Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 34° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 28
1Passato il sabato, all'alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l'altra Maria andarono a visitare il sepolcro.2Ed ecco che vi fu un gran terremoto: un angelo del Signore, sceso dal cielo, si accostò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa.3Il suo aspetto era come la folgore e il suo vestito bianco come la neve.4Per lo spavento che ebbero di lui le guardie tremarono tramortite.5Ma l'angelo disse alle donne: "Non abbiate paura, voi! So che cercate Gesù il crocifisso.6Non è qui. È risorto, come aveva detto; venite a vedere il luogo dove era deposto.7Presto, andate a dire ai suoi discepoli: È risuscitato dai morti, e ora vi precede in Galilea; là lo vedrete. Ecco, io ve l'ho detto".8Abbandonato in fretta il sepolcro, con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l'annunzio ai suoi discepoli.
9Ed ecco Gesù venne loro incontro dicendo: "Salute a voi". Ed esse, avvicinatesi, gli presero i piedi e lo adorarono.10Allora Gesù disse loro: "Non temete; andate ad annunziare ai miei fratelli che vadano in Galilea e là mi vedranno".
11Mentre esse erano per via, alcuni della guardia giunsero in città e annunziarono ai sommi sacerdoti quanto era accaduto.12Questi si riunirono allora con gli anziani e deliberarono di dare una buona somma di denaro ai soldati dicendo:13"Dichiarate: i suoi discepoli sono venuti di notte e l'hanno rubato, mentre noi dormivamo.14E se mai la cosa verrà all'orecchio del governatore noi lo persuaderemo e vi libereremo da ogni noia".15Quelli, preso il denaro, fecero secondo le istruzioni ricevute. Così questa diceria si è divulgata fra i Giudei fino ad oggi.
16Gli undici discepoli, intanto, andarono in Galilea, sul monte che Gesù aveva loro fissato.17Quando lo videro, gli si prostrarono innanzi; alcuni però dubitavano.18E Gesù, avvicinatosi, disse loro: "Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra.19Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo,20insegnando loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo".
Deuteronomio 33
1Ed ecco la benedizione con la quale Mosè, uomo di Dio, benedisse gli Israeliti prima di morire.2Egli disse:
"Il Signore è venuto dal Sinai,
è spuntato per loro dal Seir;
è apparso dal monte Paran,
è arrivato a Mèriba di Kades,
dal suo meridione fino alle pendici.
3Certo egli ama i popoli;
tutti i suoi santi sono nelle tue mani,
mentre essi, accampati ai tuoi piedi,
ricevono le tue parole.
4Una legge ci ha ordinato Mosè;
un'eredità è l'assemblea di Giacobbe.
5Vi fu un re in Iesurun,
quando si radunarono i capi del popolo,
tutte insieme le tribù d'Israele.
6Viva Ruben e non muoia,
benché siano pochi i suoi uomini".
7Questo disse per Giuda:
"Ascolta, Signore, la voce di Giuda
e riconducilo verso il suo popolo;
la sua mano difenderà la sua causa
e tu sarai l'aiuto contro i suoi avversari".
8Per Levi disse:
"Da' a Levi i tuoi 'Tummim'
e i tuoi 'Urim' all'uomo a te fedele,
che hai messo alla prova a Massa,
per cui hai litigato presso le acque di Mèriba;
9a lui che dice del padre e della madre:
Io non li ho visti;
che non riconosce i suoi fratelli
e ignora i suoi figli.
Essi osservarono la tua parola
e custodiscono la tua alleanza;
10insegnano i tuoi decreti a Giacobbe
e la tua legge a Israele;
pongono l'incenso sotto le tue narici
e un sacrificio sul tuo altare.
11Benedici, Signore, il suo valore
e gradisci il lavoro delle sue mani;
colpisci al fianco i suoi aggressori
e i suoi nemici più non si rialzino".
12Per Beniamino disse:
"Prediletto del Signore, Beniamino,
abita tranquillo presso di Lui;
Egli lo protegge sempre
e tra le sue braccia dimora".
13Per Giuseppe disse:
"Benedetta dal Signore la sua terra!
Dalla rugiada abbia il meglio dei cieli,
e dall'abisso disteso al di sotto;
14il meglio dei prodotti del sole
e il meglio di ciò che germoglia ogni luna;
15la primizia dei monti antichi,
il meglio dei colli eterni
16e il meglio della terra e di ciò che contiene.
Il favore di Colui che abitava nel roveto
venga sul capo di Giuseppe,
sulla testa del principe tra i suoi fratelli!
17Come primogenito di toro, egli è d'aspetto maestoso
e le sue corna sono di bùfalo;
con esse cozzerà contro i popoli,
tutti insieme, sino ai confini della terra.
Tali sono le miriadi di Èfraim
e tali le migliaia di Manàsse".
18Per Zàbulon disse:
"Gioisci, Zàbulon, ogni volta che parti,
e tu, Ìssacar, nelle tue tende!
19Chiamano i popoli sulla montagna,
dove offrono sacrifici legittimi,
perché succhiano le ricchezze dei mari
e i tesori nascosti nella sabbia".
20Per Gad disse:
"Benedetto chi stabilisce Gad al largo!
Come una leonessa ha la sede;
sbranò un braccio e anche un cranio;
21poi si scelse le primizie,
perché là era la parte riservata a un capo.
Venne alla testa del popolo
eseguì la giustizia del Signore
e i suoi decreti riguardo a Israele".
22Per Dan disse:
"Dan è un giovane leone
che balza da Basan".
23Per Nèftali disse:
"Nèftali è sazio di favori
e colmo delle benedizioni del Signore:
il mare e il meridione sono sua proprietà".
24Per Aser disse:
"Benedetto tra i figli è Aser!
Sia il favorito tra i suoi fratelli
e tuffi il suo piede nell'olio.
25Di ferro e di rame siano i tuoi catenacci
e quanto i tuoi giorni duri il tuo vigore.
26Nessuno è pari al Dio di Iesurun,
che cavalca sui cieli per venirti in aiuto
e sulle nubi nella sua maestà.
27Rifugio è il Dio dei tempi antichi
e quaggiù lo sono le sue braccia eterne.
Ha scacciato davanti a te il nemico
e ha intimato: Distruggi!
28Israele abita tranquillo,
la fonte di Giacobbe in luogo appartato,
in terra di frumento e di mosto,
dove il cielo stilla rugiada.
29Te beato, Israele! Chi è come te,
popolo salvato dal Signore?
Egli è lo scudo della tua difesa
e la spada del tuo trionfo.
I tuoi nemici vorranno adularti,
ma tu calcherai il loro dorso".
Giobbe 9
1Giobbe rispose dicendo:
2In verità io so che è così:
e come può un uomo aver ragione innanzi a Dio?
3Se uno volesse disputare con lui,
non gli risponderebbe una volta su mille.
4Saggio di mente, potente per la forza,
chi s'è opposto a lui ed è rimasto salvo?
5Sposta le montagne e non lo sanno,
egli nella sua ira le sconvolge.
6Scuote la terra dal suo posto
e le sue colonne tremano.
7Comanda al sole ed esso non sorge
e alle stelle pone il suo sigillo.
8Egli da solo stende i cieli
e cammina sulle onde del mare.
9Crea l'Orsa e l'Orione,
le Pleiadi e i penetrali del cielo australe.
10Fa cose tanto grandi da non potersi indagare,
meraviglie da non potersi contare.
11Ecco, mi passa vicino e non lo vedo,
se ne va e di lui non m'accorgo.
12Se rapisce qualcosa, chi lo può impedire?
Chi gli può dire: "Che fai?".
13Dio non ritira la sua collera:
sotto di lui sono fiaccati i sostenitori di Raab.
14Tanto meno io potrei rispondergli,
trovare parole da dirgli!
15Se avessi anche ragione, non risponderei,
al mio giudice dovrei domandare pietà.
16Se io lo invocassi e mi rispondesse,
non crederei che voglia ascoltare la mia voce.
17Egli con una tempesta mi schiaccia,
moltiplica le mie piaghe senza ragione,
18non mi lascia riprendere il fiato,
anzi mi sazia di amarezze.
19Se si tratta di forza, è lui che dà il vigore;
se di giustizia, chi potrà citarlo?
20Se avessi ragione, il mio parlare mi
condannerebbe;
se fossi innocente, egli proverebbe che io sono reo.
21Sono innocente? Non lo so neppure io,
detesto la mia vita!
22Per questo io dico: "È la stessa cosa":
egli fa perire l'innocente e il reo!
23Se un flagello uccide all'improvviso,
della sciagura degli innocenti egli ride.
24La terra è lasciata in balìa del malfattore:
egli vela il volto dei suoi giudici;
se non lui, chi dunque sarà?
25I miei giorni passano più veloci d'un corriere,
fuggono senza godere alcun bene,
26volano come barche di giunchi,
come aquila che piomba sulla preda.
27Se dico: "Voglio dimenticare il mio gemito,
cambiare il mio volto ed essere lieto",
28mi spavento per tutti i miei dolori;
so bene che non mi dichiarerai innocente.
29Se sono colpevole,
perché affaticarmi invano?
30Anche se mi lavassi con la neve
e pulissi con la soda le mie mani,
31allora tu mi tufferesti in un pantano
e in orrore mi avrebbero le mie vesti.
32Poiché non è uomo come me, che io possa
rispondergli:
"Presentiamoci alla pari in giudizio".
33Non c'è fra noi due un arbitro
che ponga la mano su noi due.
34Allontani da me la sua verga
sì che non mi spaventi il suo terrore:
35allora io potrò parlare senza temerlo,
perché così non sono in me stesso.
Salmi 9
1'Al maestro del coro. In sordina. Salmo. Di Davide.'
2Loderò il Signore con tutto il cuore
e annunzierò tutte le tue meraviglie.
3Gioisco in te ed esulto,
canto inni al tuo nome, o Altissimo.
4Mentre i miei nemici retrocedono,
davanti a te inciampano e periscono,
5perché hai sostenuto il mio diritto e la mia causa;
siedi in trono giudice giusto.
6Hai minacciato le nazioni, hai sterminato l'empio,
il loro nome hai cancellato in eterno, per sempre.
7Per sempre sono abbattute le fortezze del nemico,
è scomparso il ricordo delle città che hai distrutte.
8Ma il Signore sta assiso in eterno;
erige per il giudizio il suo trono:
9giudicherà il mondo con giustizia,
con rettitudine deciderà le cause dei popoli.
10Il Signore sarà un riparo per l'oppresso,
in tempo di angoscia un rifugio sicuro.
11Confidino in te quanti conoscono il tuo nome,
perché non abbandoni chi ti cerca, Signore.
12Cantate inni al Signore, che abita in Sion,
narrate tra i popoli le sue opere.
13Vindice del sangue, egli ricorda,
non dimentica il grido degli afflitti.
14Abbi pietà di me, Signore,
vedi la mia miseria, opera dei miei nemici,
tu che mi strappi dalle soglie della morte,
15perché possa annunziare le tue lodi,
esultare per la tua salvezza
alle porte della città di Sion.
16Sprofondano i popoli nella fossa che hanno scavata,
nella rete che hanno teso si impiglia il loro piede.
17Il Signore si è manifestato, ha fatto giustizia;
l'empio è caduto nella rete, opera delle sue mani.
18Tornino gli empi negli inferi,
tutti i popoli che dimenticano Dio.
19Perché il povero non sarà dimenticato,
la speranza degli afflitti non resterà delusa.
20Sorgi, Signore, non prevalga l'uomo:
davanti a te siano giudicate le genti.
21Riempile di spavento, Signore,
sappiano le genti che sono mortali.22Perché, Signore, stai lontano,
nel tempo dell'angoscia ti nascondi?
23Il misero soccombe all'orgoglio dell'empio
e cade nelle insidie tramate.
24L'empio si vanta delle sue brame,
l'avaro maledice, disprezza Dio.
25L'empio insolente disprezza il Signore:
"Dio non se ne cura: Dio non esiste";
questo è il suo pensiero.
26Le sue imprese riescono sempre.
Son troppo in alto per lui i tuoi giudizi:
disprezza tutti i suoi avversari.
27Egli pensa: "Non sarò mai scosso,
vivrò sempre senza sventure".
28Di spergiuri, di frodi e d'inganni ha piena la bocca,
sotto la sua lingua sono iniquità e sopruso.
29Sta in agguato dietro le siepi,
dai nascondigli uccide l'innocente.
30I suoi occhi spiano l'infelice,
sta in agguato nell'ombra come un leone nel covo.
Sta in agguato per ghermire il misero,
ghermisce il misero attirandolo nella rete.
31Infierisce di colpo sull'oppresso,
cadono gl'infelici sotto la sua violenza.
32Egli pensa: "Dio dimentica,
nasconde il volto, non vede più nulla".
33Sorgi, Signore, alza la tua mano,
non dimenticare i miseri.
34Perché l'empio disprezza Dio
e pensa: "Non ne chiederà conto"?
35Eppure tu vedi l'affanno e il dolore,
tutto tu guardi e prendi nelle tue mani.
A te si abbandona il misero,
dell'orfano tu sei il sostegno.
Spezza il braccio dell'empio e del malvagio;
36Punisci il suo peccato e più non lo trovi.
37Il Signore è re in eterno, per sempre:
dalla sua terra sono scomparse le genti.
38Tu accogli, Signore, il desiderio dei miseri,
rafforzi i loro cuori, porgi l'orecchio
39per far giustizia all'orfano e all'oppresso;
e non incuta più terrore l'uomo fatto di terra.
Daniele 9
1Nell'anno primo di Dario figlio di Serse, della progenie dei Medi, il quale era stato costituito re sopra il regno dei Caldei,2nel primo anno del suo regno, io Daniele tentavo di comprendere nei libri il numero degli anni di cui il Signore aveva parlato al profeta Geremia e nei quali si dovevano compiere le desolazioni di Gerusalemme, cioè settant'anni.3Mi rivolsi al Signore Dio per pregarlo e supplicarlo con il digiuno, veste di sacco e cenere4e feci la mia preghiera e la mia confessione al Signore mio Dio: "Signore Dio, grande e tremendo, che osservi l'alleanza e la benevolenza verso coloro che ti amano e osservano i tuoi comandamenti,5abbiamo peccato e abbiamo operato da malvagi e da empi, siamo stati ribelli, ci siamo allontanati dai tuoi comandamenti e dalle tue leggi!6Non abbiamo obbedito ai tuoi servi, i profeti, i quali hanno in tuo nome parlato ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri e a tutto il popolo del paese.7A te conviene la giustizia, o Signore, a noi la vergogna sul volto, come avviene ancor oggi per gli uomini di Giuda, per gli abitanti di Gerusalemme e per tutto Israele, vicini e lontani, in tutti i paesi dove tu li hai dispersi per i misfatti che hanno commesso contro di te.8Signore, la vergogna sul volto a noi, ai nostri re, ai nostri prìncipi, ai nostri padri, perché abbiamo peccato contro di te;9al Signore Dio nostro la misericordia e il perdono, perché ci siamo ribellati contro di lui,10non abbiamo ascoltato la voce del Signore Dio nostro, né seguito quelle leggi che egli ci aveva date per mezzo dei suoi servi, i profeti.11Tutto Israele ha trasgredito la tua legge, s'è allontanato per non ascoltare la tua voce; così si è riversata su di noi l'esecrazione scritta nella legge di Mosè, servo di Dio, perché abbiamo peccato contro di lui.
12Egli ha messo in atto quelle parole che aveva pronunziate contro di noi e i nostri governanti, mandando su di noi un male così grande quale mai, sotto il cielo, era venuto a Gerusalemme.
13Tutto questo male è venuto su di noi, proprio come sta scritto nella legge di Mosè. Tuttavia noi non abbiamo supplicato il Signore Dio nostro, convertendoci dalle nostre iniquità e seguendo la tua verità.14Il Signore ha vegliato sopra questo male, l'ha mandato su di noi, poiché il Signore Dio nostro è giusto in tutte le cose che fa, mentre noi non abbiamo ascoltato la sua voce.15Signore Dio nostro, che hai fatto uscire il tuo popolo dall'Egitto con mano forte e ti sei fatto un nome, come è oggi, noi abbiamo peccato, abbiamo agito da empi.16Signore, secondo la tua misericordia, si plachi la tua ira e il tuo sdegno verso Gerusalemme, tua città, verso il tuo monte santo, poiché per i nostri peccati e per l'iniquità dei nostri padri Gerusalemme e il tuo popolo sono oggetto di vituperio presso quanti ci stanno intorno.
17Ora ascolta, Dio nostro, la preghiera del tuo servo e le sue suppliche e per amor tuo, o Signore, fa' risplendere il tuo volto sopra il tuo santuario, che è desolato.18Porgi l'orecchio, mio Dio, e ascolta: apri gli occhi e guarda le nostre desolazioni e la città sulla quale è stato invocato il tuo nome! Non presentiamo le nostre suppliche davanti a te, basate sulla nostra giustizia, ma sulla tua grande misericordia.
19Signore, ascolta; Signore, perdona; Signore, guarda e agisci senza indugio, per amore di te stesso, mio Dio, poiché il tuo nome è stato invocato sulla tua città e sul tuo popolo".
20Mentre io stavo ancora parlando e pregavo e confessavo il mio peccato e quello del mio popolo Israele e presentavo la supplica al Signore Dio mio per il monte santo del mio Dio,21mentre dunque parlavo e pregavo, Gabriele, che io avevo visto prima in visione, volò veloce verso di me: era l'ora dell'offerta della sera.
22Egli mi rivolse questo discorso: "Daniele, sono venuto per istruirti e farti comprendere.
23Fin dall'inizio delle tue suppliche è uscita una parola e io sono venuto per annunziartela, poiché tu sei un uomo prediletto. Ora sta' attento alla parola e comprendi la visione:
24Settanta settimane sono fissate
per il tuo popolo e per la tua santa città
per mettere fine all'empietà,
mettere i sigilli ai peccati, espiare l'iniquità,
portare una giustizia eterna,
suggellare visione e profezia e ungere il Santo dei santi.
25Sappi e intendi bene,
da quando uscì la parola
sul ritorno e la ricostruzione di Gerusalemme
fino a un principe consacrato,
vi saranno sette settimane.
Durante sessantadue settimane
saranno restaurati, riedificati piazze e fossati,
e ciò in tempi angosciosi.
26Dopo sessantadue settimane,
un consacrato sarà soppresso senza colpa in lui;
il popolo di un principe che verrà
distruggerà la città e il santuario;
la sua fine sarà un'inondazione e, fino alla fine,
guerra e desolazioni decretate.
27Egli stringerà una forte alleanza con molti
per una settimana e, nello spazio di metà settimana,
farà cessare il sacrificio e l'offerta;
sull'ala del tempio porrà l'abominio della
desolazione
e ciò sarà sino alla fine,
fino al termine segnato sul devastatore".
Lettera a Tito 1
1Paolo, servo di Dio, apostolo di Gesù Cristo per chiamare alla fede gli eletti di Dio e per far conoscere la verità che conduce alla pietà2ed è fondata sulla speranza della vita eterna, promessa fin dai secoli eterni da quel Dio che non mentisce,3e manifestata poi con la sua parola mediante la predicazione che è stata a me affidata per ordine di Dio, nostro salvatore,4a Tito, mio vero figlio nella fede comune: grazia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù, nostro salvatore.
5Per questo ti ho lasciato a Creta perché regolassi ciò che rimane da fare e perché stabilissi presbiteri in ogni città, secondo le istruzioni che ti ho dato:6il candidato deve essere irreprensibile, sposato una sola volta, con figli credenti e che non possano essere accusati di dissolutezza o siano insubordinati.7Il vescovo infatti, come amministratore di Dio, dev'essere irreprensibile: non arrogante, non iracondo, non dedito al vino, non violento, non avido di guadagno disonesto,8ma ospitale, amante del bene, assennato, giusto, pio, padrone di sé,9attaccato alla dottrina sicura, secondo l'insegnamento trasmesso, perché sia in grado di esortare con la sua sana dottrina e di confutare coloro che contraddicono.
10Vi sono infatti, soprattutto fra quelli che provengono dalla circoncisione, molti spiriti insubordinati, chiacchieroni e ingannatori della gente.11A questi tali bisogna chiudere la bocca, perché mettono in scompiglio intere famiglie, insegnando per amore di un guadagno disonesto cose che non si devono insegnare.12Uno dei loro, proprio un loro profeta, già aveva detto: "I Cretesi son sempre bugiardi, male bestie, ventri pigri".13Questa testimonianza è vera. Perciò correggili con fermezza, perché rimangano nella sana dottrina14e non diano più retta a favole giudaiche e a precetti di uomini che rifiutano la verità.
15Tutto è puro per i puri; ma per i contaminati e gli infedeli nulla è puro; sono contaminate la loro mente e la loro coscienza.16Dichiarano di conoscere Dio, ma lo rinnegano con i fatti, abominevoli come sono, ribelli e incapaci di qualsiasi opera buona.
