Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Non vi sia alcuna gloria nel vostro successo, ma attribuite tutto a Dio con il più profondo senso di gra­titudine. D'altro canto, nessun insuccesso vi scoragge­rà  finché avrete coscienza di aver fatto del vostro me­glio. Umanamente parlando, se una Sorella fallisce nella sua opera siamo propensi ad attribuirlo a tutti i fattori dell'umana debolezza... non ha intelligenza, non ha saputo fare del suo meglio, eccetera. Tuttavia agli occhi di Dio non ha fallito se ha fatto tutto quan­to era capace. E, nonostante tutto, una sua coopera­trice. (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Giovedi della 1° settimana del tempo di Avvento

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 12

1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti.2E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.3Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento.4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse:5"Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?".6Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.7Gesù allora disse: "Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura.8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me".
9Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.10I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro,11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.

12Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme,13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:

'Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,'
il re d'Israele!

14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:

15'Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d'asina.'

16Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto.17Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza.18Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno.19I farisei allora dissero tra di loro: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!".

20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci.21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù".22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.23Gesù rispose: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo.24In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.26Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.27Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!28Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!".
29La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato".30Rispose Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi.31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.32Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".33Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.34Allora la folla gli rispose: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?".35Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va.36Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce".
Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.

37Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;38perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:

'Signore, chi ha creduto alla nostra parola?
E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?'

39E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora:

40'Ha reso ciechi i loro occhi
e ha indurito il loro cuore,
perché non vedano con gli occhi
e non comprendano con il cuore, e si convertano
e io li guarisca!'

41Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui.42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga;43amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio.
44Gesù allora gridò a gran voce: "Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato;45chi vede me, vede colui che mi ha mandato.46Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.48Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.49Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".


Esodo 15

1Allora Mosè e gli Israeliti cantarono questo canto al Signore e dissero:

"Voglio cantare in onore del Signore:
perché ha mirabilmente trionfato,
ha gettato in mare cavallo e cavaliere.
2Mia forza e mio canto è il Signore,
egli mi ha salvato.
È il mio Dio e lo voglio lodare,
è il Dio di mio padre e lo voglio esaltare!
3Il Signore è prode in guerra,
si chiama Signore.
4I carri del faraone e il suo esercito
ha gettato nel mare
e i suoi combattenti scelti
furono sommersi nel Mare Rosso.
5Gli abissi li ricoprirono,
sprofondarono come pietra.

6La tua destra, Signore,
terribile per la potenza,
la tua destra, Signore,
annienta il nemico;
7con sublime grandezza
abbatti i tuoi avversari,
scateni il tuo furore
che li divora come paglia.
8Al soffio della tua ira
si accumularono le acque,
si alzarono le onde come un argine,
si rappresero gli abissi
in fondo al mare.
9Il nemico aveva detto:
Inseguirò, raggiungerò,
spartirò il bottino,
se ne sazierà la mia brama;
sfodererò la spada,
li conquisterà la mia mano!
10Soffiasti con il tuo alito:
il mare li coprì,
sprofondarono come piombo
in acque profonde.
11Chi è come te fra gli dèi, Signore?
Chi è come te, maestoso in santità,
tremendo nelle imprese,
operatore di prodigi?
12Stendesti la destra:
la terra li inghiottì.
13Guidasti con il tuo favore
questo popolo che hai riscattato,
lo conducesti con forza
alla tua santa dimora.

14Hanno udito i popoli e tremano;
dolore incolse gli abitanti della Filistea.
15Già si spaventano i capi di Edom,
i potenti di Moab li prende il timore;
tremano tutti gli abitanti di Canaan.
16Piombano sopra di loro
la paura e il terrore;
per la potenza del tuo braccio
restano immobili come pietra,
finché sia passato il tuo popolo, Signore,
finché sia passato questo tuo popolo
che ti sei acquistato.

17Lo fai entrare e lo pianti
sul monte della tua eredità,
luogo che per tua sede,
Signore, hai preparato,
santuario che le tue mani,
Signore, hanno fondato.
18Il Signore regna in eterno e per sempre!".

19Quando infatti i cavalli del faraone, i suoi carri e i suoi cavalieri furono entrati nel mare, il Signore fece tornare sopra di essi le acque del mare, mentre gli Israeliti avevano camminato sull'asciutto in mezzo al mare.20Allora Maria, la profetessa, sorella di Aronne, prese in mano un timpano: dietro a lei uscirono le donne con i timpani, formando cori di danze.21Maria fece loro cantare il ritornello:

"Cantate al Signore
perché ha mirabilmente trionfato:
ha gettato in mare
cavallo e cavaliere!".

22Mosè fece levare l'accampamento di Israele dal Mare Rosso ed essi avanzarono verso il deserto di Sur. Camminarono tre giorni nel deserto e non trovarono acqua.23Arrivarono a Mara, ma non potevano bere le acque di Mara, perché erano amare. Per questo erano state chiamate Mara.24Allora il popolo mormorò contro Mosè: "Che berremo?".25Egli invocò il Signore, il quale gli indicò un legno. Lo gettò nell'acqua e l'acqua divenne dolce. In quel luogo il Signore impose al popolo una legge e un diritto; in quel luogo lo mise alla prova.26Disse: "Se tu ascolterai la voce del Signore tuo Dio e farai ciò che è retto ai suoi occhi, se tu presterai orecchio ai suoi ordini e osserverai tutte le sue leggi, io non t'infliggerò nessuna delle infermità che ho inflitte agli Egiziani, perché io sono il Signore, colui che ti guarisce!".27Poi arrivarono a Elim, dove sono dodici sorgenti di acqua e settanta palme. Qui si accamparono presso l'acqua.


Siracide 32

1Ti hanno fatto capotavola? Non esaltarti;
comportati con gli altri come uno di loro.
Pensa a loro e poi mettiti a tavola;
2quando avrai assolto il tuo compito, accòmodati
per ricrearti con loro
e ricevere la corona per la tua cortesia.
3Parla, o anziano, ciò ti s'addice,
ma con discrezione e non disturbare la musica.
4Quando ascolti non effonderti in chiacchiere,
non fare fuori luogo il sapiente.
5Sigillo di rubino in un anello d'oro
è un concerto musicale in un banchetto.
6Sigillo di smeraldo in una guarnizione d'oro
è la melodia dei canti unita alla dolcezza del vino.
7Parla, giovinetto, se è necessario,
ma appena un paio di volte, se interrogato.
8Compendia il tuo discorso, molte cose in poche parole;
compòrtati come uno che sa ma che tace.
9Fra i grandi non crederti loro uguale,
se un altro parla, non ciarlare troppo.
10Prima del tuono viene la folgore,
la grazia precede l'uomo modesto.
11All'ora stabilita àlzati e non restare per ultimo,
corri a casa e non indugiare.
12Là divèrtiti e fa' quello che desideri,
ma non peccare con un discorso arrogante.
13Per tutto ciò benedici chi ti ha creato,
chi ti colma dei suoi benefici.

