del solito, io trovavo i vostri piedi ai quali prostrarmi. Ora sono priva di questa fortuna e mi si è nascosto completamente il sole che mi illuminava; mi sono rimasti solo i gemiti e le angosce. Vita dell'anima mia, quanti sospiri dall'intimo del cuore posso mandarvi! Questi non sono degni della vostra clemenza perché non so dove vi troveranno i miei occhi».
751. Maria santissima perseverava nel pianto e nei gemiti senza trovare quiete, riposo, sonno, e per tre giorni di seguito non mangiò. Benché i diecimila angeli l'accompagnassero in forma umana e la vedessero così afflitta e addolorata, non le manifestarono dove avrebbe ritrovato il fanciullo perduto. Il terzo giorno la gran Regina decise di andare a cercarlo nel deserto, dove si trovava san Giovanni, essendo incline a credere che il suo Figlio santissimo fosse insieme a lui, dal momento che non aveva avuto notizie dell'arresto da parte di Archelao. Quando stava per fare ciò che aveva pensato, i santi angeli la trattennero e le dissero di non andare nel deserto, perché il Verbo incarnato non si trovava là. Pensò allora di andare a Betlemme nella capanna dove era nato, ma i santi angeli la distolsero anche da questo, dicendole che il Signore non era così lontano. La beatissima Madre udiva queste risposte e sapeva che gli spiriti sovrani non ignoravano il luogo dove si trovava il bambino Gesù. Fu la sua rara prudenza a renderla saggia, umile e silenziosa così che non replicò e non osò domandare loro dove lo avrebbe ritrovato, poiché sapeva che glielo nascondevano per volontà del Signore. Con magnificenza e venerazione la Regina degli stessi angeli trattava gli arcani misteri dell'Altissimo, i suoi ministri e i suoi ambasciatori. Questo fatto fu un'occasione che le si presentò per manifestare il coraggio nobile e regale del suo cuore.
752. Il dolore sopportato e sofferto da tutti i martiri non fu pari a quello che Maria santissima provò in questa circostanza. Niente e nessuno poté e può uguagliare la sua pazienza e la sua sofferenza, perché l'esperienza di aver perso il suo Figlio santissimo sorpassava tutto il creato. La conoscenza, l'amore e la stima che ella aveva per lui superavano ogni pensiero immaginabile. Il dubbio era già grande abbastanza per dover conoscere la causa, come ho già detto. In questi tre giorni il Signore la lasciò nello stato comune di grazia di cui ella soleva godere quando era privata dei favori particolari. A parte la vista e la conversazione con i santi angeli, l'Altissimo le sospese i benefici che frequentemente comunicava alla sua anima santissima. Da tutto questo si sa solo in parte quale dolore dovette sopportare la divina ed amorosa Madre. Quale prodigio di santità, prudenza, fortezza e perfezione! Con un tormento così inaudito e con una pena così grande, ella non si turbò e non perdette la pace interiore ed esteriore. Non si sdegnò né si offese, non compì azioni o disse parole sregolate, non cedette alla tentazione della tristezza o della collera, come ordinariamente succede nelle grandi tribolazioni ai figli di Adamo, ai quali a volte anche senza queste capita che le passioni e le facoltà dell'anima cadano nell'agitazione e nella confusione. La Signora delle virtù agì, invece, con armonia celestiale e, benché il suo dolore così grande le avesse ferito il cuore, serbò tale contegno in tutte le sue azioni senza cessare mai di riverire e lodare il Signore e neppure di pregare e rivolgere richieste per il genere umano, affinché le fosse concesso di ritrovare il suo Figlio santissimo.
