Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 3° settimana del tempo di Avvento
Vangelo secondo Matteo 17
1Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte.2E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce.3Ed ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui.4Pietro prese allora la parola e disse a Gesù: "Signore, è bello per noi restare qui; se vuoi, farò qui tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia".5Egli stava ancora parlando quando una nuvola luminosa li avvolse con la sua ombra. Ed ecco una voce che diceva: "Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo".6All'udire ciò, i discepoli caddero con la faccia a terra e furono presi da grande timore.7Ma Gesù si avvicinò e, toccatili, disse: "Alzatevi e non temete".8Sollevando gli occhi non videro più nessuno, se non Gesù solo.
9E mentre discendevano dal monte, Gesù ordinò loro: "Non parlate a nessuno di questa visione, finché il Figlio dell'uomo non sia risorto dai morti".
10Allora i discepoli gli domandarono: "Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".11Ed egli rispose: "Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa.12Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l'hanno riconosciuto; anzi, l'hanno trattato come hanno voluto. Così anche il Figlio dell'uomo dovrà soffrire per opera loro".13Allora i discepoli compresero che egli parlava di Giovanni il Battista.
14Appena ritornati presso la folla, si avvicinò a Gesù un uomo15che, gettatosi in ginocchio, gli disse: "Signore, abbi pietà di mio figlio. Egli è epilettico e soffre molto; cade spesso nel fuoco e spesso anche nell'acqua;16l'ho già portato dai tuoi discepoli, ma non hanno potuto guarirlo".17E Gesù rispose: "O generazione incredula e perversa! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatemelo qui".18E Gesù gli parlò minacciosamente, e il demonio uscì da lui e da quel momento il ragazzo fu guarito.
19Allora i discepoli, accostatisi a Gesù in disparte, gli chiesero: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".20Ed egli rispose: "Per la vostra poca fede. In verità vi dico: se avrete fede pari a un granellino di senapa, potrete dire a questo monte: spostati da qui a là, ed esso si sposterà, e niente vi sarà impossibile.21Questa razza di demòni non si scaccia se non con la preghiera e il digiuno".
22Mentre si trovavano insieme in Galilea, Gesù disse loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini23e lo uccideranno, ma il terzo giorno risorgerà". Ed essi furono molto rattristati.
24Venuti a Cafàrnao, si avvicinarono a Pietro gli esattori della tassa per il tempio e gli dissero: "Il vostro maestro non paga la tassa per il tempio?".25Rispose: "Sì". Mentre entrava in casa, Gesù lo prevenne dicendo: "Che cosa ti pare, Simone? I re di questa terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli altri?".26Rispose: "Dagli estranei". E Gesù: "Quindi i figli sono esenti.27Ma perché non si scandalizzino, va' al mare, getta l'amo e il primo pesce che viene prendilo, aprigli la bocca e vi troverai una moneta d'argento. Prendila e consegnala a loro per me e per te".
Primo libro di Samuele 17
1I Filistei radunarono di nuovo l'esercito per la guerra e si ammassarono a Soco di Giuda e si accamparono tra Soco e Azeka, a Efes-Dammìm.2Anche Saul e gli Israeliti si radunarono e si accamparono nella valle del Terebinto e si schierarono a battaglia di fronte ai Filistei.3I Filistei stavano sul monte da una parte e Israele sul monte dall'altra parte e in mezzo c'era la valle.
4Dall'accampamento dei Filistei uscì un campione, chiamato Golia, di Gat; era alto sei cubiti e un palmo.5Aveva in testa un elmo di bronzo ed era rivestito di una corazza a piastre, il cui peso era di cinquemila sicli di bronzo.6Portava alle gambe schinieri di bronzo e un giavellotto di bronzo tra le spalle.7L'asta della sua lancia era come un subbio di tessitori e la lama dell'asta pesava seicento sicli di ferro; davanti a lui avanzava il suo scudiero.8Egli si fermò davanti alle schiere d'Israele e gridò loro: "Perché siete usciti e vi siete schierati a battaglia? Non sono io Filisteo e voi servi di Saul? Scegliete un uomo tra di voi che scenda contro di me.9Se sarà capace di combattere con me e mi abbatterà, noi saremo vostri schiavi. Se invece prevarrò io su di lui e lo abbatterò, sarete voi nostri schiavi e sarete soggetti a noi".10Il Filisteo aggiungeva: "Io ho lanciato oggi una sfida alle schiere d'Israele. Datemi un uomo e combatteremo insieme".11Saul e tutto Israele udirono le parole del Filisteo; ne rimasero colpiti ed ebbero grande paura.
12Davide era figlio di un Efratita da Betlemme di Giuda chiamato Iesse, che aveva otto figli. Al tempo di Saul, quest'uomo era anziano e avanti negli anni.13I tre figli maggiori di Iesse erano andati con Saul in guerra. Di questi tre figli, che erano andati in guerra, il maggiore si chiamava Eliab, il secondo Abìnadab, il terzo Samma.14Davide era ancor giovane quando i tre maggiori erano partiti dietro Saul.15Egli andava e veniva dal seguito di Saul e badava al gregge di suo padre in Betlemme.
16Il Filisteo avanzava mattina e sera; continuò per quaranta giorni a presentarsi.17Ora Iesse disse a Davide suo figlio: "Prendi su per i tuoi fratelli questa misura di grano tostato e questi dieci pani e portali in fretta ai tuoi fratelli nell'accampamento.18Al capo di migliaia porterai invece queste dieci forme di cacio. Informati della salute dei tuoi fratelli e prendi la loro paga.19Saul con essi e tutto l'esercito di Israele sono nella valle del Terebinto a combattere contro i Filistei".20Davide si alzò di buon mattino: lasciò il gregge alla cura di un guardiano, prese la roba e partì come gli aveva ordinato Iesse. Arrivò all'accampamento quando le truppe uscivano per schierarsi e lanciavano il grido di guerra.21Si disposero in ordine Israele e i Filistei: schiera contro schiera.22Davide si tolse il fardello e l'affidò al custode dei bagagli, poi corse tra le file e domandò ai suoi fratelli se stavano bene.23Mentre egli parlava con loro, ecco il campione, chiamato Golia, il Filisteo di Gat, uscì dalle schiere filistee e tornò a dire le sue solite parole e Davide le intese.24Tutti gli Israeliti, quando lo videro, fuggirono davanti a lui ed ebbero grande paura.
25Ora un Israelita disse: "Vedete quest'uomo che avanza? Viene a sfidare Israele. Chiunque lo abbatterà, il re lo colmerà di ricchezze, gli darà in moglie sua figlia ed esenterà la casa di suo padre da ogni gravame in Israele".26Davide domandava agli uomini che stavano attorno a lui: "Che faranno dunque all'uomo che eliminerà questo Filisteo e farà cessare la vergogna da Israele? E chi è mai questo Filisteo non circonciso per insultare le schiere del Dio vivente?".27Tutti gli rispondevano la stessa cosa: "Così e così si farà all'uomo che lo eliminerà".28Lo sentì Eliab, suo fratello maggiore, mentre parlava con gli uomini, ed Eliab si irritò con Davide e gli disse: "Ma perché sei venuto giù e a chi hai lasciato quelle poche pecore nel deserto? Io conosco la tua boria e la malizia del tuo cuore: tu sei venuto per vedere la battaglia".29Davide rispose: "Che ho dunque fatto? Non si può fare una domanda?".30Si allontanò da lui, si rivolse a un altro e fece la stessa domanda e tutti gli diedero la stessa risposta.
31Sentendo le domande che faceva Davide, pensarono di riferirle a Saul e questi lo fece venire a sé.
32Davide disse a Saul: "Nessuno si perda d'animo a causa di costui. Il tuo servo andrà a combattere con questo Filisteo".33Saul rispose a Davide: "Tu non puoi andare contro questo Filisteo a batterti con lui: tu sei un ragazzo e costui è uomo d'armi fin dalla sua giovinezza".34Ma Davide disse a Saul: "Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e veniva talvolta un leone o un orso a portar via una pecora dal gregge.35Allora lo inseguivo, lo abbattevo e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo.36Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orso. Codesto Filisteo non circonciso farà la stessa fine di quelli, perché ha insultato le schiere del Dio vivente".37Davide aggiunse: "Il Signore che mi ha liberato dalle unghie del leone e dalle unghie dell'orso, mi libererà anche dalle mani di questo Filisteo". Saul rispose a Davide: "Ebbene va' e il Signore sia con te".38Saul rivestì Davide della sua armatura, gli mise in capo un elmo di bronzo e gli fece indossare la corazza.39Poi Davide cinse la spada di lui sopra l'armatura, ma cercò invano di camminare, perché non aveva mai provato. Allora Davide disse a Saul: "Non posso camminare con tutto questo, perché non sono abituato". E Davide se ne liberò.
40Poi prese in mano il suo bastone, si scelse cinque ciottoli lisci dal torrente e li pose nel suo sacco da pastore che gli serviva da bisaccia; prese ancora in mano la fionda e mosse verso il Filisteo.
41Il Filisteo avanzava passo passo, avvicinandosi a Davide, mentre il suo scudiero lo precedeva.42Il Filisteo scrutava Davide e, quando lo vide bene, ne ebbe disprezzo, perché era un ragazzo, fulvo di capelli e di bell'aspetto.43Il Filisteo gridò verso Davide: "Sono io forse un cane, perché tu venga a me con un bastone?". E quel Filisteo maledisse Davide in nome dei suoi dèi.44Poi il Filisteo gridò a Davide: "Fatti avanti e darò le tue carni agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche".45Davide rispose al Filisteo: "Tu vieni a me con la spada, con la lancia e con l'asta. Io vengo a te nel nome del Signore degli eserciti, Dio delle schiere d'Israele, che tu hai insultato.46In questo stesso giorno, il Signore ti farà cadere nelle mie mani. Io ti abbatterò e staccherò la testa dal tuo corpo e getterò i cadaveri dell'esercito filisteo agli uccelli del cielo e alle bestie selvatiche; tutta la terra saprà che vi è un Dio in Israele.47Tutta questa moltitudine saprà che il Signore non salva per mezzo della spada o della lancia, perché il Signore è arbitro della lotta e vi metterà certo nelle nostre mani".48Appena il Filisteo si mosse avvicinandosi incontro a Davide, questi corse prontamente al luogo del combattimento incontro al Filisteo.49Davide cacciò la mano nella bisaccia, ne trasse una pietra, la lanciò con la fionda e colpì il Filisteo in fronte. La pietra s'infisse nella fronte di lui che cadde con la faccia a terra.50Così Davide ebbe il sopravvento sul Filisteo con la fionda e con la pietra e lo colpì e uccise, benché Davide non avesse spada.51Davide fece un salto e fu sopra il Filisteo, prese la sua spada, la sguainò e lo uccise, poi con quella gli tagliò la testa. I Filistei videro che il loro eroe era morto e si diedero alla fuga.
52Si levarono allora gli uomini d'Israele e di Giuda alzando il grido di guerra e inseguirono i Filistei fin presso Gat e fino alle porte di Ekron. I Filistei caddero e lasciarono i loro cadaveri lungo la via fino a Saaràim, fino a Gat e fino ad Ekron.53Quando gli Israeliti furono di ritorno dall'inseguimento dei Filistei, saccheggiarono il loro campo.54Davide prese la testa del Filisteo e la portò a Gerusalemme. Le armi di lui invece le pose nella sua tenda.