14Chi teme il Signore accetterà la correzione,
coloro che lo ricercano troveranno il suo favore.
15Chi indaga la legge ne sarà appagato,
ma l'ipocrita vi troverà motivo di scandalo.
16Quanti temono il Signore troveranno la giustizia,
le loro virtù brilleranno come luci.
17Un uomo peccatore schiva il rimprovero,
trova scuse secondo i suoi capricci.
18Un uomo assennato non trascura l'avvertimento,
quello empio e superbo non prova alcun timore.
19Non far nulla senza riflessione,
alla fine dell'azione non te ne pentirai.
20Non camminare in una via piena d'ostacoli,
per non inciampare contro i sassi.
21Non fidarti di una via senza inciampi,
22e guàrdati anche dai tuoi figli.
23In ogni azione abbi fiducia in te stesso,
poiché anche questo è osservare i comandamenti.
24Chi crede alla legge è attento ai comandamenti,
chi confida nel Signore non resterà deluso.


Salmi 125

1'Canto delle ascensioni'.

Chi confida nel Signore è come il monte Sion:
non vacilla, è stabile per sempre.

2I monti cingono Gerusalemme:
il Signore è intorno al suo popolo
ora e sempre.
3Egli non lascerà pesare lo scettro degli empi
sul possesso dei giusti,
perché i giusti non stendano le mani
a compiere il male.

4La tua bontà, Signore, sia con i buoni
e con i retti di cuore.
5Quelli che vanno per sentieri tortuosi
il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi.
Pace su Israele!