Capitolo X: La gratitudine per la grazia divina
Leggilo nella Biblioteca1. Perché vai cercando quiete, dal momento che sei nato per la tribolazione? Disponiti a patire, più che ad essere consolato; a portare la croce, più che a ricevere gioia. Anche tra coloro che vivono nel mondo, chi non sarebbe felice - se potesse ottenerli in ogni momento - di non avere il conforto e la letizia dello spirito, poiché le gioie spirituali superano tutti i piaceri mondani e le delizie materiali? Le delizie del mondo sono tutte vuote o poco buone; mentre le delizie spirituali, esse soltanto, sono veramente piene di gioia ed innocenti, frutto delle virtù e dono soprannaturale di Dio agli spiriti puri. In verità però nessuno può godere a suo talento di queste divine consolazione, perché il tempo della tentazione non dà lunga tregua. E poi una falsa libertà di spirito e una eccessiva fiducia in se stessi sono di grande ostacolo a questa visita dall'alto. Dio ci fa dono dandoci la consolazione della grazia; ma l'uomo risponde in modo riprovevole se non attribuisce tutto a Dio con gratitudine. E così non possono fluire su di noi i doni della grazia, perché non sentiamo gratitudine per colui dal quale essa proviene e non riportiamo tutto alla sua fonte originaria. La grazia sarà sempre dovuta a chi è giustamente grato; mentre al superbo sarà tolto quello che suole esser dato all'umile. Non voglio una consolazione che mi tolga la compunzione del cuore; non desidero una contemplazione che mi porti alla superbia. Ché non tutto ciò che è alto è santo; non tutto ciò che è soave è buono; non tutti i desideri sono puri; non tutto ciò che è caro è gradito a Dio. Invece, accolgo con gioia una grazia che mi faccia essere sempre più umile e timorato, e che mi renda più pronto a lasciare me stesso. Colui che è stato formato dal dono della grazia ed ammaestrato dalla dura sottrazione di essa, non oserà mai attribuirsi un briciolo di bene; egli riconoscerà piuttosto di essere povero e nudo.
2. Da' a Dio ciò che è di Dio, e attribuisci a te ciò che è tuo: mostrati riconoscente a Dio per la grazia, e a te attribuisci soltanto il peccato, cosciente di meritare una pena per la colpa commessa. Mettiti al posto più basso, e ti sarà dato il più alto; giacché la massima elevazione non si ha che con il massimo abbassamento. I santi più alti agli occhi di Dio sono quelli che, ai propri occhi , sono i più bassi; essi hanno una gloria tanto più grande quanto più si sono sentiti umili. Ripieni della verità e della gloria celeste, non desiderano la vana gloria di questo mondo; basati saldamente in Dio, non possono in alcun modo insuperbire. Essi, che attribuiscono a Dio tutto quel che hanno ricevuto di bene, non vanno cercando di essere esaltati l'uno dall'altro, ma vogliono invece quella gloria, che viene soltanto da Dio; aspirano e sono tutti tesi a questo: che, in loro stessi e in tutti i beati, sia lodato Iddio sopra ogni cosa. Sii dunque riconoscente anche per la più piccola cosa; così sarai degno di ricevere doni più grandi. La cosa più piccola sia per te come la più grande; quello che è più disprezzabile sia per te come un dono straordinario. Se si guarda all'altezza di colui che lo dà, nessun dono sembrerà piccolo o troppo poco apprezzabile. Non è piccolo infatti ciò che ci viene dato dal Dio eccelso. Anche se ci desse pene e tribolazioni, tutto questo deve esserci gradito, perché il Signore opera sempre per la nostra salvezza, qualunque cosa permetta che ci accada. Chi vuol conservare la grazia divina, sia riconoscente quando gli viene concessa, e sappia sopportare quando gli viene tolta; preghi perché essa ritorni, sia prudente ed umile affinché non abbia a perderla.
Il consenso degli Evangelisti - libro primo
Il consenso degli Evangelisti - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella BibliotecaL'autorità dei Vangeli.
1. 1. Fra tutti i libri insigniti di autorità divina che sono contenuti nelle sacre Scritture il Vangelo occupa meritamente un posto di preminenza. Difatti ciò che la Legge e i Profeti preannunziavano come futuro, nel Vangelo si mostra realizzato e compiuto. Primi predicatori di questo Vangelo furono gli Apostoli. Essi videro presente nella carne il nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo e, assunto l'incarico della predicazione, si premurarono d'annunziare all'umanità le parole udite dalla sua bocca e le opere da lui compiute in loro presenza conforme a quanto potevano ricordare. Inoltre si incaricarono di trasmettere ciò che avevano investigato e conosciuto sul periodo che precedette la loro adesione a Cristo in qualità di discepoli. Erano cose che riguardavano la sua nascita, la sua infanzia e puerizia, cose avvenute per intervento divino e quindi meritevoli d'essere ricordate; ed essi le poterono domandare o a lui personalmente o ai suoi genitori o ad altre persone e conoscerle sulla base di informazioni certissime o di attestati quanto mai degni di fede. Di questi Apostoli alcuni, cioè Matteo e Giovanni, misero in iscritto, ciascuno con un libro, le cose che nei suoi riguardi ritennero doversi scrivere.
1. 2. Per quanto riguarda la conoscenza e la predicazione del Vangelo non si deve credere che ci siano differenze se ad annunziarlo sono coloro che seguirono, servendolo da discepoli, il Signore apparso in terra rivestito di carne o gli altri che, divenuti credenti ad opera degli Apostoli, ritennero fedelmente le cose da loro apprese. Fu pertanto disposto dalla divina Provvidenza che anche ad alcuni che avevano seguito i primi Apostoli fosse concessa ad opera dello Spirito Santo l'eccelsa prerogativa di annunziare il Vangelo, non solo ma anche quella di scriverlo. Tali sono Marco e Luca. Quanto agli altri che tentarono, o osarono, scrivere qualcosa sulle gesta del Signore o degli Apostoli, già fin dai loro tempi non furono tali che la Chiesa li ritenesse meritevoli di fede o ne ammettesse gli scritti nella serie autorevole e canonica dei Libri santi. Questo, non solo perché essi non erano tali da meritare che si credesse alle loro narrazioni ma anche perché nei loro scritti inserirono falsità che la regola della fede cattolica e apostolica condanna, e così pure la sana dottrina.
Ordine degli Evangelisti e metodo da loro seguito.
2. 3. Quattro dunque sono gli evangelisti, personaggi notissimi in tutto il mondo. Che siano quattro lo si deve forse al fatto che quattro sono le parti del mondo dove si sarebbe estesa la Chiesa di Cristo, cosa che essi in certo qual modo indicarono col mistero del loro numero. A quanto ci si riferisce, essi hanno scritto nel seguente ordine: primo Matteo, poi Marco, terzo Luca e per ultimo Giovanni, di modo che uno fu l'ordine in cui si susseguirono nella conoscenza e nella predicazione e un altro quello in cui avvenne la stesura dei libri. Per quanto infatti riguarda la conoscenza e la predicazione certo furono primi quelli che seguirono il Signore presente corporalmente, lo udirono parlare, lo videro agire e da lui personalmente furono mandati ad evangelizzare. Nello scrivere il Vangelo viceversa -cosa che è da ritenersi avvenuta per disposizione divina- i due evangelisti appartenenti al numero di coloro che il Signore scelse prima della passione occupano il primo e l'ultimo posto: il primo posto Matteo, l'ultimo Giovanni. Gli altri due, che non erano del numero degli Apostoli ma avevano seguito Cristo che parlava per mezzo di costoro, dovevano essere abbracciati come figli e in tal modo, collocati in mezzo agli altri due, essere da loro come difesi da ambedue i lati.
2. 4. Secondo la tradizione, di questi quattro soltanto Matteo scrisse in lingua ebraica; gli altri in greco. E per quanto può sembrare che ciascuno abbia in certo qual modo seguito nella narrazione un suo proprio ordine, tuttavia si constata che nessuno di loro volle scrivere come ignorando il suo predecessore e che nessuno omise, ignorandole, le cose che si riscontrano scritte dagli altri. Seguivano piuttosto l'ispirazione ricevuta, alla quale ognuno aggiunse una collaborazione personale che non è stata certamente superflua. A quanto ci è dato comprendere, Matteo cominciò a narrare l'incarnazione del Signore secondo la stirpe regale, a cui aggiunse molti detti e fatti del Salvatore, limitandosi alla presente vita di uomo. Marco seguì Matteo e sembra essere un suo alunno ed epitomatore. In effetti, in comune col solo Giovanni non disse nulla; egli da solo riferisce pochissime cose; in comune col solo Luca anche di meno, mentre di cose comuni con Matteo ne disse moltissime, e alcune alla stessa maniera e quasi con le stesse parole, concordando o con lui solo o, se del caso, anche con gli altri. Luca appare interessato maggiormente della stirpe sacerdotale del Signore e della funzione sacra esercitata dalla sua persona. Ascende infatti a Davide non seguendo la genealogia regale ma attraverso coloro che non furono re e così giunge a Natan, figlio di Davide, che non fu re 1. Non fece come Matteo, il quale discende attraverso il re Salomone e prosegue ricordando ordinatamente anche gli altri re 2, disponendo la serie secondo un numero mistico, di cui parleremo appresso.
Argomento dei primi tre Vangeli.
3. 5. Il Signore Gesù Cristo è l'unico vero re e l'unico vero sacerdote: come re ci regge, come sacerdote espia per noi. Questi due uffici, singolarmente rappresentati negli antichi Padri, egli stesso confermò di aver esercitato nella sua persona. Così nel titolo che era stato affisso alla croce si diceva: Re dei Giudei 3, e fu per mozione celeste che Pilato rispose: Ciò che ho scritto ho scritto 4, in quanto era stato predetto nei Salmi: Non guastare l'iscrizione del titolo 5. Circa poi l'ufficio di sacerdote, lo si riscontra in ciò che egli ci insegnò ad offrire e a ricevere, per cui nei suoi riguardi premise quella profezia che diceva: Tu sei sacerdote per sempre secondo l'ordine di Melchisedech 6. Da molti altri testi scritturistici appare che Cristo è re e sacerdote 7, come quando si parla di Davide, di cui non a caso Cristo è detto " figlio " più frequentemente che non di Abramo. Questo ritennero tanto Matteo quanto Luca: Matteo che lo fa discendere da lui tramite Salomone, Luca che risale a lui tramite Natan 8. Orbene Davide, che come tutti sanno fu re, figuratamente rappresentò anche la persona del sacerdote quando mangiò i pani della proposizione, che non era lecito mangiare se non ai soli sacerdoti 9. Si aggiunge anche il fatto, ricordato solo da Luca, che anche Maria fu dall'angelo descritta come parente di Elisabetta 10, che era moglie del sacerdote Zaccaria. Scrive infatti Luca di Zaccaria che aveva per moglie una discendente di Aronne 11, cioè della tribù sacerdotale.
3. 6. Avendo dunque Matteo rivolto l'attenzione alla persona del re e Luca a quella del sacerdote, tutt'e due sottolineano principalmente l'umanità di Cristo. In quanto uomo infatti Cristo è diventato e re e sacerdote, e a lui Dio ha dato la sede di Davide suo padre 12, in modo che il suo regno non abbia fine e sia lui, l'uomo Cristo Gesù, il Mediatore fra Dio e gli uomini che vive sempre ad intercedere per noi 13. Pertanto Luca non ha avuto chi lo seguisse come epitomatore, come Matteo ebbe Marco. E ciò forse non senza un significato misterioso. È proprio infatti dei re non esser privi dell'omaggio di cortigiani, e quindi chi si incaricò di descrivere la persona regale di Cristo ebbe al suo seguito una specie di accompagnatore, che in certo qual modo ne calcasse le orme. Viceversa è del sacerdote: egli entrava solo nel Sancta Sanctorum 14. Per questo Luca, che si propose di descrivere il sacerdozio di Cristo, non ebbe alcun seguace o accompagnatore che ne riepilogasse in qualche modo la narrazione.
Giovanni si occupa della divinità di Cristo.
4. 7. I tre primi evangelisti si sono diffusi a narrare di preferenza le cose compiute da Cristo nell'ordine temporale mediante la sua carne umana. Giovanni al contrario si volge soprattutto alla divinità del Signore per la quale egli è uguale al Padre. Questa divinità si propose d'inculcare con la massima cura nel suo Vangelo, e vi si dedicò nella misura che ritenne sufficiente agli uomini. Pertanto egli si leva molto più in alto che non gli altri tre. Ti par di vedere i tre primi quasi trattenersi sulla terra con Cristo uomo, lui invece oltrepassare le nebbie che coprono la superficie terrestre e raggiungere il cielo etereo 15, da dove con acutissima e saldissima penetrazione della mente poté vedere il Verbo che era in principio, Dio da Dio, ad opera del quale tutte le cose furono fatte. Lo osservò anche fatto carne per abitare in mezzo a noi 16, precisando che egli prese la carne, non che si sia mutato in carne. Se l'incarnazione infatti non fosse avvenuta conservando il Verbo immutata la sua divinità, non si sarebbe potuto dire: Io e il Padre siamo una cosa sola 17. Non sono infatti una cosa sola il Padre e la carne. Ed è ancora lo stesso Giovanni che, unico fra gli evangelisti, ci riporta questa testimonianza del Signore nei riguardi di se stesso: Chi ha visto me ha visto anche il Padre, e: Io sono nel Padre e il Padre è in me 18, e: Che essi siano una cosa sola come io e tu siamo una cosa sola 19, e: Tutto ciò che fa il Padre, questo stesso lo fa ugualmente i Figlio 20. Queste parole e le altre, se ce ne sono, che designano a chi le capisce debitamente la divinità di Cristo nella quale è uguale al Padre è Giovanni che, esclusivamente o quasi, le ha poste nel suo Vangelo. Egli aveva bevuto più copiosamente e in certo qual modo più familiarmente il mistero della divinità di Cristo, attingendolo dallo stesso petto del Signore sul quale nella cena gli fu consentito di reclinare il capo 21.
La vita contemplativa e quella attiva.
5. 8. All'anima umana sono proposte due forme di virtù: quella attiva e quella contemplativa. Con la prima si cammina, con la seconda si perviene; nella prima si fatica per purificare il cuore e renderlo degno di vedere Dio 22, nella seconda si riposa e si vede Dio; la prima osserva i precetti che regolano la presente vita temporale, la seconda gode della manifestazione della vita eterna. Pertanto l'una opera, l'altra riposa, poiché l'una ha il compito di purificare dai peccati, l'altra fruisce della luce di chi è già purificato 23. E per quanto concerne la presente vita mortale, l'una si occupa delle opere d'una buona condotta 24, l'altra consiste prevalentemente nel credere alla parola e, sia pure in pochissimi, in una qualche visione dell'immutabile verità, visione peraltro speculare, enigmatica e parziale 25. Queste due virtù troviamo rappresentate nelle due mogli di Giacobbe 26, di cui ho trattato, secondo le mie modeste risorse e quant'era sufficiente per quell'opera, nel libro Contro Fausto manicheo. Difatti Lia significa " affaticata ", mentre Rachele " visione del principio ". Da tutto questo, se lo si considera attentamente, è dato concludere che i primi tre evangelisti, occupandosi di preferenza dei fatti e detti temporali del Signore, validi soprattutto per la formazione dei costumi durante la vita presente, si limitarono alla prima categoria di virtù, cioè quella attiva. Giovanni invece narra molto meno fatti riguardanti il Signore, mentre riferisce più diligentemente e abbondantemente i detti di lui, specialmente quelli che presentano l'unità della Trinità e la felicità della vita eterna. Ciò facendo mostra che la sua attenzione e predicazione erano rivolte ad inculcare la virtù contemplativa.
Simboli degli Evangelisti.
6. 9. Mi sembra dunque che fra quei ricercatori che hanno interpretato i quattro esseri viventi dell'Apocalisse 27 significando con essi i quattro evangelisti meritino - probabilmente - maggiore attendibilità coloro che hanno identificato il leone con Matteo, l'uomo con Marco, il vitello con Luca, l'aquila con Giovanni, che non gli altri che hanno attribuito l'uomo a Matteo, l'aquila a Marco, il leone a Giovanni. Per sostenere questa loro congettura essi si basarono piuttosto sull'inizio del libro che non sul piano globale inteso dagli evangelisti, cosa che invece bisognava di preferenza investigare. Era pertanto molto più logico che con il leone si vedesse raffigurato colui che sottolineò assai vigorosamente la persona regale di Cristo. Difatti anche nell'Apocalisse il leone è ricordato insieme con la tribù regale, là dove si dice: Ha vinto il leone della tribù di Giuda 28. Secondo Matteo si narra anche che i Magi vennero dall'Oriente per cercare e adorare il Re che mediante la stella era loro apparso come già nato; e dello stesso re Erode è detto che ebbe timore di quel Re bambino e per ucciderlo fece trucidare molti piccoli 29. Che col vitello si indichi Luca non ci sono dubbi fra le due categorie di studiosi, e il motivo è da ricercarsi nella vittima più grande che soleva immolare il sacerdote. In effetti l'autore del terzo Vangelo comincia la sua narrazione con il sacerdote Zaccaria e ricorda la parentela fra Maria ed Elisabetta 30; da lui si raccontano adempiuti in Cristo bambino i segni misteriosi del sacerdozio veterotestamentario 31 e tante altre cose, che possono ricavarsi da una ricerca diligente, attraverso la quale appare che Luca intese descrivere la persona di Cristo sacerdote. Quanto a Marco, egli non volle narrare né la stirpe regale né la parentela o la consacrazione sacerdotale, e tuttavia appare occuparsi delle cose compiute da Cristo come uomo. Ora fra quei quattro esseri viventi egli appare raffigurato dal simbolo del semplice uomo. Quanto poi a questi tre esseri viventi: il leone, l'uomo e il vitello, si deve dire che essi si muovono sulla terra, cosa che si addice ai primi tre evangelisti, i quali si occupano prevalentemente delle cose che Cristo operò nella carne e dei precetti che diede agli uomini rivestiti di carne insegnando loro come debbano trascorrere la presente vita mortale. Viceversa Giovanni come aquila vola sopra le nebbie della fragilità umana e vede con l'occhio acutissimo e sicurissimo del cuore la luce della verità immutabile.
Occasione dell'opera.
7. 10. Certuni, o per empia vacuità o per temeraria ignoranza, muovono attacchi contro questa santa quadriga del Signore, dalla quale trasportato egli sta assoggettando al suo giogo soave e al suo peso leggero 32 tutti i popoli della terra. Negano l'attendibilità che merita ogni narrazione verace a quegli scritti per i quali la religione cristiana si è disseminata nel mondo intero e ha raggiunto tanta fecondità che gli infedeli osano a malapena mormorare fra di loro le proprie calunnie, battuti come sono dalla fede delle genti e dall'adesione di tutti i popoli. Con queste loro dispute calunniose essi tuttavia ritardano chi ancora non crede dall'abbracciare la fede o turbano, per quanto possono, i credenti mettendo in agitazione il loro animo. Al riguardo alcuni fratelli, la cui fede è al sicuro, desiderano conoscere cosa debbano rispondere a tali questioni tanto per accrescere la propria scienza quanto per ribattere i vani discorsi degli avversari. Pertanto, dietro ispirazione del Signore Dio nostro e col suo aiuto, e con l'augurio che lo scritto rechi giovamento ai lettori, con quest'opera intendiamo dimostrare l'errore e l'insolenza di coloro che ritengono criticamente fondate le accuse che essi proferiscono contro i quattro libri del Vangelo, ciascuno dei quali ha un diverso autore. Per riuscire nell'intento occorrerà dunque mostrare come questi quattro scrittori non si contraddicano l'un l'altro. I nostri nemici infatti, per difendere la propria vacuità, questo sogliono dare per scontato, cioè che gli evangelisti sono discordanti fra loro.
7. 11. È però necessario affrontare prima il problema che fa difficoltà a certuni, e cioè perché il Signore di persona non abbia scritto niente, per cui si deve credere a questi altri che di lui hanno scritto. È quel che dicono tante persone, soprattutto pagane, che non osano prendersela col nostro Signore Gesù Cristo né bestemmiarlo, ma gli attribuiscono un'eccezionale sapienza, sempre però a livello umano. Dicono al riguardo che i discepoli hanno detto del loro maestro più di quanto egli non fosse, qualificandolo come Figlio di Dio e Verbo di Dio ad opera del quale sono state create tutte le cose e asserendo che egli e il Padre sono una cosa sola 33 e tutte quelle altre cose di questo genere, contenute negli scritti apostolici, con cui ci si insegna ad adorarlo come il solo Dio insieme col Padre 34. Essi ritengono, sì, che lo si debba onorare come uomo sapientissimo ma negano che lo si debba adorare come Dio.
