Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 33° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 15
1Al mattino i sommi sacerdoti, con gli anziani, gli scribi e tutto il sinedrio, dopo aver tenuto consiglio, misero in catene Gesù, lo condussero e lo consegnarono a Pilato.2Allora Pilato prese a interrogarlo: "Sei tu il re dei Giudei?". Ed egli rispose: "Tu lo dici".3I sommi sacerdoti frattanto gli muovevano molte accuse.4Pilato lo interrogò di nuovo: "Non rispondi nulla? Vedi di quante cose ti accusano!".5Ma Gesù non rispose più nulla, sicché Pilato ne restò meravigliato.
6Per la festa egli era solito rilasciare un carcerato a loro richiesta.7Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio.8La folla, accorsa, cominciò a chiedere ciò che sempre egli le concedeva.9Allora Pilato rispose loro: "Volete che vi rilasci il re dei Giudei?".10Sapeva infatti che i sommi sacerdoti glielo avevano consegnato per invidia.11Ma i sommi sacerdoti sobillarono la folla perché egli rilasciasse loro piuttosto Barabba.12Pilato replicò: "Che farò dunque di quello che voi chiamate il re dei Giudei?".13Ed essi di nuovo gridarono: "Crocifiggilo!".14Ma Pilato diceva loro: "Che male ha fatto?". Allora essi gridarono più forte: "Crocifiggilo!".15E Pilato, volendo dar soddisfazione alla moltitudine, rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò perché fosse crocifisso.
16Allora i soldati lo condussero dentro il cortile, cioè nel pretorio, e convocarono tutta la coorte.17Lo rivestirono di porpora e, dopo aver intrecciato una corona di spine, gliela misero sul capo.18Cominciarono poi a salutarlo: "Salve, re dei Giudei!".19E gli percuotevano il capo con una canna, gli sputavano addosso e, piegando le ginocchia, si prostravano a lui.20Dopo averlo schernito, lo spogliarono della porpora e gli rimisero le sue vesti, poi lo condussero fuori per crocifiggerlo.
21Allora costrinsero un tale che passava, un certo Simone di Cirene che veniva dalla campagna, padre di Alessandro e Rufo, a portare la croce.22Condussero dunque Gesù al luogo del Gòlgota, che significa luogo del cranio,23e gli offrirono vino mescolato con mirra, ma egli non ne prese.
24Poi lo crocifissero 'e si divisero le' sue 'vesti, tirando a sorte su di esse' quello che ciascuno dovesse prendere.25Erano le nove del mattino quando lo crocifissero.26E l'iscrizione con il motivo della condanna diceva: 'Il re dei Giudei'.27Con lui crocifissero anche due ladroni, uno alla sua destra e uno alla sinistra.28.
29I passanti lo insultavano e, 'scuotendo il capo', esclamavano: "Ehi, tu che distruggi il tempio e lo riedifichi in tre giorni,30salva te stesso scendendo dalla croce!".31Ugualmente anche i sommi sacerdoti con gli scribi, facendosi beffe di lui, dicevano: "Ha salvato altri, non può salvare se stesso!32Il Cristo, il re d'Israele, scenda ora dalla croce, perché vediamo e crediamo". E anche quelli che erano stati crocifissi con lui lo insultavano.
33Venuto mezzogiorno, si fece buio su tutta la terra, fino alle tre del pomeriggio.34Alle tre Gesù gridò con voce forte: 'Eloì, Eloì, lemà sabactàni?', che significa: 'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'35Alcuni dei presenti, udito ciò, dicevano: "Ecco, chiama Elia!".36Uno corse a inzuppare di 'aceto' una spugna e, postala su una canna, gli 'dava da bere', dicendo: "Aspettate, vediamo se viene Elia a toglierlo dalla croce".37Ma Gesù, dando un forte grido, spirò.
38Il velo del tempio si squarciò in due, dall'alto in basso.
39Allora il centurione che gli stava di fronte, vistolo spirare in quel modo, disse: "Veramente quest'uomo era Figlio di Dio!".
40C'erano anche alcune donne, che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo il minore e di ioses, e Salome,41che lo seguivano e servivano quando era ancora in Galilea, e molte altre che erano salite con lui a Gerusalemme.
42Sopraggiunta ormai la sera, poiché era la Parascève, cioè la vigilia del sabato,43Giuseppe d'Arimatéa, membro autorevole del sinedrio, che aspettava anche lui il regno di Dio, andò coraggiosamente da Pilato per chiedere il corpo di Gesù.44Pilato si meravigliò che fosse già morto e, chiamato il centurione, lo interrogò se fosse morto da tempo.45Informato dal centurione, concesse la salma a Giuseppe.46Egli allora, comprato un lenzuolo, lo calò giù dalla croce e, avvoltolo nel lenzuolo, lo depose in un sepolcro scavato nella roccia. Poi fece rotolare un masso contro l'entrata del sepolcro.47Intanto Maria di Màgdala e Maria madre di Ioses stavano ad osservare dove veniva deposto.
Secondo libro dei Re 18
1Nell'anno terzo di Osea figlio di Ela, re di Israele, divenne re Ezechia figlio di Acaz, re di Giuda.2Quando egli divenne re, aveva venticinque anni; regnò ventinove anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Abi, figlia di Zaccaria.3Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, secondo quanto aveva fatto Davide suo antenato.4Egli eliminò le alture e frantumò le stele, abbatté il palo sacro e fece a pezzi il serpente di bronzo, eretto da Mosè; difatti fino a quel tempo gli Israeliti gli bruciavano incenso e lo chiamavano Necustan.5Egli confidò nel Signore, Dio di Israele. Fra tutti i re di Giuda nessuno fu simile a lui, né fra i suoi successori né fra i suoi predecessori.6Attaccato al Signore, non se ne allontanò; osservò i decreti che il Signore aveva dati a Mosè.7Il Signore fu con Ezechia e questi riuscì in tutte le iniziative. Egli si ribellò al re d'Assiria e non gli fu sottomesso.8Sconfisse i Filistei fino a Gaza e ai suoi confini, dal più piccolo villaggio fino alle fortezze.
9Nell'anno quarto del re Ezechia, cioè l'anno settimo di Osea figlio di Ela, re di Israele, Salmanassar re di Assiria marciò contro Samaria e la assediò.10Dopo tre anni la prese; nell'anno sesto di Ezechia, cioè l'anno nono di Osea re di Israele, Samaria fu presa.11Il re d'Assiria deportò gli Israeliti in Assiria, destinandoli a Chelach, al Cabor, fiume del Gozan, e alle città della Media.12Ciò accadde perché quelli non avevano ascoltato la voce del Signore loro Dio e ne avevano trasgredito l'alleanza e non avevano ascoltato né messo in pratica quanto aveva loro comandato Mosè, servo di Dio.
13Nell'anno quattordici del re Ezechia, Sennàcherib re di Assiria assalì e prese tutte le fortezze di Giuda.14Ezechia, re di Giuda, mandò a dire al re d'Assiria in Lachis: "Ho peccato; allontànati da me e io sopporterò quanto mi imporrai". Il re di Assiria impose a Ezechia re di Giuda trecento talenti d'argento e trenta talenti d'oro.15Ezechia consegnò tutto il denaro che si trovava nel tempio e nei tesori della reggia.16In quel tempo Ezechia staccò dalle porte del tempio del Signore e dagli stipiti l'oro, di cui egli stesso re di Giuda li aveva rivestiti, e lo diede al re d'Assiria.
17Il re d'Assiria mandò il 'tartan', il capo delle guardie e il gran coppiere da Lachis a Gerusalemme, al re Ezechia, con un grande esercito. Costoro salirono e giunsero a Gerusalemme; si fermarono al canale della piscina superiore, sulla strada del campo del lavandaio.
18Essi chiesero del re e incontro a loro vennero Eliakìm figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Ioach figlio di Asaf, l'archivista.19Il gran coppiere disse loro: "Riferite a Ezechia: Dice il gran re, il re d'Assiria: Che fiducia è quella su cui ti appoggi?20Pensi forse che la semplice parola possa sostituire il consiglio e la forza nella guerra? Ora, in chi confidi ribellandoti a me?21Ecco, tu confidi su questo sostegno di canna spezzata, che è l'Egitto, che penetra nella mano, forandola, a chi vi si appoggia; tale è il faraone re di Egitto per chiunque confida in lui.22Se mi dite: Noi confidiamo nel Signore nostro Dio, non è forse quello stesso del quale Ezechia distrusse le alture e gli altari, ordinando alla gente di Giuda e di Gerusalemme: Vi prostrerete soltanto davanti a questo altare in Gerusalemme?23Ora vieni al mio signore, re d'Assiria; io ti darò duemila cavalli, se potrai procurarti cavalieri per essi.24Come potresti fare retrocedere uno solo dei più piccoli servi del mio signore? Eppure tu confidi nell'Egitto per i carri e i cavalieri.25Ora, non è forse secondo il volere del Signore che io sono venuto contro questo paese per distruggerlo? Il Signore mi ha detto: Va' contro questo paese e distruggilo".
26Eliakìm figlio di Chelkia, Sebna e Ioach risposero al gran coppiere: "Parla, ti prego, ai tuoi servi in aramaico, perché noi lo comprendiamo; non parlare in ebraico, mentre il popolo che è sulle mura ascolta".27Il gran coppiere replicò: "Forse io sono stato inviato al tuo signore e a te dal mio signore per pronunziare tali parole e non piuttosto agli uomini che stanno sulle mura, i quali saranno ridotti a mangiare i loro escrementi e a bere la loro urina con voi?".28Il gran coppiere allora si alzò e gridò a gran voce in ebraico: "Udite la parola del gran re, del re d'Assiria:29Dice il re: Non vi inganni Ezechia, poiché non potrà liberarvi dalla mia mano.30Ezechia non vi induca a confidare nel Signore, dicendo: Certo, il Signore ci libererà, questa città non sarà messa nelle mani del re d'Assiria.31Non ascoltate Ezechia, poiché dice il re d'Assiria: Fate la pace con me e arrendetevi; allora ognuno potrà mangiare i frutti della sua vigna e dei suoi fichi, ognuno potrà bere l'acqua della sua cisterna,32finché io non venga per condurvi in un paese come il vostro, in un paese che produce frumento e mosto, in un paese ricco di pane e di vigne, in un paese di ulivi e di miele; voi vivrete e non morirete. Non ascoltate Ezechia che vi inganna, dicendovi: Il Signore ci libererà!33Forse gli dèi delle nazioni hanno liberato ognuno il proprio paese dalla mano del re d'Assiria?34Dove sono gli dèi di Amat e di Arpad? Dove sono gli dèi di Sefarvàim, di Ena e di Ivva? Hanno essi forse liberato Samaria dalla mia mano?35Quali mai, fra tutti gli dèi di quelle nazioni, hanno liberato il loro paese dalla mia mano? Potrà forse il Signore liberare Gerusalemme dalla mia mano?".
36Quelli tacquero e non gli risposero neppure una parola, perché l'ordine del re era: "Non rispondete loro".
37Eliakìm figlio di Chelkia, il maggiordomo, Sebna lo scriba e Ioach figlio di Asaf, l'archivista, si presentarono a Ezechia con le vesti stracciate e gli riferirono le parole del gran coppiere.
Proverbi 19
1Meglio un povero di condotta integra
che un ricco di costumi perversi.
2Lo zelo senza riflessione non è cosa buona,
e chi va a passi frettolosi inciampa.
3La stoltezza intralcia il cammino dell'uomo
e poi egli si adira contro il Signore.
4Le ricchezze moltiplicano gli amici,
ma il povero è abbandonato anche dall'amico che ha.
5Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne non avrà scampo.
6Molti sono gli adulatori dell'uomo generoso
e tutti sono amici di chi fa doni.
7Il povero è disprezzato dai suoi stessi fratelli,
tanto più si allontanano da lui i suoi amici.
Egli va in cerca di parole, ma non ci sono.
8Chi acquista senno ama se stesso
e chi agisce con prudenza trova fortuna.
9Il falso testimone non resterà impunito,
chi diffonde menzogne perirà.
10Allo stolto non conviene una vita agiata,
ancor meno a un servo comandare ai prìncipi.
11È avvedutezza per l'uomo rimandare lo sdegno
ed è sua gloria passar sopra alle offese.
12Lo sdegno del re è simile al ruggito del leone
e il suo favore è come la rugiada sull'erba.
13Un figlio stolto è una calamità per il padre
e i litigi della moglie sono come stillicidio incessante.
14La casa e il patrimonio si ereditano dai padri,
ma una moglie assennata è dono del Signore.
15La pigrizia fa cadere in torpore,
l'indolente patirà la fame.
16Chi custodisce il comando custodisce se stesso,
chi trascura la propria condotta morirà.
17Chi fa la carità al povero fa un prestito al Signore
che gli ripagherà la buona azione.
18Correggi tuo figlio finché c'è speranza,
ma non ti trasporti l'ira fino a ucciderlo.
19Il violento deve essere punito,
se lo risparmi, lo diventerà ancora di più.
20Ascolta il consiglio e accetta la correzione,
per essere saggio in avvenire.
21Molte sono le idee nella mente dell'uomo,
ma solo il disegno del Signore resta saldo.
22Il pregio dell'uomo è la sua bontà,
meglio un povero che un bugiardo.
23Il timore di Dio conduce alla vita
e chi ne è pieno riposerà non visitato dalla sventura.
24Il pigro tuffa la mano nel piatto,
ma stenta persino a riportarla alla bocca.
25Percuoti il beffardo e l'ingenuo diventerà accorto,
rimprovera l'intelligente e imparerà la lezione.
26Chi rovina il padre e fa fuggire la madre
è un figlio disonorato e infame.
27Figlio mio, cessa pure di ascoltare l'istruzione,
se vuoi allontanarti dalle parole della sapienza.
28Il testimone iniquo si beffa della giustizia
e la bocca degli empi ingoia l'iniquità.
29Per i beffardi sono pronte le verghe
e il bastone per le spalle degli stolti.
Salmi 119
1Alleluia.
Alef. Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
3Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
4Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.
5Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
6Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
7Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
8Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.
9Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
10Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
11Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
12Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
13Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
14Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
15Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
16Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola.
17Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita,
custodirò la tua parola.
18Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge.
19Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
20Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.
21Tu minacci gli orgogliosi;
maledetto chi devìa dai tuoi decreti.
22Allontana da me vergogna e disprezzo,
perché ho osservato le tue leggi.
