Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 4° settimana del tempo di Avvento
Vangelo secondo Matteo 24
1Mentre Gesù, uscito dal tempio, se ne andava, gli si avvicinarono i suoi discepoli per fargli osservare le costruzioni del tempio.2Gesù disse loro: "Vedete tutte queste cose? In verità vi dico, non resterà qui pietra su pietra che non venga diroccata".
3Sedutosi poi sul monte degli Ulivi, i suoi discepoli gli si avvicinarono e, in disparte, gli dissero: "Dicci quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo".
4Gesù rispose: "Guardate che nessuno vi inganni;5molti verranno nel mio nome, dicendo: Io sono il Cristo, e trarranno molti in inganno.6Sentirete poi parlare di guerre e di rumori di guerre. Guardate di non allarmarvi; è necessario che tutto questo avvenga, ma non è ancora la fine.7Si solleverà popolo contro popolo e regno contro regno; vi saranno carestie e terremoti in vari luoghi;8ma tutto questo è solo l'inizio dei dolori.9Allora vi consegneranno ai supplizi e vi uccideranno, e sarete odiati da tutti i popoli a causa del mio nome.10Molti ne resteranno scandalizzati, ed essi si tradiranno e odieranno a vicenda.11Sorgeranno molti falsi profeti e inganneranno molti;12per il dilagare dell'iniquità, l'amore di molti si raffredderà.13Ma chi persevererà sino alla fine, sarà salvato.14Frattanto questo vangelo del regno sarà annunziato in tutto il mondo, perché ne sia resa testimonianza a tutte le genti; e allora verrà la fine.
15Quando dunque vedrete 'l'abominio della desolazione', di cui parlò il profeta Daniele, stare 'nel luogo santo' - chi legge comprenda -,16allora quelli che sono in Giudea fuggano ai monti,17chi si trova sulla terrazza non scenda a prendere la roba di casa,18e chi si trova nel campo non torni indietro a prendersi il mantello.19Guai alle donne incinte e a quelle che allatteranno in quei giorni.20Pregate perché la vostra fuga non accada d'inverno o di sabato.
21Poiché vi sarà allora 'una tribolazione' grande, 'quale mai avvenne dall'inizio del mondo fino a ora', né mai più ci sarà.22E se quei giorni non fossero abbreviati, nessun vivente si salverebbe; ma a causa degli eletti quei giorni saranno abbreviati.23Allora se qualcuno vi dirà: Ecco, il Cristo è qui, o: È là, non ci credete.24Sorgeranno infatti falsi cristi e falsi profeti e faranno grandi portenti e miracoli, così da indurre in errore, se possibile, anche gli eletti.25Ecco, io ve l'ho predetto.
26Se dunque vi diranno: Ecco, è nel deserto, non ci andate; o: È in casa, non ci credete.27Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.28Dovunque sarà il cadavere, ivi si raduneranno gli avvoltoi.
29Subito dopo la tribolazione di quei giorni,
'il sole si oscurerà,
la luna non darà più la sua luce,
gli astri cadranno' dal cielo
'e le potenze dei cieli' saranno sconvolte.
30Allora comparirà nel cielo il segno del Figlio dell'uomo e 'allora si batteranno il petto tutte le tribù della terra', e vedranno 'il Figlio dell'uomo venire sopra le nubi del cielo' con grande potenza e gloria.31Egli manderà i suoi angeli con una grande tromba e raduneranno tutti i suoi eletti dai quattro venti, da un estremo all'altro dei cieli.
32Dal fico poi imparate la parabola: quando ormai il suo ramo diventa tenero e spuntano le foglie, sapete che l'estate è vicina.33Così anche voi, quando vedrete tutte queste cose, sappiate che Egli è proprio alle porte.34In verità vi dico: non passerà questa generazione prima che tutto questo accada.35Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno.
36Quanto a quel giorno e a quell'ora, però, nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre.
37Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell'uomo.38Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito, fino a quando Noè entrò nell'arca,39e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell'uomo.40Allora due uomini saranno nel campo: uno sarà preso e l'altro lasciato.41Due donne macineranno alla mola: una sarà presa e l'altra lasciata.
42Vegliate dunque, perché non sapete in quale giorno il Signore vostro verrà.43Questo considerate: se il padrone di casa sapesse in quale ora della notte viene il ladro, veglierebbe e non si lascerebbe scassinare la casa.44Perciò anche voi state pronti, perché nell'ora che non immaginate, il Figlio dell'uomo verrà.
45Qual è dunque il servo fidato e prudente che il padrone ha preposto ai suoi domestici con l'incarico di dar loro il cibo al tempo dovuto?46Beato quel servo che il padrone al suo ritorno troverà ad agire così!47In verità vi dico: gli affiderà l'amministrazione di tutti i suoi beni.48Ma se questo servo malvagio dicesse in cuor suo: Il mio padrone tarda a venire,49e cominciasse a percuotere i suoi compagni e a bere e a mangiare con gli ubriaconi,50arriverà il padrone quando il servo non se l'aspetta e nell'ora che non sa,51lo punirà con rigore e gli infliggerà la sorte che gli ipocriti si meritano: e là sarà pianto e stridore di denti.
Secondo libro dei Maccabei 12
1Conclusi questi accordi, Lisia ritornò presso il re; i Giudei invece si diedero a coltivare la terra.2Ma alcuni dei comandanti dei distretti e precisamente Timòteo e Apollonio, figlio di Gennèo, Ierònimo e Demofonte e, oltre questi, Nicànore, il comandante dei mercenari di Cipro, non li lasciavano vivere tranquilli né procedere in pace.3Gli abitanti di Giaffa perpetrarono un'empietà di questo genere: invitarono i Giudei che abitavano con loro a salire con le mogli e con i figli su barche allestite da loro, come se non ci fosse alcuna cattiva intenzione a loro riguardo,4ma fosse un'iniziativa di tutta la cittadinanza. Essi accettarono, desiderosi di rinsaldare la pace, e lontani da ogni sospetto. Ma quando furono al largo, li fecero affondare in numero non inferiore a duecento.5Quando Giuda fu informato di questa crudeltà compiuta contro i suoi connazionali, diede ordine ai suoi uomini6e, invocando Dio, giusto giudice, mosse contro gli assassini dei suoi fratelli e nella notte incendiò il porto, bruciò le navi e uccise di spada quanti vi si erano rifugiati.7Poi, dato che il luogo era sbarrato, abbandonò l'impresa con l'idea di tornare un'altra volta e sradicare tutta la cittadinanza di Giaffa.8Avendo poi appreso che anche i cittadini di Iamnia volevano usare lo stesso sistema con i Giudei che abitavano con loro,9piombando di notte sui cittadini di Iamnia, incendiò il porto con la flotta, così che si vedeva il bagliore delle fiamme fino a Gerusalemme, che è distante duecentoquaranta stadi.
10Quando si furono allontanati di là per nove stadi, dirigendosi contro Timòteo, non meno di cinquemila Arabi con cinquecento cavalieri irruppero contro Giuda.11Ne nacque una zuffa furiosa, ma gli uomini di Giuda con l'aiuto di Dio ebbero la meglio. I nomadi invece, sopraffatti, supplicarono Giuda che stendesse loro la destra promettendo di cedergli bestiame e di aiutarlo in tutto il resto.12Giuda, prevedendo che realmente gli sarebbero stati utili in molte cose, acconsentì a far la pace con loro ed essi, strette le destre, tornarono alle loro tende.13Attaccò anche una città difesa da contrafforti, circondata da mura e abitata da gente d'ogni stirpe, chiamata Casfin.14Quelli di dentro, sicuri della solidità delle mura e delle riserve di viveri, si mostravano insolenti con gli uomini di Giuda, insultandoli, aggiungendo bestemmie e pronunciando frasi che non è lecito riferire.15Ma gli uomini di Giuda, dopo aver invocato il grande Signore del mondo, il quale senza arieti e senza macchine ingegnose aveva fatto cadere Gèrico al tempo di Giosuè, assalirono furiosamente le mura.16Presa la città per volere di Dio, fecero innumerevoli stragi, cosicché il lago adiacente, largo due stadi, sembrava pieno del sangue che vi colava dentro.
17Allontanatisi di là settecentocinquanta stadi giunsero a Caraca, presso i Giudei chiamati Tubiani;18ma da quelle parti non trovarono Timòteo, il quale era già partito dalla zona, senza aver intrapreso alcuna azione, ma lasciando in un certo luogo un presidio molto forte.19Dosìteo e Sosìpatro, due capitani del Maccabeo, in una sortita sterminarono gli uomini di Timòteo lasciati nella fortezza, che erano più di diecimila.20Intanto il Maccabeo ordinò il suo esercito dividendolo in reparti, nominò questi al comando dei reparti e mosse contro Timòteo, il quale aveva con sé centoventimila fanti e duemilacinquecento cavalieri.21Quando Timòteo seppe dell'arrivo di Giuda, mandò avanti le donne, i fanciulli e tutto il bagaglio nel luogo chiamato Carnion: era questa una posizione inespugnabile e inaccessibile per la strettezza di tutti i passaggi.22All'apparire del primo reparto di Giuda, si diffuse tra i nemici il panico e il terrore perché si verificò contro di loro l'apparizione di colui che dall'alto tutto vede, e perciò cominciarono a fuggire precipitandosi chi da una parte chi dall'altra, cosicché spesso erano colpiti dai propri compagni e trafitti dalle punte delle loro spade.23Giuda dirigeva l'inseguimento con ogni energia, trafiggendo quegli empi: ne sterminò circa trentamila.24Lo stesso Timòteo, caduto in mano agli uomini di Dosìteo e Sosìpatro, supplicava con molta astuzia di essere lasciato sano e salvo, perché tratteneva come ostaggi i genitori di molti di loro e di alcuni i fratelli ai quali sarebbe capitato di essere trattati senza riguardo.25Avendo egli con molti discorsi prestato solenne promessa di restituire incolumi gli ostaggi, lo lasciarono libero per la salvezza dei propri fratelli.
26Giuda mosse poi contro Carnion e l'Atergatéo e uccise venticinquemila uomini.
27Dopo la sconfitta e lo sterminio di questi, marciò contro la fortezza di Efron, nella quale era stanziato Lisia con una moltitudine di gente di ogni razza; davanti alle mura erano schierati i giovani più forti e combattevano vigorosamente, mentre nella città stavano pronte molte riserve di macchine e di proiettili.28Avendo invocato il Signore che distrugge con la sua potenza le forze dei nemici, i Giudei fecero cadere la città nelle proprie mani e uccisero venticinquemila di coloro che vi stavano dentro.29Ritornati di là, mossero verso Beisan, che dista seicento stadi da Gerusalemme.30Ma i Giudei che vi abitavano testimoniarono che i cittadini di Beisan avevano dimostrato loro benevolenza e buona comprensione nel tempo della sventura31e questi li ringraziarono e li esortarono ad essere ben disposti anche in seguito verso il loro popolo. Poi si recarono a Gerusalemme nell'imminenza della festa delle settimane.
32Dopo questa festa, chiamata Pentecoste, mossero contro Gorgia, stratega dell'Idumea.33Questi avanzò con tremila fanti e quattrocento cavalieri.34Schieratisi in combattimento, caddero un piccolo numero di Giudei.35Un certo Dosìteo, degli uomini di Bacènore, abile nel cavalcare e valoroso, si attaccò a Gorgia e, afferratolo per la clamide, lo trascinava a gran forza volendo prendere vivo quello scellerato; ma uno dei cavalieri traci si gettò su di lui tagliandogli la spalla e Gorgia poté fuggire a Maresa.36Poiché gli uomini di Esdrin combattevano da lungo tempo ed erano stanchi, Giuda supplicò il Signore che si mostrasse loro alleato e guida nella battaglia.37Poi, intonato nella lingua paterna il grido di guerra che si accompagnava agli inni, diede un assalto improvviso alle truppe di Gorgia e le mise in fuga.
38Giuda poi radunò l'esercito e venne alla città di Odollam; poiché si compiva la settimana, si purificarono secondo l'uso e vi passarono il sabato.39Il giorno dopo, quando ormai la cosa era diventata necessaria, gli uomini di Giuda andarono a raccogliere i cadaveri per deporli con i loro parenti nei sepolcri di famiglia.40Ma trovarono sotto la tunica di ciascun morto oggetti sacri agli idoli di Iamnia, che la legge proibisce ai Giudei; fu perciò a tutti chiaro il motivo per cui costoro erano caduti.41Perciò tutti, benedicendo l'operato di Dio, giusto giudice che rende palesi le cose occulte,42ricorsero alla preghiera, supplicando che il peccato commesso fosse pienamente perdonato. Il nobile Giuda esortò tutti quelli del popolo a conservarsi senza peccati, avendo visto con i propri occhi quanto era avvenuto per il peccato dei caduti.43Poi fatta una colletta, con tanto a testa, per circa duemila dramme d'argento, le inviò a Gerusalemme perché fosse offerto un sacrificio espiatorio, agendo così in modo molto buono e nobile, suggerito dal pensiero della risurrezione.44Perché se non avesse avuto ferma fiducia che i caduti sarebbero risuscitati, sarebbe stato superfluo e vano pregare per i morti.45Ma se egli considerava la magnifica ricompensa riservata a coloro che si addormentano nella morte con sentimenti di pietà, la sua considerazione era santa e devota. Perciò egli fece offrire il sacrificio espiatorio per i morti, perché fossero assolti dal peccato.
Salmi 119
1Alleluia.
Alef. Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
3Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
4Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.
5Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
6Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
7Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
8Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.
9Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
10Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
11Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
12Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
13Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
14Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
15Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
16Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola.
17Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita,
custodirò la tua parola.
18Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge.
19Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
20Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.
21Tu minacci gli orgogliosi;
maledetto chi devìa dai tuoi decreti.
22Allontana da me vergogna e disprezzo,
perché ho osservato le tue leggi.
23Siedono i potenti, mi calunniano,
ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
24Anche i tuoi ordini sono la mia gioia,
miei consiglieri i tuoi precetti.
25Dalet. Io sono prostrato nella polvere;
dammi vita secondo la tua parola.
26Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto;
insegnami i tuoi voleri.
27Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò i tuoi prodigi.
28Io piango nella tristezza;
sollevami secondo la tua promessa.
29Tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
30Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
31Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
32Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore.
33He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
34Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
35Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
36Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
37Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
38Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
39Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
40Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.
41Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia,
la tua salvezza secondo la tua promessa;
42a chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola.
43Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera,
perché confido nei tuoi giudizi.
44Custodirò la tua legge per sempre,
nei secoli, in eterno.
45Sarò sicuro nel mio cammino,
perché ho ricercato i tuoi voleri.
46Davanti ai re parlerò della tua alleanza
senza temere la vergogna.
47Gioirò per i tuoi comandi
che ho amati.
48Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo,
mediterò le tue leggi.
49Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale mi hai dato speranza.
50Questo mi consola nella miseria:
la tua parola mi fa vivere.
51I superbi mi insultano aspramente,
ma non devìo dalla tua legge.
52Ricordo i tuoi giudizi di un tempo, Signore,
e ne sono consolato.
53M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge.
54Sono canti per me i tuoi precetti,
nella terra del mio pellegrinaggio.
55Ricordo il tuo nome lungo la notte
e osservo la tua legge, Signore.
56Tutto questo mi accade
perché ho custodito i tuoi precetti.
57Het. La mia sorte, ho detto, Signore,
è custodire le tue parole.
58Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
59Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
60Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
61I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
62Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
63Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
64Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.
65Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore,
secondo la tua parola.
66Insegnami il senno e la saggezza,
perché ho fiducia nei tuoi comandamenti.
67Prima di essere umiliato andavo errando,
ma ora osservo la tua parola.
68Tu sei buono e fai il bene,
insegnami i tuoi decreti.
69Mi hanno calunniato gli insolenti,
ma io con tutto il cuore osservo i tuoi precetti.
70Torpido come il grasso è il loro cuore,
ma io mi diletto della tua legge.
71Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti.
72La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento.
73Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato;
fammi capire e imparerò i tuoi comandi.
74I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia,
perché ho sperato nella tua parola.
75Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi
e con ragione mi hai umiliato.
76Mi consoli la tua grazia,
secondo la tua promessa al tuo servo.
77Venga su di me la tua misericordia e avrò vita,
poiché la tua legge è la mia gioia.
78Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono;
io mediterò la tua legge.
79Si volgano a me i tuoi fedeli
e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti.
80Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
perché non resti confuso.
81Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
82Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa,
mentre dico: "Quando mi darai conforto?".
83Io sono come un otre esposto al fumo,
ma non dimentico i tuoi insegnamenti.
84Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando farai giustizia dei miei persecutori?
85Mi hanno scavato fosse gli insolenti
che non seguono la tua legge.
86Verità sono tutti i tuoi comandi;
a torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto.
87Per poco non mi hanno bandito dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
88Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò le parole della tua bocca.
89Lamed. La tua parola, Signore,
è stabile come il cielo.
90La tua fedeltà dura per ogni generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
91Per tuo decreto tutto sussiste fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
92Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei perito nella mia miseria.
93Mai dimenticherò i tuoi precetti:
per essi mi fai vivere.
94Io sono tuo: salvami,
perché ho cercato il tuo volere.
95Gli empi mi insidiano per rovinarmi,
ma io medito i tuoi insegnamenti.
96Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma la tua legge non ha confini.
97Mem. Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
98Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna.
99Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
100Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti.
101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.
105Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
106Ho giurato, e lo confermo,
di custodire i tuoi precetti di giustizia.
107Sono stanco di soffrire, Signore,
dammi vita secondo la tua parola.
108Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
109La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
110Gli empi mi hanno teso i loro lacci,
ma non ho deviato dai tuoi precetti.
111Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore.
112Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti,
in essi è la mia ricompensa per sempre.
113Samech. Detesto gli animi incostanti,
io amo la tua legge.
114Tu sei mio rifugio e mio scudo,
spero nella tua parola.
115Allontanatevi da me o malvagi,
osserverò i precetti del mio Dio.
116Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita,
non deludermi nella mia speranza.
117Sii tu il mio aiuto e sarò salvo,
gioirò sempre nei tuoi precetti.
118Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti,
perché la sua astuzia è fallace.
119Consideri scorie tutti gli empi della terra,
perciò amo i tuoi insegnamenti.
120Tu fai fremere di spavento la mia carne,
io temo i tuoi giudizi.
121Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia;
non abbandonarmi ai miei oppressori.
122Assicura il bene al tuo servo;
non mi opprimano i superbi.
123I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza
e della tua parola di giustizia.
124Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore
e insegnami i tuoi comandamenti.
125Io sono tuo servo, fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
126È tempo che tu agisca, Signore;
hanno violato la tua legge.
127Perciò amo i tuoi comandamenti
più dell'oro, più dell'oro fino.
128Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.
129Pe. Meravigliosa è la tua alleanza,
per questo le sono fedele.
130La tua parola nel rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici.
131Apro anelante la bocca,
perché desidero i tuoi comandamenti.
132Volgiti a me e abbi misericordia,
tu che sei giusto per chi ama il tuo nome.
133Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male.
134Salvami dall'oppressione dell'uomo
e obbedirò ai tuoi precetti.
135Fa' risplendere il volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi comandamenti.
136Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi,
perché non osservano la tua legge.
137Sade. Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
138Con giustizia hai ordinato le tue leggi
e con fedeltà grande.
139Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
140Purissima è la tua parola,
il tuo servo la predilige.
141Io sono piccolo e disprezzato,
ma non trascuro i tuoi precetti.
142La tua giustizia è giustizia eterna
e verità è la tua legge.
143Angoscia e affanno mi hanno colto,
ma i tuoi comandi sono la mia gioia.
144Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre,
fammi comprendere e avrò la vita.
145Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi precetti.
146Io ti chiamo, salvami,
e seguirò i tuoi insegnamenti.
147Precedo l'aurora e grido aiuto,
spero sulla tua parola.
148I miei occhi prevengono le veglie
per meditare sulle tue promesse.
149Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
150A tradimento mi assediano i miei persecutori,
sono lontani dalla tua legge.
151Ma tu, Signore, sei vicino,
tutti i tuoi precetti sono veri.
152Da tempo conosco le tue testimonianze
che hai stabilite per sempre.
153Res. Vedi la mia miseria, salvami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
154Difendi la mia causa, riscattami,
secondo la tua parola fammi vivere.
155Lontano dagli empi è la salvezza,
perché non cercano il tuo volere.
156Le tue misericordie sono grandi, Signore,
secondo i tuoi giudizi fammi vivere.
157Sono molti i persecutori che mi assalgono,
ma io non abbandono le tue leggi.
158Ho visto i ribelli e ne ho provato ribrezzo,
perché non custodiscono la tua parola.
159Vedi che io amo i tuoi precetti,
Signore, secondo la tua grazia dammi vita.
160La verità è principio della tua parola,
resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia.
161Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme le tue parole.
162Io gioisco per la tua promessa,
come uno che trova grande tesoro.
163Odio il falso e lo detesto,
amo la tua legge.
164Sette volte al giorno io ti lodo
per le sentenze della tua giustizia.
165Grande pace per chi ama la tua legge,
nel suo cammino non trova inciampo.
166Aspetto da te la salvezza, Signore,
e obbedisco ai tuoi comandi.
167Io custodisco i tuoi insegnamenti
e li amo sopra ogni cosa.
168Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie.
169Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore,
fammi comprendere secondo la tua parola.
170Venga al tuo volto la mia supplica,
salvami secondo la tua promessa.
171Scaturisca dalle mie labbra la tua lode,
poiché mi insegni i tuoi voleri.
172La mia lingua canti le tue parole,
perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti.
173Mi venga in aiuto la tua mano,
poiché ho scelto i tuoi precetti.
174Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è tutta la mia gioia.
175Possa io vivere e darti lode,
mi aiutino i tuoi giudizi.
176Come pecora smarrita vado errando;
cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.
Salmi 21
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2Signore, il re gioisce della tua potenza,
quanto esulta per la tua salvezza!
3Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,
non hai respinto il voto delle sue labbra.
4Gli vieni incontro con larghe benedizioni;
gli poni sul capo una corona di oro fino.
5Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi giorni in eterno, senza fine.
6Grande è la sua gloria per la tua salvezza,
lo avvolgi di maestà e di onore;
7lo fai oggetto di benedizione per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.
8Perché il re confida nel Signore:
per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.
9La tua mano raggiungerà ogni tuo nemico,
la tua destra raggiungerà chiunque ti odia.
10Ne farai una fornace ardente,
nel giorno in cui ti mostrerai:
il Signore li consumerà nella sua ira,
li divorerà il fuoco.
11Sterminerai dalla terra la loro prole,
la loro stirpe di mezzo agli uomini.
12Perché hanno ordito contro di te il male,
hanno tramato insidie, non avranno successo.
13Hai fatto loro voltare le spalle,
contro di essi punterai il tuo arco.
14Alzati, Signore, in tutta la tua forza;
canteremo inni alla tua potenza.
Isaia 29
1Guai ad Arièl, ad Arièl,
città dove pose il campo Davide!
Aggiungete anno ad anno,
si avvicendino i cicli festivi.
2Io metterò alle strette Arièl,
ci saranno gemiti e lamenti.
Tu sarai per me come un vero Arièl,
3io mi accamperò come Davide contro di te
e ti circonderò di trincee,
innalzerò contro di te un vallo.
4Allora prostrata parlerai da terra
e dalla polvere saliranno fioche le tue parole;
sembrerà di un fantasma la tua voce dalla terra,
e dalla polvere la tua parola risuonerà come bisbiglio.
5Sarà come polvere fine la massa dei tuoi oppressori
e come pula dispersa la massa dei tuoi tiranni.
Ma d'improvviso, subito,
6dal Signore degli eserciti sarai visitata
con tuoni, rimbombi e rumore assordante,
con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore.
7E sarà come un sogno,
come una visione notturna,
la massa di tutte le nazioni
che marciano su Arièl,
di quanti la attaccano
e delle macchine poste contro di essa.
8Avverrà come quando un affamato sogna di mangiare,
ma si sveglia con lo stomaco vuoto;
come quando un assetato sogna di bere,
ma si sveglia stanco e con la gola riarsa:
così succederà alla folla di tutte le nazioni
che marciano contro il monte Sion.
9Stupite pure così da restare sbalorditi,
chiudete gli occhi in modo da rimanere ciechi;
ubriacatevi ma non di vino,
barcollate ma non per effetto di bevande inebrianti.
10Poiché il Signore ha versato su di voi
uno spirito di torpore,
ha chiuso i vostri occhi,
ha velato i vostri capi.
11Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si da' a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso, perché è sigillato".12Oppure si da' il libro a chi non sa leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non so leggere".
13Dice il Signore: "Poiché questo popolo
si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e il culto che mi rendono
è un imparaticcio di usi umani,
14perciò, eccomi, continuerò
a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l'intelligenza dei suoi intelligenti".
15Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore
per dissimulare i loro piani,
a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo:
"Chi ci vede? Chi ci conosce?".
16Quanto siete perversi! Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
"Non mi ha fatto lui"?
E un vaso può dire del vasaio: "Non capisce"?
17Certo, ancora un po'
e il Libano si cambierà in un frutteto
e il frutteto sarà considerato una selva.
18Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro;
liberati dall'oscurità e dalle tenebre,
gli occhi dei ciechi vedranno.
19Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,
i più poveri gioiranno nel Santo di Israele.
20Perché il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo,
saranno eliminati quanti tramano iniquità,
21quanti con la parola rendono colpevoli gli altri,
quanti alla porta tendono tranelli al giudice
e rovinano il giusto per un nulla.
22Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore
che riscattò Abramo:
"D'ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire,
il suo viso non impallidirà più,
23poiché vedendo il lavoro delle mie mani tra di loro,
santificheranno il mio nome,
santificheranno il Santo di Giacobbe
e temeranno il Dio di Israele.
24Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza
e i brontoloni impareranno la lezione".
Lettera di Giacomo 1
1Giacomo, servo di Dio e del Signore Gesù Cristo, alle dodici tribù disperse nel mondo, salute.
2Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove,3sapendo che la prova della vostra fede produce la pazienza.4E la pazienza completi l'opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla.
5Se qualcuno di voi manca di sapienza, la domandi a Dio, che dona a tutti generosamente e senza rinfacciare, e gli sarà data.6La domandi però con fede, senza esitare, perché chi esita somiglia all'onda del mare mossa e agitata dal vento;7e non pensi di ricevere qualcosa dal Signore8un uomo che ha l'animo oscillante e instabile in tutte le sue azioni.
9Il fratello di umili condizioni si rallegri della sua elevazione10e il ricco della sua umiliazione, perché passerà come fiore d'erba.11Si leva il sole col suo ardore e fa seccare l'erba e il suo fiore cade, e la bellezza del suo aspetto svanisce. Così anche il ricco appassirà nelle sue imprese.
12Beato l'uomo che sopporta la tentazione, perché una volta superata la prova riceverà la corona della vita che il Signore ha promesso a quelli che lo amano.
13Nessuno, quando è tentato, dica: "Sono tentato da Dio"; perché Dio non può essere tentato dal male e non tenta nessuno al male.14Ciascuno piuttosto è tentato dalla propria concupiscenza che lo attrae e lo seduce;15poi la concupiscenza concepisce e genera il peccato, e il peccato, quand'è consumato, produce la morte.
16Non andate fuori strada, fratelli miei carissimi;17ogni buon regalo e ogni dono perfetto viene dall'alto e discende dal Padre della luce, nel quale non c'è variazione né ombra di cambiamento.18Di sua volontà egli ci ha generati con una parola di verità, perché noi fossimo come una primizia delle sue creature.
19Lo sapete, fratelli miei carissimi: sia ognuno pronto ad ascoltare, lento a parlare, lento all'ira.20Perché l'ira dell'uomo non compie ciò che è giusto davanti a Dio.21Perciò, deposta ogni impurità e ogni resto di malizia, accogliete con docilità la parola che è stata seminata in voi e che può salvare le vostre anime.22Siate di quelli che mettono in pratica la parola e non soltanto ascoltatori, illudendo voi stessi.23Perché se uno ascolta soltanto e non mette in pratica la parola, somiglia a un uomo che osserva il proprio volto in uno specchio:24appena s'è osservato, se ne va, e subito dimentica com'era.25Chi invece fissa lo sguardo sulla legge perfetta, la legge della libertà, e le resta fedele, non come un ascoltatore smemorato ma come uno che la mette in pratica, questi troverà la sua felicità nel praticarla.
26Se qualcuno pensa di essere religioso, ma non frena la lingua e inganna così il suo cuore, la sua religione è vana.27Una religione pura e senza macchia davanti a Dio nostro Padre è questa: soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni e conservarsi puri da questo mondo.
Capitolo VIII: L'intima amicizia con Gesù
Leggilo nella Biblioteca1. Quando è presente Gesù, tutto è per il bene, e nulla pare difficile. Invece, quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non parla nell'intimo, ogni consolazione vale assai poco. Invece, se Gesù dice anche soltanto una parola, sentiamo una grande consolazione. Forse che Maria Maddalena non balzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse: "C'è qui il maestro, ti chiama?" (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui Gesù ci invita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù; come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d'altro, che non sia Gesù. Non è, questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duro inferno; essere con Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa farti del male, se avrai Gesù presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi, trova un bene più grande di ogni altro bene. Chi perde Gesù perde più che non si possa dire; perde più che se perdesse tutto quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui che vive saldamente con lui è ricco di tutto.
2. Grande avvedutezza è saper stare vicino a Gesù; grande sapienza sapersi tenere stretti a lui. Abbi umiltà e pace, e Gesù sarà con te; abbi devozione e tranquillità di spirito, e Gesù starà con te. Che se comincerai a deviare verso le cose esteriori, potrai subitamente allontanare da te Gesù, perdendo la sua grazia; e se avrai cacciato lui, e l'avrai perduto, a chi correrai per rifugio, a chi ti volgerai come ad amico? Senza un amico non puoi vivere pienamente; e se non hai come amico, al di sopra di ogni altro, Gesù, sarai estremamente triste e desolato.
3. E' da stolto, dunque, quello che fai, ponendo la tua fiducia e la tua gioia in altri che in Gesù. E' preferibile avere il mondo intero contro di te che avere Gesù disgustato di te. Sicché, tra tutte le persone care, caro, per sé, sia il solo Gesù; tutti gli altri si devono amare a causa di Lui; Lui, invece, per se stesso. Gesù Cristo, il solo che troviamo buono e fedele più di ogni altro amico, lui solo dobbiamo amare, di amore particolare. Per lui e in lui ti saranno cari sia gli amici che i nemici; e lo pregherai per gli uni e per gli altri, affinché tutti lo conoscano e lo amino. Non desiderare di essere apprezzato od amato per te stesso, poiché questo spetta soltanto a Dio, che non ha alcuno che gli somigli. Non volere che uno si lasci prendere, nel suo cuore, tutto da te, né lasciarti tutto prendere tu dall'amore di chicchessia. Gesù soltanto deve essere in te, come in ognuno che ami il bene. Sii puro interiormente e libero, senza legami con le creature. Se vuoi essere pienamente aperto a gustare "com'è soave il Signore" (Sal 33,9), devi essere del tutto spoglio e offrire a Dio un cuore semplice e puro.
4. Ma, in verità, a tanto non giungerai, se prima non sarà venuta a te la sua grazia trascinandoti, cosicché, scacciata e gettata via ogni cosa, tu possa unirti con Lui, da solo a solo. Quando la grazia di Dio scende sull'uomo, allora egli diventa capace di ogni impresa; quando invece la grazia viene meno, l'uomo diventa misero e debole, quasi abbandonato al castigo. Ma anche così non ci si deve lasciare abbattere; né si deve disperare. Occorre piuttosto stare fermamente alla volontà di Dio e, qualunque cosa accada, sopportarla sempre a lode di Gesù Cristo; giacché dopo l'inverno viene l'estate, dopo la tempesta una grande quiete.
Contro la lettera di Parmeniano - libro terzo
Contro la lettera di Parmeniano - Sant'Agostino di Ippona
Leggilo nella BibliotecaLa medicina del castigo deve custodire l'unità.
1. 1. Ogni norma religiosa e ogni misura disciplinare della Chiesa, deve soprattutto mirare a conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 1; vincolo che l'Apostolo ci ha ordinato di custodire sopportandoci a vicenda; e quando la medicina della punizione non riesce a custodirlo, non solo è inutile, ma dannosa, e quindi, dimostra di non essere neppure una medicina. Con tutto ciò, questi figli malvagi, che non per odio verso le iniquità degli altri, ma per amore delle loro contese, dopo avere irretite le popolazioni semplici con la tronfiezza del loro nome, cercano o di attirarle a sé o di dividerle; questi individui gonfi di superbia, furiosi nella ostinazione, insidiosi nelle calunnie, turbolenti nelle sommosse, per non apparire senza luce di verità, stendono un'ombra di rigida severità; e i precetti che le sacre Scritture ci danno per correggere i vizi dei fratelli con una terapia più aggressiva, fatta salva la sincerità della carità e custodita l'unità della pace, essi li utilizzano per compiere il sacrilegio dello scisma e per trovare un pretesto di divisione, dicendo: " Ecco che dice l'Apostolo: Togliete il male da voi stessi 2. Ora, se questo male non fosse nocivo ai buoni - aggiungono - certamente egli non ordinerebbe di toglierlo ".
Se i malvagi non si possono allontanare, si allontani il male da se stessi.
1. 2. Ora vediamo se per caso non è stato senza motivo che l'Apostolo non ha detto: " Togliete i malvagi dalla vostra assemblea ", ma: Togliete il male da voi stessi. In effetti, quando uno non riesce ad allontanare i malvagi dall'assemblea della Chiesa, se toglie da sé il male, non si mescola ad essi con il cuore, e così, non solo si unisce spiritualmente ai buoni, ma si separa, spiritualmente, anche dai cattivi. In un passo di una lettera a Timoteo, Paolo, dopo avergli detto: Non farti complice dei peccati altrui 3, come se volesse prospettargli la possibilità che alcuni malvagi non sarebbe riuscito ad allontanarli dall'assemblea ecclesiale, e che, quindi, sarebbe stato costretto a tollerarli, e come se gli volesse dare un consiglio sul modo di non farsi complice dei peccati altrui gli dice: Conservati puro 4. Coi malvagi, infatti, non si può mescolare che un malvagio; un uomo buono, invece, non può assolutamente farlo, anche se vive con loro nella stessa assemblea. Analogamente, in questo passo ai Corinti, dopo aver detto: Spetta forse a me giudicare quelli di fuori? Non sono quelli di dentro che voi giudicate? 5, temendo che i Corinzi si potessero turbare a causa di una certa quantità di malvagi, così frammista al frumento, da non poter essere raccolta e separata senza danneggiarlo, ha aggiunto: Togliete il male di mezzo a voi. Di modo che, nella eventualità che i buoni non potessero togliere i malvagi dalla loro assemblea, togliendo il male da se stessi, cioè, non peccando insieme a loro, non approvandoli e non aiutandoli a peccare, potrebbero vivere in mezzo a loro pienamente integri e incorrotti, visto che è con il suo male che l'uomo si rende complice dei malvagi; se però toglie il male da se stesso, non ha motivo per approvare il male degli altri. Perciò, chiunque disprezza la disciplina della Chiesa, al punto che rinuncia ad ammonire, correggere e biasimare i malvagi, coi quali non pecca e che non approva, e, avendone l'autorità e permettendolo la pace della Chiesa, ad allontanarli dalla partecipazione ai sacramenti, non pecca per la malvagità di altri, ma per la sua. In un affare così importante la stessa negligenza è un male grave. Ecco perché, come ammonisce l'Apostolo, egli, togliendo da sé il male, non solo toglierà l'audacia di farlo e la peste di approvarlo, ma anche la pigrizia nel correggerlo e la negligenza nel punirlo, usando la prudenza e l'obbedienza al precetto del Signore, per non danneggiare il grano 6. Chi è mosso da questa intenzione nel tollerare la zizzania presente nel grano, se toglie il male da se stesso, non condivide questa presenza, ma, in attesa della mietitura, la discerne e la giudica, giorno per giorno 7. Egli infatti non sa che cosa accadrà domani. E quindi, fatta salva la carità, va punito, non senza la speranza del ravvedimento, tutto ciò che la necessaria severità ci obbliga a punire. Ma perché questo sia chiaro, esaminiamo con più accuratezza, l'intero brano della lettera dell'Apostolo.
L'esempio di Paolo nel punire i peccatori.