7. 12. Quando dunque costoro si interrogano sul perché egli di persona non abbia scritto nulla, li riterresti disposti a credere se egli personalmente avesse scritto qualcosa nei suoi riguardi, mentre non vogliono credere a quanto su di lui hanno predicato gli altri secondo il proprio giudizio. Da costoro vorrei sapere perché, a proposito di certi nobilissimi loro filosofi, credano a quello che nei loro riguardi hanno tramandato per iscritto i loro discepoli mentre essi personalmente non hanno scritto niente sulla propria vita. Così Pitagora, di cui la Grecia non ha avuto uomo più celebre per risorse speculative. È risaputo che egli non ha scritto nulla né su se stesso né su qualsiasi altro argomento. Così Socrate, da tutti collocato al primo posto per la dottrina morale tendente all'educazione dei costumi, tanto che non passano sotto silenzio la notizia che egli sia stato dichiarato il più sapiente degli uomini anche per testimonianza del loro dio Apollo. Egli redasse in pochi versi alcune favole di Esopo, usando parole e ritmi suoi per cose altrui, e a tal segno non volle scrivere nulla da affermare che quanto da lui scritto lo scrisse per comando e costrizione del suo dèmone, come ricorda il più nobile dei suoi discepoli, Platone. Nella sua opera egli preferì abbellire le sentenze altrui piuttosto che le proprie. Se dunque a proposito di costoro credono a quanto ci hanno tramandato per iscritto i loro discepoli, per qual motivo si rifiutano di credere a ciò che i discepoli scrissero nei riguardi di Cristo? Come possono soprattutto ragionare così se ammettono che egli superò in sapienza tutti gli uomini, per quanto non vogliano ammettere che egli sia dio? O che per caso quei filosofi, che essi non dubitano di ritenere molto inferiori a Cristo, siano riusciti a rendere veraci nei loro riguardi i propri discepoli, mentre lui non c'è riuscito? Che se questa è un'affermazione assurda, credano nei riguardi di Cristo, che considerano un sapiente, non ciò che salta loro in testa ma ciò che leggono presso quegli autori che appresero da lui, uomo sapiente, le cose che scrissero.
Cristo uomo sapiente e Dio.
8. 13. Ci dicano poi almeno da qual fonte abbiano saputo o udito che egli fu un uomo sapientissimo. Se l'ha divulgato la fama, forse che è più attendibile la fama che ci ha recato notizie su di lui di quanto non lo siano i suoi discepoli che lo predicarono in tutto il mondo e ad opera dei quali s'è diffusa la fragranza della sua fama? Insomma a una fama preferiscano un'altra fama e nei suoi riguardi credano a quanto divulgato dalla fama maggiore. In effetti la fama che si diffonde con mirabile chiarezza ad opera della Chiesa cattolica - a proposito della quale si stupiscono vedendola diffusa in tutto il mondo - supera incomparabilmente il fioco rumoreggiare degli increduli. Ebbene, questa fama è così grande e così nota che essi, per timore di lei, sono costretti a masticare dentro di sé spaurite e trepide contraddizioni di poco conto, temendo ormai più di farsi ascoltare che pretendendo di farsi credere. Ora è proprio la Chiesa cattolica a proclamare che Cristo è Figlio unigenito di Dio e Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose 35. Se pertanto scelgono come testimone la fama, perché non scelgono questa fama che risplende di tanta luce? Se scelgono la Scrittura, perché non quella dei Vangeli che eccelle sulle altre per la sua grande autorità? Nei riguardi dei loro dèi noi indubbiamente crediamo a ciò che contengono e i loro scritti più antichi e la fama più diffusa. E se questi dèi sono da adorarsi, perché di loro si ride nei teatri? Se invece sono cose ridicole, più ridicolo è adorarli nei templi. Resta quindi assodato che loro stessi, mentre si privano del merito di approfondire ciò che dicono, diventano testimoni di Cristo dicendo ciò che non sanno. Che se dicono di avere dei libri che sarebbero stati scritti da lui, ce li presentino pure. Scritti da un uomo sapientissimo, com'essi riconoscono, tali libri saranno certo utilissimi e saluberrimi. Se al contrario temono di presentarceli sono sicuramente libri cattivi, e se sono cattivi non è sapientissimo colui che li scrisse. Ma Cristo, a quel che essi dicono apertamente, fu sapientissimo, per cui cose come quelle è impossibile siano state scritte da lui.
Libri magici scritti da Cristo.
9. 14. Questi [pagani] sono così stolti da affermare che nei libri che ritengono scritti da Gesù sono contenute norme di arte magica con le quali - a quanto essi credono - egli avrebbe fatto quei miracoli la cui fama s'è diffusa per ogni dove. Credendo a una cosa simile palesano se stessi, cioè quel che amano e desiderano. In tanto infatti ritengono Cristo uomo sapientissimo in quanto era a conoscenza di non so quali pratiche illegali, condannate giustamente non solo dalla morale cristiana ma anche dal governo della società civile. E qui è ovvio chiedersi: coloro che dicono d'aver letto quei libri scritti da Cristo, perché non compiono le opere da lui fatte, che essi ammirano leggendole nei suoi libri?
Libri indirizzati a Pietro e Paolo.
10. 15. E che dire del fatto che alcuni di costoro per giudizio divino cadono nell'errore che o credono o vogliono far credere che Cristo abbia scritto tali libri, asserendo inoltre che ad essi sia stato apposto l'indirizzo " a Pietro " o " a Paolo " quasi si trattasse di lettere? In effetti può essere accaduto che o i nemici del nome di Cristo o altri dediti a simili arti detestabili abbiano ritenuto che sarebbero derivati ai loro scritti autorità e prestigio dal nome glorioso di Cristo, e così li abbiano posti sotto il nome di lui o degli Apostoli. Essi sono stati talmente accecati nella loro audacia e menzogna che giustamente se ne ridono anche quei fanciulli che, costituiti nel grado di lettori, conoscono sia pure da ragazzi gli scritti cristiani.
Cristo convertì i popoli con arti magiche.
10. 16. Volendo dar consistenza alla supposizione che Cristo inviò degli scritti ai suoi discepoli, pensarono a chi sarebbe stato più verosimile che egli avesse scritto, chi furono cioè le persone che aderirono più da vicino a lui sì che fosse conveniente confidar loro quella specie di segreto. E pensarono a Pietro e a Paolo per il fatto, credo, che in più luoghi li vedevano dipinti insieme con lui. Roma infatti celebra con festosa solennità i meriti di Pietro e di Paolo collocando anche nello stesso giorno il ricordo del loro martirio. In tale grossolano errore meritamente incorsero coloro che andarono a cercare Cristo e gli Apostoli non nei sacri libri ma nelle pitture murali; e niente di strano se questi autori fantasiosi furono ingannati da autori di pitture. Per tutto il tempo infatti che Cristo trascorse con i suoi discepoli nella carne mortale Paolo non era ancora suo discepolo. Egli lo chiamò dal cielo e lo fece suo discepolo e apostolo dopo la sua passione, dopo la risurrezione, dopo l'ascensione, dopo che ebbe mandato dal cielo lo Spirito Santo, dopo che molti Giudei si erano convertiti e avevano accettato la nostra mirabile religione, dopo che era stato lapidato il diacono e martire Stefano. In quel tempo Paolo si chiamava ancora Saulo e perseguitava accanitamente quanti avevano creduto in Cristo 36. Come dunque poté Cristo inviare a Pietro e a Paolo, in quanto discepoli che più degli altri gli sarebbero stati familiari, dei libri che egli avrebbe scritto prima della morte, se in quel tempo Paolo non era ancora suo discepolo?
11. 17. Alcuni, vaneggiando, asseriscono che Cristo poté fare tante cose strepitose perché esperto di arti magiche con le quali riuscì a divinizzare il suo nome e a convertire i popoli. Costoro dovrebbero considerare in qual modo egli, prima di nascere in terra, abbia potuto con le sue magie riempire dello Spirito divino tanti Profeti che nei suoi riguardi predissero cose future che nel Vangelo leggiamo essersi poi realizzate e che oggi vediamo presenti in tutto il mondo. Che se con le sue magie riuscì a farsi adorare dopo la morte, non era certo mago prima di nascere. Eppure, per profetizzare la sua venuta, fu scelto e incaricato un popolo le cui vicende nazionali, nel loro succedersi ordinato, erano una profezia di quel Re che sarebbe venuto e avrebbe riunito tutte le genti formando con esse la città celeste.
Il Dio degli Ebrei non accettato dai Romani.
12. 18. Il popolo ebraico dunque, destinato - come ho detto - a preparare profeticamente il Cristo, non aveva altro dio se non il Dio vero, il Dio unico, che ha creato il cielo, la terra e tutto ciò che è in essi. Per avere offeso questo Dio, gli Ebrei vennero più volte soggiogati dai nemici, e al presente per il gravissimo delitto della morte inferta a Cristo sono totalmente sradicati da Gerusalemme, capitale del loro regno, e assoggettati al dominio di Roma. Ora, come si sa, i Romani erano soliti adorare e propiziarsi gli dèi delle genti che sottomettevano e accettare i loro riti sacri. Questo però non vollero fare con il Dio degli Ebrei quando li espugnarono e vinsero. Credo che a ciò li spingeva la consapevolezza che, se avessero tributato il culto a quel Dio che comandava d'adorare lui solo distruggendo anche le statue [degli dèi], occorreva far piazza pulita di tutte quelle divinità che già da tempo avevano cominciato ad adorare e per la fedeltà alle quali credevano fosse cresciuto il loro Impero. In questo li ingannava grandemente l'astuzia fraudolenta dei demoni. Avrebbero infatti dovuto capire che il regno era stato loro dato e accresciuto per occulto volere del vero Dio, presso il quale è il dominio di tutte le cose, non per il favore di quegli dèi che, se avessero avuto in materia una qualche potestà, avrebbero dovuto proteggere i popoli che credevano in loro impedendo che fossero vinti dai Romani o magari avrebbero dovuto assoggettare ad essi gli stessi Romani, dopo averli soggiogati.
12. 19. Né possono dire che la loro religiosità e i loro costumi furono amati e preferiti dagli dèi dei popoli vinti. Mai potranno dire questo se rammentano le proprie origini: l'asilo accordato a facinorosi e il fratricidio di Romolo. Ed effettivamente quando Remo e Romolo apersero quell'asilo nel quale potesse rifugiarsi chiunque fosse reo di qualsiasi delitto ottenendo l'impunità per la colpa commessa, non diedero ai rifugiati l'ordine di ravvedersi volendo guarire l'anima di quegli sciagurati 37. Viceversa, raccolta una banda di gente che temeva [la punizione], l'armarono contro le città di cui temevano le leggi, e come compenso ne assicurarono l'impunità. Parimenti quando Romolo uccise il fratello, che non gli aveva fatto nulla di male, non si propose di ristabilire la giustizia ma di conquistare il dominio assoluto [sulla città]. Dunque tali costumi avrebbero amato gli dèi ostili alle proprie città a tal punto da favorire chi di esse era nemico? Al contrario, come non danneggiarono le città che li veneravano abbandonandole al loro destino, così facendole passare ai Romani non recarono ad essi alcun aiuto, per il semplice fatto che non è in loro potere dare il regno o toglierlo. Questo appartiene al Dio unico e vero. Egli, procedendo secondo un occulto giudizio, non intende rendere immediatamente beati coloro ai quali accorda il regno terreno né immediatamente infelici coloro a cui lo toglie. Quando rende beati o infelici lo fa promettendo altri doni e servendosi di altri mezzi, e distribuisce i regni temporali e terreni a chi vuole e finché vuole secondo il predestinato susseguirsi dei secoli, alcune cose tollerando, altre concedendo.
Perché Dio ha permesso la conquista della Palestina.
13. 20. Essi non possono nemmeno sollevare questa obiezione: Perché dunque il Dio degli Ebrei, che voi dite essere il sommo e vero Dio, non ha loro assoggettato i Romani e non ha aiutato gli stessi Ebrei affinché non venissero soggiogati dai Romani? Ciò dipende dal fatto che in antecedenza gli Ebrei avevano commesso peccati pubblici per i quali tanto tempo prima i Profeti avevano predetto una tal fine. La causa principale è da ricercarsi in quell'empio furore con cui uccisero il Cristo, peccato che commisero a motivo della loro cecità, derivante a sua volta da altri peccati occulti. Che poi la passione di Cristo sarebbe stata vantaggiosa per le genti, anche questo era stato predetto dalla predicazione profetica. In realtà il regno di quel popolo, il suo tempio, il sacerdozio, il sacrificio e quell'unzione mistica che in greco si chiama crisma - da cui deriva apertamente il nome di " Cristo " - e per la quale gli Ebrei chiamavano "cristi " i loro re, non erano finalizzati ad altro che a preannunziare il Cristo. Tutto ciò è reso evidente, più che da altri motivi, dalla risurrezione di Cristo morto in croce. In effetti, quando si cominciò a predicare fra i pagani la risurrezione, questi abbracciarono la fede, e con ciò stesso tutte le istituzioni dell'ebraismo cessarono, all'insaputa dei Romani, che le facevano finire vincendo i Giudei, e dei Giudei che le facevano finire con il loro assoggettamento ai Romani.
La conversione dei pagani.
14. 21. I pochi pagani rimasti non avvertono una cosa che invece è davvero straordinaria, come cioè il Dio degli Ebrei, offeso dai vinti, non accolto dai vincitori, ora viene predicato e adorato da tutte le genti. Il Dio d'Israele infatti è quel medesimo Dio del quale tanto tempo prima parlava il profeta che rivolto al suo popolo diceva: E colui che ti libera si chiama Dio d'Israele di tutta la terra 38. Questo è avvenuto ad opera del nome di Cristo, venuto tra gli uomini dalla progenie di Israele, che fu nipote di Abramo, il capostipite del popolo ebraico. In effetti anche ad Israele fu detto: E nella tua discendenza saranno benedette tutte le tribù della terra 39. Questo Dio d'Israele è il Dio unico che ha creato il cielo e la terra e con giustizia e misericordia si prende cura delle cose umane, in modo che né la giustizia escluda la misericordia né la misericordia impedisca la giustizia 40. Di lui appare evidente che non fu vinto insieme al suo popolo, gli Ebrei, quando egli permise che il suo regno e sacerdozio venissero espugnati e distrutti dai Romani. In realtà anche oggi, mediante il Vangelo di Cristo, vero re e sacerdote prefigurato come avvenimento futuro da quel regno e sacerdozio, il Dio d'Israele abbatte ovunque gli idoli del paganesimo. Eppure proprio perché questi idoli non venissero infranti i Romani non vollero accettare le cerimonie del suo culto come avevano accettato quelle degli altri popoli che avevano sottomessi. Eliminò dunque il regno e il sacerdozio di quel popolo profeta perché era già venuto colui che attraverso quel popolo si prometteva. Dio quindi per mezzo di Cristo re assoggettò al suo nome anche l'Impero romano, da cui gli Ebrei erano stati vinti, e, mediante la forza e l'attaccamento religioso propri della fede cristiana, questo stesso Dio indusse i pagani a rovesciare gli idoli per onorare i quali il suo culto non era stato permesso.
14. 22. Mi sia consentito di supporre che tutti questi eventi futuri concernenti il Cristo non li abbia fatti preannunziare lui stesso ad opera di tanti Profeti e mediante il regno e il sacerdozio di un determinato popolo, quasi che egli fosse dotato di arti magiche e potesse intervenire nella storia prima ancora di nascere fra gli uomini. Il popolo di quel regno ormai distrutto, sparso per mirabile Provvidenza di Dio in tutte le parti del mondo, sebbene sia rimasto senza alcuna unzione di re o di sacerdoti - unzione nella quale è figurato il nome di Cristo - tuttavia conserva ancora alcuni resti delle sue antiche osservanze. Quanto ai riti dei Romani riguardanti il culto degli idoli, sebbene vinto e soggiogato, quel popolo non ha voluto mai accettarli. Così gli Ebrei sono latori dei libri profetici che recano la testimonianza a favore di Cristo e pertanto in base a libri conservati da nemici si dimostra la verità su Cristo annunziato dai Profeti. Cosa vogliono dunque i miseri increduli? Lodando malamente Cristo, manifestano chi sono loro stessi! Ammesso pure che alcuni libri di magia si facciano passare come opera di Cristo, è certo che la sua dottrina si oppone decisamente a tali arti. Da ciò si dovrebbe piuttosto ricavare quanto grande sia quel nome, usando il quale anche coloro che vivono contro la sua legge cercano di dare prestigio alle proprie arti delittuose. È quel che accade nei diversi errori umani. Molti hanno dato origine a svariate eresie contrapponendosi alla verità in base al nome di Cristo. Allo stesso modo si comportano anche questi altri suoi nemici, i quali per far credere alla gente dottrine contrarie a quelle di Cristo pensano di non poter trovare appoggio più autorevole del nome di Cristo.
I pagani costretti a lodare Cristo.
15. 23. E che dire di quei vani parolai, ammiratori di Cristo e calunniatori biechi della religione cristiana? Essi non osano dir male di Cristo perché certi loro filosofi - come ha testimoniato nei suoi libri il siciliano Porfirio - hanno consultato i propri dèi su quale responso dessero di Cristo e costoro negli oracoli che pronunziarono furono costretti a lodarlo! Né c'è da stupirsi di questo, se leggiamo nel Vangelo che i demoni lo confessarono 41, quei demoni di cui leggiamo nei Profeti: Tutti gli dèi delle genti sono demoni 42. Per questo motivo costoro, per non agire contro i responsi dei loro dèi, si astengono dallo sparlare di Cristo mentre invece scaricano ingiurie contro i suoi discepoli. Quanto a me, mi sembra che quegli dèi del paganesimo che i filosofi pagani poterono consultare, se fossero interrogati su questo argomento sarebbero costretti a lodare non solo Cristo ma anche i suoi discepoli.
La distruzione degli idoli era stata predetta in epoca preapostolica.
16. 24. I pagani sostengono che la distruzione dei templi, la riprovazione dei sacrifici e l'abbattimento dei simulacri non è da ascriversi agli insegnamenti di Cristo ma è colpa dei suoi discepoli, i quali - è loro forte convincimento - hanno insegnato dottrine diverse da quelle che avevano apprese dal Maestro. In tal modo, mentre onorano e lodano Cristo, si propongono di sradicare la religione cristiana, perché è certamente tramite i discepoli di Cristo che sono stati diffusi quei detti e fatti di Cristo sui quali poggia la religione cristiana. La quale religione è, ovviamente, in contrasto con quei pochi nostalgici del passato, tanto pochi che ormai non osano più combatterla anche se brontolano contro di lei. Se pertanto costoro non vogliono credere che Cristo abbia insegnato ciò che insegnano i cristiani, leggano i Profeti, che non solo comandarono di distruggere le superstizioni idolatriche ma anche predissero che questa distruzione sarebbe avvenuta nell'era cristiana. Se essi si ingannarono, perché così manifestamente la cosa è avvenuta secondo le loro predizioni 43? Se essi dicevano la verità, perché resistere a una divinità così potente?
I Romani esclusero dal Pantheon solo il Dio degli Ebrei.
17. 25. A questo punto occorrerà chiedere più approfonditamente a costoro che sorta di dio ritengano essere il Dio d'Israele e perché non ne abbiano accettato il culto come hanno fatto con gli dèi delle altre nazioni sottomesse dall'Impero romano, tenendo specialmente presente quella loro norma secondo la quale il sapiente deve venerare tutti gli dèi. Perché mai - chiediamo - questo Dio è stato escluso dal consesso degli dèi? Se è molto potente, perché lui solo non è da loro venerato? Se ha poca o nessuna potenza, come mai, distrutti i simulacri delle altre divinità, adesso lui solo - o quasi- viene adorato da tutti i popoli? In nessun modo dal cappio di questo interrogativo possono sfuggire coloro che, mentre adorano gli dèi maggiori e minori, perché appunto ritenuti dèi, non adorano questo Dio che si è imposto a tutte le altre divinità da loro adorate. Se è un dio di grande potenza, perché s'è pensato di eliminarlo? Se è un dio di piccola o media potenza, come poté compiere così grandi imprese dopo che era stato riprovato? Se è buono, perché lui solo viene tenuto lontano dagli altri dèi buoni? Se è cattivo, come mai lui, che è solo, non viene sottomesso da tanti dèi buoni? Se è veritiero, perché respingere i suoi comandi? Se è bugiardo, come mai si stanno avverando alla lettera le sue predizioni?
Il Dio degli Ebrei esige un culto esclusivo.