23Siedono i potenti, mi calunniano,
ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
24Anche i tuoi ordini sono la mia gioia,
miei consiglieri i tuoi precetti.
25Dalet. Io sono prostrato nella polvere;
dammi vita secondo la tua parola.
26Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto;
insegnami i tuoi voleri.
27Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò i tuoi prodigi.
28Io piango nella tristezza;
sollevami secondo la tua promessa.
29Tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
30Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
31Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
32Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore.
33He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
34Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
35Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
36Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
37Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
38Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
39Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
40Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.
41Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia,
la tua salvezza secondo la tua promessa;
42a chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola.
43Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera,
perché confido nei tuoi giudizi.
44Custodirò la tua legge per sempre,
nei secoli, in eterno.
45Sarò sicuro nel mio cammino,
perché ho ricercato i tuoi voleri.
46Davanti ai re parlerò della tua alleanza
senza temere la vergogna.
47Gioirò per i tuoi comandi
che ho amati.
48Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo,
mediterò le tue leggi.
49Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale mi hai dato speranza.
50Questo mi consola nella miseria:
la tua parola mi fa vivere.
51I superbi mi insultano aspramente,
ma non devìo dalla tua legge.
52Ricordo i tuoi giudizi di un tempo, Signore,
e ne sono consolato.
53M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge.
54Sono canti per me i tuoi precetti,
nella terra del mio pellegrinaggio.
55Ricordo il tuo nome lungo la notte
e osservo la tua legge, Signore.
56Tutto questo mi accade
perché ho custodito i tuoi precetti.
57Het. La mia sorte, ho detto, Signore,
è custodire le tue parole.
58Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
59Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
60Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
61I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
62Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
63Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
64Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.
65Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore,
secondo la tua parola.
66Insegnami il senno e la saggezza,
perché ho fiducia nei tuoi comandamenti.
67Prima di essere umiliato andavo errando,
ma ora osservo la tua parola.
68Tu sei buono e fai il bene,
insegnami i tuoi decreti.
69Mi hanno calunniato gli insolenti,
ma io con tutto il cuore osservo i tuoi precetti.
70Torpido come il grasso è il loro cuore,
ma io mi diletto della tua legge.
71Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti.
72La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento.
73Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato;
fammi capire e imparerò i tuoi comandi.
74I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia,
perché ho sperato nella tua parola.
75Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi
e con ragione mi hai umiliato.
76Mi consoli la tua grazia,
secondo la tua promessa al tuo servo.
77Venga su di me la tua misericordia e avrò vita,
poiché la tua legge è la mia gioia.
78Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono;
io mediterò la tua legge.
79Si volgano a me i tuoi fedeli
e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti.
80Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
perché non resti confuso.
81Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
82Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa,
mentre dico: "Quando mi darai conforto?".
83Io sono come un otre esposto al fumo,
ma non dimentico i tuoi insegnamenti.
84Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando farai giustizia dei miei persecutori?
85Mi hanno scavato fosse gli insolenti
che non seguono la tua legge.
86Verità sono tutti i tuoi comandi;
a torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto.
87Per poco non mi hanno bandito dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
88Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò le parole della tua bocca.
89Lamed. La tua parola, Signore,
è stabile come il cielo.
90La tua fedeltà dura per ogni generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
91Per tuo decreto tutto sussiste fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
92Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei perito nella mia miseria.
93Mai dimenticherò i tuoi precetti:
per essi mi fai vivere.
94Io sono tuo: salvami,
perché ho cercato il tuo volere.
95Gli empi mi insidiano per rovinarmi,
ma io medito i tuoi insegnamenti.
96Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma la tua legge non ha confini.
97Mem. Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
98Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna.
99Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
100Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti.
101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.
105Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
106Ho giurato, e lo confermo,
di custodire i tuoi precetti di giustizia.
107Sono stanco di soffrire, Signore,
dammi vita secondo la tua parola.
108Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
109La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
110Gli empi mi hanno teso i loro lacci,
ma non ho deviato dai tuoi precetti.
111Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore.
112Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti,
in essi è la mia ricompensa per sempre.
113Samech. Detesto gli animi incostanti,
io amo la tua legge.
114Tu sei mio rifugio e mio scudo,
spero nella tua parola.
115Allontanatevi da me o malvagi,
osserverò i precetti del mio Dio.
116Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita,
non deludermi nella mia speranza.
117Sii tu il mio aiuto e sarò salvo,
gioirò sempre nei tuoi precetti.
118Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti,
perché la sua astuzia è fallace.
119Consideri scorie tutti gli empi della terra,
perciò amo i tuoi insegnamenti.
120Tu fai fremere di spavento la mia carne,
io temo i tuoi giudizi.
121Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia;
non abbandonarmi ai miei oppressori.
122Assicura il bene al tuo servo;
non mi opprimano i superbi.
123I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza
e della tua parola di giustizia.
124Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore
e insegnami i tuoi comandamenti.
125Io sono tuo servo, fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
126È tempo che tu agisca, Signore;
hanno violato la tua legge.
127Perciò amo i tuoi comandamenti
più dell'oro, più dell'oro fino.
128Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.
129Pe. Meravigliosa è la tua alleanza,
per questo le sono fedele.
130La tua parola nel rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici.
131Apro anelante la bocca,
perché desidero i tuoi comandamenti.
132Volgiti a me e abbi misericordia,
tu che sei giusto per chi ama il tuo nome.
133Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male.
134Salvami dall'oppressione dell'uomo
e obbedirò ai tuoi precetti.
135Fa' risplendere il volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi comandamenti.
136Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi,
perché non osservano la tua legge.
137Sade. Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
138Con giustizia hai ordinato le tue leggi
e con fedeltà grande.
139Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
140Purissima è la tua parola,
il tuo servo la predilige.
141Io sono piccolo e disprezzato,
ma non trascuro i tuoi precetti.
142La tua giustizia è giustizia eterna
e verità è la tua legge.
143Angoscia e affanno mi hanno colto,
ma i tuoi comandi sono la mia gioia.
144Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre,
fammi comprendere e avrò la vita.
145Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi precetti.
146Io ti chiamo, salvami,
e seguirò i tuoi insegnamenti.
147Precedo l'aurora e grido aiuto,
spero sulla tua parola.
148I miei occhi prevengono le veglie
per meditare sulle tue promesse.
149Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
150A tradimento mi assediano i miei persecutori,
sono lontani dalla tua legge.
151Ma tu, Signore, sei vicino,
tutti i tuoi precetti sono veri.
152Da tempo conosco le tue testimonianze
che hai stabilite per sempre.
153Res. Vedi la mia miseria, salvami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
154Difendi la mia causa, riscattami,
secondo la tua parola fammi vivere.
155Lontano dagli empi è la salvezza,
perché non cercano il tuo volere.
156Le tue misericordie sono grandi, Signore,
secondo i tuoi giudizi fammi vivere.
157Sono molti i persecutori che mi assalgono,
ma io non abbandono le tue leggi.
158Ho visto i ribelli e ne ho provato ribrezzo,
perché non custodiscono la tua parola.
159Vedi che io amo i tuoi precetti,
Signore, secondo la tua grazia dammi vita.
160La verità è principio della tua parola,
resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia.
161Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme le tue parole.
162Io gioisco per la tua promessa,
come uno che trova grande tesoro.
163Odio il falso e lo detesto,
amo la tua legge.
164Sette volte al giorno io ti lodo
per le sentenze della tua giustizia.
165Grande pace per chi ama la tua legge,
nel suo cammino non trova inciampo.
166Aspetto da te la salvezza, Signore,
e obbedisco ai tuoi comandi.
167Io custodisco i tuoi insegnamenti
e li amo sopra ogni cosa.
168Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie.
169Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore,
fammi comprendere secondo la tua parola.
170Venga al tuo volto la mia supplica,
salvami secondo la tua promessa.
171Scaturisca dalle mie labbra la tua lode,
poiché mi insegni i tuoi voleri.
172La mia lingua canti le tue parole,
perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti.
173Mi venga in aiuto la tua mano,
poiché ho scelto i tuoi precetti.
174Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è tutta la mia gioia.
175Possa io vivere e darti lode,
mi aiutino i tuoi giudizi.
176Come pecora smarrita vado errando;
cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.
Daniele 14
1Il re Astiage si riunì ai suoi padri e gli succedette nel regno Ciro il Persiano.2Ora Daniele viveva accanto al re, ed era il più onorato di tutti gli amici del re.3I Babilonesi avevano un idolo chiamato Bel, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino.4Anche il re venerava questo idolo e andava ogni giorno ad adorarlo. Daniele però adorava il suo Dio e perciò il re gli disse: "Perché non adori Bel?".5Daniele rispose: "Io non adoro idoli fatti da mani d'uomo, ma soltanto il Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra e che è signore di ogni essere vivente".6"Non credi tu - aggiunse il re - che Bel sia un dio vivo? Non vedi quanto beve e mangia ogni giorno?".7Rispose Daniele ridendo: "Non t'ingannare, o re: quell'idolo di dentro è d'argilla e di fuori è di bronzo e non ha mai mangiato né bevuto".8Il re s'indignò e convocati i sacerdoti di Bel, disse loro: "Se voi non mi dite chi è che mangia tutto questo cibo, morirete; se invece mi proverete che è Bel che lo mangia, morirà Daniele, perché ha insultato Bel".9Daniele disse al re: "Sia fatto come tu hai detto". I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli.10Il re si recò insieme con Daniele al tempio di Bel11e i sacerdoti di Bel gli dissero: "Ecco, noi usciamo di qui e tu, re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati".12Essi però non se ne preoccuparono perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto.
13Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel:14Daniele ordinò ai servi del re di portare un po' di cenere e la sparsero su tutto il pavimento del tempio alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l'anello del re e se ne andarono.15I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli, e mangiarono e bevvero tutto.16Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele.17Il re domandò: "Sono intatti i sigilli, Daniele?". "Intatti, re" rispose.18Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: "Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!".19Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: "Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme".20Il re disse: "Vedo orme d'uomini, di donne e di ragazzi!".21Acceso d'ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli; gli furono mostrate le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola.22Quindi il re li fece mettere a morte, consegnò Bel in potere di Daniele che lo distrusse insieme con il tempio.
23Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano.24Il re disse a Daniele: "Non potrai dire che questo non è un dio vivente; adoralo, dunque".25Daniele rispose: "Io adoro il Signore mio Dio, perché egli è il Dio vivente; se tu me lo permetti, o re, io, senza spada e senza bastone, ucciderò il drago".26Soggiunse il re: "Te lo permetto".27Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò; quindi soggiunse: "Ecco che cosa adoravate!".
28Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: "Il re è diventato Giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti".29Andarono da lui dicendo: "Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!".30Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele.
31Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni.32Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente perché divorassero Daniele.
33Si trovava allora in Giudea il profeta Àbacuc il quale aveva fatto una minestra e spezzettato il pane in un recipiente e andava a portarlo nel campo ai mietitori.34L'angelo del Signore gli disse: "Porta questo cibo a Daniele in Babilonia nella fossa dei leoni".35Ma Àbacuc rispose: "Signore, Babilonia non l'ho mai vista e la fossa non la conosco".36Allora l'angelo del Signore lo prese per i capelli e con la velocità del vento lo trasportò in Babilonia e lo posò sull'orlo della fossa dei leoni.37Gridò Àbacuc: "Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato".38Daniele esclamò: "Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano".39Alzatosi, Daniele si mise a mangiare, mentre l'angelo di Dio riportava subito Àbacuc nel luogo di prima.
40Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e giunto alla fossa guardò e vide Daniele seduto.41Allora esclamò ad alta voce: "Grande tu sei, Signore Dio di Daniele, e non c'è altro dio all'infuori di te!".42Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi.
Atti degli Apostoli 10
1C'era in Cesarèa un uomo di nome Cornelio, centurione della coorte Italica,2uomo pio e timorato di Dio con tutta la sua famiglia; faceva molte elemosine al popolo e pregava sempre Dio.3Un giorno verso le tre del pomeriggio vide chiaramente in visione un angelo di Dio venirgli incontro e chiamarlo: "Cornelio!".4Egli lo guardò e preso da timore disse: "Che c'è, Signore?". Gli rispose: "Le tue preghiere e le tue elemosine sono salite, in tua memoria, innanzi a Dio.5E ora manda degli uomini a Giaffa e fa' venire un certo Simone detto anche Pietro.6Egli è ospite presso un tal Simone conciatore, la cui casa è sulla riva del mare".7Quando l'angelo che gli parlava se ne fu andato, Cornelio chiamò due dei suoi servitori e un pio soldato fra i suoi attendenti e,8spiegata loro ogni cosa, li mandò a Giaffa.
9Il giorno dopo, mentre essi erano per via e si avvicinavano alla città, Pietro salì verso mezzogiorno sulla terrazza a pregare.10Gli venne fame e voleva prendere cibo. Ma mentre glielo preparavano, fu rapito in estasi.11Vide il cielo aperto e un oggetto che discendeva come una tovaglia grande, calata a terra per i quattro capi.12In essa c'era ogni sorta di quadrupedi e rettili della terra e uccelli del cielo.13Allora risuonò una voce che gli diceva: "Alzati, Pietro, uccidi e mangia!".14Ma Pietro rispose: "No davvero, Signore, poiché io non ho mai mangiato nulla di profano e di immondo".15E la voce di nuovo a lui: "Ciò che Dio ha purificato, tu non chiamarlo più profano".16Questo accadde per tre volte; poi d'un tratto quell'oggetto fu risollevato al cielo.17Mentre Pietro si domandava perplesso tra sé e sé che cosa significasse ciò che aveva visto, gli uomini inviati da Cornelio, dopo aver domandato della casa di Simone, si fermarono all'ingresso.18Chiamarono e chiesero se Simone, detto anche Pietro, alloggiava colà.19Pietro stava ancora ripensando alla visione, quando lo Spirito gli disse: "Ecco, tre uomini ti cercano;20alzati, scendi e va' con loro senza esitazione, perché io li ho mandati".21Pietro scese incontro agli uomini e disse: "Eccomi, sono io quello che cercate. Qual è il motivo per cui siete venuti?".22Risposero: "Il centurione Cornelio, uomo giusto e timorato di Dio, stimato da tutto il popolo dei Giudei, è stato avvertito da un angelo santo di invitarti nella sua casa, per ascoltare ciò che hai da dirgli".23Pietro allora li fece entrare e li ospitò.