1. 3. Egli dice: Che volete? Che venga a voi con la verga o con la carità di uno spirito di dolcezza? 8 Già da qui risulta chiaro che egli parla di punizione; e per significarla usa il vocabolo verga. Ma può esistere la verga senza la carità, dato che continua: Debbo venire a voi con la verga o con la carità? Ora, la frase che segue: lo spirito di dolcezza, ci spinge a capire che la verga si accompagna con la carità. Ma un conto è la carità della severità e un conto la carità della dolcezza. Certo, la carità è una sola, ma opera in modo diverso in persone diverse. Egli dice: Dappertutto si sente parlare di immoralità tra voi; e di una immoralità tale che non si riscontra neanche tra i pagani, al punto che uno tiene con sé la moglie di suo padre 9. Vediamo come ordina di punirli per un fatto così disumano. E voi - continua - vi siete gonfiati di orgoglio, anziché provarne dolore, perché fosse tolto di mezzo a voi chi ha commesso questa azione 10! Perché ordina il dolore e non lo sdegno, se non perché, se un membro soffre, soffrono con lui tutte le membra 11? E non ordina il dolore, perché il peccatore era tolto di mezzo, ma ordina il dolore perché fosse tolto; cioè, perché il dolore degli afflitti salisse fino a Dio, e Dio togliesse di mezzo a loro l'autore del fatto, come lui solo sa fare, e perché essi non avessero a sradicare, per umana inesperienza, anche il grano. Quando dunque la necessità spinge a usare tale punizione, l'umiltà di quanti sono nel dolore deve impetrare la misericordia, che la superbia di quanti amano il rigore respinge. E non si deve trascurare la salvezza neppure di colui che è tolto di mezzo dai fratelli, ma fare sì che tale castigo gli sia utile, e farlo con suppliche e preghiere, se non bastano, a correggerlo, i rimproveri. Perciò l'Apostolo aggiunge: Ebbene, io assente con il corpo, ma presente con lo spirito, ho già giudicato, come se fossi presente, chi ha compiuto tale azione: nel nome del Signore nostro Gesù Cristo, essendo radunati insieme voi e il mio spirito, con il potere di nostro Signore Gesù, questo individuo sia dato in balia di Satana per la rovina della carne, perché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù 12. Ora, che cosa si proponeva, l'Apostolo, se non di procurare la salvezza dello spirito con la rovina della carne, così che, il peccatore, con una pena o con la morte corporale, come nel caso di Anania e di sua moglie, che stramazzarono ai piedi dell'apostolo Pietro 13, o con la penitenza, visto che era stato dato in balia di Satana, facesse morire in sé la peccaminosa concupiscenza della carne? L'Apostolo infatti dice: Mortificate le membra che sono sulla terra 14, tra le quali annovera anche la fornicazione, e ancora: Poiché se vivrete secondo la carne, morirete, se invece con l'aiuto dello spirito fate morire le opere del corpo, vivrete 15. Ciò non ostante egli non esclude dalla carità fraterna colui che ha ordinato di escludere dall'assemblea dei fratelli. Lo stesso concetto lo esprime con più chiarezza ai Tessalonicesi: Se qualcuno non obbedisce al nostro comando dato per lettera, tenetelo d'occhio, per non mescolarvi con lui, affinché si vergogni; però non trattatelo da nemico, ma ammonitelo come un fratello 16. Ascoltino, finalmente, i Donatisti, e comprendano come la carità dell'Apostolo si dia da fare perché noi, sopportandoci a vicenda, conserviamo l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 17. In effetti anche qui, dopo aver detto: Però non trattatelo da nemico, ma ammonitelo come un fratello, come per spiegare il motivo di questa esortazione, aggiunge subito: Il Dio della pace vi dia egli stesso la pace, sempre e in ogni modo 18. Così, anche per colui che prese la moglie del padre, egli preferisce prescrivere il dolore e raccomandare ovunque la carità, operatrice di pace; come anche di sé dice: Temo che al mio secondo ritorno, Dio mi umili davanti a voi e io debba piangere su molti che hanno peccato in passato e non hanno fatto penitenza delle impurità, della fornicazione e della dissolutezza che hanno commesso 19. E poi: L'ho detto prima e lo ripeto ora, io che la seconda volta ero presente e ora assente, a tutti quelli che hanno peccato e a tutti gli altri, che se verrò di nuovo non perdonerò più 20. Egli dunque giudicava tra le lacrime, perché fosse la misericordia di Dio, senza distruggere il vincolo della pace, nel quale consiste tutta la salvezza, a castigare i peccatori e a correggerli, come si intuisce che egli abbia fatto nel caso di colui che aveva fornicato con la moglie del padre. In effetti, non vediamo a chi altro egli si possa riferire quando, nella seconda Lettera ai Corinti, dice: Vi ho scritto in un momento di grande afflizione e col cuore angosciato, tra molte lacrime, non per rattristarvi, ma per farvi conoscere l'affetto sovrabbondante che ho per voi. Se poi qualcuno mi ha rattristato, non ha rattristato solo me ma, almeno in parte, senza esagerare, tutti voi. A quel tale però basta il castigo che gli è venuto dai più, per cui voi doveste piuttosto usargli benevolenza e confortarlo, perché non sprofondi in una tristezza troppo grande. Vi esorto quindi a rafforzare la vostra carità verso di lui. È per questo, infatti, che vi ho scritto: per verificare se siete obbedienti in tutto. Se voi perdonate a qualcuno, lo faccio anch'io; se anche io, infatti, ho perdonato, l'ho fatto per voi, davanti a Cristo, per non cadere in balia di Satana; noi infatti non ignoriamo le sue trame 21. Che cosa di più misurato, di più premuroso, di più ricco di santa premura e di tenerezza paterna e materna, si può fare e dire? Come per il peccatore usa la correzione, così al convertito, al pentito e a chi umilia il proprio cuore nella penitenza, vuole che si restituisca il conforto, perché non sprofondi in una tristezza troppo grande. E che senso dare, poi, alla frase conclusiva: Per non cadere in balia di Satana; noi infatti non ignoriamo le sue trame 22? In realtà il diavolo, sotto l'apparenza di una giusta severità, propone una crudele ferocia, poiché non desidera altro, nella sua velenosissima astuzia, che di indebolire e infrangere il vincolo della pace e della carità; ma se i cristiani conservano tra di loro questo vincolo, tutte le sua energie perdono la forza di nuocere, diminuiscono le sue trame insidiose e svaniscono i suoi piani eversivi.
La Chiesa deve punire con carità.
2. 4. Ma fosse pure un'altra la persona di cui l'Apostolo ha parlato nella seconda Lettera ai Corinzi, anche in questa ipotesi egli ha fatto capire che la punizione della Chiesa deve procedere con grande carità. È proprio ciò che i Donatisti non comprendono per cui sono soliti citare, tra le loro calunnie, soprattutto questo testo: Il giusto mi correggerà con misericordia e mi biasimerà, ma l'olio dell'empio non ungerà il mio capo 23. Ma poiché essi non sanno correggere con misericordia, hanno perseguitato l'innocenza di Ceciliano con atroci sospetti, e unto con olio di ipocrita adulazione il potere di Ottato Gildoniano! In effetti, se fosse stato per amore del vincolo della pace che hanno sopportato con pianti e lamenti l'iniquità di Ottato, certamente non avrebbero distrutto la pace vera e cattolica nella santa unità del mondo, o almeno proverebbero un dolore sì grande che essa sia stata distrutta dai loro antenati con empia cecità e, almeno dopo avere esperimentato che per la pace di Donato sono costretti a tollerare tanti cattivi, spegnerebbero le loro calunnie senza pace, con la pace della loro correzione
Cristo è il medico dei peccatori con la sua misericordia.
2. 5. Ma torniamo alla conclusione della prima Lettera ai Corinzi. L'Apostolo, dopo aver detto di: Abbandonare l'individuo in balia di Satana per la rovina della carne, perché lo spirito sia salvato nel giorno del Signore Gesù 24, e raccomandato a più riprese di farlo con l'umiltà di persone rattristate e non con l'orgoglio di persone spietate, aggiunge: Non è un bel vanto il vostro 25 o, in tono di rimprovero: Bel vanto è il vostro! secondo la lezione di molti codici, soprattutto latini, benché in entrambe il senso non cambi. Non dobbiamo temere, infatti, che sia intesa come un elogio l'espressione: Bel vanto è il vostro! Infatti, più su ha detto: Vi siete gonfiati di orgoglio, piuttosto che essere nel dolore, e qui aggiunge: Non sapete che un po' di lievito corrompe tutta la massa? 26 Il che può riferirsi più propriamente alla corruzione della vanagloria. In effetti la superbia derivata, diciamo così, dalla vecchiezza del primo uomo che cadde per superbia, quasi facendo fermentare e corrompere lo spirito, trasforma in un'unica pasta quelli che ne sono gonfi e che si ritrovano uniti in essa da una simile vuota ostentazione. È vero che gloriarsi non dei peccati propri, ma di quelli altrui, quasi per fare un confronto con la propria innocenza, sembra poco lievito - il molto lievito, infatti, è gloriarsi delle proprie iniquità - ma basta questo poco per corrompere tutta la massa. Il superbo cade per la sua superbia e incomincia anche a giustificare i suoi peccati e a gloriarsene. È in vista di ciò che l'Apostolo dice: Chi crede di stare in piedi, badi a non cadere 27, e ancora: Se un uomo è angosciato per qualche delitto, voi che siete spirituali correggetelo con spirito di dolcezza, badando a voi stessi, per non essere anche voi tentati. Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo 28. Che cos'è la legge di Cristo se non: Vi do un comandamento nuovo: di amarvi gli uni gli altri 29? Che cos'è la legge di Cristo se non: Vi do la mia pace, vi lascio la mia pace 30? E ciò che dice qui: Portate gli uni i pesi degli altri e così adempirete la legge di Cristo 31, egli lo ripete altrove, quando dice: Sopportandovi a vicenda con amore, cercando di conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 32. In verità, anche nel Fariseo sembrava che vi fosse un po' di lievito, poiché non solo non si doleva del peccatore, ma, confrontandosi coi peccati del Pubblicano, si esaltava per i suoi meriti. Ma il Pubblicano, che aveva confessato i suoi peccati, se ne tornò giustificato, a preferenza del Fariseo che aveva vantato i suoi meriti, poiché chi si esalta sarà umiliato e chi si umilia sarà esaltato 33. L'Apostolo dunque prosegue, dicendo: Purificatevi dal lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi 34. Che significa: per essere? E che significa: poiché siete, se non che in Corinto c'erano i giusti e i non giusti, che egli esortava ad essere giusti ad esempio dei giusti? Egli però li ammonisce tutti insieme come fossero uguali, affinché quelli che erano giusti non disperassero di quelli che ancora non lo erano, e credessero che essi non fanno parte dell'organismo del loro corpo(8). Perciò li ammonisce come se fossero tutti uguali, dicendo: per essere e: poiché siete. I giusti infatti sapevano sopportare, e dopo l'ammonizione dell'Apostolo, dovevano saperlo fare ancora meglio, quanti non erano giusti; così che, sopportandosi a vicenda con amore, avrebbero conservato l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 35 e, portando vicendevolmente i propri pesi, avrebbero sicuramente osservato la legge di Cristo 36. Ma poiché il nostro Signore Gesù Cristo, per insegnarci la via dell'umiltà, si è degnato umiliarsi fino alla morte di croce e, come il medico sopporta gli infermi, così egli ha sopportato con grande amore i peccatori dei quali aveva detto: Non hanno bisogno del medico i sani, ma i malati 37, ecco che l'Apostolo ha proposto ai Corinti questo grande esempio, dicendo: Cristo, nostra Pasqua, si è immolato 38, perché dall'esempio di questa grande umiltà i fedeli imparassero a purificarsi dal lievito vecchio, cioè, da ogni residuo di superbia rimasta in essi come eredità dell'antico uomo. Celebriamo dunque il giorno di festa; certo, non un giorno solo, ma tutta la vita, e non con il lievito vecchio, né con il lievito di malizia e di perversità, ma con azzimi di sincerità e di verità 39. È malizia e perversità gloriarsi, per così dire, di fronte ai peccati altrui, come se ci si debba compiacere della propria giustizia solo quando ci si accorge che, intorno a noi, non ci sono giusti. Viceversa, è sincerità e verità ricordarsi, anche se si è progrediti, di ciò che si è stati, ed essere più misericordiosi verso quanti cadono, visto che anche noi siamo stati risollevati dalla caduta per la misericordia di Cristo che, pur essendo senza peccato, si è umiliato per i peccatori.
Non dobbiamo trascurare i peccati degli altri.
2. 6. Ma nel timore che, per nostra rovina, si trascurino e quasi per negligenza si dimentichino i peccati altrui, che è un errore non meno crudele del peccato di superbia, l'Apostolo prosegue, dicendo: Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi con gli impudichi. Certo, non con gli impudichi di questo mondo o con gli avari o con i ladri o con gli idolatri: altrimenti dovreste uscire da questo mondo 40. In altre parole: se vi voleste immunizzare dai peccatori di questo mondo, che sono fuori della Chiesa, dovreste uscire da questo mondo. In realtà il vostro compito in questo mondo è quello di guadagnare i peccatori a Cristo per la loro salvezza; ma questo non si può fare, se voi schivate la loro conversazione e la loro convivenza. In realtà - dice Paolo - io vi ho scritto di non mescolarvi. Se poi qualche fratello è considerato o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriacone o ladro, con questo tale non dovete neanche mangiare insieme. Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori? Non sono forse quelli di dentro che voi giudicate? Quelli di fuori invece li giudicherà Dio. Togliete il male di mezzo a voi 41.
Parmeniano non cita la conclusione del testo di Paolo.
2. 7. Ecco come l'Apostolo è giunto a questa considerazione, di cui Parmeniano ha ritenuto di dover citare il tratto finale, dicendo: " Sta scritto: Togliete il male di mezzo a voi 42. Certo se questo male non danneggiasse i buoni e i puri, Paolo non ordinerebbe di toglierlo ". Ora, tutto il brano precedente, quello dal quale Paolo è giunto a questa frase, egli lo ha omesso; e non v'è dubbio che, ai fini della tesi, che intendeva dimostrare, e cioè che la separazione corporale dai malvagi è necessaria, avrebbe potuto trovare un aiuto proprio in queste parole dell'Apostolo: Con questo tale non dovete neanche mangiare insieme 43. Perché non ha citato ciò che sembrava poter dare il massimo sostegno alla sua tesi? Vista tutta la forza con cui insiste nel persuadere che va fatta la separazione corporale dai cattivi, perché non cita la testimonianza dell'Apostolo: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente, o ubriacone, o ladro, con questo tale non dovete neanche mangiare insieme 44? Non è forse perché ha visto che, se lo avesse fatto, gli si sarebbe potuto rispondere: "Possibile che voi, anche se non avete o non conoscete gli impudichi e gli avari, non vedete o non conoscete, in mezzo a voi, nessun avaro o maldicente o ubriaco o ladro? Perché, allora, contro il comando dell'Apostolo, con questi tali non solo prendete il cibo alla vostra mensa, ma condividete anche la cena alla mensa del Signore? ". Ora Parmeniano ha cercato di evitarlo, io credo, per sfuggire a questa risposta, tanto da non citare un testo che sembrava suonare molto bene a favore della sua causa. In realtà, se questo capitolo della lettera dell'Apostolo gli fosse sfuggito e non lo avesse incontrato, non ne avrebbe citato l'ultima frase: Togliete il male di mezzo a voi 45.
L'esempio di Cipriano, che restò tra alcuni vescovi cattivi.
2. 8. Ma dopo questo discorso, forse i Donatisti oseranno negare di avere tra loro o avari o maldicenti o ubriachi o ladri, e forse cercheranno di difendere perfino Ottato, che fu arcinoto in tutta l'Africa, e che hanno sopportato per tanto tempo. E allora dicano, se possono, di avere ora una Chiesa più santa e più pura di quanto fosse l'unità all'epoca del beatissimo Cipriano, il quale, rivolto ai suoi colleghi vescovi, dai quali non si separò mai col corpo, senza nominare nessuno, ma somministrando con saggezza e sobrietà la medicina di una mordacità veramente salutare, li biasimò con queste pesanti parole: mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, essi volevano possedere molto argento; rapivano i poderi con astuti inganni; e aumentavano il capitale moltiplicando le usure. E per mostrare molto chiaramente che parlava di quelli con cui viveva nella comunione dell'unica Chiesa, aggiunse: " Che cosa non meriteremmo di patire, noi che siamo così, per simili peccati? ". Egli non disse: "meriterebbero ", bensì: " meriteremmo ". E non lo avrebbe mai detto, non essendo sicuramente come loro, se non avesse voluto far vedere che piangeva i delitti di coloro che gli erano legati non solo nell'unità della Chiesa, ma anche nella comunione del collegio, quantunque nella vita, nella condotta, nel cuore e nelle intenzioni, se ne distinguesse. Dicano, dunque, i Donatisti, che ora la loro Chiesa è più santa e che essi non hanno colleghi come quelli che ebbe, nell'unità, Cipriano. Li credano quanti vogliono; e, di fronte ai mali, che colpiscono lo sguardo anche di quanti fanno finta di non vedere la loro condotta, chiudano gli occhi! Quanto a me, li riporto alle origini dell'unità e chiedo loro: quando quest'uomo, Cipriano, insigne vescovo della Chiesa di Cartagine, si lamentò di un collegio così malvagio con la testimonianza di una voce libera, fino a scrivere libri, che sarebbero stati tramandati ai posteri, esisteva o no la Chiesa di Cristo? Se esisteva, allora io chiedo come adempivano, Cipriano e gli altri suoi simili, il precetto dell'Apostolo: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriaco o ladro, con questo tale non mangiate neanche insieme 46, dal momento che con questi avari e ladri che, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, volevano possedere argento in abbondanza, rapivano i poderi con astuti inganni e accrescevano il loro capitale moltiplicando l'usura, essi mangiavano il pane del Signore e bevevano il calice del Signore?
I Donatisti aprano gli occhi del cuore!
2. 9. O forse questi sono crimini lievi e da sottovalutare? I Donatisti, infatti, sono soliti dire anche questo, poiché pesano i peccati non sulla bilancia giusta delle divine Scritture, ma sulla bilancia ingannevole delle loro abitudini. In effetti, tutti i delitti e le iniquità che eccitano la folla perdono l'esatta valutazione. Ma proprio per questo sono stati proposti agli uomini, come specchio limpidissimo, gli oracoli dei Libri del cielo: perché ciascuno possa vedervi la gravità di ogni peccato; un peccato forse grande e che la cieca abitudine di quanti vivono male, disprezza. Del resto, dalla parola di Dio, poteva forse ricevere un'accusa più grave, l'avarizia, che averla dimostrata uguale all'idolatria e chiamata con questo nome, visto quanto dice l'Apostolo: L'avarizia che è idolatria 47? Avrebbe forse potuto considerarsi degna di una pena più severa, che essere citata tra quei crimini, a causa dei quali quelli che ne sono posseduti non possederanno il regno di Dio? Aprano gli occhi del cuore, perché non si aprano, inutilmente, quelli del corpo, e leggano quanto dice questo libero predicatore della verità, che sempre nella prima Lettera ai Corinti, scrive: Non illudetevi. Né impudichi né idolatri né adulteri né effeminati, né sodomiti, né ladri, né avari, né ubriaconi, né maldicenti, né rapaci possederanno il regno di Dio 48. Come dunque, Cipriano e l'altro grano del Signore, che viveva in quella che allora era la Chiesa dell'unità, potevano mangiare il pane del Signore e bere il suo calice con gli avari, i rapaci e con quelli che non possederanno il regno di Dio, e non dico laici o semplici chierici, ma persino vescovi, visto che l'Apostolo comanda di non mescolarsi a loro, e dichiara fortemente che con tali individui non si deve neppure mangiare 49? O forse, visto che non potevano separarsi da loro col corpo per non sradicare, insieme, anche il grano, bastava separarsene col cuore e distinguersi con la vita e i costumi, onde ricevere, in compenso, la salvaguardia della pace e dell'unità, ottenere la salvezza del grano debole e ancora lattante, e non dilaniare le membra del corpo di Cristo con scismi sacrileghi?