753. Con questa sapienza divina e con grande diligenza lo cercò per tre giorni continui chiedendo a diverse persone qua e là, descrivendo alcuni segni particolari del suo amato affinché le figlie di Gerusalemme lo potessero riconoscere girando per la città attraverso strade e piazze, come disse Salomone riguardo a questa Signora. Alcune donne le domandavano cosa avesse di diverso il suo unico Figlio che si era perduto, ed ella rispondeva con le parole dette dalla sposa nel Cantico dei Cantici: Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Una donna udì queste parole e disse: «Un fanciullo rispondente alla descrizione si accostò ieri alla mia porta a chiedere l'elemosina, io gliela diedi e la sua amabilità e bellezza mi rubarono il cuore. Sentii allora dentro di me una dolce forza e tanta compassione nel vedere un fanciullo così grazioso povero e abbandonato». Ecco le prime notizie che la dolorosa Madre seppe riguardo al suo Unigenito, a Gerusalemme. Fu risollevata nel dolore, ma proseguì le sue ricerche trovando altre persone che le riferirono le stesse cose. Con queste indicazioni si avviò verso l'ospizio della città pensando che avrebbe ritrovato fra i poveri lo sposo e l'artefice della povertà, essendo questi i suoi legittimi fratelli e amici. Avendo domandato di lui, risposero che un fanciullo con quelle caratteristiche li aveva visitati in quei tre giorni, offrendo alcune elemosine e consolandoli nelle loro fatiche e pene.
754. Queste indicazioni procuravano alla celeste Signora soavi e teneri sentimenti d'affetto che dall'intimo del cuore inviava al suo Figlio nascosto. Subito le venne in mente che, se non era con i poveri, poteva essere nel tempio a pregare. Allora i santi angeli le risposero: «Regina e signora nostra, la vostra consolazione è vicina, e la vedrete subito con la luce dei vostri occhi. Affrettate il passo e giungete al tempio». San Giuseppe, che aveva preso un'altra strada per cercare il fanciullo Dio, arrivò alla presenza della sua sposa. Da un altro angelo era stato avvertito di recarsi al tempio. In quei tre giorni anch'egli aveva patito incomparabile e grande dolore, vagando da una parte all'altra, alcune volte con la sua sposa celeste, altre senza di lei e con grande pena. La sua vita avrebbe corso dei pericoli se la mano del Signore non lo avesse confortato e se la prudentissima Signora non si fosse preoccupata che mangiasse e si riposasse ogni tanto dalla grande fatica. Il vero e vivo affetto che aveva per il fanciullo Dio lo costringeva a cercarlo con veemenza ed ansietà tanto da fargli dimenticare di prendere cibo e di riposare. All'annuncio dei santi principi, Maria purissima e Giuseppe si recarono al tempio dove accadde quanto dirò nel capitolo seguente.
Insegnamento della Regina del cielo
755. Figlia mia, il genere umano sa per esperienza che ciò che si ama e si possiede con gioia non si perde senza dolore. Questa verità, conosciuta attraverso la prova, avrebbe dovuto rimproverare gli uomini e far loro sapere il disamore che hanno per il loro Dio e creatore. Purtroppo sono tanti quelli che lo perdono e pochi coloro che soffrono di questa perdita, perché non sono degni di amarlo e di possederlo per mezzo della forza della grazia. Non reca loro alcuna pena perdere un bene che non amano e non possiedono, e perciò, perdutolo, trascurano di cercarlo. Vi è, però, una grande differenza in questi allontanamenti del vero Bene: non si equivalgono il nascondersi di Dio all'anima per metterla alla prova nell'amore accrescendo le virtù e l'allontanarsi dell'anima stessa per la pena delle colpe. Il primo è opera dell'amore divino e via per comunicarsi maggiormente alla creatura che lo desidera e lo merita, il secondo è un giusto castigo di Dio. Nella prima lontananza del Signore l'anima si umilia per il santo timore e per l'amore filiale. Benché la coscienza non muova rimproveri, il cuore tenero ed amoroso sa quale sia il pericolo, avverte la perdita e, come dice il saggio, acquista la beatitudine perché è sempre timoroso. L'uomo non sa se è degno dell'amore o del rifiuto da parte di Dio, perché tutto questo è riservato per la fine. Nella vita terrena comunemente accadono cose al giusto e al peccatore senza differenza.