Il giorno seguente si mise in viaggio con loro e alcuni fratelli di Giaffa lo accompagnarono.24Il giorno dopo arrivò a Cesarèa. Cornelio stava ad aspettarli ed aveva invitato i congiunti e gli amici intimi.25Mentre Pietro stava per entrare, Cornelio andandogli incontro si gettò ai suoi piedi per adorarlo.26Ma Pietro lo rialzò, dicendo: "Alzati: anch'io sono un uomo!".27Poi, continuando a conversare con lui, entrò e trovate riunite molte persone disse loro:28"Voi sapete che non è lecito per un Giudeo unirsi o incontrarsi con persone di altra razza; ma Dio mi ha mostrato che non si deve dire profano o immondo nessun uomo.29Per questo sono venuto senza esitare quando mi avete mandato a chiamare. Vorrei dunque chiedere: per quale ragione mi avete fatto venire?".30Cornelio allora rispose: "Quattro giorni or sono, verso quest'ora, stavo recitando la preghiera delle tre del pomeriggio nella mia casa, quando mi si presentò un uomo in splendida veste31e mi disse: Cornelio, sono state esaudite le tue preghiere e ricordate le tue elemosine davanti a Dio.32Manda dunque a Giaffa e fa' venire Simone chiamato anche Pietro; egli è ospite nella casa di Simone il conciatore, vicino al mare.33Subito ho mandato a cercarti e tu hai fatto bene a venire. Ora dunque tutti noi, al cospetto di Dio, siamo qui riuniti per ascoltare tutto ciò che dal Signore ti è stato ordinato".
34Pietro prese la parola e disse: "In verità sto rendendomi conto che 'Dio non fa preferenze di persone',35ma chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque popolo appartenga, è a lui accetto.36Questa è 'la parola che egli ha inviato' ai figli d'Israele, 'recando la buona novella' della pace, per mezzo di Gesù Cristo, che è il Signore di tutti.37Voi conoscete ciò che è accaduto in tutta la Giudea, incominciando dalla Galilea, dopo il battesimo predicato da Giovanni;38cioè come 'Dio consacrò in Spirito Santo' e potenza Gesù di Nàzaret, il quale passò beneficando e risanando tutti coloro che stavano sotto il potere del diavolo, perché Dio era con lui.39E noi siamo testimoni di tutte le cose da lui compiute nella regione dei Giudei e in Gerusalemme. Essi lo uccisero appendendolo a una croce,40ma Dio lo ha risuscitato al terzo giorno e volle che apparisse,41non a tutto il popolo, ma a testimoni prescelti da Dio, a noi, che abbiamo mangiato e bevuto con lui dopo la sua risurrezione dai morti.42E ci ha ordinato di annunziare al popolo e di attestare che egli è il giudice dei vivi e dei morti costituito da Dio.43Tutti i profeti gli rendono questa testimonianza: chiunque crede in lui ottiene la remissione dei peccati per mezzo del suo nome".
44Pietro stava ancora dicendo queste cose, quando lo Spirito Santo scese sopra tutti coloro che ascoltavano il discorso.45E i fedeli circoncisi, che erano venuti con Pietro, si meravigliavano che anche sopra i pagani si effondesse il dono dello Spirito Santo;46li sentivano infatti parlare lingue e glorificare Dio.47Allora Pietro disse: "Forse che si può proibire che siano battezzati con l'acqua questi che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?".48E ordinò che fossero battezzati nel nome di Gesù Cristo. Dopo tutto questo lo pregarono di fermarsi alcuni giorni.
Capitolo XVI: Manifestare a Cristo le nostre manchevolezze e chiedere la sua grazia
Leggilo nella BibliotecaParola del discepolo
O dolcissimo e amorosissimo Signore, che ora desidero devotamente ricevere, tu conosci la mia debolezza e la miseria che mi affligge; sai quanto siano grandi il male e i vizi in cui giaccio e come io sia frequentemente oppresso, provato, sconvolto e pieno di corruzione. Io vengo a te per essere aiutato, consolato e sollevato. Parlo a colui che tutto sa e conosce ogni mio pensiero; a colui che solo mi può pienamente confortare e soccorrere. Tu ben sai di quali beni io ho massimamente bisogno e quanto io sono povero di virtù. Ecco che io mi metto dinanzi a te, povero e nudo, chiedendo grazia e implorando misericordia. Ristora questo tuo misero affamato; riscalda la mia freddezza con il fuoco del tuo amore; rischiara la mia cecità con la luce della tua presenza. Muta per me in amarezza tutto ciò che è terreno; trasforma in occasione di pazienza tutto ciò che mi pesa e mi ostacola; muta in oggetto di disprezzo e di oblio ciò che è bassa creatura. Innalza il mio cuore verso il cielo, a te, e non lasciare che mi perda, vagando su questa terra. Sii tu solo, da questo momento e per sempre, la mia dolce attrazione, ché tu solo sei mio cibo e mia bevanda, mio amore e mia gioia, mia dolcezza e sommo mio bene. Potessi io infiammarmi tutto, dinanzi a te, consumarmi e trasmutare in te, così da diventare un solo spirito con te, per grazia di intima unione, in struggimento di ardente amore. Non permettere che io mi allontani da te digiuno e languente, ma usa misericordia verso di me, come tante volte l'hai usata mirabilmente con i tuoi santi. Qual meraviglia se da te io prendessi fuoco interamente, venendo meno in me stesso, poiché tu sei fiamma sempre viva, che mai si spegne, amore che purifica i cuori e illumina le menti?
LIBRO QUARTO: CLASSIFICAZIONE E REGOLE DEL METRO
La Musica - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaClassificazione dei metri (1, 1 - 12, 15)
Indifferenza se l'ultima sillaba del metro è breve o lunga.
1. 1. M. - Torniamo dunque all'esame del metro. Soltanto a motivo del suo sviluppo in lunghezza sono stato costretto ad esporre qualche nozione sul verso. Ma l'occasione di trattarne viene in seguito. Per prima cosa ti chiedo se respingi l'opinione dei poeti e dei loro critici, i grammatici, che non ha alcuna importanza se l'ultima sillaba, la quale chiude il metro, sia lunga o breve.
D. - La rifiuto decisamente perché non mi sembra ragionevole.
M. - Dimmi, scusa, qual è il metro più corto in pirrichi?
D. - Tre brevi.
M. - Quale pausa dunque si deve osservare, mentre si torna a ripeterlo?
D. - Un tempo che è la durata di una breve.
M. - Batti dunque questo metro non con la voce, ma con la percussione.
D. - Fatto.
M. - Batti anche in questo modo l'anapesto.
D. - Fatto anche questo.
M. - Secondo te, in che cosa differiscono?
D. - In nulla, proprio.
M. - E puoi dirmene il motivo?
D. - Mi pare abbastanza chiaro. Il tempo, che nel pirrichio è dato alla pausa, nell'anapesto è dato alla lunghezza dell'ultima sillaba, poiché allo stesso modo nel primo si batte l'ultima breve e nel secondo la lunga e dopo il medesimo intervallo si ritorna a capo. Ma nel primo si fa una pausa fino a completare la durata del piede pirrichio, nel secondo la durata della sillaba lunga. Così la pausa è uguale nelle due parti e dopo averla interposta si ritorna.
M. - Dunque non irrazionalmente i grammatici vollero che non avesse importanza se l'ultima sillaba è lunga o breve. Quando si termina, segue appunto una pausa sufficiente perché il metro sia completo. Ovvero pensi che al caso avrebbero dovuto tener conto della ripetizione o del ritorno a capo e non solamente del fatto che il metro è terminato, come se non ci fosse altro da dire?
D. - Ora riconosco che l'ultima sillaba va considerata senza distinzione di lunga o breve.
M. - Bene. Il fatto avviene per motivo della pausa, giacché il termine viene considerato, come se chi ha terminato non abbia altro da aggiungere. Inoltre in considerazione di questa durata assai lunga nella pausa è indifferente quale sillaba sia posta in fine. Non ne consegue dunque che l'alterna possibilità, consentita alla sillaba finale a causa della lunga durata, abbia per risultato che, sia essa breve o lunga, l'udito la percepisca come lunga?
D. - Capisco chiaramente che consegue.
Il metro più breve è il pirrichio di quattro tempi.
2. 2. M. - Ma quando si dice che il metro più corto è il pirrichio di tre sillabe brevi, sicché si ha la pausa di una sola breve mentre si torna a capo, capisci anche che non ha importanza se si ripete questo metro o piedi anapesti?
D. - Me ne sono accorto poco fa con quella percussione.
M. - Non ritieni dunque che con una determinata regola si debba conferire ordine a simile anomalia?
D. - Sì, lo ritengo.
M. - E dimmi se conosci altra regola la quale dia ordine alle nozioni in parola, se non quella che il metro pirrichio più corto non è, come tu credevi, di tre brevi, ma di cinque. Infatti l'analogia con l'anapesto, come è stato già detto, non ci consente dopo un piede e un semipiede di fare la pausa di quel semipiede che si richiede per completare il piede e così tornare al principio e stabilire che questo è il metro pirrichio più corto. Dunque, se si vogliono evitare confusioni, occorrono due piedi e un semipiede per fare la pausa di un solo tempo.
D. - Ma perché non due pirrichi sono il metro più corto in pirrichi, o magari quattro sillabe brevi, dopo le quali non sia necessario far la pausa, piuttosto che cinque che la richiedono?
M. - Sei sveglio, eh! Però non badi che te lo può vietare il proceleusmatico, come l'anapesto nell'altro caso.
D. - È vero.
M. - Ammetti dunque il limite minimo in cinque brevi e nella pausa di un tempo?
D. - Sì.
M. - Mi pare che tu abbia dimenticato ciò che abbiamo detto sul modo di giudicare se si scandisce col pirrichio o col proceleusmatico.
D. - Me ne avvisi opportunamente. Abbiamo stabilito che questi metri devono esser distinti con la percussione. Pertanto non temo più in questo caso il proceleusmatico che mediante la percussione potrò distinguere dal pirrichio.
M. - Perché dunque non ti sei accorto che bisognava usare la percussione per distinguere l'anapesto dalle tre brevi, cioè un pirrichio e un semipiede, dopo il quale occorreva la pausa di un tempo?
D. - Ora capisco e torno sulla via giusta. Confermo che il metro pirrichio più corto è di tre sillabe brevi che con la pausa occupano il tempo di due pirrichi.
M. - Il tuo udito gradisce dunque questo schema ritmico: Si aliqua/ bene vis,/ bene dic,/ bene fac,/ Animus, / si aliquid/ male vis, / male vic, / male fac,/ Animus/ medium est.
D. - Assai, soprattutto perché ho ricordato in qual modo bisogna segnar la percussione per non confondere piedi anapesti col metro pirrichio.
L'ultima sillaba del metro nella norma e nella licenza poetica.
2. 3. M. - Esamina anche questi: Si aliquid es,/ age bene./ Male qui agit,/ nihil agit/ et ideo/ miser erit.
D. - Anche essi si ascoltano con gradimento, tranne nel punto in cui la fine del terzo si incontra con l'inizio del quarto.
M. - È proprio questo che mi aspettavo dal tuo udito. Non senza motivo il senso è contrariato quando attende un solo tempo di tutte le sillabe senza interposizione di pausa. Invece l'incontro delle due consonanti t ed n, che rendono lunga la sillaba precedente e le danno la durata di due tempi, ingannano simile attesa. È questa la forma che i grammatici chiamano sillaba lunga per posizione. Ma a causa dell'indeterminatezza dell'ultima sillaba nessuno trova difettoso questo metro, benché un udito rigidamente disciplinato lo condanna anche senza accusatore. Infatti puoi osservare quanta sia la differenza se invece di Male qui agit,/nihil agit, si dica: Male qui agit,/homo perit.
D. - Questo metro è veramente genuino.
M. - Custodiamo dunque a causa della purezza della musica ciò che i poeti trascurano per facilitare la composizione poetica. Ad esempio, ogni volta che ci sia indispensabile porre in un contesto metri, in cui non è richiesto un compenso al piede mediante la pausa, si devono porre per ultimo le sillabe che richiede la legge di quel ritmo, per non tornare dalla fine all'inizio con fastidio dell'udito e contaminazione della misura. Si dà tuttavia licenza ai poeti di terminare i metri come se non dovessero dire altro di seguito e perciò di porre indifferentemente come ultima sillaba tanto una lunga che una breve. Essi infatti nella sequenza metrica saranno avvertiti dal giudizio dell'udito di porre in ultimo la sillaba che si deve porre in base alla norma logica del metro stesso. La sequenza regolare si ha appunto quando al piede non manca qualche cosa, per cui si è costretti alla pausa.
D. - Capisco e ti son grato perché mi stai promettendo esempi, in cui l'orecchio non subisce alcun fastidio.
Quattordici esempi di metri pirrichi e...
3. 4. M. - Ed ora dimmi la tua opinione sui seguenti pirrichi, l'un dopo l'altro:
Quid e/rit ho/mo
Qui amat/ homi/nem,
Si amet/ in e/o
Fragi/le quod/ est?
Amet/ igi/tur
Ani/mum homi/nis,
Et e/rit ho/mo
Ali/quid a/mans.
Che te ne sembra?
D. - Debbo ammettere che si svolgono con una perfezione che piace.
M. - E questi?
Bonus/ erit/ amor,
Ani/ma bo/na sit,
Amor/ inha/bitat
Et a/nima/ domus.
Ita/ bene ha/bitat,
Ubi/ bona/ domus,
Ubi/ mala,/ male.
D. - Anche questi ascolto con diletto nella loro sequenza.
M. - Ed ora ascolta metri con tre piedi e mezzo:
Ani/mus ho/minis/ est
Mala/ bona/ve agi/tans.
Bona/ volu/it ha/bet,
Mala/ volu/it habet.
D. - Anche essi, mediante la pausa di un tempo, sono esteticamente ben fatti.
M. - Seguono quattro pirrichi completi. Ascoltali e giudica:
Ani/mus ho/minis/ agit
Ut ha/beat/ ea/ bona,
Quibus/inha/bitet/ homo,
Nihil/ ibi/ metu/itur.
D. - Anche in essi la misura è esatta e dilettosa.
M. - Ascolta ora nove sillabe brevi; ascolta e giudica:
Homo/ malus/ amat/ et e/get,
Malus/ete/nim ea/ bona a/mat,
Nihil/ ubi/ sati/at e/um
D. - Declama ora cinque pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ bona,
Qui amat/ homo/ simi/liter/ habet.