18. 26. Alla fine delle fini pensino di lui quello che vogliono. O che forse i Romani non pensano di dover venerare anche gli dèi cattivi, loro che hanno eretto templi a Pallore e a Febbre, loro che suggeriscono di invitare i demoni e di placare i demoni ? Qualunque opinione abbiano quindi di lui, perché lui solo hanno ritenuto non doversi invocare né rendersi propizio? Chi è mai questo Dio o quanto è ignoto perché, in mezzo a una così grande moltitudine di dèi, solo lui ancora non sia stato scoperto? O viceversa quanto è noto per essere, lui solo, attualmente venerato da una così grande moltitudine di persone? Non rimane quindi altro se non che confessino di non aver voluto accogliere i riti di questo Dio per il semplice motivo che egli vuol essere adorato da solo e proibisce di adorare gli dèi delle genti venerati in antecedenza dai Romani. In realtà questo fatto dovrebbero piuttosto indagare: chi o come si debba concepire quel Dio che non tollera si onorino insieme con lui altre divinità, alle quali i Romani avevano costruito templi e statue. Si dovrebbe anche appurare dove questo Dio abbia attinto una tale potenza che la sua volontà di abbattere i simulacri pagani abbia prevalso sulle volontà degli idolatri di non accogliere i suoi riti. Si rende qui palese all'evidenza la massima di quel filosofo pagano che, anche secondo i responsi dell'oracolo, si ritiene universalmente essere stato il più sapiente di tutti gli uomini. La massima è infatti di Socrate, il quale diceva che ogni dio dev'essere venerato con quel culto che egli stesso ha prescritto. Di conseguenza nacque nei pagani un'assoluta necessità di non venerare il Dio degli Ebrei. Se infatti avessero voluto prestargli un culto diverso da quello prescritto da lui, non avrebbero venerato lui ma un'altra divinità immaginaria. Se al contrario l'avessero onorato nel modo da lui richiesto, era evidente che non potevano più venerare gli altri dèi, perché egli lo proibiva. Pertanto rigettarono il culto dell'unico vero Dio per non offendere i molti dèi falsi, considerando che l'ira di questi molti avrebbe recato loro maggior danno di quanto non li avrebbe beneficiati la benevolenza di quell'Unico.
Il Dio degli Ebrei è il vero Dio.
19. 27. Ma ammettiamo pure l'esistenza di questa insulsa necessità e di questo ridicolo timore. Quanto a noi, vogliamo ora indagare cosa pensino di questo Dio gli uomini che amano adorare tutti gli dèi. Se questo Dio non lo si deve adorare, come si fa a dire che si adorano tutti gli dèi, mentre questo non è adorato? Che se poi lo si adora, non si può adorare nessuno degli altri dèi, poiché questo Dio, se non si venera lui solo, non è venerato affatto. Forse diranno che questo non è un dio, dal momento che chiamano dèi quegli altri che, come noi crediamo, non possono far null'altro all'infuori di quel che è consentito loro da questo Dio nel suo giudizio. Essi non solo non possono giovare ma nemmeno nuocere se non in quanto li lascia nuocere colui che può tutto. Come loro stessi sono costretti a confessare, gli dèi riuscirono, sì, a compiere delle opere ma minori di quelle che sappiamo compiute dal nostro Dio. Supponiamo quindi, tanto per fare un'ipotesi, che siano dèi coloro i cui vati, consultati dalla gente, non dico la ingannarono ma diedero dei responsi a scadenza ravvicinata e su faccende private. Come non sarà dunque Dio colui i cui vati risposero con precisione non solo intorno alle cose temporali su cui venivano consultati, ma anche su cose di cui non li si consultava: cose concernenti l'intero genere umano, e a tutte le genti predissero tanto prima eventi che adesso leggiamo e vediamo? Se chiamano dio colui che riempì la Sibilla e le fece predire le vicende storiche dei Romani, come non sarà Dio colui che, secondo le sue predizioni, ha dimostrato inequivocabilmente che i Romani e tutte le nazioni attraverso il Vangelo di Cristo avrebbero creduto in lui, unico Dio, e tutti i simulacri dei loro padri sarebbero stati abbattuti? Finalmente, se chiamano dèi quelli che mai hanno osato per bocca dei loro vati dire alcunché contro questo Dio, come non sarà Dio colui che per bocca dei suoi Profeti ha comandato di distruggere i simulacri delle altre divinità, non solo, ma ha predetto che in tutti i popoli questi simulacri sarebbero stati distrutti? E a distruggerli sarebbero stati i pagani stessi che, abbandonando le loro divinità, avrebbero adorato quest'unico Dio, come egli stesso aveva ordinato e loro, docili, s'erano piegati ai suoi comandi 44!
Il Dio degli Ebrei e i vaticini pagani.
20. 28. Vengano dunque a leggerci, se possono, testi di qualche Sibilla o di qualcuno dei loro vati in cui si predice che un giorno il Dio degli Ebrei, il Dio d'Israele, sarebbe stato adorato da tutte le genti, mentre in un primo momento gli adoratori degli altri dèi a buon diritto lo avevano rifiutato. Ci leggano testi in cui si predice che gli scritti dei Profeti di lui avrebbero raggiunto un grado di autorità così elevato che, in ossequio ad essi, anche l'Impero romano avrebbe comandato di abbattere le statue o avrebbe esortato a non obbedire alle prescrizioni religiose antecedenti. Ci leggano, se possono, cose come queste attingendole ai libri di qualcuno dei loro vati. Tralascio infatti di dire che quanto si legge nei loro libri rende testimonianza alla nostra religione, cioè alla religione cristiana, in quanto vi si trovano cose che gli oracolisti poterono udire dagli angeli santi o dagli stessi nostri Profeti. È quanto successe ai demoni allorché furono costretti a confessare Cristo presente nella carne 45. Preferisco però sorvolare su queste cose poiché, quando ne parliamo, essi sostengono che sono invenzioni tirate in ballo dai cristiani. Loro, sì loro, debbono essere messi alle corde perché citino una qualche profezia proferita dai vati delle loro divinità contro il Dio degli Ebrei, come noi dai libri dei nostri Profeti desumiamo tante e tanto severe prescrizioni contro le divinità pagane, e come le citiamo predette così le mostriamo realizzate 46. Riguardo a queste cose, quei pochi che sono rimasti [nell'idolatria] si dispiacciono che siano accadute e si ostinano a non riconoscere come Dio colui che poté preannunziarne il compimento, mentre dai loro falsi dèi - che poi sono veri demoni - null'altro d'importante desiderano apprendere se non qualche responso concernente il loro avvenire.
Adorare l'unico Dio.
21. 29. Stando così le cose, perché mai questi miseri non dovrebbero capire che il Dio vero è quello che vedono segregato dai loro dèi in modo tale che essi, pur professando che bisogna venerare tutti gli dèi, non vengono autorizzati a venerare insieme con gli altri anche questo che pur sono costretti a riconoscere come Dio? Non potendolo venerare insieme con gli altri, perché non scegliere questo Dio che proibisce di venerare gli altri dèi, abbandonando questi altri che non proibiscono di venerare un unico Dio? Se poi lo proibiscono, si legga [dov'è proibito]. Che cosa infatti più di questo dovrebbe essere letto ai loro popoli nei loro templi, dove invece mai è risuonato alcunché di questo genere? In verità dovrebbe esser più nota e più valida la proibizione di molti contro uno che non quella di uno contro molti. E, di fatto, se il culto di questo Dio è empio, inetti sono gli dèi che non distolgono gli uomini dall'empietà; se invece il suo culto è una religione vera, essendo in essa inclusa la proibizione di venerare gli dèi del paganesimo ne deriva che il loro culto è empio. Se poi essi con grande risolutezza proibiscono che questo Dio sia venerato, è tuttavia più forte in loro il timore d'essere ascoltati che non la mancanza di coraggio nel ricorrere a proibizioni. Di fronte a ciò chi non sarà così intelligente e sensato da scegliere questo Dio che tanto pubblicamente vieta di adorare gli altri, che ha comandato di rovesciare le loro statue, che l'ha predetto e di fatto le ha rovesciate? Chi oserà preferirgli quegli altri dèi di cui non leggiamo che abbiano proibito di venerare questo strano Dio? Non leggiamo che l'abbiano predetto e non vediamo che siano riusciti a farlo! Li prego, rispondano: Chi sarà mai questo Dio che tanto si accanisce contro tutti gli dèi del paganesimo, che mette a nudo tutti i loro riti e riesce ad eliminarli?
Il pensiero dei pagani sul nostro Dio.
22. 30. Ma vale la pena d'interrogare questi uomini che sono diventati stolti investigando chi sia il nostro Dio? Alcuni dicono: È Saturno, credo perché gli si santifica il sabato, giorno che essi hanno attribuito a Saturno. Il loro Varrone - la persona più dotta presso di loro - ha poi ritenuto che il Dio dei Giudei fosse da identificarsi con Giove, opinando non esserci alcuna differenza sotto qualunque nome lo si chiami, purché si intenda la stessa realtà. Credo che egli fosse atterrito dalla sua altissima maestà. Difatti i Romani non venerano alcun dio superiore a Giove, come attesta abbastanza chiaramente il loro Campidoglio, e ritengono questo dio come re di tutti gli dèi. Notando dunque come i Giudei adorassero il Dio sommo, non poté pensare ad altri che a Giove. Ma tanto coloro che ritengono il Dio dei Giudei essere Saturno quanto coloro che lo ritengono Giove, abbiano la compiacenza di dirci quando Saturno osò proibire che si venerasse un altro dio, compreso Giove che, pur essendo suo figlio, spodestò dal regno lui, suo padre. Ora se Giove in quanto più potente e vittorioso piacque di più ai suoi devoti, cessino di adorare Saturno vinto e detronizzato! Ma Giove non vietò che lo si adorasse e lasciò che rimanesse dio colui che egli aveva sconfitto.
Storia di Saturno e Giove.
23. 31. Tutte queste - dicono - sono favole che il sapiente dovrà o interpretare o riderci sopra. Quanto a noi, veneriamo Giove, del quale dice Marone: Di Giove sono piene tutte le cose 47. Egli è in realtà lo spirito che a tutto dà vita 48. Aveva ragione quindi anche Varrone quando riteneva che i Giudei adorassero Giove perché per bocca del profeta egli dice: Io riempio il cielo e la terra 49. Che dire poi di quell'essere che il citato poeta chiama etere? Come l'intendono? Dice infatti così: Allora il padre onnipotente, l'etere, discese con piogge feconde nel grembo della lieta sposa 50. Ora quest'etere - a quanto essi dicono - non è uno spirito ma un corpo dimorante nelle alte sfere, là dove si stende il cielo al di sopra dell'aria. O che si debba ammettere che il poeta parli ora secondo i platonici, per cui esso non è corpo ma spirito, ora secondo gli stoici, per i quali Dio è un corpo? Cosa insomma venerano sul Campidoglio? Se uno spirito, se magari lo stesso cielo corporeo, che sta lì a fare quello scudo di Giove che chiamano Egida? Tale infatti, a quanto si racconta, sarebbe stata l'origine di questo nome: Giove fu occultato da sua madre e in quel periodo fu nutrito da una capra. O che i poeti mentiscono anche nel riferire avvenimenti come questo? O sarà forse anche il Campidoglio dei Romani un'opera di poeti? Che intende significare questa varietà, non poetica ma addirittura farsesca, per cui secondo i filosofi si vanno a cercare gli dèi nei libri, secondo i poeti li si va ad adorare nei templi?
23. 32. Ma fu forse un poeta quell'Evemero che a proposito di Giove, del suo padre Saturno e di Plutone e Nettuno, suoi fratelli, asserisce in maniera quanto mai franca che furono uomini? In tale ipotesi gli adoratori di questi dèi dovrebbero ringraziare i poeti che inventarono molti fatti non per disonorarli ma per abbellirne la figura. A proposito poi di questo Evemero Cicerone ricorda che fu tradotto in latino da Ennio, che era un poeta 51. Ma forse che fu un poeta lo stesso Cicerone? Costui nelle Tuscolane ammonisce il suo interlocutore quasi fosse un iniziato ai misteri, dicendogli: Se mi mettessi a scrutare le cose antiche e volessi ricavare qualcosa da ciò che hanno messo in risalto gli scrittori greci, si riscontrerà che quelle stesse divinità che i popoli considerano dèi degli antenati non sono altro che uomini vissuti in mezzo a noi e trasportati in cielo. Indaga di quali dèi si mostrino ancora le tombe in Grecia. Essendo un iniziato, ricorda cosa si insegna nei misteri; e così finalmente troverai quanto sia vasto questo fenomeno 52. Ecco Cicerone confessare con sufficiente chiarezza che gli dèi antecedentemente erano stati uomini; per benevolenza però avanza l'ipotesi che siano giunti in cielo, anche se altrove non dubita di dire pubblicamente che questo onore e questa fama furono ad essi attribuiti dal popolo. Parlando infatti di Romolo dice: Siamo stati noi che, aumentandogli benevolmente la fama, abbiamo annoverato fra gli dèi immortali questo Romolo, fondatore della nostra città 53. Cosa c'è dunque di sorprendente se gli antichi fecero a Giove, a Saturno e agli altri dèi ciò che i Romani fecero a Romolo e finalmente, in tempi a noi più vicini, vollero fare a Cesare? A costoro anche Virgilio aggiunse l'adulazione poetica dicendo: Ecco s'è fatto avanti l'astro di Cesare, figlio di Venere 54. Badino quindi a che la verità storica non mostri sulla terra le tombe di questi falsi dèi, mentre la vacuità poetica non dico colloca ma immagina in cielo le loro stelle. In effetti, non è vero che quella stella sia di Giove e quell'altra di Saturno; furono piuttosto gli uomini, che vollero considerare come dèi quei morti e per questo, dopo la loro morte, imposero i loro nomi alle stelle, create fin dall'inizio del mondo. Sotto questo profilo verrebbe da chiedersi quale demerito abbia avuto la castità o quale beneficio abbia recato la sfrenatezza nei piaceri, perché Venere avesse la sua stella in mezzo agli astri che girano con il sole e la luna, e Minerva non avesse altrettanto.
23. 33. Ammettiamo per un istante che meno attendibile dei poeti sia stato lo stesso accademico Cicerone, il quale nei suoi scritti parla dei sepolcri degli dèi, non presumendo - è vero - esprimere la propria opinione ma riferendo quant'era tramandato in relazione al loro culto. Forse che anche di Varrone si potrà dire che immagini le cose da poeta o ne parli dubitando come un accademico, quando dice che il culto degli dèi fu composto in conformità con la vita e la morte con cui ciascuno di loro visse o morì quando era in mezzo agli uomini? O forse che fu poeta o accademico quel sacerdote egiziano di nome Leonte che ad Alessandro il Macedone attribuisce un'origine certo diversa da quella che, stando all'opinione dei greci, avrebbero avuto i loro dèi, ma pur tuttavia sentenzia che questi dèi sono stati degli uomini?
23. 34. Ma che interessa a noi tutto questo? Dicano pure che adorando Giove non adorano un uomo morto e che non ad un uomo morto hanno dedicato il Campidoglio ma allo spirito che dà vita a tutte le cose e che riempie il mondo, e interpretino pure come vogliono il suo scudo, fatto di pelle caprina, in onore della sua nutrice. Cosa dicono di Saturno? Quale Saturno venerano? Non fu lui quel tale che per primo venne dall'Olimpo fuggendo le armi di Giove è diventato un esule per essergli stati tolti i regni? Egli educò quella gente ignorante e dispersa sui monti alti dandole delle leggi, e gli stette a cuore che [il territorio] si chiamasse Lazio per il fatto che egli s'era nascosto in quelle piagge e vi si era posto al sicuro 55. Non è forse vero che il suo simulacro lo si costruisce col capo coperto per indicare, quanto è possibile, uno che si nasconde? Non fu forse lui che insegnò ai popoli italici l'agricoltura come indica la falce che reca in mano? Rispondono: No. Così infatti tu supponi che colui del quale si narrano tali cose sia stato un uomo o un re; quanto a noi, invece, chiamiamo Saturno l'universalità del tempo, come dimostra anche il suo nome greco. Si chiama infatti , che coll'aggiunta dell'aspirazione è anche il nome del tempo. In latino lo si chiama Saturno, come per dire uno che è sazio di anni. Ma a questo punto non so più perché si debba ancora trattare con costoro che, nel tentativo di spiegare in meglio i nomi e i simulacri dei loro dèi, confessano che il loro dio principale, quello che è padre di tutti gli altri, è il tempo. Cos'altro ci indicano con questo se non che tutti i loro dèi sono entità temporali, dal momento che, com'essi attestano, padre comune di tutti è il tempo?
23. 35. Di questo si sono vergognati certi loro filosofi più recenti, i platonici, vissuti ai tempi del Cristianesimo. Essi hanno tentato di spiegare diversamente il nome di Saturno, dicendo che fu chiamato in quanto il termine deriva da sazietà d'intelligenza. In greco infatti "sazietà" si dice mentre l'"intelletto" o la "mente" si dice . Ciò sarebbe confermato dal nome latino, quasi composto da una prima parte latina e da una successiva greca, per cui si chiamerebbe Saturno come per indicare chi è "sazio di ". Questi filosofi si accorsero subito che era un'assurdità ritenere figlio del tempo Giove, che credevano o volevano si credesse essere un dio eterno. È questa un'interpretazione recente che, se l'avessero avuta i loro avi, sarebbe strano come possa essere sfuggita a Cicerone e a Varrone. Secondo i platonici dunque s'insegna che Giove fu figlio di Saturno come spirito derivante da quella mente suprema, egli che, come loro vogliono, è quasi l'anima del mondo e riempie tutti i corpi celesti e terrestri. Da ciò quel detto di Marone che ho ricordato poc'anzi: Di Giove sono piene tutte le cose 56. Se fosse in loro potere, forse che questi filosofi, come hanno cambiato l'interpretazione del nome, non cambierebbero anche la superstizione della gente ed eliminerebbero tutti i simulacri, e i Campidogli non li erigerebbero forse a Saturno piuttosto che a Giove? Essi infatti sostengono che nessun'anima razionale può diventare sapiente se non per la partecipazione di quella suprema e immutabile sapienza; e questo non soltanto per l'anima dei singoli uomini ma anche per l'anima stessa del mondo, che chiamano Giove. Quanto a noi, non solo concediamo ma anche con tutte le forze predichiamo che esiste una suprema sapienza, quella di Dio, con la partecipazione della quale diventa sapiente ogni anima veramente sapiente 57. Se poi questo universo corporeo che chiamiamo mondo abbia, per così dire, una sua propria anima o quasi-anima, cioè una vita razionale da cui viene sostenuto come gli altri esseri viventi, è una questione grande e impenetrabile. Una simile ipotesi non si deve sostenere se non dopo che si è assodato che è vera, né si deve ripudiare se non dopo che si è assodato che è falsa. Cosa poi interessa all'uomo se la risposta gli dovesse rimanere oscura per sempre? In effetti nessun'anima diventa sapiente o beata per l'influsso di qualsiasi altra anima, ma solamente se attingerà tali benefici presso l'unica suprema e immutabile sapienza, che è quella di Dio.
23. 36. Tuttavia i Romani, che eressero il Campidoglio non a Saturno ma a Giove, oppure le altre nazioni che ritennero di dover adorare in primo luogo Giove collocandolo al di sopra di tutti gli dèi, non la pensarono come questi filosofi. Costoro, in conformità con la nuova teoria che insegnano, se avessero avuto pubblici poteri, sia pure limitati a tali questioni, avrebbero di preferenza consacrato le loro più alte roccheforti a Saturno e, soprattutto, avrebbero spazzato via i matematici o genetliaci che collocavano Saturno, dai platonici chiamato saggio creatore, tra gli altri astri in qualità di dio malefico. Questa credenza, contraria a quella dei filosofi, s'è invece talmente affermata nell'animo della gente che non lo vuole neppure nominare e invece di "Saturno" lo chiamano "il Vecchio". Per questa superstizione basata sul timore i Cartaginesi hanno cambiato perfino il nome di un loro villaggio, chiamandolo più spesso il "Villaggio del Vecchio" che non il "Villaggio di Saturno".
Il culto idolatrico e il culto di Dio.
24. 37. È dunque ormai chiaro che cosa venerano gli adoratori di simulacri (debbono ammetterlo anche loro!) e che cosa essi tentano di far comparire. Ma anche a questi ultimi sostenitori di un Saturno così rappresentato, si potrebbe domandare quale sia la loro opinione riguardo al Dio degli Ebrei. Anch'essi infatti, alla pari degli altri pagani, ammisero con gioia che si debbono venerare tutti gli dèi, pur vergognandosi nella loro superbia di umiliarsi a Cristo per ottenere la remissione dei peccati. Qual è dunque il loro pensiero circa il Dio d'Israele? Se non lo venerano, non venerano tutti gli dèi; se invece lo venerano non rispettano le sue prescrizioni in materia di culto, in quanto venerano anche altri dèi, cosa da lui proibita. Lo proibì infatti per bocca di quei Profeti ad opera dei quali predisse che ai loro simulacri sarebbero accadute quelle sventure che ora si rovesciano su di loro per mano dei cristiani. A tali Profeti è probabile che furono inviati degli angeli, i quali figuratamente, cioè mediante immagini adeguate tratte dalle cose sensibili, mostrarono alla loro mente che l'unico vero Dio è il Dio creatore dell'universo, a cui tutte le cose sono sottomesse, e indicarono ancora quale fosse il culto con cui voleva essere venerato. È anche probabile, almeno per alcuni di loro, che lo Spirito Santo ne abbia elevato la mente a tanta altezza che nella stessa visione videro anche ciò che vedono gli angeli. Sta di fatto che essi prestarono il culto a quel Dio che proibiva di adorare altri dèi e glielo prestarono con fede e religiosità nel regno e nel sacerdozio della loro patria e con riti che significavano la venuta di Cristo, re e sacerdote.