Baruc 6

1Per i peccati da voi commessi di fronte a Dio sarete condotti prigionieri in Babilonia da Nabucodònosor re dei Babilonesi.2Giunti dunque in Babilonia, vi resterete molti anni e per lungo tempo fino a sette generazioni; dopo vi ricondurrò di là in pace.3Ora, vedrete in Babilonia idoli d'argento, d'oro e di legno, portati a spalla, i quali infondono timore ai pagani.4State attenti dunque a non imitare gli stranieri; il timore dei loro dèi non si impadronisca di voi.5Alla vista di una moltitudine che prostrandosi davanti e dietro a loro li adora, pensate: "Te dobbiamo adorare, Signore".6Poiché il mio angelo è con voi, egli si prenderà cura di voi.
7Essi hanno una lingua limata da un artefice, sono indorati e inargentati, ma sono simulacri falsi e non possono parlare.8Come si fa con una ragazza vanitosa, prendono oro e acconciano corone sulla testa dei loro dèi.9Talvolta anche i sacerdoti, togliendo ai loro dèi oro e argento, lo spendono per sé, dandone anche alle prostitute nei postriboli.
10Adornano poi con vesti, come si fa con gli uomini, questi idoli d'argento, d'oro e di legno; ma essi non sono in grado di salvarsi dalla ruggine e dai tarli.11Sono avvolti in una veste purpurea, ma bisogna pulire il loro volto per la polvere del tempio che si posa abbondante su di essi.12Come un governatore di una regione, il dio ha lo scettro, ma non stermina colui che lo offende.13Ha il pugnale e la scure nella destra, ma non si libera dalla guerra e dai ladri.14Per questo è evidente che non sono dèi; non temeteli, dunque!
15Come un vaso di terra una volta rotto diventa inutile, così sono i loro dèi, posti nei templi.16I loro occhi sono pieni della polvere sollevata dai piedi di coloro che entrano.17Come ad uno che abbia offeso un re si tiene bene sbarrato il luogo dove è detenuto perché deve essere condotto a morte, così i sacerdoti assicurano i templi con portoni, con serrature e con spranghe, perché non vengano saccheggiati dai ladri.18Accendono loro lumi, persino più numerosi che per se stessi, ma gli dèi non ne vedono alcuno.19Sono come una delle travi del tempio; il loro interno, come si dice, viene divorato e anch'essi senza accorgersene sono divorati dagli insetti che strisciano dalla terra, insieme con le loro vesti.20Il loro volto si annerisce per il fumo del tempio.21Sul loro corpo e sulla testa si posano pipistrelli, rondini e altri uccelli e anche i gatti.22Di qui potete conoscere che non sono dèi; non temeteli, dunque!
23L'oro di cui sono adorni per bellezza non risplende se qualcuno non ne toglie la patina; perfino quando venivano fusi, essi non se ne accorgevano.24Furono comprati a qualsiasi prezzo, essi che non hanno alito vitale.25Senza piedi, vengono portati a spalla, mostrando agli uomini la loro condizione vergognosa; arrossiscono anche i loro fedeli perché, se cadono a terra, non si rialzano più.26Neanche se uno li colloca diritti si muoveranno da sé, né se si sono inclinati si raddrizzeranno; si pongono offerte innanzi a loro come ai morti.27I loro sacerdoti vendono le loro vittime e ne traggono profitto; anche le mogli di costoro ne pongono sotto sale una parte e non ne danno né ai poveri né ai bisognosi; anche una donna in stato di impurità e la puerpera toccano le loro vittime.28Conoscendo dunque da questo che non sono dèi, non temeteli!
29Come infatti si potrebbero chiamare dèi? Perfino le donne presentano offerte a questi idoli d'argento, d'oro e di legno.30Nei templi i sacerdoti siedono con le vesti stracciate, la testa e le guance rasate, a capo scoperto.31Urlano alzando grida davanti ai loro dèi, come fanno alcuni durante un banchetto funebre.32I sacerdoti si portan via le vesti degli dèi e ne rivestono le loro mogli e i loro bambini.33Gli idoli non possono contraccambiare né il male né il bene ricevuto da qualcuno; non possono né costituire né spodestare un re;34nemmeno possono dare ricchezze né soldi. Se qualcuno, fatto un voto, non lo mantiene, non se ne curano.35Non liberano un uomo dalla morte né sottraggono il debole da un forte.36Non rendono la vista a un cieco né liberano un uomo dalle angosce.37Non hanno pietà della vedova né beneficano l'orfano.38Sono simili alle pietre estratte dalla montagna quegli idoli di legno, indorati e argentati. I loro fedeli saranno confusi.39Come dunque si può ritenere e dichiarare che costoro sono dèi?
40Inoltre, perfino gli stessi Caldei li disonorano; questi infatti quando trovano un muto incapace di parlare lo presentano a Bel pregandolo di farlo parlare, quasi che costui potesse sentire.41Costoro, pur rendendosene conto, non sono capaci di abbandonare gli idoli, perché non hanno senno.42Le donne siedono per la strada cinte di cordicelle e bruciano della crusca.43Quando qualcuna di esse, tratta in disparte da qualche passante, si è data a costui, schernisce la sua vicina perché non fu stimata come lei e perché la sua cordicella non fu spezzata.44Quanto avviene attorno agli idoli è menzogna; dunque, come si può credere e dichiarare che costoro sono dèi?
45Gli idoli sono lavoro di artigiani e di orefici; essi non diventano niente altro che ciò che gli artigiani vogliono che siano.46Coloro che li fabbricano non hanno vita lunga; come potrebbero le cose da essi fabbricate essere dèi?47Essi lasciano ai loro posteri menzogna e ignominia.48Difatti, quando sopraggiungono la guerra e le calamità, i sacerdoti si consigliano fra di loro sul come potranno nascondersi insieme con i loro dèi.49Come dunque è possibile non comprendere che non sono dèi coloro che non possono salvare se stessi né dalla guerra né dai mali?50Dopo tali fatti si riconoscerà che gli idoli di legno, indorati e argentati, sono una menzogna; a tutte le genti e ai re sarà evidente che essi non sono dèi, ma lavoro delle mani d'uomo e che sono privi di ogni qualità divina.51A chi dunque non sarà evidente che non sono dèi?
52Essi infatti non possono costituire un re sul paese né concedere la pioggia agli uomini;53non risolvono le contese, né liberano l'oppresso, poiché non hanno alcun potere; sono come cornacchie fra il cielo e la terra.54Infatti, se il fuoco si attacca al tempio di questi dèi di legno o indorati o argentati, mentre i loro sacerdoti fuggiranno e si metteranno in salvo, essi invece come travi bruceranno là in mezzo.55A un re e ai nemici non possono resistere.56Come dunque si può ammettere e pensare che essi siano dèi?
57Né dai ladri né dai briganti si salveranno questi idoli di legno, argentati e indorati, ai quali i ladri con la violenza tolgono l'oro, l'argento e la veste che li avvolge e poi fuggono tenendo la roba; essi non sono in grado di aiutare neppure se stessi.58Per questo vale meglio di questi dèi bugiardi un re che mostri coraggio oppure un arnese utile in casa, di cui si serve chi l'ha acquistato; anche meglio di questi dèi bugiardi è una porta, che tenga al sicuro quanto è dentro la casa o perfino una colonna di legno in un palazzo.59Il sole, la luna, le stelle, essendo lucenti e destinati a servire a uno scopo obbediscono volentieri.60Così anche il lampo, quando appare, è ben visibile; anche il vento spira su tutta la regione.61Quando alle nubi è ordinato da Dio di percorrere tutta la terra, eseguiscono l'ordine; il fuoco, inviato dall'alto per consumare monti e boschi, eseguisce il comando.62Gli idoli invece non assomigliano né per l'aspetto né per la potenza a queste cose.63Perciò non si deve ritenere né dichiarare che siano dèi, poiché non possono né rendere giustizia né beneficare gli uomini.64Conoscendo dunque che non sono dèi, non temeteli!
65Essi non maledicono né benedicono i re;66non mostrano alle genti segni nel cielo, né risplendono come il sole, né illuminano come la luna.67Le belve sono migliori di loro, perché possono fuggire in un riparo e provvedere a se stesse.68Dunque, in nessuna maniera è chiaro per noi che essi sono dèi; per questo non temeteli!
69Come infatti uno spauracchio che in un cocomeraio nulla protegge, tali sono i loro idoli di legno indorati e argentati;70ancora, i loro idoli di legno indorati e argentati si possono paragonare a un ramo nell'orto, su cui si posa ogni sorta di uccelli, o anche a un cadavere gettato nelle tenebre.71Dalla porpora e dal bisso che si logorano su di loro saprete che non sono dèi; infine saranno divorati e nel paese saranno una vergogna.72È migliore un uomo giusto che non abbia idoli, poiché sarà lontano dal disonore.


Seconda lettera ai Corinzi 6

1E poiché siamo suoi collaboratori, vi esortiamo a non accogliere invano la grazia di Dio.2Egli dice infatti:

'Al momento favorevole ti ho esaudito
e nel giorno della salvezza ti ho soccorso'.

Ecco ora il momento favorevole, ecco ora il giorno della salvezza!
3Da parte nostra non diamo motivo di scandalo a nessuno, perché non venga biasimato il nostro ministero;4ma in ogni cosa ci presentiamo come ministri di Dio, con molta fermezza nelle tribolazioni, nelle necessità, nelle angosce,5nelle percosse, nelle prigioni, nei tumulti, nelle fatiche, nelle veglie, nei digiuni;6con purezza, sapienza, pazienza, benevolenza, spirito di santità, amore sincero;7con parole di verità, con la potenza di Dio; con le armi della giustizia a destra e a sinistra;8nella gloria e nel disonore, nella cattiva e nella buona fama. Siamo ritenuti impostori, eppure siamo veritieri;9sconosciuti, eppure siamo notissimi; moribondi, ed ecco viviamo; puniti, ma non messi a morte;10afflitti, ma sempre lieti; poveri, ma facciamo ricchi molti; gente che non ha nulla e invece possediamo tutto!