D. - È sufficiente e li giudico buoni. Ora aggiungi un semipiede.
M. - Sì.
Vaga/ levi/a fra/gili/a bo/na,
Qui amat/ homo/ simi/lis e/rit e/is.
D. - Proprio bene. Aspetto ora sei pirrichi.
M. - Ascoltali:
Vaga/ levi/cula/ fragi/lia/ bona,
Qui ada/mat ho/mo si/milis/erit/ eis.
D. - È sufficiente, aggiungi un semipiede.
M. - Flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na
Quae ada/mat a/nima/ simi/lis e/rit e/is.
D. - È sufficiente e va bene. Componi ora sette pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ graci/lia/ bona,
Quae ada/mat a/nimu/la si/milis/ erit/ eis.
D. - Sia aggiunto un semipiede. Dona al buon gusto.
Vaga flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na
Quae ada/mat a/nimu/la fit/ ea/ simi/lis e/is.
D. - Penso che restino soltanto gli otto piedi per uscire da questi particolari. E sebbene l'udito trovi belli per la genuina misura ritmica i metri che hai declamati, non vorrei tuttavia che ti affanni a cercare tante sillabe brevi. Se non sbaglio, trovarle riunite in una frase è più difficile che se si avesse licenza di mescolarvi delle lunghe.
M. - Non sbagli proprio e per provarti la mia gioia perché ci si permette di proseguire oltre, comporrò il restante metro di questa forma con un pensiero più felice:
Soli/da bo/na bo/nus am/at et/ea/ qui amat/ habet
Ita/que nec/ eget/ amor/ et e/a bo/na De/us est.
D. - Ho in abbondanza i metri composti del pirrichio. Seguono i metri giambici. Di essi mi son sufficienti due esempi per ciascuno. Mi piacerebbe ascoltarli senza intermissione.
...giambici...
4. 5. M. - Ti accontenterò. Ma quanti sono i metri che abbiamo già esaminato?
D. - Quattordici.
M. - E quanti pensi che siano i giambici?
D. - Quattordici egualmente.
M. - Ma se volessi sostituire il tribraco al giambo, le varie forme non sarebbero più numerose?
D. - È chiaro, ma io desidero ascoltare esempi soltanto in giambi, per non portarla troppo alle lunghe. È facile apprendimento che in luogo di ogni sillaba lunga si possono porre due brevi.
M. - Farò ciò che vuoi e gradisco che alleggerisci la mia fatica con la docilità dell'intelligenza. Ma rendi attento l'udito ai metri giambici.
D. - Son pronto, comincia.
M. - Bonus/ vir
bea/tus.
Malus/ miser
sibi est/ malum.
Bonus/ bea/tus,
Deus/ bonum e/ius.
Bonus/ bea/tus est,
Deus/ bonum e/ius est.
Bonus/vir est/ bea/tus,
videt/ Deum/ bea/te.
Bonus/ vir et/ sapit/ bonum
videns/ Deum/ bea/tus est.
Deum/ vide/re qui/ cupi/scit,
bonus/que vi/vit, hic/ vide/bit.
Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem,
bonus/ sit hic/, vide/bit et/ Deum.
Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem il/lum,
bonus/ sit hic/, vide/bit et/ Deum il/lic.
Bea/tus est/ bonus/, fruens/ enim est/ Deo,
malus/ miser/, sed i/pse poe/na fit/sua.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ cupit/ plus,
malus/ bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ ege/stas.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ boni am/plius,
malus/ bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ eget/ miser.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ boni am/plius/ vult,
malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/ ege/nus, er/rat.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/boni am/plius/ volet,
malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/ eget/ miser/ bono.
...trocaici...
5. 6. D. - Segue il trocheo, componi metri trocaici; i precedenti trocaici sono perfetti.
M. - Lo farò, e nello stesso modo che per i giambici.
Opti/mi
non e/gent.
Veri/tate
non e/getur.
Veri/tas sat/ est,
semper/ haec ma/net.
Veri/tas vo/catur
ars De/i su/premi.
Veri/tate/ factus/ est
mundus/ iste/ quem vi/des.
Veri/tate/ facta/ cuncta
quaequel gigni/er vi/demus.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt
omni/umque/ forma/ veri/tas.
Veri/tate/ cuncta/facta/ cerno,
veri/tas ma/net, mo/ventur/ ista.
Veri/tate/ facta/ cernis/ omni/a
veri/tas ma/net, mo/ventur/ omni/a.
Veri/tate/ facta/ cernis/ ista/ cuncta,
veri/tas ta/men ma/net, mo/ventur/ ista.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ cernis/ opti/me,
veri/tas ma/net, mo/ventur/ haec sed/ ordi/ne.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ cernis/ ordi/nata,
veri/tas ma/net, no/vans mo/vet quod/ inno/vatur.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ sunt,
veri/tas no/vat ma/nens, mo/ventur/ ut no/ventur/ haec.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ cuncta,
veri/tas ma/ nens no/vat, mo/ventur/ ut no/ventur/ ista.
...spondaici...
6. 7. D. - Capisco che viene lo spondeo; il trocheo ha soddisfatto l'udito.
M. - Questi sono i metri dello spondeo:
Magno/rum est
liber/tas.
Magnum est/ munus
liber/tatis.
Solus/ liber/ fit
qui erro/rem vi/cit.
Solus/ liber/ vivit
qui erro/rem iam/ vicit.
Solus/ liber/ vere/ fit
qui erro/ris vinclum vi/cit.
Solus/liberl vere/ vivit
qui erro/ris vin/clum iam/ vicit.
Solus/ liber/ non fal/so vi/vit
qui erro/ris vin/clum iam/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ vere/ vivit
qui erro/ris vin/clum ma/gnus de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so vi/vit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ vere/ magnus/ vivit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ iam de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so ma/gnus vi/vit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ prudens/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curus/ vivit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ prudens/ iam de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curus/ iam vi/vit
qui erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/ prudens/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curam/ vitam/ vivit
qui erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/lprudens/ iam de/vicit.
Ventuno esempi di metri tribraci.
7. 8. D. - Anche sullo spondeo non ho nulla da chiedere. Passiamo al tribraco.
M. - Sì. Ma poiché i quattro piedi precedenti, di cui è stato parlato, hanno dato origine a quattordici metri ciascuno, che nel totale divengono cinquantasei, dal tribraco ce n'è da aspettarsene di più. Nei precedenti infatti, poiché è in pausa soltanto la durata di un semipiede, non si richiede la pausa di più d'una sillaba. Nel tribraco invece, quando si richiede la pausa, essa, secondo te, deve durare soltanto lo spazio di una sola breve, oppure è possibile protrarla nella sosta di due brevi? Non si ha dubbio appunto che di esso si ha una duplice divisione, cioè o comincia da una breve e si termina con due, o viceversa se ha inizio da due, si termina con una. Sarebbe necessario dunque comporre ventuno metri.
D. - È proprio vero. Essi infatti cominciano da quattro brevi così da avere due tempi di pausa, poi si hanno cinque brevi, in cui la pausa è di un tempo, al terzo posto sei, in cui non si ha pausa, al quarto sette, in cui di nuovo si deve la pausa di due tempi, al quinto otto con un tempo di pausa, al sesto nove, in cui non si ha pausa. E così aggiungendo via via una sillaba fino ad arrivare a ventiquattro, che sono otto tribraci, si compongono in tutto ventuno metri.
M. - Con molta celerità hai eseguito il computo. Ma, secondo te, dobbiamo proprio presentare esempi per ciascuno, oppure quelli presentati per i primi quattro piedi si devono ritenere sufficienti a lumeggiare anche gli altri?
D. - A mio giudizio bastano.
M. - E io non chiedo altro che il tuo giudizio. Ma tu sai bene che, cambiando la cadenza, nei metri pirrichi si possono scandire dei tribraci. Vorrei sapere dunque se il primo metro del pirrichio può contenere anche un metro del tribraco.
D. - No, perché il metro deve essere maggiore di un piede.
M. - E il secondo?
D. - Sì, perché quattro brevi formano due pirrichi, cioè un tribraco e un semipiede, quindi non si ha pausa nel pirrichio e due tempi di pausa nel tribraco.
M. - Cambiando dunque la cadenza hai nei pirrichi anche esempi di metri tribraci fino a sedici sillabe, cioè a cinque tribraci e un semipiede. Devi contentarti. Gli altri li puoi svolgere da solo o con la voce o con la percussione, se ritieni ancora di dover esaminare simili metri con l'udito.
D. - Farò ciò che riterrò opportuno. Esaminiamo i rimanenti.
Dopo il dattilo la pausa è di due tempi.
8. 9. M. - Segue il dattilo che può essere diviso in un solo modo. O non sei d'accordo?
D. - Sì, certamente.
M. - Quanta sua parte dunque può essere in pausa?
D. - Mezza, naturalmente.
M. - E se ponendo un trocheo dopo il dattilo, si vuole fare la pausa di un tempo che si richiede come sillaba breve per avere un dattilo completo, che cosa potremo obiettare? Infatti non possiamo dire che la pausa non deve essere inferiore a un semipiede. La dimostrazione esposta dianzi al contrario ci aveva convinto che si deve evitare la pausa non inferiore ma superiore ad un semipiede. Infatti si ha una pausa inferiore a un semipiede nel coriambo, se dopo il coriambo stesso è posto un bacchio, come in questo esempio: Fonticolae/puellae. Puoi renderti conto che facciamo la pausa della durata di una sillaba breve, quanto si richiede per completare i sei tempi.
D. - È vero.
M. - Se dunque si pone il trocheo dopo il dattilo, sarà lecito anche fare la pausa di un solo tempo?
D. - Son costretto a dir di sì.
M. - Nessuno ti costringerebbe, se tu ricordassi quanto è stato detto. Ciò ti accade perché hai dimenticato quanto è stato esposto sulla indeterminatezza dell'ultima sillaba e sul motivo per cui l'udito richiede che la sillaba finale sia lunga, se rimane lo spazio in cui divenir lunga, anche se è breve.
D. - Capisco. Dunque se l'udito percepisce come lunga l'ultima sillaba breve, qualora si abbia la pausa, come abbiamo appreso dalle precedenti dimostrazioni e dagli esempi, non ha importanza alcuna se dopo il dattilo si pone un trocheo o uno spondeo. Pertanto quando il ritorno a capo deve essere marcato dalla pausa, bisogna porre dopo il dattilo una sillaba lunga per avere la pausa di due tempi.
M. - E se dopo il dattilo si pone il pirrichio, pensi che è fatto bene?
D. - No, perché non fa differenza se è un pirrichio o un giambo. E bisognerebbe proprio considerarlo un giambo a causa dell'ultima che l'udito richiede lunga, giacché si ha la pausa. E chi non capirebbe che il giambo non deve essere posto dopo il dattilo a causa della diversità del levare e del battere che non possono, né l'uno né l'altro, avere nel dattilo tre tempi?
Il bacchio e gli altri sesquati meno adatti alla poesia.
9. 10. M. - Segui con molta intelligenza. Ma che ne pensi dell'anapesto? È il medesimo discorso?
D. - Sì, certamente.
M. - Ma passiamo orinai al bacchio, se vuoi. Dimmi qual è il suo primo metro.
D. - Di quattro sillabe, penso, e cioè una breve e tre lunghe, di cui due appartengono al bacchio e l'ultima all'inizio del piede che può essere unito al bacchio, sicché ciò che manca sia in pausa. Vorrei tuttavia esaminarlo con l'udito mediante un esempio.
M. - È facile presentare degli esempi; non penso però che ne sarai dilettato come dai precedenti. I piedi di cinque tempi, come quelli di sette, non hanno la sequenza ritmica di quelli che si dividono in parti eguali o nel rapporto di uno a due o di due a uno. È grande appunto la differenza tra i movimenti sesquati e i movimenti eguali o moltiplicati, di cui abbiamo abbastanza discorso nel primo libro. Pertanto come i poeti considerano questi piedi di cinque e sette tempi con grande disprezzo, così ben volentieri li usa la prosa. Lo potrai rilevare più facilmente negli esempi che hai richiesto. Eccone uno: Laborat/ magister/ docens tar/dos. Ripetilo interponendo una pausa di tre tempi. Per fartela percepire meglio, ho posto dopo i tre piedi una lunga che è l'inizio di un cretico, il quale può essere congiunto al bacchio. Non ho dato un esempio per il primo metro che è di quattro sillabe, ritenendo che un solo piede non fosse sufficiente per avvertire il tuo udito della durata che la pausa deve avere dopo di esso ed una lunga. Ora li compongo e li ripeterò in modo che nella pausa tu possa percepire tre tempi: Labor nul/lus, // Amor ma/gnus.
D. - È chiaro che questi piedi sono più adatti per la prosa ed è inutile elencare gli altri con esempi.
M. - Dici bene. Ma, a tuo avviso, quando si deve osservare la pausa, si può mettere soltanto una lunga dopo il bacchio?
D. - No, certamente, ma anche una breve e una lunga, che costituiscono il primo semipiede di un bacchio. Ci è stato permesso cominciare con un cretico perché può essere congiunto con un bacchio, a più forte ragione dunque ti sarà permesso di farlo col bacchio, soprattutto perché non abbiamo posto tutta la seconda parte del cretico, che è eguale in tempi alla prima parte del bacchio.
Metri pausa ed uguaglianza dei tempi.
10. 11. M. - Ed ora, se sei d'accordo, mentre io ascolterò per giudicare, tu da te passa in rassegna gli altri ed esponi per tutti i rimanenti piedi che cosa si pone dopo un piede completo, quando la parte mancante di un altro si completa con la pausa.