756. Il pericolo di prendere tali eventi come provenienti dalle medesime cause, come dice il saggio, è la cosa peggiore che possa avvenire sotto il sole. I peccatori e gli empi sono pieni di malizia e hanno il cuore indurito credendosi falsamente e pericolosamente sicuri di sé, perché vedono che indifferentemente accadono le cose a loro e agli altri. Così non si può sapere chi è eletto e chi no, chi è amico e chi è nemico, chi è giusto e chi è peccatore, chi merita odio e chi amore. Eppure, se gli uomini guardassero alla propria coscienza senza passione e senza inganno, ciascuno troverebbe una risposta conveniente. Quando la coscienza reclama per i peccati commessi, è stoltezza dell'uomo non attribuire a sé le sofferenze che patisce, e non riconoscere l'assenza della grazia e la perdita del sommo Bene. Se la ragione fosse libera si accorgerebbe che il segno maggiore della lontananza da Dio è il non avvertire, con dolore profondo, la perdita o la mancanza della gioia spirituale e degli effetti della grazia. L'assenza di queste percezioni nell'anima creata e destinata all'eterna felicità è indizio di mancanza di desiderio e di amore. Se l'anima cerca questa beatitudine attentamente fino a raggiungere qualche soddisfazione e una prudente sicurezza, per quanto possibile in questa vita, saprà di non aver perduto per colpa sua il sommo Bene.
757. Io persi il mio Figlio santissimo dalla vista corporale. Benché avessi la speranza di ritrovarlo, l'amore e il dubbio del motivo della sua lontananza non mi diedero riposo fino a quando non lo ritrovai. In questo voglio che tu mi imiti, o carissima, sia che lo perda per colpa tua o per opera sua. Affinché ciò non ti accada come castigo, con tutta la tua forza devi evitare una tale disgrazia. La tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada non ti separino mai dal tuo bene. Se sarai fedele come devi per non perderlo, né morte, né vita, né angeli, né principati, né presente, né avvenire, né potenze, né altezze, né profondità, né alcun'altra creatura potrà mai separarti dall'amore di Dio. Sono così forti i vincoli del suo amore che nessuno li può rompere se non la stessa volontà della creatura.
3-28 Gennaio 12, 1900 Differenza tra la conoscenza di sé stesso e l’umiltà.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato, l’amabile mio Gesù è venuto in un stato compassionevole. Teneva le mani legate strettamente ed il volto coperto di sputi, e parecchie persone che lo schiaffeggiavano orribilmente, e Lui se ne stava quieto, placido, senza fare un moto o muovere un lamento, neppure un muovere di ciglia, per far vedere che Lui voleva soffrire quegli oltraggi, e questo non solo esternamente, ma anche internamente. Che spettacolo commovente, da far spezzare i cuori più duri! Quante cose diceva quel volto con quegli sputi pendenti, imbrattato di fango! Io mi sentivo inorridire, tremavo, mi vedevo tutta superbia innanzi a Gesù. Mentre stava in questo aspetto, Lui mi ha detto:
(2) “Figlia mia, i soli piccolini si lasciano maneggiare come si vuole, non quelli che sono piccoli di ragione umana, ma quelli che sono piccoli ma ripieni di ragione divina. Solo Io posso dire che sono umile, ché nell’uomo ciò che si dice umiltà, piuttosto si deve dire conoscenza di sé stesso, e chi non conosce sé stesso cammina già nella falsità”.