11La nostra bocca vi ha parlato francamente, Corinzi, e il nostro cuore si è tutto aperto per voi.12Non siete davvero allo stretto in noi; è nei vostri cuori invece che siete allo stretto.13Io parlo come a figli: rendeteci il contraccambio, aprite anche voi il vostro cuore!
14Non lasciatevi legare al giogo estraneo degli infedeli. Quale rapporto infatti ci può essere tra la giustizia e l'iniquità, o quale unione tra la luce e le tenebre?15Quale intesa tra Cristo e Beliar, o quale collaborazione tra un fedele e un infedele?16Quale accordo tra il tempio di Dio e gli idoli? Noi siamo infatti il tempio del Dio vivente, come Dio stesso ha detto:

'Abiterò in mezzo a loro e con loro camminerò
e sarò il loro Dio,
ed essi saranno il mio popolo.'
17Perciò 'uscite di mezzo a loro
e riparatevi, dice il Signore,
non toccate nulla d'impuro.
E io vi accoglierò',
18e 'sarò' per voi 'come un padre,
e' voi 'mi' sarete 'come figli' e figlie,
'dice il Signore onnipotente'.


Capitolo XXXIX:Nessun affanno nel nostro agire

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1. O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre io per il meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore, di gran cuore affido a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani. Volesse il cielo che io non fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in futuro, e mi offrissi, invece, senza esitare alla tua volontà.

2. O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui sente la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente, perché i nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono invece da una cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare a se stessi, anche in cose di poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione di sé. Pienamente libero e sereno è appunto soltanto chi rinnega se stesso. Ecco, però, che l'antico avversario, il quale si pone contro tutti coloro che amano il bene, non tralascia la sua opera di tentazione; anzi, giorno e notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di far cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia poco guardingo. "Vegliate e pregate, dice i Signore, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41).


LETTERA 169: Dopo un cenno ai suoi ultimi scritti Agostino risponde a due quesiti di Evodio

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta nel 415.

Dopo un cenno ai suoi ultimi scritti (n. 1) Agostino risponde a due quesiti di Evodio: I) sulla Trinità. Contro chi è diretta la frase di S. Paolo: Chi ignora, sarà ignorato (nn. 24). Le tre facoltà dell'anima, immagine impropria della Trinità (nn. 5-6). L'umanità assunta dal Verbo e la c.d. " comunicazione degli idiomi " (n. 8). Risposta al Il): Immagini sensibili o. visioni delle Persone divine: la colomba (nn. 9-12). E. mandi uno a copiare le ultime opere di Agostino (n. 13).

AGOSTINO VESCOVO AL VESCOVO EVODIO

Intensa attività letteraria di Agostino.

1. 1. Se la Santità tua ci tiene tanto a conoscere le opere mi tengono maggiormente occupato e dalle quali non desidero essere distolto per attendere ad altro, manda qualcuno che te le ricopi. Parecchi scritti che avevo cominciati quest'anno prima di Pasqua all'avvicinarsi della Quaresima, sono stati già portati a termine. Ho aggiunto altri due libri ai tre della Città di Dio contro gli adoratori dei demoni, nemici della città celeste. In questi cinque libri credo d'aver addotto sufficienti ragioni contro coloro che reputano necessario alla felicità della vita presente il culto politeistico e che sono ostili ai Cristiani poiché ci considerano un ostacolo alla loro felicità 1. Come inoltre ho promesso nel primo libro, debbo confutare coloro che per la vita futura dopo la morte credono necessario il culto dei loro dèi 2, mentre noi siamo Cristiani proprio al fine di arrivare a possedere la vita futura. In un'opera assai voluminosa ho anche dettato e spiegato tre Salmi e cioè il 67° il 71° e il 77°. Sono attesi e richiesti con insistenza anche gli altri non ancora dettati né spiegati. In questi lavori non vorrei essere né distratto né ritardato da quesiti di qualsiasi genere che mi piombino addosso all'improvviso. Per il momento non vorrei occuparmi nemmeno dei libri Sulla Trinità che da tempo ho fra le mani ma non ho potuto ancor terminare perché mi costano molta fatica e penso che possano essere capiti solo da poche persone; mi premono maggiormente quegli scritti che spero saranno utili a un pubblico più vasto.

Chi riguarda la frase. Chi ignora, sarà ignorato.

1. 2. Quando l'Apostolo scrisse: Chi ignora, sarà ignorato 3, non intese dire, come scrivi tu nella tua lettera, che debba esser punito con questa sorta di castigo chi non è capace di discernere con la propria intelligenza l'ineffabile unità della Trinità, come nella nostra anima si distinguono la memoria, l'intelligenza e la volontà. L'Apostolo diceva ciò a proposito d'un'altra cosa. Leggi e vedrai che parlava di cose che fanno crescere la fede e la moralità di Molti 4, non ciò che arriva all'intelligenza di pochi, che, per quanta se ne possa avere in questa vita, è piuttosto scarsa per poter comprendere un mistero così profondo. In quel passo l'Apostolo raccomandava che al dono delle lingue si anteponesse quello di spiegare le Scritture; che le assemblee non si svolgessero in mezzo alla confusione, come se lo spirito profetico costringesse a parlare pure chi non ne avesse voglia; che le donne in chiesa tacessero, in modo che tutto si svolgesse con decoro e con ordine. Trattando di questi argomenti ecco quel che disse: Se uno crede d'essere profeta o spirituale, riconosca che quello ch'io vi scrivo è un comando del Signore. Se uno ignora ciò, sarà ignorato anche lui 5. Con queste parole voleva tenere a freno e richiamare all'ordine e alla pace i turbolenti, tanto più pronti alla ribellione, quanto più credevano d'essere superiori agli altri nello spirito, turbando ogni assemblea col loro spirito d'orgoglio. Se uno crede d'essere profeta o spirituale, riconosca che quel ch'io vi scrivo è un comando del Signore. Se uno ignora ciò, sarà ignorato anche lui. Se uno crede d'essere profeta, non lo è affatto proprio per questo, poiché il vero profeta conosce senz'alcun dubbio e non ha bisogno d'avvertimenti o d'esortazionì, poiché giudica tutto e non è giudicato da nessuno 6. A provocare dunque tumulti e disordini nella Chiesa erano coloro che credevano d'essere nella Chiesa ciò che non erano. L'Apostolo fa loro sapere che il suo è un comando del Signore, poiché Egli non è il Dio del disordine, ma della pace 7. Chi poi ignora ciò, sarà ìgnorato 8; cioè sarà riprovato. Non è infatti la conoscenza intellettiva o razionale quella con cui Dio conosce coloro ai quali dirà: Non vi conosco 9, poiché con queste parole si vuol far intendere la riprovazione di quei dannati.

La frase non riguarda la visione di Dio.