Come poté essere santa la Chiesa al tempo di Cipriano.
2. 10. Ma per parte mia non voglio spingere nessuno di loro a pensarla così. Siano essi a spiegarmi come poté essere senza macchia e senza ruga 50, la gloriosa Chiesa di allora, quando, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, essi volevano possedere molto argento; quando rapivano i poderi con astute frodi; quando accrescevano il capitale moltiplicando le usure; e quando erano coinvolti in iniquità tanto grandi, che non possedevano, per questo motivo, il regno di Dio. Se poi la Chiesa gloriosa senza macchia e senza ruga, era calcolata solo in quelli che piangevano e deploravano le iniquità compiute in mezzo a loro, tanto da meritare, secondo la profezia del santo Ezechiele, di essere contraddistinti da un segno particolare, per uscire assolutamente incolumi dallo sterminio e dalla perdizione degli iniqui 51, cessino di calunniare i buoni che non fanno il male, per malsana avidità, ma lo tollerano con pacifica carità, e ai quali è stato detto: Beati gli operatori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio 52. Per questo lo Spirito Santo, nel passo in cui descrive, per mezzo del Profeta Ezechiele, i cattivi, che i buoni tollerano nell'unità, dichiara che essi vivono tra i buoni. Se infatti avesse detto che sono i buoni a vivere tra i cattivi, poteva sembrare che i cattivi stessero quasi all'esterno e al di fuori. Egli ha detto: Essi lamentano e piangono le iniquità del mio popolo, commesse in mezzo a loro 53, perché pensassimo che questi iniqui, non solo non sono esclusi, ma sono addirittura inclusi.
La Chiesa restò, resta e resterà nei buoni.
2. 11. Se poi già da allora la Chiesa non esisteva più, poiché Cipriano e quanti con lui conoscevano gli avari e i ladri - ciò che essi non erano - anche se li rimproveravano con profondissimi gemiti e autorevolissimi richiami, tuttavia, per il fatto di frequentare insieme la Chiesa e di celebrare gli stessi misteri in un'unica assemblea, subirono, per via di questa comunione, identica sorte, giacché non obbedirono all'Apostolo che ordina di non prendere, con simili individui, neppure il cibo, e: Togliete il male di mezzo a voi 54, perché preoccuparci ancora? Perché essi si vantano di avere una Chiesa, se già da allora ha cessato di esistere? Ci dicano da chi sono derivati Maggiorino e Donato, tramite i quali sarebbero poi derivati Parmeniano e Primiano. A che serve loro mentire dicendo di non avere ora nella loro assemblea o di non conoscerli gli avari e i rapaci, coi quali l'Apostolo proibisce di mangiare, se nella Chiesa dell'unità vi furono dei peccatori; quella Chiesa dalla quale i Donatisti si vantano di essere derivati, tanto che cercano di convincere gli altri che essa è rimasta solo nella loro società, cioè nella comunione di Donato? Se dicono che a causa della comunione coi peccatori la Chiesa perisce, perché non dicono che essa è perita già al tempo di Cipriano? E così, non trovando più l'origine della loro esistenza, la smettano di dire che presso di loro è rimasta la Chiesa, che invece sarebbe totalmente perita, a sentir loro, già ai primi tempi. Se poi nei buoni che odiano queste azioni, essa è sempre rimasta, rimane e rimarrà, imparino i Donatisti, finalmente, a non interpretare le parole dell'Apostolo: Togliete il male di mezzo a voi, come un invito a cercare di raccogliere, per mezzo di scismi, la zizzania, sradicando anche il grano. Tutta questa discussione la facciamo, per ricordare, a quanti la leggono o l'ascoltano, che i Donatisti non sono mai riusciti a dimostrare, né all'epoca in cui i fatti erano molto freschi, e né ora, che il mondo è unito dalla pace cristiana nella Chiesa cattolica con una coscienza molto più forte della propria innocenza, che Ceciliano e quanti erano in pieno accordo con lui erano zizzania. Ma affinché ognuno resti tranquillo nell'unità della santa Chiesa e non segua i disertori di questa unità, per non perire con loro, noi diciamo: se essi fossero stati zizzania, i Donatisti avrebbero dovuto tollerarli fino alla mietitura, piuttosto che separarsene con uno scisma rovinoso e sradicare il frumento.
Agostino immagina una difficoltà.
2. 12. Ma si potrebbe dire: " Ma allora, come possiamo obbedire all'Apostolo che ci ordina: Con gente simile non mangiate neppure insieme 55? Se egli ordinasse solo la separazione del cuore dai malvagi, non direbbe: Vi ho scritto nella lettera di non mescolarvi agli impudici; certo, non agli impudichi di questo mondo 56, cioè a quelli che non sono cristiani e dei quali in seguito dice: Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori? Non giudicate voi quelli che sono dentro? Quelli invece che sono fuori li giudicherà solo Dio 57. Ma dal momento che ordina una separazione, che non si attua dai cattivi, che non sono cristiani, ma dai cattivi cristiani, mentre la separazione del cuore va fatta da tutti i cattivi, e quindi con il cuore ci dobbiamo separare anche dai cattivi non cristiani, che altro ci resta, se non comprendere che l'Apostolo ci ordina di non mescolarci con certi cattivi cristiani, come quelli che egli descrive, e di non intrattenere con loro, gli stessi rapporti che intratteniamo coi pagani, mescolati con essi nel consorzio dell'umana convivenza? Perciò, mentre altrove dice: Se qualche infedele vi invita, e voi volete andare, mangiate tutto quello che vi viene messo davanti, senza fare questioni 58, qui dice: Con simile gente non mangiate neppure insieme 59. Egli quindi permette di mangiare con gli infedeli, cioè, con quelli che non hanno ancora creduto in Cristo; presso costoro, egli dice, bisogna mangiare quello che ci mettono davanti, poiché essi sono fuori e li giudicherà Dio 60. Con quelli invece che sono dentro, cioè con quelli di cui dice: Se qualche fratello è ritenuto o impudico o idolatra o avaro o maldicente o ubriaco o rapace 61, l'Apostolo proibisce perfino di mangiare insieme. Paolo dunque ci persuade a separare la zizzania dal frumento prima della mietitura. Se noi ci rifiutiamo di farlo, poiché il Signore ce lo proibisce, la sopporteremo e resteremo con essa praticando solo la separazione del cuore e della volontà e perciò mangeremo anche con questi individui; cosa che l'Apostolo ci proibisce ".
Risponde adducendo la saggezza della Chiesa.
2. 13. Poiché la questione è entrata, per così dire, in una strettoia, io non dirò niente di nuovo o di inconsueto, ma solo ciò che la saggezza della Chiesa osserva. Ecco: quando uno dei fratelli, cioè dei cristiani presenti nella società della Chiesa, viene sorpreso in un peccato che lo fa giudicare degno dell'anatema, si proceda solo quando non esiste pericolo di scisma, e con la carità che l'Apostolo ci ha ordinato altrove, dicendo: Non lo considerate come un nemico, ma rimproveratelo come un fratello 62. Non si punisce per sradicarlo, infatti, ma per correggerlo. Se poi egli non si riconosce peccatore e non si corregge con la penitenza, sarà lui stesso a uscire fuori e a separarsi di propria iniziativa dalla comunione della Chiesa. Il Signore stesso, in effetti, quando disse ai servi che volevano raccogliere la zizzania: Lasciate che l'uno e l'altra crescano fino alla mietitura, premise questa motivazione: Affinché non avvenga che, per raccogliere la zizzania, sradichiate insieme anche il grano 63. In questa frase egli mostra chiaramente che quando questo timore non sussiste, ma la certezza della stabilità del frumento resta pienamente ferma; quando cioè, il delitto è talmente notorio e appare a tutti così esecrabile che, o non trova difensori o non ne trova di quelli in grado di provocare uno scisma, il rigore della disciplina non deve dormire. Ma, in questo caso, la correzione della malvagità sarà tanto più efficace, quanto più premurosa sarà la salvaguardia della carità. Ma questo si può fare senza la rottura della pace e dell'unità e senza danno per il grano, solo quando la moltitudine dell'assemblea della Chiesa è estranea al crimine punito con l'anatema. Allora essa sostiene il superiore che biasima, anziché il criminale che resiste; allora si astiene saggiamente dall'avere rapporti con lui, fino al punto di non mangiare neppure insieme, mosso non da un sentimento di rabbia per un nemico, ma di repressione di un fratello. Allora il peccatore viene colpito dal timore e guarito dal pudore, quando, vedendosi scomunicato da tutta la Chiesa, non riesce a trovare la folla alleata, con cui gioire del suo delitto e insultare i buoni.
Esegesi del testo: Se un fratello ha fama.
2. 14. Per questo l'Apostolo dice: Se qualche fratello è ritenuto 64. In effetti, dicendo: Se qualche fratello, pare che abbia voluto far capire che in questo modo la correzione può riuscire salutare, solo a chi pecca tra individui che sono diversi da lui, cioè che non sono corrotti dalla peste di simili peccati. Viceversa, dicendo: È ritenuto, egli ha inteso certamente far capire che conta poco, che uno sia peccatore, se non è ritenuto tale, se cioè non è notorio, di modo che la sentenza di scomunica contro di lui appaia a tutti come la più meritata. In questo caso, lo si corregge salvando la pace e lo si colpisce senza ucciderlo, ma lo si brucia con una medicina per guarirlo. Perciò, di colui che aveva voluto guarire con tale medicina, l'Apostolo disse: Per costui è già sufficiente il castigo che gli è venuto da molti 65. Ma il castigo che viene da molti non può essere salutare, se non quando ad essere corretto è un peccatore che non ha dalla sua parte la moltitudine. Quando invece uno stesso male si è impadronito di molte persone, ai buoni non resta altro che il dolore e il gemito, per meritare di uscire illesi, grazie al segno rivelato al santo Ezechiele, dal loro sterminio 66. Essi gridano a Colui che non può sbagliare: Non perdere con gli empi la mia anima e con i sanguinari la mia vita 67; altrimenti, volendo raccogliere la zizzania, finiscono per sradicare anche il grano e non purificare, per troppo zelo, la messe del Signore, ma ritrovarsi essi stessi, a causa della loro temerità, tra la spazzatura. È per questo motivo che l'Apostolo, avendo saputo che ormai molti erano i corrotti dalla sozza lussuria e dalle impudicizie, nella seconda Lettera ai Corinzi, non insiste più nel precetto di non mangiare con questi tali. Erano molti, infatti, ed egli non poteva dire: Se qualche fratello è ritenuto un impudico o un avaro o alcunché di simile, con questo tale non mangiate neppure insieme 68, ma dice: Temo che venendo di nuovo, Dio mi umili davanti a voi ed io abbia a piangere su molti che hanno peccato in passato e non si sono pentiti delle impurità, della fornicazione e delle dissolutezze commesse 69. Così, col suo pianto, egli minaccia che a punirli sia piuttosto un flagello di Dio, che questa correzione. che gli altri si astengano dai rapporti con loro. In seguito, infatti, dice: Ecco, questa è la terza volta che vengo da voi. L'ultima parola si troverà sulla bocca di due o tre testimoni. L'ho detto prima e lo ripeto, come uno che allora era presente per la seconda volta, e ora è assente, a quanti hanno peccato in passato e a tutti gli altri, che se verrò di nuovo non perdonerò più, visto che cercate una prova di colui che parla in me, Cristo 70. Che intende dire, qui, con: Non perdonerò, se non quanto ha detto sopra, con: ed io abbia a piangere, affinché il suo pianto ottenesse dal Signore un flagello, con cui correggere quelli che, diventati ormai una moltitudine, non potevano essere corretti, ingiungendo agli altri di astenersi da ogni rapporto con loro e per farli vergognare, come bisogna fare se qualche fratello è ritenuto peccatore per un crimine diverso da quello degli altri? In realtà, quando il contagio del peccato si impadronisce della folla, è necessaria la severa misericordia della disciplina divina. Gli inviti a separarsi da loro sono inutili, dannosi e anche sacrileghi, perché vengono da un empio orgoglio e servono più a turbare i buoni ancora deboli che a correggere i cattivi ostinati. Come fece quel fedelissimo testimone dell'avarizia dei suoi colleghi, che è Cipriano. Poiché tutte le tribolazioni, che la Chiesa all'epoca soffriva, egli le attribuiva al giudizio e alla disciplina di Dio, dopo aver parlato dei pessimi costumi dei vescovi a lui noti, i quali, mentre i fratelli avevano fame, essi volevano possedere argento in abbondanza, rapivano i poderi con astuti inganni e accrescevano il capitale raddoppiando le usure, conclude: " Che cosa non meriteremo di soffrire, stando a quel che siamo, per simili peccati? ". E cita inoltre questo testo dei Salmi: " Benché già da tempo il giudizio divino abbia preavvisato e detto: Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non cammineranno nei miei precetti; se profaneranno le mie prescrizioni e i miei comandamenti, punirò con la verga i loro misfatti e coi flagelli i loro delitti. Ma non ritirerò da loro la mia misericordia 71 ".
Il peccatore va corretto con misericordia e tollerato con pazienza.
2. 15. L'uomo, dunque, corregga con misericordia ciò che può; ciò che invece non può correggere, lo sopporti con pazienza, e pianga e gema con amore, finché il Signore o purifica e corregge dall'alto, o differisce il tempo di sradicare la zizzania e di vagliare la paglia, fino alla mietitura. Tuttavia, perché i cristiani di buona speranza, possano vivere sicuri della loro salvezza nell'unità, tra i disperati, che non riescono a correggere, della loro salvezza, tolgano il male da se stessi, cioè, non accettino in se stessi, ciò che riprovano nella condotta degli altri. L'Apostolo infatti, dopo aver detto: Spetta forse a me giudicare quelli che sono fuori? Non giudicate voi quelli che sono dentro? Quelli che sono fuori li giudicherà Dio 72, quasi prevedendo questa risposta: " Che fare quando la folla dei cattivi ci incalza a tal punto da non permetterci di esercitare il nostro giudizio con un castigo? ", replica: Togliete il male da voi stessi. Cioè: " Se non potete togliere i malvagi di mezzo a voi, togliete il male da voi stessi ". Ma se uno volesse intendere questa frase: Togliete il male da voi stessi, nel senso che è con la pena della separazione che deve essere eliminato dall'assemblea dei fratelli ogni malvagio, lo si deve fare, e di ciò nessuno dubita, col desiderio di guarirlo e non con l'odio di chi vuole ucciderlo. Quanto alla misura da usare e ai tempi da rispettare, per non violare la pace della Chiesa, nella quale bisogna avere la massima attenzione per il grano, perché non venga sradicato con la zizzania, ne abbiamo già discusso per quel tanto che per ora ci è parso necessario. Chiunque vi riflette con attenzione e serenità, né trascura il rigore della disciplina nella custodia dell'unità, e né, per difetto di misura nella repressione, infrange il vincolo della società.
Esegesi della 1 Cor 5, 11.
2. 16. In verità, il precetto dell'Apostolo: Con questo tale non mangiate neppure insieme 73, quanti buoni cristiani lo praticano verso quelli di cui hanno una responsabilità più familiare, tanto che, se possono allontanare dalla loro compagnia quelli che ritengono di poter separare con questa correzione o quelli che non sperano affatto di correggere, proprio per evitare che essi corrompano gli altri col contatto dei loro cattivi rapporti 74, non esitano a farlo. In questo riesce bene, cioè lo fa con umile carità e benevola severità, colui che presiede ai suoi fratelli, in maniera da ricordarsi di essere loro servo, secondo il comando e l'esempio del Signore 75. In questo caso, infatti, lo si fa e senza l'orgoglio di prevalere sull'uomo e con il pianto che accompagna la preghiera a Dio. Ora, mentre è facile, per un vescovo, rimuovere un chierico dall'ordine e, per un vescovo o un chierico o un prelato, investito di autorità, allontanare un povero dal gruppo degli assistiti dalla Chiesa o dalla stessa assemblea dei laici, e indurre quelli ai quali si può dare questo precetto, a non mangiare neppure con loro, non è altrettanto facile poter escludere e scacciare dalla mescolanza coi buoni, una moltitudine di cattivi presenti nei diversi ordini della Chiesa. In verità, nelle loro case, alcuni buoni fedeli regolano e disciplinano così bene la condotta dei loro familiari, che anche in esse obbediscono al precetto dell'Apostolo: Con questo tale non mangiate neppure insieme 76, perché lo praticano o ordinano di praticarlo verso i loro figli e i loro familiari, appena notano che questi vivono in maniera tale, che è proprio l'amore per essi a suggerire loro questo comportamento. Viceversa la folla degli iniqui, quando si ha la possibilità di parlare in pubblico, bisogna colpirla con un rimprovero generale, soprattutto se ci offre l'occasione e l'opportunità qualche flagello dall'alto, da cui appare chiaro che il Signore li percuote per i loro meriti. In questo caso, infatti, la disgrazia che colpisce gli ascoltatori predispone le orecchie dei semplici a un discorso di correzione; e gli animi afflitti sono più facilmente spinti al pianto della confessione che ai brontolii della opposizione. Così fece, allora, san Cipriano: egli forse non avrebbe parlato in quel modo dei suoi colleghi, se dall'alto non lo avesse aiutato la divina severità. In effetti, egli faceva quelle riprensioni in un periodo tanto difficile, funesto e luttuoso, per cui i suoi colleghi non solo non osarono sdegnarsi, ma capivano che a stento avrebbero potuto essere perdonati da quelli che erano indignati contro di loro. E anche se oggi non siamo oppressi da nessuna calamità e tribolazione, avendone la possibilità, è utile rimproverare la gente nell'assemblea. La gente rimproverata a parte suole incattivirsi, in pubblico suole piangere. Per questo motivo non bisogna assolutamente trascurare né questo precetto dell'Apostolo 77, quando lo si può fare senza il pericolo di violare la pace - egli neppure, infatti, ha voluto che si agisse diversamente per allontanare il malvagio dall'assemblea dei buoni - e né, principalmente, l'altro suo precetto: di sopportarci a vicenda per conservare l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 78. Parimenti, quando il Signore parla nel Vangelo, bisogna obbedirgli, e dove dice: Se non ascolterà neppure la Chiesa, sia per te come un etnico e un pubblicano 79, e dove proibisce di raccogliere la zizzania, perché non accada che si sradichi anche il grano 80. Ma i due precetti possono osservarli quelli di cui sta scritto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio 81.
Vengono spiegati altri testi addotti da Parmeniano.
