Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Gesù, ti ringrazio per le piccole e invisibili croci quotidiane, per le difficoltà  della vita comune, per le contrarietà  opposte ai miei progetti, per la cattiva interpretazione data alle mie intenzioni, per le umiliazioni che mi vengono dagli altri, per i modi aspri con cui sono trattata, per i sospetti ingiusti, per la salute cagionevole e l'esaurirsi delle forze, per le rinunce alla mia propria volontà , per l'annientamento del mio proprio io, per la mancanza di riconoscimento in ogni cosa, per l'intralcio a tutti i piani che avevo predisposto. Gesù, ti ringrazio per le sofferenze interiori, per le aridità  dello spirito, per le angosce, i timori e le incertezze, per il buio delle varie prove dentro all'anima, per i tormenti che sono difficili ad esprimere, specialmente quelli nei quali nessuno mi capisce, per l'agonia amara e per l'ora della morte. (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 33° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 13

1Quel giorno Gesù uscì di casa e si sedette in riva al mare.2Si cominciò a raccogliere attorno a lui tanta folla che dovette salire su una barca e là porsi a sedere, mentre tutta la folla rimaneva sulla spiaggia.
3Egli parlò loro di molte cose in parabole.

E disse: "Ecco, il seminatore uscì a seminare.4E mentre seminava una parte del seme cadde sulla strada e vennero gli uccelli e la divorarono.5Un'altra parte cadde in luogo sassoso, dove non c'era molta terra; subito germogliò, perché il terreno non era profondo.6Ma, spuntato il sole, restò bruciata e non avendo radici si seccò.7Un'altra parte cadde sulle spine e le spine crebbero e la soffocarono.8Un'altra parte cadde sulla terra buona e diede frutto, dove il cento, dove il sessanta, dove il trenta.9Chi ha orecchi intenda".

10Gli si avvicinarono allora i discepoli e gli dissero: "Perché parli loro in parabole?".
11Egli rispose: "Perché a voi è dato di conoscere i misteri del regno dei cieli, ma a loro non è dato.12Così a chi ha sarà dato e sarà nell'abbondanza; e a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.13Per questo parlo loro in parabole: perché pur vedendo non vedono, e pur udendo non odono e non comprendono.14E così si adempie per loro la profezia di Isaia che dice:

'Voi udrete, ma non comprenderete,
guarderete, ma non vedrete.'
15'Perché il cuore di questo popolo
si è indurito, son diventati duri di orecchi,
e hanno chiuso gli occhi,
per non vedere con gli occhi,
non sentire con gli orecchi
e non intendere con il cuore e convertirsi,
e io li risani.'

16Ma beati i vostri occhi perché vedono e i vostri orecchi perché sentono.17In verità vi dico: molti profeti e giusti hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, e non lo videro, e ascoltare ciò che voi ascoltate, e non l'udirono!

18Voi dunque intendete la parabola del seminatore:19tutte le volte che uno ascolta la parola del regno e non la comprende, viene il maligno e ruba ciò che è stato seminato nel suo cuore: questo è il seme seminato lungo la strada.20Quello che è stato seminato nel terreno sassoso è l'uomo che ascolta la parola e subito l'accoglie con gioia,21ma non ha radice in sé ed è incostante, sicché appena giunge una tribolazione o persecuzione a causa della parola, egli ne resta scandalizzato.22Quello seminato tra le spine è colui che ascolta la parola, ma la preoccupazione del mondo e l'inganno della ricchezza soffocano la parola ed essa non da' frutto.23Quello seminato nella terra buona è colui che ascolta la parola e la comprende; questi da' frutto e produce ora il cento, ora il sessanta, ora il trenta".

24Un'altra parabola espose loro così: "Il regno dei cieli si può paragonare a un uomo che ha seminato del buon seme nel suo campo.25Ma mentre tutti dormivano venne il suo nemico, seminò zizzania in mezzo al grano e se ne andò.26Quando poi la messe fiorì e fece frutto, ecco apparve anche la zizzania.27Allora i servi andarono dal padrone di casa e gli dissero: Padrone, non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania?28Ed egli rispose loro: Un nemico ha fatto questo. E i servi gli dissero: Vuoi dunque che andiamo a raccoglierla?29No, rispose, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano.30Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Cogliete prima la zizzania e legatela in fastelli per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio".

31Un'altra parabola espose loro: "Il regno dei cieli si può paragonare a un granellino di senapa, che un uomo prende e semina nel suo campo.32Esso è il più piccolo di tutti i semi ma, una volta cresciuto, è più grande degli altri legumi e diventa un albero, tanto che vengono gli uccelli del cielo e si annidano fra i suoi rami".

33Un'altra parabola disse loro: "Il regno dei cieli si può paragonare al lievito, che una donna ha preso e impastato con tre misure di farina perché tutta si fermenti".

34Tutte queste cose Gesù disse alla folla in parabole e non parlava ad essa se non in parabole,35perché si adempisse ciò che era stato detto dal profeta:

'Aprirò la mia bocca in parabole,'
proclamerò cose nascoste fin dalla fondazione del mondo.

36Poi Gesù lasciò la folla ed entrò in casa; i suoi discepoli gli si accostarono per dirgli: "Spiegaci la parabola della zizzania nel campo".37Ed egli rispose: "Colui che semina il buon seme è il Figlio dell'uomo.38Il campo è il mondo. Il seme buono sono i figli del regno; la zizzania sono i figli del maligno,39e il nemico che l'ha seminata è il diavolo. La mietitura rappresenta la fine del mondo, e i mietitori sono gli angeli.40Come dunque si raccoglie la zizzania e si brucia nel fuoco, così avverrà alla fine del mondo.41Il Figlio dell'uomo manderà i suoi angeli, i quali raccoglieranno dal suo regno tutti gli scandali e tutti gli operatori di iniquità42e li getteranno nella fornace ardente dove sarà pianto e stridore di denti.43Allora i giusti splenderanno come il sole nel regno del Padre loro. Chi ha orecchi, intenda!

44Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto in un campo; un uomo lo trova e lo nasconde di nuovo, poi va, pieno di gioia, e vende tutti i suoi averi e compra quel campo.
45Il regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose;46trovata una perla di grande valore, va, vende tutti i suoi averi e la compra.

47Il regno dei cieli è simile anche a una rete gettata nel mare, che raccoglie ogni genere di pesci.48Quando è piena, i pescatori la tirano a riva e poi, sedutisi, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi.49Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni50e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti.

51Avete capito tutte queste cose?". Gli risposero: "Sì".52Ed egli disse loro: "Per questo ogni scriba divenuto discepolo del regno dei cieli è simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche".

53Terminate queste parabole, Gesù partì di là54e venuto nella sua patria insegnava nella loro sinagoga e la gente rimaneva stupita e diceva: "Da dove mai viene a costui questa sapienza e questi miracoli?55Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda?56E le sue sorelle non sono tutte fra noi? Da dove gli vengono dunque tutte queste cose?".57E si scandalizzavano per causa sua. Ma Gesù disse loro: "Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria e in casa sua".58E non fece molti miracoli a causa della loro incredulità.


Primo libro delle Cronache 21

1Satana insorse contro Israele. Egli spinse Davide a censire gli Israeliti.2Davide disse a Ioab e ai capi del popolo: "Andate, contate gli Israeliti da Bersabea a Dan; quindi portatemene il conto sì che io conosca il loro numero".3Ioab disse a Davide: "Il Signore aumenti il suo popolo sì da renderlo cento volte tanto! Ma, mio signore, essi non sono tutti sudditi del mio signore? Perché il mio signore vuole questa inchiesta? Perché dovrebbe cadere tale colpa su Israele?".4Ma l'opinione del re si impose a Ioab. Questi percorse tutto Israele, quindi tornò a Gerusalemme.5Ioab consegnò a Davide il numero del censimento del popolo. In tutto Israele risultarono un milione e centomila uomini atti alle armi; in Giuda risultarono quattrocentosettantamila uomini atti alle armi.6Fra costoro Ioab non censì i leviti né la tribù di Beniamino, perché l'ordine del re gli appariva un abominio.
7Il fatto dispiacque agli occhi di Dio, che perciò colpì Israele.8Davide disse a Dio: "Facendo una cosa simile, ho peccato gravemente. Perdona, ti prego, l'iniquità del tuo servo, perché ho commesso una vera follia".
9Il Signore disse a Gad, veggente di Davide:10"Va', riferisci a Davide: Dice il Signore: Ti pongo davanti tre cose, scegline una e io te la concederò".11Gad andò da Davide e gli riferì: "Dice il Signore: Scegli12fra tre anni di carestia, tre mesi di fuga per te di fronte ai tuoi avversari, sotto l'incubo della spada dei tuoi nemici, e tre giorni della spada del Signore con la peste che si diffonde sul paese e l'angelo del Signore che porta lo sterminio in tutto il territorio di Israele. Ora decidi che cosa io debba riferire a chi mi ha inviato".13Davide disse a Gad: "Sono in un'angoscia terribile. Ebbene, io cada nelle mani del Signore, perché la sua misericordia è molto grande, ma io non cada nelle mani degli uomini".14Così il Signore mandò la peste in Israele; morirono settantamila Israeliti.15Dio mandò un angelo in Gerusalemme per distruggerla. Ma, come questi stava distruggendola, il Signore volse lo sguardo e si astenne dal male minacciato. Egli disse all'angelo sterminatore: "Ora basta! Ritira la mano".
L'angelo del Signore stava in piedi presso l'aia di Ornan il Gebuseo.16Davide, alzati gli occhi, vide l'angelo del Signore che stava fra terra e cielo con la spada sguainata in mano, tesa verso Gerusalemme. Allora Davide e gli anziani, coperti di sacco, si prostrarono con la faccia a terra.17Davide disse a Dio: "Non sono forse stato io a ordinare il censimento del popolo? Io ho peccato e ho commesso il male; costoro, il gregge, che cosa hanno fatto? Signore Dio mio, sì, la tua mano infierisca su di me e sul mio casato, ma non colpisca il tuo popolo".
18L'angelo del Signore ordinò a Gad di riferire a Davide che salisse ad erigere un altare al Signore nell'aia di Ornan il Gebuseo.19Davide vi andò secondo l'ordine di Gad, comunicatogli a nome del Signore.20Ornan si volse e vide l'angelo; i suoi quattro figli, che erano con lui, si nascosero. Ornan stava trebbiando il grano,21quando gli si avvicinò Davide. Ornan guardò e, riconosciuto Davide, uscì dall'aia, prostrandosi con la faccia a terra davanti a Davide.22Davide disse a Ornan: "Cedimi il terreno dell'aia, perché io vi costruisca un altare al Signore; cedimelo per tutto il suo valore, così che il flagello cessi di infierire sul popolo".23Ornan rispose a Davide: "Prenditelo; il re mio signore ne faccia quello che vuole. Vedi, io ti dò anche i buoi per gli olocausti, le trebbie per la legna e il grano per l'offerta; tutto io ti offro".24Ma il re Davide disse a Ornan: "No! Lo voglio acquistare per tutto il suo valore; non presenterò al Signore una cosa che appartiene a te offrendo così un olocausto gratuitamente".25E così Davide diede a Ornan seicento sicli d'oro per il terreno.
26Quindi Davide vi eresse un altare per il Signore e vi offrì olocausti e sacrifici di comunione. Invocò il Signore, che gli rispose con il fuoco sceso dal cielo sull'altare dell'olocausto.
27Il Signore ordinò all'angelo e questi ripose la spada nel fodero.28Allora, visto che il Signore l'aveva ascoltato sull'aia di Ornan il Gebuseo, Davide offrì là un sacrificio.29La Dimora del Signore, eretta da Mosè nel deserto, e l'altare dell'olocausto in quel tempo stavano sull'altura che era in Gàbaon;30ma Davide non osava recarsi là a consultare Dio perché si era molto spaventato di fronte alla spada dell'angelo del Signore.