1. 3. Inoltre, dato che il Signore dice: Beati i puri di cuore, poiché vedranno Dio 10 e questa visione ci è promessa come il premio più grande alla fine della vita, non si deve temere che, se non possiamo vedere adesso chiaramente le verità di fede sulla natura di Dio, le parole: Chi ignora, sarà ignorato si riferiscano a questa nostra ignoranza. Poiché, infatti, nella sapienza di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio; è piaciuto a Dio di salvare i credenti mediante la stoltezza della predicazione 11. Questa stoltezza della predicazione e questa follia di Dio, ch'è più sapiente degli uomini 12, guadagna alla salvezza molti individui in modo che dalla salvezza, che tale follia della predicazione procura ai fedeli, non saranno esclusi non solo coloro che non riescono ancora a comprendere con sicura intelligenza la natura di Dio, da loro ammessa per fede, ma altresì quelli che perfino nella propria anima non distinguono ancora la sostanza spirituale da ciò ch'è la materia in generale con la stessa certezza con cui sono certi di vivere, di conoscere e di volere.

Ci salva la croce di Cristo, non la scienza.

1. 4. Se Cristo è morto solo per coloro che sono in grado di distinguere le suddette verità con sicura intelligenza, le nostre fatiche nella Chiesa sono pressoché inutili. Se invece come dice la S. Scrittura, folle inferme di credenti accorrono a Cristo e a Cristo crocifisso 13 come al medico per esser guarite, affinché, ove abbondò il peccato, sovrabbondi la grazia 14; ecco che accade questa cosa meravigliosa: per effetto delle incommensurabili ricchezze della sapienza e scienza di Dio e dei suoi imperscrutabili disegni 15, alcuni che sanno distinguere le sostanze spirituali dalla materia e che per questo si credono grandi e scherniscono la stoltezza della predicazione, in virtù della quale i credenti si salvano, si smarriscono assai lontani dall'unica via che conduce alla vita eterna; molti invece i quali ripongono la propria gloria nella croce di Cristo e non s'allontanano dalla via della salvezza, anche se ignorano questioni su cui si discute con eccessiva sottigliezza, si salvano poiché non perisce neppure uno di quei piccolini 16 per i quali Cristo è morto, e giungono alla medesima eternità, verità e carità, cioè alla felicità stabile, sicura e completa, dove ogni cosa è chiara a coloro che ivi dimorano vedono e amano.

Unità di natura e trinità di persone in Dio.

2. 5. Crediamo dunque con fermezza e religioso amore in un sol Dio, Padre Figlio e Spirito Santo, senza però credere che il Padre sia il Figlio né che il Figlio sia il Padre né che lo Spirito, il quale procede dall'uno e dall'altro, sia il Padre o il Figlio. Non si deve pensare che nella Trinità ci possa essere distanza di tempi e di spazi, mentre si deve credere che le tre Persone sono eguali, coeterne in un'unica natura, né si deve pensare che dal Padre sia stata creata una creatura, dal Figlio un'altra e un'altra ancora dallo Spirito Santo, ma che tutte e singole le cose create, o che vengono create, sussistono in virtù della Trinità che le crea. Crediamo che nessuno può essere redento e salvato dal Padre senza il Figlio e lo Spirito Santo oppure dal Figlio senza il Padre e lo Spirito Santo, unico vero Dio e veramente immortale, cioè dall'unico Dio assolutamente immutabile. Nelle Scritture si affermano molte cose attribuite separatamente alle singole persone divine per farci capire che la Trinità, benché indivisibile, è sempre la Trinità. Inoltre allo stesso modo che le tre Persone non possono esser nominate nella stessa frazione di tempo allorché sono ricordate col suono delle parole, benché siano inseparabili, così in alcuni passi delle Scritture ci vengono mostrate separatamente, ora l'una, ora l'altra, mediante qualcuna delle creature, come per esempio il Padre nella voce che si udì: Mio Figlio sei tu 17, il Figlio nell'uomo di cui si rivestì incarnandosi nella Vergine 18, lo Spirito Santo nell'aspetto corporeo d'una colomba 19. Queste cose ci mostrano le tre persone separatamente ma in alcun modo divise tra loro.

Memoria, intelligenza, volontà: immagine della Trinità.

2. 6. Per far capire in qualche modo questa verità, prendiamo come esempio la memoria, l'intelligenza e la volontà. Quantunque enunciamo separatamente queste facoltà una alla volta in momenti diversi e particolari per ciascuna, non possiamo far nulla né parlare di una di esse senza il concorso delle altre due. Non dobbiamo tuttavia credere che il paragone di queste tre facoltà con la Trinità sia così esatto da corrispondere in ogni parte. Del resto, in una discussione, quale paragone riesce così calzante da adattarsi in ogni parte all'argomento per il quale dev'essere usato? O quando mai si può prendere una creatura per un paragone che si confaccia al Creatore? Si riscontra dunque che questa similitudine è dissimile in primo luogo per il fatto che le tre facoltà, cioè memoria, intelligenza e volontà, sono insite nell'anima, ma l'anima non è nessuna di queste tre facoltà. La Trinità invece non è insita in Dio, ma è Dio essa medesima. Qui risalta una semplicità meravigliosa, poiché non c'è diversità tra l'essere, l'intendere e qualsiasi altro attributo della natura di Dio, mentre invece, poiché l'anima esiste anche quando non comprende, il suo essere e il comprendere son due cose diverse. Inoltre chi oserebbe dire che il Padre non comprende da se stesso ma per mezzo del Figlio, come la memoria non comprende da se stessa ma per mezzo dell'intelligenza o piuttosto come l'anima, in cui sono insite queste facoltà, comprende solo mediante l'intelligenza, ricorda solo mediante la memoria e vuole solo mediante la volontà? Questo paragone è usato perché, in un modo quale che sia, si comprenda ciò: allo stesso modo cioè che quando si enuncia ognuna delle tre facoltà insite nell'anima mediante i termini che le denotano, il termine corrispondente a ciascuna non può essere enunciato senza il concorso di tutt'e tre le facoltà in quanto per enunciarle bisogna ricordare, comprendere e volere, così non c'è creatura con cui si denoti soltanto il Padre o soltanto il Figlio o soltanto lo Spirito Santo e non insieme la Trinità, senza che una tale creatura sia l'opera simultanea della Trinità che opera sempre indivisibilmente. Per conseguenza né la voce del Padre né l'anima e il corpo del Figlio né la colomba dello Spirito Santo sono stati fatti senza il concorso simultaneo delle tre Persone della Trinità.