D. - La esposizione che chiedi, secondo me, è assai breve e facile. Intanto ciò che è stato detto del bacchio può dirsi anche del peone II. Dopo un cretico può esser posta una sillaba lunga, un giambo o uno spondeo, si avrà così una pausa di tre tempi, di due e di un tempo. Ciò che si è detto del cretico vale anche per il peone I e IV [a causa delle due divisioni]. Dopo il palimbacchio può esser posta una lunga o uno spondeo, pertanto anche in questo metro si avrà la pausa di tre e un tempo. È il medesimo caso del peone III. Certo in ogni caso, in cui si pone lo spondeo, di norma può esser posto anche l'anapesto. Dopo il molosso, in attinenza alla sua divisione, si pone o una lunga con pausa di quattro tempi, o due lunghe con pausa di due tempi. Ma dall'udito e dal ragionamento è stato verificato che si possono porre in sequenza con il molosso tutti i piedi di sei tempi. Di seguito ad esso dunque vi è posto per un giambo, e si avranno tre tempi di pausa, o per un cretico, e si avrà pausa di un tempo, e alla stessa condizione per il bacchio. Ma se si scomporrà in due brevi la prima lunga del cretico e la seconda del bacchio, si potrà porre anche il peone IV. Quanto ho detto per il molosso vale anche per gli altri piedi di sei tempi. Il proceleusmatico, secondo me, deve essere rapportato agli altri piedi di quattro tempi, salvo quando dopo di esso si pongono tre brevi. Ed è lo stesso che porre un anapesto a causa dell'ultima sillaba che con la pausa di solito si considera lunga. All'epitrito I normalmente son posti di seguito il giambo, il bacchio, il cretico e il peone IV. Ciò valga anche per l'epitrito II e la pausa sarà di quattro e due tempi. Lo spondeo e il molosso possono normalmente seguire gli altri due epitriti, a condizione che sia lecito scomporre in due brevi la prima dello spondeo e la prima o la seconda del molosso. In questi metri si avrà dunque la pausa di tre o un tempo. Resta il dispondeo. Se dopo di esso si porrà uno spondeo, si deve stare in pausa quattro tempi, se un molosso, due, con la possibilità di scomporre in due brevi una lunga, eccettuata l'ultima, tanto nello spondeo che nel molosso. Ecco quanto tu hai voluto che io passassi in rassegna. Trovi delle mende?
Metri con piedi di sei tempi...
11. 12. M. - Non io, ma tu, se porgi attento l'orecchio a giudicare. Ti chiedo appunto, mentre io pronuncio con la percussione questi tre metri: Verus opti/mus,/ Verus opti/morum,/ e Veritatis/inops, se il tuo udito percepisce quest'ultimo con la medesima ritmicità degli altri due. Li potrai giudicare facilmente ripetendoli e usando le percussioni con le dovute pause.
D. - Percepisce ritmici i primi due, aritmico l'ultimo, è chiaro.
M. - Dunque di norma non si pone il giambo dopo il dicoreo.
D. - No.
M. - Si deve ammettere al contrario che può regolarmente esser posto dopo tutti gli altri piedi, se i seguenti metri si ripetono con la norma delle dovute pause:
Fallacem/ cave
Male castum/ cave.
Multiloquum/ cave.
Fallaciam/ cave.
Et invidum/ cave.
Et infirmum/ cave.
D. - Intendo ciò che dici e son d'accordo.
M. - Esaminiamo anche se ti infastidisce il metro seguente, poiché con l'interposizione della pausa di due tempi, nel ritorno a capo si svolge con cadenza aritmica. Può esso esser ritmico come i seguenti?
Veraces/ regnant.
Sapientes/ regnant.
Veriloqui/ regnant.
Prudentia/ regnat.
Boni in bonis/ regnant.
Pura cuncta/ regnant..
D. - No, questi si svolgono con cadenza ritmica regolare, l'altro è aritmico.
M. - Terremo presente dunque che nei metri di sei tempi il dicoreo si chiude irregolarmente con il giambo e l'antispasto con lo spondeo.
D. - Sì, certamente.
...e con piedi di tre tempi in fine.
11. 13. M. - Ti accorgerai senz'altro della ragione, se terrai presente che il piede è diviso in due parti dall'arsi e dalla tesi, sicché, se si ha qualche sillaba di mezzo, una o due, viene attribuita o alla prima o alla seconda parte, oppure si divide nell'una e nell'altra.
D. - Lo so ed è vero, ma a che proposito?
M. - Fai attenzione a ciò che ti dico e allora comprenderai più facilmente ciò che chiedi. Ti è chiaro, penso, che alcuni piedi sono senza sillabe di mezzo, come il pirrichio e i rimanenti di due sillabe, ed altri in cui il medio è eguale per durata o alla prima parte o all'ultima o a entrambe o a nessuna delle due, alla prima come nell'anapesto, nel palimbacchio, nel peone I, all'ultima come nel dattilo, nel bacchio, nel peone IV, ad entrambe come nel tribraco, nel molosso, nel coriambo e nei due ionici, a nessuna delle due come nel cretico, nel peone II e III, nel digiambo, nel dicoreo e nell'antispasto. Infatti nei piedi che possono essere divisi in tre parti eguali, la parte media è eguale alla prima e all'ultima, in quelli invece che non possono essere divisi così, la parte media è eguale soltanto o alla prima parte o all'ultima o a nessuna delle due.
D. - So anche questo, ma vorrei sapere cosa sta ad indicare.
M. - Ma a farti capire che il giambo è posto irregolarmente con la pausa dopo il dicoreo, perché esso costituisce la parte mediana del dicoreo stesso, ma non è eguale né alla prima né all'ultima e pertanto discorda nell'arsi e nella tesi. Ciò s'intende anche per lo spondeo che egualmente non vuole esser posto con la pausa dopo l'antispasto. Hai da esporre qualche difficoltà contro queste nozioni?
D. - No, nessuna. Tuttavia il fastidio che si verifica nell'udito, quando i piedi suddetti sono posti con quella disposizione, si verifica nel confronto con quella euritmia che diletta l'udito, quando i medesimi piedi sono posti con la pausa dopo gli altri piedi di sei tempi. Infatti se tu mi chiedessi, dopo aver presentato degli esempi, come suonano, per tacere di altri, il giambo dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto con relativa pausa, ti dico lealmente che forse li approverei e loderei.
M. - Non ti contraddico. A me basta che tale disposizione, nel confronto con tali ritmi, ma più euritmici, come tu dici, ti dà fastidio. Ed essa è tanto più da riprovarsi perché non avrebbe dovuto essere in aritmia con quei piedi che, essendo della medesima forma, si svolgono, come dobbiamo ammettere, tanto ritmicamente se chiusi da quei semipiedi. E non ti pare che, in base alla medesima regola, neanche dopo l'epitrito II può esser posto un giambo con la pausa? Infatti anche di questo piede il giambo costituisce la parte mediana, ma in modo che non si eguaglia né ai tempi della prima né a quelli della seconda.
D. - Questa dimostrazione mi convince.
I piedi da due a cinque tempi danno 250 metri regolari...
12. 14. M. Ed ora, se vuoi, dimmi il numero di tutti i metri che abbiamo trattato finora, cioè di quelli che cominciano con i relativi piedi completi e sono chiusi invece, alcuni con i relativi piedi completi e quindi senza interposizione della pausa, mentre si torna a capo, ed altri che sono chiusi con piedi incompleti e quindi con la pausa. Ovviamente, come la dimostrazione ha accertato, gli incompleti devono essere in euritmia con i completi. La numerazione inizia da due piedi incompleti fino a otto completi, senza che siano oltrepassati i trentadue tempi.
D. - È faticoso ciò che mi imponi, ma ne vale la pena. Ma ricordo che poco fa eravamo già arrivati a settantasette metri dal pirrichio al tribraco. Infatti i piedi di due sillabe ne formano quattordici ciascuno, che nel totale sono cinquantasei, e il tribraco, a causa della duplice divisione, ne forma ventuno. A questi settantasette dunque si aggiungono quattordici metri dattilici e anapesti. Infatti se i piedi si pongono completi e senza pausa, giacché il metro comincia da due e arriva fino a otto piedi, essi formano sette metri ciascuno. Se poi si aggiungono un semipiede e la pausa, giacché il metro comincia da un piede e mezzo e arriva fino a sette e mezzo, se ne hanno altri sette ciascuno. E sono già in tutti centocinque metri. Il bacchio non può estendere il proprio metro fino agli otto piedi per non oltrepassare i trentadue tempi, e così ogni altro piede di cinque tempi, ma possono arrivare fino a sei piedi. Il bacchio dunque e il peone II, che gli è eguale per tempi e divisione, partendo dai due fino ai sei piedi, se completi e disposti senza pausa, formano cinque metri ciascuno; invece con la pausa, cominciando da uno fino a cinque semipiedi, formano altri cinque piedi ciascuno se dopo viene posta una lunga ed ugualmente cinque ciascuno se dopo si pongono una breve e una lunga. Formano dunque quindici metri ciascuno che addizionati divengono trenta. In tutti dunque sono già cento trentacinque metri. Il cretico e i peoni I e IV, che sono divisi egualmente, essendo ammesso porre dopo di essi una lunga, un giambo, uno spondeo e un anapesto, giungono a formare settantacinque metri. Infatti, giacché sono in tre, formano senza pausa cinque metri ciascuno e con la pausa ne formano venti ciascuno che nel totale divengono, come ho detto, settantacinque. Aggiungendoli alla somma precedente si arriva a duecentodieci. Il palimbacchio e il peone III, che gli è simile nella divisione, se completi senza pausa, danno cinque metri ciascuno, e con la pausa cinque ciascuno con una lunga, cinque ciascuno con uno spondeo, cinque ciascuno con un anapesto. Essi si aggiungono al totale maggiore e si avranno in tutto duecento cinquanta metri.
...e da sei a otto tempi altri 321, in tutto 571 meno tre.
12. 15. Il molosso e gli altri piedi di sei tempi, in tutti sette, se completi, formano quattro metri ciascuno; con la pausa invece, giacché si può porre dopo ciascuno di essi una lunga, un giambo, uno spondeo, un anapesto, un bacchio, un eretico e il peone IV, formano ventotto metri ciascuno, in tutti cento novantasei che, addizionati con i precedenti quattro per ciascuno, danno la somma di duecento ventiquattro. Bisogna però sottrarne otto poiché il giambo è posto irregolarmente dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto. Rimangono duecento sedici metri che aggiunti all'altra somma fanno in tutti quattrocento sessantasei metri. Non si è potuto rilevare la regola del proceleusmatico con i piedi con cui è in euritmia a causa dei numerosi semipiedi che dopo di esso si possono porre. Si possono aggiungere infatti una lunga con pausa come dopo il dattilo e gli altri di egual durata, di modo che si hanno due tempi di pausa, oppure tre brevi con un tempo di pausa, la quale fa sì che l'ultima breve sia considerata lunga. Gli epitriti, se completi, formano tre metri ciascuno, giacché il metro inizia da due piedi e arriva fino a quattro. Si supererebbero appunto i trentadue tempi, ed è inammissibile, se si aggiungesse un quinto piede, Con la pausa, gli epitriti I e II formano tre piedi ciascuno, se seguiti dal giambo, tre ciascuno se dal bacchio, tre ciascuno se dal eretico e tre ciascuno se dal peone IV. E fanno trenta con i tre per ciascuno senza pausa. Gli epitriti III e IV ne formano tre ciascuno prima della pausa, tre ciascuno con lo spondeo, tre ciascuno con l'anapesto, tre ciascuno col molosso, tre ciascuno con lo ionico minore, tre ciascuno con il coriambo. E sono, compresi quelli senza pausa, trentasei. Gli epitriti formano dunque in totale sessantasei metri che con ventuno proceleusmatici, addizionati alla somma precedente, fanno cinquecento cinquantatré metri. Resta il dispondeo che, se completo, produce anche esso tre metri, e aggiunta la pausa ne forma tre con lo spondeo e altrettanti con l'anapesto, il molosso, lo ionico minore e il coriambo. Ed essi, addizionati ai tre che si formano se completi, fanno diciotto metri. Sono dunque in tutti cinquecento settantuno metri.
Regole della pausa e cesura (13, 16 - 15, 29)
I semipiedi possono trovarsi all'inizio del metro...
13. 16. M. - Sarebbero tutti questi, se non si dovesse sottrarne tre giacché si è detto già che il giambo non può esser posto dopo l'epitrito II. Comunque la tua esposizione è buona. Ed ora dimmi come suona al tuo udito questo metro:
Triplici vides ut ortu
Triviae rotetur ignis 1
D. - Molto ritmicamente.
M. - Puoi anche dirmi di quali piedi è composto?
D. - No, e non trovo, mentre li scandisco, come sono in rapporto fra di loro. Se pongo all'inizio un pirrichio o un anapesto o un peone III, quelli che seguono non s'accordano ad essi. Posso ravvisare dopo il peone III un cretico e la sillaba finale lunga che il cretico non rifiuta, se è posta dopo. Questo metro però non può essere formato regolarmente da questi piedi, se non viene interposta la pausa di tre tempi, ma qui non si ha pausa perché il metro soddisfa l'udito col ritorno a capo.
M. - Esamina dunque se deve cominciare da un pirrichio, poi si scandisce un dicoreo e poi uno spondeo, che completa i sei tempi, di cui due sono all'inizio. Si può avere all'inizio anche un anapesto, poi essere scandito un digiambo in modo che la finale lunga con i quattro tempi dell'anapesto completi i sei tempi corrispondenti al digiambo. Da ciò puoi comprendere che sezioni di piedi possono esser posti non solo alla fine, ma anche all'inizio dei metri.
D. - Adesso capisco.
...e il piede compiuto alla fine.
13. 17. M. - E se io tolgo una sola sillaba lunga finale, così da avere questo metro: Segetes meus labor, non avverti che si ha il ritorno a capo con la pausa di due tempi? Da ciò è chiaro che si può porre una parte del piede all'inizio del metro, un'altra alla fine ed un'altra in pausa.
D. - Sì, anche questo è chiaro.
M. - Ed è ciò che accade se in questo metro si scandisce un dicoreo completo. Se invece un digiambo e si pone all'inizio un anapesto, si può osservare che la parte del piede posta in principio ha già quattro tempi e gli altri due richiesti sono in pausa alla fine. Da questa constatazione apprendiamo che il metro può iniziare con una sezione del piede e finire con un piede completo, ma non senza pausa.
D. - Anche questo è evidente.
Si dà anche la pausa non finale o cesura.
13. 18. M. - E puoi scandire il metro seguente e dire di quali piedi è formato?
Iam satis/ terris nivis/ atque dirae
Grandinis misit Pater et rubente
Dextera sacras iaculatus arces 2.
D. - Posso porre all'inizio un cretico e poi scandire altri due piedi di sei tempi, uno ionico maggiore e un dicoreo e fare la pausa di un tempo che si aggiunge al cretico per completare i sei tempi.
M. - Al tuo esame è mancato qualche cosa. Il dicoreo è alla fine e, data la pausa, la sua ultima sillaba che è breve passa per lunga. Dici di no?
D. - Anzi dico di sì.
M. - Non bisogna dunque porre in fine un dicoreo, salvo che non vi sia la pausa nel ritorno a capo, altrimenti l'udito non percepirebbe un dicoreo, ma un epitrito II.