55Saul, mentre guardava Davide uscire incontro al Filisteo, aveva chiesto ad Abner capo delle milizie: "Abner, di chi è figlio questo giovane?". Rispose Abner: "Per la tua vita, o re, non lo so".56Il re soggiunse: "Chiedi tu di chi sia figlio quel giovinetto".57Quando Davide tornò dall'uccisione del Filisteo, Abner lo prese e lo condusse davanti a Saul mentre aveva ancora in mano la testa del Filisteo.58Saul gli chiese: "Di chi sei figlio, giovane?". Rispose Davide: "Di Iesse il Betlemmita, tuo servo".
Siracide 51
1Ti glorificherò, Signore mio re,
ti loderò, Dio mio salvatore;
glorificherò il tuo nome,
2perché fosti mio protettore e mio aiuto
e hai liberato il mio corpo dalla perdizione,
dal laccio di una lingua calunniatrice,
dalle labbra che proferiscono menzogne;
di fronte a quanti mi circondavano
sei stato il mio aiuto e mi hai liberato,
3secondo la tua grande misericordia e per il tuo nome,
dai morsi di chi stava per divorarmi,
dalla mano di quanti insidiavano alla mia vita,
dalle molte tribolazioni di cui soffrivo,
4dal soffocamento di una fiamma avvolgente,
e dal fuoco che non avevo acceso,
5dal profondo seno degli inferi,
dalla lingua impura e dalla parola falsa.
6Una calunnia di lingua ingiusta era giunta al re.
La mia anima era vicina alla morte,
la mia vita era alle porte degli inferi.
7Mi assalivano dovunque e nessuno mi aiutava;
mi rivolsi per soccorso agli uomini, ma invano.
8Allora mi ricordai delle tue misericordie, Signore,
e delle tue opere che sono da sempre,
perché tu liberi quanti sperano in te,
li salvi dalla mano dei nemici.
9Ed innalzi dalla terra la mia supplica;
pregai per la liberazione dalla morte.
10Esclamai: "Signore, mio padre tu sei
e campione della mia salvezza,
non mi abbandonare nei giorni dell'angoscia,
nel tempo dello sconforto e della desolazione.
Io loderò sempre il tuo nome;
canterò inni a te con riconoscenza".
11La mia supplica fu esaudita;
tu mi salvasti infatti dalla rovina
e mi strappasti da una cattiva situazione.
12Per questo ti ringrazierò e ti loderò,
benedirò il nome del Signore.
13Quando ero ancora giovane, prima di viaggiare,
ricercai assiduamente la sapienza nella preghiera.
14Davanti al santuario pregando la domandavo,
e sino alla fine la ricercherò.
15Del suo fiorire, come uva vicina a maturare,
il mio cuore si rallegrò.
Il mio piede si incamminò per la via retta;
dalla giovinezza ho seguito le sue orme.
16Chinai un poco l'orecchio per riceverla;
vi trovai un insegnamento abbondante.
17Con essa feci progresso;
renderò gloria a chi mi ha concesso la sapienza.
18Sì, ho deciso di metterla in pratica;
sono stato zelante nel bene, non resterò confuso.
19La mia anima si è allenata in essa;
fui diligente nel praticare la legge.
Ho steso le mani verso l'alto;
ho deplorato che la si ignori.
20A lei rivolsi il mio desiderio,
e la trovai nella purezza.
In essa acquistai senno fin da principio;
per questo non la abbandonerò.
21Le mie viscere si commossero nel ricercarla;
per questo ottenni il suo prezioso acquisto.
22Il Signore mi ha dato in ricompensa una lingua,
con cui lo loderò.
23Avvicinatevi, voi che siete senza istruzione,
prendete dimora nella mia scuola.
24Fino a quando volete rimanerne privi,
mentre la vostra anima ne è tanto assetata?
25Ho aperto la bocca e ho parlato:
"Acquistatela senza denaro.
26Sottoponete il collo al suo giogo,
accogliete l'istruzione.
Essa è vicina e si può trovare.
27Vedete con gli occhi che poco mi faticai,
e vi trovai per me una grande pace.
28Acquistate anche l'istruzione con molto denaro;
con essa otterrete molto oro.
29Si diletti l'anima vostra della misericordia del
Signore;
non vogliate vergognarvi di lodarlo.
30Compite la vostra opera prima del tempo
ed egli a suo tempo vi ricompenserà".
Salmi 71
1In te mi rifugio, Signore,
ch'io non resti confuso in eterno.
2Liberami, difendimi per la tua giustizia,
porgimi ascolto e salvami.
3Sii per me rupe di difesa,
baluardo inaccessibile,
poiché tu sei mio rifugio e mia fortezza.
4Mio Dio, salvami dalle mani dell'empio,
dalle mani dell'iniquo e dell'oppressore.
5Sei tu, Signore, la mia speranza,
la mia fiducia fin dalla mia giovinezza.
6Su di te mi appoggiai fin dal grembo materno,
dal seno di mia madre tu sei il mio sostegno;
a te la mia lode senza fine.
7Sono parso a molti quasi un prodigio:
eri tu il mio rifugio sicuro.
8Della tua lode è piena la mia bocca,
della tua gloria, tutto il giorno.
9Non mi respingere nel tempo della vecchiaia,
non abbandonarmi quando declinano le mie forze.
10Contro di me parlano i miei nemici,
coloro che mi spiano congiurano insieme:
11"Dio lo ha abbandonato,
inseguitelo, prendetelo,
perché non ha chi lo liberi".
12O Dio, non stare lontano:
Dio mio, vieni presto ad aiutarmi.
13Siano confusi e annientati quanti mi accusano,
siano coperti d'infamia e di vergogna
quanti cercano la mia sventura.
14Io, invece, non cesso di sperare,
moltiplicherò le tue lodi.
15La mia bocca annunzierà la tua giustizia,
proclamerà sempre la tua salvezza,
che non so misurare.
16Dirò le meraviglie del Signore,
ricorderò che tu solo sei giusto.
17Tu mi hai istruito, o Dio, fin dalla giovinezza
e ancora oggi proclamo i tuoi prodigi.
18E ora, nella vecchiaia e nella canizie,
Dio, non abbandonarmi,
finché io annunzi la tua potenza,
a tutte le generazioni le tue meraviglie.
19La tua giustizia, Dio, è alta come il cielo,
tu hai fatto cose grandi:
chi è come te, o Dio?
20Mi hai fatto provare molte angosce e sventure:
mi darai ancora vita,
mi farai risalire dagli abissi della terra,
21accrescerai la mia grandezza
e tornerai a consolarmi.
22Allora ti renderò grazie sull'arpa,
per la tua fedeltà, o mio Dio;
ti canterò sulla cetra, o santo d'Israele.
23Cantando le tue lodi, esulteranno le mie labbra
e la mia vita, che tu hai riscattato.
24Anche la mia lingua tutto il giorno
proclamerà la tua giustizia,
quando saranno confusi e umiliati
quelli che cercano la mia rovina.
Ezechiele 9
1Allora una voce potente gridò ai miei orecchi: "Avvicinatevi, voi che dovete punire la città, ognuno con lo strumento di sterminio in mano".2Ecco sei uomini giungere dalla direzione della porta superiore che guarda a settentrione, ciascuno con lo strumento di sterminio in mano. In mezzo a loro c'era un altro uomo, vestito di lino, con una borsa da scriba al fianco. Appena giunti, si fermarono accanto all'altare di bronzo.3La gloria del Dio di Israele, dal cherubino sul quale si posava si alzò verso la soglia del tempio e chiamò l'uomo vestito di lino che aveva al fianco la borsa da scriba.4Il Signore gli disse: "Passa in mezzo alla città, in mezzo a Gerusalemme e segna un 'tau' sulla fronte degli uomini che sospirano e piangono per tutti gli abomini che vi si compiono".5Agli altri disse, in modo che io sentissi: "Seguitelo attraverso la città e colpite! Il vostro occhio non perdoni, non abbiate misericordia.6Vecchi, giovani, ragazze, bambini e donne, ammazzate fino allo sterminio: solo non toccate chi abbia il 'tau' in fronte; cominciate dal mio santuario!". Incominciarono dagli anziani che erano davanti al tempio.7Disse loro: "Profanate pure il santuario, riempite di cadaveri i cortili. Uscite!". Quelli uscirono e fecero strage nella città.8Mentre essi facevano strage, io ero rimasto solo: mi gettai con la faccia a terra e gridai: "Ah! Signore Dio, sterminerai tu quanto è rimasto di Israele, rovesciando il tuo furore sopra Gerusalemme?".
9Mi disse: "L'iniquità di Israele e di Giuda è enorme, la terra è coperta di sangue, la città è piena di violenza. Infatti vanno dicendo: Il Signore ha abbandonato il paese: il Signore non vede.10Ebbene, neppure il mio occhio avrà compassione e non userò misericordia: farò ricadere sul loro capo le loro opere".11Ed ecco l'uomo vestito di lino, che aveva la borsa al fianco, fece questo rapporto: "Ho fatto come tu mi hai comandato".
Atti degli Apostoli 12
1In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa2e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni.3Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi.4Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.5Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui.6E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere.7Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: "Alzati, in fretta!". E le catene gli caddero dalle mani.8E l'angelo a lui: "Mettiti la cintura e legati i sandali". E così fece. L'angelo disse: "Avvolgiti il mantello, e seguimi!".9Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione.
10Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si dileguò da lui.11Pietro allora, rientrato in sé, disse: "Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei".12Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera.13Appena ebbe bussato alla porta esterna, una fanciulla di nome Rode si avvicinò per sentire chi era.14Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunziare che fuori c'era Pietro.15"Tu vaneggi!" le dissero. Ma essa insisteva che la cosa stava così. E quelli dicevano: "È l'angelo di Pietro".16Questi intanto continuava a bussare e quando aprirono la porta e lo videro, rimasero stupefatti.17Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: "Riferite questo a Giacomo e ai fratelli". Poi uscì e s'incamminò verso un altro luogo.
18Fattosi giorno, c'era non poco scompiglio tra i soldati: che cosa mai era accaduto di Pietro?19Erode lo fece cercare accuratamente, ma non essendo riuscito a trovarlo, fece processare i soldati e ordinò che fossero messi a morte; poi scese dalla Giudea e soggiornò a Cesarèa.
20Egli era infuriato contro i cittadini di Tiro e Sidone. Questi però si presentarono a lui di comune accordo e, dopo aver tratto alla loro causa Blasto, ciambellano del re, chiedevano pace, perché il loro paese riceveva i viveri dal paese del re.21Nel giorno fissato Erode, vestito del manto regale e seduto sul podio, tenne loro un discorso.22Il popolo acclamava: "Parola di un dio e non di un uomo!".23Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; e roso, dai vermi, spirò.
24Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva.25Bàrnaba e Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco.
Capitolo XIV: Pensare all’occulto giudizio di Dio, per non insuperbirci del bene
Leggilo nella Biblioteca1. Come tuono fai scendere sopra di me i tuoi giudizi, Signore; timore e terrore scuotono tutte le mie ossa; l'anima mia si ritrae spaventata. Sbigottito penso che neppure i cieli sono puri, di fronte a te. Se hai trovato dei malvagi persino tra gli angeli e non li hai risparmiati, che cosa accadrà di me? Caddero le stelle del cielo, ed io, che sono polvere, che cosa presumo di me? Caddero nel profondo certuni, che sembrava avessero compiuto opere degne di lode; certuni che mangiavano il pane degli angeli, li ho visti contentarsi delle carrube che mangiavano i porci. Invero, non c'è santità se tu, o Signore, togli la tua mano; la sapienza non serve a nulla, se tu cessi di reggerci; la fortezza non giova, se tu cessi di custodirla; la castità non è sicura, se tu non la difendi; la vigilanza su se stessi non vale, se tu non sei presente con la tua santa protezione. Infatti se tu ci abbandoni, andiamo a fondo e moriamo; se tu, invece, ci assisti ci teniamo ritti e viviamo. In verità, noi siamo malfermi, ma tu ci rafforzi; siamo tiepidi, ma tu ci infiammi.