L'umanità assunta nell'unica persona del Verbo incarnato.

2. 7. Il suono di quella voce, che subito cessò d'esistere, non s'identificò con l'unità della persona del Padre, né la forma esteriore della colomba s'identificò con l'unità della persona dello Spirito Santo, poiché anche essa cessò subito di esistere dopo aver adempiuto il suo ufficio simbolico, come la nube splendente che sul monte avvolse il Salvatore con i suoi tre Discepoli 20, oppure, se si preferisce, come il fuoco che simboleggiava lo Spirito Santo 21. Soltanto l'umanità, per redimere la quale si compivano tutte quelle manifestazioni simboliche, si uni, per un mirabile e singolare privilegio, nell'unità della persona del Verbo di Dio, ossia dell'unico Figlio di Dio, pur sussistendo il Verbo nella sua natura immutabile nella quale l'immaginazione umana non deve supporre nulla di composto con cui possa sussistere, poiché si legge nella S. Scrittura: Lo Spirito di sapienza è molteplice 22; ma è anche detto ch'egli è semplice 23. E' molteplice poiché ha molte virtù, ma è semplice poiché sussiste solo per quello che ha, come è detto che il Figlio ha la vita in sé stesso 24 ed è egli stesso la vita 25. L'uomo dunque si uni al Verbo ma il Verbo non si trasformò in uomo e perciò anche con la natura umana assunta si chiama sempre Figlio di Dio e per conseguenza il Figlio di Dio è immutabile e coeterno col Padre, ma solamente in quanto Verbo di Dio; il Figlio di Dio fu anche sepolto, ma solo in quanto corpo.

Attribuzioni reciproche delle due nature all'Uomo-Dio.

2. 8. Bisogna dunque vedere in qual senso si prendono i termini quando si parla del Figlio di Dio. Il numero delle persone non aumentò di certo con l'incarnazione del Verbo ma la Trinità rimase identica. Mi spiego: come in un uomo qualunque, eccettuato quell'unico il quale fu elevato in modo singolare all'unione col Verbo, l'anima e il corpo formano un'unica persona, così in Cristo il Verbo e l'Uomo sono un'unica persona. E così, come per esempio un uomo, si dice filosofo solo in relazione all'anima e tuttavia, con un'espressione assai appropriata e d'uso comune ma per nulla illogica, si dice ch'è stato ucciso, ch'è morto, ch'è stato sepolto, benché tutto questo si avveri solo in rapporto al corpo, così Cristo si dice Dio, Figlio di Dio, Signore della gloria e si usa qualsiasi altro appellativo di tal genere solo in relazione al Verbo, eppure giustamente si dice che Dio fu crocifisso, pur essendo certo che patì solo secondo la carne, non secondo la natura immutabile, per cui è Signore della gloria.

I simboli sensibili delle tre Persone.

2. 9. Il suono della voce del Padre, l'apparizione della colomba sotto forma corporea 26, le lingue simili al fuoco e biforcate che si posarono su ciascuno degli Apostoli 27, i fenomeni spaventosi apparsi sul monte Sinai 28, la colonna di nuvola durante il giorno e di fuoco durante la notte 29; furono fatti aventi un significato simbolico e sono passati. A proposito di tali fatti bisogna guardarsi soprattutto dal credere che la natura di Dio Padre Figlio e Spirito Santo possa mutarsi e trasformarsi. Non ci deve inoltre impressionare il fatto che il simbolo prenda il nome dalla cosa simboleggiata, come quando la S. Scrittura dice che lo Spirito Santo discese sotto l'aspetto corporeo simile a una colomba e si posò su Cristo 30. Così la pietra è CriSto 31, perché è simbolo di Cristo.

 La colomba apparsa al battesimo di Cristo.

3. 10. Mi meraviglio che, mentre credi che il suono di quella voce che disse: Mio Figlio sei tu 32, si sia potuto produrre non per opera d'un essere animato, ma per volontà divina dalla sola natura corporea, non credi poi che allo stesso modo sia potuto prodursi l'aspetto corporeo d'un animale qualsiasi e un movimento simile a quello d'un essere vivente solo per volontà di Dio senza l'interposizione d'alcuno spirito d'essere vivente. Se la creatura corporea ubbidisce a Dio senza l'aiuto dell'anima vivificante e riesce a produrre suoni simili a quelli emessi di solito da un corpo animato di modo che penetri negli orecchi qualcosa di simile a una locuzione articolata, perché mai non dovrebbe ubbidire in modo Che, senza l'aiuto dell'anima vivificante, si offrano alla vista l'aspetto e il moto d'un volatile in virtù della medesima potenza del Creatore? Può forse meritare questo privilegio il senso dell'udito e non il senso della vista? Eppure sono formati entrambi della stessa materia fisica, come lo sono pure ciò che risuona agli orecchi, ciò che appare alla vista, la voce articolata, le fattezze delle membra e il movimento che si percepisco con l'udito e con la vista, per cui è vero corpo quello che si percepisce con un senso del corpo e corpo non è se non quel che si percepisce col senso del corpo. L'anima, al contrario, non si percepisce con alcun senso del corpo e neppure in alcun essere animato. Non c'è quindi bisogno d'indagare in che modo apparve l'aspetto fisico della colomba, come non cerchiamo di sapere in che modo si fecero sentire le voci articolate d'un corpo. Se infatti poté non esserci bisogno d'un essere vivente quando la S. Scrittura dice che si fece sentire una voce, non " come una specie di voce ", con quanto maggior ragione poté non esserci bisogno quando dice " come una colomba "? Con tale parola la S. Scrittura volle indicare solo l'aspetto corporeo apparso agli occhi, ma non volle denotare la natura d'un essere vivente. Allo stesso modo la S. Scrittura dice: D'un tratto venne dal cielo un rumore come di vento che soffia impetuoso e apparvero loro delle lingue biforcute come di fuoco 33. Qui si parla di qualcosa che ha l'apparenza di vento e di fuoco sensibile, di qualcosa somigliante a sostanze consuete e note, ma non di sostanze consuete e note, create per una data circostanza.

Le visioni e la invisibile Trinità.

