Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Non trascurate l'occasione presente di fare il bene. Talora, lasciando un ben per cercarne uno migliore, si lascia uno e non si trova altro. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 2° settimana del tempo di Avvento

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 12

1Nel frattempo, radunatesi migliaia di persone che si calpestavano a vicenda, Gesù cominciò a dire anzitutto ai discepoli: "Guardatevi dal lievito dei farisei, che è l'ipocrisia.2Non c'è nulla di nascosto che non sarà svelato, né di segreto che non sarà conosciuto.3Pertanto ciò che avrete detto nelle tenebre, sarà udito in piena luce; e ciò che avrete detto all'orecchio nelle stanze più interne, sarà annunziato sui tetti.
4A voi miei amici, dico: Non temete coloro che uccidono il corpo e dopo non possono far più nulla.5Vi mostrerò invece chi dovete temere: temete Colui che, dopo aver ucciso, ha il potere di gettare nella Geenna. Sì, ve lo dico, temete Costui.6Cinque passeri non si vendono forse per due soldi? Eppure nemmeno uno di essi è dimenticato davanti a Dio.7Anche i capelli del vostro capo sono tutti contati. Non temete, voi valete più di molti passeri.
8Inoltre vi dico: Chiunque mi riconoscerà davanti agli uomini, anche il Figlio dell'uomo lo riconoscerà davanti agli angeli di Dio;9ma chi mi rinnegherà davanti agli uomini sarà rinnegato davanti agli angeli di Dio.
10Chiunque parlerà contro il Figlio dell'uomo gli sarà perdonato, ma chi bestemmierà lo Spirito Santo non gli sarà perdonato.
11Quando vi condurranno davanti alle sinagoghe, ai magistrati e alle autorità, non preoccupatevi come discolparvi o che cosa dire;12perché lo Spirito Santo vi insegnerà in quel momento ciò che bisogna dire".

13Uno della folla gli disse: "Maestro, di' a mio fratello che divida con me l'eredità".14Ma egli rispose: "O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?".15E disse loro: "Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell'abbondanza la sua vita non dipende dai suoi beni".16Disse poi una parabola: "La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto.17Egli ragionava tra sé: Che farò, poiché non ho dove riporre i miei raccolti?18E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni.19Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia.20Ma Dio gli disse: Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?21Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio".

22Poi disse ai discepoli: "Per questo io vi dico: Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete.23La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito.24Guardate i corvi: non seminano e non mietono, non hanno ripostiglio né granaio, e Dio li nutre. Quanto più degli uccelli voi valete!25Chi di voi, per quanto si affanni, può aggiungere un'ora sola alla sua vita?26Se dunque non avete potere neanche per la più piccola cosa, perché vi affannate del resto?27Guardate i gigli, come crescono: non filano, non tessono: eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro.28Se dunque Dio veste così l'erba del campo, che oggi c'è e domani si getta nel forno, quanto più voi, gente di poca fede?29Non cercate perciò che cosa mangerete e berrete, e non state con l'animo in ansia:30di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno.31Cercate piuttosto il regno di Dio, e queste cose vi saranno date in aggiunta.
32Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno.

33Vendete ciò che avete e datelo in elemosina; fatevi borse che non invecchiano, un tesoro inesauribile nei cieli, dove i ladri non arrivano e la tignola non consuma.34Perché dove è il vostro tesoro, là sarà anche il vostro cuore.

35Siate pronti, con la cintura ai fianchi e le lucerne accese;36siate simili a coloro che aspettano il padrone quando torna dalle nozze, per aprirgli subito, appena arriva e bussa.37Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà le sue vesti, li farà mettere a tavola e passerà a servirli.38E se, giungendo nel mezzo della notte o prima dell'alba, li troverà così, beati loro!39Sappiate bene questo: se il padrone di casa sapesse a che ora viene il ladro, non si lascerebbe scassinare la casa.40Anche voi tenetevi pronti, perché il Figlio dell'uomo verrà nell'ora che non pensate".
41Allora Pietro disse: "Signore, questa parabola la dici per noi o anche per tutti?".42Il Signore rispose: "Qual è dunque l'amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo?43Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro.44In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi.45Ma se quel servo dicesse in cuor suo: Il padrone tarda a venire, e cominciasse a percuotere i servi e le serve, a mangiare, a bere e a ubriacarsi,46il padrone di quel servo arriverà nel giorno in cui meno se l'aspetta e in un'ora che non sa, e lo punirà con rigore assegnandogli il posto fra gli infedeli.47Il servo che, conoscendo la volontà del padrone, non avrà disposto o agito secondo la sua volontà, riceverà molte percosse;48quello invece che, non conoscendola, avrà fatto cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche. A chiunque fu dato molto, molto sarà chiesto; a chi fu affidato molto, sarà richiesto molto di più.

49Sono venuto a portare il fuoco sulla terra; e come vorrei che fosse già acceso!50C'è un battesimo che devo ricevere; e come sono angosciato, finché non sia compiuto!

51Pensate che io sia venuto a portare la pace sulla terra? No, vi dico, ma la divisione.52D'ora innanzi in una casa di cinque persone53si divideranno tre contro due e due contro tre;

padre contro figlio e 'figlio contro padre',
madre contro figlia e 'figlia contro madre',
suocera contro nuora e 'nuora contro suocera'".

54Diceva ancora alle folle: "Quando vedete una nuvola salire da ponente, subito dite: Viene la pioggia, e così accade.55E quando soffia lo scirocco, dite: Ci sarà caldo, e così accade.56Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo?57E perché non giudicate da voi stessi ciò che è giusto?58Quando vai con il tuo avversario davanti al magistrato, lungo la strada procura di accordarti con lui, perché non ti trascini davanti al giudice e il giudice ti consegni all'esecutore e questi ti getti in prigione.59Ti assicuro, non ne uscirai finché non avrai pagato fino all'ultimo spicciolo".


Primo libro dei Maccabei 7

1Nell'anno centocinquantuno Demetrio, figlio di Selèuco, evase da Roma e sbarcò con pochi uomini in una città della costa e là si proclamò re.2Quando rientrò nella reggia dei suoi padri, l'esercito catturò Antioco e Lisia per consegnarglieli.3Informato della cosa, disse: "Non mostratemi la loro faccia".4Perciò i soldati li uccisero e Demetrio sedette sul trono del suo regno.
5Allora andarono da lui tutti gli uomini perfidi ed empi d'Israele, guidati da Alcimo che aspirava al sommo sacerdozio.6Essi accusarono il popolo davanti al re dicendo: "Giuda con i suoi fratelli ha sterminato tutti i tuoi amici e ci ha strappato dal nostro paese.7Ora manda un uomo fidato, che venga e prenda visione della rovina generale da quello procurata a noi e ai domini del re e provveda a punire quella famiglia e tutti i suoi sostenitori".8Il re designò Bàcchide, uno degli amici del re, preposto alla regione dell'Oltrefiume, potente nel regno e fedele al re,9e lo inviò con l'empio Alcimo; attribuì a questi il sommo sacerdozio e gli diede ordine di far vendetta contro gli Israeliti.10Così partirono e giunsero in Giudea con forze numerose. Bàcchide mandò messaggeri a Giuda e ai suoi fratelli per portare con inganno parole di pace.11Ma essi non credettero alle sue parole: avevano infatti saputo che era giunto con un forte esercito.12Si radunò tuttavia presso Alcimo e Bàcchide un gruppo di scribi per chiedere il riconoscimento dei diritti.13Gli Asidei furono i primi tra gli Israeliti a chieder loro la pace.14Dicevano infatti: "Un uomo della stirpe di Aronne è venuto con i soldati, non ci farà certo del male".15Egli usò con loro parole di pace e giurò loro: "Non faremo alcun male né a voi né ai vostri amici".16E quelli credettero. Ma egli prese sessanta di loro e li uccise in un sol giorno, proprio secondo la parola che sta scritta:

17'"Le carni dei tuoi santi e il loro sangue
hanno sparso intorno a Gerusalemme
e nessuno li seppelliva".'