2. Oh!, come devo essere conscio della mia bassezza e della mia abiezione; e come devo considerare un nulla quel poco di bene che mi possa sembrare di aver fatto. Con quale pienezza di sottomissione devo accettare, o Signore, i tuoi profondi giudizi, giacché mi trovo ad essere nient'altro che nulla e poi nulla. E' cosa grande, invalicabile, questo riscontrare che di mio non c'è assolutamente niente. Dove mai si nasconde la mia boria, dove finisce la sicurezza che riponevo nella mia virtù. Ogni mia vuota vanteria è inghiottita nella profondità dei tuoi giudizi sopra di me. Che cosa mai è l'uomo di fronte a te? Forse che la creta può vantarsi nei confronti di colui che la plasma? (cfr. Is 45,9). Come può gonfiarsi, con vane parole, colui che, in verità, nell'intimo è soggetto a Dio? Neppure il mondo intero lo potrebbe far montare in superbia, poiché la Verità stessa lo ha soggiogato. Neppure un elogio da parte di tutti gli uomini lo potrebbe smuovere, poiché ha posto interamente la sua speranza in Dio: infatti, quelli che fanno tanti elogi, ecco, non sono che nulla, e scompariranno con il suono delle loro parole. Mentre la "parola del Signore resta in eterno" (Sal 116,2).
LIBRO TERZO: RITMO E METRO
La Musica - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaTeoria di ritmo verso e metro (1, 1 - 2, 4)
Ritmo e limite.
1. 1. M. - Questo terzo discorso, dato che si è detto a sufficienza sull'affinità e raccordo dei piedi, ci spinge ad esaminare che cosa ha origine da essi se sono disposti in una sequenza. E prima di tutto ti chiedo se i piedi, che è di norma congiungere, una volta congiunti, possano produrre un ritmo ininterrotto, in cui non appare un limite fisso. Il fatto accade allorché i musicanti battono con i piedi gli xilofoni e i cembali con ritmi determinati e tali che si svolgono con diletto dell'orecchio, ma con un andamento ininterrotto, in maniera che se non odi i flauti, non potresti rilevare fino a dove vada avanti la combinazione dei piedi né in qual punto essa ricominci daccapo. Sarebbe come se tu volessi allineare di seguito cento pirrichi o più, a tuo piacimento, o altri piedi che sono tra loro affini.
D. - Comprendo e ammetto che si può avere una certa combinazione di piedi, in cui sia stabilito fino a quanti piedi si deve procedere e poi ricominciare.
M. - E giacché non neghi che esiste una determinata disciplina del far versi e hai ammesso di aver sempre ascoltato versi con diletto, puoi dubitare che si dia una combinazione di tal genere [e non ammettere che si differenzia dal ritmo]?
D. - È evidente che si dà anche questa e che differisce da quella trattata precedentemente.
Ritmo, misura e metro.
1. 2. M. - Dunque perché si deve distinguere pelle parole ciò che è distinto nei concetti, sappi che i greci chiamavano ritmo il primo genere di combinazioni e metro il secondo. In latino il primo può esser chiamato numerus e il secondo mensio o mensura. Ma poiché queste parole hanno nella nostra lingua un senso molto lato e ci si deve guardare dal parlare con doppi sensi, preferiamo usare le parole greche. Tu vedi, penso, con quale precisione i due nomi sono stati imposti ai concetti. Infatti, poiché il ritmo si svolge con determinati piedi e si commette errore nel comporlo se si mescolano piedi discordanti, giustamente è stato chiamato ritmo, cioè numero, ma poiché lo svolgimento in sé non ha misura e non è stabilito con quale numero di piedi debba notarsi la fine, non si doveva chiamar metro per mancanza di misura della sequenza. Il metro appunto ha entrambe le caratteristiche giacché si svolge con piedi determinati ed ha una fine determinata. Esso è dunque non solamente metro a causa del limite riconoscibile, ma è anche ritmo per la combinazione razionale dei piedi. Dunque ogni metro è un ritmo, ma non ogni ritmo è un metro. In musica infatti il concetto di ritmo è così esteso che tutta questa parte che riguarda il " lungamente " e il " non lungamente ", è chiamata ritmo. Ma i dotti e gli scienziati hanno insegnato che non ci si deve preoccupare della terminologia se il concetto è chiaro. Hai qualche obiezione o dubbio sulle nozioni che ho esposto?
D. - No, sono perfettamente d'accordo.
Metro e verso.
2. 3. M. - Or dunque riflettiamo insieme se sia verso ogni metro, come è metro ogni verso.
D. - Rifletto, ma non trovo da rispondere.
M. - Perché credi che ti accada? Forse perché si tratta di parole? Infatti mentre in un dialogo possiamo rispondere sulle idee pertinenti a una disciplina, non così sulle parole, appunto perché le idee sono universalmente innate nella mente di tutti gli uomini, mentre i loro nomi sono stati imposti dall'arbitrio di individui e il loro significato si fonda sull'uso dovuto alla tradizione. Ecco perché vi può essere diversità di linguaggi, ma non certo di idee che sono stabilite nella stessa verità. Ascolta dunque da me ciò che da te non potresti rispondere. Gli antichi non hanno chiamato metro soltanto il verso. Dunque, per ciò che ti riguarda, giacché non si tratta più di nomi, cerca di comprendere se fra le due forme vi sia una differenza. Infatti un ritmo di piedi si chiude con una fine così determinata che non ha importanza dove si abbia un comma prima di giungere alla fine, un altro invece non solo si chiude con una fine determinata, ma prima della fine a un certo punto si avverte una partizione, come se fosse formato da due cola.
D. - Non capisco.
M. - Fai attenzione dunque a questo esempio:
Ite igitur, / Camenae
Fonticolae / puellae
Quae canitis/sub antris
Mellifluos / sonores
Quae lavitis / capillum
Purpureum Hip/ pocrene
Fonte, ubi fu/sus olim
Spumea la/vit almus
Ora iubis / aquosis.
Pegasus, in / nitentem
Pervolatu/rus aethram.
Tu noti certamente che i primi cinque versi hanno un emistichio nel medesimo punto, cioè nel coriambo. Ad esso si aggiunge il bacchio per completare il breve verso. Tutti gli undici versi sono formati appunto da un coriambo e da un bacchio. Gli altri, eccetto uno, cioè Ora iubis aquosis, non hanno nel medesimo punto un comma completo.
D. - Comprendo, ma non vedo a che scopo.
M. - Ma appunto per farti capire che questo metro non ha una sede, per così dire, normativa, con cui si abbia un emistichio prima della fine del verso. Se così fosse, tutti avrebbero nel medesimo punto il comma o sarebbero rarissimi quelli che non l'avessero. Ora su undici versi sei lo hanno e cinque no.
D. - Capisco e attendo a che mira la dimostrazione.
M. - Fai dunque attenzione a questo notissimo verso: Arma vi/rumque ca/no Tro/iae qui/ primus ab / oris. E per non portarla alle lunghe, dato che la poesia è notissima, esamina da questo fin dove vuoi i singoli versi e vi troverai un emistichio al quinto semipiede, cioè dopo due piedi e mezzo. Infatti questi versi son formati di piedi di quattro tempi e quindi la fine dell'emistichio, di cui si parla, è per così dire normativa al decimo tempo.
D. - È chiaro.
Verso colon e cesura.
2. 4. M. - Or dunque puoi comprendere che tra quelle due forme, che ti ho presentato prima di questi esempi, v'è una certa differenza, e cioè che un metro prima di esser chiuso non ha un comma determinato e stabilito, come abbiamo esaminato negli undici brevi versi, mentre l'altro lo ha, come indica chiaramente nel verso epico il quinto semipiede.
D. - Ora mi è chiaro ciò che dici.
M. - Or devi sapere che dagli antichi dotti, che hanno grande autorità, non è stato dato il nome di verso alla prima forma di metro, ma che da loro è stato descritto e chiamato verso quel metro che è formato di due cola, riuniti in base a misura e regola determinate. Tu comunque non darti pena per il nome, sul quale interrogato non potresti rispondere, se non ti venisse indicato da me o da qualcun altro. Ma presta la più viva attenzione a ciò che insegna la ragione, come è l'argomento, di cui adesso trattiamo. Ora la ragione insegna che fra queste due forme esiste una differenza, qualunque sia il vocabolo con cui sono indicate. Quindi adeguatamente interrogato sull'argomento, potresti rispondere affidandoti alla stessa verità, ma non potresti rispondere sui nomi, se non dopo aver conosciuto la tradizione.
D. - Ho conosciuto con chiarezza queste nozioni ed ora posso valutare il peso che dài alla cosa, sulla quale tanto spesso richiami la mia attenzione.
M. - Vorrei dunque che tu tenessi presenti i tre termini, che necessariamente dovremo usare per discutere: ritmo, verso e metro. Essi si distinguono perché ogni metro è anche ritmo, ma non ogni ritmo è anche metro ed ugualmente ogni verso è metro, ma non ogni metro è anche verso. Dunque ogni verso è ritmo e metro. Capisci, penso, che è logico.
D. - Sì, certamente. È più chiaro della luce.
I piedi nel ritmo (3, 5 - 6, 14)
Ritmo di pirrichi.
3. 5. M. - Dunque, se sei d'accordo, discutiamo prima di tutto, come ne siamo capaci, del ritmo, in cui non si ha il metro, quindi del metro, in cui non si ha il verso e infine dello stesso verso.
D. - Va bene.
M. - Prendi dunque fin dal principio dei piedi pirrichi e formane un ritmo.
D. - Anche se lo potessi fare, quale ne sarà la misura?
M. - Giacché lo facciamo solo per esempio, basta che lo estendi fino a dieci piedi poiché il verso non può andare oltre a questo numero di piedi. È un tema che sarà trattato diligentemente a suo tempo.
D. - Molto giustamente non mi hai proposto di riunire molti piedi. Mi sembra però che non ricordi di aver distinto con esattezza fra grammatico e musico, quando ti risposi che delle sillabe lunghe e brevi non possedevo la disciplina trasmessa dai grammatici, a meno che non mi permetti di mostrarti il ritmo non con le parole, ma con una determinata percussione. Non nego che posso avere la capacità dell'udito per misurare la successione del tempo, ma non so proprio, giacché è stabilito dalla tradizione, quale sillaba si deve considerare breve e quale lunga.
M. - Riconosco che, come dici, abbiamo distinto tra grammatico e musico e che tu hai ammesso la tua ignoranza in materia. Ascolta dunque un esempio di questa forma: Ago/ cele/riter / agi/le quod/ ago/ tibi/ quod a/nima/ velit.
D. - Lo tengo presente.
Il pirrichio prevale sul proceleusmatico.
3. 6. M. - Ripetendo questo metro molte volte a tuo piacere, otterrai un ritmo tanto lungo quanto vorrai, sebbene i dieci piedi siano sufficienti come saggio. Ma se qualcuno ti dicesse che il ritmo è formato non di pirrichi ma di proceleusmatici, cosa risponderesti?