D. - È chiaro.
M. - Come lo scandiremo dunque questo metro?
D. - Non lo so.
14. 18. M. - Poni attenzione dunque se il metro suona bene quando, nel pronunciarlo, dopo le prime tre sillabe faccio la pausa di un tempo. Così alla fine non sarà richiesto alcun tempo di modo che vi può esser regolarmente un dicoreo.
D. - Suona con molta euritmia.
Cesura mediana e finale.
14. 19. M. - Aggiungiamo anche questa regola all'arte poetica, e cioè che, quando si richiede, si osservi la pausa non soltanto alla fine, ma anche prima della fine. E si richiede quando, a causa dell'ultima breve, è irregolare alla fine la pausa in sostituzione dei tempi dei piedi, come nel caso citato, oppure quando si pongono due piedi incompleti, uno all'inizio, l'altra alla fine, come in questo metro:
Gentiles nostros// inter oberrat equos 3//.
Hai percepito, penso, che ho osservato la pausa di due tempi dopo le cinque sillabe lunghe e che si deve fare una pausa della medesima durata alla fine, mentre si torna a capo. Se infatti si scandisce questo metro con la regola dei sei tempi, si ha per primo uno spondeo, secondo un molosso, terzo un coriambo e infine un anapesto. Allo spondeo dunque e all'anapesto mancano due tempi per completare un piede di sei tempi. Pertanto si fa una pausa di due tempi dopo il molosso prima della fine e di due dopo l'anapesto alla fine. Se invece si scandisce con la regola dei quattro tempi, vi sarà una lunga all'inizio, poi si scandiscono due spondei e due dattili e infine chiuderà una lunga. Si fa dunque una pausa di due tempi dopo entrambi gli spondei prima della fine e di due alla fine, in maniera da completare i due piedi, le cui mezze parti sono state poste una al principio e una alla fine.
Metri senza cesura nei quali...
14. 20. Talora tuttavia l'intervallo che si deve ai due piedi incompleti posti in principio e in fine è dato soltanto dalla pausa finale, se essa è tale che non ecceda un semipiede, come in questi due versi:
Silvae la/borantes/ geluque
Flumina/ constiterint/ acuto 4.
Il primo metro infatti comincia da un palimbacchio, continua con un molosso e termina con un bacchio. Si hanno quindi due tempi di pausa. E se ne viene attribuito uno al bacchio, l'altro al palimbacchio, si avranno tre piedi di sei tempi ciascuno. Il secondo metro comincia al contrario con un dattilo, continua in un coriambo e si chiude con un bacchio. Si dovrà dunque osservare una pausa di tre tempi. Di essi uno sarà dato al bacchio, due al dattilo; così in tutti i piedi si avranno i sei tempi.
...la pausa va a completare il piede finale.
14. 21. Prima dunque si accorda il tempo che si richiede a completare il piede finale, poi a quello posto all'inizio. L'udito non permette proprio che avvenga diversamente. E non c'è da meravigliarsene, giacché nel ritornare a capo si riporta all'inizio ciò che è alla fine. Ora nel metro già citato: Flumina/ constiterint/ acuto, mancano tre tempi per completare i sei di ciascun metro e se non si vogliono dare con la pausa ma col suono, possono essere impiegati con un giambo, un trocheo e un tribraco, giacché tutti hanno tre tempi. Tuttavia l'udito stesso non tollera proprio che essi siano dati mediante il trocheo perché in esso la prima è lunga e l'altra è breve. Bisogna al contrario che prima si percepisca ciò che è richiesto dal bacchio finale, cioè una sillaba breve e non una lunga che è richiesta dal dattilo iniziale. Il fatto si può verificare con questi esempi:
Flumina/ constiterint/ acuto/ gelu.
Flumina/ constiterint/ acute/ gelida.
Flumina/ constiterint/ in alta/ nocte.
Nessun dubbio che i primi due si svolgono ritmicamente e il terzo no.
La pausa di due tempi va distribuita fra i piedi incompiuti...
14. 22. Ed ugualmente quando piedi incompleti richiedono un tempo ciascuno, se si vuol rendere con il suono, l'udito non tollera e due tempi siano ridotti a una sola sillaba. Ed è giustizia degna di ammirazione. Non conviene infatti che ciò che deve esser dato separatamente, non sia posto anche separatamente. Pertanto nel metro: Silvae la/borantes/ geluque, se aggiungi alla fine una lunga in luogo della pausa, come in Silvae la/borantes/ gelu du/ro, l'udito non lo ammette, come al contrario ammette se si dice: Silvae la/borantes/ gelu et fri/gore. Lo percepirai con piena soddisfazione se li ripeterai uno per volta.
...e di essi il più piccolo va all'inizio.
14. 23. Così, quando si pongono due piedi incompleti, quello dell'inizio non deve essere più grande di quello della fine. L'orecchio lo rifiuta, come nel metro: Optimum/ tempus adest/ tandem, in cui il primo piede è un cretico, il secondo un coriambo, il terzo uno spondeo. Si hanno dunque tre tempi di pausa, di cui due vanno allo spondeo posto in fine perché si abbiano i sei tempi, ed uno va al cretico posto all'inizio. Se invece si dice: Tandem/ tempus adest/ optimum, introducendo la medesima pausa di tre tempi, ognuno può percepire che il metro torna a capo ritmicamente. Conviene pertanto che il piede incompleto alla fine abbia la medesima lunghezza di quello dell'inizio, come in questo: Silvae la/borantes/ geluque, oppure che il più corto sia in principio e il più lungo alla fine, come in Flumina/ constiterint/ acuto. E non a torto, perché da un lato se si ha l'uguaglianza non v'è disaccordo, e dall'altro se il numero è diverso, ma si va dal più piccolo al più grande, come si fa nella serie dei numeri, l'ordine stesso ristabilisce l'accordo.
Pausa mediana e finale.
14. 24. E si ha un altra conseguenza. Quando si impiegano i piedi catalettici, di cui stiamo trattando, se si fa pausa in due punti, cioè prima della fine e alla fine, la pausa prima della fine duri il tempo che è dovuto a completare l'ultimo piede e la pausa alla fine duri il tempo che si deve a completare il primo piede, giacché il mezzo tende alla fine e dalla fine si deve tornare al principio. E se a completare l'uno e l'altro piede è dovuto un tempo eguale, non v'è dubbio che si deve osservare una pausa eguale prima della fine e alla fine. E la pausa deve cadere dove termina un comma. Nei ritmi che si fanno senza parole, con degli strumenti a percussione o a fiato, oppure con suoni inarticolati, non fa differenza dopo quale suono o battuta di tempo si fa la pausa. Basta che si interponga la pausa regolare in base alle norme citate. Perciò il metro più corto può essere di due piedi catalettici purché la loro durata complessiva non sia inferiore ad un piede e mezzo. Abbiamo appunto detto dianzi che si possono disporre due piedi incompiuti, se ciò che si deve a completare entrambi non superi in durata mezzo piede. Ecco un esempio: Montes/ acuti. In esso si osserva una pausa di tre tempi alla fine, oppure di un tempo dopo lo spondeo e di due alla fine. Altrimenti questo metro non si potrebbe scandire come si deve.
Non si dà pausa mediana dopo sillaba breve.
15. 25. Si aggiunga anche alla nostra conoscenza che, quando si fa pausa prima della fine, non si deve avere in quel punto una parola che termina con sillaba breve. Altrimenti, secondo la regola spesso ricordata, l'udito, data la pausa che seguirebbe, la percepirebbe come lunga. Pertanto in questo metro: Montibus/ acutis, non si può fare la pausa di un tempo dopo il dattilo, come si poteva nel metro precedente dopo lo spondeo. In effetti non si percepirebbe un dattilo, ma un cretico e conseguentemente non sarebbero più due piedi incompiuti, come stiamo osservando, ma sembrerebbe un metro formato da un dicoreo completo e da uno spondeo finale, con una pausa di due tempi da porsi in fine.
Mobilità della pausa cesura...
15. 26. Si deve notare anche che se si pone un piede catalettico in principio, o si restituisce in quel punto stesso mediante la pausa ciò che è dovuto a completarlo, come in Iam satis// terris nivis atque dirae, oppure alla fine, come in Segetes/ meus labor//. Invece a un piede catalettico posto alla fine o si restituisce con la pausa in fine ciò che è dovuto a completarlo, come in Ite igitur/ Camoenae//, ovvero in uno dei punti mediani, come in questo: Ver blandum// viget arvis//, adest hospes hirundo 5//. Infatti il tempo dovuto a completare il bacchio finale, si può trascorrere in pausa o alla fine del ritmo, o dopo il primo piede che è un molosso, o dopo il secondo che è uno ionico minore. E ciò che si deve a completare piedi incompiuti posti in mezzo deve essere restituito in quello stesso punto, come in Tuba terribilem sonitum// dedit aere curvo 6//. Se infatti si scandisce questo metro in modo da considerare il primo piede un anapesto, il secondo uno dei due ionici con cinque sillabe, dopo aver scomposto, s'intende, la lunga del principio o della fine in due brevi, il terzo un coriambo e l'ultimo un bacchio, tre saranno i tempi da restituire, uno in fine al bacchio, due in principio all'anapesto, in modo che si abbiano sei tempi ciascuno. Ma l'intera durata dei tre tempi può essere posta in pausa alla fine. Se invece si comincia da un piede intero, scandendo cinque sillabe per uno dei due ionici, di seguito si ha un coriambo e poi non si troverà altro piede compiuto. Perciò si dovrà osservare la pausa per la durata di una lunga e, inseritala nel ritmo, si avrà un altro coriambo. A chiudere resta un bacchio, il cui tempo mancante si restituisce con la pausa in fine.
...secondo i vari modi di scandire.
15. 27. Dall'esposto risulta evidente, secondo me, che, quando si fa la pausa in punti mediani, si restituiscono tempi richiesti alla fine o tempi richiesti dove si fa la pausa. Ma talora non è normativo fare la pausa in mezzo al metro, quando il metro può essere scandito in varie maniere; come nell'esempio citato. Qualche altra volta invece è normativo, come in questo: Vernat temperies, aurae//, tepent//, sunt deliciae//. Intanto è chiaro che questo ritmo può scorrere con piedi di sei e quattro tempi. Se di quattro tempi, si deve far pausa di un tempo dopo l'ottava sillaba e di due alla fine. Si può scandire per primo uno spondeo, secondo un dattilo, terzo uno spondeo, quarto un dattilo se si inserisce nel ritmo una pausa dopo la lunga poiché non è possibile dopo la breve, quinto uno spondeo, sesto un dattilo, l'ultima lunga con cui si chiude il ritmo e che si completa con due tempi di pausa alla fine. Se invece si scandiscono piedi di sei tempi, si avrà per primo un molosso, secondo uno ionico minore, terzo un cretico che diviene un dicoreo per l'aggiunta della pausa di un tempo, quarto uno ionico maggiore, l'ultima lunga, dopo la quale si ha una pausa di quattro tempi. Si potrebbe scandire anche in altro modo. Si pone all'inizio una lunga, alla quale fanno seguito uno ionico maggiore, un molosso e un bacchio che diviene un antispasto; per l'aggiunta della pausa di un tempo, in ultimo un coriambo chiude il metro, sicché la pausa di quattro tempi alla fine va a completare la lunga sola posta all'inizio. Ma l'udito rifiuta questo sistema di scandire, giacché una parte di piede posta in principio, a meno che non superi il semipiede, non si completa regolarmente dopo un piede completo con la pausa finale nel punto dovuto. Noi sappiamo certamente, grazie agli altri piedi, il tempo che le è dovuto, ma non è percepita dal senso una pausa di determinata durata, se non è minore il tempo che si trascorre in pausa di quello che è occupato dal suono. Quando la voce infatti ha enunciato la parte più lunga d'un piede, la più corta che rimane si rileva facilmente dovunque.
Pause normative e facoltative.
15. 28. Pertanto v'è una scansione normativa, che abbiamo esposto, del metro presentato con l'esempio: Vernat temperies//, aurae// tepent//, sunt deliciae//; e si ha quando si fa pausa di un tempo dopo la decima sillaba e di quattro in fine. Ma ve n'è un'altra facoltativa, se si vuole osservare una pausa di due tempi dopo la sesta sillaba, di uno dopo l'undicesima e di due alla fine. Si avrebbe così all'inizio uno spondeo, cui fa seguito un coriambo, al terzo che è uno spondeo deve essere aggiunta la pausa di due tempi, sicché diventa un molosso o uno ionico minore, al quarto posto c'è un bacchio che con l'aggiunta della pausa di un tempo diviene un antispasto, con il coriambo al quinto posto si chiude il ritmo come suono, ma con due tempi in fine restituiti mediante la pausa allo spondeo collocato all'inizio. E vi è un'altra scansione. Se si vuole, si osserverà una pausa di un tempo dopo la sesta sillaba, di uno dopo la decima e l'undicesima e di due alla fine. Si ha così per primo uno spondeo, secondo un coriambo, terzo un palimbacchio che diviene antispasto inserendo nel ritmo la pausa di un tempo, quarto uno spondeo che diviene dicoreo con l'interposizione della pausa di un tempo, cui fa seguito un'altra pausa di un tempo, e ultimo il coriambo chiude il ritmo, di modo che si ha la pausa di due tempi dovuti allo spondeo iniziale. Esiste una terza scansione, se si osserva la pausa di un tempo dopo il primo spondeo e si mantiene il resto come nel sistema precedente. Alla fine però si avrà la pausa di un solo tempo, poiché lo spondeo, posto all'inizio, con la pausa di un tempo che lo segue è divenuto un palimbacchio, di modo che la pausa finale che serve a completarlo è di un solo tempo. Da ciò comprendi ormai che nei metri sono interposte delle pause, di cui alcune normative, altre facoltative. Sono normative quando è richiesto qualche cosa per completare il piede, facoltative quando i piedi sono regolarmente compiuti.
Varietà delle pause facoltative.