3. 17. Ma è ormai ora di esaminare gli altri testi citati da Parmeniano. Di tutti quelli che evidenziano il loro sacrilego tumore, nessuno lo mostra meglio, come il testo che egli ha osato citare perfino dal profeta Geremia, per convincere i ciechi, che la comunione dei Donatisti non solo è la vera Chiesa, ma che già da adesso è uguale a quella che sarà, dopo l'ultima vagliatura, la Chiesa santa. Che cosa si può aggiungere a questa sacrilega presunzione ed empia superbia io non lo so. È vero che in molti passi dei loro discorsi si vede che non pretendono altro, ma qualche volta arrossiscono, visto che la verità li incalza, quando li si interroga se non hanno o se non siano, essi stessi, dei peccatori. Comunque, con questo testo del Profeta, hanno scoperto, molto chiaramente, la loro empia vanità e la grande perversità. Infatti, san Geremia, volendo mostrare ai buoni e ai malvagi che, sebbene temporaneamente riuniti in un'unica società, il valore della loro condotta e il fine dei loro meriti sono però molto diversi, disse: Che hanno in comune la paglia e il grano? 82 Parmeniano, invece, volendo ribattere la tesi di Ticonio, secondo la quale, i cattivi presenti nell'unità, ora, devono essere tollerati dai buoni per amore della pace e, alla fine dell'ultimo giudizio divino, essere separati, ha citato questo testo di Geremia per incitare, lui perverso ed errante, altri perversi ed erranti, alle più turbolenti e criminali sommosse. Così che, tutti quelli che nella superba mente della carne pensano di essere qualcosa, mentre sono niente 83, e giudicano se stessi e i loro simili come frumento purissimo, non credano più di essere obbligati ad entrare nell'assemblea della Chiesa, nella quale è necessario che quanti appartengono alla vita eterna tollerino sino alla fine quanti appartengono al fuoco eterno, come il grano tollera la sua paglia. Nessun altro vento ha scosso la paglia leggerissima dall'aia di Cristo prima del tempo della vagliatura! Nessun'altra presunzione sacrilega ha creato gli scismi, ovunque sorgono!
Le tre punte del ventilabro donatista.
3. 18. " Il santissimo Geremia - dice Parmeniano - ci invita a separare le folle infruttuose e sterili dei peccatori dalla venerata messe dei giusti, dicendo: Che ha in comune la paglia col grano? 84 ". O tromba del furore! O parola di esecrabile malizia! Possibile che l'umanità sbagli a tal punto da non riconoscere in Parmeniano, il vagliatore? Oppure egli cede il passo a Donato e si vanta di essere venuto alla massa che questi aveva purificata? Veramente io non so se Parmeniano si degna ammettere che Maggiorino è prima di lui. Oppure questi tre sono stati, nelle mani del Signore, come tre punte di un ventilabro, per mezzo dei quali fosse purgata la messe del mondo, e l'Africa è stata scelta come luogo per concentrarvi la massa purificata, mentre tutto il resto ricoprirebbe, come paglia separata, tutta la terra? Ma allora, da dove vengono tante bande di circoncellioni? Da dove tante folle di commensali ubriachi e tutti questi stupri di donne, nubili ma non incorrotte? Da dove tutti i ladri, gli avari e gli usurai? Da dove sono sorti tutti quelli che, nelle rispettive regioni, desideravano essere altrettanto molto noti, ma non altrettanto validi Ottati? Che cosa rispondono? Che questo non esiste? O che anche questo è grano? Ah, che spudorata negazione sarebbe rispondere che da loro questo non esiste! Ah, che nefanda perversità rispondere che è tutto grano! Infine, perché una massa di grano purificata da un tridente sì autorevole, formato da Maggiorino, Donato e Parmeniano, anche Primiano ha osato vagliarla di nuovo per separare i Massimianisti dalla sua comunione?. O forse egli ha gettato via il frumento? Che cosa sono, dunque, lui e i suoi, che hanno gettato via questo frumento? O questo frumento è stato talmente purificato, che gli uni e gli altri non si riconoscono e cercano di vagliarsi condannandosi a vicenda? Avrebbe potuto, la paglia, battezzare il frumento? Se sì, perché allora dicono: Che ha in comune la paglia con il grano? Se poi non avrebbe potuto, perché Feliciano, dopo essere volato fuori nella paglia dei Massimianisti, è ritornato, lui e tutti quelli che aveva battezzato, in questa massa ben mondata, e ora i Donatisti li hanno tutti dentro, senza chiedersi: Che ha in comune la paglia col grano?
Il senso di Ger 23, 28.
3. 19. Via, si sveglino finalmente e capiscano in che senso il profeta ha detto: Che ha in comune la paglia col grano? 85 Ma prima considerino in quale luogo questo si può dire, se hanno un po' di buon senso. Si può dire sul terreno: Che ha in comune la paglia col grano, quando ancora li sostiene entrambi la stessa radice? Si può dire sull'aia, dove vengono triturati insieme? Non v'è dubbio è nel granaio che si può dire: Che ha in comune la paglia col grano? Verrà infatti il padre di famiglia, portando nelle sue mani il ventilabro, monderà la sua aia, riporrà il grano nel granaio, la paglia, invece, la brucerà, nel fuoco inestinguibile 86. Sappiamo che in un'altra similitudine tutto il grano viene significato col nome di gregge e tutta la paglia col nome di capri, cioè, con due tipi di armenti che, per ora pascolano, mescolati, sotto un solo pastore. Ma verrà il Figlio dell'uomo con i suoi angeli e si raduneranno davanti a lui tutte le nazioni. Ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri. E porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. E dirà a quelli che sono alla destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno che è stato preparato per voi fin dall'inizio del mondo. A quelli invece che sono alla sinistra dirà: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli 87. È allora, quindi, che si compirà la profezia: Che ha in comune la paglia con il grano? cioè, quando capri e pecore non potranno avere più un pascolo comune. Se i pesci buoni possono dire ai pesci cattivi che sono nella rete, che il Signore ha assimilata al regno dei cieli 88: " Allontanatevi da noi o ce ne andiamo noi, mentre sono in attesa di essere tutti condotti alla spiaggia e che gli angeli mettano i buoni nei vasi e i cattivi li gettino via ", è possibile realizzare, nel tempo presente, il detto: Che ha in comune la paglia col grano? Ora, quanti ritengono la propria assemblea frumento già mondato, sono volati via da questa mescolanza di grano e paglia come paglia leggera; quanti non si sentono di pascolare ancora insieme ai capri sotto un solo pastore, sono stati separati dal gregge del Signore dalle insidie dei lupi; e quanti, infine, credono di non essere più uniti ai pesci cattivi non solo sono pesci cattivi, ma hanno anche spezzato le reti dell'unità. Se poi crediamo che il detto di Geremia: Che ha in comune la paglia col grano? si realizza già da ora, in nessun altro modo possiamo capirlo rettamente, se non che grano e paglia sono certamente in una sola assemblea, finché siano separati anche col corpo alla fine della vagliatura, e tuttavia il grano ha il cuore in alto, la paglia in basso. In effetti, la paglia cerca i propri interessi e non quelli di Gesù Cristo 89, il grano, invece, accumula tesori nel cielo. E dove è il suo tesoro, là è anche il suo cuore 90.
Il vero senso di Isa 52, 11.
4. 20. In questo modo vanno interpretate anche le parole del beato Isaia, che Parmeniano, egualmente senza comprenderle, ha tentato di distorcere per piegarle a sostegno della sua opinione errata. Che ha detto, infatti, Isaia? Allontanatevi, allontanatevi, uscite di là, e non toccate ciò che è impuro. Uscite da qui e separatevi, voi che portate i vasi del Signore 91. Dobbiamo forse ripetere sempre le stesse cose sul modo di attuare la separazione del cuore dai cattivi? Ecco: non tocca ciò che è impuro chi non approva nessun peccato. Esce invece di là, per salvare la sua causa davanti a Dio, se, fatta salva la pace, non trascura neppure il castigo della correzione e del rimprovero. In effetti, chi vuole abbandonare col corpo i cattivi quasi palesi, finisce per abbandonare, con lo spirito, i buoni nascosti, che egli è costretto ad accusare, senza averli frequentati e conosciuti, per cercare di giustificare la sua separazione.
Si citano degli esempi.
4. 21. Rispondano, ora, i Donatisti: se Feliciano è puro, perché uscì di mezzo a loro? Se invece è impuro, perché essi toccano un impuro? Se poi è stato impuro quando stava fuori, sono impuri quelli che egli ha battezzato fuori, perché hanno toccato un impuro. Oppure sono stati tutti purificati ritornando con lui? Possono dunque, i Donatisti, purificare quelli battezzati fuori, che non hanno battezzato nella loro comunione? Perché allora ribattezzano gli altri? Oppure essere condannati dai trecentodieci giudici di Bagai, è per caso un privilegio, e quindi chiunque viene a loro dal mondo, lo si ribattezza, perché il mondo non ha meritato il privilegio di essere condannato dal concilio di Bagai?. E che? Tutti quelli che, una volta battezzati da Massimiano e dagli altri suoi amici, che non sono ritornati alla comunione di Primiano, vengono da voi, si ribattezzano o si perdonano? Se si ribattezzano, si viola il privilegio di Bagai - esso infatti ha condannato anche i loro battezzatori -; se invece si condona loro, dobbiamo pregare i Donatisti di riunirsi ancora nel villaggio di Bagai e, nel caso che il numero trecentodieci fosse ormai diventato sacro, se ne riuniscano altrettanti e, in quella sede pronuncino una sentenza contro il mondo, come fecero contro i Massimianisti. Così, quando essi vogliono ribattezzare uno che viene da una regione del mondo, questi, forte di un uguale privilegio, possa difendersi affermando che gli spetta lo stesso riguardo, che si ha verso chi è battezzato da un massimianista, dato che ormai non solo i Massimianisti, ma anche il mondo ha avuto il privilegio di essere condannato dal concilio di Bagai. Per di più, si libereranno da un odio veramente grande; di modo che, quando cominceranno a non ribattezzare più quanti sono già stati battezzati nella Chiesa stabilita in tutte le nazioni, a chi domandasse loro, perché non fanno più ciò che facevano prima, potranno rispondere: "Quando lo facevamo, ancora non avevamo condannato, nel concilio di Bagai, il mondo; mentre ora, richiesti, abbiamo concesso, per misericordia, di condannarlo con lo stesso concilio con cui abbiamo condannato i Massimianisti, il cui battesimo non ripetiamo ". Ora, è tanto arduo e tanto difficile concedere a tutte le nazioni questo grande privilegio della condanna? O ripetere il battesimo del mondo è permesso, e ripetere la condanna del mondo non è permesso? Ma stiano tranquilli anche su questo; non troviamo un concilio che abbia condannato tante nazioni e province. In Africa essi hanno condannato poche persone, e da esse, a giudizio di tutto il mondo, sono stati sconfitti, e in seguito non hanno osato condannare i giudici presso i quali sono stati sconfitti. Che cosa, infatti, sarebbe stato più impudente e più folle? Molto meno poterono condannare coloro che si trovano anche nelle altre regioni della terra, i quali hanno preferito credere a questi giudici ecclesiastici che ai litiganti vinti. Ciò non ostante, il battesimo dei Massimianisti, condannati dai trecentodieci donatisti nel concilio di Bagai, lo riconoscono, lo accettano e lo ammettono; il battesimo del mondo, invece, mediante il quale l'eredità di Cristo si è manifestata così come è stata promessa; eredità nella quale, fino a pochi anni fa, c'erano anch'essi; un battesimo che in nome di nessun diritto hanno potuto condannare, e che per nessuna perversità, nemmeno di un concilio, hanno di fatto condannato, si condanna, si esorcizza, si ripete. O santa condanna, che i Massimianisti hanno meritata! O faticosa innocenza delle nazioni, che ha perso, ai loro occhi, il nome cristiano, solo perché non ha potuto trovare il modo di subire tale condanna!
Contraddizioni dei Donatisti.
4. 22. Se poi a non essere ribattezzati sono soltanto quelli che, pur venendo dai Massimianisti, tornano con i loro battezzatori, come quelli che tornarono con Pretestato e Feliciano, considerino, innanzitutto, come mai il battesimo di uno stesso scisma, dato egualmente fuori della loro comunione, in alcuni lo confermano e in altri lo esorcizzano, in un caso lo rispettano, in un altro lo violano. In questo modo, infatti, dove essi lo violano diventano colpevoli, dove lo confermano vengono trovati testimoni del loro peccato; tanto che se, in seguito, lo confermassero e non lo violassero più, questa non sarebbe considerata incoerenza, ma conversione. Ma dato che rimproverano in alcuni ciò che approvano in altri, nel primo caso sono condannati, nel secondo testimoniano contro se stessi. Io chiedo, infatti: perché non ribattezzi quelli che ha battezzato Feliciano nello scisma di Massimiano? Perché hanno ricevuto il battesimo di Cristo, o perché hanno ricevuto quello di Feliciano? Se è perché hanno ricevuto quello di Feliciano, questi lo diede presso i Massimianisti, da condannato; lo diede fuori della vostra comunione ed è lo stesso battesimo che diedero Salvio di Membressa e altri peccatori. Se invece, è perché esso era di Cristo, ne consegue che di fronte a te conta di più, riguardo al battesimo di Cristo, Feliciano tra i Musitani che Cristo stesso nel mondo; conta di più, riguardo al battesimo di Cristo, colui che siede al tuo fianco ed è stato condannato da te, di Colui che siede alla destra del Padre ed è stato crocifisso per te. Ecco: ci si preoccupa del battesimo di Cristo in pochissime persone, per non offendere Feliciano, e non ci si preoccupa che Cristo stesso non sia rifiutato in moltissime nazioni.
I Donatisti non vedono nel comportamento dei Profeti il senso delle loro parole.
4. 23. Ora, è incredibile la cecità degli uomini, e io non so proprio come si potrebbe credere che in essi vi sia tanta perversità, se, dalle loro parole e dalle loro azioni, non fosse evidente che hanno gli occhi del cuore così chiusi, che, quando citano i testi della sacra Scrittura, non vedono nelle azioni dei Profeti in che senso le loro parole profetiche vanno comprese. Ha detto Geremia: Che ha in comune la paglia col grano?92 Ma che forse egli si separò dalla paglia del suo popolo, contro la quale predicava tante verità? Ha detto Isaia: Allontanatevi, allontanatevi, uscite di qui: non toccate ciò che è impuro 93. E perché egli, l'impurità che condannava nel popolo con severe parole, la toccava vivendo con essi in un'unica assemblea? Leggano quante maledizioni, e con che veemenza e sincerità, egli pronunciò contro i malvagi del suo popolo, dai quali, tuttavia, non si separò mai con una aperta rottura. Ha detto Davide: Non mi sono seduto nell'assemblea della menzogna, e non frequenterò i criminali. Ho odiato l'adunanza dei malvagi e non siederò con gli empi 94. Leggano quali peccatori lui stesso sopportò, ai suoi tempi, nel popolo! Egli che ebbe in tanto onore il segno misterioso dell'unzione, da non disprezzarlo neppure nell'empio Saul; anzi, lo venerò in modo tale che meglio non avrebbe affatto potuto. Non è forse vero che, se opponessimo le loro parole alle loro azioni, ci risponderebbero: " Veramente con tali individui noi non abbiamo avuto, nel cuore, niente in comune, e non toccavamo alcunché di impuro, il cui contatto può contaminare; cioè, ci tenevamo lontano e ci separavamo da essi col consenso e col compiacimento interiore, poiché, non solo tali cose non le facevamo noi, ma non tacevamo di fronte a quanti le facevano ". Per quanto riguarda i Donatisti sediziosi e folli, che cercano nelle parole dei Profeti la giustificazione alle loro divisioni, ci manca solo che, nella loro rabbiosa empietà, biasimino la condotta dei Profeti con le parole dei Profeti. Oppure arriveranno a dire che a quei tempi non era permesso, ai giusti, di separarsi dal popolo malvagio, mentre ora è permesso? Non sarebbe molto strano dire che a quell'epoca i buoni non si potevano separare col corpo dai cattivi, poiché erano obbligati a celebrare molti sacramenti con la presenza materiale, mentre ora la separazione del corpo è necessaria, perché ormai si celebrano con una presenza spirituale?
I cristiani lontani dall'Africa non sono colpevoli di quanto vi fu commesso.
4. 24. Guai ai ciechi che guidano e ai ciechi che li seguono! Possibile che non temono, con questi discorsi, che in tutta l'estensione della terra, dove la fede e il nome di Cristo si sono diffusi, prima che si separassero i Donatisti, alcuni giusti si siano separati in qualche zona della terra molto lontana dalle regioni africane, e i Donatisti continuavano a vivere al contatto dell'impurità, che quelli avevano fuggito? Chi li garantisce, chi li rassicura che, se tale separazione dai cattivi è necessaria, prima ancora dei Donatisti, non sia stata mai fatta in qualche zona talmente lontana, che gli africani non ne seppero niente, come è del tutto ignoto, nelle estreme regioni della terra, il partito di Donato? Forse diranno che ciò che ignoravano non avrebbe potuto nuocergli. Analogamente, quindi, non può nuocere, in quelle regioni, ciò che è accaduto in Africa e che esse ignorano, anche se fossero vere le menzogne che essi dicono circa i crimini degli africani. Se poi dicono che, qualora ci fosse stata, non sarebbe potuta restare nascosta ad essi, allora ci elenchino tutti gli scismi avvenuti in tutte le regioni della terra. È chiedere troppo? Limitatamente all'Africa, ci dicano, i Donatisti di Cartagine o almeno quelli delle vicinanze di Cartagine, quante fazioni sono nate, nella Numidia e nella Mauritania, dal partito di Donato. Le cause di tutte queste le dovrebbero senz'altro conoscere, per timore che alcuni giusti, nelle loro regioni, possano avere abbandonato la società e l'assemblea dei malvagi, esserne usciti per non toccare ciò che è immondo 95 e non frequentare gli scellerati 96; e per timore che in qualche angolo della Numidia e della Mauritania, mentre il frumento si è separato già alcuni anni prima, i Donatisti siano rimasti come paglia e non lo sanno. Ma che cosa li rende così tranquilli, se non la certezza che quanti si separarono dall'unità della comunione di Donato, diffusa in tutta l'Africa, non poterono essere buoni? In effetti, se essi subivano la vicinanza di alcuni malvagi, che non erano in grado di indicare agli altri, avrebbero dovuto piuttosto sopportarli che separarsi da tanti innocenti, ai quali non potevano provare i peccati degli altri, anche se li avessero conosciuti benissimo. E allora, perché la stessa innocenza non riconoscerla al mondo diffuso in una moltitudine ed estensione tanto grande di nazioni, ovunque si estende l'eredità di Cristo, da essere certa e sicura che quanti si dichiarano buoni e si separano dall'unità del mondo, proprio per questo dimostrano che gente sono? Essi, infatti, si credono giusti e disprezzano gli altri, e quindi non cantano il cantico nuovo, perché si innalzano sulla superbia del vecchio uomo. Essi si separano certamente da quella comunione a cui è stato detto: Cantate al Signore un cantico nuovo, cantate al Signore tutta la terra 97. Se veramente fossero giusti, sarebbero anche umili; ma se fossero umili, anche se sopportassero, nell'assemblea, la vicinanza dei malvagi, che non fossero in grado di cacciare dall'unità di Cristo, amerebbero sopportarli per amore di Cristo. Ma come possono avere un giudizio giusto di quelli che, pur essendo vicini, accusano come cattivi, se, con temeraria cecità, accusano quelli molto lontani e, per di più, molto sconosciuti? Ora, se essi abbiano conosciuto i loro cittadini o i loro vicini, che accusano di essere cattivi, il mondo non ne è certo; ma che essi si separano con temeraria cecità da quelli di cui non possono conoscere la vita, perché si trovano lontano, il mondo ne è certo. E che sia una lodevole pazienza tollerare i cattivi noti, per non condannare i buoni ignoti, il mondo ne è certo. Di conseguenza, il mondo giudica con piena sicurezza che non sono buoni quelli che si separano dal mondo in una qualunque parte della terra.