D. - Non lo so proprio, perché dove si hanno dieci pirrichi, posso scandire cinque proceleusmatici, e il dubbio è tanto più forte perché ci si chiede di un ritmo che si svolge senza interruzione. Infatti undici, tredici o qualsiasi altro numero dispari di pirrichi non possono formare un numero intero di proceleusmatici. Se dunque vi fosse un limite determinato nel ritmo in questione, si potrebbe dire che si svolge con pirrichi, anziché con proceleusmatici giacché non si avrebbero proceleusmatici tutti interi. Ora invece la illimitatezza stessa rende indeciso il nostro giudizio, come pure se ci si propongono piedi determinati in numero, ma pari, come sono appunto questi dieci.
M. - Ma anche ciò che a te è sembrato evidente di un numero dispari di pirrichi, non è affatto evidente. Perché infatti non si potrebbe dire, se si dispongono undici pirrichi, che il ritmo ha cinque proceleusmatici e un semipiede? Che cosa si potrebbe obiettare, dato che si hanno molti versi catalettici di un semipiede?
D. - Ti ho detto già che non so cosa si può dire sull'argomento.
M. - Non sai nemmeno che il pirrichio procede il proceleusmatico? Con due pirrichi si forma un proceleusmatico e siccome uno viene prima di due e due prima di quattro, così il pirrichio viene prima del proceleusmatico.
D. - È verissimo.
M. - Quando dunque ci imbattiamo nell'alternativa che nel ritmo si possano scandire il pirrichio e il proceleusmatico, a quale daremo la precedenza? Al primo, dal quale questo è formato, oppure al secondo, da cui il primo non è formato?
D. - Non v'è dubbio che va data al primo.
M. - Perché dunque, quando ti si richiede sull'argomento, dubiti di rispondere che questo ritmo deve essere considerato pirrichio, anziché proceleusmatico?
D. - Ora non ho più dubbi e mi vergogno di non aver subito compreso un ragionamento tanto evidente.
La percussione decide.
4. 7. M. - E capisci che da questo ragionamento si deduce che si hanno piedi che non possono formare una sequenza ritmica? Ciò che è stato accertato per il proceleusmatico, al quale il pirrichio toglie la precedenza, credo, sia accertato anche per il digiambo, il dicoreo e il dispondeo. O sei d'altra opinione?
D. - Come posso essere d'altra opinione? Avendo accettato la premessa, non posso respingere la conclusione.
M. - Esamina anche i concetti che seguono, confronta e giudica. Sembra infatti, quando si verifica questa indecisione, che dalla percussione si deve distinguere con quale piede si scandisce. Quindi se vuoi scandire con un pirrichio, si deve porre un tempo in arsi e un tempo in tesi, se col proceleusmatico due e due tempi. Così il piede sarà evidenziato e nessun piede sarà escluso dall'avere una sequenza ritmica.
D. - Sto per questa opinione, la quale non permette che alcun piede sia escluso dalla sequenza ritmica.
M. - Fai bene e affinché tu ne sia più certo, considera che cosa possiamo rispondere sul tribraco, se ci si viene a sostenere che questo ritmo si scandisce non con pirrichi o proceleusmatici, ma con tribraci.
D. - Intendo che bisogna richiamarsi alla percussione. Se si ha un tempo in arsi e due in tesi, cioè una e due sillabe, o anche due in arsi e una in tesi, si può dire che è un ritmo tribaco.
Non si dà ritmo proceleusmatico.
4. 8. M. - Hai ben compreso. Dimmi ora se lo spondeo può unirsi al ritmo pirrichio.
D. - No, assolutamente. La percussione non avrebbe una sequenza eguale, poiché nel pirrichio l'arsi e la tesi occupano un tempo ciascuno, mentre nello spondeo due tempi.
M. - Dunque al proceleusmatico si può unire.
D. - Sì.
M. - Che cosa avviene quando gli si aggiunge? Interrogati se il ritmo è proceleusmatico o spondaico, che cosa risponderemo?
D. - Che cosa dire, se non dare la precedenza allo spondeo? La controversia infatti non si compone con la percussione giacché nell'uno e nell'altro si danno due tempi all'arsi e due alla tesi. Non resta che dare la precedenza a quello che viene prima nell'ordine dei piedi.
M. - Noto che hai compreso il ragionamento e intendi, come credo, ciò che se ne conclude.
D. - Che cosa infine?
M. - Che nessun altro piede si può unire al ritmo proceleusmatico. Infatti qualsiasi altro ritmo della stessa durata gli fosse unito, altrimenti non potrebbe essergli unito, necessariamente denominerà il ritmo che si ottiene, appunto perché tutti i piedi, che son formati dai medesimi tempi, hanno la precedenza sul proceleusmatico. E poiché gli altri sono stati scoperti prima, la logica ci obbliga a denominare il ritmo da quel piede, cui essa, come hai visto, dà la precedenza. Non sarà dunque più un ritmo proceleusmatico, quando gli sarà unito qualche altro piede di quattro tempi, ma uno spondeo o un dattilo o un anapesto. Si è d'accordo infatti che l'anfibraco resti escluso dall'unione di questi piedi.
D. - Ammetto che è così.
Favore per i ritmi giambici, trocaici e spondaici.
4. 9. M. - Or dunque seguendo la disposizione esamina il ritmo giambico giacché abbiamo discusso abbastanza del pirrichio e del proceleusmatico, che è generato da due pirrichi. Pertanto vorrei che tu mi dicessi quale piede pensi debba essere unito al giambo perché il ritmo giambico conservi il proprio nome.
D. - Quale altro se non il tribraco che ha il medesimo tempo e la medesima percussione e poiché viene dopo non può arrogarsi la precedenza? Anche il coreo viene dopo ed ha i medesimi tempi, ma non la medesima percussione.
M. - Passa ora al trocheo ed anche su di esso esponi i medesimi temi.
D. - Rispondo allo stesso modo. Il tribraco può armonizzarsi col trocheo non solo per il tempo ma anche per la percussione. Ma chi non vedrebbe che si deve evitare il giambo? Se ad esso appunto si desse eguale percussione, una volta unito al trocheo, gli toglierebbe la precedenza.
M. - E infine quale piede uniremo al ritmo spondaico?
D. - Ve n'è abbondanza. Vedo che gli possono essere uniti il dattilo, l'anapesto e il proceleusmatico perché non lo impediscono né inegualità di tempi, né difetto di percussione, né perdita della precedenza.
Ritmi commischiati e non commischiati.
4. 10. M. - Veggo ormai che puoi facilmente elencare nella disposizione tutti gli altri ritmi. Perciò senza mia interrogazione o piuttosto come se tu fossi interrogato su tutto, dimmi con tutta la brevità e chiarezza possibili come i piedi che restano, se mescolati normalmente ad altri, conservino il proprio nome nel ritmo.
D. - Lo farò e non sarà una fatica, tanta è la chiarezza delle precedenti dimostrazioni. Nessun piede potrà essere unito al tribraco perché tutti quelli che hanno tempi eguali ai suoi hanno la precedenza. Al dattilo può essere unito l'anapesto perché viene dopo e scorre con egual tempo e eguale percussione. Ad ambedue, per la medesima ragione, può essere unito il proceleusmatico. Al bacchio possono essere uniti il cretico e i peoni I, II e IV. Al cretico possono unirsi tutti i piedi di cinque tempi che vengono dopo di lui, ma non tutti con la medesima divisione. Gli uni infatti si dividono in due e tre tempi, gli altri in tre e due tempi. Ma il cretico stesso può esser diviso in due maniere, dato che la breve di mezzo può essere attribuita alla prima o alla seconda parte. Il palimbacchio invece, per il fatto che la sua divisione inizia con due tempi e termina con tre, ha come adatti alla unione tutti i peoni, escluso il secondo. Dei trisillabi rimane il molosso, dal quale iniziano i piedi di sei tempi, che possono tutti essergli uniti, in parte perché ne condividono il rapporto dell'uno al due ed in parte per quella divisione, rilevata dalla percussione, della sillaba lunga di mezzo che cede un tempo a ciascuno degli estremi. Nel sei appunto il medio è eguale agli estremi. Per questo motivo il molosso e i due ionici sono battuti non solo nel rapporto di uno a due, ma anche in due parti eguali di tre tempi ciascuna. Avviene così che successivamente a tutti i piedi di sei tempi possono essere uniti gli altri di sei tempi. Rimane soltanto l'antispasto, il quale non ammette unione con alcun altro. Seguono i quattro epitriti. Il primo di essi ammette l'unione col secondo, il secondo rifiuta l'unione con ogni altro, il terzo si unisce col quarto e il quarto con nessuno. Resta il dispondeo che farà, anche esso, il ritmo da solo poiché non trova un ritmo dopo di sé, né ad esso eguale. Così sono otto in tutti i piedi che fanno un ritmo senza mescolanza: il pirrichio, il tribraco, il proceleusmatico, il peone IV, l'antispasto, l'epitrito II e IV e il dispondeo. Gli altri ammettono l'unione con quelli che li seguono in maniera da ottenere il nome di ritmo, anche se se ne possono contare pochi in questa serie. Questo è, credo, sufficiente per l'argomento che hai voluto da me esposto nei particolari. È tuo compito ora esaminare ciò che resta.
Si danno piedi con più di quattro sillabe?
5. 11. M. - Piuttosto anche tuo assieme a me perché tutti e due stiamo conducendo una indagine. Ma infine che cosa resta, secondo te, che possa riguardare il ritmo? Non c'è da esaminare qualche altra misura di piede che, benché non superi gli otto tempi, compresi nel dispondeo, vada tuttavia al di là del numero di quattro sillabe?
D. - Perché?, scusa.
M. - Perché interroghi me piuttosto che te stesso? Non ritieni che senza inganno o offesa dell'udito, si possono sostituire due sillabe brevi a una lunga, in attinenza tanto alla percussione e alla divisione dei piedi quanto alla durata?.
D. - E chi lo negherebbe?
M. - Ecco perché dunque si pone il tribraco al posto del giambo e del coreo, il dattilo, l'anapesto e il proceleusmatico al posto dello spondeo, quando si pongono due brevi al posto della loro seconda o prima, oppure quattro brevi al posto di entrambe.
D. - D'accordo.
M. - Fai quindi altrettanto con uno ionico qualsiasi e con qualche altro piede quadrisillabo di sei tempi e sostituisci una loro lunga qualsiasi con due brevi. Forse che qualche cosa della misura si perde o qualche cosa impedisce la percussione?
D. - Niente, assolutamente.
M. - Considera dunque quante sillabe si danno.
D. - Se ne formano cinque, evidente.
M. - Vedi pertanto che può essere superato il numero di quattro sillabe.
D. - Lo vedo bene.
M. - E se sostituisci quattro brevi alle due lunghe dello ionico, non devi necessariamente calcolare sei sillabe in un solo piede?
D. - Sì.
M. - E se scomponi in brevi tutte le sillabe dell'epitrito, c'è forse da dubitare che si avrebbero sette sillabe?
D. - No, certo.
M.- E il dispondeo? Non fa otto sillabe se si pongono due brevi al posto di tutte le lunghe?
D. - È proprio vero.
Il piede con più di quattro sillabe non ha figura.
5. 12. M. - Qual è dunque la ragione per cui si è costretti a scandire dei piedi con un sì gran numero di sillabe e nello stesso tempo si deve ammettere, in base alle dimostrazioni già esposte, che il piede usato per i ritmi non deve superare le quattro sillabe? Non ti sembra che i due concetti si oppongono?
D. - Sì certamente e non so come si possano accordare.
M. - Anche questo è facile. Basta che ricordi di nuovo se dianzi è logicamente emerso dal nostro dialogo che il pirrichio e il proceleusmatico debbono essere riconosciuti nel loro schema dalla percussione. Così soltanto il piede a divisione normale creerà il ritmo, quanto dire che da esso il ritmo prenderà il nome.