15. 29. Quanto si è detto dianzi, che cioè non si deve pausa superiore ai quattro tempi, è stato detto delle pause normative, poste nei punti in cui si devono completare i tempi richiesti. Al contrario in quelle che abbiamo definito pause facoltative è anche permesso enunciare un piede e percorrerne in pausa un altro. E se si farà con intervalli eguali, non si avrà più un metro, ma un ritmo, poiché non appare un limite determinato, da cui ricominciare. Pertanto se, ad esempio, si vuole mediante pause ottenere una certa varietà fino a fare in pausa dopo il primo piede i tempi del secondo, non si può tuttavia continuare così all'infinito. Ma è permesso con qualsiasi variazione, inserendo nel ritmo le pause, estendere il metro al numero stabilito di tempi, come in questo: Nobis// verum in/ promptu est//, tu si/ verum/ dicis. Si ha facoltà di fare in esso, dopo il primo spondeo, una pausa di quattro tempi e di altri quattro dopo i due seguenti, ma non si avrà la pausa dopo i tre spondei finali perché sono compiuti i trentadue tempi. Però è molto più conveniente e in certo senso anche più giusto far pausa soltanto alla fine, oppure nel mezzo e alla fine. E questo si può ottenere sopprimendo un piede, così da avere: Nobis// verum in/ promptu est//, tu dic/ verum//. Dunque anche nei metri degli altri piedi si deve osservare la seguente regola. Con le pause normative tanto alla fine che nel mezzo, si attribuiscono i tempi richiesti a completare i piedi, ma non si deve fare una pausa superiore alla parte del piede occupata dall'arsi e dalla tesi. Con le pause facoltative al contrario è concesso passare in pausa parti di piedi o piedi compiuti, come abbiamo dimostrato con gli esempi presentati dianzi. Ma a questo punto si chiuda l'argomento della interposizione delle pause.
Metri misti (16, 30 - 34)
Tradizione e teoria nell'arte poetica.
16. 30. Ora esponiamo qualche nozione sulla mescolanza dei piedi e sulla strofa metrica. Sono stati già esposti molti concetti quando abbiamo esaminato quali piedi si devono mescolare fra di loro. Per quanto attiene alla strofa metrica si dovranno esprimere alcuni concetti quando cominceremo a trattare del verso. In definitiva i piedi si uniscono in un contesto secondo le regole trattate nel secondo libro. Si deve sapere a proposito che tutte le forme di metro, che sono state rese celebri dai poeti, hanno i loro creatori e perfezionatori e che da essi sono state dettate leggi ben definite che è proibito abrogare. Dal momento infatti che le hanno stabilite con metodo razionale, non è conveniente derogare da esse, quantunque si potrebbe sempre nel rispetto della razionalità e senza offesa dell'estetica uditiva. La conoscenza di questo argomento non è affidata all'arte ma alla tradizione, quindi anziché avere conoscenza si accetta l'autorità. Non possiamo neanche avere scienza, se non saprei quale poeta di Falerii ha composto i metri che suonano così:
Quando flagel/la ligas, ita/ liga,
Vitis et ul/mus uti simul/ eant 7.
Possiamo soltanto accettare la tradizione ascoltandoli e leggendoli. È invece compito, che ci riguarda, dell'arte poetica esaminare se questo metro si compone di tre dattili e di un pirrichio finale, come suppongono molti inesperti di musica. Essi non hanno capacità d'intendere che il pirrichio non può esser posto dopo il dattilo o che piuttosto, come la teoria insegna, il primo piede in questo metro deve essere un coriambo, il secondo uno ionico con una lunga divisa in due brevi e l'ultimo un giambo, dopo il quale si avrà una pausa di tre tempi. Gli individui non del tutto incolti potrebbero constatarlo se il metro fosse pronunciato e cadenzato da un grammatico secondo i due modi citati. Così con gusto naturale e proprio di tutti giudicherebbero che cosa prescrive la regola dell'arte.
Metri variabili, invariabili e semivariabili.
16. 31. Comunque si deve rispettare la norma voluta dal suddetto poeta, che cioè, quando si usa questo metro, i ritmi rimangono invariabili. Infatti questo metro non delude l'udito. Non lo deluderebbe comunque, anche se si ponesse al posto del coriambo un digiambo o lo stesso ionico senza scomporre la lunga in brevi o qualunque altro fosse in euritmia. Dunque non si dovrà variare nulla in questo metro, non perché si deve evitare la mancanza di proporzione, ma perché si rispetta la tradizione. La teoria insegna che sono istituiti metri invariabili, ai quali, cioè, non bisogna cambiare nulla, come quelli di cui abbiamo già parlato abbastanza, altri invece variabili, nei quali si possono usare piedi in luogo di altri, come in questo: Troiae/ qui pri/mus ab o/ris, ar/ma virum/que cano. Infatti in esso è possibile sostituire in qualsiasi posto uno spondeo con un anapesto. Ve ne sono altri né totalmente invariabili né totalmente variabili, come questo:
Pendeat/ ex hume/ris dul/cis chelys,
Et nume/ros e/dat vari/os quibus
Assonet/ omne vi/rens la/te nemus,
Et tor/tis er/rans qui/ flexibus 8.
Puoi osservare che in esso si possono ovunque porre spondei e dattili, tranne che all'ultimo piede che l'autore del metro ha voluto fosse sempre un dattilo. E puoi osservare che in queste tre forme di metri la tradizione ha il suo peso.
Piedi misti conciliabili e inconciliabili...
16. 32. Per quanto riguarda, nella commischianza dei piedi, la competenza della facoltà razionale che sola può giudicare del dato sensibile, si deve tener presente ciò che segue. Le parti dei piedi che, quando si ha la pausa, sono poste aritmicamente dopo certi piedi, come il giambo dopo il ditrocheo o l'epitrito II, lo spondeo dopo l'antispasto, si collocano irregolarmente anche dopo altri piedi che ad essi sono mescolati. Infatti è chiaro che il giambo è posto regolarmente dopo il molosso, come indica il seguente metro se ripetuto più volte con pausa finale di tre tempi: Ver blandum/viret/ floribus. Ma se in luogo del molosso è posto un ditrocheo al principio, come in questo caso: Vere terra/ viret/floribus, l'udito lo rifiuta decisamente. Ed è facile mediante il giudizio dell'udito far la prova anche con altri metri. E se ne ha una motivazione evidente. Quando piedi fra loro congiungibili vengono congiunti, si devono aggiungere alla fine parti che si accordano con tutti i piedi collocati in quel contesto perché non nasca in qualche modo un contrasto fra i piedi commischiati.
...secondo il genere dattilico o dell'uguale...
16. 33. Il fatto che meraviglia di più è che, quantunque lo spondeo chiuda ritmicamente il digiambo e il ditrocheo, tuttavia quando entrambi questi piedi si trovano in una serie o soli o comunque mescolati con altri congiungibili ad essi, lo spondeo non può seguirli con il benestare dell'udito. Non v'è dubbio che l'udito percepisce con diletto questi due metri ripetuti ad uno ad uno e separatamente: Timenda res/ non est e Iam timere/ noli, ma se li congiungi così: Timenda res/ iam timere/ noli, non vorrei ascoltarli che in prosa. Non meno aritmico è il metro, se si congiunge in un punto qualsiasi un altro piede, come un molosso in questo modo: Vir fortis/, timenda res /, iam timere/ noli; o così: Timenda res /, vir fortis/, iam timere/ noli; o anche così: Timenda res/, iam timere/, vir fortis/, noli. E causa dell'aritmia è che il digiambo avrebbe anche la percussione del due e uno, mentre il ditrocheo dell'uno e due. Ora lo spondeo è eguale in tempi alle loro parti che hanno il due, ma poiché il digiambo attrae lo spondeo verso la propria parte iniziale e il ditrocheo a quella finale, ne nasce un certo contrasto. E in tal modo il ragionamento elimina la nostra meraviglia.
...o giambico ossia del doppio.
16. 34. Non minore stupore desta l'antispasto. Se nessun altro piede gli si unisce o il solo digiambo in un determinato modo, permette che il metro si chiuda col giambo, ma niente affatto se è accompagnato da altri piedi. Unito al dicoreo rifiuta il giambo a causa dello stesso dicoreo. E fin qui non me ne stupisco affatto. Ma non so proprio perché congiunto con altri piedi di sei tempi rifiuta alla fine il giambo che è di tre tempi. È forse una cagione più nascosta di quanto sia possibile a noi scoprirla con evidenza. Ma dimostro il fatto con questi esempi. Non si mette in dubbio che questi due metri: Potestate/placet e Potestate/potentium/placet, con una pausa di tre tempi alla fine si enunciano entrambi ritmicamente. Ma aritmicamente con la medesima pausa questi: Potestate/ praeclara/ placet, Potestate/ tibi multum/ placet, Potestate/ iam tibi sic/ placet, Potestate/ multum tibi placet, Potestate/ magnitudo/ placet. Per ciò che attiene alla facoltà percettiva, essa ha adempiuto alla propria funzione nel problema in parola e ha indicato ciò che ha accettato e ciò che ha rifiutato, ma sulla cagione del fenomeno bisogna consultare la facoltà razionale. E la mia in tanta oscurità non può che vederla in questi termini. L'antispasto ha la sua prima parte eguale a quella del digiambo poiché entrambi cominciano con una breve e una lunga, la seconda parte invece con un dicoreo perché sono chiusi entrambi da una lunga e una breve. Perciò l'antispasto posto da solo ammette alla fine del metro il giambo che corrisponde alla sua prima parte e lo ammette, anche se unito al digiambo col quale ha questa parte eguale. Ammetterebbe il giambo finale anche col dicoreo, se col dicoreo si accordasse tale chiusura. Unito con gli altri invece non lo ammette perché il giambo contrasta in tale congiungimento.
Considerazioni sulle strofe (17, 35 - 37)
Strofe differenti per tempi e per piedi...
17. 35. Per quanto attiene alla strofe metrica, basta tener presente per ora che in essa si possono congiungere metri differenti purché convengano nella percussione, cioè nell'arsi e nella tesi. E i metri possono esser differenti per lunghezza, se metri lunghi si congiungono con metri più corti, come in questo esempio:
Iam satis terris nivis atque dirae
Grandinis misit Pater et rubente
Dextera sacras iaculatus arces
Terruit ur/bem 9.
Puoi vedere infatti quanto l'ultimo di questi, conchiuso da un coriambo e da una sillaba lunga finale, sia più corto dei tre precedenti eguali fra loro. Inoltre i metri sono differenti per i piedi, come questi:
Grato/ Pyrrha sub an/tro,
Cui fla/vam religas/ comam 10.
Puoi osservare che il primo di questi due versi è formato da uno spondeo e un coriambo, ed una sillaba lunga in fine che è richiesta dallo spondeo per completare i sei tempi. Il secondo invece si compone di uno spondeo e un coriambo e le due ultime brevi che con lo spondeo iniziale completano i sei tempi. Sono dunque eguali nei tempi ma nei piedi hanno. qualche cosa di diverso.
...e per la presenza o assenza della pausa.
17. 36. Esiste un'altra differenza delle strofe metriche. Alcuni metri sono messi insieme in modo da non richiedere fra l'uno e l'altro la pausa, come negli ultimi due, altri invece richiedono che fra l'uno e l'altro si faccia una determinata pausa, come questo:
Vides ut alta stet nive candidum
Soracte, nec iam sustineant onus
Silvae laborantes, geluque
Flumina constiterint acuto 11.
Infatti se si ripetono ad uno ad uno, i primi due metri richiedono la pausa finale di un tempo, il terzo di due, il quarto di tre; ma se sono recitati l'uno dopo l'altro obbligano alla pausa di un tempo nel passare dal primo al secondo, di due dal secondo al terzo, di tre dal terzo al quarto. Se si torna dal quarto al primo, si farà la pausa di un tempo. Ma la norma che vale nel tornare al primo vale anche nel passare ad altra strofa. Giustamente noi latini chiamiamo questa forma di unione dei metri circuito che in greco si dice . Il circuito non può essere più piccolo di due membri, cioè due metri, ed hanno convenuto che non sia maggiore di quello che giunge fino a quattro membri. Si può dunque chiamare bimembre il più piccolo, trimembre quello di mezzo e quadrimembre l'ultimo. I greci li chiamano appunto , , . Giacché tratteremo, come ho detto, il problema più accuratamente nel discorso che terremo sui versi, per ora basta.
Infinita possibilità di metri.
17. 37. Comprendi certamente, penso, che si hanno innumerevoli forme di metri. Noi ne abbiamo trovate cinquecento sessantotto. Però sono stati presentati modelli con le sole pause finali e non sono state considerate la commischianza dei piedi e la scomposizione delle lunghe in due brevi che prolunga il piede oltre le quattro sillabe. Ma se si volesse, usando tutte le possibili interposizioni di pausa, ogni possibile commischianza di piedi e scomposizione delle lunghe, calcolare il numero dei metri, esso risulta così grande da non potersi forse trovare il nome. E sebbene il poeta usandoli e l'universale facoltà estetica ascoltandoli rendano validi i modelli da noi presentati e tutti gli altri che è possibile comporre, tuttavia se non li affidasse all'udito la recitazione di un individuo colto ed esercitato e se il sentimento estetico di chi ascolta fosse più ottuso di quanto richiede la cultura letteraria, non è possibile considerare come vere le nozioni che abbiamo trattato. Ma ora riposiamoci per un po' di tempo e del verso trattiamo in seguito.
D. - Sì.
1 - PETRONIO, attr. Terenziano, De metris 2862-63: G. L. 6, 409; MARIO VITTORINO, Ars gramm. G. L. 6, 153, 34.
2 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-3.
3 - TERENZIANO, De metris 1796; G.L. 6, 379.
4 - ORAZIO, Odi 1, 9, 3-4.
5 - VARRONE, Sat. Men. fr. 89.
6 - TERENZIANO, De metris 1913; G.L. 6, 382.
7 - SETTIMIO SERENO, attr. Terenziano, De metris 2001; G.L. 6, 385; MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 122, 16-17; SERVIO, In Verg. Aen. 4, 291.
8 - POMPONIO, attr. Terenziano, De metris 2135-41: G.L. 6, 389; MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 115, 15-17.
9 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-4.
10 - ORAZIO, Odi 1, 5, 3-4.
11 - ORAZIO, Odi 1, 9, 1-4.
24 - Maria santissima si congeda dalla casa di Zaccaria per ritornare alla sua casa di Nazaret.