Gli dèi falsi accettano la pluralità di culto, il Dio d'Israele no.
25. 38. I pagani, mentre adorano gli dèi delle genti, si rifiutano di adorare quel Dio che non può essere adorato insieme con gli altri. Ebbene, ci dicano per qual motivo non si trovi nessuno, fra questi dèi, che proibisca di adorarne un altro, mentre assegnano a ciascuno di loro un suo proprio ufficio o mansione e affermano che ciascuno domina sulle cose di sua competenza. È pertanto ammissibile che Giove non proibisca che si adori Saturno dal momento che egli non è quell'uomo che scacciò dal regno il padre, uomo come lui, ma o il corpo del cielo o lo spirito che riempie il cielo e la terra. In tale ipotesi non può certo proibire che si adori la mente suprema dalla quale si dice essere emanato. Così anche Saturno non può proibire che si adori Giove perché effettivamente non fu superato da lui, figlio ribelle - come invece sarebbe stato quel tal Giove, del quale Saturno volendo sfuggire le armi venne in Italia -, ma essendo la prima mente, tratta benevolmente l'anima da sé generata. Ma almeno Vulcano dovrebbe proibire che si adori Marte adultero con sua moglie, Ercole che si adori Giunone sua persecutrice. Che cos'è, poi, quel mutuo accordo - veramente sconcio! - per cui nemmeno Diana, vergine casta, proibisce di adorare non dico Venere ma nemmeno Priapo? In effetti, se un uomo vuol fare e il contadino e il cacciatore, dovrà essere devoto di tutt'e due queste divinità, anche se si vergogna di costruire i loro templi vicini l'uno all'altro. Ma interpretino pure Diana come la virtù che vogliono, interpretino Priapo come dio della fecondità; si vergognino tuttavia di dire che Giunone si serve d'un tale collaboratore per fecondare le donne. Comunque, dicano pure quel che loro piace, spieghino ogni cosa secondo la loro sapienza! Lascino però al Dio d'Israele la facoltà di sconvolgere tutte queste loro argomentazioni. Questo Dio infatti ha proibito di adorare tutti gli altri dèi, mentre nessuno di questi dèi ha proibito che lui venisse adorato e inoltre, per quanto riguarda i simulacri e le cerimonie, ne ha comandato l'annientamento, e come aveva predetto così ha fatto. Ciò facendo ha dato prova sufficiente che questi dèi sono falsi e fallaci, lui invece Dio vero e veritiero.
25. 39. Volgiamoci ora ai pochi adoratori superstiti di tanta moltitudine di dèi falsi. Essi - è sorprendente - non vogliono obbedire a quel Dio che, se loro si domanda chi sia, rispondono tirando fuori le più svariate opinioni, tuttavia non osano negare che egli sia Dio. Se infatti lo negassero, sarebbe facilissimo convincerli attraverso le opere di lui, predette prima e poi realizzate. Né mi riferisco a quelle sue opere che essi ritengono esser libero crederci o no: come, ad esempio, che egli creò in principio il cielo e la terra e tutte le cose che sono in essi 58, e nemmeno quelle altre, troppo antiche, quali il fatto che rapì Enoch 59, che annientò gli empi con il diluvio, che liberò dalle acque mediante l'arca il giusto Noè e la sua famiglia 60. Voglio iniziare il racconto delle gesta da lui compiute fra gli uomini con la storia di Abramo. Fu infatti ad Abramo che gli angeli fecero, a mo' di oracolo, quell'esplicita promessa, che vediamo adempiersi ai nostri giorni. A lui fu detto: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti 61; e difatti dalla sua discendenza derivò il popolo d'Israele e, in esso, anche la Vergine Maria che partorì il Cristo, nel quale neghino, se possono, che vengono benedette tutte le genti. Questa stessa promessa fu fatta anche ad Isacco, figlio di Abramo 62. E fu fatta pure a Giacobbe, nipote di Abramo che fu chiamato pure Israele. Da lui quel popolo nella sua globalità si propagò e prese nome, tanto che il Dio di quel popolo si chiamò Dio d'Israele: non nel senso che egli non sia Dio di tutte le genti, tanto quelle che non lo conoscono quanto quelle che lo conoscono, ma perché in detto popolo egli volle che apparisse più manifestamente la validità delle sue promesse. Da principio infatti quel popolo si moltiplicò in Egitto, finché da quella schiavitù non venne liberato da Mosè con molti segni e portenti. Debellate quindi moltissime popolazioni, conquistò anche la terra della promessa, in cui stabilì un regno con re propri nati dalla tribù di Giuda 63. Questo Giuda fu uno dei dodici figli d'Israele, nipote di Abramo. In riferimento a lui gli Israeliti furono chiamati Giudei: e questi Giudei con l'aiuto del loro Dio compirono molte imprese e, da lui flagellati per le loro colpe, subirono molte sciagure, fino alla venuta di quel discendente a cui [il regno] era stato promesso. In lui sarebbero state benedette tutte le genti 64, le quali avrebbero anche abbattuto di loro spontanea volontà i simulacri eretti dai padri 65.
Scompare l'idolatria.
26. 40. Quel che si compie ad opera dei cristiani non è stato predetto durante l'era cristiana ma molto tempo prima. Gli stessi Giudei, che sono rimasti nemici del nome di Cristo ostinandosi nella perfidia prevista dagli stessi scritti profetici, gli stessi Giudei, dico, hanno e leggono un profeta che dice: Signore, mio Dio e mio rifugio nel giorno del male, a te verranno le genti dall'estremità della terra e diranno: Veramente i nostri padri hanno venerato falsi simulacri, nei quali non c'è alcun vantaggio 66. Ecco, accade ora; ecco, ora le genti vengono a Cristo dalle estremità della terra ripetendo queste parole e abbattendo i simulacri. In effetti un'altra cosa grande ha concesso Dio alla sua Chiesa diffusa in tutto il mondo, e mi riferisco al fatto che la nazione giudaica sia stata meritamente debellata e sparpagliata in diversi paesi. Perché non si dicesse che le profezie sono state composte da noi, è lei che porta ovunque i testi dei nostri Profeti riguardanti le cose avvenute ai tempi nostri, sicché, nemica com'è della nostra fede, è diventata testimone della nostra verità. Come si fa dunque a dire che i discepoli di Cristo abbiano insegnato cose che non avevano appreso da Cristo - così blaterano delirando certi stolti-, che si distruggesse cioè la superstizione degli dèi e dei simulacri del paganesimo? Forse che anche di quelle profezie che oggi si leggono nei libri dei nemici di Cristo si può dire che le abbiano inventate i discepoli di Cristo?
26. 41. Chi ha dunque abbattuto simulacri e dèi se non il Dio d'Israele? Fu detto infatti a quel popolo da voci divine pervenute a Mosè: Ascolta Israele! Il Signore Dio tuo è un Dio unico 67. Non ti farai alcun idolo né immagine di divinità su in cielo né quaggiù in terra 68. Una volta conquistato il potere deve poi abbattere tutte queste cose. Eccone il comando: Non adorerai i loro dèi né li servirai. Non ti comporterai secondo le loro opere ma inesorabilmente toglierai dal piedistallo e manderai in frantumi le loro statue 69. E di Cristo e dei cristiani chi potrebbe dire che non appartengano ad Israele, se Israele è nipote di Abramo, al quale per la prima volta fu detto - e successivamente fu ripetuto al suo figlio Isacco e al suo nipote Israele - quel che sopra ho ricordato e cioè: Nella tua discendenza saranno benedette tutte le genti 70? È quanto osserviamo essersi realizzato in Cristo poiché derivava proprio da quella stirpe la Vergine della quale un profeta del popolo d'Israele e del Dio d'Israele cantò dicendo: Ecco la Vergine concepirà e partorirà un figlio che chiameranno con il nome di Emmanuele 71. Ora Emmanuele significa Dio con noi 72. È stato dunque il Dio d'Israele a proibire che si adorassero gli altri dèi e si costruissero idoli; egli stesso ha comandato di abbatterli e per mezzo del profeta ha predetto che le genti dalle estremità della terra avrebbero detto: Veramente i nostri padri hanno venerato falsi simulacri, nei quali non c'è alcun vantaggio 73. Ebbene questo stesso Dio, mediante il nome di Cristo e la fede dei cristiani, ha comandato la distruzione di tutte le superstizioni pagane, e come aveva predetto così ci ha fatto vedere adempiuto. Sono quindi veramente miserabili - e per di più invano in quanto anche dai loro dèi, cioè dai demoni, intimoriti dal nome di Cristo, è stato loro vietato di bestemmiare Cristo - questi pagani che sostengono essere estranea a Cristo la dottrina in forza della quale i cristiani nelle loro apologie attaccano gli idoli e dove possono lavorano per sradicare tutte le false religioni del paganesimo.
I rimanenti idolatri si convertano a Dio.
27. 42. Ci diano una risposta adeguata nei riguardi del Dio d'Israele che, a quanto attestano i Libri non solo dei cristiani ma anche dei Giudei, insegna e comanda queste cose. Su di lui consultino i loro dèi che proibirono di bestemmiare Cristo. Diano, se ne hanno l'ardire, delle risposte offensive nei confronti del Dio d'Israele. Ma chi dovrebbero consultare o dove ormai andarli a consultare? Leggano i libri dei loro autori. Per parlare un momentino solo secondo la loro opinione, se, come scrisse Varrone, ritengono che il Dio d'Israele sia Giove, perché non credono a Giove quando asserisce che occorre distruggere gli idoli? Se lo ritengono Saturno, perché non lo venerano? O perché non lo venerano com'egli prescrisse attraverso i suoi vati, adempiendo poi ciò che per loro bocca aveva predetto? Perché non gli credono quando dice che occorre abbattere i simulacri e che non si debbono adorare altri dèi? Se non è né Giove né Saturno - se infatti fosse uno dei due non parlerebbe così severamente contro il culto di Giove e di Saturno - chi è dunque questo Dio che dai pagani è l'unico a non essere adorato a motivo del loro attaccamento verso gli altri dèi? Egli viceversa, annientati tutti questi dèi, è riuscito - come ognuno vede - a farsi adorare lui solo, umiliando ogni superba altezza che si era sollevata contro Cristo in favore degli idoli e aveva perseguitato e ucciso i cristiani. Adesso eccoli cercare dei nascondigli per offrire i loro sacrifici, eccoli cercare un posto dove rintanare gli stessi loro dèi perché non siano trovati e distrutti dai cristiani. Da cosa è derivato tutto questo se non dal timore delle leggi e dei re ad opera dei quali, divenuti sudditi del nome di Cristo, il Dio d'Israele esercita il suo potere? È quanto egli aveva promesso molto tempo prima dicendo per bocca del profeta: E lo adoreranno tutti i re della terra, tutte le genti lo serviranno 74.
L'eversione degli dèi era stata predetta.
28. 43. Voglio dire che ora si adempie anche quanto aveva cantato il profeta: che cioè Dio avrebbe perdonato il suo popolo empio. Effettivamente non era stato empio tutto quel popolo, poiché molti Israeliti credettero in Cristo, essendo Israeliti anche gli Apostoli di lui. Egli avrebbe invece umiliato ogni uomo superbo e bestemmiatore, perché lui solo fosse esaltato, cioè si palesasse dinanzi agli uomini come il solo eccelso e potente. Gli idoli sarebbero stati abbattuti dai credenti e sarebbero stati nascosti dai non credenti, mentre per il timore di Dio la terra si frantuma: per timore cioè vanno in frantumi gli uomini terreni, i quali sono presi da spavento dinanzi alla legge o di Dio stesso o di coloro che, credendo in lui e regnando sui popoli, proibiscono gli antichi sacrilegi.
28. 44. Queste cose dice infatti un profeta e io, se vi ho premesso una breve introduzione, l'ho fatto perché le si comprenda più facilmente. Egli dice: E ora eccomi a te, o casa di Giacobbe. Venite, camminiamo nella luce del Signore. Egli ha rigettato il suo popolo, la casa d'Israele, perchè il loro paese, com'era successo agli inizi, si è riempito di àuguri come presso gli stranieri, e molti figli stranieri sono nati ad essi. E il loro paese si è riempito di argento e di oro ed erano innumerevoli i loro tesori. E la terra si è riempita di cavalli e innumerevoli erano i loro carri. E la terra si è riempita di abomini, opera delle loro mani, e hanno adorato quel che le loro dita avevano costruito. E l'uomo si è loro inchinato e il forte si è abbassato davanti a loro; ma io non li perdonerò. E ora entrate nelle caverne e nascondetevi sotto terra dalla presenza del Dio terribile e di fronte alla maestà della sua potenza, quando si leverà a distruggere la terra. Gli occhi del Signore sono infatti altissimi mentre l'uomo è tapino; e ogni altezza umana sarà abbassata e si innalzerà solo il Signore, in quel giorno. Infatti il giorno del Signore degli eserciti verrà su ogni blasfemo e superbo e su ogni persona altolocata ed elevata - essi saranno abbassati - e su ogni cedro del Libano, alto e prestante, e su ogni albero del Libano e di Basan, e sopra ogni monte e sopra ogni colle elevato, e su tutte le navi del mare e su ogni naviglio che fa spettacolo per il suo splendore. E sarà umiliata e cadrà l'arroganza degli uomini e sarà innalzato solo il Signore, in quel giorno. E tutte le cose che si son costruiti con le mani le nasconderanno nelle spelonche e nelle spaccature delle rocce e nelle caverne della terra per timore del Signore e di fronte alla sua maestosa potenza, quando sorgerà a frantumare la terra. In quel giorno l'uomo getterà via le sue abominazioni d'oro e d'argento, cose inutili e nocive che si erano costruiti per adorarle: e si ritireranno negli anfratti della solida roccia e nelle spaccature delle pietre, di fronte al Signore tremendo e di fronte alla sua maestosa potenza, quando sorgerà a stritolare la terra. 75.
Il Dio d'Israele e gli elementi del mondo.
29. 45. Cosa dicono di questo Dio "sabaoth", che tradotto significa Dio delle schiere o degli eserciti, in quanto a lui servono le schiere o gli eserciti degli angeli? Cosa dicono di questo Dio d'Israele, così chiamato perché è Dio di quel popolo da cui proviene l'ormai noto "discendente" nel quale saranno benedette tutte le genti 76? Perché lui soltanto non adorano coloro che sostengono doversi adorare tutti gli dèi? Perché non credono a lui, che ha dimostrato come gli altri dèi siano falsi e li ha abbattuti? Ho udito uno di loro dire che aveva letto presso non so quale filosofo in che modo costui aveva compreso quale Dio venerano i Giudei: c'era riuscito riflettendo sui riti che essi compiono. Egli pertanto diceva che Dio è l'essere che presiede a tutti gli elementi da cui è composto questo mondo visibile e corporeo 77. Se non che nelle sante Scritture dei Profeti si mostra chiaramente che al popolo d'Israele fu ordinato di venerare quel Dio che ha fatto il cielo e la terra 78 e dal quale deriva ogni vera sapienza 79. Ma che bisogno c'è di prolungare ancora la discussione quando al fine del presente trattato è più che sufficiente riferire una qualsiasi delle loro presuntuose supposizioni riguardo a quel Dio che non possono negare essere Dio? Se infatti egli è colui che presiede gli elementi di cui è composto il mondo, perché non si adora lui anziché Nettuno, che domina soltanto sul mare?, o anziché Silvano che domina solo sui campi e le selve?, o anziché Sole, che domina solo nel giorno o magari su tutto il calore del cielo?, o anziché Luna, il cui potere rifulge solo sulla notte o sulle cose umide?, o anziché Giunone che, a quanto si dice, regge solo l'aria? È infatti indiscusso che questi dominatori di parti [dell'universo], chiunque essi siano, necessariamente sono soggetti a colui che ha il dominio sull'insieme degli elementi e su tutta la massa intera. Ma quel Dio proibisce di adorare tutti questi altri dèi. Perché dunque [i pagani], contro l'ordine del più grande dei loro dèi, non solo si ostinano ad adorarli ma anche a causa loro rifiutano d'adorare quell'unico sommo Dio? È vero che non trovano ancora una risposta fissa e chiara da dare su questo Dio d'Israele; né la troveranno mai finché non si renderanno conto che lui è l'unico vero Dio dal quale tutte le cose sono state create.
Le profezie sul culto di Dio si sono avverate.
30. 46. Al riguardo un certo Lucano, grande verseggiatore del paganesimo, si mise a cercare anche lui e a lungo - credo, mosso dai suoi pensieri o dai libri dei suoi - chi fosse il Dio dei Giudei, ma non riuscì a trovarlo perché non cercava piamente. Tuttavia di questo Dio che non trovava preferì dire che era un dio indefinibile e non un dio inesistente, dal momento che scorgeva le grandi prove che c'erano nei riguardi di lui. E disse: La Giudea si dedica al culto di un Dio indefinibile 80. Eppure questo Dio d'Israele, Dio santo e vero, non aveva ancora operato per mezzo del nome di Cristo in tutte le genti tante cose strepitose quante ne sono seguite fino ad oggi dopo i tempi di Lucano. Ma oggi chi potrà essere così duro da non piegarsi?, chi così freddo da non accendersi, mentre si adempie ciò che fu scritto: Non c'è alcuno che possa sottrarsi al suo calore? Oggi sono manifeste in pienezza di luce le cose predette tanto tempo prima in quel medesimo salmo da cui ho preso il citato versetto. Col nome di "cieli" sono stati infatti indicati gli Apostoli di Cristo per il fatto che erano animati e diretti da Dio quando annunziavano il Vangelo. I cieli dunque hanno già narrato la gloria di Dio e il firmamento ha annunziato le opere delle sue mani. Il giorno al giorno ha trasmesso la parola e la notte alla notte ha annunziato la dottrina. Ormai non ci sono linguaggi o accenti in cui non si odano le loro voci. Ormai per tutta la terra s'è sparso il loro suono e sino ai confini del mondo le loro parole. Egli ormai ha posto nel sole, cioè nella manifestazione, quel suo tabernacolo che è la Chiesa. Per fare questo, lui stesso -come il testo prosegue - uscì dal suo talamo a somiglianza di uno sposo. E mi spiego: il Verbo congiunto alla carne umana uscì dall'utero di una Vergine. Ormai ha fatto balzi da gigante e ha percorso la via. Ormai è avvenuta la sua uscita dal più alto dei cieli e così pure il suo ritorno nel cielo altissimo 81. Quindi molto a proposito si aggiunge il verso che poc'anzi ricordavo: E non c'è alcuno che possa sottrarsi al suo calore 82. E tuttavia eccoli là questi pagani: sbraitano fragili obiezioni, preferiscono essere da questo fuoco ridotti in cenere, come stoppia 83, anziché come oro esser purificati dalle loro scorie 84. Intanto i monumenti fallaci dei loro dèi falsi sono frantumati e le promesse veritiere di quel Dio incerto sono diventate certezza.
La profezia sul Cristo s'è adempiuta.