3. 11. Se un'argomentazione più sottile e un esame più profondo della questione ci dimostra che la sostanza, ch'è incapace di muoversi nel tempo e nello spazio, non si muove se non in virtù della sostanza che può muoversi solo nel tempo ma non nello spazio, ne consegue che tutte quelle cose furono prodotte con l'aiuto di qualche. creatura vivente, come vengono effettuate per mezzo degli angeli; ma parlare di ciò più accuratamente, sarebbe troppo lungo e nient'affatto necessario. A ciò s'aggiunga che ci sono visioni che appaiono tanto allo spirito quanto ai sensi del corpo, non solo a chi dorme o è in preda al delirio, ma anche a chi veglia ed è sano di mente, e non già mediante un inganno dei demoni che si beffano di noi, ma per mezzo d'una rivelazione spirituale, che si manifesta sotto aspetti corporei simili a corpi. Tali visioni non possono distinguersi del tutto se non ci vengono rivelate più chiaramente con l'aiuto di Dio e spiegate dall'intelligenza della mente, assai di rado quando hanno luogo ma più di frequente quando sono passate. Stando così le cose, quali che siano le visioni ricordate dalla S. Scrittura, sia che sembrino impressionare il nostro spirito come succede ai sensi del corpo, sia che vengano prodotte mediante sostanze corporee, sia che abbiano solo l'apparenza sensibile, ma in realtà sono causate da una sostanza spirituale, non dobbiamo giudicare temerariamente di quale delle due specie di visioni si tratti e, nel caso che siano corporee, se avvengano per l'intervento di qualche creatura vivente. Basta che crediamo senz'alcuna esitazione o che comprendiamo - per quanto è capace la nostra intelligenza - che la natura del Creatore, ossia della somma e ineffabile Trinità, è invisibile, immutabile, lontana e separata dai sensi della carne mortale, esente da qualsiasi mutabilità in meglio o in peggio o in qualunque altra successiva trasformazione.

Agostino è occupatissimo.

4. 12. Ecco quanto io, pur occupatissimo, ho potuto scrivere a te che sei libero da occupazioni, a proposito dei due quesiti propostimi, l'uno sulla Trinità e l'altro sulla colomba nella quale si velò lo Spirito Santo non già nella sua natura, ma in un aspetto simbolico 34. Allo stesso modo il Figlio di Dio fu crocifisso dai Giudei non in quanto è generato (eternamente) dal Padre, il quale così si esprime: Ti ho generato prima dell'aurora 35, ma in quanto uomo per l'umanità assunta nel seno della Vergine. Non ho creduto doveroso trattare a fondo tutti gli argomenti che m'hai proposti nella tua lettera, ma credo d'aver risposto ai due sui quali volevi sentire il mio parere, se non in modo da soddisfare la tua brama, tuttavia col senso dell'obbedienza dovuta alla tua Carità.

Agostino permette si copino le ultime sue opere.

4. 13. Oltre ai due libri, che più sopra ho ricordato d'avere aggiunti ai tre della Città di Dio e oltre all'esposizione di tre Salmi, ho scritto anche un libro Sull'origine dell'anima indirizzato al santo prete Girolamo per chiedergli come si possa difendere l'opinione da lui esposta come propria in una lettera a Marcellino, di santa memoria, che cioè " le singole anime sono create nuove per ognuno che nasce " 36; il mio intento mira a far sì che non vacilli la fede della Chiesa posta su solide basi, in virtù della quale crediamo con fermissima fede che tutti gli uomini muoiono per la loro unione con Adamo 37 e che son trascinati nella dannazione se non vengono redenti dalla grazia di Cristo, la quale produce il suo effetto perfino nei bambini mediante il battesimo. Ho scritto anche un'altra lettera 38 al medesimo Girolamo, per chiedergli come si debba intendere, a suo avviso, il passo della lettera di S. Giacomo che dice: Chi avrà osservata tutta la Legge, ma ne trasgredirà un solo precetto, si rende colpevole di tutti 39, senza però nascondergli la mia opinione in proposito, mentre nella lettera sull'origine dell'anima mi son limitato a chiedere il parere di Girolamo in una specie di discussione consultiva. Ho approfittato per questa cosa dell'occasione offertami da Orosio, un giovane prete molto santo e studioso che, infiammato del solo zelo per le Sante Scritture, era giunto da me fin dall'estremità della Spagna, cioè dalle coste dell'Oceano. L'ho persuaso a recarsi anche da Girolamo. Con uno scritto non voluminoso, ma della maggior brevità e chiarezza possibili, ho risposto anche ad alcuni quesiti del medesimo Orosio sull'eresia dei Priscillianisti e su alcune opinioni di Origene, non accolte dalla Chiesa e dalle quali egli era rimasto assai sconcertato. Ho scritto anche un'opera voluminosa contro l'eresia di Pelagio, dietro le pressanti premure di alcuni fratelli, che quello aveva attratti alla sua dannosissima opinione contraria alla grazia di Cristo. Se vorrai avere tutti questi scritti, manda qualcuno che te li ricopi. Permettimi inoltre di attendere allo studio e alla dettatura di cose che sono necessarie a molti e che perciò, a mio avviso, bisogna anteporre ai tuoi quesiti, che interessano ben poche persone.

 


1 - Cf. AUG., De civ. Dei 5, 26, 6 praef.; 10, 32.

2 - Cf. AUG., De civ. Dei 1, 36.

3 - 1 Cor 14, 38.

4 - 1 Cor 14, 1-37.

5 - 1 Cor 14, 37-38.

6 - 1 Cor 2, 15.

7 - 1 Cor 14, 33.

8 - 1 Cor 14, 38.

9 - Lc 13, 27.

10 - Mt 5, 8.

11 - 1 Cor 1, 21.

12 - 1 Cor 1, 25.

13 - 1 Cor 2, 2.

14 - Rm 5, 20.

15 - Rm 11, 33.

16 - Mt 18, 14.

17 - Lc 3, 22.

18 - Lc 2, 7.

19 - Mt 3, 16.

20 - Mt 17, 5.

21 - At 2, 3.

22 - Sap 7, 22.

23 - 1 Cor 12, 14. 11.

24 - Gv 5, 26.

25 - Gv 11, 25; 14, 16.

26 - Lc 3, 22.

27 - At 2, 3.

28 - Es 19, 18-19.

29 - Es 13, 21.

30 - Mc 1, 10.

31 - 1 Cor 10, 4.

32 - Mt 3, 17; Lc 3, 22.

33 - At 2, 3.

34 - Mt 3, 17; Mc 1, 10; Lc 3, 22.

35 - Sal 109, 3.

36 - Ep. 166, 1.