Giobbe 40

1Il Signore riprese e disse a Giobbe:
2Il censore vorrà ancora contendere con l'Onnipotente?
L'accusatore di Dio risponda!
3Giobbe rivolto al Signore disse:
4Ecco, sono ben meschino: che ti posso rispondere?
Mi metto la mano sulla bocca.
5Ho parlato una volta, ma non replicherò.
ho parlato due volte, ma non continuerò.
6Allora il Signore rispose a Giobbe di mezzo al turbine e disse:
7Cingiti i fianchi come un prode:
io t'interrogherò e tu mi istruirai.
8Oseresti proprio cancellare il mio giudizio
e farmi torto per avere tu ragione?
9Hai tu un braccio come quello di Dio
e puoi tuonare con voce pari alla sua?
10Ornati pure di maestà e di sublimità,
rivestiti di splendore e di gloria;
11diffondi i furori della tua collera,
mira ogni superbo e abbattilo,
12mira ogni superbo e umilialo,
schiaccia i malvagi ovunque si trovino;
13nascondili nella polvere tutti insieme,
rinchiudili nella polvere tutti insieme,
14anch'io ti loderò,
perché hai trionfato con la destra.
15Ecco, l'ippopotamo, che io ho creato al pari di te,
mangia l'erba come il bue.
16Guarda, la sua forza è nei fianchi
e il suo vigore nel ventre.
17Rizza la coda come un cedro,
i nervi delle sue cosce s'intrecciano saldi,
18le sue vertebre, tubi di bronzo,
le sue ossa come spranghe di ferro.
19Esso è la prima delle opere di Dio;
il suo creatore lo ha fornito di difesa.
20I monti gli offrono i loro prodotti
e là tutte le bestie della campagna si trastullano.
21Sotto le piante di loto si sdraia,
nel folto del canneto della palude.
22Lo ricoprono d'ombra i loti selvatici,
lo circondano i salici del torrente.
23Ecco, si gonfi pure il fiume: egli non trema,
è calmo, anche se il Giordano gli salisse fino alla bocca.
24Chi potrà afferrarlo per gli occhi,
prenderlo con lacci e forargli le narici?
25Puoi tu pescare il Leviatan con l'amo
e tener ferma la sua lingua con una corda,
26ficcargli un giunco nelle narici
e forargli la mascella con un uncino?
27Ti farà forse molte suppliche
e ti rivolgerà dolci parole?
28Stipulerà forse con te un'alleanza,
perché tu lo prenda come servo per sempre?
29Scherzerai con lui come un passero,
legandolo per le tue fanciulle?
30Lo metteranno in vendita le compagnie di pesca,
se lo divideranno i commercianti?
31Crivellerai di dardi la sua pelle
e con la fiocina la sua testa?
32Metti su di lui la mano:
al ricordo della lotta, non rimproverai!


Salmi 41

1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'

2Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
4Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.

5Io ho detto: "Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato".
6I nemici mi augurano il male:
"Quando morirà e perirà il suo nome?".
7Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.

8Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
9"Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi".
10Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.

11Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami,
che io li possa ripagare.
12Da questo saprò che tu mi ami
se non trionfa su di me il mio nemico;
13per la mia integrità tu mi sostieni,
mi fai stare alla tua presenza per sempre.
14Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.


Baruc 1

1Queste sono le parole del libro che Baruc figlio di Neria, figlio di Maasià, figlio di Sedecìa, figlio di Asadia, figlio di Chelkìa, scrisse in Babilonia2nell'anno quinto, il sette del mese, nella ricorrenza di quando i Caldei presero Gerusalemme e la diedero alle fiamme.3Baruc lesse le parole di questo libro alla presenza di Ieconia, figlio di Ioiakìm, re di Giuda e di tutto il popolo, accorso per ascoltare la lettura:4erano presenti i nobili, i figli del re, gli anziani, tutto il popolo dal più piccolo al più grande, quanti insomma abitavano in Babilonia presso il fiume Sud.5Ascoltata la lettura, piansero, digiunarono, pregarono il Signore,6poi, raccolto un po' di denaro, secondo quel che ognuno poteva dare,7lo mandarono a Gerusalemme al sacerdote Ioakim figlio di Chelkìa, figlio di Salòm e agli altri sacerdoti e al popolo che erano con lui in Gerusalemme.8Era il dieci del mese di Sivan, quando Baruc ricevette, per portarli in Giuda, i vasi della casa del Signore, che erano stati portati via dal tempio. Erano quei vasi d'argento che Sedecìa figlio di Giosia, re di Giuda, aveva fatto rifare,9dopo che Nabucodònosor re di Babilonia aveva deportato da Gerusalemme in Babilonia Ieconia, i principi, gli schiavi, i nobili e il popolo del paese.10Mandarono a dire loro: Ecco, vi mandiamo il denaro per comprare olocausti, sacrifici espiatori e incenso e offrire oblazioni sull'altare del Signore nostro Dio.11Pregate per la vita di Nabucodònosor re di Babilonia e per la vita di suo figlio Baldassàr, perché i loro giorni sulla terra siano lunghi come i giorni del cielo sulla terra.12Pregate perché il Signore ci dia forza e illumini i nostri occhi e si possa vivere all'ombra di Nabucodònosor, re di Babilonia, e all'ombra del figlio Baldassàr e servirli per molti anni e trovar grazia ai loro occhi.13Pregate il Signore nostro Dio anche per noi che lo abbiamo offeso e fino ad oggi il suo sdegno e la sua ira non si sono allontanati da noi.14Leggete perciò questo libro che vi abbiamo mandato per fare pubblica confessione nel tempio del Signore, in giorno di festa e nei giorni opportuni.15Direte dunque:

Al Signore nostro Dio la giustizia; a noi il disonore sul volto, come oggi avviene per i Giudei e gli abitanti di Gerusalemme,16per i nostri re e per i nostri principi, per i nostri sacerdoti e i nostri profeti e per i nostri padri,17perché abbiamo offeso il Signore,18gli abbiamo disobbedito, non abbiamo ascoltato la voce del Signore nostro Dio per camminare secondo i decreti che il Signore ci aveva messi dinanzi.19Da quando il Signore fece uscire i nostri padri dall'Egitto fino ad oggi noi ci siamo ribellati al Signore nostro Dio e ci siamo ostinati a non ascoltare la sua voce.20Così, come oggi costatiamo, ci son venuti addosso tanti mali insieme con la maledizione che il Signore aveva minacciata per mezzo di Mosè suo servo, quando fece uscire i nostri padri dall'Egitto per concederci un paese in cui scorre latte e miele.21Non abbiamo ascoltato la voce del Signore nostro Dio, secondo le parole dei profeti che egli ci ha mandato:22ma ciascuno di noi ha seguito le perverse inclinazioni del suo cuore, ha servito dèi stranieri e ha fatto ciò che è male agli occhi del Signore nostro Dio.


Apocalisse 3

1All'angelo della Chiesa di Sardi scrivi:
Così parla Colui che possiede i sette spiriti di Dio e le sette stelle: Conosco le tue opere; ti si crede vivo e invece sei morto.2Svegliati e rinvigorisci ciò che rimane e sta per morire, perché non ho trovato le tue opere perfette davanti al mio Dio.3Ricorda dunque come hai accolto la parola, osservala e ravvediti, perché se non sarai vigilante, verrò come un ladro senza che tu sappia in quale ora io verrò da te.4Tuttavia a Sardi vi sono alcuni che non hanno macchiato le loro vesti; essi mi scorteranno in vesti bianche, perché ne sono degni.5Il vincitore sarà dunque vestito di bianche vesti, non cancellerò il suo nome dal libro della vita, ma lo riconoscerò davanti al Padre mio e davanti ai suoi angeli.6Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

7All'angelo della Chiesa di Filadelfia scrivi:

Così parla il Santo, il Verace,
Colui che ha 'la chiave di Davide:
quando egli apre nessuno chiude,
e quando chiude nessuno apre'.

8Conosco le tue opere. Ho aperto davanti a te una porta che nessuno può chiudere. Per quanto tu abbia poca forza, pure hai osservato la mia parola e non hai rinnegato il mio nome.9Ebbene, ti faccio dono di alcuni della sinagoga di satana - di quelli che si dicono Giudei, ma mentiscono perché non lo sono -: li farò venire perché si prostrino ai tuoi piedi e sappiano che io ti ho amato.10Poiché hai osservato con costanza la mia parola, anch'io ti preserverò nell'ora della tentazione che sta per venire sul mondo intero, per mettere alla prova gli abitanti della terra.11Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona.12Il vincitore lo porrò come una colonna nel tempio del mio Dio e non ne uscirà mai più. Inciderò su di lui il nome del mio Dio e il nome della città del mio Dio, della nuova Gerusalemme che discende dal cielo, da presso il mio Dio, insieme con il mio nome nuovo.13Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.

14All'angelo della Chiesa di Laodicèa scrivi:
Così parla l'Amen, il Testimone fedele e verace, il Principio della creazione di Dio:15Conosco le tue opere: tu non sei né freddo né caldo. Magari tu fossi freddo o caldo!16Ma poiché sei tiepido, non sei cioè né freddo né caldo, sto per vomitarti dalla mia bocca.17Tu dici: "Sono ricco, mi sono arricchito; non ho bisogno di nulla", ma non sai di essere un infelice, un miserabile, un povero, cieco e nudo.18Ti consiglio di comperare da me oro purificato dal fuoco per diventare ricco, vesti bianche per coprirti e nascondere la vergognosa tua nudità e collirio per ungerti gli occhi e ricuperare la vista.19Io tutti quelli che amo li rimprovero e li castigo. Mostrati dunque zelante e ravvediti.20Ecco, sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me.21Il vincitore lo farò sedere presso di me, sul mio trono, come io ho vinto e mi sono assiso presso il Padre mio sul suo trono.22Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese.


Capitolo V: La lettura dei libri di devozione

Leggilo nella Biblioteca

Nei libri di devozione si deve ricercare la verità, non la bellezza della forma. Essi vanno letti nello spirito con cui furono scritti; in essi va ricercata l'utilità spirituale, piuttosto che l'eleganza della parola. Perciò dobbiamo leggere anche opere semplici, ma devote, con lo stesso desiderio con cui leggiamo opere dotte e profonde. Non lasciarti colpire dal nome dello scrittore, di minore o maggiore risonanza; quel che ci deve indurre alla lettura deve essere il puro amore della verità. Non cercar di sapere chi ha detto una cosa, ma bada a ciò che è stato detto. Infatti gli uomini passano, "invece la verità del Signore resta per sempre" (Sal 116,2); e Dio ci parla in varie maniere, "senza tener conto delle persone" (1Pt 1,17). Spesso, quando leggiamo le Scritture, ci è di ostacolo la nostra smania di indagare, perché vogliamo approfondire e discutere là dove non ci sarebbe che da andare avanti in semplicità di spirito. Se vuoi trarre profitto, leggi con animo umile e semplice, con fede. E non aspirare mai alla fama di studioso. Ama interrogare e ascoltare in silenzio la parola dei santi. E non essere indifferente alle parole dei superiori: esse non vengono pronunciate senza ragione.


Contro Felice Manicheo - Libro secondo

Contro Felice manicheo - Sant'Agostino d'Ippona

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1. Essendo giunti al giorno prestabilito, cioè alla vigilia delle idi di dicembre, il dibattito così cominciò nella chiesa della Pace.
AGOSTINO vescovo della Chiesa cattolica della regione di Ippona Regia disse: Quando poco tempo fa abbiamo disputato, ricordi di aver chiesto una dilazione, non potendo rispondere al presente alle cose che ti avevo chiesto. Se dunque in un così grande lasso di tempo, cioè dopo il quinto giorno, hai escogitato qualcosa, rispondi. Questo interrogativo infatti avevamo allora posto: Se niente poteva nuocere a Dio, per quale motivo fece una guerra con la gente che voi chiamate delle tenebre, nella quale guerra avrebbe mescolato la sua sostanza alla natura dei demoni, sostanza che è ciò che è egli stesso, come già hai detto quando sei stato interrogato? Se invece qualcosa poteva nuocergli, non adorate un Dio incorruttibile, quale attesta la verità e la dottrina apostolica.
FELICE: Da quando mi sono allontanato dalla tua Santità, fino al giorno stabilito in cui sono tornato per rispondere al tuo interrogatorio, a qualsiasi cosa tu volessi chiedere, si giunse al giorno stabilito, e siccome non ho avuto in mano alcuna scrittura, poiché non mi sono state restituite, donde mi potessi istruire - nessuno infatti esce in battaglia, se non sia stato prima addestrato, e nessun disputatore può disputare senza le sue carte -, similmente anch’io non posso rispondere senza la mia scrittura.
AGOSTINO: In tanto spazio di giorni hai escogitato questa tergiversazione, la quale non ti potrà aiutare in una causa perduta e in un errore sacrilego, non avendo cosa rispondere. È noto infatti a tutti coloro che erano presenti, i quali vedo presenti anche adesso, che tu hai chiesto una così grande dilazione di giorni; avresti invece dovuto chiedere anche i codici, quando hai chiesto la dilazione, se credevi che in questi ti saresti potuto istruire per rispondere; cosa che non hai fatto. So che tu hai chiesto i codici, non certo per esaminarli a scopo di istruzione, ma molto prima di chiedere la dilazione; invero quando hai chiesto la dilazione, non hai fatto alcuna menzione del fatto che ti fossero restituiti e del dover esaminare i codici, per poterti istruire.
FELICE: Ora chiedo che i codici mi siano restituiti, e verrò alla discussione fra due giorni; e se sarò stato vinto, mi sottoporrò a ciò che avrai deliberato.
AGOSTINO: Non credo che tu sia un novellino in questa setta scellerata, come anche tu ammetti. Ora ogni uomo si accorge che tu non hai cosa rispondere, anche se non lo riconosci. Ma dal momento che richiedi i tuoi codici, che sono custoditi sotto il pubblico sigillo, esaminati i quali tu dici di poter ritornare istruito fra due giorni, riconosci quello che già è evidente, ossia che non hai potuto rispondere alle questioni prospettate. Prendi invece i tuoi codici, e di’ ciò che da essi vuoi che ti venga portato, perché al momento tu lo esamini e risponda.
FELICE: Tutte le scritture che mi sono state sottratte. Infatti questa è la Lettera del Fondamento, che - la tua Santità ben lo conosce, e anch’io l’ho detto - contiene l’inizio, il mezzo e la fine. Essa stessa si legga, e qualunque male è obiettato alla mia legge, si provi: e la rinnego, se saranno provati quei crimini che vengono obiettati alla mia legge.
AGOSTINO: Poiché dichiari che questa è la lettera in cui sono racchiusi inizio, mezzo e fine della vostra dottrina, quanto è sacrilego questo inizio, dove dite che Dio ha combattuto contro la gente delle tenebre, e ha mescolato alla natura dei demoni una sua parte per essere contaminata e imprigionata, essa che è ciò che è egli stesso; è tanto sacrilego, che può a stento essere sopportato dagli ascoltatori: questo è obiettato in primo luogo alla vostra setta, sia che lo chiami inizio, sia mezzo, sia fine, non mi curo molto di ciò; tuttavia non neghi che ciò è stato letto da questa lettera, che tu dici essere di Mani; questo vi viene obiettato, questo difendi, se puoi, affinché passiamo ad altri argomenti. Per cui ti chiedo di nuovo: se adorate un Dio incorruttibile, in cosa gli poteva nuocere una non so che gente avversa che inventate? Se in niente gli poteva nuocere, nessun motivo vi fu perché mescolasse la sua parte alla natura dei demoni. Se invece gli poteva nuocere, non adorate un Dio incorruttibile.