18Allora la paura e il terrore si sparsero per tutto il popolo, perché tutti dicevano: "Non c'è in loro verità né giustizia, perché hanno trasgredito l'alleanza e il giuramento prestato".19Bàcchide levò il campo da Gerusalemme e si accampò in Bet-Zait; mandò ad arrestare molti degli uomini che erano passati dalla sua parte e alcuni del popolo e li fece uccidere e gettare nel pozzo grande.20Affidò il paese ad Alcimo e gli lasciò soldati che lo sostenessero; quindi Bàcchide fece ritorno dal re.21Alcimo rivendicava con le armi il sommo sacerdozio;22tutti i perturbatori del popolo si unirono a lui, si impadronirono della Giudea e procurarono grandi sventure a Israele.23Giuda vide tutti i mali che facevano Alcimo e i suoi fautori agli Israeliti peggio dei pagani,24uscì allora nelle regioni intorno alla Giudea, fece vendetta degli uomini che avevano disertato e impedì loro di far scorrerie nella regione.
25Quando Alcimo vide che Giuda e i suoi si erano rinforzati e che non avrebbe potuto resister loro, ritornò presso il re e mosse contro di loro accuse di misfatti.
26Allora il re mandò Nicànore, uno dei suoi capi più illustri, che aveva odio e inimicizia per Israele e gli ordinò di sterminare il popolo.27Nicànore venne in Gerusalemme con truppe ingenti e mandò messaggeri a Giuda e ai suoi fratelli con inganno a far queste proposte di pace:28"Non ci sia battaglia tra me e voi. Verrò con pochi uomini per incontrarmi pacificamente".29Venne da Giuda e si salutarono a vicenda con segni di pace: ma i nemici stavano pronti per metter le mani su Giuda.30Giuda fu informato che quello era venuto da lui con inganno, ed ebbe timore di lui e non volle più vedere la sua faccia.31Nicànore si accorse che il suo piano era stato scoperto e uscì all'attacco contro Giuda verso Cafarsalama.32Caddero dalla parte di Nicànore circa cinquecento uomini; gli altri ripararono nella città di Davide.
33Dopo questi fatti Nicànore salì al monte Sion e gli vennero incontro dal santuario alcuni sacerdoti e anziani del popolo per salutarlo con espressioni di pace e mostrargli l'olocausto offerto per il re.34Ma egli li schernì, li derise, anzi li contaminò e parlò con arroganza;35giurò incollerito: "Se non sarà consegnato subito Giuda e il suo esercito nelle mie mani, vi assicuro che quando tornerò a guerra finita, darò alle fiamme questo tempio"; e se ne andò tutto furioso.36I sacerdoti rientrarono e stando davanti all'altare e al tempio dissero tra il pianto:37"Tu hai scelto questo tempio perché su di esso fosse invocato il tuo nome e fosse casa di orazione e di supplica per il tuo popolo.38Fa' vendetta di questo uomo e delle sue schiere; siano trafitti di spada. Ricòrdati delle loro bestemmie: non lasciarli sopravvivere".
39Nicànore uscì da Gerusalemme, si accampò a Bet-Coròn e gli andò incontro l'esercito della Siria.40Giuda pose il campo in Adasa con tremila uomini e pregò:41"Quando gli ufficiali del re assiro dissero bestemmie, venne il tuo angelo e ne abbatté centottantacinquemila:42abbatti allo stesso modo questo esercito davanti a noi oggi; sappiano tutti gli altri che egli ha parlato empiamente contro il tuo santuario e tu giudicalo secondo le sue empietà".43Si scontrarono gli eserciti in combattimento il tredici del mese di Adar e fu sconfitto l'esercito di Nicànore, anzi egli cadde in battaglia per primo.44Quando i suoi soldati videro che Nicànore era caduto, gettarono le armi e fuggirono.45Li inseguirono per una giornata di cammino da Adasa fino a Ghezer e suonavano le trombe dietro a loro per dare l'allarme.46Uscirono allora uomini da tutti i villaggi della Giudea all'intorno e li accerchiarono; essi si voltavano gli uni contro gli altri e caddero tutti di spada: non ne rimase neppure uno.47I Giudei presero le spoglie e il bottino, mozzarono la testa di Nicànore e la destra, che aveva steso con superbia, e le portarono e le esposero in Gerusalemme.48Il popolo fece gran festa e passò quel giorno come giornata di gioia straordinaria.49Stabilirono di celebrare ogni anno questo giorno il tredici di Adar.50Così la Giudea ebbe quiete per un po' di tempo.


Siracide 22

1Il pigro è simile a una pietra imbrattata,
ognuno fischia in suo disprezzo.
2Il pigro è simile a una palla di sterco,
chi la raccoglie scuote la mano.

3Vergogna per un padre avere un figlio maleducato,
se si tratta di una figlia, è la sua rovina.
4Una figlia prudente sarà un tesoro per il marito,
quella disonorevole un dolore per chi l'ha generata.
5La sfacciata disonora il padre e il marito,
e dall'uno e dall'altro sarà disprezzata.
6Come musica durante il lutto i discorsi fuori tempo,
ma frusta e correzione in ogni tempo sono saggezza.

7Incolla cocci chi ammaestra uno stolto,
sveglia un dormiglione dal sonno profondo.
8Ragiona con un insonnolito chi ragiona con lo stolto;
alla fine egli dirà: "Che cosa c'è?".
9Piangi per un morto, poiché ha perduto la luce;
piangi per uno stolto, poiché ha perduto il senno.
10Piangi meno tristemente per un morto, ché ora riposa,
ma la vita dello stolto è peggiore della morte.
11Il lutto per un morto, sette giorni;
per uno stolto ed empio tutti i giorni della sua vita.
12Con un insensato non prolungare il discorso,
non frequentare l'insipiente;
13guàrdati da lui, per non avere noie
e per non contaminarti al suo contatto.
Allontànati da lui e troverai pace,
non sarai seccato dalla sua insipienza.
14Che c'è di più pesante del piombo?
E qual è il suo nome, se non "lo stolto"?
15Sabbia, sale, palla di ferro
sono più facili a portare che un insensato.
16Una travatura di legno ben connessa in una casa
non si scompagina in un terremoto,
così un cuore deciso dopo matura riflessione
non verrà meno al momento del pericolo.
17Un cuore basato su sagge riflessioni
è come un intonaco su un muro rifinito.
18Una palizzata posta su un'altura
di fronte al vento non resiste,
così un cuore meschino, basato sulle sue fantasie,
di fronte a qualsiasi timore non resiste.

19Chi punge un occhio lo farà lacrimare;
chi punge un cuore ne scopre il sentimento.
20Chi scaglia pietre contro uccelli li mette in fuga,
chi offende un amico rompe l'amicizia.
21Se hai sguainato la spada contro un amico,
non disperare, può esserci un ritorno.
22Se hai aperto la bocca contro un amico,
non temere, può esserci riconciliazione,
tranne il caso di insulto e di arroganza,
di segreti svelati e di un colpo a tradimento;
in questi casi ogni amico scomparirà.
23Conquìstati la fiducia del prossimo nella sua
povertà
per godere con lui nella sua prosperità.
Nel tempo della tribolazione restagli vicino,
per aver parte alla sua eredità.
24Prima del fuoco vapore e fumo nel camino,
così prima dello spargimento del sangue le ingiurie.
25Non mi vergognerò di proteggere un amico,
non mi nasconderò davanti a lui.
26Se mi succederà il male a causa sua,
chiunque lo venga a sapere si guarderà da lui.

27Chi porrà una guardia sulla mia bocca,
sulle mie labbra un sigillo prudente,
perché io non cada per colpa loro
e la mia lingua non sia la mia rovina?


Salmi 92

1'Salmo. Canto. Per il giorno del sabato.'

2È bello dar lode al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
3annunziare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte,
4sull'arpa a dieci corde e sulla lira,
con canti sulla cetra.
5Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie,
esulto per l'opera delle tue mani.

6Come sono grandi le tue opere, Signore,
quanto profondi i tuoi pensieri!
7L'uomo insensato non intende
e lo stolto non capisce:
8se i peccatori germogliano come l'erba
e fioriscono tutti i malfattori,
li attende una rovina eterna:
9ma tu sei l'eccelso per sempre, o Signore.

10Ecco, i tuoi nemici, o Signore,
ecco, i tuoi nemici periranno,
saranno dispersi tutti i malfattori.
11Tu mi doni la forza di un bùfalo,
mi cospargi di olio splendente.
12I miei occhi disprezzeranno i miei nemici,
e contro gli iniqui che mi assalgono
i miei orecchi udranno cose infauste.

13Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
14piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
15Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno vegeti e rigogliosi,
16per annunziare quanto è retto il Signore:
mia roccia, in lui non c'è ingiustizia.


Isaia 22

1Oracolo sulla valle della Visione.
Che hai tu dunque, che sei salita
tutta sulle terrazze,
2città rumorosa e tumultuante,
città gaudente?
I tuoi caduti non sono caduti di spada
né sono morti in battaglia.
3Tutti i tuoi capi sono fuggiti insieme,
fatti prigionieri senza un tiro d'arco;
tutti i tuoi prodi sono stati catturati insieme,
o fuggirono lontano.
4Per questo dico: "Stornate lo sguardo da me,
che io pianga amaramente;
non cercate di consolarmi
per la desolazione della figlia del mio popolo".
5Poiché è un giorno di panico,
di distruzione e di smarrimento,
voluto dal Signore, Dio degli eserciti.
Nella valle della Visione un diroccare di mura
e un invocare aiuto verso i monti.
6Gli Elamiti hanno preso la faretra;
gli Aramei montano i cavalli,
Kir ha tolto il fodero allo scudo.
7Le migliori tra le tue valli
sono piene di carri;
i cavalieri si sono disposti contro la porta.
8Così egli toglie la protezione di Giuda.
Voi guardavate in quel giorno
alle armi del palazzo della Foresta;
9le brecce della città di Davide
avete visto quante fossero;
avete raccolto le acque della piscina inferiore,
10avete contato le case di Gerusalemme
e demolito le case per fortificare le mura;
11avete costruito un serbatoio fra i due muri
per le acque della piscina vecchia;
ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose,
né avete visto chi ha preparato ciò da tempo.
12Vi invitava il Signore, Dio degli eserciti, in quel giorno
al pianto e al lamento,
a rasarvi il capo e a vestire il sacco.
13Ecco invece si gode e si sta allegri,
si sgozzano buoi e si scannano greggi,
si mangia carne e si beve vino:
"Si mangi e si beva, perché domani moriremo!".
14Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi:
"Certo non sarà espiato questo vostro peccato,
finché non sarete morti",
dice il Signore, Dio degli eserciti.

15Così dice il Signore, Dio degli eserciti:
"Rècati da questo ministro,
presso Sebnà, il maggiordomo,
16bche si taglia in alto il sepolcro
e si scava nella rupe la tomba:
16aChe cosa possiedi tu qui e chi hai tu qui,
che ti stai scavando qui un sepolcro?
17Ecco, il Signore ti scaglierà giù a precipizio, o uomo,
ti afferrerà saldamente,
18ti rotolerà ben bene a rotoli
come palla, verso un esteso paese.
Là morirai e là finiranno i tuoi carri superbi,
o ignominia del palazzo del tuo padrone!
19Ti toglierò la carica,
ti rovescerò dal tuo posto.
20In quel giorno chiamerò il mio servo
Eliakìm, figlio di Chelkia;
21lo rivestirò con la tua tunica,
lo cingerò della tua sciarpa
e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme
e per il casato di Giuda.
22Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide;
se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire.
23Lo conficcherò come un paletto in luogo solido
e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre.

24A lui attaccheranno ogni gloria della casa di suo padre: discendenti e nipoti, ogni vaso anche piccolo, dalle tazze alle anfore".
25In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - cederà il paletto conficcato in luogo solido, si spezzerà, cadrà e andrà in frantumi tutto ciò che vi era appeso, perché il Signore ha parlato.


Lettera agli Efesini 3

1Per questo, io Paolo, il prigioniero di Cristo per voi Gentili...2penso che abbiate sentito parlare del ministero della grazia di Dio, a me affidato a vostro beneficio:3come per rivelazione mi è stato fatto conoscere il mistero di cui sopra vi ho scritto brevemente.4Dalla lettura di ciò che ho scritto potete ben capire la mia comprensione del mistero di Cristo.5Questo mistero non è stato manifestato agli uomini delle precedenti generazioni come al presente è stato rivelato ai suoi santi apostoli e profeti per mezzo dello Spirito:6che i Gentili cioè sono chiamati, in Cristo Gesù, a partecipare alla stessa eredità, a formare lo stesso corpo, e ad essere partecipi della promessa per mezzo del vangelo,7del quale sono divenuto ministro per il dono della grazia di Dio a me concessa in virtù dell'efficacia della sua potenza.8A me, che sono l'infimo fra tutti i santi, è stata concessa questa grazia di annunziare ai Gentili le imperscrutabili ricchezze di Cristo,9e di far risplendere agli occhi di tutti qual è l'adempimento del mistero nascosto da secoli nella mente di Dio, creatore dell'universo,10perché sia manifestata ora nel cielo, per mezzo della Chiesa, ai Principati e alle Potestà la multiforme sapienza di Dio,11secondo il disegno eterno che ha attuato in Cristo Gesù nostro Signore,12il quale ci dà il coraggio di avvicinarci in piena fiducia a Dio per la fede in lui.13Vi prego quindi di non perdervi d'animo per le mie tribolazioni per voi; sono gloria vostra.

14Per questo, dico, io piego le ginocchia davanti al Padre,15dal quale ogni paternità nei cieli e sulla terra prende nome,16perché vi conceda, secondo la ricchezza della sua gloria, di essere potentemente rafforzati dal suo Spirito nell'uomo interiore.17Che il Cristo abiti per la fede nei vostri cuori e così, radicati e fondati nella carità,18siate in grado di comprendere con tutti i santi quale sia l'ampiezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità,19e conoscere l'amore di Cristo che sorpassa ogni conoscenza, perché siate ricolmi di tutta la pienezza di Dio.

20A colui che in tutto ha potere di fare
molto più di quanto possiamo domandare o pensare,
secondo la potenza che già opera in noi,
21a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù
per tutte le generazioni, nei secoli dei secoli! Amen.


Capitolo XLII: La nostra pace non dobbiamo porla negli uomini

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1. O figlio, se la tua pace l'attendi da qualcuno, secondo il tuo sentimento e il piacere di stare con lui, avrai sempre incertezza ed impacci. Se, invece, tu ricorrerai alla verità, sempre viva e stabile, non sarai contristato per l'abbandono da parte di un amico; neppure per la sua morte. Su di me deve essere fondato l'amore per l'amico; in me deve essere amato chi ti appare degno e ti è particolarmente caro in questa vita; senza di me non regge e non dura l'amicizia; non c'è legame d'amicizia veramente puro, se non sono io ad annodarlo. Perciò tu devi essere totalmente morto ad ogni attaccamento verso persone che ti siano care così da preferire, per quanto sta in te, di essere privo di ogni umana amicizia.

2. Tanto più ci si avvicina a Dio, quanto più ci si ritira lontano da ogni conforto terreno. Tanto più si ascende in alto, a Dio, quanto più si entra nel profondo di noi stessi, persuadendosi di non valere proprio nulla. Che se uno, invece, attribuisce a sé qualcosa di buono, questi ostacola la venuta della grazia divina il lui; giacché la grazia dello Spirito Santo cerca sempre un cuore umile. Se tu sapessi annichilirti e uscire da ogni affetto di quaggiù, liberandoti da ogni attaccamento di questo mondo, allora, certamente, io verrei a te, con larghezza di grazia; infatti, quando guardi alle creature, ti si sottrae la vista del Creatore. Per amore del Creatore, dunque, vinci te stesso, in tutte le cose; così potrai giungere a conoscere Dio. Se una cosa, per quanto piccola sia, la si ama e ad essa si guarda non rettamente, questa ti ostacola la via verso il sommo Dio, e ti corrompe.


DISCORSO 252 NEI GIORNI DI PASQUA

Discorsi - Sant'Agostino

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Le due pésche miracolose suscettibili di interpretazioni diverse.