(3) Per qualche minuti Gesù ha fatto silenzio ed io me ne stavo a contemplarlo. Mentre ciò facevo, ho visto una mano che portava una luce che frugando nel mio interno, nei più intimi nascondigli, voleva vedere se fosse in me la conoscenza di me stessa e l’amore alle umiliazioni, alle confusioni ed agli obbrobri; quella luce trovava un vuoto nel mio interno, ed io pur lo vedevo che doveva essere riempito d’umiliazioni e confusioni ad esempio del benedetto Gesù. Oh! quante cose mi faceva comprendere quella luce e quel volto santo che mi stava dinanzi! Dicevo tra me: “Un Dio, per amor mio umiliato, confuso, ed io, peccatrice, senza di queste divise! Un Dio stabile, fermo nel sopportare tante ingiurie, tanto che non si smuove un tantino per scuotersi da quegli sputi fetenti, – ah! mi si fa manifesto il suo interno innanzi alla Divinità e l’esterno innanzi agli uomini, – e pure, se lo vuole lo può, a liberarsi, perché non sono le catene che lo legano, ma la sua stabile Volontà, che a qualunque costo vuol salvare il genere umano. Ed io? Ed io? Dove sono le mie umiliazioni, dove la fermezza, la costanza nell’operare il bene per amor del mio Gesù, e per amor del mio prossimo? Ahi! che vittime differenti siamo io e Gesù! Ahi! che non ci conformiamo affatto! Mentre il mio piccolo cervello si perdeva in questo, il mio adorabile Gesù mi ha detto:
(4) “Solo la mia Umanità fu ripiena d’obbrobri e di umiliazioni, tanto da traboccarne fuori, ecco perciò che innanzi alle mie virtù trema il Cielo e la terra; e le anime che mi amano si servono della mia Umanità come scala per salire a lambire qualche goccioline delle mie virtù. Dimmi un po’, dinanzi alla mia umiltà, dov’è la tua? Solo Io posso gloriarmi di possedere la vera umiltà, la mia Divinità unita alla mia Umanità, poteva operare prodigi in ogni passo, parole ed opere, ed invece volontariamente mi restringevo nel cerchio della mia Umanità, e mi mostravo il più povero, e giungevo a confondermi con gli stessi peccatori.
(5) L’opera della Redenzione in pochissimo tempo potevo operarla, ed anche per una sola parola, ma volli per il corso di tant’anni, con tanti stenti e patimenti, fare mie le miserie dell’uomo, volli esercitarmi in tante diverse azioni per fare che l’uomo fosse tutto rinnovato, divinizzato, anche nelle minime opere, perché esercitate da Me, che ero Dio ed Uomo, ricevevano nuovo splendore e restavano con l’impronta d’opere divine. La mia Divinità nascosta nella mia Umanità..., scendere a tanta bassezza, soggettarsi al corso delle azioni umane mentre con un solo atto di Volontà avrei potuto creare infiniti mondi..., sentire le miserie, le debolezze altrui, come se fossero sue, vedersi coperta di tutti i peccati degli uomini innanzi alla divina giustizia e che ne doveva pagare il fio col prezzo di pene inaudite e con lo sborso di tutto il suo sangue, esercitava continui atti di profonda ed eroica umiltà.
(6) Eccoti oh figlia, la diversità grandissima della mia umiltà con la umiltà delle creature, che innanzi alla mia, appena è un’ombra; anche quella di tutti i miei santi, perché la creatura è sempre creatura e non conosce quanto pesa la colpa come lo conosco Io, sia pure che anime eroine, al mio esempio si sono offerte a soffrire le pene altrui, ma queste non sono diverse di quelle, dalle altre creature, non sono cose nuove per loro, perché sono formate dalla stessa creta. Poi, il solo pensare che quelle pene sono causa di nuovi acquisti e che glorificano Iddio, è un grande onore per loro. Oltre di ciò, la creatura è ristretta nel cerchio dove Iddio l’ha messo, né può uscire da quei limiti, onde, stata circuita da Dio. Oh! se stesse in loro potere il fare ed il disfare, quant’altre cose farebbero, ognuno giungerebbe alle stelle. Ma la mia Umanità divinizzata non aveva limiti, ma volontariamente si restringeva in sé stessa, e questo era un intrecciare tutte le mie opere d’eroica umiltà. Era stata questa la causa di tutti i mali che inondano la terra, cioè, la mancanza dell’umiltà, ed Io con l’esercizio di questa virtù, dovevo attirare dalla divina giustizia tutti i beni. Ah! si, che non si partono dal mio trono rescritti di grazie, se non che per mezzo dell’umiltà, né nessun biglietto può essere da Me ricevuto, se non contiene la firma dell’umiltà, nessuna preghiera ascoltano le mie orecchie e muove a compassione il mio cuore, se non è profumata dall’olezzo dell’umiltà. Se la creatura non giunge a distruggere quel germe d’onore, di stima, e questo si distrugge col giungere ad amare di essere disprezzata, umiliata, confusa, sentirà un intreccio di spine intorno al suo cuore, avvertirà un vuoto nel suo cuore che le darà sempre fastidio e la renderà molto dissimile dalla mia Santissima Umanità, e se non si giunge ad amare le umiliazioni, al più potrà qualche poco conoscere sé stessa, ma non risplenderà innanzi a Me vestita della bella e simpatica veste dell’umiltà”.