2. FELICE: Mani dice che vi sono due nature, e ora di questo è incolpato, perché ha detto che sono due: una buona e una cattiva. Cristo nel Vangelo dice che ci sono due alberi: Un albero buono non produce frutti cattivi, né un albero cattivo produce frutti buoni 1. Ecco le due nature. In seguito nel Vangelo è scritto: Non hai seminato del buon seme nel tuo campo? Da dove viene dunque la zizzania? Un nemico ha fatto questo 2. Questo nemico, se non è estraneo da Dio, mi venga provato; se invece questo nemico è pertinente a Dio, quale seme seminò? Di nuovo è scritto nel Vangelo - è stato detto da Cristo- che negli ultimi tempi porrà il trono nel mezzo del secolo, e manderà i suoi Angeli fino all’oriente e all’occidente, al settentrione e al mezzogiorno, e radunerà tutte le nazioni davanti a sé, e le separerà, come un pastore separa gli agnelli dai capri. E per dirla in breve, dice agli agnelli: Venite nel regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Ai capri che sono nella parte sinistra dice: Allontanatevi da me voi tutti operatori d’iniquità: avete avuto infatti il mio nome, ma non avete compiuto le opere, via nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli 3. Sono coloro che hanno il nome di Cristo, e sono mandati nel fuoco eterno con il diavolo e i suoi angeli; e a quale fazione appartengono questi, ai quali Cristo non si è mischiato, e pure portano il suo nome? Questo dice infatti Mani, perché coloro che Cristo danna, non sono suoi. Infatti l’apostolo Paolo dice: La prudenza della carne è in rivolta contro Dio, perché non si sottomette alla sua legge e neanche lo potrebbe 4. Questo dice Mani, giacché quella che è nemica di Dio, non è pertinente a Dio; se invece è pertinente a Dio, egli stesso ha creato per sé un nemico: questo Mani non lo dice. Di nuovo Paolo dice: Il dio di questo mondo ha accecato la mente degli increduli, perché non vedano lo splendore del glorioso vangelo di Cristo che è immagine di Dio 5. Lo stesso Paolo di nuovo dice: Mi è stata messa una spina nella carne, un inviato di Satana incaricato di schiaffeggiarmi giorno e notte. A causa di questo per ben tre volte ho pregato il Signore che l’allontanasse da me. Ed egli mi ha detto: " Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza " 6. Ecco ciò che disse l’Apostolo, ecco ciò che disse l’Evangelista: quando Mani asserisce che è estraneo da Dio colui che combatté contro Dio, o che Cristo è stato crocifisso, o tutti gli Apostoli a causa del precetto di Dio; questo che li crocifisse, al quale non piace il mandato di Dio, mi dica la tua Santità se costui appartiene a Dio.

3. AGOSTINO: Hai voluto ricordare le sante Scritture - non comprendendo le quali vi allontanate dalla verità - come se traessi da quelle il patrocinio per i vostri vaniloqui. Tuttavia tra tutte le affermazioni - che hai ricordato in parte come veramente sono scritte, in parte diversamente da come sono scritte - in nessun caso hai potuto mostrare per quale motivo Dio, volendo respingere dai suoi regni una natura ostile che incalzava, per avere pace, mescolando la sua parte (che è ciò che egli stesso è) alla natura contraria dei demoni, ha fatto in modo da essere incatenato e contaminato da quelli. Questo è invece ciò che vi viene obiettato; non trovando cosa rispondere a tale obiezione, hai ricordato i capitoli delle divine Scritture, dove è detto dei peccatori che non partecipano alla vita beata, che Dio dona ai buoni e ai fedeli; e hai voluto fossero accolte due nature, secondo i deliri di Mani. La verità dice invece, che tutte le cose che vediamo e che non vediamo, che sussistono per natura, da Dio sono state create; tra le quali la creatura razionale, essa stessa creata, sia negli Angeli sia negli uomini ha ricevuto il libero arbitrio; per il quale libero arbitrio se volesse servire Dio, secondo la volontà e la legge di Dio, avrebbe presso di lui l’eterna felicità; se invece non avesse voluto sottoporsi alla sua legge, ma usando il proprio potere avesse esercitato il dominio contro di lui, soggiacerebbe secondo la sua giustizia alla pena dovuta. Questa l’onnipotenza di Dio nel creare tutte le cose, questa la giustizia nel remunerare i peccatori. Invece che esiste il libero arbitrio, e che pecca chiunque lo vuole, mentre non pecca se non vuole, ve lo provo non solo attraverso le divine Scritture, che non capite, ma anche con le parole dello stesso vostro Mani. Infatti egli come accerchiato, vede la potenza della verità, contro la quale aveva tentato di indurre contro Dio un’altra natura che Dio non ha creato, non con una solida verità, ma con una vuota fantasticheria; tuttavia nel confessare la verità sul libero arbitrio, valse in lui più la natura umana nella quale Dio lo creò, che la favola sacrilega che egli stesso si è inventato.

4. Ascolta dunque riguardo al libero arbitrio, in primo luogo lo stesso Signore, quando ricorda i due alberi, dei quali tu stesso hai fatto menzione; ascolta lui che dice: Fate che un albero sia buono, e anche il suo frutto sarà buono; fate che un albero sia cattivo, e anche il suo frutto sarà cattivo 7. Quando dunque dice: O rendete questo, o rendete quello; indica la capacità, non la natura. Nessuno infatti se non Dio può creare un albero; ma ciascuno ha nella volontà, la facoltà di scegliere le cose che sono buone, ed essere albero buono; o di scegliere le cose che sono cattive, ed essere albero cattivo; non perché le stesse cose cattive che siano scelte abbiano in se stesse una qualche sostanza, ma perché Dio, tutte le cose che ha creato, le ha create secondo gradi appropriati, e le ha distinte in generi, celesti e terrene, immortali e mortali, e ha posto tutte le cose buone nel proprio genere; ha collocato l’anima, che ha il libero arbitrio al di sotto di se stesso e sopra le altre cose, affinché se servisse il superiore, dominasse l’inferiore; se invece offendesse il superiore, sentisse la pena dall’inferiore. Dunque il Signore dicendo: O fate questo, o fate quello, mostra che è nel loro potere che cosa fare. Egli stesso è sicuro e certo in quanto Dio. Se gli uomini sceglieranno il bene, riceveranno il suo premio, se sceglieranno il male, subiranno la sua pena; però Dio è sempre giusto, quando remunera, quando condanna.

5. Ascolta dunque ora in che modo lo stesso Mani - tanto perverso e tanto superbo, da introdurre un’altra natura per farsi eguale a Dio e deprimere Dio fino a se stesso - abbia confessato tuttavia che c’è il libero arbitrio : nel vostro Tesoro, cui avete applicato tale nome per ingannare gli uomini, certamente così si dice (cosa che anche tu stesso conosci): Invero coloro che per la loro negligenza avranno permesso di essere purgati in maniera minima dalla macchia dei predetti spiriti, e avranno ottemperato in modo del tutto insufficiente ai mandati divini, e non avranno voluto osservare pienamente la legge ad essi data dal loro liberatore, né si saranno governati come era giusto, ecc.. Vedi che in queste parole è confermato il libero arbitrio, anche da chi non sa ciò che dice. Infatti colui che non vuole osservare la legge, è in suo potere farlo, se lo vuole. Infatti non dice: Non avranno potuto; ma: non avranno voluto. Certamente il fatto che non vogliono osservare la legge, significa che non sono costretti dalla gente delle tenebre; se infatti sono costretti, non è che non vogliono, ma che non possono; se invece non vogliono, non certo sono costretti affinché non lo facciano, ma non vogliono di loro volontà. Il fatto dunque che è nella loro volontà non volere, è peccato certamente, senza alcuna costrizione della gente delle tenebre. Riconosci che questo è peccato senza la costrizione della gente delle tenebre: e quindi vedi donde vengano tutte le colpe, donde le responsabilità delle colpe, e donde le distribuzioni delle pene.

6. Avete questo anche nelle scritture apocrife, che il canone cattolico non ammette, mentre per voi sono tanto più importanti, in quanto sono bandite dal canone cattolico. Vorrei io ricordare qualche esempio da esse - dalla cui autorità non sono legato -, perché tu possa restare persuaso. Negli Atti scritti da Leucio, che li ha scritti come gli Atti degli Apostoli, trovi così affermato: E infatti splendenti invenzioni, e un’apparenza simulata, e la costrizione delle cose visibili, non procedono certo dalla propria natura, ma da quell’uomo che per se stesso fu reso peggiore per mezzo della seduzione. Vedi in che modo dice per se stesso e per mezzo della seduzione. Fu infatti seduttore dell’uomo il diavolo, non per natura peccatore, ma primo per volontà peccatore. Ma poiché era in potere dell’uomo non acconsentire al seduttore, perciò fu dichiarato, e per se stesso, e per mezzo della seduzione: affinché in quello che fu definito per se stesso, si indica il libero arbitrio; in quello invero che fu definito per mezzo della seduzione, tu capisca il diavolo, che non è oppressore di chi non vuole, ma tentatore di chi lo vuole.

7. Quindi giacché io ho risposto, e per quanto ho potuto ho provato che quanto è stato scritto nei Libri santi riguardo ai peccatori ed ai giusti, è pertinente non alla diversità delle nature, ma alla distinzione dei meriti, che provengono non dalla natura che agisce necessariamente, ma dalla volontà che agisce colpevolmente; rispondi tu a ciò che ti ho chiesto: Se niente poteva nuocere a Dio, perché avrebbe mescolato ai demoni la sua parte, la sua sostanza, ciò che egli stesso è, per essere contaminata ed imprigionata, cosa che non potrai trovare in alcuna divina Scrittura canonica? Se invece poteva nuocergli, non adorate un Dio incorruttibile, del quale l’Apostolo dice: Al Re dei secoli immortale, invisibile, incorruttibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli 8. E dopo lo stesso dice: Dio abita una luce inaccessibile 9. Forse che a quella luce non accedono i santi dei quali è scritto: Accostatevi a lui e sarete illuminati 10? Forse che a quella luce non accedono i santi di cui si dice: Beati i puri di cuore, perché vedranno Dio 11? Ma giacché non può accedere a quella, se non colui al quale Dio stesso avrà donato che vi acceda, perciò per se stessa è inaccessibile. Nessuno infatti può accedere a quella, se Dio non avrà voluto che acceda: a chi invece l’avrà donato, quello stesso accederà. In che modo dunque quella gente delle tenebre poteva accedere alla dimora di Dio, dove è la luce inaccessibile, dove non accede se non colui al quale Dio l’avrà donato? O se avesse ricevuto da Dio il dono di accedervi, egli non lo darebbe per espugnare il regno di Dio, e non temerebbe. Se invece non aveva dato un tale dono affinché potesse accedere, era sicuro nel suo regno, abitando la luce inaccessibile: cosa poteva temere dalla gente delle tenebre, sì da mescolare la sua parte, la sua sostanza, ciò che egli stesso è, per legarla, comprimerla, contaminarla, dove non solo è trattenuto in modo miserevole, ma è anche purificato in modo turpe? Affinché sia purgato da quel luogo infatti, voi dite ciò che è abominevole udire, ma per confondervi e forse per salvarvi, non lo possiamo tacere: affinché sia purgata da quel luogo la parte di Dio, dite che nella nave della luce, che chiamate sole, facendo ingiuria al Creatore del sole, e allo stesso sole che così dite sia fatto, dove si compie una così grande turpitudine: dite infatti che posto lì Dio, le sue virtù si convertono in maschi, per irritare le concupiscenze dei demoni femmina; e quelli stessi di nuovo si convertono in femmine, per irritare le concupiscenze dei demoni maschi; sicché, mentre infondono la libidine nei demoni, infiammati di desiderio verso le forme foggiate da Dio, si rilassino le loro membra, e così sfugga la parte di Dio che lì era stata legata. Questo obbrobrio così grande, questo così grande sacrilegio avete osato credere, e non dubitate a predicare. Queste sono le vicende del tempo mediano della vostra dottrina. Invece qual è la fine? Quale, se non che Dio non poté purgare tutto? E giacché non poté, dite che avrebbe fatto il residuo come un coperchio per la gente delle tenebre, affinché lì si danni in eterno ciò che non ha potuto essere purgato, e niente ha commesso di sua volontà. Così avviene che il vostro dio, non vero, ma inventato, non costituito in qualche luogo, ma immaginato nel vostro cuore, mescoli infelicemente la sua parte, la purghi turpemente, la condanni crudelmente. Dunque a queste cose rispondi, e incomincia da quello che ho detto, perché Dio mescolò questa sua parte, egli cui niente poteva nuocere; o se gli ha potuto nuocere, in che modo sia incorruttibile.