D. - Ricordo e non vedo perché mi debba pentire di aver accettato tali concetti. Ma a che scopo le tue parole?
M. - Perché tutti i piedi di quattro sillabe, tranne l'anfibraco, formano un ritmo, vale a dire, hanno la precedenza nel ritmo e lo costituiscono nell'uso e nel nome. Al contrario molti dei piedi, che hanno più di quattro sillabe, possono sostituirli, ma da soli non formano un ritmo e non possono avere il nome di ritmo. Per questo penserei di non chiamarli piedi. Pertanto la opposizione che ci turbava, come penso, è risolta ed eliminata, giacché in luogo di un piede possiamo porre più di quattro sillabe e tuttavia non considerare piede se non quello con cui il ritmo si forma. Bisognava infatti che fosse stabilito al piede un certo limite dello sviluppo in sillabe. Ora il limite, che si è potuto nel miglior modo stabilire, perché derivato dalla stessa legge dei numeri, si è arrestato al quattro. Quindi si è potuto avere un piede di quattro sillabe lunghe. Quando poi a suo posto stabiliamo otto brevi, dato che occupano la medesima durata, si possono sostituire all'altro piede. Ma poiché superano la normale estensione cioè il quattro, si vieta che siano posti di per se stessi e formino un proprio ritmo, e non tanto per esigenza estetica dell'udito, ma per norma d'arte. Hai qualche cosa da obiettare?
Il piede più lungo è di quattro lunghe.
5. 13. D. - Sì, e lo dico. Che cosa impediva che il piede potesse giungere fino ad otto sillabe, quando vediamo che si può accettare questo numero per ciò che riguarda il ritmo? E non mi turba il tuo assunto che il piede è messo al posto di un altro, che anzi proprio questo mi suggerisce di chiedere, anzi di lamentare, che non sia consentito anche col proprio nome un piede che lo può a posto di un altro.
M. - Non c'è da meravigliarsi che ti sbagli, ma è facile la dimostrazione del vero. Tralascio i molti argomenti esposti a favore del quattro e la ragione, per cui lo sviluppo delle sillabe deve arrivare fino a questo numero. Supponi che io mi sia arreso a te e ti abbia concesso che la lunghezza di un piede possa essere estesa fino a otto sillabe. Potresti negare che già sarebbe possibile un piede di otto sillabe lunghe? Certamente se il piede giunge a un certo numero di sillabe, vi giunge non solo quello che è formato di sillabe brevi, ma anche quello che è formato di lunghe. Ne consegue che applicando quella legge, la quale non può essere abrogata, per cui si possono sostituire due brevi a una lunga, si arriva a sedici sillabe. E qui, se tu volessi di nuovo ottenere l'allungamento del piede, si arriva a trentadue brevi. Il tuo modo di ragionare ti costringe a estendere fin là il piede e a sua volta quella legge a porre un numero doppio di brevi a posto delle lunghe. Così non si avrà alcun limite.
D. - Accetto la dimostrazione, per cui il piede si estende fino a quattro sillabe. Ma non ho obiezioni a che si possa porre, in luogo di questi piedi normali, piedi di un maggior numero di sillabe, purché due brevi occupino il posto di una lunga.
Il piede con più di quattro sillabe non ha un proprio ritmo.
6. 14. M. - Ti è facile ora capire con evidenza che si hanno alcuni piedi posti in luogo di quelli che hanno la precedenza nel ritmo, ed altri che sono posti assieme ad essi. Infatti nei ritmi, in cui si pongono due brevi in luogo di una lunga, a posto del piede che dà il nome al ritmo, se ne pone un altro, come un tribraco in luogo del giambo o del trocheo, oppure un dattilo, un anapesto o un proceleusmatico in luogo di uno spondeo. Invece nei ritmi, in cui ciò non avviene, non in suo luogo, ma insieme ad esso si pone un qualsiasi piede che viene dopo e gli si può unire, come l'anapesto assieme al dattilo, il digiambo e il dicoreo assieme ai due ionici e similmente i rimanenti secondo la propria legge con gli altri. Ti sembra poco chiaro o sbagliato?
D. - Ora capisco.
M. - Dimmi dunque se i piedi posti in luogo di altri possono anche essi di per sé formare il ritmo.
D. - Sì.
M. - Tutti?
D. - Sì.
M. - Dunque un piede di cinque sillabe può col proprio nome formare un ritmo poiché può esser posto in luogo del bacchio, del cretico o qualunque peone?
D. - Certamente no. Ma esso non si considera più un piede se ben ricordo la sua progressione fino al quattro. Quando ho risposto che tutti lo possono, intendevo dire che i veri piedi lo possono.
M. - Lodo la tua diligenza e attenzione nel ritenere perfino il nome. Ma sappi che molti hanno ritenuto di dover denominare piedi anche quelli di sei sillabe, ma di più nessuno, che io sappia. Ma anche quelli che lo hanno insegnato, hanno affermato che non si devono impiegare piedi tanto lunghi per formare un ritmo o metro. E così non hanno dato ad essi neppure il nome. Pertanto è veramente esatto il limite dello sviluppo che giunge fino a quattro sillabe, poiché tutti questi piedi, congiungendosi, hanno potuto formare un piede, sebbene divisi non ne hanno potuto formare due. Così i dotti, che sono arrivati fino a sei sillabe, hanno osato attribuire soltanto il nome di piede a quelli che sorpassano le quattro sillabe, ma non hanno permesso che essi aspirassero alla precedenza nel ritmo e nel metro. Ma quando in luogo di una lunga si pongono due brevi, si arriva, come dimostra, la logica, fino a sette e otto sillabe, ma nessuno ha esteso il piede fino a tal numero. Veggo dunque risultare dal nostro dialogo che qualsiasi piede con più di quattro sillabe, quando si pongono due brevi in luogo di una lunga, non può essere utilizzato assieme a quelli normali, ma a loro posto e che non creano di per sé il ritmo. Quindi perché non vada oltre il limite ciò che logicamente deve averlo e poiché penso che nel nostro dialogo si è sufficientemente trattato del ritmo, passiamo, se vuoi, al metro.
D. - D'accordo.
Ritmo e metro (7, 15 - 9, 21)
Ritmo e costituzione del metro.
7. 15. M. - Dimmi dunque se, secondo te, il metro è formato dai piedi oppure i piedi dal metro.
D. - Non capisco.
M. - Piedi congiunti formano il metro ovvero i piedi sono formati di metri congiunti?
D. - Ho capito ciò che dici e penso che il metro sia formato da piedi congiunti.
M. - E perché lo pensi?
D. - Perché hai detto che tra il ritmo e il metro vi è questa differenza, che nel ritmo la connessione dei piedi non ha alcun limite determinato, nel metro invece lo ha; perciò la connessione dei piedi è propria del ritmo e del metro, ma nel primo non ha un limite, nel secondo invece sì.
M. - Un piede solo dunque non è un metro.
D. - No, certamente.
M. - E un piede e un semipiede?
D. - Neppure.
M. - Perché? Forse perché il metro è formato di più piedi e non è possibile parlare di più piedi, dove se ne hanno meno di due?
D. - Sì.
M. - Esaminiamo dunque quei metri da me dianzi ricordati e vediamo di quali piedi si compongono. Non ti è più lecito ormai essere incapace di riconoscerne la struttura. Eccoli:
Ite igitur Camenae
Fonticolae puellae
Quae canitis sub antris
Mellifluos sonores
Credo che siano sufficienti per ciò che ci proponiamo. Scandiscili e dimmi quali piedi hanno.
D. - Non posso proprio. Ritengo che si devono scandire quelli che è possibile congiungere normalmente, e non so trarmi d'impaccio. Se infatti considero il primo piede un coreo, si ha di seguito un giambo che ha tempo eguale, ma cadenza differente; se lo considero un dattilo, non si ha di seguito un piede che gli sia eguale almeno nella durata; se un coriambo, si ha la medesima difficoltà, giacché ciò che rimane non gli si accorda né per durata né per cadenza. Perciò o questo non è un metro, o è falso quanto è stato da noi discusso sull'unione dei piedi. Non trovo altro da dire.
La funzione della pausa per terminare il metro.
7. 16. M. - È evidente che è un metro, sia perché è più di un piede ed ha un limite determinato, sia anche in base alla percezione dello stesso udito. Infatti non si pronuncerebbe con una eguaglianza così dilettosa, non avrebbe una cadenza con una modulazione così proporzionata, se in esso non fosse la legge del numero che si può avere soltanto in questo settore della musica. Mi meraviglio dunque del tuo parere che vi sia un errore nelle nostre argomentazioni. Niente infatti è più certo dei numeri o più ordinato di questa classificazione e disposizione dei piedi. Dalla stessa legge dei numeri, che è assolutamente infallibile, è stata derivata la funzione, che abbiamo discusso, di dilettare l'udito e di occupare la precedenza nel ritmo. Ma mentre io ripeto più volte: Quae canitis/ sub antris e diletto con questo ritmo il tuo udito, osserva quale differenza esiste fra questa frase ed essa stessa se aggiungessi alla fine una sillaba breve ed ugualmente ripetessi: Quae / canitis/ sub antrisve.
D. - Entrambi i ritmi arrivano con diletto al mio udito; tuttavia sono costretto ad ammettere che il secondo, cui hai aggiunto una sillaba breve, ha una durata maggiore, poiché è divenuto più lungo.
M. - E quando ripeto il primo: Quae canitis/sub antris, senza interporre la pausa alla fine, giunge al tuo udito il medesimo diletto?
D. - Anzi mi disturba un non so che di zoppicante, a meno che non pronunci l'ultima più lunga delle altre lunghe.
M. - Dunque, a tuo avviso, il maggiore allungamento o la pausa occupano un determinato spazio di tempo?
D. - Come potrebbe essere altrimenti?
Quando la pausa è indispensabile.
8. 17. M. - Bene. Ma dimmi anche, quanto spazio è, secondo te.
D. - Mi è difficile misurarlo.
M. - Giusto. Ma non pensi che a misurarlo sia la sillaba breve? Dopo che l'abbiamo aggiunta, l'udito non ha più richiesto il prolungamento fuor del normale dell'ultima lunga, né la pausa nella ripetizione del metro.
D. - Sono proprio d'accordo. Infatti mentre tu declamavi più volte il primo metro, io tra me ripetevo assieme a te il secondo. Così mi sono accorto che entrambi avevano la medesima durata, poiché la mia ultima breve si accordava alla tua pausa.
M. - Devi ritenere dunque che nei metri vi sono determinate pause. Perciò quando troverai che ad un piede normale manca qualche cosa, dovrai considerare se non è compensato da una proporzionata pausa ritmica.
D. - Ora ho capito. Passa ad altro.
L'astensione della pausa.