31. 47. Questa genia di perversi che lodano Cristo e non vogliono diventar cristiani la smettano dunque di dire che Cristo non ha insegnato di abbandonare i loro dèi né di abbattere i simulacri 85. Difatti il Dio d'Israele - del quale fu predetto che sarebbe stato chiamato Dio dell'intero universo 86 - effettivamente è già chiamato Dio dell'intero universo. Questo aveva predetto per mezzo dei Profeti e questo a tempo debito ha attuato per opera di Cristo. E certamente se questo Dio d'Israele viene già chiamato Dio di tutta la terra, è necessario che si faccia quel che ha comandato, dal momento che chi l'ha comandato è ormai manifesto. Che poi egli si sia realmente manifestato per Cristo e in Cristo, con la conseguenza che la sua Chiesa si è diffusa nel mondo intero e che per opera di Cristo egli è chiamato Dio di tutta la terra, chi vuole può leggerlo presso il medesimo profeta: basta che torni un po' indietro! E poi lasciate che anch'io lo riferisca: non si tratta infatti di un passo eccessivamente lungo per cui lo si debba omettere. Lì si dicono molte cose sulla venuta, l'umiltà e la passione di Cristo, e si parla anche del suo corpo, quel corpo di cui egli è il capo. Si parla cioè anche della sua Chiesa, e le si dà il nome di sterile che non partorisce. Difatti la Chiesa, che con i suoi figli, cioè con i suoi santi, si sarebbe stabilita in tutte le genti, non si manifestò per molti anni, finché cioè Cristo non venne annunziato dagli evangelizzatori a coloro ai quali non era stato annunziato dai Profeti. Eppure di lei si dice che i figli della solitaria sarebbero stati più numerosi di quelli nati a colei che aveva marito. Col nome di marito si indica qui la legge o il re che ricevette l'antico popolo d'Israele: notando che nel tempo in cui parlava il profeta le genti non avevano ancora ricevuto la legge, né re cristiani erano sorti dalle genti, dalle quali tuttavia più tardi è venuta fuori una moltitudine di santi più feconda e numerosa 87. Così dunque dice Isaia, cominciando dalle umiliazioni di Cristo e poi volgendosi ad apostrofare la Chiesa fino a quel verso che abbiamo ricordato, dove dice: E colui che ti libera, cioè il Dio stesso d'Israele, sarà chiamato [Dio] di tutta la terra 88. Questo il testo: Ecco, pieno d'intelligenza sarà il mio servo, e sarà esaltato e onorato grandemente. A quel modo che molti si meraviglieranno di te, in quanto sarà vista da tutti la tua figura divenuta deforme e il tuo onore sarà visto dagli uomini, così si meraviglieranno molte genti su di lui e i re si tureranno la bocca. In effetti lo vedranno coloro ai quali non era stato annunziato nulla su di lui e comprenderanno quanti non avevano ascoltato 89. Signore, chi ha creduto prestandoci ascolto? E il braccio del Signore a chi si è manifestato? Alla presenza di lui abbiamo annunziato, come servo, come radice in terra assetata: non ha bellezza né onorabilità.E noi lo abbiamo visto, e non aveva bellezza né splendore, ma il suo viso era abbassato e deforme, il suo atteggiamento più brutto di quello di qualsiasi uomo. Uomo piagato, capace di sopportare le infermità; per questo la sua faccia è stravolta, coperta d'improperi e per nulla stimata. Costui porta le nostre miserie ed è nei dolori per noi. E noi ci rendemmo conto che egli era nei dolori e nelle ferite e nella sofferenza, ma è stato ferito per i nostri peccati ed è diventato debole per le nostre iniquità. Il castigo che reca a noi pace ricadde su di lui; per le sue lividure siamo stati risanati. Tutti andavamo errando come pecore, e il Signore lo ha consegnato per i nostri peccati. Egli, quando veniva maltrattato, non apriva la bocca: come pecora veniva condotto al macello, e come agnello dinanzi a chi lo tosa se ne sta senza fiatare, così egli non aperse la bocca. Nell'umiliazione fu portato a compimento il suo giudizio. Chi potrà descrivere la sua generazione? Poiché sarà tolta dalla terra la sua vita; per le iniquità del mio popolo fu condotto alla morte. Darò dunque i cattivi per la sua sepoltura e i ricchi per la sua morte, per il fatto che non commise iniquità né ci fu inganno nella sua bocca. Il Signore lo vuole purificare con piaghe. Quanto a voi, se darete la vostra vita per i vostri delitti, vedrete la discendenza durante una lunghissima vita. E vuole il Signore togliere la sua anima dai dolori e mostrargli la luce e dargli figura nei sensi, mentre il giusto che bene lo serve giustifica molti e di persona sosterrà i loro peccati. Per questo egli erediterà le moltitudini e dividerà le spoglie dei forti. Per questo fu consegnata alla morte la sua vita e fu reputata essere tra gli iniqui; ma egli portò i peccati di molti e fu consegnato per le loro iniquità 90. Rallegrati, o sterile che non partorisci, esulta e grida tu che non procrei, perché molti sono i figli dell'abbandonata, più di quelli di colei che ha marito. Ha detto infatti il Signore: Allarga lo spazio della tua tenda e rendi solidi i tuoi pioli. Non risparmiarti! Stendi a largo le tue cordicelle e conficca in terra robusti pali. Più e più volte stenditi a destra e a sinistra. La tua discendenza avrà in eredità le genti e abiterai le città che erano deserte. Non devi temere! Avrai infatti il sopravvento e non arrossirai per essere stata odiata. Dimenticherai per sempre il rossore, non ti ricorderai della tua vergognosa vedovanza, poiché sono io, il Signore, che ti creo - Signore sarà il suo nome - e colui che ti libera è certo il Dio d'Israele, che sarà chiamato [Dio] di tutta la terra 91.
31. 48. Contro l'evidenza di questa descrizione di eventi predetti prima e poi realizzati cosa si può dire? Se credono che i discepoli di Cristo abbiano inventato menzogne nell'affermare la sua divinità, forse che potranno avanzare dubbi quando si tratta della sua passione? Di solito non credono alla sua risurrezione, ma credono - e volentieri - che per colpa di uomini abbia sofferto nella sua umanità in quanto vogliono che lo si creda un semplice uomo. Egli dunque fu condotto alla morte come una pecora 92, fu annoverato fra gli iniqui e fu piagato per i nostri peccati 93. Per le sue lividure siamo stati guariti. Il suo volto fu coperto d'insulti e, ritenuto cosa di nessun pregio, fu colpito con schiaffi e imbrattato di sputi; la sua posizione sulla croce era deforme. Egli fu condotto alla morte per le iniquità del popolo d'Israele, e non aveva né bellezza né splendore quando era percosso con schiaffi e coronato di spine e quando sulla croce veniva schernito. Egli, come agnello che sta muto di fronte al tosatore 94, non aprì la bocca mentre dagli schernitori gli si diceva: O Cristo, profetizza! 95 Ora egli è innalzato, ora è onorato grandemente. Molte genti lo ammirano 96 e i re hanno chiuso la bocca con la quale un tempo promulgavano contro i cristiani leggi ferocissime. Coloro ai quali non era stato annunziato nulla nei suoi riguardi adesso vedono, e coloro che nulla avevano ascoltato adesso comprendono 97. In effetti i pagani, a cui non era giunto l'annuncio profetico, loro più degli altri vedono di per se stessi com'era vero quel che i Profeti avevano annunciato, e coloro che non avevano ascoltato Isaia mentre parlava comprendono dai suoi scritti chi fosse colui del quale diceva tali cose. Infatti anche nel popolo giudaico chi ha creduto alla parola dei Profeti? o a chi si è manifestato il braccio del Signore, che è lo stesso Cristo? Non c'è dubbio che a commettere contro il Cristo quei delitti che i Profeti del loro popolo avevano predetti furono proprio loro, con le loro mani 98. Ebbene ora Cristo possiede molte genti, diventate sua eredità, e divide le spoglie dei forti 99, un tempo possedute dal diavolo e dai svariati demoni, mentre adesso, cacciati e smascherati questi nemici, se le divide lui a suo talento, erigendovi chiese a lui dedicate e usandone in ogni altro modo ritenuto necessario.
L'insegnamento degli Apostoli contro l'idolatria si basa sui Profeti.
32. 49. Contro questi fatti cosa potranno obiettare i pagani, falsi sostenitori di Cristo e accesi calunniatori dei cristiani? Fu forse Cristo che con le sue arti magiche fece predire dai Profeti tutte queste cose tanto tempo prima? O se le sono inventate i suoi discepoli? Chi ha consentito alla Chiesa di rallegrarsi per essersi diffusa in tutte le genti, lei un tempo sterile ora invece più ricca di figli che non quella sinagoga che aveva per marito la legge o il re d'Israele? Chi le ha dato la possibilità di dilatare l'ampiezza della sua tenda occupando tutte le nazioni, di qualsiasi lingua, ed estendendosi oltre i confini dove esercita i suoi diritti l'Impero romano? In realtà essa protende le sue cordicelle fin tra i Persiani e gli Indi e le altre nazioni barbare. Chi ha fatto giungere il suo nome fra tanti popoli a destra per mezzo di veri cristiani, e a sinistra per mezzo di cristiani falsi? Chi ha dato a quel famoso discendente la facoltà di ereditare le genti e di abitare, come ora accade, le città un tempo prive del vero culto di Dio e della vera religione? Chi ha liberato la Chiesa dal timore delle minacce di uomini furibondi che la vestivano, quasi onorifico manto purpureo, con il sangue dei martiri? Chi l'ha fatta vincere su tanti persecutori feroci e potenti? Chi l'ha sottratta alla vergogna di quell'infamia per cui era ritenuto grave delitto passare al cristianesimo o essere cristiano? Chi le ha fatto dimenticare per sempre la sua abiezione? Poiché oggi è dato constatare che dove aveva abbondato la colpa, ha sovrabbondato la grazia 100; oggi non ricorda più la sua obbrobriosa vedovanza, poiché, se per un po' di tempo fu abbandonata e oggetto di scherni, ora fiorisce e riscuote la massima gloria. Ci si chiede dunque alla fine: chi ha consentito al Signore, che l'ha fatta e liberata dal potere del diavolo e dei demoni, di chiamarsi d'ora in poi Dio d'Israele di tutta la terra? Forse che i discepoli di Cristo hanno inventato ciò che, tanto tempo prima che Cristo si facesse uomo, avevano predetto i Profeti, i cui scritti si trovano nelle mani dei nemici di Cristo 101?
32. 50. Da tutto questo vogliano dunque comprendere una cosa sulla quale ora non c'è ombra di dubbio nemmeno per gli ingegni più tardi e ottusi. Vogliano, dico, comprendere, quanti con intenzione perversa lodano Cristo mentre detestano la religione cristiana, che quanto dicono i discepoli di Cristo contro gli dèi del paganesimo l'hanno appreso da lui, nient'altro insegnando se non la dottrina di Cristo. Nei libri dei Profeti si riscontra infatti che il Dio d'Israele ha comandato di detestare e abbattere tutto ciò che i pagani ritengono oggetto di culto. E questo Dio ad opera di Cristo e della sua Chiesa ora è chiamato Dio di tutta la terra, proprio come aveva promesso tanto tempo prima 102. Che dire quindi dell'ipotesi da loro prospettata con strabiliante follia, e cioè che Cristo abbia adorato i loro dèi e ad opera di questi dèi abbia compiuto tanti prodigi? Forse che ha venerato i loro dèi anche il Dio d'Israele che per mezzo di Cristo ha attuato quanto aveva promesso, ossia che l'avrebbero adorato tutte le genti, mentre gli altri dèi, divenuti abominevoli, sarebbero stati eliminati 103? Dove sono adesso i loro dèi? Dove i vaticini dei loro estatici e le divinazioni degli indovini? Dove le predizioni dei loro àuguri o auspici o aruspici, e dove gli oracoli dei demoni? Perché da questi antichi libri non si cita un qualche avvertimento o predizione che si opponga alla fede cristiana e alla verità attestata dai nostri Profeti e ora professata da tutte le genti? Dicono: Noi abbiamo offeso i nostri dèi ed essi ci hanno abbandonato. Proprio per questo i cristiani hanno prevalso su di noi e, stanca e sminuita, si sta ora dileguando la gioiosa prosperità delle sorti umane. Ricorrano pure ai libri dei loro vati e leggano dove mai sia scritto con certezza che tutto questo sarebbe avvenuto per opera dei cristiani. Si sforzino di trovare in detti libri anche la predizione per la quale se non Cristo - adoratore, a quel che dicono, dei loro dèi -, almeno il Dio d'Israele, che senza dubbio ha causato il tracollo degli dèi, abbia disapprovato ed esecrato il culto idolatrico. Non vi troveranno nessuna di queste predizioni, a meno che non le inventino ora. E se riuscissero a trovarne qualcuna, apparirà subito e chiaramente che presentano cose finora da tutti ignorate, mentre sono così importanti che, prima dell'avverarsi della predizione, si sarebbe dovuto pubblicarle nei templi degli dèi di tutte le genti affinché fossero per tempo preavvisati e impediti coloro che attualmente vogliono farsi cristiani.
La prosperità dell'Impero non è diminuita coll'avvento del Cristianesimo.
33. 51. Adesso una parola sulle lamentele che essi fanno circa la diminuzione della gioconda prosperità della vita che sarebbe avvenuta nell'era cristiana. Se leggessero i libri dei loro filosofi, li troverebbero pieni di biasimo per le cose che nonostante le resistenze e proteste ora vengono loro sottratte e, viceversa, vi scoprirebbero elogi tutt'altro che piccoli tributati all'epoca cristiana. Qual è infatti l'aspetto del benessere umano che ora diminuisce se non tutta quella serie di abusi sconci e lascivi che prima si commettevano con grande offesa del Creatore? A meno che non si vogliano considerare cattivi i tempi per il fatto che, puta caso, in quasi tutte le città cadono i teatri, sentine di luridume e cattedre pubbliche di delitti; e cadono anche le piazze e le mura, dove si prestava culto ai demoni. E perché mai cadono se non perché sono venute a mancare le cose mediante le quali con uso licenzioso e sacrilego erano state costruite? Non è forse vero che il loro Cicerone, volendo tessere l'elogio d'un certo istrione chiamato Roscio, disse che era talmente dotato di abilità da meritare lui solo di apparire sul palcoscenico e insieme così onesto da non dovervi mai metter piede 104? Con queste sue chiarissime parole cosa voleva indicare se non che quel palcoscenico era così indecoroso che quanto più si era buoni tanto meno vi si doveva comparire? E tuttavia con tali sconcezze, che secondo Cicerone le persone perbene avrebbero dovuto evitare, i loro dèi venivano placati. C'è al riguardo un riconoscimento molto esplicito dello stesso Cicerone, là dove dice che occorreva placare la madre Flora con l'afflusso ai suoi giochi 105. Ora in questi giochi si presentavano di solito spettacoli talmente osceni che, al loro confronto, gli altri, anche se vietati alle persone perbene, si sarebbero potuti ritenere onesti. E poi, chi è questa madre Flora, o che sorta di divinità è mai, se la si riconcilia e rende propizia mediante lo sfogo collettivo della più sbrigliata turpitudine? Quanto avrebbe fatto meglio Roscio a calcare le scene che non Cicerone a venerare una tal dea! Se gli dèi del paganesimo si offendono per essere diminuite le risorse che si spendevano per celebrare i loro giochi, ci si rende chiaro all'evidenza di che livello siano gli stessi dèi che si dilettavano di tale culto. Se invece gli dèi stessi in preda all'ira hanno provocato la diminuzione di tali divertimenti, è meglio che siano adirati anziché placati. I pagani, in conclusione, debbono o redarguire i loro filosofi che biasimarono il culto idolatrico praticato da uomini schiavi della lussuria o mandare in frantumi i loro dèi che tanto pretesero da chi li adorava: anche se ormai è difficile trovare statue da frantumare o nascondere. La smettano comunque una buona volta con i loro discorsi blasfemi, attribuendo all'era cristiana la scomparsa di quel benessere che consentiva loro di immergersi in dannose turpitudini, a meno che non vogliano essere per noi un richiamo a lodare di più la potenza di Cristo.
Epilogo.
34. 52. Direi molte altre cose su questo argomento se l'urgenza dell'opera intrapresa non mi costringesse a concludere il presente libro e a tornare al fine che mi sono proposto. Era infatti mia intenzione risolvere certi problemi concernenti il Vangelo, in quanto, come sembra a certuni, i quattro evangelisti non sarebbero d'accordo l'uno con l'altro. Prima però ho dovuto affrontare la difficoltà che alcuni ripetutamente ci muovono, e cioè per qual motivo non citiamo mai gli scritti di Cristo, e l'ho fatto esponendo le tesi dei singoli avversari.Questi tali pretendono che si creda aver Cristo scritto non so che cosa di loro piacimento; egli non avrebbe nutrito sentimenti di avversione contro gli dèi ma anzi li avrebbe venerati con pratiche di magia. I suoi discepoli al contrario ricorrendo alla menzogna affermarono di lui che era il Dio ad opera del quale furono fatte tutte le cose 106, mentre egli non sarebbe stato altro che un uomo, sia pure dotato di sapienza eccezionale. Né solo in questo avrebbero mentito i cristiani ma anche per aver insegnato, nei riguardi degli dèi pagani, cose opposte a quel che avevano appreso da Cristo. Ecco pertanto il motivo per cui abbiamo voluto metterli alle corde parlando loro del Dio d'Israele, quel Dio cioè che ad opera della Chiesa cristiana è adorato in tutte le genti. Egli ha ormai spazzato via da ogni luogo le sacrileghe vanità del paganesimo, come molto tempo prima aveva predetto per bocca dei suoi Profeti e ha adempiuto ogni sua predizione avvalendosi del nome di Cristo, nel quale aveva promesso di benedire tutte le genti 107. Da questo debbono concludere i nostri avversari che Cristo, a proposito dei loro dèi, non poté né sapere né insegnare altro se non quello che il Dio d'Israele aveva comandato e predetto per mezzo dei Profeti, dei quali s'era servito per promettere quel Cristo che poi avrebbe mandato. Nel nome di Cristo sono benedette tutte le genti, secondo quanto da Dio era stato promesso ai Padri, e da ciò è derivato anche il fatto che il Dio d'Israele è chiamato Dio di tutta al terra 108. I suoi discepoli vietando di adorare gli dèi del paganesimo non si sono allontanati affatto dall'insegnamento del Maestro. Ben a ragione anzi ci hanno distolti dall'invocare statue prive di vita, dal comunicare con i demoni e dal tributare culto religioso alla creatura anziché al Creatore 109.
Il mistero di Cristo Mediatore.
35. 53. Cristo è la Sapienza di Dio e per mezzo di lui sono state create tutte le cose. Attingendo a lui diventano sapienti tutte le anime razionali, e degli angeli e degli uomini; a lui aderiamo per l'azione dello Spirito Santo, mediante il quale si diffonde nei nostri cuori la carità 110 del Dio trino ed uno. Per venire incontro a noi mortali, la cui vita era circoscritta nel tempo e immersa nelle cose che hanno inizio e tramontano, è stato disposto dalla divina Provvidenza che la stessa Sapienza di Dio assumesse l'umanità nell'unità della sua persona e in questa umanità nascesse nel tempo, vivesse, morisse e risuscitasse. In questo modo poté dire e compiere quanto era necessario per la nostra salvezza; poté soffrire e tribolare, diventando anche quaggiù per gli uomini modello per tornare [alla patria], egli che in cielo per gli angeli è modello di stabilità [nella gloria]. Se infatti anche per quanto concerne la natura dell'anima razionale non ci fosse stato qualcosa sul piano temporale, se cioè non avesse cominciato ad essere ciò che non era, mai sarebbe potuta giungere, dalla vita pessima e stolta, alla vita sapiente e perfettamente buona. In ordine a ciò, siccome la verità raggiunta da chi è nella visione consiste nel godimento di cose eterne, mentre oggetto della fede di chi crede sono le cose che hanno avuto principio, per questo l'uomo si purifica prestando fede alle cose temporali e così diventa capace di comprendere la verità delle cose eterne. Anche Platone, nobilissimo filosofo del mondo pagano, diceva così nel libro intitolato Timeo: Quanto l'eternità supera ciò che ha avuto principio, altrettanto la verità supera la fede 111. Due di queste cose sono del mondo celeste: l'eternità e la verità; le altre due sono del nostro mondo: ciò che ha avuto principio e ciò che è oggetto di fede. Per esser quindi sottratti alle cose di quaggiù ed elevati alle cose di lassù e perché quel che ha avuto principio si rivesta dell'eternità, dobbiamo arrivare alla verità con l'ausilio della fede. E poiché tutte le cose che tendono verso direzioni opposte si ravvicinano in forza di qualche elemento che sta loro in mezzo - quanto a noi l'iniquità temporale ci allontanava dalla giustizia eterna -, per questo fu necessario che in mezzo si collocasse una giustizia temporale. Questo "mezzo" per essere di quaggiù, era temporale; per essere di lassù era giusto; e in tal modo, non staccandosi dal mondo superiore e abbassandosi al livello del mondo inferiore, restituì al cielo le cose della terra. Ecco perché Cristo fu detto mediatore fra Dio e gli uomini: egli, Dio e uomo, si pone in mezzo fra Dio immortale e l'uomo mortale e riconcilia l'uomo con Dio 112, restando ciò che era, diventando ciò che non era. Egli è per noi oggetto di fede nell'ordine creaturale, mentre è la nostra verità nella dimensione eterna.
35. 54. Questo mistero grande e inenarrabile, questo regno sacerdotale, fu rivelato agli antichi mediante la profezia ed è annunziato ai loro posteri attraverso il Vangelo. Era infatti necessario che quanto fu a lungo promesso per mezzo d'un popolo particolare fosse alla fine accordato a tutte le genti. Per questo colui che prima di venire fra noi aveva inviato i Profeti a precederlo, dopo l'Ascensione mandò a noi gli Apostoli. E di tutti i suoi discepoli, attraverso l'umanità assunta, egli è Capo ed essi sono come le membra del suo corpo. Se pertanto questi discepoli hanno scritto le cose che egli compì alla loro presenza e le parole che egli disse, non si può dire che non le abbia scritte lui in persona, in quanto queste sue membra hanno trascritto ciò che avevano appreso dal loro Capo, il quale era lì a dettarle. In effetti tutto ciò che egli voleva farci leggere riguardo ai suoi fatti e ai suoi detti ordinò loro di scriverlo, quasi che essi fossero sue mani. Occorre quindi comprendere questa comunione unificatrice e il servizio prestato dalle diverse membra operanti sotto l'unico Capo e quindi fra loro concordi, pur esplicando compiti differenti. Chi, comprendendo questo, si metterà a leggere nel Vangelo quel che vi hanno narrato i discepoli di Cristo non potrà mai intendere questi libri scritturali diversamente da uno che avesse visto la stessa mano del Signore scrivere tali cose: e mi riferisco a quella mano che faceva parte del suo corpo. Ciò detto, andiamo subito a vedere quali siano i punti nei quali, secondo l'opinione avversaria, gli evangelisti avrebbero scritto in contrasto l'uno con l'altro: così infatti potrebbe sembrare a chi è dotato di poca intelligenza. Risolte queste difficoltà, apparirà anche da questo che le membra di quel Capo, unite nella compagine del suo corpo, si presentano concordi sotto i due punti di vista: non solo cioè nell'avere gli stessi pensieri, ma anche nell'essere in armonia nei loro scritti.