Paolo e Cipriano conservarono l'unità anche stando tra i peccatori.
4. 25. Infine, se i Profeti hanno invitato i posteri a separarsi corporalmente dalla paglia prima dell'ultima vagliatura, e a evitare, con questa separazione, di toccare ciò che è impuro 98, e a non frequentare i criminali 99, perché l'apostolo Paolo non lo ha fatto? O non erano paglia quelli che predicavano Cristo non per sincerità, ma per invidia? O non erano impuri quelli che predicavano il Vangelo senza retta intenzione 100? Che nella Chiesa di quel tempo vi fossero di costoro, Paolo lo attesta, e la sua sublime carità, che tutto sopporta 101, hanno poi imitata anche i posteri. O non è un'impurità l'avarizia, che Cipriano non toccò col cuore, eppure visse con grande pace tra i colleghi avari? Evidentemente era diventato sordo alle parole dei Salmi, tanto da sedersi nell'assemblea della menzogna, frequentare i criminali, non odiare l'adunanza dei maligni e sedere con gli empi 102! O non formavano un conciliabolo di menzogna 103, quelli che, mentre nella Chiesa i fratelli avevano fame, bramavano avere argento in quantità? O non erano criminali quelli che rapivano i poderi con astuti inganni? O non erano depravati ed empi, quelli che, moltiplicando le usure, aumentavano il capitale? Ciononostante Cipriano lavava le sue mani con gli innocenti e girava attorno all'altare del Signore 104. Egli sopportava i colpevoli, proprio per non abbandonare gli innocenti con i quali si lavava le mani: amava infatti lo splendore della casa del Signore, splendore presente nei vasi degni di onore. In una grande casa, infatti, non vi sono solo vasi d'oro e d'argento, ma anche di legno e di coccio. Gli uni sono per usi nobili, gli altri per usi spregevoli 105. Egli si conservava puro da questi ultimi, per essere anch'egli un vaso nobile, santificato, utile al Signore, e pronto per ogni opera buona 106, e né, per colpa dei vasi destinati ad usi spregevoli, si allontanava dalla grande Casa, ma, pur rimproverandoli, tollerava, nell'unità della Casa, quelli dai quali si conservava puro non imitandoli.
Parmeniano interpreta male il Salmo 25, 40 10.
5. 26. Certo, Parmeniano è bravo a citare questo brano del Profeta: Non mi sono assiso nell'assemblea della menzogna e non frequenterò i criminali. Ho in odio l'adunanza dei malvagi. Laverò con gli innocenti le mie mani e girerò attorno all'altare del Signore, per ascoltare voci di lode e raccontare tutte le tue meraviglie. O Signore, ho amato lo splendore della tua casa e il luogo in cui si trova il tabernacolo della tua Gloria. Non perdere la mia anima con i peccatori e con uomini sanguinari la mia vita, nelle cui mani vi sono i delitti e la loro destra è piena di regali 107. Parmeniano è bravo a citare questo testo, ma non si preoccupa di rilevare com'è possibile obbedirvi senza cadere nel sacrilegio di una empia divisione. Lo splendore della Casa, infatti, e il luogo del tabernacolo della Gloria di Dio 108, non risiede, come ho detto, in tutti i vasi, che pure sono nell'unica grande Casa, ma solo in quelli destinati ad usi nobili, santificati, utili al padrone e sempre pronti per ogni buona opera 109. Ora, chiunque ama lo splendore della Casa di Dio e il luogo del tabernacolo della sua Gloria 110, sopporta i vasi destinati ad usi spregevoli e né, a causa loro, lascia la Casa, proprio per non diventare egli stesso, non dico, un vaso per usi spregevoli, che pure viene sopportato nella casa, ma addirittura sterco che si getta fuori di casa. Ed è per questa temporanea convivenza coi malvagi in un'unica casa, che egli prega, dicendo: Non perdere la mia anima con i peccatori, e con uomini sanguinari la mia vita: nelle loro mani vi sono i delitti e la loro destra è piena di regali 111. Certamente egli prega così, per non perire insieme a quelli con i quali lo obbligava a convivere la carità; è il sacrificio di cui ha parlato prima, dicendo: Signore, ho amato lo splendore della tua casa e il luogo in cui si trova il tabernacolo della tua Gloria 112. Infatti, poiché ho amato lo splendore della tua casa e, per questo amore, sopporto i vasi destinati ad usi spregevoli, in quanto la carità sopporta tutto 113, non perdere con loro la mia anima. Non è forse vero che in queste parole risuona la voce di quelli che, secondo la profezia di Ezechiele, gemevano e piangevano le iniquità del popolo commesse in mezzo a loro e che, essendo vasi per usi nobili 114, meritarono di ricevere un segno particolare, affinché, quando sarebbe iniziata la devastazione e distruzione di tutti gli iniqui, Dio non avesse perso la loro anima coi peccatori? I miseri Donatisti, invece, che presumono di essere stati purificati dall'assemblea di tutti i malvagi, come il grano dalla paglia, per la loro millanteria, si sono danneggiati, tanto che, nelle popolazioni che governano, non osano rimproverare, per correggerle, le folle molto inique e turbolente, per non essere costretti ad ammettere implicitamente la presenza di malvagi e per non sentirsi dire: " È vero, voi parlate al grano purificato: ma perché con questi discorsi ammettete che vi è mescolata tanta paglia? " Quindi, siccome non sono giusti, non correggono e non rimproverano con misericordia, ma ungono con l'olio dell'adulazione, il capo di quelli di cui essi stessi vogliono essere capi 115, poiché non vogliono stare sotto l'unico Capo che è in cielo, nell'unità del Corpo che è in tutta la terra. A ragione quindi si dice ai loro fedeli: Quanti vi chiamano felici, vi trascinano nell'errore e deviano i sentieri dei vostri passi 116.
I giusti gemono e piangono in tutta la città, che è la Chiesa, per colpa dei peccati del popolo.
5. 27. Chi dunque non vuol sedere nell'assemblea della menzogna 117, non si abbandoni alla presunzione dell'orgoglio, né vada in cerca di assemblee di giusti, separate dall'unità del mondo. Non ne potrà trovare. I giusti infatti si trovano in tutta la città, che non può restare nascosta, perché è posta sopra un monte 118 - mi riferisco al monte di Daniele, dal quale una pietra si staccò senza la forza delle mani, crebbe e riempì tutta la terra 119 -; ed è in tutta questa città diffusa nel mondo, che i giusti gemono e piangono per le iniquità commesse in mezzo a loro. Egli quindi non cerchi dei giusti separati, ma piuttosto, in questa mescolanza temporanea coi malvagi, gema di comune accordo con loro. Egli infatti non siederà nell'assemblea della menzogna, perché siederà là dove abita, e ascolterà l'Apostolo che dice: La nostra abitazione è nei cieli 120. Là egli non abiterà con i criminali, là non dovrà subire l'adunanza dei malfattori, là non siederà con gli empi 121. Dimori in questa speranza, per meritare di giungere un giorno alla realtà che ora spera. Noi infatti non siamo ancora risorti come Cristo, né ora sediamo con lui nei cieli; e tuttavia, poiché egli ci ha dato questa speranza e poiché, mediante questa speranza, in certo qual modo vi abitiamo, l'Apostolo ci dice: Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo, assiso alla destra di Dio. Gustate le cose del cielo, non quelle della terra. Siete morti, infatti, e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio 122. Stando in questa nostra vita, che è nascosta con Cristo in Dio, noi non sediamo nell'assemblea della menzogna, poiché, come dice lo stesso Apostolo: Con lui ci ha anche resuscitati e ci ha fatti sedere nei cieli 123, ma nella speranza e non ancora nella realtà. Ora, una speranza che si vede, non è speranza. Ciò che uno vede, infatti, come può sperarlo? Ma se speriamo ciò che ancora non vediamo, lo attendiamo con pazienza 124. Questa pazienza i miseri Donatisti l'hanno persa e, per la fretta di separarsi anzitempo da ciò che sembra paglia, hanno dimostrato di essere essi stessi paglia leggerissima, che il vento ha portato via dall'aia. Seguiamo ciò che dice la Sapienza: Chi mi ascolta dimorerà nella speranza e, senza timore, sarà al riparo da ogni male 125. Finché dunque dimoriamo nella speranza, pensiamo non a ciò che siamo, ma a ciò che saremo; noi infatti già siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato; ma quando egli si manifesterà, saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è 126. Finché, ripeto, dimoriamo nella speranza, non essendovi, in questa dimora mentale, dei malvagi, non subiamo assemblee di menzogna, né criminali, né iniqui e né empi. E tuttavia, non è nella speranza, ma nella realtà visibile, che ora noi li tolleriamo nella comunità cattolica diffusa in tutto il mondo, finché passi l'iniquità, finché si raccolga, alla mietitura, la zizzania, finché il ventilabro finale separi la paglia dal grano 127; finché i pesci buoni siano selezionati sulla riva dai pesci cattivi, coi quali sono tutti riuniti nelle stesse reti 128; finché, nell'ultimo giorno, i capri siano separati dalle pecore, con le quali hanno a lungo pascolato negli stessi pascoli sotto un solo pastore, e posti alla sinistra 129.
I buoni non si possono mai separare dalla Chiesa.
5. 28. Non c'è, quindi, nessuna sicurezza di unità, tranne la Chiesa proclamata dalle promesse di Dio, la quale, essendo stata posta sul monte, come si è detto, non può restare nascosta, ed è quindi necessario che sia conosciuta in tutte le regioni della terra. Teniamo come punto fermo ed incrollabile, che i buoni non possono separarsi da essa; che i buoni, cioè, anche se soffrono la presenza di malvagi ad essi noti, ovunque vivono, non possano trovare nei cattivi un pretesto per separarsi dai buoni che sono lontani e che ignorano, commettendo il temerario sacrilegio dello scisma. Sicché, in qualunque regione della terra sono avvenuti o avvengono o avverranno gli scismi, le altre regioni della terra, che sono lontane e che non sanno se essi sono veramente avvenuti e perché sono avvenuti, e che, ciononostante, restano nel vincolo dell'unità con il mondo, hanno la stessa ferma certezza che a farlo non possono essere stati che individui pazzi per il tumore della superbia o insani per il livore dell'invidia o corrotti dalla comodità secolare o perversi per il timore carnale. Per tutte queste ragioni succede o che i buoni siano accusati di falsi crimini o che alla leggera si credano dei buoni cose false o anche, che i cattivi, che tollerati per il vincolo dell'unità non sono di nessun danno ai buoni, una volta distrutta la pace coi buoni, si fuggano commettendo una grande perversità, quando non si ha riguardo per la cernita del frumento, poiché gli uomini usurpano, prima della mietitura, ciò che spetterà agli angeli alla mietitura.
Quando i Donatisti subiscono dei castighi, non sono certamente martiri. Il caso di Salvio.
6. 29. Ciononostante, i sacrileghi scismi o le empie eresie, se vengono ammoniti a correggersi da qualche flagello, osano perfino considerare martirio i castighi ricevuti per la loro follia. Anche Parmeniano la pensa così; perciò, al termine della sua lettera esorta Ticonio a restare nel partito di Donato e a sopportare le persecuzioni, dicendogli che non deve unirsi, di sua iniziativa, a quelli ai quali i Donatisti non si unirono neppure costretti dalla persecuzione, e citandogli questo testo della Scrittura: Guai a coloro che hanno perso la pazienza e si sono sviati per sentieri malvagi! Che faranno quando il Signore comincerà a guardarli? 130 Egli cita, com'è suo costume, tutti i testi dei Libri divini che sono contro di loro. Chi ha perso, infatti, la pazienza, se non quelli che, per la pace di Cristo, non hanno voluto sopportare i cristiani che non sono riusciti a convincere dei crimini, di cui li accusavano, e che in seguito, sia pure tardi, ritenendo che il loro partito non si doveva dividere in molte particelle, hanno sopportato, per la falsa pace di Donato, che perfino dei sacrileghi ad essi molto noti e che essi stessi avevano condannato, fossero riammessi? Lo riconoscano, una buona volta, e si correggano; che abbiano agito con empietà lo hanno imparato almeno dalle persecuzioni subite da Massimiano. Ma naturalmente si vergognano di correggersi per ragioni così evidenti: aver resistito agli ordini degli Imperatori, e temono che, ciò che lamentano di avere subito, una volta corretti, possano perderlo. Come se non è meglio perderlo, che perire. Se infatti ha una certa apparenza di coraggio e una parvenza di fortezza, sia pure falsa e fallace, non cedere ad un ordine dell'Imperatore, quale lusinga di lode, sia pure umana, può esserci nel contraddire una verità molto evidente? Ma perché i Donatisti citano ad occhi chiusi tanti testi delle Scritture, che, una volta compresi e addotti contro di loro, rifiutano, e che, anche se compresi nel senso loro, nondimeno li convincono della loro perversità? Non sta forse scritto: Non contraddire in nessun modo la verità 131? Ebbene, a chi si contraddice, se non alla verità, quando si resiste perfino al re che ordina in nome della verità? Ora, il re è un essere umano; le sue minacce e le sue punizioni sono temporaneamente fastidiose. Non così quel Re che si chiama anche verità e che anche ora grida loro per bocca del Profeta: Invano ho colpito i vostri figli, essi non hanno appreso la lezione 132. Egli li ammonisce ora con misericordia, tramite le autorità umane, appunto per non punirli alla fine in un modo che, questi superbi non possano vantarsi della loro dannazione. In effetti, mentre sotto la punizione dei re, l'ostinazione umana può pretendere di essere lodata con il falso nome di virtù, essere invece bruciati nel fuoco eterno, non sarà e non si chiamerà fortezza. In quel giorno, infatti, non vi saranno di coloro che possano profumare il capo con l'olio dell'adulazione o che, sedotti da una vuota fallacia, possano sognare corone per i dannati. Né coloro che possano dire: "Bene, bene ", e giurare per i capelli bianchi di quanti non hanno avuto il capo sano e per gli stivaletti di quanti non hanno conosciuto la via della pace 133. I Donatisti, bramosi di allontanare queste folle dall'unità di Cristo e di convertirle al loro nome, nel frattempo osano equiparare i supplizi temporali dovuti al loro scisma, alle passiones martyrum, tanto che, in loro onore celebrano gli anniversari dei loro supplizi, con grande concorso di uomini invasati, tra i quali vi sono di quelli che, anche senza essere perseguitati, si precipitano volontariamente dai precipizi, e così concludono una vita cattiva con una morte peggiore. No, non vi saranno, in quel giorno, folle insipienti alle quali dire: " Siamo noi i giusti; noi che subiamo persecuzioni ", e così vendere ai ciechi, come gemma preziosa, una pietra falsa, cioè, la durezza della carne per la pazienza dello spirito. No, non vi saranno quelli che i nomi dei capi della loro follia, davanti agli altari: né agli altari che hanno separato dall'unità di Cristo, né a quelli che hanno eretto, sotto il nome di Cristo, contro la Chiesa di Cristo. Questa è la paga che i Donatisti ricevono e, per riceverla, volendo avere di che vendere, eccitano contro se stessi, con la loro perversità, la durezza delle autorità. E quelli che essi seducono e dai quali sono ritenuti giusti, solo perché pagano la pena della loro iniquità, non rientrano in se stessi e non considerano il motivo di queste pene, che si gloriano di soffrire. Quanto ci voleva a fare un po' di attenzione, per capire che, sulla tolleranza delle persecuzioni e la gloria della tolleranza, Parmeniano diceva a Ticonio le stesse cose che dicono tutti gli eretici, per reprimere e punire i quali i re emanano analoghi editti? E le stesse cose che ora dice certamente ai suoi seguaci di Membressa anche Salvio, al quale gli Abitinesi arrecarono tante torture e oltraggi? Quegli Abitinesi, tramite i quali i Donatisti ottennero di cacciare Salvio dalla chiesa, appendergli al collo persino delle carogne di cani morti, e danzare con loro al ritmo di parole e di canti osceni? E dopo tutte queste sofferenze, quale discorso pensiamo che egli abbia fatto ai suoi, questi poveretti che egli sedusse al punto da farsi costruire un'altra basilica? Chissà quante ne disse sulla sua giustizia, che gli aveva meritate tali sofferenze, per convincerli che egli era santo, perché aveva molto sofferto, e che essi erano molto malvagi, perché lo avevano fatto soffrire! Si cita l'antica crudeltà dei tiranni Tusci, che univano i corpi morti a uomini vivi; sempre però corpi umani a corpi umani; ma che i cadaveri di cani siano stati congiunti a corpi umani, e per giunta di vescovi, io non so se qualcuno ricorda di averlo mai inteso o letto. È risaputo che i vescovi sono soliti condannare le danze frivole e oscene; chi ricorda che uomini, chiamati dai vescovi in aiuto, abbiano danzato coi vescovi? O forse Salvio allora non era più un vescovo, perché la sua condanna si legge in una sentenza del Concilio di Bagai? Ma se anche lui in seguito si fosse riconciliato con Primiano, come si riconciliò Feliciano, condannato " dalla bocca veritiera del concilio plenario ", per citare le loro stesse parole, sarebbe vescovo ora? O non verrebbe accettato, perché chi è contaminato dal sacrilegio dello scisma può essere purificato, come Feliciano, mentre chi è contaminato dai cani morti, appesi al suo collo, non può essere purificato? Vorrei sapere che cosa rispondono a questi crimini tanto chiari, pubblici e recenti, quanti ci rinfacciano le loro antiche calunnie come fossero nostri delitti. Chi di loro crede che io diffondo falsità, quale difficoltà ed ostacolo incontra, se vuole curare la sua anima, a recarsi a Membressa per vedere se tutto ciò è accaduto e per giustificarlo se è capace? Se egli dice che è giusto trattare così gli scismatici, condannati da trecentodieci vescovi donatisti, non brontolino quando subiscono dei castighi, anche se non ne hanno mai subiti di simili, quelli che hanno fatto lo scisma dall'unità di Cristo, come dimostriamo, non con l'autorità di trecentodieci vescovi, ma di tutto il mondo. Se invece dice che le pene subite da Salvio sono lievi, io chiedo: se l'Imperatore costringesse un vescovo donatista a danzare, e se, qualora egli si rifiutasse, minacciasse di gettarlo alle belve e al rogo, costui non preferirebbe subire questa pena, che fare quello? E per questa sofferenza, i Donatisti non lo nominerebbero tra i loro santi martiri? Furono dunque più dure le sofferenze che Salvio, col quale si danzò, ebbe a subire, che se lo avessero bruciato vivo. In effetti, se a uno di loro si facessero due proposte: se preferisce danzare, non lui però, ma far danzare un altro stretto a lui, o essere bruciato vivo, non v'è dubbio quale sarebbe la sua risposta sulla scelta. Se invece dice che i Primianisti ottennero dal proconsole solo il permesso di cacciare Salvio dalla basilica con l'aiuto degli Abitinesi, ma che poi essi, di propria iniziativa, lo sottoposero a tutte le crudeltà e turpitudini che sappiamo, perché non dice che anche i Cattolici possono chiedere agli Imperatori niente altro che cacciare i Donatisti dalle basiliche che conservano in nome di un sacrilegio, ma che essi, di propria iniziativa e nel rispetto dell'autorità e della dignità regia, puniscono i sacrileghi con molta più moderazione di quella con cui gli Abitinesi, senza nessuna legge imperiale e senza nessuna ordinanza giudiziaria, punirono Salvio di Membressa? Alla luce di queste considerazioni, vedano prima ciò che fanno e poi ciò che soffrono, onde non avvenga che, a forza di chiudere gli occhi sulle loro azioni e di aprirli sulle punizioni, quaggiù siano puniti invano coi castighi temporali e, nell'ultimo giudizio di Dio, proprio perché sono state vane le ammonizioni che il Signore ha fatto loro con queste pene correttive, siano puniti con un supplizio eterno. Non sto a ripetere cose vecchie, con cui ingannano quanti possono. Sarò breve: porterò fatti attuali, li mostrerò a dito. Ecco: si riammettono i Massimianisti già condannati, si condannano nazioni sconosciute; si accetta il battesimo dei Massimianisti, si esorcizza il battesimo del mondo. Ecco gli abitanti di Assuri, ecco quelli di Musti; ecco Pretestato, morto di recente, ecco Feliciano, ancora vivo; ecco i loro nomi, che gli Atti proconsolari citano tra i condannati al concilio di Bagai. Questi fatti, recenti e attuali, indicano chiaramente che razza di uomini i Donatisti sono stati fin dall'origine. E se per tali scelleratezze e iniquità subiscono dei castighi, se non vogliono emendarsi, almeno non osino gloriarsi.