8. 18. M. - Ed ora, secondo me, dobbiamo ricercare la misura della durata della stessa pausa. Nel metro proposto troviamo un bacchio dopo il coriambo. E poiché al bacchio manca un tempo per avere la durata dei sei tempi del coriambo, l'udito l'ha facilmente percepito ed ha richiesto d'interporre, prima della ripetizione, una pausa di durata eguale a quella di una breve. Ma se dopo il coriambo si pone uno spondeo, per tornare a capo ci sarà necessario interporre una pausa di due tempi, come nel metro: Quae / canitis / fontem. Comprendi, credo, che la pausa si deve fare perché, quando si torna a capo, la percussione non zoppichi. Ma affinché possa riconoscere di quale lunghezza deve esser la pausa, aggiungi una sillaba lunga. Si avrà, per esempio: Quae canitis / fontem vos. Ripeti con la percussione e ti accorgerai che la percussione ha tanta durata, quanta nell'altra, sebbene lì, dopo il coriambo, erano state poste due lunghe e qui tre. È dunque chiaro che è stata interposta una pausa di due tempi. Se dopo il coriambo si pone un giambo, come in questo caso: Quae canitis / locos, si è costretti a fare una pausa di tre tempi. Per accertarsi del fatto, i tre tempi si aggiungano o per mezzo di un secondo giambo o di un coreo o di un tribraco, ad esempio: Quae canitis / locos / bonos; o: Quae canitis / locos / monte; o Quae canitis / locos / nemore. Aggiungendo questi piedi la ripetizione scorre dilettosa ed egualita senza la pausa e mediante la cadenza si avverte che ciascuno dei tre piedi ha una durata eguale a quella, in cui si interponeva la pausa. È dunque evidente che si aveva una pausa di tre tempi. Dopo il coriambo si può mettere una sola sillaba lunga, in modo da avere una pausa di quattro tempi. Infatti il coriambo può anche dividersi in maniera che arsi e tesi siano in rapporto di uno a due. Esempio di questo metro è: Quae canitis/ res. Se ad esso aggiungeremo o due lunghe o una lunga e due brevi o una breve, una lunga e una breve o due brevi e una lunga o quattro brevi, si avrà un piede di sei tempi che pertanto può essere ripetuto senza interporre la pausa. Tali sono: Quae canitis /res pulchras, Quae canitis /res in bona, Quae canitis /res bonumve, Quae canitis /res teneras, Quae canitis /res modo bene. Conosciuti con evidenza questi concetti, ti sarà, come penso, abbastanza chiaro che non è possibile una pausa minore di un tempo e maggiore di quattro. Questo è dunque quello sviluppo proporzionato, su cui abbiamo detto tante cose; inoltre in tutti i piedi non si hanno arsi e tesi che occupano più di quattro tempi.
Bastano un piede, un semipiede e la pausa a dare un metro.
8. 19. Quando si canta dunque o si declama qualche cosa che abbia una fine determinata e più di un piede e che per movimento naturale, ancor prima del riconoscimento dei ritmi, diletta l'udito per una certa proporzione, si ha già un metro. Ma supponiamo che abbia meno di due piedi. Se comunque è più d'uno ed esige la pausa, non è senza misura, quantunque nel limite che è sufficiente a completare la durata dovuta al secondo piede. Così l'udito percepisce come due piedi ciò che, prima di tornare a capo, ha la durata di due piedi per il fatto che si aggiunge al suono anche una determinata pausa ritmica. Ed ora vorrei che tu mi dica se hai conoscenza certa delle nozioni esposte.
D. - Sì ne ho conoscenza certa.
M. - Perché presti fede a me o perché sei certo da te che son vere?
D. - Da me son certo, sebbene le conosco come vere dietro la tua esposizione.
Il verso richiede due cola.
9. 20. M. - Or dunque, poiché abbiamo scoperto il minimo che costituisce il metro, esaminiamo anche fin dove può essere esteso. Il metro ha come minimo due piedi o interi mediante il loro stesso suono o aggiungendo la pausa per completare ciò che manca. Pertanto ora devi considerare lo sviluppo fino al quattro ed espormi fino a quanti piedi si deve estendere il metro.
D. - Questo è davvero facile. La ragione insegna che si estende fino ad otto piedi.
M. - Abbiamo detto anche che i letterati hanno chiamato verso un ritmo di due commi proporzionatamente congiunti secondo una determinata regola. Ricordi?.
D. - Lo ricordo bene.
M. - E non è stato detto che il verso è formato di due piedi, ma di due cola ed è chiaro che il verso non ha un solo piede, ma più piedi. Dunque il fatto stesso non mostra che il colon è più lungo del piede?
D. - Certo.
M. - Ma se i due cola nel verso fossero eguali, non si potrebbero invertire di posto in modo che indiscriminatamente la prima parte divenga ultima e l'ultima prima?
D. - Capisco.
M. - Dunque perché questo non avvenga e perché appaia con sufficiente distinzione che nel verso altro è il colon con cui esso comincia ed altro quello con cui si chiude, non possiamo negare la necessità che i cola siano disuguali.
D. - No, certo.
M. - Consideriamo dunque, per primo, se vuoi, il caso nel pirrichio. Puoi vedere, penso, che in esso il colon non può essere minore di tre tempi perché il primo è più d'un piede.
D. - Sono d'accordo.
M. - Quanti tempi avrà dunque il verso più corto?
D. - Direi sei, se non mi trattenesse la suddetta inversione di posto. Dunque ne avrà sette, giacché un comma non può avere meno di tre tempi e ancora non è stato scoperto un divieto che ne abbia di più.
M. - Hai compreso bene, ma dimmi quanti pirrichi sono contenuti in sette tempi.
D. - Tre e mezzo.
M. - Bisogna dunque aggiungere la pausa di un tempo prima di tornare a capo, perché si possa completare la durata di un piede.
D. - Certamente.
M. - Con l'aggiunta della pausa quanti tempi si avranno?
D. - Otto.
M. - Come dunque il piede più piccolo, che è anche il primo, non può avere meno di due tempi, così il verso più corto, che è anche il primo, non può avere meno di otto tempi.
D. - Sì.
M. - E il verso più lungo, di cui non si può avere uno più esteso, di quanti tempi deve essere allora? Lo capirai subito, se ci riconduciamo l'attenzione a quello sviluppo, di cui tanto a lungo abbiamo parlato.
D. - Ora capisco che il verso non può essere più lungo di trentadue tempi.
L'astensione del verso e del metro.
9. 21. M. - E la lunghezza del metro? Pensi che debba superare quella del verso, giacché anche il metro più corto è più corto del verso più corto?
D. - No.
M. - Dunque il metro più corto è di due piedi e il verso di quattro, o anche il metro più corto è della durata di due piedi e il verso più corto della durata di quattro, pausa compresa; inoltre il metro non supera gli otto piedi. Non è necessario dunque, giacché anche il verso è metro, che il verso non superi gli otto piedi?
D. - Sì.
M. - Inoltre il verso non supera i trentadue tempi e il metro costituisce anche la stessa lunghezza del verso, se non ha il congiungimento dei due cola, che è indispensabile al verso, ma si chiude soltanto con una fine determinata; infine il metro non deve essere più lungo del verso. Non è dunque evidente che, come il verso non deve superare gli otto piedi, così il metro non deve superare i trentadue tempi?
D. - Son d'accordo.
M. - Il metro e il verso avranno dunque la medesima durata, il medesimo numero di piedi, il medesimo limite, oltre il quale entrambi non devono andare. Tuttavia il metro ha il suo limite quadruplicando il numero dei piedi, da cui si ha il più corto, e il verso quadruplicando il numero dei tempi, da cui si ha il verso più corto. Così nell'osservanza dell'ideale legge del quattro il metro partecipa al verso in piedi la misura dell'espandersi e il verso al metro in tempi.
D. - Comprendo e approvo e mi piace che esista questo reciproco collegamento.
Presentazione
Il diario di Santa Teresa di Los Andes - Santa Teresa di Los Andes
Leggilo nella BibliotecaLa piccola Teresa del Cile
Prima Santa Cilena
"Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io mi rendevo conto di questo. Ma queste stesse parole me le ripetevano quando ero già più grande, di nascosto della mamma. Solo Dio sa quanto mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che s'impadronì del mio cuore quando fui più grande"
Santa Teresa di Los Andes
Introduzione
"DIO È GIOIA INFINITA"
Nel suo viaggio in Cile, all'inizio di aprile del 1987, il Papa proclamava beata una "ragazza quotidiana", una cristiana di tutti i giorni: Giovanna. E nella primavera del 1995 a Roma la dichiarava Santa.
Ragazza ordinaria, diciamo, pur sapendo che nella sua terra e in tutta l'America Latina è conosciuta molto (ogni mese circa 200 mila persone vanno al suo Santuario) anche come "la piccola suora carmelitana". Infatti dalla scheda biografica che presentiamo sotto, risulta che ha passato gli ultimi undici mesi di vita in un Carmelo Teresiano e, non ancora terminato l'anno canonico del Noviziato, ha "anticipatamente emesso i voti religiosi per poi morire di tifo neppur ventenne, il 12 aprile 1920:
era infatti nata il i 5 luglio 1900 a Santiago.
Iniziando a 15 anni il suo Diario e dedicandolo a una suora che era sua professoressa e guida spirituale, ella, Juanita di battesimo, Teresa nella vita religiosa, scriveva: "Lei crede che s'imbatterà con una storia interessante. Non voglio che s'inganni... La storia della mia anima si riassume in due parole: soffrire e amare".
"LA PIÙ CARINA"
Era abbastanza distaccata, si direbbe, e quasi troppo lucida questa giovinetta quindicenne. "Fin da piccola mi dicevano che ero la più carina dei miei fratelli. Io mi rendevo conto di questo. Ma queste stesse parole me le ripetevano quando ero già più grande, di nascosto della mamma. Solo Dio sa quanto mi è costato distruggere questo orgoglio o vanità che s'impadronì del mio cuore quando fui più grande".
Bisogna dar atto a questa giovinetta che certi valori la devono aver convinta davvero, dal momento che si è impegnata a rinunciare ad "apparenze cosi importanti per qualsiasi donna. E bisogna accettare allora anche il resto delle sue confidenze, scritte sempre nel primo dei sei quaderni del Diario all'età dei suoi quindici anni cruciali. "Fro di carattere timido, di cuore molto sensibile. Piangevo per un nulla. Però ero di temperamento dolce: non mi arrabbiavo mai con nessuno". Era una giovane comune, insomma, e nel contempo una ragazza dotata e quasi privilegiata.
La svolta della vita di Juanita avvenne con la Prima Comunione dell'11 settembre 1910. Infatti, facendo un primo bilancio da quindicenne, scrive: "La mia vita si divide in due periode più o meno dell'età della ragione sino alla Prima Comunione; e dalla Prima Comunione àì poi. O meglio, sarà sino all'approdo della mia anima al porto del Carmelo. Gesù mi colmo di favori tanto nel primo quanto nel secondo periodo".
"DESIDEROSA DI CAREZZE"
A 13 anni Juanita è come tutte le sue coetanee, e forse un po più... uguale: resiste alla voce del Signore e, specialmente quandò s'ammala di difterite, così desiderosa di carezze che non potevo stare sola". Nella sua solitudine di adolescente, però, non le succede solamente di piangere, ma anche di sentirsi invitata interiormente da Cristo "a tenergli compagria nel Tabernacolo. Fu allora che mi diede la vocazione... In quel tempo non vivevo più in me stessa, ma era Gesù a vivere in me".
Torna il pericolo di una morte improvvisa (ormai non più tanto desiderata), in seguito a una sciocca appendicite trascurata e operata da certi medici che "mi sembravano macellai'.
Nel cuore di Juanita è un'altalena di sentimenti che sanno di molto ordinario, ma anche di straordinario. Siamo tra il 1915 e il 1916. Juanita va sempre più stabilendosi in maniera adulta nel proposito di "riservarsi' per Cristo: "Voglio essere di Dio".
Ma sia ben chiaro: il proposito in lei c'è tutto, ma ella non è ancora capace di tufto. Perché è una quindicenne o poco più, alla fm fine. "Per una ragazza è l'età più pericolosa", sentenzia nel Diario. "È l'entrata nel mare tempestoso del mondo. Però Gesù ha preso il comando della barchetta e l'ha tirata in disparte dello scontro con le altre navi mi ha tenuta legata a Lui solo".