(7) Chi può dire quante cose comprendevo su questa virtù e la differenza tra il conoscere sé stessa e l’umiltà? Mi pareva di toccare con mano la distinzione di queste due virtù, ma non ho parola come spiegarmi. Per dire qualche cosa me n’avvalgo d’una idea, per esempio: Un povero dice che è povero, ed anche a persone che non lo conoscono e che forse possono credere che possiede qualche cosa, manifesta schiettamente la sua povertà, si può dire che conosce sé stesso e dice la verità, e per questo viene più amato, muove gli altri a compassione del suo misero stato e tutti lo aiutano, tale è il conoscere sé stesso. Se poi, quel povero vergognandosi di manifestare la sua povertà, menasse vanto che lui è ricco, mentre tutti sanno che lui non tiene neppure le vesti come coprirsi e si muore della fame, che avviene? Tutti lo disprezzano, nessuno lo aiuta ed addiviene soggetto di burla e di ridicolaggine a chiunque lo conosce, ed il misero, andando di male in peggio, finisce col perire. Tale è la superbia innanzi a Dio ed anche innanzi agli uomini, ed ecco che chi non conosce sé stesso, già esce dalla verità e precipita nella via della falsità”.
(8) Or, la differenza dell’umiltà, sebbene mi pare che siano sorelle nate ad un parto e non può mai essere umile se non conosce sé stesso, per esempio un ricco che spogliandosi, per amore delle umiliazioni, delle sue nobili vesti, si copre di miseri cenci, vive sconosciuto, a nessun manifesta chi egli sia, si confonde coi più poveri, vive coi poveri come se fosse loro pari, fa sue delizie i disprezzi e le confusioni, ed ecco la bella sorella della conoscenza di sé stesso, cioè l’umiltà. Ah! si, l’umiltà chiama la grazia, l’umiltà spezza le catene più forti, qual è il peccato. L’umiltà supera qualunque muro di divisione tra l’anima e Dio, ed a Lui la ritorna. L’umiltà è la piccola pianta, ma sempre verde e fiorita, non soggetta ad essere rosa dai vermi, né i venti, la grandine, il caldo potranno portarle nocumento, né farla menomamente appassire. La umiltà, sebbene è la più piccola pianta, ma manda fuori rami altissimi, che penetrano fin nel cielo e s’intrecciano intorno al cuore di Nostro Signore, e solo i rami che escono da questa piccola pianta hanno libera l’entrata in quel cuore adorabile. L’umiltà è l’ancora della pace nelle tempeste delle onde del mare di questa vita. L’umiltà è sale che condisce tutte le virtù e preserva l’anima dalla corruzione del peccato. L’umiltà è l’erbetta che spunta sulla via battuta dai viandanti, che mentre è calpestata scomparisse, ma subito si vede spuntare di nuovo più bella di prima. L’umiltà è qual innesto gentile, che ingentilisce la pianta selvatica. L’umiltà è il tramonto della colpa. L’umiltà è la neonata della grazia. L’umiltà è qual luna che ci guida nelle tenebre della notte di questa vita. L’umiltà è come quello avaro negoziante che sa ben trafficare le sue ricchezze, non ne fa sciupio neppure di un centesimo della grazia che gli viene data. L’umiltà è la chiave della porta del Cielo, sicché nessuno può entrarvi, se non si tiene ben custodita questa chiave. Finalmente, altrimenti non la finisco più ed andrei troppo per le lunghe, l’umiltà è il sorriso di Dio e di tutto l’Empireo, ed il pianto di tutto l’inferno.