8. FELICE: Ritenete crudele Mani che dice queste cose; cosa diciamo di Cristo, che disse: Andate nel fuoco eterno 12?
AGOSTINO: Ai peccatori ha detto questo.
FELICE: Questi peccatori perché non sono stati purgati?
AGOSTINO: Perché non hanno voluto.
FELICE: Perché non hanno voluto, questo hai detto?
AGOSTINO: Questo ho detto, perché non hanno voluto.
FELICE: Perché non hanno voluto? E chi non vuole essere curato? E chi non vuole essere purgato? E chi non vuole essere illuminato? Qual è il malato che non vuole pervenire alla salute? Se è crudele ciò che ha detto Mani, per il fatto che una qualche parte di Dio che non ha potuto essere purgata, è rimasta legata nel globo: non è crudele che Cristo, il quale disse d’esser venuto per i peccatori, ora li mandi al fuoco eterno, egli di cui portarono il nome? Ma i precetti, io credo, non li poterono compiere. Se questa cosa è crudele, quella è più crudele. Se quella è molto crudele, giacché Dio non li ha potuti purgare, e li legò al globo: sembra essere molto crudele anche che Cristo, quelli che non ha potuto purgare, li mandi al fuoco eterno; questo la tua Santità mi esponga riguardo alla stessa crudeltà.
AGOSTINO: Se quelle cose che ho già detto, tu le avessi capite, o riconoscessi di capirle (forse infatti, non avendo niente da dire, hai finto di non capire ciò che è chiaro), non diresti questo. Abbiamo infatti già detto e provato per mezzo delle divine Scritture, che esiste il libero arbitrio e che Dio è il giusto giudice del libero arbitrio, remuneratore dei fedeli e di coloro che si sottomettono a lui e vogliono essere salvati, condannatore invece dei superbi e degli empi. Giacché dunque venne per salvare i peccatori, salva certo coloro che confessano i peccati, salva i penitenti; nessuno invero si pente quando ha peccato un altro. Ma c’è una penitenza giusta e vera, per cui anche lo stesso Signore dice: Non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori alla penitenza 13; la stessa penitenza indica che non è opera di un’altra natura, ma della nostra volontà, se per caso commettiamo qualche peccato. Infatti se uno pecca e un altro si pente, non è questa una penitenza saggia ma insana. Secondo voi invece non c’è nessun peccato. Infatti la gente delle tenebre non pecca, giacché agisce secondo la propria natura; la natura della luce non pecca, giacché ciò che fa, è costretta a farlo. Dunque tu non trovi nessun peccato che Dio condanni, non trovi nessun peccato che possa essere sanato con la penitenza. Se invece c’è penitenza, c’è anche colpa; se c’è colpa, c’è anche volontà; se c’è volontà nel peccare, non è la natura a costringere. Ma se coloro che non possono compiere ciò che vogliono sopportano una qualche debolezza, per cui l’apostolo Paolo dice: Nelle mie membra vedo un’altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra 14, è chiaro che questo è derivato dalla trasmissione del primo peccato di Adamo, e dalla consuetudine cattiva. Infatti anche oggi per libera volontà gli uomini fanno l’abitudine al peccato, e avendola acquisita, non possono facilmente prevalere: essi stessi dunque si procurarono da soli che abiti la legge contraria nelle loro membra. Ma coloro che concepiscono il timore di Dio, e per mezzo del libero arbitrio si affidano all’ottimo medico per essere sanati, come da un buon terapeuta, così anche dal misericordioso creatore sono risanati attraverso l’umiltà della confessione e della penitenza. I superbi invero che si proclamano giusti, o affermano che essi stessi non peccano, ma qualcos’altro pecca in loro, e una natura diversa da loro pecca, a causa della loro stessa superbia si rendono insanabili, e sperimentano il giusto giudizio di Dio, che resiste ai superbi, mentre dona la grazia agli umili 15. Non è dunque indegno che Dio dica: Andate via nel fuoco eterno, a coloro che respinsero la sua misericordia attraverso il libero arbitrio; e dica: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete il regno 16, a coloro che per mezzo del libero arbitrio accolsero la sua fede, confessarono i loro peccati, fecero penitenza, si dispiacquero di sé, quali sono stati, e si compiacquero di lui, quali sono stati resi per mezzo di lui. Tu dunque rispondi ora a questo che ti ho chiesto; ma ti supplico di non fare indugi superflui: Se niente poteva nuocere a Dio, perché ci mandò qua? Se poteva nuocere, non è un Dio incorruttibile.

9. FELICE: Se niente poteva nuocere a Dio, perché mandò qua il suo Figlio?
AGOSTINO: Vedi in che modo sempre mi interroghi, e non vuoi rispondere alle domande che ti vengono poste. Ascolta ciò che hai chiesto, ti ricordo tuttavia che non rispondi a quanto dico, io invece rispondo. Niente può nuocere a Dio: ma mandò il suo Figlio, perché indossasse la carne, e apparisse agli uomini, sanasse i peccatori, soffrisse per noi nella stessa carne, che prese da noi. Dal momento che nella sua natura niente poteva patire: giacché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 17. In questa natura, giacché il Verbo era Dio, niente egli poteva patire. Ma affinché potesse patire per noi, il Verbo si fece carne, e venne ad abitare in mezzo a noi 18. Il Verbo si fece carne, assumendo la carne, non cambiato in carne: assunse infatti l’umanità, non perdette la divinità. Così egli stesso Dio ed egli stesso uomo, nella natura di Dio eguale al Padre, nella natura dell’uomo reso mortale, tra noi, per noi, da noi, rimanendo ciò che era, prendendo su di sé ciò che non era, per liberare ciò che aveva creato, non ciò che era. Dunque la passione di Cristo non deriva dal bisogno, ma dalla misericordia. Infatti offrì un esempio di pazienza a noi riguardo a noi, cioè all’uomo riguardo all’uomo, alla carne riguardo alla carne: tuttavia in quella carne egli stesso non fu reso peggiore; ma la carne in lui fu resa migliore. Invero la parte del vostro dio, non assumendo alcuna carne (infatti non se ne trovava nella gente delle tenebre per la quale soffrisse), discese per essere catturato, legato, insozzato e, cosa che è più turpe dell’essere legato, purificato. Infatti ho già parlato della sua purificazione. Quanto più sono indegne tutte queste cose, tanto più è facile da capire che non riguardano la natura di Dio. E lungi da un animo pio e fedele credere cose tali di Dio, del Dio buono, del Dio vero, quali voi credete; non quello che avete trovato, ma che avete inventato. Rispondimi ora: Se niente poteva nuocere a Dio, perché, secondo i vostri vaniloqui, fu mandata qua quella pura sostanza di Dio senza assumere alcuna carne che patisse in lui, se qualcosa stava per patire senza la carne che non aveva preso?

10. FELICE: Se niente poteva nuocere a Dio dalla parte avversa, e niente poteva nuocere a Cristo da una natura contraria, a quale natura venne Cristo per liberarla? Giacché, come dici, venne a causa della nostra libertà: dunque siamo stati in cattività. Se eravamo tenuti in cattività, e per ciò Cristo venne per liberarci dalla cattività, colui che ci teneva era estraneo da Dio, oppure era la potenza di Dio? Se era la potenza di Dio a tenerci prigionieri, perché colui che ci teneva mandava Cristo? Se era nel suo arbitrio rilasciarci quando voleva, perché Cristo è crocifisso? Invece nessuno ignora che Cristo è crocifisso. Perché lo crocifissero? Se è la potenza di Dio, in nulla ci nuoceva. Se era la potenza di Dio, non fummo prigionieri presso di lui: ma eravamo come con il nostro principe, come un figlio con i genitori, non come i Romani con i Barbari. Non era dunque necessario, giacché eravamo stabiliti con la potenza di Dio, che Dio mandasse il suo Figlio, perché si dica che è venuto il nostro liberatore. Se dunque appare che eravamo stabiliti con la potenza di Dio, l’Apostolo disse: Cristo ci ha liberati dalla maledizione della legge, perché sta scritto: Maledetto chi pende dal legno 19. Questo infatti dice l’Apostolo. Se costui che maledice tutti coloro che pendono dal legno, è la potenza di Dio (Cristo infatti fu appeso al legno e tutti i suoi Apostoli che furono condannati a causa del suo insegnamento) chi dunque è costui che maledice chiunque sia appeso al legno?

11. AGOSTINO: Coloro che Cristo redense dal diavolo, per proprio consenso erano tenuti dal diavolo, ed erano stati costituiti in potere di lui per un giusto giudizio di Dio, perché avevano acconsentito al seduttore con il libero arbitrio. Come d’altra parte fu in potere dell’uomo di acconsentire al diavolo, per essere catturato; così in potere dello stesso diavolo fu, essendo un angelo, di peccare, per mutarsi in peggio. Dunque un angelo peccatore per il libero arbitrio, persuase al peccato l’uomo che ha il libero arbitrio; come il diavolo se non avesse voluto non avrebbe peccato, così anche l’uomo se non avesse voluto non avrebbe acconsentito. Invece essendo preso prigioniero da colui al quale aveva acconsentito, non perché il diavolo poté qualcosa, ma perché fu un giusto giudizio di Dio dare in potere del diavolo l’uomo, che rifiutò il potere di Dio su di sé e non volle obbedire alla sua legge: giacché dunque Cristo trovò così i peccatori sotto il peccato, in quanto il peccato dipende dal libero arbitrio, trovando i peccatori soggetti al peccato redense coloro che confessano da colui che si era insuperbito. Ma poiché fu posto sotto la Legge: Maledetto chi pende dal legno 20; per cui l’Apostolo dice: Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: Maledetto chi pende dal legno 21; non ha biasimato la Legge, ma ha elogiato la misericordia. Giacché infatti Adamo aveva peccato, anche tutta quella massa e propaggine del peccato era maledetta; il Signore invece volle prendere su di sé la carne dalla stessa massa affinché, prendendo su di sé la mortalità che era derivata dalla pena, togliesse la morte, cosa che veniva dalla grazia. Perciò la Legge dice: Maledetto chi pende dal legno. Infatti la morte stessa pendeva dal legno, morte che veniva dalla maledizione. In tal modo dunque prendendo la morte, uccise la morte; così prendendo la maledizione, sciolse la maledizione. Per cui anche l’Apostolo dice: Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui 22; giacché dal nostro uomo vecchio, cioè dalla sorte di morte che derivava dal castigo del peccato, si degnò di prendere la carne mortale dalla vergine Maria, nella quale ci offrisse un esempio della passione e della risurrezione; della passione, per rinvigorire la penitenza; della risurrezione, per suscitare la speranza; per mostrarci due vite nella carne, che prese dalla nostra vita mortale, l’una travagliata, l’altra beata; la travagliata, che dobbiamo tollerare; la beata, che dobbiamo sperare. Ma tolleriamo la laboriosa meritatamente a causa del nostro peccato; invece egli l’ha mostrata nella sua carne, non a causa della sua iniquità, ma grazie alla sua misericordia. Infatti perché tu sappia che la legge è buona, essa che tu hai voluto biasimare, lo stesso apostolo Paolo in un passo ha detto: La legge poi sopraggiunse perché abbondasse il peccato 23. Fin qui sembra biasimarla; ma ascolta ciò che segue: Ma dove, dice, è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia 23. La legge è stata data agli uomini superbi, e a coloro che attribuiscono tutto alle loro forze, affinché non potendo compiere la legge data, si trovassero prevaricatori, e resi colpevoli sotto la legge, chiedessero misericordia al Creatore della legge. Quindi poco dopo lo stesso Apostolo dice: Così la legge è santa e Santo e giusto e buono è il comandamento 24. Ma affinché tu non dica che parla di un altro comandamento, perché mostri che parla di quello, di cui poco prima aveva detto: La legge poi sopraggiunse perché abbondasse il peccato; subito si è posto la questione: Ciò dunque che era buono, è divenuto morte per me? Non sia mai! ma il peccato, perché si manifestasse quale peccato, per mezzo di ciò che è bene mi ha procurato la morte. C’era infatti il peccato, ma non appariva peccato; quando la legge fu data al superbo, egli agì contro la legge, e apparve il peccato, che c’era, ma non appariva. Comparendo il peccato fu umiliato il superbo, una volta umiliato il superbo divenne penitente, con la penitenza ottenne la misericordia. Hai ascoltato dunque ciò che hai chiesto, rispondi a ciò che ti chiedo: In nulla poteva nuocere la gente delle tenebre a Dio; perché mandò qua la sua parte a mescolarsi e ad essere contaminata dalla natura dei demoni?