Note:
1 - Cf. Lc 3, 31.
2 - Cf. Mt 1, 6.
3 - Mt 27, 37; Mc 15, 26; Lc 23, 38; Gv 19, 19.
4 - Gv 19, 22.
5 - Sal 74, 1.
6 - Sal 109, 4.
7 - Cf. Sal 2, 6; 44, 2; Mt 2, 2; 21, 5; 27, 11; Mc 15, 2; 9, 12; Lc 19, 38; 22, 2; 3; Gv 1, 49; 12, 13; 15; 18, 37; 19, 14; Eb 1, 5; 5, 5; 6; 7, 17.
8 - Cf. Mt 1, 6; Lc 3, 31.
9 - Cf. Lv 24, 9; 1 Sam 21, 6; Mt 12, 13.
10 - Cf. Lc 1, 36.
11 - Cf. Lc 1, 5.
12 - Cf. Lc 1, 32-33.
13 - Cf. 1 Tm 2, 5.
14 - Cf. Lv 16, 17.
15 - Cf. Sir 24, 6.
16 - Cf. Gv 1, 1-14.
17 - Gv 10, 30
18 - Gv 14, 9-10.
19 - Gv 17, 22.
20 - Gv 5, 19.
21 - Cf. Gv 13, 25.
22 - Cf. Mt 5, 8.
23 - Cf. Col 1, 12. 14; Eb 1, 3.
24 - Cf. Gc 3, 13; 1 Pt 2, 12; 3, 16.
25 - Cf. Rm 5, 2; Gal 2, 16; 3, 8; Fil 3, 9; Gc 2, 22; 1 Cor 13, 12.
26 - Cf. Gn 29, 16; 23, 28.
27 - Cf. Ap 4, 7; 5, 6-7; Ez 1, 5. 10.
28 - Ap 5, 5.
29 - Cf. Mt 2, 1-18.
30 - Cf. Lc 1, 5-36.
31 - Cf. Lc 2, 22-24.
32 - Cf. Mt 11, 30.
33 - Cf. Gv 1, 3. 34; 17, 22.
34 - Cf. 2 Cor 1, 3; 11, 31; Gal 1, 1.
35 - Cf. Gv 1, 3.
36 - Cf. At 9, 1-30.
37 - Cf. Gn 19, 17; Lc 9, 56; Gc 1, 21; 5, 20.
38 - Is 54, 5.
39 - Cf. At 3, 25; Gn 22, 18. 26, 4. 28, 14; Sal 71, 17.
40 - Cf. Gc 2, 13.
41 - Cf. Mc 1, 24; Lc 4, 41.
42 - Sal 95, 5.
43 - Cf. Ez 14, 6-25; Is 2, 18-22.
44 - Cf. Is 2, 17-20.
45 - Cf. Mc 1, 24; Lc 4, 41.
46 - Cf. Sal 43, 21; 80, 10; 95, 5; Sap 12, 24.
47 - VIRGILIO, Eclog. 3, 60.
48 - Cf. Gv 6, 64; 1 Cor 15, 42; 2 Cor 3, 6.
49 - Ger 23, 24.
50 - VIRGILIO, Georg. 2, 325-326.
51 - CICERONE, De nat. deor., 1, 119.
52 - CICERONE, Tuscul. 1, 29.
53 - CICERONE, In Catil. 3, 1, 1.
54 - VIRGILIO, Eglog. 9, 47.
55 - VIRGILIO, Aen.8, 320-324.
56 - VIRGILIO, Eclog. 3, 60.
57 - Cf. Sap 6, 13-25; 1 Cor 1, 30; Ef 1, 17.
58 - Cf. Gn 1, 1.
59 - Cf. Gn 5, 25; Sir 44, 16; Eb 11, 5.
60 - Cf. Gn 7, 1-8, 20; Sap 10, 4; 1 Pt 3, 20.
61 - Gn 22, 18.
62 - Cf. Gn 26, 4; 28, 14.
63 - Cf. Es 1, 7.
64 - Cf. Gal 3, 19.
65 - Cf. Ez 6, 4; Osea 10, 2.
66 - Ger 16, 19.
67 - Dt 6, 4.
68 - Dt 5, 8; Es 20, 4.
69 - Ez 23, 24.
70 - Gn 22, 18.
71 - Is 7, 14.
72 - Cf. Mt 1, 23.
73 - Ger 16, 19.
74 - Sal 71, 11.
75 - Is 2, 5. 21.
76 - Cf. Gn 22, 18.
77 - Forse NUMENIO: cf. EUSEBIO, Praep. ev. 7,3.
78 - Cf. Gn 1, 1.
79 - Cf. Sir 1, 1: 15, 10; Sap. 7, 15-17.
80 - LUCANO, Pharsalia 2, 592s.
81 - Cf. Sal 18, 1-7.
82 - Sal 18, 7.
83 - Cf. Is 47, 14.
84 - Cf. Prv 17, 3; Sap 3, 6; Sir 2, 5.
85 - Cf. Dt 7, 5.
86 - Cf. Is 54, 5.
87 - Cf. Is 54, 1; Gal 4, 27.
88 - Is 54, 5.
89 - Is 52, 13-15.
90 - Is 53, 1-12; cf. Mt 8, 17.
91 - Is 54, 1-5.
92 - Cf. Is 53, 7; Mt 26, 63.
93 - Is 53, 12; Mc 15, 28; Lc 22, 37; Rm 4, 25; 1 Cor 15, 3.
94 - Cf. Is 53, 3; Mt 26, 67; Mc 14, 65; Lc 22, 63; 1 Petr 2, 22.
95 - Mt 26, 68; cf. Mc 14, 65; Lc 22, 64.
96 - Cf. Is 52, 13-15.
97 - Cf. Rm 15, 16-21.
98 - Cf. Is 53, 1; Gv 12, 37-38; Rm 10, 16.
99 - Cf. Is 53, 12.
100 - Cf. Rm 5, 20.
101 - Cf. Is 54, 2-5.
102 - Cf. Is 54, 5.
103 - Cf. Dt 7, 5.
104 - CICERONE, Orat. pro Roscio.
105 - CICERONE, In Verrem 5, 14, 36.
106 - Gv 1, 3.
107 - Cf. Gn 22, 18.
108 - Cf. Is 54, 5.
109 - Cf. Rm 1, 25.
110 - Cf. Rm 5, 5.
111 - PLATONE, Timeo p. 20.
112 - Cf. 1 Tm 2, 5.
21 - Pilato pronunzia la sentenza di morte contro l'Autore della vita.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca1354. Pilato sancì il decreto di morte sulla croce contro colui che è la
vita stessa, il nostro Salvatore, per soddisfare ed appagare i farisei e
gli scribi. Dopo che fu notificata la sentenza, l'innocentissimo reo fu
guidato in un altro luogo della casa del giudice, dove gli fu tolto
l'ignominioso mantello di porpora che gli avevano fatto indossare per
burlarsi di lui come finto re. Da parte di Gesù questo atto fu colmo di
mistero, ma da parte dei giudei si trattò di un'azione deliberatamente
malvagia. Costoro lo fecero condurre al supplizio con le sue vesti,
affinché tutti potessero riconoscerlo; infatti, a causa dei flagelli,
degli sputi e della corona di spine, il suo volto appariva tanto
sfigurato che il popolo avrebbe potuto individuarlo solo dall'abito. Gli
rimisero la tunica inconsutile che gli angeli, su ordine della Regina,
avevano posto sotto i loro occhi prendendola di nascosto dall'angolo di
una stanza dove gli sbirri l'avevano gettata quando lo avevano spogliato
per rivestirlo del mantello di porpora, segno di derisione e di
scandalo. Essi, però, non compresero ciò che stava accadendo e tanto
meno vi prestarono attenzione, essendo così preoccupati e solleciti di
accelerare l'uccisione del Redentore.
1355. La notizia della condanna fece subito il giro della
città e tutti si riversarono precipitosamente nel palazzo di Pilato per
osservare il Nazareno mentre veniva portato al martirio. Gerusalemme era
strapiena di gente perché, oltre ai suoi numerosissimi abitanti, molti
vi erano giunti per celebrare la Pasqua. Tutti accorsero per la novità e
le vie furono riempite. Era venerdì, il giorno della Parasceve, che in
greco significa preparazione o disposizione, perché proprio in quel
giorno gli ebrei si preparavano e si disponevano per il sabato seguente,
ritenuto da loro una grande solennità. In tale giorno non eseguivano
alcun lavoro e neppure cucinavano il cibo, ma facevano ogni cosa il
venerdì. Il mansuetissimo Agnello fu fatto uscire, vestito dei propri
indumenti: il suo viso era talmente ferito che nessuno avrebbe mai
potuto scorgere in lui lo stesso Cristo che avevano veduto prima. Come
dice Isaia, apparve disprezzato e reietto, percosso da Dio e umiliato,
perché il sangue seccatosi e i rigonfiamenti lo avevano reso tutto una
piaga. Alcune volte gli spiriti superni, per comando della Vergine
afflitta, lo avevano ripulito dagli sputi nauseanti, ma quei malvagi
ricominciarono subito a sputargli addosso e lo fecero senza misura,
tanto che egli fu totalmente ricoperto dalle schifose immondezze. Di
fronte a uno spettacolo così infausto, si sollevò tra la folla un
clamore e un chiasso tanto confuso che non si intendeva più nulla e si
udiva solamente lo strepito e l'eco delle voci. Tra tutte risuonavano
quelle dei sommi sacerdoti e dei farisei, che con gioia smodata e piena
di scherno si rivolgevano alla moltitudine affinché si acquietasse,
sgombrasse la strada e potesse ascoltare la sentenza. Tutto il resto del
popolo era disorientato e diviso da giudizi diversi; differenti,
infatti, erano i sentimenti di ciascuno come pure differenti erano le
provenienze degli astanti. Molti di loro erano stati beneficati dalla
bontà del Signore e dai suoi miracoli; altri avevano appreso e accolto
il suo insegnamento ed erano suoi amici e conoscenti. Alcuni piangevano
amaramente, altri si domandavano quali delitti avesse commesso
quell'uomo da meritare un tale castigo, ed altri ancora rimanevano
turbati e ammutoliti. Tutto era scompiglio e tumulto.
1356. Degli Undici solo Giovanni era presente. Egli stava
accanto alla Madre dolente ed era possibile scorgere entrambi benché
fossero alquanto separati dalla calca. Quando l'Apostolo vide il Maestro
- dal quale sapeva di essere molto amato - trascinato così davanti alla
gente e segnato dalla sofferenza, venne meno e perse i sensi come
morto. Anche le tre Marie caddero a terra tramortite da un freddo
deliquio. Solo la Regina rimase invitta. Il suo cuore generoso,
nonostante il profondo dolore umanamente impossibile da comprendere e da
immaginare, non si abbatté, né si scoraggiò, né provò la debolezza
dello svenimento come successe agli altri. Si mostrò in tutto
prudentissima, forte e degna di stima, si comportò esteriormente con
accortezza e, senza singhiozzi né grida, confortò le altre donne e il
discepolo prediletto; chiese all'Altissimo che infondesse in essi il
coraggio e li consolasse con la sua presenza affinché ella potesse
trovare in loro una compagnia fino alla fine della passione. Grazie a
questa implorazione Giovanni e le altre Marie ebbero sostegno, si
ripresero dallo svenimento e poterono parlare di nuovo con lei. Fra
tanta confusione e toccata dalla più amara delle afflizioni, la Signora
non fece alcun gesto né movimento, mentre, con la dignitosa compostezza
di una sovrana, lasciava scendere dagli occhi incessanti e copiose
lacrime. Guardava l'Unigenito, supplicava l'eterno Padre e gli offriva
il martirio del Salvatore, unendosi a tutte le sue azioni. Ella
conosceva la malizia del peccato, penetrava i misteri della redenzione
umana, invitava gli angeli a riflettervi e pregava per gli amici e i
nemici. Dando il giusto posto all'amore di madre e alla pena che ne
corrispondeva, si prodigava nelle opere di virtù, richiamando in tal
modo l'ammirazione del cielo e il sommo compiacimento della Divinità.
Non è possibile riferire con i miei termini le espressioni che ella
sapientemente andava formando nel suo intimo e sussurrando sulle labbra,
e quindi ne lascio la considerazione alla pietà cristiana.
1357. I sommi sacerdoti e i soldati cercavano di calmare e
di far tacere il popolo, perché si potesse udire la sentenza contro il
Messia; infatti, dopo avergliela notificata personalmente, volevano
proclamarla dinanzi a lui. La folla fece dunque silenzio e, mentre egli
stava in piedi come un criminale, cominciarono a leggerla ad alta voce,
cosicché tutti ne potessero ascoltare il contenuto. Fecero lo stesso per
diverse volte sulle strade e da ultimo ai piedi della croce. Questa
condanna è stata stampata e diffusa in volgare ed io l'ho vista; secondo
la cognizione che mi è stata data, nella sostanza è vera, salvo alcune
parole che le sono state aggiunte. Io la ripeterò qui senza queste
ultime, ma esattamente con quelle che mi sono state dette, senza
aggiungervi o togliere nulla. Esse suonano come segue:
1358. «Io, Ponzio Pilato, governatore della Galilea
Inferiore, reggente dell'impero romano in Gerusalemme, nel palazzo del
pretorio, giudico e pronunzio la condanna a morte di Gesù, chiamato
Nazareno, originario della Galilea, uomo sedizioso, sovvertitore della
legge, del nostro senato e del grande imperatore Tiberio Cesare. Con la
presente sentenza stabilisco che perisca sulla croce, come si usa per i
colpevoli, perché egli ogni giorno ha riunito e chiamato a raccolta
numerose persone, ricche e povere, e non ha cessato di provocare tumulti
per tutta la Giudea, proclamandosi Figlio di Dio e re d'Israele.
Inoltre ha minacciato la rovina di questa insigne città, del suo tempio e
del sacro impero, negando il tributo a Cesare. Ha avuto persino
l'ardire di entrare con rami di palma in Gerusalemme e nel tempio di
Salomone, accompagnato da una folla numerosa. Ordino al primo centurione
Quinto Cornelio di condurlo per le vie a sua vergogna, legato com'è e
flagellato per mio comando. E affinché chiunque possa riconoscerlo, gli
siano lasciate le sue vesti e gli sia messo sulle spalle il duro legno
sul quale sarà inchiodato. Vada per tutte le strade pubbliche, in mezzo
ai due ladroni che sono stati similmente condannati per furti e omicidi,
perché ciò serva da esempio intimidatorio, per tutto il popolo e per i
malfattori. Inoltre esigo che questo farabutto venga spinto fuori dalle
mura per la porta Pagora, adesso detta Antoniana. Sia preceduto da un
banditore che dichiari ad alta voce le colpe enunciate in questo mio
decreto e poi sia condotto al monte chiamato Calvario, dove si usa dare
il supplizio e giustiziare gli empi. Qui sia inchiodato sulla stessa
croce che avrà dovuto portare ed il suo corpo rimanga appeso fra i due
suddetti ladroni. Sopra di essa, precisamente sulla parte più alta, sia
posta l'iscrizione con il suo nome nelle tre lingue oggi più
frequentemente usate, ossia l'ebraico, il greco e il latino: "Questi è
Gesù Nazareno, Re dei Giudei", perché tutti capiscano ed egli sia da
tutti conosciuto. Similmente ingiungo, sotto la pena della perdita dei
beni, della vita e di essere considerato un ribelle contro l'impero, che
nessuno, a qualunque stato o condizione appartenga, ardisca
temerariamente impedire o ostacolare la sentenza di giustizia da me
pronunziata, amministrata e da eseguirsi rigorosamente secondo i decreti
e le leggi dei romani e degli ebrei. Nell'anno della creazione del
mondo cinquemiladuecentotrentatré, il venticinque marzo. Ponzio Pilato,
giudice e governatore della Galilea Inferiore, in nome dell'impero
romano, come sopra di propria mano».
1359. Secondo tale computo, la creazione del mondo avvenne
in marzo e dal giorno in cui fu plasmato Adamo sino all'incarnazione del
Verbo trascorsero cinquemilacentonovantanove anni. Se si aggiungono i
nove mesi durante i quali egli dimorò nel seno verginale della sua
santissima Madre e i trentatré anni in cui visse sulla terra, se ne
hanno cinquemiladuecentotrentatré e, conformemente al computo romano
degli anni fino al venticinque marzo, i tre mesi avanzano. Secondo il
calcolo della Chiesa al primo anno del mondo non toccano più di nove
mesi e sette giorni, poiché il secondo anno comincia dal primo di
gennaio. Per quanto concerne le diverse opinioni dei dottori, mi è stato
comunicato che è vera e giusta quella della Chiesa nel martirologio
romano.
1360. Dopo che la sentenza di Ponzio Pilato fu pronunciata
ad alta voce alla presenza di tutti, i soldati misero sulle spalle
delicate e piagate di sua Maestà la pesante croce. Gli sciolsero le
mani, perché fosse in grado di tenerla, ma non gli slegarono il corpo,
per poterlo trascinare con le corde a loro piacimento. E per maggiore
crudeltà le girarono due volte intorno al collo. Il duro legno era lungo
quindici piedi, costruito grossolanamente e molto pesante. Il banditore
diede inizio alla lettura della condanna e la confusa e turbolenta
moltitudine di gente, insieme ai ministri della giustizia e alle
guardie, cominciò a muoversi, in una scomposta processione, tra grandi
strepiti e clamori e si incamminò per le vie della città dal palazzo di
Pilato verso il monte Calvario. Quando il Redentore prese su di sé la
croce, la guardò con un'espressione piena di giubilo e di inusitata
allegrezza, come suole fare lo sposo nel vedere i preziosi monili della
sua sposa; parlò con essa, nel suo cuore, e l'accolse con queste parole:
1361. «O croce, bramata dall'anima mia! Finalmente appaghi
le mie aspirazioni! Tu mi sei così cara! Vieni a me, o mia diletta,
stringimi fra le tue braccia e su di esse, come su un sacro altare, mio
Padre riceva il sacrificio dell'eterna riconciliazione con il genere
umano. Per morire sopra di te sono disceso dal cielo e ho assunto carne
mortale e passibile. Tu devi essere lo scettro con il quale trionferò su
tutti i miei avversari, la chiave con cui aprirò le porte del paradiso
ai miei eletti, il luogo santo dove trovino misericordia i colpevoli
discendenti di Adamo e anche il luogo dei tesori, da cui essi possano
attingere per arricchire la loro povertà. Mi voglio servire di te per
dare valore e considerazione agli oltraggi e agli obbrobri degli uomini,
tanto da far sì che i miei amici li abbraccino con gioia e li cerchino
con desiderio ardente, per potermi seguire sul cammino che io spianerò
loro attraverso di te. Dio immenso, vi glorifico come sovrano
dell'universo e in obbedienza al vostro divino beneplacito prendo su di
me il legno dell'immolazione della mia umanità innocentissima e
volontariamente accetto di portarlo per la salvezza dei viventi.
Accoglietemi come oblazione gradita alla vostra equità, affinché essi
d'ora innanzi non siano più servi, ma figli ed eredi: vostri eredi e
coeredi con me del vostro regno».
1362. La Principessa contemplava questi arcani e guardava
gli avvenimenti senza che alcuno le rimanesse nascosto: di tutti aveva
un'altissima conoscenza ed una profonda comprensione, superiore perfino a
quella dei ministri celesti. Gli eventi che non riusciva a vedere con
gli occhi del corpo, li percepiva con l'intelligenza della rivelazione:
quest'ultima glieli manifestava mediante le azioni interiori del suo
Unigenito. In questa luce divina penetrò lo straordinario valore dato al
santo legno nel momento in cui venne a contatto con il nostro Maestro.
Senza indugio, la prudentissima Vergine lo adorò e venerò con il culto
dovuto e lo stesso fecero anche tutti gli spiriti superni che erano al
loro servizio. Accompagnò il Signore nelle effusioni di tenerezza con le
quali egli accolse la croce e si rivolse ad essa con espressioni che le
si addicevano come corredentrice. Pregò anche l'Onnipotente, imitando
in tutto come viva immagine, senza allontanarsene per nulla, il suo
modello originale. Quando la voce del banditore risuonò per le strade
proclamando il giudizio, ella nell'udirlo compose un cantico di lode.
Inneggiò all'innocenza immacolata di Gesù contrapponendo la benedizione
ai delitti citati nella sentenza, quasi volesse commentarne le parole in
suo onore e a sua gloria. Nel comporre tale inno fu aiutata dai custodi
che lo ripetevano alternatamente con lei, mentre gli abitanti di
Gerusalemme bestemmiavano il loro Creatore.