Note:
1 - Cf. Ef 4, 2-3.
2 - 1 Cor 5, 13.
3 - 1 Tm 5, 22.
4 - Ibidem.
5 - 1 Cor 5, 12.
6 - Cf. Mt 13, 29.
7 - Cf. Rm 14, 5.
8 - 1 Cor 4, 21.
9 - 1 Cor 5, 1.
10 - 1 Cor 5, 2.
11 - 1 Cor 12, 26.
12 - 1 Cor 5, 3-5.
13 - Cf. At 5, 5. 10.
14 - Col 3, 5.
15 - Rm 8, 13.
16 - 2 Ts 3, 14-15.
17 - Cf. Ef 4, 2-3.
18 - Cf. 1 Cor 12, 21.
19 - 2 Cor 12, 21.
20 - 2 Cor 13, 2.
21 - 2 Cor 2, 4-11.
22 - 2 Cor 7, 11.
23 - Sal 140, 5.
24 - 1 Cor 5, 5.
25 - 1 Cor 5, 6.
26 - 1 Cor 5, 2. 6.
27 - 1 Cor 10, 12.
28 - Gal 6, 1-2.
29 - Gv 13, 34.
30 - Gv 14, 27.
31 - Gv 14, 27.
32 - Ef 4, 2-3.
33 - Lc 18, 14.
34 - 1 Cor 5, 7.
35 - Cf. Ef 4, 2-3.
36 - Gal 6, 2.
37 - Mt 9, 12.
38 - 1 Cor 5, 7.
39 - 1 Cor 5, 8.
40 - 1 Cor 5, 9-10.
41 - 1 Cor 5, 11-13.
42 - 1 Cor 5, 13.
43 - 1 Cor 5, 11.
44 - Ibidem.
45 - 1 Cor 5, 13.
46 - 1 Cor 5, 11.
47 - Col 3, 5.
48 - 1 Cor 6, 9-10.
49 - 1 Cor 5, 11.
50 - Cf. Ef 5, 27.
51 - Cf. Ez 9, 4.
52 - Mt 5, 9.
53 - Ez 9, 4.
54 - 1 Cor 5, 11. 13.
55 - 1 Cor 5, 11.
56 - 1 Cor 5, 9-10.
57 - 1 Cor 5, 12-13.
58 - 1 Cor 10, 27.
59 - 1 Cor 5, 11.
60 - 1 Cor 5, 13.
61 - 1 Cor 5, 11.
62 - 2 Ts 3, 15.
63 - Mt 13, 29-30.
64 - 1 Cor 5, 11.
65 - 2 Cor 2, 6.
66 - Cf. Ez 9, 4.
67 - Sal 25, 9.
68 - Cf. 1 Cor 5, 11.
69 - 2 Cor 12, 21.
70 - 2 Cor 13, 1-3.
71 - Sal 88, 31-34.
72 - 1 Cor 5, 12-13.
73 - 1 Cor 5, 11.
74 - Cf. 1 Cor 15, 33.
75 - Cf. Mt 20, 26-28.
76 - 1 Cor 5, 11.
77 - Cf. 1 Cor 5, 11. 13.
78 - Cf. Ef 4, 2-3.
79 - Mt 18, 17.
80 - Cf. Mt 13, 29.
81 - Mt 5, 9.
82 - Ger 23, 28.
83 - Cf. Gal 6, 3.
84 - Ger 23, 28.
85 - Ibidem.
86 - Mt 3, 12.
87 - Mt 25, 31-34.
88 - Cf. Mt 13, 47.
89 - Cf. Fil 2, 21.
90 - Cf. Mt 6, 20-21.
91 - Is 52, 11.
92 - Ger 23, 28.
93 - Is 52, 11.
94 - Sal 25, 4-5.
95 - Cf. Is 52, 11.
96 - Cf. Sal 25, 4.
97 - Sal 95, 1.
98 - Cf. Is 52, 11.
99 - Cf. Sal 25, 4.
100 - Cf. Fil 1, 15-17.
101 - Cf. 1 Cor 13, 7.
102 - Cf. Sal 25, 4-5.
103 - Cf. Sal 25, 8.
104 - Cf. Sal 25, 6.
105 - 2 Tm 2, 20.
106 - 2 Tm 2, 21.
107 - Sal 25, 4-10.
108 - Cf. Sal 25, 8.
109 - 2 Tm 2, 21.
110 - Cf. Sal 25, 8.
111 - Sal 25, 9-10.
112 - Sal 25, 8.
113 - Cf. 1 Cor 13, 7.
114 - Cf. Rm 9, 21; 2 Tm 2, 21.
115 - Cf. Sal 140, 5.
116 - Is 3, 12.
117 - Cf. Sal 25, 4.
118 - Cf. Mt 5, 14.
119 - Cf. Dn 2, 34-35.
120 - Fil 3, 20.
121 - Cf. Sal 25, 4-5.
122 - Col 3, 1-3.
123 - Ef 2, 6.
124 - Rm 8, 24-25.
125 - Prv 1, 33.
126 - 1 Gv 3, 2.
127 - Cf. Mt 13, 30.
128 - Cf. Mt 13, 48.
129 - Cf. Mt 25, 33.
130 - Sir 2, 16-17.
131 - Sir 4, 30.
132 - Ger 2, 30.
133 - Is 59, 8.
17 - Mi fu fatta comprendere la prima parte del capitolo ventunesimo dell'Apocalisse
La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca243. Il beneficio della concezione immacolata di Maria santissima racchiude tanti e così imperscrutabili misteri che, per rendermi più capace di penetrarlo, sua Maestà me ne rivelò molti di quelli che san Giovanni pone nel capitolo ventunesimo dell'Apocalisse, rimettendomi alla comprensione che di essi mi era data. Per dichiarare qualcosa di ciò che mi fu manifestato, dividerò la spiegazione di quel capitolo in tre parti, al fine di evitare un poco la molestia che potrebbe causare se si trattasse tutto insieme. Darò prima la versione letterale, che è la seguente:
244. Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse:
«Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e zolfo. È' questa la seconda morte».
245. Questa è la prima delle tre parti del testo letterale ed io la spiegherò in questo capitolo dividendola nei suoi versetti. Vidi poi - dice l'Evangelista - un nuovo cielo e una nuova terra. Essendo già uscita Maria santissima dalle mani di Dio onnipotente e trovandosi così già nel mondo la materia immediata da cui si sarebbe formata l'umanità santissima del Verbo che doveva morire per l'uomo, l'Evangelista dice che vide un cielo nuovo e una nuova terra. Non senza grande proprietà poterono chiamarsi cielo nuovo quella natura e il seno verginale in cui e da cui si formò. In questo cielo, infatti, Dio cominciò ad abitare in un modo nuovo, ben differente da quello in cui aveva fino allora abitato nel cielo antico ed in tutte le creature. Si chiamò cielo nuovo anche quello dei santi dopo il mistero dell'incarnazione, poiché da questa ebbe origine per esso la novità di venire abitato dai mortali, cosa che prima non accadeva, e di venire rinnovato dalla gloria dell'umanità santissima di Cristo, nonché da quella della sua purissima Madre. Tale gloria fu tanto grande, dopo quella essenziale, che bastò per rinnovare i cieli e dare loro nuova bellezza e splendore. Benché qui stessero gli angeli buoni, questa era già come cosa antica e vecchia, per cui fu grande novità che l'Unigenito del Padre con la sua morte restituisse agli uomini il diritto alla gloria perduto per il peccato e li introducesse nel cielo, da cui erano stati esclusi, impotenti a riacquistarlo da se stessi. Siccome questa novità per il cielo cominciò da Maria santissima quando l'Evangelista la vide concepita senza il peccato, che impediva tutto ciò, questi disse che aveva visto un nuovo cielo.
246. Vide anche una nuova terra, perché la terra antica di Adamo era maledetta, macchiata e rea della colpa e della condanna eterna, mentre la terra santa e benedetta di Maria fu terra nuova, scevra dalla colpa e dalla maledizione di Adamo. Fu terra talmente nuova che dall'epoca della prima formazione, cioè quella di Adamo ed Eva, non si era vista né conosciuta al mondo altra terra nuova sino a Maria santissima. Fu terra talmente nuova e scevra dalla maledizione di quella antica e vecchia che in questa terra benedetta si rinnovò anche tutta l'altra dei figli di Adamo. Veramente per la terra benedetta di Maria, e con essa ed in essa, restò benedetta, rinnovata e vivificata quella di Adamo, che fino allora era stata maledetta ed era invecchiata nella sua maledizione. Si rinnovò tutta per Maria santissima e per la sua innocenza. Essendo cominciato in lei questo nnnovamento della natura umana e terrena, san Giovanni dice che in Maria concepita senza peccato vide un cielo nuovo ed una terra nuova. Quindi prosegue:
247. Perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi. Venendo al mondo ed apparendo in esso la nuova terra ed il nuovo cielo di Maria santissima e di suo Figlio, uomo e Dio vero, era conseguente che sparissero l'antico cielo e la terra invecchiata della natura umana e terrena con il peccato. Ci fu un nuovo cielo per la Divinità nella natura umana, che, preservata e libera dalla colpa, dava una nuova abitazione al medesimo Dio mediante l'unione ipostatica nella persona del Verbo, mentre cessò di esistere il primo cielo, che Dio aveva creato in Adamo, ma che si era macchiato rendendosi inadatto ad essere abitato da Dio. Questo scomparve e subentrò un altro cielo nuovo con la venuta di Maria. Cominciò anche ad esistere un nuovo cielo della gloria per la natura umana, non perché fosse stato rimosso o fosse scomparso l'empireo, ma perché questo cessò di essere senza uomini come era stato per tanti secoli. Quanto a questo, cessò di essere il primo cielo e divenne un cielo nuovo per i meriti di Cristo, che già cominciavano a risplendere nell'aurora della grazia, Maria santissima sua madre. Così, scomparvero il primo cielo e la prima terra, che sino allora era stata senza rimedio. Anche il mare non c'era più, poiché con la venuta di Maria santissima e di Cristo venne meno il mare di abominazioni e peccati che inondava il mondo e sommergeva la terra della nostra natura. In verità, il mare del sangue di Cristo sovrabbondò e superò quello dei peccati, essendo di valore tale che in comparazione nessuna colpa ha peso. Se i mortali volessero approfittare di questo mare infinito della misericordia divina e del merito di Gesù Cristo nostro Signore, cesserebbero di esistere tutti i peccati del mondo, essendo l'Agnello di Dio venuto per cacciarli e distruggerli tutti.
248. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Poiché tutti questi misteri cominciavano da Maria santissima e si fondavano su lei, l'Evangelista dice che la vide sotto la forma della città santa di Gerusalemme, parlando della regina con questa metafora. Gli fu concesso di vederla in tale forma affinché conoscesse meglio il tesoro che ai piedi della croce gli era stato raccomandato ed affidato e lo custodisse con degna stima; infatti, anche se nessuna predisposizione del discepolo poteva essere tale da supplire alla mancanza della presenza del Figlio della Vergine, poiché san Giovanni prendeva il suo posto, era conveniente che fosse illuminato in modo conforme alla dignità ed all'ufficio che riceveva venendo sostituito al Figlio naturale.
249. La santa città di Gerusalemme, per i misteri operati da Dio in essa, era il simbolo più conveniente di colei che era sua Madre, nonché centro e compendio di tutte le meraviglie dell'Onnipotente. Per questa stessa ragione è simbolo anche della Chiesa militante e di quella trionfante. La vista dell'aquila generosa che fu Giovanni si estese a tutte queste cose, per la corrispondenza e l'analogia che hanno tra loro queste mistiche città di Gerusalemme, ma contemplò soprattutto la Gerusalemme suprema che è Maria santissima, in cui stanno raccolte e riepilogate tutte le grazie, le meraviglie, i doni e le virtù della Chiesa militante e di quella trionfante. Tutto quello che fu operato nella Gerusalemme di Palestina e tutto ciò che essa ed i suoi abitanti significano si trova racchiuso in Maria purissima, città santa di Dio, in modo più mirabile ed eccellente che nel resto del cielo, della terra e di quanti lì vivono. La chiama nuova Gerusalemme per la novità di tutti i suoi doni, della sua grandezza e delle sue virtù, causa di nuova meraviglia per i santi; inoltre, perché venne dopo tutti i Padri antichi, i Patriarchi e i Profeti ed in lei si compirono e rinnovarono le loro voci, i loro oracoli, le loro promesse; ancora, perché viene senza il contagio della colpa e discende dalla grazia secondo un ordine tutto nuovo, distante dalla comune legge del peccato; infine, perché entra nel mondo trionfando sul demonio e sul primo inganno, e questa è la cosa più nuova che si sia vista nel mondo dal suo principio in poi.
250. Essendo ciò del tutto nuovo sulla terra e non potendo provenire da questa, san Giovanni dice che discendeva dal cielo. Anche se secondo l'ordine comune della natura discese da Adamo, non venne per la via battuta ed ordinaria della colpa per la quale erano passati tutti i suoi predecessori, figli di quel primo delinquente. Per questa sola Signora ci fu un decreto a parte nella divina predestinazione e si aprì un nuovo sentiero attraverso il quale venisse al mondo con il suo Figlio santissimo, senza essere compagna nell'ordine della grazia ad alcun altro mortale e senza che alcun altro fosse compagno a lei ed a Cristo nostro Signore. Così, scese nuova dal cielo della mente e della determinazione di Dio. Dalla terra, macchiati da essa, discendono tutti gli altri figli di Adamo, mentre questa Regina di tutto il creato venne dal cielo, discendendo solo da Dio per l'innocenza e la grazia. Comunemente diciamo che uno viene da quella casa o prosapia da cui discende e discende da dove ha ricevuto il suo essere. Ora, l'essere naturale che Maria santissima ricevette da Adamo si ravvisa appena nel contemplarla madre del Verbo eterno e quasi a lato dell'eterno Padre per la grazia e la partecipazione alla sua divinità che ricevette per tale dignità. Questo è in lei l'essere principale, per cui l'altro, quello che ha dalla natura, risulta accessorio e secondario. Per questo, l'Evangelista fissò lo sguardo su quello principale, che scese dal cielo, e non su quello accessorio, che venne dalla terra.
251. Prosegue dicendo che era pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Per il giorno del matrimonio i mortali cercano il maggiore ornamento e l'abbigliamento più elegante che si possano trovare per abbellire la sposa terrena e non importa che i gioielli più ricchi si abbiano in prestito, purché niente le manchi. Quindi, se confessiamo, come è necessario confessare, che Maria purissima fu sposa della santissima Trinità ed allo stesso tempo madre della persona del Figlio e che per tali dignità fu adornata e preparata dal medesimo Dio onnipotente, infinito e ricco senza misura e limiti, quale ornamento, quale preparazione, quali gioielli saranno quelli con cui egli impreziosì la sua sposa e madre perché divenisse degna sposa e degna madre? Avrà forse riservato qualche gioiello nei suoi tesori? Le avrà negato qualche grazia di quelle con cui il suo potente braccio avrebbe potuto arricchirla ed abbellirla? L'avrà lasciata brutta, scomposta, macchiata in qualche parte o per qualche istante? Sarà stato scarso od avaro con la madre e sposa sua colui che elargisce prodigiosamente i tesori della sua divinità a tante anime che rispetto a lei sono meno che serve, meno che schiave della sua casa? Tutte loro confessano, con il medesimo Signore, che una sola è l'eletta e la perfetta, che le altre devono riconoscere, testimoniare e magnificare come immacolata e fortunatissima fra le donne e della quale piene di ammirazione con giubilo e lode domandano: «Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?». È' Maria santissima, unica sposa e madre dell'Onnipotente, che discese nel mondo adorna e preparata come sposa della beatissima Trinità, per il suo sposo e figlio. Questo arrivo ed ingresso nel mondo avvenne con tanti doni della Divinità che la sua luce la rese più vaga dell'aurora, più bella della luna, più eletta e singolare del sole, senza che nessuna a lei si potesse paragonare, più forte e potente di tutti gli eserciti del cielo e dei santi. Discese adornata e preparata per Dio, che le diede tutto ciò che egli volle, volle darle tutto ciò che poté e poté darle tutto ciò che non era essere Dio, sebbene fosse quanto di più vicino alla sua divinità e di più distante dal peccato potesse trovarsi in una semplice creatura. Questo ornamento fu intero e perfetto; non sarebbe stato tale se le fosse mancato qualcosa e le sarebbe mancato se fosse esistita qualche istante senza l'innocenza e la grazia. Forse, senza questa, sarebbe bastato a renderla così bella che l'ornamento ed i brillanti della grazia fossero posti sopra un volto deforme, macchiato dalla colpa, o sopra una veste sudicia ed indecente? Vi sarebbe rimasta sempre qualche imperfezione, per cui, per quanti accorgimenti si fossero usati, non si sarebbe mai potuto togliere l'ombra o il segno della macchia. Tutto ciò era poco conveniente per Maria, madre e sposa di Dio, e quindi anche per lui, che non l'avrebbe affatto adornata e preparata con amore di sposo né con attenzione di figlio, se per vestire la madre e sposa sua avesse cercato una stoffa macchiata e vecchia, mentre ne aveva in casa una ricca e preziosa.