1. Nelle Sacre Scritture il nostro Signore Gesù Cristo, secondo il suo solito, ci mostra in modi diversi e svariati - con misteri e sacramenti - la maestà della sua natura divina e la sua misericordia nel farsi uomo. Fa così perché coloro che chiedono ricevano, quelli che cercano trovino e a chi bussa sia aperto. Di conseguenza, anche quello che è stato letto oggi dal santo Vangelo provoca a comprendere e, una volta che sia stato compreso, produce un godimento spirituale. Voglia la Santità vostra fare attenzione al significato del fatto che, stando alla Sacra Scrittura, il Signore si sia manifestato ai discepoli nel modo come racconta l'Evangelista. I discepoli andarono a pescare e durante tutta la notte non presero nulla. Al mattino il Signore apparve loro sulla spiaggia e chiese se avessero da mangiare: al che essi risposero di no. Disse loro: Gettate le reti a destra e troverete 1. Pur sembrando uno venuto a comprare, fu lui a donare, e gratuitamente, con abbondanza e donò traendo dal mare, come da un luogo da lui creato. Grande miracolo certamente! Gettarono prontamente le reti e presero tanto pesce che, per la quantità, non riuscivano a trarre fuori le reti. Se però consideri chi abbia fatto un così strepitoso miracolo, non ti meraviglierai più, poiché antecedentemente ne aveva fatti molti e più grandi. Non compì infatti una cosa straordinaria facendo catturare del pesce quando era ormai risuscitato, lui che prima della resurrezione aveva risuscitato dei morti. Dobbiamo dunque porre sotto interrogatorio questo miracolo, per sentire quali voci faccia risuonare al nostro intimo. Non fu infatti senza motivo se non disse genericamente: Gettate le reti, ma: Gettate a destra; come anche l'averci l'Evangelista voluto precisare il numero dei pesci e apporvi l'aggiunta: E pur essendo d'una certa mole - cioè così grandi - le reti non si squarciarono 2. Mediante questo racconto ci ha fatto ricordare che anche un'altra volta le reti erano state gettate al comando del Signore, quando cioè chiamò i discepoli, prima della passione. Vi erano Pietro, Giovanni e Giacomo: gettarono le reti e presero pesci a non finire, tanto che, riempita una barca, chiesero aiuto a quelli della barca vicina, e tutte e due le barche furono colme di pesci (così accadde prima della resurrezione), i quali pesci erano effettivamente così numerosi che minacciavano di squarciare le reti 3. Perché in quell'occasione non ci si precisa il numero? Perché là si parla di reti che stavano per rompersi, mentre qui nessuna rottura? Perché, al contrario di quello che là si riferisce, che cioè non fu ordinato di gettare a destra le reti, qui si dice: Gettate a destra le reti? Un motivo ci dev'essere, poiché il Signore in queste cose non si comportava, diciamo così, a vanvera e a cuor leggero. Cristo è il Verbo di Dio, e parla agli uomini non solo quando emette dei suoni ma anche quando compie dei fatti.

Le reti sono la parola di Dio, il mare è il mondo.

2. Ci si impone dunque di analizzare insieme alla vostra Carità il significato di racconti così diversi. La prima volta si gettarono le reti e fu presa una quantità stragrande di pesci: ne furono riempite due barche sì che le reti si rompevano (delle quali reti però non ci si dice se furono gettate a destra o a sinistra). Ebbene il mistero di quella pesca si attua nel tempo presente. Quanto all'altro mistero, non fu senza motivo che avvenne dopo la resurrezione del Signore. Egli lo compì quando non sarebbe mai più morto ma sarebbe restato sempre in vita, non solo quanto alla divinità, nella quale non subì mai la morte, ma anche quanto al corpo, nel quale si degnò di morire per noi. Non fu dunque senza motivo se la prima pesca avvenne prima della passione, mentre la seconda dopo la resurrezione. La prima volta non si parla né di destra né di sinistra, ma si dice solo: Gettate le reti 4, qui viceversa: Gettate a destra 5. Là non si indica alcun numero ma si dice soltanto che la quantità era tanta da far quasi affondare le due barche (poiché proprio questo particolare ivi è aggiunto); qui si precisano e il numero dei pesci e il fatto che erano grossi pesci. Là, infine, si dice che le reti minacciavano di rompersi, qui l'Evangelista si premura di segnalare che, pur essendo così grossi, le reti non si squarciarono. Non ci è forse spontaneo, fratelli, vedere nella rete la parola di Dio, nel mare il mondo presente, e in coloro che sono inclusi in quella rete, tutti coloro che vengono alla fede? Se qualcuno dubita di questa interpretazione, osservi come lo stesso Signore, quel che palesò attraverso il miracolo, lo spiegò nella parabola quando disse: Il regno dei cieli è simile a una rete gettata in mare, che raccoglie ogni sorta di pesci. Riempita che fu, la tirarono fuori e la distesero sulla spiaggia. Sedendo sulla spiaggia, scelsero i pesci buoni e li misero nei cesti, mentre buttarono via i cattivi. Così sarà alla fine del mondo. Usciranno gli angeli e separeranno i cattivi di fra mezzo ai giusti, e li getteranno nella fornace di fuoco, dove ci saranno pianto e stridore di denti 6. Pertanto è indubitato che la rete gettata in mare simboleggia la fede. O che forse non è un mare il mondo attuale, dove gli uomini si divorano a guisa di pesci? O son forse piccole le tempeste e le onde, cioè le tentazioni, che sconvolgono questo mare? O son forse piccoli i pericoli che debbono affrontare i naviganti, cioè coloro che aspirano a raggiungere la patria celeste lasciandosi portare dal legno della croce? La similitudine, tutto sommato, è evidentissima.

Le due barche raffigurano i chiamati dal giudaismo e dal paganesimo.

3. Dato per scontato che la resurrezione del Signore raffigura la via nuova che possederemo quando sarà passato il tempo presente, una cosa sola dobbiamo vedere, fratelli, cioè come la prima volta la parola di Dio sia stata inviata in questo mare che è il mondo attuale. La parola di Dio fu inviata in questo mondo turbato da marosi, pericoloso per le tempeste e tormentoso per i naufragi: e tale parola conquistò molti, tanto da riempire due barche. Cosa sono le due barche? Sono due popoli: quei due popoli dei quali, come se fossero due pareti, si è costituito pietra angolare il Signore, e così li ha riuniti in sé pur provenendo da direzioni opposte. Il popolo dei Giudei veniva infatti da costumanze del tutto diverse da quelle del popolo dei gentili, che proveniva dall'idolatria. Il popolo dei Giudei veniva dalla circoncisione, il popolo dei gentili dalla incirconcisione. Venivano da direzioni opposte ma nella pietra angolare furono congiunti in unità 7. Non farebbero infatti angolo due pareti che non provenissero da direzione opposta. Ebbene, i due popoli (i Giudei chiamati da vicino e i pagani chiamati da lontano) in Cristo trovarono l'accordo. Quanto poi ai Giudei, che erano vicini - già da tempo infatti adoravano un solo Dio -, nota cosa fecero quando abbracciarono la fede in Cristo: vendettero tutto quello che avevano e deposero il prezzo dei campi venduti ai piedi degli Apostoli, e se ne facevano delle elargizioni secondo il bisogno di ciascuno 8. Furono liberati dal peso dei loro interessi mondani, sicché senza gravami sulle spalle potevano seguire Cristo. Sottomisero il collo al suo giogo leggero e buttandosi in braccio alla pietra angolare, a cui si trovavano vicini, ottennero la pace. Ma ecco che, sia pur da lontano, venne anche il popolo dei gentili, raggiunse anch'esso quella pietra e combaciò con l'altro pacificamente. Questi due popoli erano simboleggiati in quelle due barche, che, riempite da tanta copia di pesci, stavano lì lì per affondare. Leggiamo infatti che, tra quei Giudei che erano venuti alla fede, c'erano degli uomini carnali che causavano angustie in seno alla Chiesa: non volevano che gli Apostoli predicassero il Vangelo ai pagani affermando che Cristo era stato mandato per i soli circoncisi e che i pagani, se avessero voluto abbracciare il Vangelo, prima si sarebbero dovuti circoncidere. Per questo motivo quelli tra i Giudei che erano venuti alla fede avevano preso a odiare l'apostolo Paolo, che pur predicava la verità, in quanto era stato mandato ai pagani 9. L'Apostolo infatti sosteneva che il popolo pagano, proveniente da direzione opposta, dovesse giungere anch'esso a toccare quell'angolo dove la pace era ben salda. Viceversa quegli uomini carnali che esigevano la circoncisione non rientravano nel numero degli uomini spirituali e non riuscivano a vedere come, sorpassati i sacramenti d'indole carnale, era ormai arrivato colui che con la sua presenza luminosa metteva in fuga le ombre. In quanto dunque essi provocavano discordie, possiamo dire che, con la loro stessa moltitudine, stavano per sommergere la barca.