12. FELICE: Se abbiamo facoltà di scelta, nessuno costringa nessuno: quando vorrò, sarò cristiano. A noi è soggetta la volontà di essere cristiano, o di non esserlo.
AGOSTINO: Che la volontà sia soggetta a noi, è chiaro, e questo ho imparato dalle divine Scritture; ciò fu costretto a dire, pur controvoglia, anche colui che vi ha indotto in questo errore. Quanto a ciò che dici: Nessuno sia costretto, quando vorrò, sarò cristiano; certamente nessuno ti costringe; quando vorrai, lo sarai: giacché sei venuto qua di tua volontà, e di tua volontà hai affrontato questa disputa. E guai alla cattiva volontà, se è cattiva; pace alla buona volontà, se è buona. Ma che sia cattiva, o che sia buona, è volontà. Alla buona volontà segue la corona, alla cattiva segue la pena. Dio è giudice delle volontà, creatore invece delle nature. Se dunque ritieni di essere costretto a farti cristiano, ascolta da noi che non ti costringiamo per niente. Rifletti piuttosto su ciò che hai ascoltato, valuta, sei in possesso della tua volontà; esamina come uno prudente, se tuttavia c’è in te una qualche prudenza almeno umana, se quelle cose che sono state dette, siano sostenute dalla verità; se tu stesso sei venuto meno nella difesa del vostro Mani, come appare; e quando vorrai, sii ciò che non sei ancora, e smetti d’essere ciò che sei.

13. FELICE: Ecco ora in breve, come ha detto la tua Santità: per non accumulare le carte, se ti è gradito, cosa che ti ho chiesto poco fa, son venuto qua; mostrami la verità, affinché ciò che ritengo, appaia che non è la verità, e tu mi trovi pronto a credere.
AGOSTINO: Certo ciò che tieni, già appare abbastanza che non è la verità. Lungi infatti dai cuori, che cercano o hanno la verità, il credere che Dio, costretto dalla necessità, abbia mescolato la propria sostanza nella natura dei demoni per essere imprigionata e contaminata. Sia lungi dai fedeli il credere che Dio, per liberare la sua sostanza, si sia cambiato in maschi contro le femmine, e in femmine contro i maschi per stimolare la loro concupiscenza. Lungi dai fedeli credere che Dio abbia in seguito condannato in eterno la sua sostanza, che egli stesso mescolò ai demoni. Che dunque ciò non è la verità, è chiaro. Ma giacché vuoi che in luogo di questa falsità espulsa e confutata, sia svelata la verità, se qualcosa ancora ti spinge a conoscere la fede cattolica, potrai essere ammaestrato dal principio della fede. E infatti la pia fede rende adatto alla percezione della verità incommutabile; chiunque non vorrà incominciare da questa fede, superbo rimarrà fuori, e non potrà essere condotto a ciò a cui tende, o a cui vuole giungere. Ma dal momento che ormai quella falsità è chiara, anatemizza la falsità, affinché tu possa incominciare ad essere adatto a conoscere la verità.

14. FELICE: Quando mi apparirà; giacché non mi appare, perché un’altra non mi è stata mostrata, non posso anatemizzare.
AGOSTINO: Bisogna anatemizzare l’errore che dice che Dio è corruttibile, o non bisogna anatemizzarlo?
FELICE: Dillo di nuovo.
AGOSTINO: Bisogna anatemizzare l’errore che dice che Dio è corruttibile, o non bisogna anatemizzarlo?
FELICE: Si cerchi se lo dice.
AGOSTINO: Io questo ti ho chiesto: Colui che dice che Dio è corruttibile, bisogna anatemizzarlo, o no?
FELICE: Colui che dice che Dio è corruttibile, bisogna anatemizzarlo; questo mi rinfacci?
AGOSTINO: Questo ti chiedo.
FELICE: Tu dici che Dio è corruttibile, non invece quello che hai detto prima, che ha dato agli avversari una parte di sé?
AGOSTINO: Per ora rispondi a ciò che ti chiedo: Colui che dice che Dio è corruttibile, bisogna anatemizzarlo, o no?
FELICE: Certamente.
AGOSTINO: Colui che dice che è corruttibile la natura e la sostanza di Dio, bisogna anatemizzarlo, o no?
FELICE: Non ho capito ciò che hai detto.
AGOSTINO: Dico una cosa che capisce ogni uomo, che non finga di non capire: La natura e la sostanza di Dio - cioè quella stessa cosa, quale che sia, che è Dio - colui che dice che è corruttibile, bisogna anatemizzarlo, o no?
FELICE: Anche lui bisogna anatemizzare, se si sarà provato che è vero.
AGOSTINO: Non ti ho ancora detto che Mani dice che è corruttibile la natura di Dio; ma ti ho detto che chiunque dice questo, deve essere anatemizzato.
FELICE: Ed io ho risposto: Sì.

15. AGOSTINO: Quella parte che fu mescolata alla gente delle tenebre, proviene dalla natura di Dio, o da qualche altra natura?
FELICE: Da quella di Dio.
AGOSTINO: Ciò che proviene dalla natura di Dio, è ciò che Dio è, o un’altra cosa che Dio non è?
FELICE: Così è: ciò che proviene da Dio, è Dio, secondo ciò che è scritto: La luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta 25. Infatti Dio è la luce, e le tenebre non sono in lui 26.
AGOSTINO: Hai risposto bene, perché qualsiasi cosa proviene dalla natura di Dio, è Dio, e Dio è luce, e le tenebre non sono in lui, e tale luce risplendé nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta. Vediamo dunque se Mani non dica che una parte di Dio è stata accolta dalle tenebre, non anche che è tenuta legata, non anche macchiata e insozzata, in modo che abbia bisogno della misericordia del liberatore e purificatore. Se invece dice queste cose, anche secondo te, e secondo le tue vere ammissioni, deve essere anatemizzato; giacché la parte di Dio e la natura di Dio, ciò che è lo stesso Dio, dice trattenuta dalle tenebre e legata e insozzata: cosa che tu stesso parlando secondo il Vangelo non hai potuto dire; ma hai detto il vero, giacché la luce splende nelle tenebre, e le tenebre non l’hanno accolta. Mani dunque deve essere anatemizzato, egli che ha detto, che la luce è ottenebrata nelle tenebre, e le tenebre l’hanno accolta.
FELICE: Ma sia colui che è insozzato, sia colui che è imprigionato, è liberato; e se noi siamo insozzati, veniamo mondati.
AGOSTINO: Ma ciò non è detto rettamente della natura di Dio, ma di quella che può essere contaminata, è detto rettamente; perché è contaminata ed è mondata. Invero di quella che non può essere insozzata, vedi con quanto sacrilegio si dica: È insozzata ed è mondata; soprattutto perché così dite che è insozzata una parte di Dio, cosicché per questo motivo resta legata in eterno al globo delle tenebre, perché non ha potuto essere mondata. Chi non anatemizza questa opinione, poco prima ha risposto il falso, poiché chiunque dice che Dio è corruttibile, deve essere anatemizzato.

16. FELICE: Quanto a ciò che la tua Santità ha detto, ossia che "la parte che non si è mondata dalla sozzura della gente delle tenebre ": così dice Mani, che non furono mandati nel regno di Dio. Sei tu ad affermare che essi sono dannati; Mani dice piuttosto che non sono stati dannati, ma preposti alla sorveglianza di quella gente delle tenebre.
AGOSTINO: Tratto con te di questa parte, che tu dici essere purificata dopo essere stata insozzata; dopo se sarà necessario, di quella che è affissa nel suo globo. Per ora quella che è purificata, era insozzata.
FELICE: Quella che è insozzata, è anche mondata.
AGOSTINO: Non deve dunque essere anatemizzato chi dice che la natura di Dio e la sostanza di Dio e ciò che Dio è, può essere insozzato, legato, inquinato dalla gente delle tenebre?
FELICE: Da che cosa Cristo ci mondò? Da che cosa ci liberò?
AGOSTINO: Cristo non liberò la parte di Dio, non la natura di Dio; ma la creazione che ha creato, che è caduta nel peccato per il libero arbitrio, quella liberò per sua misericordia. Mondò quella realtà che poteva essere insozzata, liberò quella realtà che poteva essere catturata, sanò quella cosa che poteva ammalarsi. Ora invece parliamo di Dio, della natura di Dio, della sostanza di Dio, di lui che è Dio: poteva essere insozzato, o non poteva?

17. FELICE: La nostra anima, che è insozzata, deriva da Dio? Se non deriva da Dio, perché per essa Cristo fu crocifisso? Se dunque appare che Cristo fu crocifisso per la nostra anima, appare che essa è da Dio, ed era stata insozzata, ed egli stesso la mondò.
AGOSTINO: Io dico che non solo l’anima, ma anche il nostro corpo e ogni creatura spirituale e corporale deriva da Dio: perché questo afferma la fede cattolica. Ma una cosa è ciò che Dio da sé generò, cosa che è ciò che è egli stesso; un’altra invece ciò che Dio creò. Ciò che Dio generò, è uguale al Padre; ciò che Dio creò, non è creato eguale al creatore. Una cosa è dire che proviene da Dio, che è meglio dire che è della natura di Dio, perché è ciò che egli stesso è, come il Figlio unigenito, come il suo Verbo per il quale sono state create tutte le cose 27; altra cosa è dire che proviene da Dio, in quanto disse e furono create, comandò e furono costituite 28. Di qui è l’anima, dalle cose che Dio ha create, non quello che da sé Dio generò. Perciò il Verbo che generò da sé, non ha potuto essere insozzato, né può, né potrà. L’anima invece che ha creato quale reggitrice del corpo, affinché fosse al servizio del superiore, dominasse l’inferiore, cioè servisse Dio e dominasse il corpo, avendo disprezzato la legge di Dio fu insozzata a causa del peccato; ma Dio, dimostrando misericordia verso le cose che ha creato, mandò il Figlio per mezzo del quale le ha create, e per mezzo di lui le ha ricreate. Quando bisognava creare ciò che non c’era, fu creato per mezzo del Verbo; quando bisognava ricreare ciò che era stato depravato, allora fu presa la creatura dalla vergine Maria, affinché per mezzo di ciò che era l’uomo, si dimostrasse all’uomo ciò che dovesse sopportare e ciò che dovesse sperare. Così la natura del Verbo, la sostanza dell’unigenito Figlio di Dio niente patì dai persecutori Giudei, o dal diavolo angelo malvagio che perseguita. Ma poiché indossò la carne, indossò una cosa mortale, passibile, mutevole, in ciò che indossò, patì ciò che volle quale esempio della pazienza, e lo restaurò ad esempio della giustizia. Tu ora parlami della parte di Dio, ciò che Dio è, se possa essere insozzato, o no. Se può, Dio non è immutabile; e colui che dice questo, deve essere anatemizzato: se invece non può, vedi che deve essere anatemizzato Mani, il quale afferma che la parte di Dio, la natura di Dio, ciò che Dio è, è venuta qui pura presso la gente delle tenebre, dove è stata legata e contaminata, affinché avesse bisogno di essere sciolta e mondata.