La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca304. Perché Maria santissima potesse ritornare alla sua casa di Nazaret, santa Elisabetta fece chiamare il suo felicissimo sposo Giuseppe. Arrivato alla casa di Zaccaria, dove lo attendevano, Giuseppe fu ricevuto con grande affetto e rispetto da Elisabetta e Zaccaria. Ormai anche il santo sacerdote sapeva che i misteri e i tesori del cielo erano affidati al gran patriarca Giuseppe, che ancora non li conosceva. La sua santissima sposa lo ricevette con umile gioia e, genuflessa alla sua presenza, gli chiese come sempre la benedizione, e lo pregò di perdonarla per aver tralasciato di servirlo per un periodo di circa tre mesi, in cui aveva assistito la sua cugina Elisabetta. Sebbene in ciò non avesse commesso colpa né imperfezione, poiché infatti aveva adempito la volontà divina con grande compiacimento e beneplacito del Signore e conformità al volere del suo sposo, con quella cortese umiltà la prudentissima Signora volle rendere al suo sposo la consolazione che non aveva potuto dargli durante la sua lontananza. San Giuseppe le rispose che il solo vederla gli leniva la pena sofferta per la sua mancanza, e lo colmava di quel conforto che la sua presenza gli avrebbe procurato. Dopo essersi riposato qualche giorno, fissarono la data della loro partenza.
305. La principessa Maria si congedò subito dal sacerdote Zaccaria, il quale, conoscendo grazie alla luce divina la dignità della Madre del Signore, le parlò con grandissimo rispetto, come a santuario vivente della divinità ed umanità del Verbo eterno, dicendole: «Signora mia, lodate e benedite eternamente il vostro Creatore, che si degnò, nella sua misericordia infinita, di eleggervi fra tutte le creature per divenire sua Madre e depositaria unica di tutti i suoi grandi beni e misteri. Ricordatevi di me, vostro servo, e domandate al nostro Dio e Signore, che mi invii in pace da questo esilio al porto sicuro del vero bene che speriamo, e che per voi meriti di essere degno di giungere a vedere il suo aspetto divino, che forma la gloria dei santi. Ricordatevi anche della mia casa e famiglia, specialmente del mio figlio Giovanni, e pregate l'Altissimo per il vostro popolo».
306. La gran Signora si genuflesse dinanzi al sacerdote, e lo pregò con profonda umiltà di benedirla. Zaccaria si tratteneva dal farlo e, anzi, la supplicava di dargli la sua benedizione. Ma nessuno poteva vincere nell'umiltà colei che era maestra e madre di questa virtù e di tutta la santità. Così ella obbligò il sacerdote a darle la sua benedizione, ed egli gliela diede mosso dalla luce divina. Valendosi delle parole della sacra Scrittura, le disse: «La destra dell'Onnipotente e vero Dio ti assista sempre e ti liberi da ogni male; la grazia della sua efficace protezione sia con te, ed egli ti riempia della rugiada del cielo e dell'abbondanza della terra, dandoti pane e vino a profusione. Ti servano i popoli e ti adorino le tribù, perché sei tabernacolo di Dio. Sarai Signora dei tuoi fratelli, e i figli di tua madre s'inginocchieranno alla tua presenza; colui che ti magnificherà e benedirà, sarà esaltato e benedetto, e colui che non ti benedirà e loderà, sarà maledetto. Tutte le nazioni conosceranno Dio in te, e per te sarà esaltato il nome dell'Altissimo, Dio di Giacobbe».
307. In cambio di questa profetica benedizione, Maria santissima baciò la mano del sacerdote Zaccaria, e lo pregò di perdonarla per il disturbo arrecatogli e l'inadeguato servizio che aveva prestato in casa sua. All'udire le parole di commiato della più pura ed amabile delle creature, il santo sacerdote si commosse profondamente, e custodì sermpre nel suo cuore il segreto dei misteri che alla presenza di Maria santissima gli erano stati rivelati. Solo una volta, nel corso di una riunione di sacerdoti che abitualmente si radunavano nel tempio, dopo che questi si furono congratulati con lui perché gli era nato un figlio e perché con la sua nascita aveva riacquistato la parola, mosso dalla forza dello Spirito, così rispose: «Credo con fermezza infallibile che ci abbia visitati l'Altissimo, inviando già nel mondo il Messia promesso, che deve redimere il suo popolo». Non dichiarò il resto che sapeva del mistero, ma il santo sacerdote Simeone che era presente, all'udire quelle parole, fu preso da vivo desiderio nello spirito e, animato da tale ispirazione, disse: «O Signore, Dio d'Israele, non permettete che il vostro servo lasci questa valle di lacrime, prima di aver visto la vostra salvezza e il redentore del suo popolo». A queste parole si richiamavano quelle che in seguito egli proferì, come diremo più avanti, quando prese tra le braccia il bambino Gesù, in occasione della sua presentazione al tempio. Da questo momento in poi, il suo affettuoso desiderio di vedere il Verbo di Dio fatto carne s'infiammò ancora di più.
308. Maria santissima, signora nostra, lasciando Zaccaria in lacrime e col cuore colmo di tenerezza, andò a congedarsi da sua cugina. A questo punto non c'è da sorprendersi che santa Elisabetta, manifestando una maggiore sensibilità sia come donna e come consanguinea, sia come colei che aveva goduto per tanti giorni la dolce conversazione della Madre della grazia e che per sua intercessione aveva ricevuto tanti favori dalla mano del Signore, venisse meno per il dolore, poiché vedeva allontanarsi la causa di tanti beni ricevuti, non partecipando più della sua presenza, e la speranza di riceverne molti altri. Alla santa si spezzò il cuore, quando la Signora del cielo e della terra, che ella amava più della sua stessa vita, arrivò per congedarsi da lei. Con poche parole, poiché non riusciva a parlare, le rivelò, tra le lacrime e i singhiozzi, l'intimo del suo cuore. La serenissima Regina, come invitta e superiore a tutti i moti delle passioni naturali, si comportò con affabilità, senza perdere il dominio di sé. Parlando a santa Elisabetta disse: «Amica e cugina mia, non vogliate affliggervi tanto per la mia partenza, poiché la carità dell'Altissimo, nel quale sinceramente vi amo, non conosce separazione o distanza, né di tempo, né di spazio. Vi contemplo nella sua maestà; in lui mi sarete presente, e in lui anche voi mi ritroverete sempre. Breve è il tempo in cui saremo lontane fisicamente, perché tutti i giorni della vita umana passano rapidamente. Ottenendo vittoria, con la grazia divina, sui nostri nemici, ci rivedremo molto presto e godremo eternamente nella celeste Gerusalemme, dove non è dolore, né pianto, né separazione. Frattanto, mia carissima, voi ritroverete ogni bene nel Signore, ed ancora mi avrete e mi vedrete in lui; egli rimanga nel vostro cuore e vi consoli». Perché Elisabetta smettesse di piangere, la nostra prudentissima Regina non prolungò il suo discorso. Dopo essersi messa in ginocchio, le chiese la benedizione e le domandò di perdonarla per qualunque disagio le avesse causato con la sua compagnia. Insistette finché ella gliela diede, perché la santissima Signora le rendesse il contraccambio, benedicendola a sua volta, e Maria santissima così fece per non negarle questa consolazione.
309. La Regina si avvicinò ancora una volta al piccolo Giovanni e, presolo tra le braccia, lo benedisse ripetutamente con una forza misteriosa. Il prodigioso bambino per divina concessione parlò alla Vergine, benché con la voce tenue di un bimbo, rivolgendole queste parole: «Voi che siete Madre di Dio e Regina di ogni cosa creata, depositaria del tesoro inestimabile del cielo, mio rifugio e protezione, date la vostra benedizione a me, vostro servo, e concedetemi che non mi manchi la vostra intercessione e la vostra grazia». Il bambino baciò tre volte la mano della Regina e adorò il Verbo incarnato nel suo grembo verginale, chiedendo la sua benedizione e la sua grazia, e con somma riverenza si offrì al suo servizio. Il bambino Gesù si manifestò con gioia e benevolenza al suo precursore, e la felicissima madre Maria santissima percepiva e contemplava tutto questo. In ogni cosa ella procedeva ed operava con pienezza di conoscenza divina, dando a ciascuno di questi grandi misteri la venerazione e la stima ad essi dovuta, perché considerava con sublime magnificenza la sapienza di Dio e le sue opere.
310. Tutta la casa di Zaccaria restò santificata dalla presenza di Maria santissima e del Verbo incarnato nel suo grembo, edificata dal suo esempio, ammaestrata dalla sua conversazione e dal suo insegnamento, e ricreata dal suo dolcissimo tratto e dalla sua modestia. Portando con sé i cuori di quella fortunata famiglia, lasciò tutti i suoi membri pieni di doni celesti, che ottenne loro dal suo Figlio santissimo. Il suo santo sposo Giuseppe fu tenuto in grande venerazione da Zaccaria, Elisabetta e Giovanni, perché essi conobbero la sua dignità, prima che venisse rivelata a lui stesso. Una volta che il fortunato patriarca si fu licenziato da tutti, si dispose a partire per Nazaret, custodendo con cuore lieto il suo tesoro, di cui peraltro non era pienamente consapevole. Prima di mettersi in cammino, Maria santissima si genuflesse dinanzi al suo sposo per la benedizione, come era solita fare in tali occasioni. Dopo averla ottenuta, intrapresero il viaggio. Narrerò ciò che avvenne durante il tragitto nel capitolo seguente.
Insegnamento della Regina Maria santissima
311. Figlia mia, quell'anima fortunata che Dio sceglie per i suoi intimi colloqui d'amore e per innalzarla a sublime perfezione deve eseguire tutto senza resistenza e con sollecitudine, conservando sempre il proprio cuore imperturbato e pronto per qualunque cosa sua Maestà voglia disporre e operare in essa. Così feci quando l'Altissimo mi ordinò di uscire dalla mia casa e di abbandonare il mio amabile ritiro per recarmi a quella della mia serva Elisabetta e feci altrettanto quando mi comandò di lasciarla. Eseguii tutto con pronta allegrezza e, sebbene avessi ricevuto tanti benefici da Elisabetta e dalla sua famiglia, con quell'amore e quella benevolenza che ti ho manifestato, conoscendo la volontà del Signore, pur sentendomi debitrice verso di loro, posposi ogni mio affetto, senza ammettere maggior carità e compassione di quanta fosse compatibile con la prontezza dell'ubbidienza che dovevo al comando divino.
312. Figlia mia carissima, oh, come faresti in modo di acquistare questa vera e perfetta rassegnazione al volere divino, se tu ne conoscessi interamente il valore, e quanto sia gradita agli occhi del Signore ed utile e giovevole per l'anima! Per conseguirla, impegnati dunque ad imitarmi, come tante volte ti invito e ti sprono a fare. Il maggiore impedimento per giungere a questo grado di perfezione è l'ammettere particolari affetti o inclinazioni a cose terrene, perché queste rendono l'anima indegna di essere eletta dal Signore per ricevere le sue delizie e la rivelazione della sua volontà. Sebbene le anime la conoscano, sono trattenute dall'amore vile che hanno posto in altre cose. A causa di tale attaccamento non sono capaci della prontezza ed allegria con cui devono ubbidire al volere del loro Signore. Prendi coscienza, figlia, di questo pericolo, e non dar luogo nel tuo cuore ad alcun affetto particolare, perché desidero che tu sia molto perfetta e sapiente nell'arte di amare Dio, e che la tua ubbidienza sia come quella di un angelo ed il tuo amore come quello di un serafino. Tale voglio che sia in tutte le tue azioni, poiché a ciò ti impegna il mio amore, e questo ti viene insegnato dalla luce e dalla conoscenza che ricevi.
313. Non voglio dirti che non devi essere sensibile, perché naturalmente una creatura non può che esserlo. Tuttavia, quando ti accadrà qualche contrarietà o ti mancherà ciò che ti sembrerà utile, necessario o desideràbile, abbandonati tutta nel Signore, senza alterazioni, offrendogli un sacrificio di lode, perché in ciò che ti rincresceva si è adempiuta la sua santa volontà. Se considererai solo il beneplacito della sua divina disposizione, essendo tutto il resto transitorio, ti ritroverai facilmente sempre pronta a vincere te stessa, e metterai a tuo profitto tutte le occasioni di umiliarti sotto la potente mano del Signore. Ti avverto ancora di imitarmi nel rispetto e nella venerazione verso i sacerdoti; prima di parlare loro e nel congedarti, chiedi sempre la benedizione, e lo stesso farai con l'Altissimo per qualunque opera che incomincerai. Con i superiori mostrati sempre umile e sottomessa. Se le donne che verranno a chiederti qualche consiglio saranno sposate, esortale ad essere ubbidienti ai loro mariti, sottomesse e pacifiche nelle loro famiglie, ritirate nelle loro case, e sollecite nell'adempire i loro obblighi. Esortale però a non lasciarsi assorbire totalmente dalle loro cure col pretesto della necessità, perché questa deve essere supplita più dalla bontà e liberalità del Signore che dal loro eccessivo affaccendarsi. Troverai il vero insegnamento e il giusto esempio in tutto ciò che mi è capitato nel mio stato. Tutta la mia vita servirà da punto di riferimento, perché le anime modellino su di essa la perfezione che devono avere in tutte le condizioni di vita. Perciò non ti do avvertenze per ciascuna di queste in particolare.
IO SONO IL PANE A.N.A. 88 11 maggio 1995
Catalina Rivas
Gesù
Il piccolo chicco di grano gettato nel solco, muore e poi si decompone per elaborare, con una vitale forza interna, la vera trasformazione della materia morta in un essere vivente: la pianta. Nel tuo organismo si realizza qualcosa di simile; ciò che prima era pane, si converte in carne, sangue e vita del tuo corpo...
Questa transustanziazione del pane Eucaristico nel Mio corpo e nel Mio sangue, Io la realizzo per e attraverso te... Quale lavoro più piacevole per il tuo Signore: formare da un pugno di fango, tutto l'organismo del corpo di un uomo e mutare la sostanza del pane dentro un corpo umano già esistente!
E questo tuo stesso Dio, ha un giorno convertito il pane nel Suo corpo, affinché colui che lo mangia raggiunga la vita eterna. Dall'amore del Padre, da quel poco di fango, sono nati e nasceranno tutti gli uomini, mediante la morte temporale in sconto del peccato. Dall'amore del Figlio, colui che mangia questa cena celeste, nasce alla vita eterna per merito della grazia divina. In virtù di che cosa si verificò che il Figlio dell'Uomo, essendo immensa la Sua grandezza e infinita la Sua maestà, abbia potuto farsi uomo? Spetta forse all'intelligenza dell'uomo comprendere come quella Madre, nata da donna, permanga e conservi la verginità prima, durante e dopo il parto?
Solo attraverso l'amore. Lo comprenderete in cielo... Sulla terra, dovete vivere solo della fede...