Mali che affliggono la Chiesa peregrinante.

4. Volgiamo adesso lo sguardo alla nave formata dai pagani, e osserviamo se per caso non se ne sia raccolta nella Chiesa una folla così numerosa che, fra la tanta paglia, appaiano sì o no i grani di frumento che vi sono frammisti. Quanti ladri, quanti ubriaconi, quanti maldicenti, quanti frequentatori del teatro! Non sono forse gli stessi che riempiono le chiese che poi vanno a riempire i teatri? E spesse volte nelle chiese a forza di turbolenze esigono cose sul tipo di quelle che sono soliti esigere nei teatri. Che se a volte si dice loro, o si ingiunge, qualcosa di spirituale, oppongono resistenza, ricalcitrano, asserviti come sono alla carne e riottosi contro lo Spirito Santo. È l'atteggiamento che Stefano rimproverava anche ai Giudei 10. Limitandoci a questa città, non abbiamo dovuto sperimentare fatti che, come noi, così anche la vostra Santità, fratelli miei, ancora ricorda? Mi riferisco al grave pericolo da noi corso quando Dio volle escludere da questa basilica le ubriachezze. Non accadde forse che, per la turbolenza di certi uomini carnali, la barca stesse per affondare insieme con noi? Ma perché questo, se non perché quel numero di pesci era strabocchevole? Ancora: nel Vangelo si racconta pure un altro particolare, e cioè che le reti si squarciavano: reti squarciate, nel senso che avvennero eresie e scismi. Le reti, è vero, includono tutti i pesci, ma fra questi ce ne sono alcuni insofferenti, che ricusano di venire a nutrirsi del Signore, o, per quanto possono, si dànno spintoni, finché le reti non si son rotte ed essi possono uscire. È però ben chiaro che le reti si estendono in tutto il mondo, mentre coloro che le rompono le rompono solo in qualche parte. I donatisti le han rotte in Africa, gli ariani in Egitto, i fotiniani nella Pannonia, i catafrigi nella Frigia, i manichei in Persia. In quanti luoghi quella gran rete è stata squarciata! Eppure, quanti vi restano dentro, sa portarli a riva. E di fatto ce li porta. O che forse, squarciate le reti, se ne escono tutti i cattivi? Poiché, se a uscire non sono se non i cattivi, a rimanere ci sono tanto i buoni che i cattivi. Come farebbe, se no, ad arrivare alla spiaggia, carica di pesci buoni e di pesci cattivi, quella rete di cui parlava il Signore nella parabola?

Paglia e buon grano frammisti fino al ritorno del Signore.

5. Lo stesso contenuto figurativo ritroviamo anche in quell'aia dove avviene la trebbiatura. C'è la paglia, c'è il frumento, ma a chi guarda superficialmente l'aia non appare se non la paglia. Per vedere in mezzo alla paglia anche al frumento occorre un esame diligente. I venti poi da ogni parte s'abbattono su quell'aia: anche durante la trebbiatura, prima di procedere per la vagliatura, forse che non si han da subire i venti? Soffia da una parte il vento, e, per modo di dire, solleva la paglia da una parte; soffia di nuovo e la solleva dall'altra. Da qualsiasi parte soffi, solleva la paglia e la scaraventa contro la siepe e le spine e per ogni dove. Il vento però non può alzare da terra il frumento, alza solo la paglia. Ecco dunque che arrivano i venti soffiando da tutte le direzioni e portano via la paglia: rimarrà forse nell'aia soltanto il frumento? Non vola via se non la paglia, è vero, ma nell'aia rimangono ancora e paglia e frumento. Quando scomparirà del tutto la paglia? Quando verrà il Signore portando in mano il ventilabro e sgombrerà la sua aia, sistemando il grano nel magazzino e bruciando la paglia col fuoco inestinguibile 11. Voglia la vostra Santità prestarmi più attenzione in quello che voglio dirvi. Talvolta capita che i venti, che spazzano via la paglia dall'aia, cambino direzione, soffino dall'altra parte della siepe dove la paglia s'era posata e la riportino proprio sull'aia. Vi faccio un esempio. Un tizio appartenente alla Cattolica subisce la prova di una qualche oppressione; guardando con occhi carnali si accorge che in quella sua faccenda può essere aiutato presso i donatisti. Gli è stato detto: Non troverai aiuto se non ti metterai in comunione con loro. Ha soffiato il vento e lo ha scaraventato fra le spine. Se gli capita in seguito un interesse mondano di cui non possa venire a capo se non nell'ambito della Chiesa cattolica, non farà gran caso al posto dove si trova ma a quello dove potrà più agevolmente sistemare i suoi interessi. Sarà ributtato dentro l'aia del Signore come da un vento che soffi dalla parte opposta della siepe.
Alla paglia è dato, se vuole, cambiarsi in frumento.

6. Fatemi parlare, fratelli, di questa gente che nella Chiesa va alla ricerca di risultati materiali e non ha di mira le promesse di Dio. Non ricordano, costoro, come quaggiù ci son riservati prove, pericoli, difficoltà, mentre, al termine di questi disagi temporali, ci è promesso il riposo eterno in compagnia con gli angeli santi. Non avendo di mira queste cose ma aspirando a beni materiali, sia che si trovino dentro l'aia sia che si trovino fuori, per la Chiesa sono paglia; e noi nei loro riguardi non è che ne proviamo grande gioia e neppure li lusinghiamo con infondate adulazioni. Buon per loro se diventeranno frumento, poiché fra la paglia in senso proprio e queste persone là c'è questa differenza: la paglia vera e propria non ha il libero arbitrio mentre all'uomo Dio ha dato questo libero arbitrio. E l'uomo, se lo vuole, come ieri fu paglia così oggi può diventare buon grano. Allo stesso modo, se si allontanerà dalla parola di Dio, oggi diventerà paglia. Quello pertanto che occorre ricercare è come ci troverà il giorno dell'ultima vagliatura.

Nella Chiesa celeste ci saranno solo i buoni.

7. A questo punto, fratelli, volgete lo sguardo a quella Chiesa beata, misteriosa, grande, raffigurata dai centocinquantatrè pesci. Se, infatti, della Chiesa presente abbiamo udito e sappiamo e constatiamo come sia, dell'altra, quella dell'aldilà, abbiamo solo profezie: non è ancora pervenuta a noi in maniera tangibile. Comunque, sebbene non la vediamo ancora realizzata, ci è sempre lecito godere di come sarà. E torniamo alle reti. La prima volta furono gettate senza che si specificasse se a destra o a sinistra: dovevano infatti prendere pesci buoni e pesci cattivi. Se fosse stato detto: A destra, non ci sarebbero stati compresi i cattivi; se fosse stato detto: A sinistra, non ci sarebbero stati compresi i buoni. Siccome però doveva includere e i buoni e i cattivi, furono gettate in modo imprecisato, e, come abbiamo esposto, catturarono di fatto gli iniqui e i giusti. Nella lezione presente invece si parla della Chiesa che esisterà nella santa Gerusalemme, dove saranno palesi i cuori di tutti i mortali e non ci sarà più da temere che in quella Chiesa entri alcun cattivo, qualcuno che abbia un cuore perverso e con astuzia lo nasconda sotto il velo della mortalità. Allora sarà venuto il Signore e, a significare questo, egli già risorto per non più morire dà il comando di gettare le reti a destra. Si realizza quindi il detto dell'Apostolo: Finché non sarà venuto il Signore che illuminerà i nascondigli tenebrosi e manifesterà le intenzioni del cuore, e allora ciascuno riceverà da Dio la sua lode 12. Saranno, cioè, allora resi pubblici i segreti della coscienza, che ora sono occulti. Allora saranno nella rete solo i buoni, i cattivi saranno gettati via. Le reti infatti saranno calate a destra e non potranno contenere i cattivi.

Perché centocinquantatré pesci.