18. FELICE: Tu hai detto che l’anima non è da Dio.
AGOSTINO: Non l’ho detto, ma ho detto che è da Dio, in quanto è da Dio creata, non in quanto è nata da Dio.
FELICE: Hai detto che l’anima non è da Dio, ma creatura di Dio, in quanto niente esiste senza Dio: questo infatti tu dici, e non vuoi affermare che l’anima è da Dio.
AGOSTINO: È da Dio, ma è stata creata da Dio.
FELICE: O creata, o mandata, o donata, è da Dio. Dunque se è da Dio, ed è stata contaminata, e Cristo è venuto per liberarla dalla corruzione, di che cosa incolpi Mani?
AGOSTINO: Perché io dico che l’anima, non natura di Dio ma creata da Dio, ha peccato per il libero arbitrio, ed è stata contaminata dal peccato, e liberata nella penitenza per mezzo della misericordia di Dio; tu invece dici che la stessa natura di Dio, ciò che Dio è, Dio da Dio, è catturato e contaminato nella gente delle tenebre. E c’è molta differenza tra ciò che Dio ha generato da sé, e ciò che ha creato non da sé, ma dal nulla, cioè, quando non esisteva, da Dio ha ricevuto che fosse, cioè che fosse messo in essere.
FELICE: Dunque è parte di Dio.
AGOSTINO: Già te l’ho detto, non è parte di Dio: e cerca di capire che Dio è creatore onnipotente. Tutte le cose create, e ciò che uno fa, o è da sé, o da un altro, o dal nulla. Un uomo, giacché non è onnipotente, da sé fa un figlio; da un’altra cosa, come l’artigiano dal legno una cassa, dall’argento un vasetto. Infatti ha potuto fare il vasetto, ma non ha potuto creare l’argento; ha potuto fare la cassa, ma non ha potuto creare il legno. Invece nessun uomo può dal nulla, ossia da ciò che prima non esiste, fare che esista. Dio invece per il fatto che è onnipotente, generò da sé il Figlio, e creò il mondo dal nulla, e dal fango plasmò l’uomo: per mostrare per mezzo di queste tre potenze che la sua operazione è valida in tutte le cose. Perché ciò che creò da sé, non si deve dire che lo creò, ma che lo generò. Ciò che invece fece da un’altra cosa, come l’uomo dalla terra, non creò l’uomo dalla terra, come se un altro avesse creato la stessa terra per lui donde creasse l’uomo, nel modo in cui Dio creò l’argento per l’argentiere perché ne facesse un vasetto: ma egli stesso ha fatto e ciò che non esisteva affinché esistesse, e ciò che di nuovo esistesse da ciò che già egli stesso dal nulla aveva creato affinché esistesse. Così dunque il corpo, così l’anima, così si comprendono tutte le creature fatte da Dio; non generate da Dio, in modo che siano ciò che Dio è. Di conseguenza ora forse scegli ciò che tieni, e ciò che rifiuti. Scegli ciò che sia meglio. Giacché vediamo molte cose mutevoli, e le stesse tuttavia buone, malgrado siano mutevoli; molte cose mortali, e le stesse tuttavia buone, quantunque siano mortali. Invece un bene del tutto immutabile è lo stesso Dio: cosa sia meglio per te di tenere, scegli; che Dio sia mutevole, o che sia mutevole ciò che Dio ha creato? Giacché è necessario che tu dica una delle due cose. Se non vorrai ammettere che ciò che Dio ha creato è mutevole, resta che tu dica che lo stesso Dio è mutevole. Invece per purificarti da questo sacrilegio, e da questa bestemmia, affinché tu non dica che la sostanza di Dio è mutevole, perché non concedi che il Dio che esiste veramente - ed è immutabile, perché egli stesso ha anche detto: Io sono colui che sono 29 -, ha fatto buone tutte le cose, ma non pari a sé? Di conseguenza, poiché egli stesso è immutabile, non è straordinario il fatto che ciò che ha creato, giacché non gli è eguale, non è immutabile, ma mutevole. Perciò anche per il libero arbitrio ha potuto peccare ed essere contaminato, ed essere liberato per la sua misericordia.

19. FELICE: Hai detto che l’uomo si è fatto un figlio: nessuna differenza passa tra padre e figlio. Giacché dunque tua Santità ha affermato ciò, anch’io rispondo che Dio e le cose che ha creato, sono uguali a lui.
AGOSTINO: Poiché non hai voluto capire, che l’uomo quando crea un figlio, non si dice propriamente che lo crea, ma si dice propriamente che lo genera: così anche Dio ha generato l’unico Figlio, te l’ho detto, non l’ha creato. Invece ha creato quello che non gli è eguale; al contrario ciò che ha generato, è uguale a lui. Così scegli per te, se tu voglia dire che o è mutevole la creatura di Dio, o è mutevole la natura di Dio.
FELICE: Nel modo in cui Dio è immutabile, similmente colui che generò, è immutabile; e ciò che ha creato, se è dalla sua stessa natura, non muta.
AGOSTINO: Ma ti ho già detto che ciò che ha creato, non è della sua stessa natura; ma l’ha creato dal nulla, perché è onnipotente. Non esisteva, e lo creò, non da sé, non da una qualche natura che egli stesso non aveva creato, ma dal nulla.
FELICE: Io non ho detto questo: ma ho detto che Dio è immutabile, e ciò che generò è immutabile, e ciò che creò è immutabile. Non ho detto, donde lo creò: non ho chiesto questo, donde l’avrebbe fatto.
AGOSTINO: Ma hai ascoltato da me ciò che non hai chiesto, affinché tu ormai smetta di dire cose stolte. Dio onnipotente ha potuto sia generare da sé, sia creare dal nulla, sia formare qualcosa da ciò che già aveva creato: da sé, il Figlio eguale a sé; dal nulla, il mondo e tutte le creature; da un’altra realtà, ossia dalla terra, l’uomo: perché è onnipotente. Dunque ciò che è da lui stesso, mai può essere insozzato, come neppure egli stesso; ciò che invece ad opera di lui è stato creato, non dalla sostanza di lui, può essere sia contaminato per il libero arbitrio, sia mondato per la sua stessa misericordia, condannando il fatto di avere peccato, e riconoscendo colui che lo creò. Tu invero poco fa hai ammesso che colui che dice che la parte di Dio è corruttibile e contaminabile, deve essere anatemizzato: non puoi d’altra parte negare che Mani ha detto che la parte di Dio fu catturata e insozzata nella gente delle tenebre, e appare che con queste parole egli ha bestemmiato, sì che forse peggio non si può bestemmiare; o anatemizzi quello che dice tali cose, o tu devi essere anatemizzato e respinto con lui.

20. FELICE: Mani dice che una parte di Dio si è macchiata; ma Cristo dice che l’anima si è macchiata, ed egli venne a liberarla dalla corruzione.
AGOSTINO: Ma l’anima non è parte di Dio. Infatti ora tu hai confessato che Mani ha detto che è insozzata la parte di Dio: invece noi diciamo che è insozzata l’anima dalla volontà del peccato; tuttavia l’anima non è parte di Dio, non generata da Dio, ma creata da Dio. Così dunque si dice che l’anima è da Dio, come si dice che qualche opera dell’artigiano è fatta dal suo mestiere, o da lui stesso è creata, non tuttavia da lui generata, come il suo figlio. Tu dunque, poiché hai confessato che Mani ha detto che è insozzata una parte di Dio, e poc’anzi hai detto che è da anatemizzare colui che dice che Dio è corruttibile e contaminabile, o la sua natura; già hai anatemizzato, cosa che non vuoi ammettere. Ciò infatti che hai detto, ossia che è insozzato e mondato, per il fatto stesso che dici: " È mondato ", hai manifestato che è insozzato; e non hai dove scappare: sia Mani, sia tu avete detto che è insozzata una parte di Dio. Anatemizza dunque Mani, o sei da anatemizzare insieme con Mani.
FELICE: Io non ho imparato da Mani che una parte di Dio è stata insozzata; ma da Cristo l’ho imparato poiché venne a causa dell’anima che era stata insozzata.
AGOSTINO: Da Cristo non hai imparato che l’anima è parte di Dio.
FELICE: Da Cristo ho imparato che l’anima è da Dio.
AGOSTINO: Anche noi abbiamo imparato che l’anima è da Dio, ma non è parte di Dio. Così infatti l’anima è da Dio, nel modo in cui la creatura è dall’artefice; non da Dio come il figlio dal padre.
FELICE: Parliamo della corruzione: se è insozzata l’anima che è da Dio, e può essere purificata da Cristo, che venne per lei; anche quella parte di Dio di cui parla Mani, può essere insozzata e mondata per mandato di Dio stesso.
AGOSTINO: Ecco che tu dici di nuovo che la parte di Dio insozzata viene purificata, e poco prima avevi detto che deve essere anatemizzato colui che la dice corruttibile: ora tu dici che poté essere corrotta; e dici che può essere mondata, per confermare che poté essere insozzata. Noi non diciamo questo della parte di Dio: ma lo diciamo dell’anima; giacché è da lui come sua opera, non come prole da se stesso. Torna dunque a ciò che dici, e discerni ciò che diciamo noi. L’anima non è Dio, né parte di Dio. Tu invece dici che Mani ha detto che è insozzata una parte di Dio, la quale dice che è purificata, per confermare che è insozzata. Resta dunque che tu lo anatemizzi, o credendo queste cose sarai colpito da anatema.

21. FELICE: Appartiene a Dio l’anima che per il peccato fu macchiata, o no?
AGOSTINO: Appartiene, ma non è parte di lui.
FELICE: Non ti ho chiesto questo.
AGOSTINO: E cosa hai chiesto?
FELICE: Appartiene a Dio, o non appartiene?
AGOSTINO: L’ho già detto, e perché è pertinente, e in che modo è pertinente.
FELICE: Io chiedo se veramente è da Dio.
AGOSTINO: Da Dio, non della sostanza di Dio.
FELICE: Se niente è il peccato, e l’anima è da Dio, e fu insozzata, e venne Cristo a liberarla, e la liberò dal peccato, di cosa incolpiamo Mani, che dice che la parte di Dio è stata insozzata, e di nuovo è stata mondata?
AGOSTINO: Hai già confessato che Mani ha detto che una parte di Dio è stata insozzata, e dici che non è peccato gettare su Dio tale bestemmia: noi invece diciamo che certamente ha peccato l’anima per il libero arbitrio, e pentendosi è purificata per la misericordia del suo Creatore; dal momento che non è da Dio come una sua parte, o come sua prole; ma viene da Dio o da Dio è stata creata, come sua opera: che differenza ci sia tra la nostra fede e la vostra perfidia, è chiaro a tutti. Così secondo le tue precedenti parole, poiché hai concesso che è da anatemizzare colui che dice corruttibile la natura di Dio, cosa che è chiaro che anche Mani dice, giacché non hai voluto che fosse anatemizzato da te, sarai anatemizzato con lui.

22. Dopo queste cose discussero molto tra loro.
FELICE: Di’ ora tu, cosa vuoi che io faccia?
AGOSTINO: Che anatemizzi Mani, di cui sono queste così grandi bestemmie. Ma se lo fai spontaneamente, fallo adesso; nessuno infatti ti costringe controvoglia.
FELICE: Lo vede Dio se lo faccio spontaneamente; infatti un uomo non può vederlo: ma ti chiedo questo, che tu mi appoggi.
AGOSTINO: In cosa vuoi che io ti appoggi?
FELICE: Per primo anatemizza tu, affinché dopo anche io anatemizzi.
AGOSTINO: Ecco anche di mia mano scrivo; voglio infatti che pure tu scriva di tua mano.
FELICE: Ma pronuncia l’anatema, sì da anatemizzare lo spirito stesso che fu in Mani, e che disse queste cose per mezzo di Mani.

Agostino presa la carta scrisse queste parole: Io Agostino vescovo della Chiesa cattolica già ho anatemizzato Mani e la sua dottrina, e lo spirito che per mezzo di lui disse bestemmie tanto esecrabili, giacché era uno spirito seduttore, non della verità, ma di un errore nefasto; e ora anatemizzo il suddetto Mani e lo spirito del suo stesso errore.

E avendo dato a Felice la stessa carta, anche quello di sua mano scrisse queste parole: Io Felice che avevo creduto a Mani, ora lo anatemizzo, e la sua dottrina, e lo spirito seduttore che fu in lui, che disse che Dio aveva mescolato una sua parte alla gente delle tenebre, e la liberò tanto turpemente, da trasfigurare le sue virtù in femmine contro maschi, e le stesse di nuovo in maschi contro demoni femmina, in modo da configgere i residui della sua stessa parte in eterno al globo delle tenebre. Tutte queste e le altre bestemmie di Mani anatemizzo.

Io Agostino vescovo, ho sottoscritto questi Atti nella chiesa davanti al popolo.

Io Felice ho sottoscritto questi Atti.


Note:


1 - Mt 7, 17.

2 - Mt 13, 27-28.

3 - Mt 25, 31-34.

4 - Rm 8, 7.

5 - 2 Cor 4, 4.

6 - 2 Cor 12, 7-9.

7 - Mt 12, 33.

8 - 1 Tm 1, 17.

9 - 1 Tm 6, 16.

10 - Sal 33, 6.

11 - Mt 5, 8.

12 - Mt 25, 41.

13 - Mt 9, 13.

14 - Rm 7, 23.

15 - Cf. Gc 4, 6.

16 - 1 Tm 4, 4.