252. È' ormai tempo che l'intelletto umano si estenda e si dilati per onorare la nostra grande Regina e chi avesse opinioni contrarie su tale punto, fondate su percezioni diverse, si ritiri e si trattenga dallo spogliarla dell'ornamento della sua purezza immacolata nell'istante della sua divina concezione. Per la forza della verità e della luce in cui vedo questi ineffabili misteri, confesso una e più volte che tutti i privilegi, le grazie, le prerogative, i favori ed i doni di Maria santissima, incluso quello di essere madre di Dio - per come mi sono fatti conoscere - dipendono ed hanno origine dall'essere stata immacolata e piena di grazia nella sua concezione purissima, cosicché senza questo beneficio tutti gli altri apparirebbero informi e mancanti ovvero come un sontuoso edificio senza fondamento solido e proporzionato. Hanno tutti relazione secondo un certo ordine e collegamento con la purezza ed innocenza della concezione. Per questo si è dovuto necessariamente toccare tante volte questo mistero nel corso di questa Storia, cominciando dai decreti divini sulla formazione di Maria e del suo Figlio santissimo in quanto uomo. Non mi dilungo più su questo, ma avverto tutti che la Regina del cielo apprezzò talmente l'ornamento e la bellezza che il suo Figlio e sposo le diede nella sua purissima concezione che in proporzione di tale stima sarà la sua indignazione contro chi con ostinazione e perfidia pretenderà di spogliarla di ciò, infliggendole tale macchia mentre il suo Figlio santissimo si è degnato di manifestarla al mondo così adorna e bella, per gloria sua e speranza dei mortali.
253. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro ». La voce dell'Altissimo è grande, forte, soave ed efficace per muovere ed attirare completamente a sé la creatura. Tale fu questa voce che san Giovanni udì uscire dal trono della santissima Trinità. Essa gli rapì tutta l'attenzione che era richiesta, dicendogli di fissare lo sguardo sul tabernacolo di Dio, affinché mediante il raccoglimento conoscesse perfettamente il mistero che gli veniva palesato vedendo la dimora di Dio con gli uomini: egli avrebbe vissuto con loro, sarebbe stato il loro Dio ed essi suo popolo. Tutto questo mistero era racchiuso nel vedere Maria santissima discendere dal cielo nella forma che ho detto, perché, stando questa dimora di Dio nel mondo, conseguiva che lo stesso Dio venisse a stare con gli uomini, vivendo ed abitando in essa senza allontanarsene. In verità, fu come dire all'Evangelista: «Il re ha già la sua casa e corte nel mondo, per cui è evidente che andrà ad abitare in essa». Ma in che modo abiterà in tale dimora? Prendendo da essa stessa la forma umana, per passare nel mondo ed abitare con gli uomini, essere loro Dio ed essi suo popolo, come eredità di suo padre ed allo stesso tempo di sua madre. Del Padre eterno fummo eredità per il suo Figlio santissimo non solo perché in lui e per lui creò tutte le cose e le diede a lui in eredità nell'eterna generazione, ma anche perché come uomo egli ci riscattò nella nostra stessa natura, facendoci suo popolo e sua eredità paterna e rendendoci suoi fratelli. Per la stessa ragione della natura umana fummo e siamo eredità legittima della sua santissima Madre, perché ella gli diede la forma della carne umana con cui ci acquistò per sé. Per questo ella, essendo sua Madre e figlia e sposa della santissima Trinità, veniva ad essere signora dell'intero creato, che il suo unigenito doveva ereditare. Certamente ciò che concedono le leggi umane, essendo basato sulla ragione naturale, non doveva mancare in quelle divine.
254. Uscì questa voce dal trono regale per mezzo di un angelo che mi parve dicesse all'Evangelista: «Fa' bene attenzione e guarda la dimora di Dio con gli uomini, in cui vivrà con loro ed essi saranno suo popolo. Egli diventerà loro fratello prendendo la loro forma per mezzo di questo tabernacolo che è Maria, che vedi scendere dal cielo per la sua concezione e formazione». Noi possiamo rispondere con lieto sembiante a questi cortigiani del cielo che la dimora di Dio sta molto bene con noi, perché è nostra ed attraverso di essa diverrà nostro anche Dio. In essa riceverà vita e sangue da offrire per noi, facendoci suo popolo, vivendo con noi come in sua casa e dimora, poiché lo riceveremo come sacramento, resi così a nostra volta sua dimora. Siano contenti, questi divini spiriti e principi, di essere fratelli più grandi e meno bisognosi degli uomini. Noi siamo i piccoletti e deboli che abbiamo bisogno dei doni e dei favori del nostro Padre e fratello. Venga nella dimora della Madre sua e nostra, prenda la forma della carne umana dalle sue viscere verginali; la Divinità si rivesta e viva con noi ed in noi. Teniamocelo così vicino che egli sia nostro Dio e noi suo popolo e sua dimora. Ne stupiscano gli spiriti angelici e, rapiti da tali meraviglie, lo benedicano; godiamolo noi mortali, accompagnandoli nella medesima lode di ammirazione e di amore. Ora il testo continua:
255. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Mediante il frutto della redenzione umana, di cui ci fu dato pegno certo nella concezione di Maria santissima, si asciugarono le lacrime che il peccato aveva provocato negli occhi dei mortali. Per questo, per coloro che approfitteranno delle misericordie dell'Altissimo, del sangue e dei meriti di suo Figlio, dei suoi misteri e sacramenti, dei tesori della sua Chiesa e dell'intercessione della sua santissima Madre, non ci sarà morte, né dolore, né pianto, avendo cessato di esistere la morte causata dal peccato ed avendo avuto fine tutto ciò che da essa era conseguito. Il vero pianto se ne andò negli abissi con i figli della perdizione, dove non è rimedio. Il dolore delle tribolazioni temporali, poi, non è pianto né dolore vero, ma apparente; esso sta bene insieme alla vera e somma allegrezza ed anzi, accolto di buon animo, è di inestimabile valore. Come pegno di amore lo scelse per sé, per sua Madre e per i suoi fratelli lo stesso Figlio di Dio.
256. Neppure vi saranno grida e voci di lamento, perché i giusti ed i saggi sull'esempio del loro Maestro e della Madre umilissima devono imparare a tacere, come fa la semplice pecorella quando è condotta ad essere vittima e sacrificio. Al diritto che ha la fragile natura di cercare qualche sollievo in grida e lamenti devono rinunciare gli amici di Dio, che vedono sua Maestà, loro capo ed esempio, umiliato sino alla morte obbrobriosa della croce per riparare i danni della nostra poca capacità di soffrire e di sopportare. Di fronte ad un simile esempio, come si può permettere alla nostra natura di alterarsi e lamentarsi nelle tribolazioni? Come le si può accordare di muoversi in modo disordinato e contrario alla carità, mentre Cristo viene a stabilire la legge dell'amore fraterno? L'Evangelista torna a dire che non ci sarà più dolore, perché, se ne doveva restare uno negli uomini, era quello della cattiva coscienza, ma come rimedio a questo male fu medicina così soave l'incarnazione del Verbo nelle viscere di Maria santissima che già esso è piacevole e causa di allegrezza. Anzi, neanche merita il nome di dolore, perché contiene in sé il sommo e vero gaudio e con la sua introduzione nel mondo passarono le cose di prima, cioè i dolori ed i rigori inefficaci della legge antica, poiché si temperarono e terminarono con l'abbondanza della legge evangelica nel dare la grazia. Per questo, soggiunge: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Questa voce venne da Colui che stava assiso sul trono, poiché egli stesso si dichiarò artefice di tutti i misteri della nuova legge del Vangelo. Poiché questa novità cominciava da una cosa così singolare e non pensata dalle creature come l'incarnazione dell'Unigenito del Padre in una Madre vergine e purissima, era necessario che, se tutto doveva essere nuovo, non vi fosse in lei alcuna cosa vecchia, come è il peccato originale, antico quasi quanto la natura, per cui, se la madre del Verbo che stava per incarnarsi lo avesse avuto in sé, Dio non avrebbe fatto nuove tutte le cose.
257. E soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco, sono compiute!». Per parlare umanamente, Dio soffre vivamente della dimenticanza delle grandi opere d'amore che egli fece per noi con la sua incarnazione e con la redenzione degli uomini. Perciò, in memoria di tanti benefici ed in riparazione della nostra ingratitudine, comanda che si scrivano. Così i mortali dovrebbero scriverle nei loro cuori e temere l'offesa che commettono contro Dio con una così villana ed esecrabile dimenticanza. Benché sia vero che i cattolici hanno fede in tali misteri, con la noncuranza che mostrano nel gradirli e con quella che fanno supporre nel dimenticarli, pare che tacitamente li neghino, vivendo come se non li credessero. Quindi, affinché abbiano un accusatore della loro triste ingratitudine, il Signore dice che queste parole sono certe e veraci. Ed essendo veramente tali, si vedano il torpore e la grettezza dei mortali nel non convincersi di verità che, come sono fedelissime, sarebbero efficaci per muovere il cuore umano e vincerne la ribellione, quando come vere e fedelissime si fissassero nella memoria, si ruminassero in essa e si ritenessero certe, infallibili ed operate da Dio per ciascuno di noi.
258. Per altro, non essendo i doni di Dio soggetti a pentimento, poiché non ritratta il bene che fa anche se disobbligato dagli uomini, dice che già è compiuto, quasi lasciasse intuire che, sebbene per la nostra ingratitudine lo abbiamo irritato, non vuole retrocedere nel suo amore. Anzi, avendo inviato al mondo Maria santissima senza la colpa originale, già dà per compiuto tutto quanto appartiene al mistero dell'incarnazione. Trovandosi, infatti, Maria purissima sulla terra, non pare che il Verbo eterno possa restare nel solo cielo senza scendere a prendere carne umana nel suo seno. Assicura maggiormente ciò soggiungendo: «Io sono l'Alfa e l'Omèga, la prima e l'ultima lettera, che come principio e fine racchiude la perfezione di tutte le opere, per cui, se do a queste principio, è per condurle fino alla perfezione del loro ultimo fine. Così farò per mezzo di questa opera di Cristo e Maria; come con essa diedi principio a tutte le opere della grazia, così attraverso di essa darò loro fine. E nell'uomo porterò e guiderò tutte le creature a me, come a loro ultimo fine e come a centro dove riposano».
259. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni. Affinché s'intendesse che tutto quanto Dio fa ed ha fatto per gli uomini è gratuito e senza obbligazioni di sorta, disse l'Apostolo: Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?. L'origine di tutte le fonti non deve la sua corrente a nessuno di quelli che vanno a bere da esse, ma spontaneamente ed in modo gratuito vengono date a tutti quelli che vi accorrono. Se non tutti partecipano della sua acqua, ciò non è colpa della fontana, ma solo di chi non va a berne, mentre essa sta invitando tutti con abbondanza ed allegrezza. Anzi, poiché non vanno a lei e non la cercano, esce essa stessa a cercare chi la riceva e corre senza fermarsi. Tanto gratuitamente e spontaneamente si offre a tutti! Oh, tiepidezza riprensibile dei mortali! Oh, abominevole ingratitudine! Se niente ci deve il vero Signore Dio e se ci diede e ci dà ogni cosa per grazia, se tra tutti i benefici e le grazie il maggiore fu essersi fatto uomo ed essere morto per noi, poiché con tale beneficio ci diede tutto se stesso, correndo l'impeto della divinità fino ad incontrarsi con la nostra natura per unirsi con essa e con noi, com'è possibile che, essendo noi tanto assetati di onore, gloria e piaceri, non andiamo a bere tutto questo a tale fontana che ce lo offre gratuitamente? Così ne vedo la causa: non è della gloria vera e del vero onore e riposo che siamo assetati; perciò aneliamo a ciò che èingannevole ed apparente, disprezzando le fonti della grazia che ci aprì Gesù Cristo nostro bene con i suoi meriti e con la sua morte. A chi avrà sete della divinità e della grazia, però, il Signore promette che darà gratuitamente dell'acqua della vita. Oh, quale compassione e dolore che, essendosi scoperta la sorgente della vita, tanto pochi siano assetati di essa e tanti invece corrano alle acque di morte! Soltanto chi vincerà in se stesso il demonio, il mondo e la propria carne possederà queste cose. Dio aggiunge che costui le possederà, perché, essendo queste acque date a lui per grazia, potrebbe temere che venga un tempo in cui gli siano negate o tolte; quindi, per rassicurarlo, Dio dice che gli saranno date in possesso pieno ed illimitato.
260. Lo assicura, inoltre, con un'altra nuova e maggiore affermazione, dicendogli: Io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ora, se egli è per noi Dio e noi siamo figli, è evidente che con ciò egli ci ha fatto suoi figli. Essendo figli, consegue che siamo eredi dei suoi beni; ed essendo eredi, sebbene tutta questa eredità sia gratuita, è per noi sicura come lo sono per i figli i beni del loro padre. Di più, essendo egli allo stesso tempo Padre e Dio infinito negli attributi e nelle perfezioni, chi potrà dire quanti o quali siano i beni che ci offre facendoci suoi figli? Qui si comprendono l'amore paterno, l'esistenza, la vocazione, la storia e la giustificazione, i mezzi per raggiungerla e, come fine di tutto, la glorificazione ed uno stato di felicità che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo. Tutto questo è riservato per quelli che vinceranno, mostrandosi figli coraggiosi e veri.
261. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e zolfo. È questa la seconda morte. In questo terribile elenco si sono iscritti con le loro stesse mani innumerevoli figli della perdizione, perché è infinito il numero degli stolti che ciecamente scelgono la morte, rinunciando al cammino della vita. Non accade perché questo è nascosto a quanti hanno occhi, ma perché li chiudono alla luce, lasciandosi sempre affascinare ed accecare dalle arti di satana, che, secondo le differenti inclinazioni e voglie degli uomini, offre loro il veleno nascosto in diverse bevande di vizi che appetiscono. I vili sono quelli che ora vogliono ed ora non vogliono, senza avere gustato la manna della virtù, che a loro si presenta insipida, e senza avere inoltrato il piede nel cammino della vita eterna, che appare loro un'impresa terribile, mentre il giogo del Signore è dolce ed il suo carico è leggero. Ingannati così da questo timore, si lasciano vincere prima dalla codardia che dalla fatica. Altri poi, increduli, o non ammettono le verità rivelate negando loro fede, come gli eretici, i pagani e gli infedeli, oppure, se le credono come cattolici, pare che le odano da lontano e che le credano per altri anziché per se stessi. Così, hanno una fede morta ed operano come se fossero increduli.
262. Gli abietti sono quelli che, seguendo senza ritegno né freno qualunque vizio, anzi gloriandosi delle malvagità e non facendo alcun caso di commetterle, si rendono spregevoli a Dio, esecrabili e maledetti, giungendo ad uno stato di ribellione che rende loro quasi impossibile fare il bene. Costoro, allontanandosi dal cammino della vita eterna come se non fossero creati per essa, si separano e si alienano da Dio, dai suoi benefici e dalle sue benedizioni, divenendo abominevoli allo stesso Signore ed ai suoi santi. Gli omicidi sono quelli che, senza timore né riverenza della divina giustizia, usurpano a Dio il diritto di supremo signore per governare l'universo e castigare e vendicare le ingiurie, meritando in tale modo di venire misurati e giudicati con la stessa misura con cui essi hanno voluto misurare gli altri e giudicarli. Gli immorali sono quelli che per un breve ed immondo piacere, aborrito appena compiuto senza che ne venga saziato il disordinato appetito, non si curano dell'amicizia di Dio e disprezzano le gioie eterne, le quali, saziando, sono desiderate sempre più e soddisfano senza che mai si debbano perdere. I fattucchieri sono quelli che credettero e sperarono nelle false promesse del serpente mascherato sotto l'apparenza di amico, restando così ingannati e pervertiti per ingannare e pervertire altri. Gli idolatri sono quelli che, andando in cerca della divinità, non la trovarono, mentre sta vicino a tutti. La attribuirono ad oggetti che non potevano averla, perché la davano loro quelli stessi che li fabbricavano: ombre inanimate della verità e cisterne screpolate, incapaci di contenere la grandezza del Dio vero. I mentitori sono quelli che si oppongono alla somma Verità che è Dio e, abbandonandosi all'estremo contrario, si privano della sua rettitudine e virtù; confidano più nel finto inganno che nello stesso autore della verità e di ogni bene.
263. L'Evangelista dice di avere udito che per tutti costoro è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte. Avendo Dio giustificato la sua causa con la grandezza dei suoi benefici e delle sue misericordie senza numero, con lo scendere dal cielo a vivere e morire tra gli uomini per riscattarli con la sua medesima vita ed il suo sangue, con il lasciare tante sorgenti di grazia a nostro libero uso e gratuite nella santa Chiesa, e soprattutto la madre della medesima grazia e fonte della vita, Maria santissima, per mezzo della quale poterla ottenere, chi mai potrà redarguire la divina equità e giustizia, se di tutti questi benefici e tesori i mortali non hanno voluto approfittare e se hanno rinunciato all'eredità della vita per seguire con un momentaneo diletto quella della morte? È' naturale che raccolgano quello che hànno seminato e che la loro parte ed eredità sia il fuoco eterno in quell'abisso terribile di zolfo dove non è redenzione né più speranza di vita, per essere incorsi nella seconda morte. Questa è interminabile per la sua eternità, ma tuttavia meno abominevole della prima morte del peccato che i reprobi si attirarono volontariamente con le proprie mani, poiché fu morte alla grazia, causata dal peccato che si oppose alla bontà ed alla santità infinita di Dio offendendolo quando doveva essere adorato e riverito. Giusto castigo è la morte per chi merita di essere condannato; a lui l'applica la giustizia rettissima. Per mezzo di essa Dio viene glorificato e magnificato, come con il peccato fu disprezzato ed oltraggiato. Sia egli per tutti i secoli temuto ed adorato. Amen.
25 ottobre 1942
Madre Pierina Micheli
Festa di Cristo Re - Si fece il ritiro del mese. Giornata di preghiera. Le meditazioni del Padre portarono tanta luce all'anima mia, e un desiderio grande di dare dare dare a Gesù tutto...
Riforma particolare di questo mese, sia un lavoro intenso per imitare la mansuetudine di Gesù, con il controllo dell'esame particolare. Guardare il Modello, e non darmi pace fino a sapermi dominare...