8. Ma perché centocinquantatré pesci? Forse che i santi saranno in tal numero? In realtà, anche senza computare tutti i fedeli che uscirono da questo mondo in santità di vita, ma soltanto i martiri o anche i martiri che furono uccisi in un solo giorno, troveremo che le persone giunte alla corona sono migliaia. Bisogna dunque ricercare - è ovvio! - cosa rappresenti quel centocinquantatré 13. Che rappresenta il cinquanta? poiché il mistero è in questo numero cinquanta, e in quanto moltiplicato per tre fa centocinquanta. Il numero tre infatti sembra esservi stato aggiunto per segnalarci attraverso quale moltiplicazione si arrivi a, centocinquantatré, come se ci si dicesse: Dividi il centocinquanta in tre. Che se invece fosse stato detto centocinquantadue, dal numero due che eccede saremmo avvertiti a dividere centocinquanta in settantacinque, poiché settantacinque moltiplicato per due fa centocinquanta. Questa divisione per due la indicherebbe lo stesso numero due che viene aggiunto. Se avesse detto centocinquantasei, avremmo dovuto dividere la somma per venticinque in modo da ottenere sei parti. Orbene, siccome è stato precisato centocinquantatré, dobbiamo dividere quel numero, cioè centocinquanta in tre parti: difatti la terza parte di centocinquanta è cinquanta. Ne segue che tutta la nostra attenzione deve fermarsi sul numero cinquanta.

L'eterno Alleluia dei beati.

9. Non si tratterà per caso dei cinquanta giorni che stiamo attualmente celebrando? Non è infatti senza motivo, miei fratelli, che la Chiesa conserva la consuetudine, tramandataci dagli antichi, di far ripetere in questi cinquanta giorni l'Alleluia. Che se questo Alleluia significa " lode a Dio ", viene con ciò indicata a noi, ora nell'affanno, la condizione di quando saremo nella pace. Quando infatti sarà terminato il nostro affanno di adesso e noi avremo raggiunto quella pace, la nostra unica occupazione sarà la lode di Dio: lassù non faremo altro se non dire: Alleluia. Che vuol dire: Alleluia? Lodate Dio. Ebbene, chi, se non gli angeli, potrà lodare Dio senza esaurirsi? Gli angeli non hanno né fame, né sete, non sono soggetti né a malattia né a morte. Quanto a noi, invece, è vero che abbiamo detto: Alleluia, che l'abbiamo cantato anche stamani in questa basilica; e anche poco fa, dopo che ci eravamo radunati, abbiamo detto: Alleluia. Ci ha raggiunto una specie di olezzo della lode divina e della quiete celeste; ma in proporzione maggiore è ancora la mortalità a schiacciarci. Ci stanchiamo a parlare e vogliamo dare ristoro alle nostre membra; e anche se ripetiamo in maniera prolungata l'Alleluia, la stessa lode di Dio ci viene resa pesante dalla materialità del nostro corpo. La pienezza dell'Alleluia con esclusione di ogni limite l'avremo alla fine del tempo presente, quando saranno cessati i travagli. Cosa dire quindi, o fratelli? Cantiamo adesso l'Alleluia come meglio possiamo, per meritare di poterlo cantare ininterrottamente. Lassù l'Alleluia sarà nostro cibo e nostra bevanda; sarà l'Alleluia l'impegno della quiete, tutta la gioia sarà l'Alleluia, cioè la lode di Dio. Chi infatti è in grado di lodare qualcosa senza stancarsi se non chi ne gode senza alcuna noia? Orbene, di quanta forza non sarà dotata allora la nostra mente, di quanta stabilità non sarà dotato il nostro corpo, divenuto immortale, se né la mente verrà meno nel contemplare Dio dov'è immersa, né le membra si afflosceranno nell'impegno, che sarà ininterrotto, di lodare Dio?

Valore simbolico dei numeri 40 e 50.

10. Vogliamo domandarci perché in questo mistero siano solennizzati i cinquanta giorni. Il Signore dopo la resurrezione trascorse quaranta giorni con i discepoli, come narrano gli Atti degli Apostoli 14; dopo quaranta giorni ascese al cielo e dieci giorni dopo l'ascensione mandò lo Spirito Santo. Ripieni di questo Spirito, gli Apostoli e tutti quanti erano raccolti nell'unità parlarono in lingue e compirono - effondendo sempre con grande fiducia la parola di Dio 15 - quelle cose straordinarie che leggiamo e a cui aderiamo mediante la fede. Trascorse, dunque, in terra quaranta giorni con i discepoli, e prima della passione aveva digiunato quaranta giorni 16. All'infuori del Signore, di Mosè 17 e di Elia 18, non si trova detto di altri che abbiano digiunato quaranta giorni. Orbene, il Signore rappresentava il Vangelo, Mosè la legge, Elia le profezie, poiché il Vangelo ha come testimoni la legge e i profeti 19. Tanto è vero che sul monte, quando il nostro Signore Gesù volle palesare la sua gloria, stava in mezzo a Mosè e ad Elia 20. In mezzo a loro egli risplendeva in magnificenza; ai lati c'erano la legge e i profeti che fungevano da testimoni. Il numero quaranta dunque rappresenta il tempo attuale, quando cioè noi triboliamo in questo mondo; e questo perché al presente la sapienza ci viene elargita con una distribuzione delimitata dal tempo. In una maniera viene accordata la sapienza quando la si contempla nell'immortalità al di fuori dei limiti del tempo, in un'altra maniera quando si è soggetti al tempo. Ecco arrivare il periodo dei patriarchi, ma scomparvero: la loro missione fu temporanea. Non dico che temporanea fu la loro vita, poiché vivono eternamente con Dio, ma fu temporanea la missione che svolsero di dispensare la parola. Adesso infatti non ci parlano più da questa terra, per quanto le loro parole, poste in iscritto, le si leggano anche al presente. A loro tempo vennero i profeti. Vennero e se ne andarono, così come a suo tempo venne il Signore. Non che se ne sia andato lontano per quanto concerne la presenza della sua maestà: mai infatti se ne può andar lontano a motivo della divinità per la quale si trova sempre ovunque; ma, come è detto nel Vangelo, egli era nel mondo, anzi il mondo era stato creato per opera sua, eppure il mondo non lo riconobbe. Venne nella sua casa, e i suoi non lo accolsero 21. In che senso era qui e qui venne, se non in quanto egli, che era qui con la maestà, vi venne prendendo l'umanità? Per il fatto d'essere venuto con la carne si rese lui stesso per noi ministro di sapienza, che calò nell'ordine temporale. Quindi la sapienza ci fu data nel tempo e dalla legge e dai profeti e dal Vangelo, in quanto libro della Scrittura. Quando poi saranno passati i tempi, vedremo la sapienza così com'è, ed essa in premio ci darà il numero dieci. Col numero sette infatti si indica la creatura, in quanto Dio compì le sue opere in sei giorni e nel settimo cessò dall'operare, mentre col numero tre si allude piuttosto al Creatore, Padre, Figlio e Spirito Santo. Ne segue che la perfezione della sapienza si ottiene quando la creatura è piamente soggetta al Creatore, quando si distingue l'autore dall'effetto prodotto, l'artefice dalla sua opera. Uno che confondesse le opere prodotte con il loro autore darebbe segno di non aver compreso né l'attività svolta né la persona che l'ha svolta; chi invece è capace di distinguere fra l'uno e l'altra dimostra di possedere la pienezza della sapienza. Ecco dunque cosa rappresenta il numero dieci: la pienezza della sapienza. Quando però se ne fa una distribuzione nel tempo - e la ripartizione sulla base del numero quattro evidenzia bene l'elemento tempo - allora il numero dieci viene moltiplicato per quattro e ci dà quaranta. Al riguardo, osservate l'anno: esso varia secondo le quattro stagioni: primavera, estate, autunno, inverno, e così nella sua durata lascia apparire in una maniera quanto mai perfetta un certo avvicendamento basato sul numero quattro. Anche la Scrittura ricorda i quattro venti; e il Vangelo, annunziato nel tempo, si è diffuso nei quattro punti cardinali. Lo stesso deve dirsi della Chiesa cattolica, che ha riempito le quattro parti del mondo. Se ne deduce che il numero dieci, trattato come qui detto, porta come risultato quaranta.

Acrobazie per stabilire un nesso fra i numeri 40, 50 e 153.