Questo non proibisce a Juanita di continuare gli studi in un buon collegio, di stabilire amicizie, di compiere belle cavalcate (è una cilena, dopotutto:
"Hai cavalcato molto? Da parte mia mi sono rifatta dell'anno passato, montando a cavallo tutti i giorni'). E, divertendosi con molta spontaneità ed eleganza, si permette di lanciare i suoi fulmini contro il collegio:
"Ridurrei in cenere l'internato".
Per nostra consolazione, è una ragazza afferrata da Dio, molto simile a noi: e così può insegnarci che la santità non è un giochetto di magia. "9 ottobre. Oggi mi sono confrssata. Quale sollievo ho sperimentato, perche avevo delle colpe che, anche se involontarie; non mi piaceva di averé'.
"CIVETTERIE E CARMELO"
Il giorno dopo, il 10 ottobre del 1915, riferisce di un suo incontro con Madre Rios, la suora sua confidente. "Le ho parlato delle mie civettene. Ella mi ha domandeto come potevo compiere delle civetterie dopo tante chiamate di Dio... Le ho detto ancora che desideravo entrare al Carmelo. Ed ella mi ha detto: e la salute? Resisterà quella? Ah! corpo miserabile che ti opponi ai desideri della mia anima!'.
La domenica che segue a questi alti sospiri Juanita annota: "Abbiamo avuta la messa. Sono stata molto distratta mentre si celebrava, perche i miei cugini stavano in presbiterio e ci guardavano. Era per noi una tentazioné'. Poco più avanti, un venerdì qualunque:
"Mi sento esasperata con un desiderio folle di piangere. Offro a Te; o Gesù, questa pena, poiche voglio soffrire per somigliare a Te... Sull'incudine del dolore vengono lavorate le anime".
Vediamo da queste alterne situazioni d'un cuore di ragazza che esistono due spinte in Juanita, come dovrebbero esserci in tutti i crisfiani: quella di badare a se stessa con egoismo e quella di reintegrare tutto e rivivere ogni cosa, anche la più banale, alla luce di Cristo. "L'io è il dio che adoriamo nel nostro intimo. Ma Gesù chiede questo trono ed è necessario darglielo". Necessario? Per Juanita e per ogni vero credente, sì!
Nel suo caso concreto, ella sente di doverlo dare in un modo piuttosto insolito, come scrive con confidenza a sua sorella Rebecca il 15 aprile 1916. "Ti confiderò il segreto della mia vita. Il desiderio che abbiamo sempre difeso nella nostra fanciullezza di vivere sempre unite sarà ben presto distrutto per un altro ideale più alto. Dovremo seguire distinte strade nella vita. Sono stata catturata nelle reti amorose del Divin Pescatore. Sono sua promessa e molto presto celebreremo i nostri sponsali nel Carmelo. Presto sarò carmelitana".
"MI UBRIACHERÒ’ DEL TUO AMORE"
Teme la propria debolezza, ma non dubita dell'amore di Cristo per lei: "Mi ubriacherò del tuo amore!'.
E continua così, in una maturazione lenta ma solida e ammirevole. Dirà nel 1918: "Io prima credevo impossibile arrivare ad innamorarmi di un Dio che non vedevo, che non potevo accarezzare. Ma oggi so che uno sente talmente questo amore, queste carezze di Nostro Signore; che gli sembra di averlo al suo fianco
Fino al suo ingresso al Carmelo (7 maggio 1919) Juanita sperimenta nel suo spirito le emozioni più opposte, i contrasti più forti. ”Mi trovo al colmo della felicità e del dolore”. Deve chiarire a se stessa la vocazione che sente. Deve chiarirla ai suoi, specialmente a suo padre, a cui domanda la benedizione di partire, aggiungendo categorica: ”E’ necessario che tua figlia ti lasci”.
Per altro, dopo questa dura affermazione, il giorno dopo Juanita scrive alla sorellina chiamata vezzosamente "Gordita", la Cicciottella: "Trovo che ormai siamo in condizioni di pensare al nostro avvenire. Lasciamo di essere bambine; mia cara Gordita, per essere donne. Se ci si obbliga ad entrare in società, andiamo contente, per conoscere dei giovani perché in fin dei conti, se non ci facciamo monache; è necessario preoccuparci un po’ di piacere; d'incontrarci coi giovani. Se poi vediamo che nessuno ci soddisfa, accettiamo la sorte di rimanere nubili, poiche potremo fare molto bene non alienando la nostra libertà. Ti dirò con franchezza che mi costerà innamorarmi, perche sinora nessuno dei giovani conosciuti mi è piaciuto. Sono tutti molto supeficiali C'è qualche cosa in me che impedisce di soddisfare le mie aspirazioni'.
"MI SOTTOMETTO AL SUO VOLERE"
Anche se può sembrare il contrario, Juanita in questo periodo non sta provando a innamorarsi di qualche giovane: sta invece attendendo il permesso di suo padre. Dieci giorni dopo, il 5 aprile 1919, parla con entusiasmo della nascita d'una nipotina ed esclama femminilmente: "Quanto è grande la potenza che Dio manifesta nell'opera della procreazione umana! Quale sapienza prende il cuore e la mente che la contemplano".
Ma scrive subito dopo: "Ho scritto a papà sollecitando il suo permesso e ancora non ha avuto risposta. L'anima mia soffre l'indicibile... Io mi rimetto indiferente alla volontà di Dio. Per me è lo stesso che mio padre mi dia o no il permesso di partire a maggio, che mi lasci o no abbracciare il Carmelo. Certamente ci soffrirei, ma, poiche cerco Lui solo, purche lo faccia contento, che mi può importare il resto? Se Egli lo permette; io mi sottometto al suo volere; giacche ho fatto quanto Egli mi ha ordinato".
Intanto Dio conduce Juanita: "Domenica scorsa papà mi ha dato il suo consenso... Quanto mi sento felice nel contemplare ormai così vicina la montagna del Carmelo! Molto presto la salirò, per vivere crocfiissa".
Il permesso è del 6 aprile. Tre giorni dopo, Juanita scrive al padre: "Papà mio bello, che Dio ti ricompensi mille volte. Mi mancano le parole per ringraziarti come vorrei. Provavo la pena più grande della mia vita vedendo che; per la prima volta, ero io la causa delle tue lacrime. È Dio che de l'energia ai nostri cuori per fare il sacrificio più doloroso in questa vita".
"EGLI È LA MIA RICCHEZZA"
Ormai è evidente che tanto per Juanita come per i suoi è davvero un enorme sacrifico la sua entrata in clausura. E perchè entrarci, allora? Ma si può forse non amare, specialmente non amare Dio? Comunque, il tempo in cui Juanita attende di portarsi al Monastero di Los Andes, che è quello prescelto, e tempo terribile perché dovunque giri lo sguardo non vedi che lacrime. Tuttavia dentro di me sento un energia e un coraggio che mi è impossibile descrivere.
Il 7 maggio 1919 entra ”finalmente” tra le Carmelitane e, con la vestizione religiosa del 14 ottobre successivo, cambia nome: si chiama suor Teresa di Gesù, come la grande Riformatrice spagnola del Carmelo.
Un anno, anzi solo undici mesi di vita carmelitana le sono concessi da Dio. Sono pochi, ma sono così densi da non essere capiti subito: bisogna studiarli bene.
Ci basti aver un po' spiato nel cuore di questa ragazza durante il suo itinerario più ordinario, quello di laica. I quaderni del suo Diario parleranno poi in modo più sobrio, ma più alto e impegnativo: e questo lo vedrà da sé il lettore.
Citiamo solo, per finire, alcune battute prelevate qui e là dalla sua corrispondenza ultima: "Me ne rido di tutto il mondo" - "Egli è la mia ricchezza" - "Possiedo tutto" - "Pregando, lavorando, ridendo" - "Dio è gioia infinita" - "Dio è nostro mendicante" - "Mi ha traformata" - "A prezzo di sangue" - "Questa è la nostra vocazione: siamo delle corredentrici' - "Aadio! Febri coloro che godono di Lui. Viviamo molto uniti in Dio".
Roma, 7 giugno 1998 P. Rodolfo Girardello
CRONOLOGIA
1900 13 luglio. - Nasce a Santiago del Cile. Figlia di Miguel Fernandez Jaraquemada e di Lucia Solar Armstrong. Quinta di sette figli.
15 luglio. - Viene battezzata nella chiesa parrocchiale di Sant'Anna dal sacerdote Baldomero Grossi con il nome di Juana Enriqueta Josefina dei Sacri Cuori. Padrino e Madrina: Salvador RuizTagle e Rosa Fernàndez de Ruiz-Tagle.
Suoi fratelli e sorelle sono: Lucia, Miguel, Luis, Juana, Rebeca e Ignacio.
Soggiorna, alternativamente, nelle proprietà di Santiago e nel podere di campagna di Chacabuco che appartenevano al nonno materno.
1906 Sin dalla sua infanzia, si rallegra di senfir parlare di Dio. Impara a leggere frequentando, per un mese, di pomeriggio, il Collegio retto dalle Teresiane.
1907 Frequenta come esterna il Collegio Alameda retto dalle suore del Sacro Cuore.
13 maggio. - Morte del nonno materno, Eulogio Solar Quiroga. Nel cuore di Juanita nasce una tenera devozione alla Santa Vergine Maria che le chiede di recitare tutti i giorni il Rosario. Per tutta la vita ella mantene fede a questa promessa.
Insieme alla mamma comincia ad assistere regolarmente alla messa quotidiana e, non potendo comunicarsi come desidera e domanda, inizia a prepararsi alla sua Prima Comunione, applicandosi a "modificare il proprio carattere". Preparata dalle suore, si confessa per la prima volta.
1909 22 ottobre. - Riceve il sacramento della Cresima.
1910 11 settembre. - Dalle mani di Mons. Angel Jara riceve la Prima Comunione nella cappella del Collegio. "Giorno senza nubi" che la segnera definitivamente. "Da allora mi comunicavo tutti i giorni e parlavo a lungo con Gesù...".
1911 8 dicembre. - Ogni anno, dal 1911 al 1914, il giorno dell'Immacolata, Juanita è sempre in punto di morte a seguito di diverse malattie.
Fino al 1915 - Riceve, come alunna esterna, una notevole formazione scolasfica presso il Collegio del Sacro Cuore. Emerge per la sua attenzione nei confronfi degli anziani e dei bisognosi che si spinge sino a mettere all'asta il proprio orologio, a favore d'un bambino povero. Tratta i domesfici con affetto e li cura con sollecitudine nelle loro malattie. Medesima attitudine nei confronti dei mezzadri di Chacabuco durante i soggiorni che vi fa con la famiglia.
1914 30 dicembre. - È operata d'appendicite all'Ospedale San Vicente di Sanfiago, rischiando grosso.
1915 Gennaio - febbraio. - Trascorre la convalescenza a Chacabuco dove si ristabilisce.
13 luglio. - Quindicesimo compleanno: confessa che Cristo l'ha "catturata".
Luglio. - Entra come interna nel Collegio del Sacro Cuore, via della Maestranza (oggi via Portogallo).
10 settembre. - Ha, con Madre Julia Rios, un colloquio decisivo sulla sua vocazione, le confida di avere letto più volte la Vita di Teresa di Lisieur.
8 dicembre. - Fa voto di casfità e poi lo rinnova periodicamente. Promette di non "avere altro Sposo che Gesù Cristo".
1916 gennaio - febbraio. - Vacanze a Chacabuco. Prende parte alla Missione cittadina e non abbandona né l'orazione, né la lettura spirituale.