17 - Gv 1, 1.

18 - Gv 1, 14.

19 - Gal 3, 13; Dt 21, 23.

20 - Dt 21, 23.

21 - Gal 3, 13; Dt 21, 23.

22 - Rm 6, 6.

23 - Rm 5, 20.

24 - Rm 7, 12-13.

25 - Gv 1, 5.

26 - 1 Gv 1, 5.

27 - Cf. Gv 1, 3.

28 - Cf. Sal 148, 5.

29 - Es 3, 14.


Vita di San Giuseppe

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Prefazione

 

            In un' epoca in cui pare spiegarsi così universale la divozione verso il glorioso padre putativo di Gesù, san Giuseppe, crediamo non tornare discaro ai nostri lettori che venga oggi alla luce un fascicolo intorno alla vita di questo santo.

            Nè le difficoltà che s'incontrano di trovare negli antichi scritti i fatti particolari della vita di questo santo deve minimamente diminuire verso di lui la nostra stima e venerazione; anzi nello stesso sacro silenzio di cui è circondata la sua vita noi troviamo qualche cosa di misterioso e di grande. S. Giuseppe aveva ricevuto da Dio una missione tutta opposta a quella degli apostoli[1]. Questi avevano per {3 [283]} incarico di far conoscere Gesù; Giuseppe doveva tenerlo celato; quelli dovevano essere fiaccole che lo mostrassero al mondo, questi un velo che lo coprisse. Quindi Giuseppe non era per se, ma per Gesù Cristo.

            Era adunque nell' economia della Divina Provvidenza che s. Giuseppe si mantenesse oscuro mostrandosi solamente quanto era necessario per autenticare la legittimità del matrimonio con Maria, e sgombrare ogni sospetto sopra quella di Gesù. Ma quantunque non possiamo penetrare nel Santuario del Cuor di Giuseppe ed ammirare le maraviglie che Iddio ha in esso operato, tuttavia noi argomentiamo che per la gloria del suo Divin pupillo, per la gloria della sua sposa celeste, doveva Giuseppe riunire in se stesso un cumulo di grazie e di doni celesti.

            Siccome la vera perfezione cristiana consiste nel comparire tanto grandi davanti a Dio quanto più piccoli avanti agli uomini, s. Giusepppe, che passò la sua vita nella più umile oscurità, {4 [284]} si trova in grado di fornire il modello di quelle virtù che sono come il fiore della santità, la santità interiore, cosicchè si può dire benissimo di s. Giuseppe ciò che Davidde scriveva della sacra sposa: Omnis gloria eius filia Regis ab intus (Ps. 44).

            S. Giuseppe è riconosciuto universalmente ed invocato come protettore dei moribondi, e ciò per tre ragioni: 1° per l'impero amoroso che egli ha acquistato sopra il Cuor di Gesù, giudice dei vivi e dei morti e suo figliuolo putativo; 2° per la potenza straordinaria di cui Gesù Cristo lo ha insignito di vincere i demoni che assalgono i moribondi, e ciò in ricompensa d'averlo il santo salvato un tempo dalle insidie di Erode; 3° pel sublime onore di cui godette Giuseppe d' essere stato assistito in punto di morte da Gesù e da Maria. Qual nuovo importante motivo per infervorarci nella sua divozione?

            Bramosi pertanto di porgere ai nostri lettori i principali tratti della vita di s. Giuseppe abbiamo cercato fra le {5 [285]} opere già pubblicate qualcheduna che servisse allo scopo. Molte difatto da alcuni anni videro la luce, ma o per essere troppo voluminose o troppo aliene per la loro sublimità dallo stile popolare, oppure scarse di dati storici perchè scritte collo scopo di servir di meditazione più che d'istruzione, non tornavano a nostro proposito. Noi qui adunque abbiamo raccolto dal Vangelo e da alcuni de' più accreditati autori le principali notizie intorno alla vita di questo santo, con qualche opportuno riflesso dei santi Padri.

            La veracità del racconto, la semplicità dello stile, l' autenticità delle notizie renderanno, speriamo, gradita questa tenue fatica. Se la lettura di questo libretto servirà a procurare al casto sposo di Maria anche un solo divoto di più noi ci terremo già abbondantemente appagati.

 

Per la Direzione

Sac. BOSCO GIOVANNI. {6 [286]}

 

 

Capo I. Nascita di s. Giuseppe. Suo luogo nativo.

 

Ioseph, autem, cum esset iust.

S. Giuseppe era un uomo giusto. S. MATT. cap. 1, v. 19.

 

            A due leghe circa da Gerusalemme sulla vetta d'un colle, il cui terreno rossastro è cosparso di oliveti, sorge una piccola città celebre per sempre a cagione della nascita del bambinello Gesù, la città di Betlemme, da cui la famiglia di Davidde traeva la sua origine. In questa piccola città circa l' anno del mondo 3950 nasceva colui che negli alti disegni di Dio doveva diventare il custode della verginità {7 [287]} di Maria, ed il padre putativo del Salvatore degli uomini.

            I genitori gli diedero il nome di Giuseppe che significa aumento, quasi per farci intendere, che egli fu accre sciuto dei doni di Dio e a dovizia ricolmato di tutte le virtù sin dalla nascita.

            Due Evangelisti ci tramandarono la genealogia di Giuseppe. Suo padre aveva nome Giacobbe al dire di s. Matteo[2], e secondo s. Luca[3] si chiamava Eli; ma la più comune e la più antica opinione si è quella che ci fu tramandata da Giulio Affricano che scrisse sullo scorcio del secondo secolo dell'era cristiana. Giusta quanto gli era stato riferito dai parenti stessi del Salvatore, egli ci dice che Giacobbe ed Eli erano fratelli e che Eli essendo morto senza figli, Giacobbe ne aveva sposata la vedova siccome era prescritto dalla legge di Mosè, e da questo matrimonio nacque Giuseppe. {8 [288]}

            Della stirpe reale di Davidde, discendenti da Zorobabele che ricondusse il popolo di Dio dalla cattività di Babilonia, i genitori di Giuseppe erano assai decaduti dall'antico splendore dei loro antenati in quanto all'agiatezza temporale. Se si pon mente alla tradizione, suo padre era un povero operaio che si guadagnava il cotidiano sostentamento col sudore della sua fronte. Ma Iddio che rimira non la gloria che si gode in faccia agli uomini, ma il merito della virtù agli occhi suoi, lo scelse per custode del Verbo disceso sopra la terra. D' altronde la professione di artigiano, che in se ha nulla di abbietto, era in grande onore presso il popolo d'Israele. Anzi ciascun Israelita era artigiano, imperocchè ogni padre di famiglia, qualunque fosse la sua fortuna e l'altezza del suo grado, era obbligato a far imparare un mestiere al figliuolo a meno che, diceva la legge, ne avesse voluto fare un ladro.

            Ben poche cose noi sappiamo circa l'infanzia e la gioventù di Giuseppe. {9 [289]} Nella stessa guisa che l'Indiano per trovare l'oro, che deve formare la sua fortuna, è obbligato a lavare la sabbia del fiume onde estrarne il prezioso metallo che non s'incontra se non in piccolissime particelle, così siamo noi costretti a cercare nel Vangelo quelle poche parole che qua e là ci lasciò sparse lo Spirito Santo intorno a Giuseppe. Ma come l'Indiano lavando il suo oro gli dà tutto il suo splendore, così riflettendo sulle parole del Vangelo noi troviamo appropriato a s. Giuseppe il più bello elogio che possa essere fatto di una creatura. Il santo libro si contenta di dirci che era un uomo giusto. Oh ammirabile parola che esprime da se sola ben più che intieri discorsi! Giuseppe era un uomo giusto ed in grazia di questa giustizia egli doveva esser giudicato degno del sublime ministero di padre putativo di Gesù.

            I suoi pii genitori ebbero cura di educarlo alla pratica austera dei doveri della religione Giudaica. Conoscendo quanto la primitiva educazione influisca sull' avvenire dei figliuoli, si {10 [290]} adoperarono di fargli amare e praticare la virtù appena la sua giovane intelligenza fu capace di apprezzarla. Del resto se è vero che la beltà morale si rifletta sull' esteriore, bastava dar uno sguardo alla cara persona di Giuseppe per leggere sui suoi lineamenti il candore dell' anima sua. Secondo ciò che ne tramandarono scrittori autorevoli[4] il suo viso, la sua fronte, i suoi occhi, l'insieme tutto del suo corpo spiravano la più dolce purità e lo facevano rassomigliare ad un angelo disceso sopra la terra. {11 [291]}

 

 

Capo II. Gioventù di Giuseppe - Si trasferisce a Gerusalemme - Voto di castità.

 

Bonum est viro cum portaverìt iugum ab adolescentia sua.

Buona cosa è per l'uomo l'aver portato il giogo fin dalla sua adolescenza. TREN. III, 27

 

            Appena le forze glielo permisero, Giuseppe aiutò suo padre ne' suoi lavori. Egli apprese il mestiere di legnaiuolo, il quale, secondo la tradizione, era altresì il mestiere del padre. Quanta applicazione, quanta docilità dovette egli usare in tutte le lezioni che riceveva dal padre!

            Il suo tirocinio finiva appunto allora quando Iddio permise che gli venissero tolti dalla morte i genitori. Egli pianse coloro i quali avevano avuto cura della sua infanzia; ma sopportò questa dura prova colla rassegnazione d'un uomo il quale sa che tutto non {12 [292]} termina con questa vita mortale e che i giusti sono ricompensati in un mondo migliore. Ormai da nulla essendo egli ritenuto a Betlemme, vendette le sue piccole proprietà, e andò a stabilirsi in Gerusalemme. Sperava di trovarvi maggior lavoro che nella città natia. D'altronde si avvicinava al tempio ove la sua pietà continuamente lo attirava.

            Colà passò Giuseppe i più begli anni di sua vita tra il lavoro e la preghiera. Dotato d' una probità perfetta, non cercava di guadagnare più di quello che meritasse l'opera sua, ne fissava il prezzo egli stesso con una ammirabile buona fede, e giammai i suoi avventori erano tentati di fargli qualche diminuzione, perchè conoscevano la sua onestà. Sebbene fosse tutto intento al lavoro, egli non mai permetteva al suo pensiero di allontanarsi da Dio. Ah! se si sapesse imparare da Giuseppe quest' arte così preziosa di lavorare e di pregare ad un tempo, si farebbe senza fallo un doppio guadagno; si verrebbe così ad assicurare la vita eterna guadagnandosi il pane cotidiano {13 [293]} con assai maggior soddisfazione e profitto!

            Secondo le più rispettabili tradizioni Giuseppe apparteneva alla setta degli Esseni, setta religiosa, la quale esisteva nella Giudea all' epoca della conquista che ne fecero i romani. Gli Esseni professavano una austerità maggiore degli altri Giudei. Le loro principali occupazioni erano lo studio della legge divina e la pratica del lavoro e della carità, e in generale si facevano ammirare per la santità della loro vita. Giuseppe, la cui anima pura aveva in orrore la più leggiera immondezza, si era aggregato ad una classe del popolo, le cui regole sì bene corrispondevano alle aspirazioni del suo cuore; aveva anzi, come dice il venerabile Beda, fatto un voto formale di perpetua castità. E ciò che ci conferma in codesta credenza si è l'asserzione di s. Girolamo, il quale ci dice che Giuseppe non si era mai curato del matrimonio prima di diventare lo sposo di Maria.

            Per questa via oscura e nascosta Giuseppe si preparava, a sua insaputa, alla {14 [294]} sublime missione che Dio gli aveva riserbato. Senz' altra ambizione che quella di compiere fedelmente la volontà divina, viveva lontano dai rumori del mondo, dividendo il suo tempo tra il lavoro e la preghiera. Tale era stata la sua gioventù, tale altresì, a suo credere, desiderava trascorrere la sua vecchiaia. Ma Iddio, che ama gli umili, altre cure serbava pel suo fedele servo.

 

 

Capo III. Matrimonio di s. Giuseppe.

 

Faciamus ei adiutorium simile sibi.

Facciamo all'uomo un aiuto che a lui rassomigli. Gen. II, 18.

 

            Giuseppe entrava nel suo cinquantesimo anno, allorchè Dio lo tolse alla pacifica esistenza ch' egli menava a Gerusalemme. Eravi nel tempio una giovane Vergine da'  suoi genitori consacrata al Signore sin dalla sua infanzia. {15 [295]}

            Della stirpe di Davide essa era figlia dei due santi vecchi Gioachino ed Anna, e si chiamava Maria. Suo padre e sua madre erano morti da parecchi anni, ed il carico della sua educazione era rimasto tutto intiero ai sacerdoti d'Israele. Quando essa ebbe raggiunta l'età di quattordici anni, età fissata dalla legge pel matrimonio delle giovani donzelle, il gran Pontefice si occupò di procurare a Maria uno sposo degno della sua nascita e della sua alta virtù. Ma un ostacolo si presentava; Maria aveva fatto voto al Signore della sua verginità.