11. Ecco perché quei tre personaggi digiunarono quaranta giorni. Essi volevano inculcarci che nella vita presente è necessario astenersi dall'amore per le cose temporali. Lo inculcano col loro digiuno assoluto protratto per tal numero di giorni, cioè quaranta. Non diversamente l'antico popolo d'Israele fu condotto nel deserto per quaranta anni, prima di entrare nella terra promessa dove avrebbe stabilito il suo regno. Così anche noi, finché dura la vita presente, piena di pressanti angustie, di timori, di pericoli e tentazioni, siamo condotti, per così dire, nelle vie del deserto, in conformità a un piano d'indole temporanea. Che se avremo fatto buon uso del numero quaranta, se cioè saremo vissuti bene attuando il piano affidatoci nel tempo e ci saremo conformati ai precetti di Dio riceveremo in premio il numero dieci, riservato ai fedeli. Nominiamo il dieci perché il Signore, quando prese a giornata quegli operai e li mandò a lavorare nella sua vigna, diede loro come ricompensa un denaro: a tutti un denaro, tanto a coloro che aveva invitati al mattino, quanto a quelli del mezzogiorno, quanto a quelli del tramonto. A tutti diede un denaro 22. Vuol dirci che, se uno abbraccia la fede fin dalla prima infanzia, riceverà in premio un denaro, cioè la sapienza con la quale potrà discernere il Creatore dalla creatura, non già secondo frazionamenti temporali ma con eterna contemplazione: potrà immergersi nel godimento del Creatore, e lodarlo attraverso le cose create. Un altro invece diviene credente da giovane, mentre prima non lo era stato: riceverà anch'egli un denaro. Un terzo viene alla fede quando è ormai vecchio, è invitato a lavorare nella vigna al tramonto, cioè nell'ora undecima: anche lui riceverà un denaro. Orbene, al numero quaranta della buona amministrazione aggiungi il dieci, cioè la ricompensa: otterrai il numero cinquanta, che raffigura la Chiesa che ha da venire, la Chiesa dove si loderà Dio ininterrottamente. Siccome poi tutti si è chiamati nel nome della Trinità affinché si viva bene durante il numero quaranta e si riceva il dieci, prova a moltiplicare per tre il numero cinquanta: si avrà centocinquanta. Aggiungi lo stesso mistero della Trinità e avrai centocinquantatré, cioè il numero dei pesci che si trovarono a destra, numero nel quale son contenute innumerevoli migliaia di santi. Ovviamente, pertanto, non sarà gettato via nessun cattivo, poiché non ce ne sarà nessuno; né accadrà che le reti si rompano a motivo degli scismi, poiché tali reti son proprio i vincoli dell'unità e della pace.

Condotta da tenersi durante il periodo pasquale.

12. Ritengo esservi stato esposto a sufficienza il grande mistero. Ma voi sapete che l'importante per noi è fare il bene durante il periodo dei quaranta, in modo che nel periodo dei cinquanta possiamo lodare il Signore. Per questo celebriamo nella fatica, nel digiuno e nell'astinenza i quaranta giorni che precedono la veglia: essi simboleggiano il tempo presente. I giorni che decorrono dopo la resurrezione del Signore simboleggiano invece la gioia eterna. Non sono la gioia eterna ma la simboleggiano: si tratta di una rappresentazione misteriosa, fratelli, non ancora della realtà. Difatti, quando noi celebriamo la Pasqua non è che venga crocifisso il Signore, ma come simbolicamente celebriamo con ricordo annuale i fatti del passato così anche anticipiamo quelli dell'avvenire. Sta comunque il fatto che in questo tempo attenuiamo i digiuni: a significare che il numero di questi giorni ci rappresenta la pace che ha da venire. Badate, fratelli, che non vi succeda che, volendo celebrare questi giorni in maniera carnale, con indebito permissivismo e manica larga vi abbandoniate a ubriachezze smodate e così non meritiate di celebrare in eterno con gli angeli ciò che i giorni stessi simboleggiano. Poni che io debba rimproverare un ubriaco. Egli mi dirà: Tu stesso ci hai insegnato che questi giorni raffigurano la gioia eterna; tu ci hai lasciato intravvedere che questo tempo è il preannuncio del godimento che proveremo in cielo insieme con gli angeli. Non dovevo quindi passarmeli bene? Oh! bene sì, non male. Il periodo attuale ti rappresenta infatti la gioia eterna se sarai stato tempio di Dio. Se viceversa riempi questo tempio di Dio con la sporcizia dell'ubriachezza, dovranno risuonarti all'orecchio le parole dell'Apostolo: Chi violerà il tempio di Dio, Dio lo annienterà 23. Sia pertanto scolpito nel cuore della vostra Santità questo: è meglio un uomo che capisce poco ma vive bene anziché uno che capisce molto ma vive male. La pienezza e la perfezione della felicità consiste infatti nella prontezza a capire e nella bontà della vita; ma se le due cose insieme non si possono raggiungere, è meglio la bontà della vita che non la prontezza dell'intelligenza. E questo, perché chi vive bene meriterà una maggiore intelligenza, chi al contrario vive male perderà anche la comprensione di ciò che aveva capito. Così infatti è detto: A chi ha sarà dato; a chi non ha sarà tolto anche quello che sembrava possedesse 24.

 


1 - Gv 21, 6.

2 - Gv 21, 11.

3 - Cf. Lc 5, 1-7.

4 - Lc 5, 4.

5 - Gv 21, 6.

6 - Mt 13, 47-50.

7 - Cf. Ef 2, 11-22.

8 - Cf. At 4, 34-35.

9 - Cf. Gal 4, 16.

10 - Cf. At 7, 51.

11 - Cf. Mt 3, 12.

12 - 1 Cor 4, 5.

13 - Cf. Gv 21, 11.

14 - Cf. At 1.

15 - Cf. At 2.

16 - Cf. Mt 4, 2.

17 - Cf. Es 34, 28.

18 - Cf. 1 Re 19, 8.

19 - Cf. Rm 3, 21.

20 - Cf. Mt 17, 2-3.

21 - Gv 10, 11.

22 - Cf. Mt 20, 1-10.

23 - 1 Cor 3, 17.

24 - Mt 25, 29.


Capitolo LV: La corruzione della natura e la potenza della grazia divina

Libro III: Dell'interna consolazione - Tommaso da Kempis

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1. O Signore mio Dio, che mi hai creato a tua immagine e somiglianza, concedimi questa grazia grande, indispensabile per la salvezza, come tu ci hai rivelato; così che io possa superare la mia natura, tanto malvagia, che mi trae al peccato e alla perdizione. Ché, nella mia carne, io sento, contraria alla "legge della mia ragione, la legge del peccato" (Rm 7,23), la quale mi fa schiavo e di frequente mi spinge ad obbedire ai sensi. E io non posso far fronte alle passioni peccaminose, provenienti da questa legge del peccato, se non mi assiste la tua grazia santissima, infusa nel mio cuore, che ne avvampa. Appunto una tua grazia occorre, una grazia grande, per vincere la natura, sempre proclive al male, fin dal principio. Infatti, per colpa del primo uomo Adamo, la natura decadde, corrotta dal peccato; e la triste conseguenza di questa macchia passò in tutti gli uomini, talché quella "natura", da te creata buona e retta, ormai è intesa come "vizio e debolezza della natura corrotta". Così, per la libertà che le è lasciata, la natura trascina verso il male e verso il basso. E quel poco di forza che rimane nella natura è come una scintilla coperta dalla cenere. E' questa la ragione naturale, che, pur se circondata da oscurità, è ancora capace di giudicare il bene ed il male, e di separare il vero dal falso; anche se non riesce a compiere tutto quello che riconosce come buono, anche se non possiede la pienezza del lume della verità e la perfetta purezza dei suoi affetti. E' per questo, o mio Dio, che "nello spirito, mi compiaccio della tua legge" (Rm 7,22), sapendo che il tuo comando è buono, giusto e santo, tale che ci invita a fuggire ogni male e ogni peccato. Invece, nella carne, io mi sottometto alla legge del peccato, obbedendo più ai sensi che alla ragione. E' per questo che "volere il bene mi è facile, ma a compiere il bene non riesco" (Rm 7,18). E' per questo che vado spesso proponendomi molte buone cose; ma mi manca la grazia che mi aiuti nella mia debolezza, e mi ritiro e vengo meno anche per una piccola difficoltà. E' per questo che mi avviene di conoscere la via della perfezione e di vedere con chiarezza quale debba essere la mia condotta; ma poi, schiacciato dal peso della corruzione dell'umanità, non riesco a salire a cose più elevate.