15 aprile. - Svela a sua sorella Rebeca il segreto della propria vocazione: “Voglio essere Carmelitana. Mi ci sono impegnata l'8 dicembre”.
Durante il ritiro spirituale annuale, s'impegna con un programma di vita che comprende ogni giorno orazione, esame di coscienza, e anche la pratica delrumiltà.
1917 gennaio. - La lettura della Vita di Santa Teresa di Gesù l'incoraggia a essere fedele al proprio progetto d'orazione quotidiana.
Gennaio - febbraio. - Trascorre qualche settimana di riposo a Chacabuco.
Tra le decisioni prese per l'anno, vi sono: dimenticare se stessa, applicarsi a far contenti gli altri, vivere con Gesù dentro di sé e rendere piacevole la virtù.
S'impone dei sacrifici e offre la propria vita al Signore per la conversione di parecchie persone.
15 giugno, - E ammessa tra le Figlie di Maria e riceve la medaglia distintivo.
Luglio. - Legge gli scritti di suor Elisabetta della Trinità, che la incanta e si intrattiene fraternamente con lei, poiché la sua gioia, e anche la propria, è di vivere con Gesù nell'intimo di sé e di trasformare tutta la propria esistenza in lode di Dio.
8 agosto. - Durante il Ritiro fa una confessione generale. Il confessore la assicura che, per grazia di Dio, non ha commesso durante la sua vita alcun peccato mortale.
5 settembre. - Scrive una prima lettera a Madre Angelica, priora delle Carmelitane di Los Andes. Le manifesta il suo desiderio d'entrare in quella Comunità. Si rende presto conto che avrà grandi difficoltà da superare per poter essere Carmelitana: scarsa salute, opposizioni famigliari, e difficoltà finanziarie per prepararsi la dote.
20 dicembre. - Supera brillantemente gli esami e con i premi vinti, lascia l'internato per prendersi una vacanza con i suoi.
1918 La corrispondenza con Madre Angelica si intensifica e aumenta pure il desiderio d'essere Carmelitana.
Gennaio - febbraio. - Vacanze spensierate a Algarrabo.
12 marzo. - Rientra all'internato.
Per molti mesi soffre a causa di prove interiori: abbandono spirituale, svogiiatezza. aridità...
7 agosto. - Ultimo Ritiro spirituale all'internato. Prende la risoluzione di comunicarsi, di fare l'esame di coscienza e l'orazione mentale ogni giorno, di sforzarsi a compiere in tutto la volontà di Dio.
12 agosto. - Lascia per sempre l'internato proponendosi di avere carattere e di non lasciarsi guidare dal rispetto umano. Né dal sentimento, ma dalla ragione e dalla coscienza.
Juanita si reca a casa della sorella Lucia che è sposata e si sforza di compiacere tutti e di sacrificarsi per tutti, ad ogni istante.
7 settembre. - Scrive a Madre Angelica chiedendo di essere ammessa nella sua Comunità. Per lettera la Madre risponde affermativamente.
Novembre. - Legge il Cammino di Perfezione di Santa Teresa di Gesù. Trascorre una ventina di giorni di riposo a Cuanco nella proprietà dei cugini Elisa e Herminia Valdés.
Per parecchie settimane, è assalita da dubbi: deve essere Carmelitana o suora del Sacro Cuore? I dubbi sono fugati dai colloqui coi suoi direttori spirituali.
1919 11 gennaio. - Visita con la mamma le Carmelitane di Los Andes. Rientra a casa decisa ad essere una di loro.
14 gennaio - 7 marzo. - Soggiorna nella proprietà San Pablo. Senza trascurare le incombenze domestiche, collabora alla Missione cittadina, istruisce i bambini nel catechismo, insegna loro diverse materie scolasfiche e li diverte organizzando recite, giochi e tombole.
7 marzo. - Ritorna a Santiago.
Trascorre qualche giorno di riposo a Bucalemu, nella proprietà degli zii.
25 marzo. - Scrive al papà una lettera commovente per domandargli l'autorizzazione d'essere Carmelitana.
6 aprile. - Riceve la risposta affermativa del papa.
Da 7 al 15 aprile. - Soggiorna nella proprietà dei cugini Valdés - Ossa a Cunaco.
Marzo - maggio. - Durante questo periodo, Juanita perviene all'apice della felicità e del dolore La felicità perché il suo ideale di essere tutta di Dio presto si realizzerà, e il martirio il più lacerante perché deve separarsi dai suoi genitori e dai suoi fratelli e sorelle.
7 maggio. - Entra dalle Carmelitane di Los Andes. Cambia il suo nome e si chiamerà suor Teresa di Gesù.
8 maggio. - Scrive dal Monastero la sua prima lettera. Si tratta di una eloquente testimonianza del suo amore filiale e della felicità che la inonda.
Nascosta nella clausura, dà prova tuttavia di un senso apostolico intenso, non soltanto attraverso la fecondità misteriosa del sacrificio e della preghiera, ma anche attraverso le sue lettere.
14 ottobre. - Vestizione monastica come Carmelitana scalza. Inizia il Noviziato. Ormai, scrive di meno, ma saranno lettere più affettuose e debordanti di umanità. Queste lettere provano in modo eccellente che i santi non sono essere strani e folli, ma persone di un grande equilibrio e solidità. In Dio - "Suo centro e sua dimora" -, Teresa condivide la stabilità e la gioia di colui che è l'Immutabile e vive in pienezza la condizione umana. La morte anch'essa non ha niente di spaventoso per lei perché ella sa che morire, è inabissarsi definitivamente in Dio per vivere tra le sue braccia amanti.
1920 Primi giorni di marzo. - Afferma che morirà fra un mese.
2 aprile. - Si ammala gravemente di tifo.
5 aprile. - Domanda gli ultimi Sacramenti e li riceve con grande fervore.
6 aprile. - Esprime, benché ancora novizia, il desiderio di pronunciare i Voti religiosi prima di morire e rinnova con gioia ed emozione la propria formula di consacrazione al Signore.
7 aprile. - Ultima Comunione di suor Teresa.
12 aprile. - Alle ore 19 e 15, si spegne santamente. Aveva diciannove anni e nove mesi, di cui soltanto undici mesi vissuti come Carmelitana!
14 aprile. - Funerale e sepoltura alla presenza di una numerosissima folla.
"Suor Teresa di Gesù farà in fretta dei miracoli", afferma il Padre Juliàn Cea, c.m.f. qualche giorno dopo la morte, e la sua previsione è pienamente giustificata.
Da allora, un numero incalcolabile di persone attribuiscono alla intercessione di Suor Teresa di Gesù grazie e favori di ogni genere.
1940 17 ottobre. - Traslazione dei resti mortali nel sepolcro ricavato nel pavimento del Coro del Monastero di Los Andes.
1947 20 marzo. - Apertura del processo diocesano in previsione della beatificazione. Il processo termina il 14 marzo 1971.
1976 La Sede Apostolica decide di aggiungere al processo diocesano una ulteriore indagine, chiamata processo "cognitionis aperto ufficialmente il 17 novembre per completare e arricchire il precedente. La sessione di chiusura è celebrata il 18 marzo 1978.
1986 22 marzo. - Terminate le normall formalità del processo di beatificazione, in Vaticano viene firmato il decreto di riconoscimento e di approvazione delle virtù eroiche della Serva di Dio. Ora Teresa di Gesù delle Ande ha il titolo di Venerabile.
1987 3 aprile. - Davanti ad una folla di più di trecentomila fedeli, Giovanni Paolo Il la beatifica solennemente a Santiago del Cile.
18 ottobre. - La Monache Carmelitane Scalze di Los Andes si trasferiscono nel nuovo Monastero di Auco. Portano con loro i resti di Teresa di Gesù che depongono nella piccola cappella, provvisoriamente, nell'attesa che vengano ultimati i lavori della costruzione del nuovo Santuario di Auco.
1988 11 dicembre. - Inaugurazione della cripta del nuovo Santuario e traslazione dei resti della Beata Teresa di Gesù delle Ande.
13 dicembre. - Dedicazione solenne del Santuario a Nostra Signora del Monte Carmelo, con l'assistenza del Delegato di Sua Santità, il cardinale Juan Francisco Fresno, di Mons. Raùl Silva Henrique e della Conferenza Episcopale Cilena al completo. Il Rito è presieduto dal vescovo diocesano, Monsignor Manuel Camilo Vial.
1991 12 giugno. - Dopo sei mesi di lavoro, il tribunale che esamina la causa di Marcela Antùnez Riveros trasmette gli atti del processo alla Congregazione per le cause dei santi a Roma. La giovane Marcela aveva sofferto d'asfissia d'immersione il 7 dicembre 1978, restando almeno cinque minuti sott'acqua. Le sue compagne e una delle assistenti la raccomandano all'intercessione della Beata Teresa di Gesù delle Ande. La guarigione è quasi istantanea e non le rimane la benché minima conseguenza.
1992 7 giugno. - In conformità al parere dei medici e dei teologi, che non trovano una spiegazione naturale alla pronta guarigione della piccola Marcela Antùnez Riveros, la Congregazione dei vescovi e dei cardinali approva il caso come valido per procedere alla canonizzazione della Beata Teresa di Gesù delle Ande. L'11 luglio viene promulgato il decreto corrispondente.
1995 21 marzo. - All'interno della Basilica di San Pietro a Roma alla presenza di circa cinquemila Cileni provenienti dalla madre patria e da diversi punti dell'Europa, Giovanni Paolo Il proclama solennemente Santa, la Beata Teresa di Gesù delle Ande. È la prima Santa Cilena e la prima Santa Carmelitana Americana. Celebrano con il Santo Padre quasi tutti i Vescovi della Conferenza Episcopale Cilena.
12-91 Marzo 9, 1919 Il Divin Volere dev’essere centro ed alimento dell’anima.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato, il mio sempre amabile Gesù mi tira sempre nel suo Volere; che abisso interminabile, onde mi ha detto:
(2) “Figlia mia, vedi un po’ come la mia Umanità nuotava nel Divin Volere, alla quale tu dovresti imitare”.
(3) In questo mentre mi è parso innanzi alla mente di vedere un sole, però non così piccolo come quello che splende sul nostro orizzonte, ma tanto grande da sorpassare tutta la superficie della terra; anzi, non si vedeva dove giungevano i suoi confini, ed i raggi che spandeva facendole incantevole armonia, andavano all’in su all’in giù, e penetravano ovunque. In questo centro del sole vedevo l’Umanità di Nostro Signore, del quale sole si nutriva e formava tutta la sua vita, tutto del sole riceveva e tutto le ridava, e come pioggia benefica si spandeva su tutta l’umana famiglia, che vista incantevole. Onde il mio dolce Gesù ha soggiunto:
(4) “Hai visto come ti voglio? Il sole che tu vedi è la mia Volontà, in cui la mia Umanità stava come nel suo proprio centro, tutto dal mio Volere riceveva, nessun altro cibo entrò in Me, neppure l’alimento d’un pensiero, d’una parola o respiro entrò in Me che fosse alimentato di cibo estraneo alla mia Volontà; era giusto che tutto dovevo ridare a Lei. Così voglio te, nel centro del mio Volere, da cui prenderai l’alimento di tutto; guardati bene di prendere altro alimento, scenderesti dalla tua nobiltà e ti degraderesti, come quelle regine che si abbassano a prendere alimenti vili e sporchi, indegni di loro, e come prendi devi subito ridarmi tutto, sicché non farai altro che prendere e darmi, così anche tu formerai un’incantevole armonia tra Me e te”.