1363. Poiché in questa via di dolore tutta la fede, la
scienza e la carità erano serbate nel cuore grande di Maria, ella
solamente fu in grado di intendere in modo perfetto ed avere una
cognizione appropriata di ciò che significassero la passione e la morte
di Dio per il genere umano. E senza perdere l'attenzione a quello che
esteriormente era necessario fare, considerò nella sua saggezza i
misteri della redenzione. Soppesò anche con la massima ponderazione chi
fosse colui che stava patendo, ad opera di chi e per chi patisse;
infatti ella fu l'unica, dopo l'Altissimo, a ricevere la più sublime
cognizione della dignità della persona di Cristo, della sua natura
divina e umana, delle perfezioni e degli attributi relativi ad essa. La
candida colomba non fu solamente testimone oculare di quanto egli provò,
ma ne fece anche esperienza. Divenne così motivo di sante emulazioni
non solo per gli uomini, ma anche per gli stessi angeli che non
ottennero tale pienezza di grazia. Essi vennero a sapere come la Regina
sentisse e portasse in sé i dolori di suo Figlio, e l'inesplicabile
compiacimento che ne aveva la santissima Trinità. Compensava così la
pena che non poteva sperimentare con l'onore e le lodi che andava
tributando. Alcune volte capitava che la Madre partecipasse nel suo
spirito e nel suo corpo castissimo ai patimenti corrispondenti a quelli
inflitti a lui, prima ancora che le venissero manifestati tramite
l'intelletto. E come colta dallo spavento, gridava: «Ahimè, quale agonia
fanno subire ora al mio dolcissimo diletto!». E subito era rischiarata
su tutto ciò che stavano facendo a sua Maestà. Fu a tal punto eroica e
fedele nel sopportare e nell'imitare colui che era suo modello e nostro
bene, da non concedersi mai alcun sollievo naturale; non solo delle
membra, in quanto non riposò, né mangiò, né dormì, ma anche dello
spirito, privandosi dei piaceri e delle consolazioni che le avrebbero
potuto arrecare conforto, fatta eccezione di quelle che le furono
comunicate attraverso la forza della grazia divina. Allora la Signora le
accolse con umiltà e riconoscenza per attingervi nuovo coraggio ed
essere concentrata con maggiore fervore sulla tribolazione del suo
Unigenito e sulla ragione dei suoi tormenti. Ella ebbe chiara notizia
della malizia dei giudei e dei soldati, dei bisogni, della rovina e
dell'ingratissima natura dell'umanità, per la quale egli stava offrendo
la propria vita.
1364. La destra dell'Eterno, in questa circostanza, fece
per mano di Maria, segretamente, un mirabile prodigio contro Lucifero e i
suoi ministri. Costoro seguirono con attenzione tutto quello che stava
accadendo nel martirio di Gesù, del quale avevano una conoscenza non
chiara per non dire confusa. Allorché egli prese la croce sulle sue
spalle, tutti i suoi nemici rimasero sbigottiti e come paralizzati,
provando una meraviglia del tutto inusitata e una rinnovata tristezza
accompagnata da confusione e rabbia. Afferrato da questi nuovi e
insuperabili sentimenti di angoscia e di paura, il principe delle
tenebre temette che il suo regno avrebbe potuto essere minacciato da una
pesante ed irreparabile distruzione e cadere in rovina; decise dunque
di scappare e di rifugiarsi con tutti i suoi seguaci nelle caverne
infernali, ma, mentre pensava di eseguire tale desiderio, intervenne la
Vergine che glielo impedì. L'Altissimo stesso infatti la illuminò,
rivestendola della sua potenza e facendole comprendere ciò che dovesse
fare, e così ella si volse contro i diavoli e con il comando di una
sovrana li trattenne dalla fuga, ordinando loro di attendere la fine di
ogni cosa rimanendo presenti. Essi non si poterono opporre perché
avevano cognizione della forza superna che operava in lei e, sottomessi
al suo volere come se fossero stati catturati e legati, accompagnarono
il Signore fino al Calvario, dove era stabilito che dal trono della
croce avrebbe trionfato contro di loro. Non trovo un esempio adeguato
per poter spiegare la mestizia e l'abbattimento che da allora in avanti
li oppressero. A nostro modo di intendere, essi salirono verso il monte
come i condannati condotti al supplizio, debilitati, infiacchiti e
rattristati dal timore del giusto castigo. Questa pena del demonio fu
conforme alla sua natura malvagia e corrispondente al danno che aveva
recato al mondo introducendovi il peccato e la morte, per
l'annientamento dei quali Dio stesso si stava immolando.
1365. Il nostro Salvatore proseguì il cammino, portando
sulle spalle, come dice Isaia, il segno della sovraunità, da cui avrebbe
regnato sulla terra e l'avrebbe assoggettata, meritando che il suo nome
fosse esaltato al di sopra di ogni altro nome e riscattando tutto il
genere umano dall'egemonia che satana aveva conquistato su di esso. Lo
stesso profeta chiama questo potere giogo, sbarra e bastone
dell'aguzzino che risolutamente e imperiosamente esigeva il tributo
della prima colpa. Per vincere tale tiranno, distruggere lo scettro del
suo dominio e il giogo della nostra schiavitù, sua Maestà prese il duro
legno su di sé nello stesso punto in cui si mette il giogo della servitù
e lo scettro della potenza regale - come colui che spoglia di questi il
drago e lo trasferisce sulla sua schiena - affinché gli schiavi
discendenti di Adamo, da questo momento in poi, lo riconoscessero come
loro legittimo Signore e vero re e lo seguissero sulla via della croce.
Da questa, infatti, avrebbe attirato tutti a sé, e li avrebbe comprati
al caro prezzo del suo sangue e della sua vita.
1366. Oh, quanto atroce è la nostra ingratitudine e
deplorevole la nostra dimenticanza! Che i giudei e gli autori del
martirio di Gesù ignorassero il mistero nascosto ai principi del mondo e
non osassero toccare la croce perché la giudicavano un'infamante
disonore, fu loro colpa e assai grave. Eppure non lo fu come la nostra,
poiché questo arcano fu a noi prontamente svelato e noi nella fede di
questa verità siamo in grado di condannare la cecità di quelli che,
perseguitarono il nostro Salvatore. Se consideriamo dunque rei coloro
che ignorarono ciò che avrebbero dovuto sapere, quanto grande sarà il
peccato di tutti noi, che, conoscendo e confessando Cristo come nostro
redentore, tuttavia lo offendiamo, perseguitiamo e uccidiamo come fecero
i giudei? O mio Gesù, mio dolcissimo amore, voi luce del mio intelletto
e gloria dell'anima mia, non affidate alla mia indolenza e tiepidezza
il volervi seguire con la mia croce sul cammino della vostra! Fatemi
questo favore: attiratemi a voi e correrò dietro alla fragranza della
vostra inesprimibile pazienza, della vostra ineffabile umiltà nell'ora
del disprezzo e dell'angoscia. Prenderò parte alle offese, alle
umiliazioni, alle sofferenze che vi sono state inflitte. Sia questa la
mia porzione e la mia parte di eredità, il mio onore e il mio riposo
sulla terra e, ad eccezione della vostra croce e delle onte, non voglio
né consolazione, né riposo, né gioia alcuna. Mentre i giudei e tutto il
popolo ormai reso cieco fuggivano per le strade di Gerusalemme onde
evitare di toccare il legno dell'innocentissimo condannato, egli
riusciva ad aprirsi un varco nel vuoto che si era creato intorno a lui
per paura del contagio che la sua gloriosa ignominia, secondo la
perfidia dei persecutori, avrebbe seminato. Il resto della via era preso
d'assalto dalla folla e in mezzo alla confusione di grida e clamori si
sentì risuonare la voce del banditore della sentenza.
1367. Le guardie, prive di ogni umana compassione e pietà,
trascinavano il Signore con incredibile crudeltà e totale mancanza di
rispetto: alcuni lo tiravano in avanti con le corde perché accelerasse
il passo; altri lo trattenevano dal di dietro per poterlo tormentare. A
causa di questa violenza e del grave peso, egli spesso barcollava e più
volte cadeva e, allorché urtava contro le pietre, gli si aprivano nuove
ferite, soprattutto sulle ginocchia; ciò gli causanva una piaga ancora
più profonda sulle spalle. Quando vacillava, il duro legno urtava contro
il suo santissimo capo o viceversa il capo contro di esso, e le spine
della corona ad ogni colpo si conficcavano affondando sempre più nella
carne non ancora ferita. Gli aguzzini accompagnavano queste atrocità con
maledizioni, oltraggi e ingiurie e coprivano il suo volto di polvere,
escrementi e sputi a tal punto da accecare i suoi occhi colmi di
clemenza verso tutti; così essi stessi sì condannavano perché indegni di
uno sguardo tanto benevolo. Impazienti e bramosi di assistere alla sua
morte, non gli permettevano di prendere respiro; la sua umanità, essendo
scesa su di essa in poche ore una pioggia di strazi, era spossata e
sfigurata e, secondo il parere dei presenti, era già sul punto di
rendere la vita tra indicibili dolori.
1368. Tra la moltitudine di gente si avviò anche la Vergine
dolente e afflitta, partendo dalla casa di Pilato, per seguire il suo
Unigenito insieme a Giovanni, a Maria Maddalena e alle altre Marie.
Siccome il tumulto e la confusione impedivano loro di avvicinarsi a lui,
la Regina pregò il Padre affinché le concedesse la grazia di stare ai
piedi della croce in modo da poterlo vedere fisicamente e, secondo la
volontà divina, ordinò agli angeli di realizzare tale disposizione. Essi
le obbedirono con enorme rispetto e con prontezza la fecero passare per
una scorciatoia, dalla quale andarono incontro al Maestro. Madre e
Figlio si guardarono in volto e per entrambi si rinnovò il dolore di ciò
che ciascuno stava soffrendo; tuttavia non proferirono alcuna parola,
perché la rozzezza degli sgherri non lo avrebbe permesso. Ella lo adorò e
con la voce interiore lo supplicò che, non potendo recargli alcun
sollievo come era indotta a desiderare per compassione e non permettendo
egli stesso agli spiriti celesti di farlo, almeno si degnasse con il
suo potere di suscitare nella mente degli aguzzini il pensiero di
mandargli qualcuno che lo aiutasse. Cristo, il nostro bene, accolse
questa richiesta, per la quale obbligarono Simone di Cirene a portare la
sua croce. I farisei e i soldati si convinsero a fare questo passo,
spinti in parte da un certo senso di naturale umanità e in parte dal
timore che Gesù spirasse prima di giungere ad essere crocifisso, poiché
egli era ormai allo stremo delle forze.
1369. Nessun essere vivente può comprendere l'angoscia che
la Principessa provò durante il percorso verso il monte Calvario avendo
sotto lo sguardo quel Figlio che ella sola sapeva degnamente conoscere
ed amare. E sarebbe caduta in deliquio e quindi morta se la potenza
divina non l'avesse sostenuta con la sua forza mantenendola in vita.
Provata dalla più profonda e amara sofferenza si rivolse interiormente a
sua Maestà: «Mio diletto e Dio eterno, luce dei miei occhi, accogliete
il sacrificio che faccio di non potervi rendere leggero il peso della
croce, di non poterla prendere su di me, che sono una semplice creatura,
per morire su di essa per amore vostro come voi volete morire per
l'ardentissimo amore verso gli uomini, o amantissimo mediatore tra la
colpa e la giustizia! Come potete esercitare la misericordia tra tante e
così grandi ingiurie ed offese? O amore senza fine e senza misura, che
permettete tali tormenti e obbrobri per manifestare ancor più
apertamente l'incendio della vostra carità! O amore infinito e
dolcissimo! Se l'intimo dei discendenti di Adamo e la loro volontà
fossero in mio potere, non corrisponderebbero così male alle pene che
patite per tutti! Chi potrebbe parlare al loro cuore e intimare loro ciò
di cui vi sono debitori, poiché tanto caro vi è costato il riscatto
della loro schiavitù e il rimedio della loro rovina?». E la gran Signora
del mondo proferiva altre prudentissime e sublimi espressioni, che io
non sono in grado di fare mie.
1370. Come riferisce l'evangelista san Luca, tra la folla
seguivano il Nazareno molte donne, che si lamentavano e piangevano
amaramente. Rivolgendosi loro, egli affermò: «Figlie di Gerusalemme, non
piangete su di me, ma piangete su voi stesse e sui vostri figli. Ecco,
verranno giorni nei quali si dirà: Beate le sterili e i grembi che non
hanno generato e le mammelle che non hanno allattato. Allora
cominceranno a dire ai monti: Cadete su di noi! e ai colli: Copriteci!
Perché se trattano così il legno verde, che avverrà del legno secco?».
Con queste misteriose parole volle dare credito alle lacrime che
sarebbero state versate per la sua passione e in qualche modo anche la
sua approvazione, mostrandosi così grato per la loro pietà; volle
inoltre indicare alle pie discepole il motivo e il fine che devono avere
le nostre, affinché siano ben indirizzate. Allora esse ignoravano tutto
ciò: piangevano solo sulle ingiurie, le umiliazioni e i dolori che il
loro Maestro era costretto a sopportare e in lessun modo sulle cause per
le quali soffriva; perciò meritarono di essere istruite. Fu come se
egli avesse detto loro: «Piangete sui vostri peccati e quelli dei vostri
figli e non sui miei, che non ne ho né posso averne. E anche se il
provare compassione di me è cosa buona e giusta, io voglio che gemiate
sulle vostre colpe piuttosto che su quello che io sto subendo per esse:
in tal modo passeranno su di voi e sui vostri figli il prezzo del mio
sangue e la redenzione che questo cieco popolo ignora; infatti, verranno
i giorni del giudizio e del castigo universale in cui saranno
considerate fortunate coloro che non avranno generato, mentre i dannati
chiederanno ai monti e ai colli di coprirli per non vedere la mia
indignazione. Se in me che sono innocente le loro trasgressioni hanno
prodotto questi effetti, che cosa non produrranno in loro allorquando si
troveranno così aridi, senza frutti di grazia né meriti?».
1371. Come ricompensa per il loro pianto e la loro
compassione, quelle fortunate donne furono rischiarate dal Signore
affinché potessero comprendere la sua dottrina. Intanto si adempì la
preghiera che Maria aveva fatto. I sommi sacerdoti, i farisei e i
soldati decisero di chiamare qualcuno per aiutare Gesù fino al Calvario.
In quel momento sopraggiunse Simone il Cireneo, detto così perché
nativo di Cirene, città della Libia; costui era il padre di Alessandro e
Rufo, due discepoli del Signore. I giudei lo obbligarono a prendere il
suo posto per un tratto di strada. Essi non vollero avvicinarsi alla
croce né toccarla, perché si vergognavano reputandola come strumento del
castigo di un uomo giustiziato quale insigne malfattore. Si servirono
di tali cerimonie e usarono questa misura di precauzione contro di essa
per indurre la gente a pensarla come loro. Il Cireneo la prese su di sé e
andò dietro a sua Maestà costretto a procedere tra i due ladroni
affinché tutti lo credessero e ritenessero un delinquente al pari di
loro. La Principessa intanto si avvicinava a Cristo come aveva bramato e
chiesto al Padre. Nel suo martirio, sebbene ne condividesse da vicino i
patimenti con tutti i suoi sensi e ne prendesse parte, ella era a tal
punto conforme al beneplacito divino da non accennare mai ad alcun
movimento e gesto interiore o esteriore che potesse far pensare al
desiderio di ritrattare il suo consenso alla sofferenza del suo figlio e
Dio. L'amore, la grazia e la santità di questa Regina furono così
grandi da superare e vincere la natura.
Insegnamento della Regina del cielo
1372. Carissima, voglio che il risultato dell'obbedienza
per la quale scrivi la mia Storia sia quello di formare una vera
discepola del mio Unigenito e mia. A tale scopo sono orientati,
innanzitutto, l'illuminazione superna che ricevi riguardo a questi
arcani tanto sublimi e degni di venerazione e poi gli insegnamenti che
ti impartisco e ripeto continuamente al fine di distaccare il tuo cuore
dall'affetto umano delle creature, sia dal nutrirlo tu in prima persona
sia dall'accettarlo da alcun altro. Così vincerai gli impedimenti del
demonio, molto pericolosi per il tuo carattere incline alla
condiscendenza; ed io, che lo conosco, ti guido e ti accompagno nel
cammino come la madre e la maestra che educa e corregge. Con la scienza
dell'Altissimo penetri già i misteri della sua passione e anche l'unica
vera via della vita, quella della croce. Non tutti sono chiamati e
scelti per percorrerla: molti sono quelli che vogliono seguire il
Salvatore, ma solo pochissimi sono veramente disposti ad imitarlo;
infatti quando giungono a sentire il peso della tribolazione, lo
respingono e se ne allontanano. Il dolore è duro da sopportare per la
natura umana, il frutto dello spirito è profondamente nascosto e solo
pochi si lasciano guidare dalla luce. Molti fra i mortali si dimenticano
della verità, ascoltano la voce della carne, che viziano ed appagano.
Amano ardentemente l'onore del mondo e disprezzano gli oltraggi e le
ingiurie; avidi delle ricchezze, aborriscono la povertà; assetati dei
piaceri, sono terrorizzati dalla mortificazione. Essi sono nemici della
croce del Messia e con orrore fuggono da essa, giudicandola ignominiosa
come coloro che lo hanno ucciso.
1373. Molti credono, ingannandosi, di stargli accanto senza
soffrire, senza operare o faticare e vivono già contenti e appagati per
il fatto di non essere tanto arditi nel commettere colpe. Sono persuasi
che tutta la perfezione consista nella prudenza o nella tiepida carità,
e così non negano niente alla propria volontà e non praticano le virtù
che molto costano alla carne. Costoro uscirebbero da tale menzogna se
pensassero che il mio diletto non solo fu redentore ma anche maestro, e
lasciò nel mondo non solamente il tesoro dei suoi meriti, come rimedio
alla loro dannazione, ma anche la medicina necessaria per la malattia
per cui si infermò la natura a causa del peccato. Nessuno è più saggio
di lui e nessuno poté conoscere l'amore come lui. Con tutto ciò, benché
potesse quanto voleva, non scelse una vita piacevole né facile, ma
travagliata e piena di afflizioni. Egli non avrebbe esercitato la sua
dottrina esaurientemente ed efficacemente se, nel redimere gli uomini,
non li avesse istruiti sul modo di vincere il diavolo, la tentazione e
se stessi. Questo trionfo si ottiene con la croce, la penitenza, la
compunzione, il rinnegamento di sé: sono la caratteristica, la
testimonianza e il segno dell'amore dei predestinati.
1374. Poiché sai il valore della santa croce e l'onore che
per essa ricevettero le umiliazioni e le tribolazioni, abbracciala e
portala con gioia ricalcando le orme del tuo Maestro. La tua gloria in
questo pellegrinaggio non sia altro che la persecuzione, il disprezzo,
l'infermità, la tribolazione, l'umiliazione e quanto vi è di penoso e
contrario alla condizione della carne peritura. Poiché mi emuli in tutti
gli esercizi compiacendomi, non voglio che ti procuri né accetti
sollievo o riposo in alcuna cosa terrena. Non devi soppesare lungamente
tra te e te le sofferenze che sopporti e tanto meno manifestarle con la
pretesa di trovarne alleviamento. Non devi neppure esagerare e
ingrandire le persecuzioni e le molestie che ti causeranno le creature.
Mai sfugga dalla tua bocca che è molto quello che subisci, né ti venga
in mente di fare un confronto con i patimenti altrui. Con questo non
intendo dire che sia una colpa ricevere qualche sollievo onesto e
moderato o lamentarsi con paziente rassegnazione. In te, però, una tale
liberazione sarebbe un'infedeltà verso il tuo sposo, poiché tu sei a lui
obbligata molto più di mille altri. La tua corrispondenza nel penare e
nell'amare non potrà essere scusata se non sarà piena di dedizione,
delicatezza e lealtà. Talmente conformata a se stesso ti vuole il
Signore che neppure un sospiro devi concedere alla tua debolezza senza
avere un fine più sublime del semplice riposarti e ristorarti. E se
l'ardore ti costringerà, allora lasciati rapire dalla sua forza soave
per riposare amando; ma ben presto l'amore della croce saprà congedare
tale conforto: tu sai che io facevo questo con docile rinunzia. Sia per
te regola generale che ogni consolazione umana è imperfetta e comporta
dei pericoli; devi accogliere solo quella che ti invierà l'Altissimo
direttamente o attraverso i suoi angeli. Dei doni che ti elargirà la sua
destra prendi ciò che ti possa aiutare ad essere forte per soffrire di
più e per distaccarti dalle cose effimere e piacevoli, che toccano la
sensibilità.
Maggio 1941
Beata Edvige Carboni
Un altro giorno pregavo, quando mi vidi davanti il Sacro Cuore che mi disse:
- Figlia, tu piangi per una piccola umiliazione; ed io non fui tradito innocente? Che male avevo fatto? Mi tradì uno che mangiava nella mia tavola.