2. La tua grazia, o Signore, mi è davvero massimamente necessaria per cominciare, portare avanti e condurre a compimento il bene: "senza di essa non posso far nulla" (Gv 15,5), "mentre tutto posso in te" che mi dai forza, con la tua grazia (Fil 4,13). Grazia veramente di cielo, questa; mancando la quale i nostri meriti sono un nulla, e un nulla si devono considerare anche i doni naturali. Abilità e ricchezza, bellezza e forza, intelligenza ed eloquenza, nulla valgono presso di te, o Signore, se manca la grazia. Ché i doni di natura li hanno sia i buoni che i cattivi; mentre dono proprio degli eletti è la grazia, cioè l'amore di Dio. Rivestiti di tale grazia, gli eletti sono ritenuti degni della vita eterna. Tutto sovrasta, questa grazia; tanto che né il dono della profezia, né il potere di operare miracoli, né la più alta contemplazione non valgono nulla, senza di essa. Neppure la fede, neppure la speranza, né le altre virtù sono a te accette, senza la carità e la grazia.

3. O grazia beata, che fai ricco di virtù chi è povero nello spirito e fai ricco di molti beni chi è umile di cuore, vieni, discendi in me, colmami, fin dal mattino della tua consolazione, cosicché l'anima mia non venga meno per stanchezza e aridità interiore! Ti scongiuro, o Signore: che io trovi grazia ai tuoi occhi. La tua gloria mi basta (2Cor 12,9), pur se non otterrò tutto quello cui tende la natura umana. Anche se sarò tentato e angustiato da molte tribolazioni, non temerò alcun male, finché la tua grazia sarà con me. Essa mi dà forza, guida ed aiuto; vince tutti i nemici, è più sapiente di tutti i sapienti. Essa è maestra di verità e di vita, luce del cuore, conforto nell'afflizione. Essa mette in fuga la tristezza, toglie il timore, alimenta la pietà, genera le lacrime. Che cosa sono io mai, senza la grazia, se non un legno secco, un ramo inutile, da buttare via? "La tua grazia, dunque, o Signore, mi preceda sempre e mi segua, e mi conceda di essere sempre pronto a operare, per Gesù Cristo, Figlio tuo. Amen. (Messale Romano, oremus della XVI domenica dopo Pentecoste).


24-38 Agosto 26, 1928 La Divina Volontà è più che Madre, come cresce insieme e forma la sua vita. Il lampo dell’operato in Essa. Il ritorno dell’alito di Gesù per far regnare la Divina Volontà.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Il mio volo nell’eterno Fiat è continuo, mi sembra che non so stare, né so fermarmi altrove che in Esso, più che vita me lo sento in me e fuori di me, e per quanto corro e volo, non trov’altro che opere, proprietà interminabile e senza confine, e la sua vita palpitante in tutto e dovunque, e mentre questo Voler Divino si trova nell’alto, nel basso conserva tutto, è attore e spettatore di tutto. Ora la mia piccolezza si perdeva nel Fiat Divino, girava per tutta la Creazione, e facendo risuonare il mio piccolo ti amo in ciascuna cosa creata, chiedeva il regno della Volontà Divina sulla terra, ed il mio amabile Gesù facendosi vedere che mi portava nelle sue braccia per farmi seguire gli atti della sua Divina Volontà, mi ha detto:

(2) “Figlia mia, quanto ti ama il mio Volere, più che madre ti tiene fra le sue braccia, e mentre ti tiene stretta al suo seno ti sta dentro per crescere insieme con te, palpita nel tuo cuore, circola nel tuo sangue, cammina nei tuoi piedi, pensa nella tua mente, parla nella tua voce, è tanto il suo amore, la sua gelosia, che se sei piccola si fa piccola, se cresci cresce insieme, e se operi t’ingrandisce tanto che ti distende in tutte le opere sue. La madre può lasciare la figlia sua, può dividersi, stare lontana; la mia Volontà non mai, perché facendosi vita della figlia sua si rende inseparabile, sicché anche a volerla lasciare non lo può, perché è la sua stessa vita che vive ed ha formato nella figlia sua, chi mai può avere questo potere ed amore insuperabile di formare e crescere la sua vita con la figlia sua? Nessuno, solo la mia Volontà, che possedendo un’amore eterno ed una virtù creatrice, crea la sua vita in chi rinasce e vuol essere sola sua figlia. Ecco perciò tu giri nella Creazione, perché questa Madre della mia Volontà Divina vuole la sua vita che ha formato in te, la sua figlia, in tutti gli atti suoi. Quindi chi vive nel mio Fiat Divino corre insieme alla corsa vertiginosa, ordinata ed armonica di tutta la Creazione, e siccome la corsa ordinata di tutte le sfere forma la più bella musica armoniosa, l’anima che corre insieme forma la sua nota d’armonia, che facendo eco nella patria celeste, tutti i beati fanno attenzione e dicono: “Com’è bello il suono che si sente nelle sfere perché gira in esse la piccola figlia del Fiat Divino, è una nota di più e un suono distinto che sentiamo, ed il Voler Divino ce lo porta fin nelle nostre regioni celesti”. Perciò non sei tu che corri, è la mia Volontà che corre e tu corri insieme con Essa”.

(3) Onde continuavo a pensare ai grandi prodigi e sublimità del Fiat Divino, e mentre mi sentivo sperduta in Esso, il mio amato Gesù ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, come il lampo si sprigiona dalle nubi ed illumina la terra, e poi si ritira di nuovo nel seno delle nubi per chiarire spesso spesso con la sua luce la terra, così l’anima che vive nel mio Volere, come opera sprigiona i suoi lampi dal seno della sua umanità e forma altra luce nel Sole del mio Fiat Divino, non solo, ma rischiara la terra dalle tenebre dell’umano volere. Solo che il lampo che sprigionano le nubi è luce limitata, il lampo fatto nel mio Voler Divino è senza limiti, e nella sua luce porta la conoscenza di Esso, perché l’operare nel mio Volere contiene la forza universale, quindi forza unica, nuova creazione, vita divina, perciò come fa il suo atto di lampo, tutte le porte si aprono delle opere mie per ricevere la nuova creazione ed il lampo di luce dell’operato della creatura nel mio Fiat, perciò tutte le opere mie si sentono rinnovate e doppiamente glorificate, sicché tutte festeggiano nel sentire la nuova forza creatrice sopra di loro”.

(5) Dopo di ciò il mio sempre amabile Gesù si faceva vedere da piccolo bambino nel fondo della mia piccola anima, mi stringeva, mi baciava, mi alitava, ed io mi sentivo infondere nuova vita, nuovo amore, ed io ripetevo a Lui ciò che faceva a me, e ripetendo i suoi baci mi ha detto:

(6) “Piccola figlia del mio Volere, il mio alito fiatandoti ti rinnova, e con la sua potenza vivificatrice distrugge in te l’infezione del germe dell’umano volere e vivifica il germe del mio Fiat Divino. Quest’alito è il principio della vita umana della creatura, la quale come si allontanò dal mio Volere, perdette il mio alito, e sebbene le restò la vita, ma non sentiva più la forza vivificativa del mio alito, che vivificandola la manteneva bella, fresca, a somiglianza del suo Creatore, sicché l’uomo senza del mio alito rimasse come quel fiore che non avendo più pioggia, vento e sole, si scolorisce, appassisce e declinando il suo capo tende a morire. Ora, per riabilitare il regno del mio Voler Divino in mezzo alle creature, è necessario che ritorni il mio alito continuo in mezzo a loro, che soffiandoli più che vento le faccia entrare il Sole della mia Volontà, che col suo calore distrugga il germe cattivo dell’umano volere e ritorni bello e fresco come era stato creato, ed il fiore ridirizzando il suo stelo sotto la pioggia della mia grazia, rialza il suo capo, si vivifica, si colorisce e tende alla vita del mio Volere, non più alla morte. Oh! se sapessero le creature il gran bene che sto preparando, le sorprese d’amore, le grazie inaudite, come sarebbero più attente; e chi conosce le conoscenze del mio Volere, oh! come metterebbe la vita per slanciarle in mezzo al mondo, affinché si disponessero a ricevere un tanto bene, perché esse tengono virtù di aiutare a facilitare le disposizioni umane per bene sì grande, ma l’ingratitudine umana è sempre quella, invece di prepararsi pensano a tutt’altro e precipitano nel peccato”.