37 - 1 Cor 15, 22.

38 - Ep. 167.

39 - Gc 2, 10.


18 - La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù.

La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda

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1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa, dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato, in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di lui!

1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il Messia promesso.

1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente, decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.

1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore, che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo». Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente fosse.

1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del cielo».

1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme, insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava, l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano: «A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni, ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici. Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con dolcezza, facendo a tutti del bene.

1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.

1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza, rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno. Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».

1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore, seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi. E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme». «Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto meno di uccidere».

1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione. Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia, come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.

1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti, sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti, soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza, desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale; spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin quando videro esaudito il loro proposito.

1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo, ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la folla.

1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo, innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia, crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.

1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi, se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare, non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio Salvatore elargire.

Insegnamento della Regina del cielo

1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà, primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della divina pietà, che è sempre sovrabbondante.

1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia, della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece, tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi, per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi, comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti, adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché pochi sono quelli che camminano su di essa.

1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano, lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio. Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera sapienza.


10-9 Dicembre 25, 1910 I sacerdoti si sono attaccato alle famiglie, all’interesse, alle cose esteriori, ecc., questa è la necessità delle case di riunione di sacerdoti.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Questa mattina il benedetto si faceva vedere piccino, piccino, ma tanto grazioso e bello che mi rapiva in un dolce incanto, specie poi si rendeva più amabile, ché con le sue piccole manine prendeva piccoli chiodi e mi inchiodava con una maestria degna solo del mio sempre amabile Gesù, e poi mi colmava di baci e d’amore, ed io a Lui. Onde, dopo ciò mi pareva di trovarmi nella grotta del mio neonato Gesù, ed il mio piccino Gesù mi ha detto:

(2) “Figlia diletta mia, chi venne a visitarmi nella grotta della mia nascita? I soli pastori furono i primi visitatori, i soli che facevano un va e vieni e mi offrivano doni e cosucce loro, ed i primi che ebbero la conoscenza della mia venuta nel mondo, e di conseguenza, i primi favoriti ripieni della mia grazia. Ecco perché scelgo sempre persone povere, ignoranti, abbiette, e ne faccio dei portenti di grazia, perché sono sempre le più disposte, le più facili a darmi ascolto, a credermi senza fare tante difficoltà, tanti cavilli, come all’opposto fanno le persone colte. Poi vennero i magi, ma nessun sacerdote si vide, mentre loro dovevano essere i primi a farmi corteggio, perché loro sapevano più di tutti gli altri secondo le scritture che studiavano, il tempo, il luogo, ed era più facile il venirmi a visitare, ma nessuno, nessuno si mosse, anzi, mentre lo additarono ai magi, loro non si mossero, né si scomodarono di fare un passo per andare in traccia della mia venuta. Questo fu un dolore nella mia nascita, per Me amarissimo, perché in quei sacerdoti era tanto l’attacco alle ricchezze, all’interesse, alle famiglie ed alle cose esteriori, che come bagliore l’accecava la vista, gli induriva il cuore e rendeva l’intelligenza stupida per conoscere le verità più sacrosante, più certe, ed erano tanto ingolfati nelle basse cose della terra, che mai avrebbero creduto che un Dio potesse venire sulla terra in tanta povertà ed in tanta umiliazione, e non solo nella mia nascita, ma anche nel corso della mia vita, quando facevo dei miracoli più strepitosi, nessuno mi seguì, anzi mi tramarono la morte e mi uccisero sulla croce. Ed Io, dopo avere usato tutta la mia arte per tirarli a Me, li misi in oblio e vi scelsi persone povere, ignoranti, quali furono i miei apostoli, e vi formai la mia Chiesa, li segregai dalle famiglie, li sciolsi da qualunque vincolo di ricchezze, li riempii dei tesori della mia grazia e li resi abili al regime della mia Chiesa e delle anime. Onde devi sapere che questo dolore mi dura ancora, perché i sacerdoti di questi tempi si sono affratellati coi sacerdoti di quei tempi, si sono dati la mano all’attacco alle famiglie, all’interesse, alle cose esteriori, che poco o niente ci badano all’interiore, anzi, certuni si sono degradati tanto, da far capire agli stessi secolari che non sono contenti del loro stato, abbassando la loro dignità fino all’infimo e al disotto degli stessi secolari. Ah! figlia mia, qual prestigio può avere più la loro parola nei popoli? Anzi i popoli per causa loro, vanno deteriorando nella fede e nell’abisso di mali peggiori, camminano a tentone e nelle tenebre, perché luce nei sacerdoti non ne veggono più. Ecco perciò la necessità delle case di riunione di sacerdoti, affinché snebbiato il sacerdote dalle tenebre cui è invaso, dalle famiglie, dall’interesse e dalle cure delle cose esteriori, potesse dar luce di vere virtù, ed i popoli potessero ricredersi dagli errori in cui sono caduti. Sono tanto necessarie queste riunioni, che ogniqualvolta la Chiesa è giunta all’infimo, quasi sempre è stato il mezzo per farla risorgere più bella e maestosa”.

(3) Io nel sentire ciò ho detto: “Mio sommo ed unico bene, dolce mia vita, compatisco al vostro dolore e vorrei raddolcirlo col mio amore, ma Voi sapete bene chi sono io, come sono povera, ignorante, cattivella, e poi, estremamente presa dalla passione del mio nascondimento, amo che mi potessi tanto nascondere in Te, che nessuno più potesse credere che io più esistessi, e Tu invece vuoi che parli di queste cose che tanto addolorano il vostro amantissimo cuore, e tanto necessarie per la Chiesa. Oh! mio Gesù, a me parlami d’amore, ed invece andate ad altre anime buone e sante a parlare di queste cose tanto utili per la Chiesa”. Ed il buon Gesù ha ripreso a dire:

(4) “Figlia mia, anch’Io amai il nascondimento, ma ogni cosa tiene il suo tempo, quando l’onore e la gloria del Padre ed il bene delle anime fu necessario, mi svelai e feci la mia vita pubblica. Così faccio delle anime, delle volte le tengo nascoste, altre volte le manifesto, e tu dev’essere indifferente a tutto, volendo solo ciò che Io voglio, anzi ti benedico il cuore, la bocca, e parlerò in te con la mia stessa bocca e col mio stesso dolore”.

(5) E così mi ha benedetto ed è scomparso.