            Ella rispose rispettosamente alle fatte proposizioni che avendo ella emesso il voto di verginità, non poteva rompere le sue promesse per maritarsi. Questa risposta sconcertò di molto le idee del gran Sacerdote.

            Non sapendo in qual maniera conciliare il rispetto dovuto ai voti fatti a Dio coll'usanza mosaica che imponeva il matrimonio a tutte le donzelle d'Israele, radunò gli anziani e consultò il Signore ai piedi del tabernacolo {16 [296]} dell' alleanza. Ricevute le inspirazioni dal Cielo e convinto che si nascondeva in quella questione qualche cosa di straordinario, il gran Sacerdote risolse di convocare i numerosi congiunti di Maria, onde scegliere tra di loro colui che doveva essere lo sposo fortunato della Vergine benedetta.

            Tutti i celibi adunque della famiglia di Davide furono chiamati al tempio. Giuseppe, sebbene più vecchio, si trovava con essi. Il Sommo Sacerdote avendo annunziato loro che si trattava di gettar le sorti per dare uno sposo a Maria, e che la scelta sarebbe fatta dal Signore, ordinò che tutti si trovassero al sacro tempio il giorno seguente con una verga di mandorlo. La verga si sarebbe deposta sull' altare, e quegli la cui verga fosse fiorita, sarebbe stato il favorito dall'Altissimo ad essere il consorte della Vergine.

            Un numeroso stuolo di giovani trovossi il giorno seguente al tempio col suo ramoscello di mandorlo, e Giuseppe con essi; ma sia per ispirito di {17 [297]} umiltà, sia pel voto che avea fatto di verginità, invece di presentare il suo ramo se lo nascose sotto il manto. Furono posti tutti gli altri rami sulla mensa, uscirono i giovani col cuore pieno di speranza, e Giuseppe tacito e raccolto con loro. Si chiuse il tempio ed il Sommo Sacerdote rimandò l'adunanza al domani. Era appena spuntato il nuovo sole, che già la gioventù era impaziente di sapere il proprio destino.

            Giunto il momento stabilito si aprono le sacre porte e si presenta il Pontefice. Tutti si affollano per vedere l'esito della cosa. Nissuna verga era fiorita.

            Il Sommo Sacerdote prostratosi colla faccia a terra davanti al Signore, interrogollo della sua volontà, e se per sua poca fede, ovvero per non aver compreso la sua voce, non era apparso nei rami il segno promesso. E Dio rispose non essere avvenuto il segno promesso perchè tra quelle tenere verghe mancava il ramoscello di quel solo che si voleva dal Cielo; cercasse {18 [298]} e vedrebbe avverato il segno. Tosto si fece ricerca di chi avesse sottratto il ramo.

            Il silenzio, il casto rossore che imporporò le guancie di Giuseppe, tradirono tosto il suo segreto. Condotto davanti al santo Pontefice, confessò la verità: ma il Sacerdote intravide il mistero e tratto Giuseppe in disparte, lo interrogò perchè avesse così disobbedito.

            Giuseppe umilmente rispose, aver avuto in animo di tener da se lontano quel pericolo; avere da lungo tempo fisso in cuor suo di non unirsi in matrimonio con veruna donzella, e parergli che Dio medesimo al santo proposito l'abbia confortato, riconoscere d'altronde se stesso troppo indegno d'una così santa fanciulla, come sapeva essere Maria; perciò ad altro più santo è più ricco si concedesse.

            Cominciò allora il sacerdote ad ammirare il santo consiglio di Dio, ed a Giuseppe senza più soggiunse: Sta di buon animo, o figliuolo: deponi pur come gli altri il tuo ramoscello ed {19 [299]} aspetta il divino giudizio. Certo se egli ti elegge, ritroverai nella tua cugina Maria cotanto di santità e di perfezione sopra tutte le altre donzelle che non dovrai usar preghiere a persuaderla del tuo proposito. Anzi Ella stessa ti pregherà di quel medesimo che tu vuoi, e ti chiamerà fratello, custode, testimonio, sposo, ma non mai marito.

            Giuseppe rassicurato della volontà del Signore dalle parole del sommo Pontefice depose il suo ramo cogli altri e si ritirò in santo raccoglimento a pregare.

            L'indomani era di nuovo congregata la radunanza intorno al Sommo Sacerdote, ed ecco sul ramo di Giuseppe sbucciati fiori candidi e spessi colle foglie tenere e molli.

            Il Sacerdote mostrò ogni cosa agli accorsi giovani, ed annunciò loro che Dio aveva eletto per isposo di Maria, figliuola di Gioachino, Giuseppe figliuolo di Giacobbe ambidue della casa e della famiglia di Davidde. Nel tempo stesso si intese una voce che diceva: {20 [300]} « O mio fedele servitore Giuseppe! a te è riservato l' onore di sposare Maria, la più pura di tutte le creature; conformati a tutto ciò che Ella ti dirà. »

            Giuseppe e Maria riconoscendo la voce dello Spirito Santo accettarono questa decisione ed acconsentirono ad un matrimonio, che non doveva portar nocumento alla loro verginità.

            Al dire di s. Girolamo gli sponsali si celebrarono lo stesso giorno colla più grande semplicità[5]. {21 [301]}

            Giuseppe, tenendo per mano l'umile Vergine, si presentò davanti ai sacerdoti accompagnato da alcuni testimoni. Il modesto artigiano offerse a Maria un anello d'oro, ornato d'una pietra d'amatista, simbolo di verginale fedeltà, e nel tempo stesso le diresse le parole sacramentali: « Se tu acconsenti a divenire la mia sposa, accetta questo pegno. » Maria accettandolo fu solennemente legata a Giuseppe ancorchè le cerimonie pel matrimonio non fossero ancora state celebrate.

            Questo anello offerto da Giuseppe a Maria si conserva ancora in Italia nella città di Perugia, alla quale, dopo molte vicissitudini e controversie fu definitivamente accordato da Papa Innocenzo VIII nel 1486. {22 [302]}

 

 

Capo IV. Giuseppe ritorna in Nazaret colla sua sposa.

 

Erant cor unum et anima una.

Erano un sol cuore ed un'anima sola  ACTORUM IV, 32.

 

            Celebrati gli sponsali, Maria ritornò a Nazareth sua patria con sette vergini che il gran Sacerdote le aveva accordato per compagne.

            Ella doveva attendere nella preghiera la cerimonia del matrimonio, e formare il suo modesto corredo di nozze. S. Giuseppe rimase a Gerusalemme per preparare la sua abitazione e disporre ogni cosa per la celebrazione del matrimonio.

            Dopo qualche mese secondo le usanze della nazione giudaica vennero celebrate le cerimonie che dovevano succedere agli sponsali. Benchè poveri entrambi, Giuseppe e Maria diedero a questa festa tutta quella maggior {23 [303]} pompa che loro permisero i pochi mezzi di cui potevano disporre, Maria allora abbandonò la propria abitazione di Nazareth e venne ad abitare collo sposo a Gerusalemme, dove avevansi a celebrare le nozze.

            Un'antica tradizione ci dice che Maria arrivò a Gerusalemme in una fredda sera d'inverno e che la luna spandeva luminosi sopra la città i suoi raggi d' argento.

            Giuseppe si fece all' incontro della sua giovane compagna sino alle porte della città santa seguito da una lunga processione di congiunti, aventi ciascuno una torchia in mano. Il corteggio nuziale condusse i due sposi fino alla casa di Giuseppe, dove da lui era stato preparato il festino di nozze.

            Entrando nella sala del banchetto e mentre i convitati prendevano il posto loro assegnato a tavola, il patriarca avvicinandosi alla santa Vergine, « Tu sarai come mia madre, le disse, ed io ti rispetterò come l'altare stesso di Dio vivente. » D' allora in poi, dice un dotto scrittore, essi non furono più {24 [304]} agli occhi della legge religiosa che fratello e sorella nel matrimonio, benchè la loro unione fosse integralmente conservata. Giuseppe non si trattenne lungamente a Gerusalemme dopo le cerimonie nuziali; i due santi sposi lasciarono la città santa per recarsi a Nazareth nella modesta casa che Maria aveva avuto in eredità da' suoi genitori.

            Nazareth, il cui nome ebraico significa fiore dei campi, è una bella e piccola città, pittorescamente assisa sul pendio d'una collina alla estremità della valle d'Esdrelon. È dunque in questa ridente città che Giuseppe e Maria vennero a stabilire la loro dimora.

            La casa della Vergine si componeva di due camere principali, di cui l'una serviva di laboratorio per Giuseppe, e l'altra era per Maria. La bottega, dove lavorava Giuseppe, consisteva in una camera bassa di dieci o dodici piedi di larghezza sopra altrettanti di lunghezza. Vi si vedevano distribuiti con ordine gli strumenti necessarii alla sua professione. Quanto al legname di cui egli aveva bisogno, una parte rimaneva nel {25 [305]} laboratorio e l'altra fuori, permettendo il clima al santo operaio di lavorare all'aperto una gran parte dell'anno.

            Sul davanti della casa si trovava, giusta l'uso d'oriente, una panca in pietra ombreggiata da stuoie di palma, dove il viaggiatore poteva riposare le sue stanche membra e ripararsi dai raggi cocenti del sole.

            Era assai semplice la vita che menavano codesti sposi privilegiati. Maria curava la pulitezza della sua povera dimora, lavorava colle proprie mani le sue vesti e racconciava quelle del suo sposo. Quanto a Giuseppe ora formava un tavolo per i bisogni di casa, o dei carri, o dei gioghi per i vicini da cui ne aveva ricevuto l'incarico; ora col suo braccio tuttora vigoroso si recava sulla montagna ad abbattere gli alti sicomori ed i neri terebinti che dovevano servire alla costruzione delle capanne, che egli elevava nella vallata.

            Sempre assiduo al lavoro bene spesso il sole era di già da lunga pezza tramontato quando egli rientrava in casa {26 [306]} pel piccolo pasto della sera, che la sua giovane e virtuosa compagna non gli faceva al certo aspettare, anzi ella stessa gli rasciugava la fronte molle di sudore, gli presentava l' acqua tiepida ch' ella aveva fatto riscaldare per lavargli i piedi, e gli serviva la cena frugale che doveva ristorare le sue forze. Questa si componeva per lo più di piccoli pani d'orzo, di latticini, di frutti e di alcuni legumi. Poscia, fatta la notte, un parco sonno preparava il nostro santo Patriarca a riprendere il domani le sue giornaliere occupazioni. Questa vita laboriosa e dolce ad un tempo, durava da circa due mesi, quando giunse l'ora segnata dalla Provvidenza per l'incarnazione del Verbo divino. {27 [307]}

 

 

Capo V. L'Annunciazione di Maria SS.

 

Ecce ancilla Domini; fiat mihi secundum verbum tuum.

Ecco l'ancella del Signore; facciasi di me secondo la tua parola.  LUC. I, 38.

 

            Un giorno Giuseppe si era recato a lavorare in un paese vicino. Maria era sola in casa e secondo la sua abitudine pregava stando occupata a filare del lino. All'improvviso un angelo del Signore, l'arcangelo Gabriele, discese in questa povera casa tutto risplendente dei raggi della gloria celeste, e salutò l' umile Vergine dicendole: « Io ti saluto, o piena di grazie; il Signore è con te, tu sei benedetta tra tutte le donne. » Questi elogi tanto inaspettati produssero nell'anima di Maria una profonda turbazione. L'Angelo per rassicurarla, le disse: « Non temere, o Maria; poichè hai trovato grazia agli occhi di Dio Ecco che concepirai e {28 [308]} darai alla luce un figlio che si chiamerà Gesù. Egli sarà grande e sarà detto Figlio dell' Altissimo. Il Signore gli darà il trono di Davide suo padre; egli regnerà eternamente nella casa di Giacobbe, ed il suo regno non avrà fine. » « Come ciò sarà possibile, domandò l'umile Vergine, mentre io non conosco uomo? »

            Ella non sapeva conciliare la sua promessa di verginità col titolo di madre di Dio. Ma l'Angelo le rispose: « Lo Spirito Santo discenderà in te, e la virtù dell' Altissimo ti coprirà colla sua ombra; il santo frutto che nascerà da te, sarà chiamato il figlio di Dio. » E per darle una prova della onnipotenza di Dio, l'arcangelo Gabriele soggiunse: « Ecco che Elisabetta tua cugina ha concepito un figlio nella sua vecchiaia, e quella che era sterile è di già al sesto mese della sua gravidanza. Imperocchè nulla è impossibile a Dio.»

            A queste divine parole l'umile Maria non trovò più che ridire: Ecco l'ancella del Signore, rispose all'Angelo, sia fatto di me secondo la tua parola. {29 [309]} L'Angelo disparve; il mistero dei misteri era compiuto. Il Verbo di Dio si era incarnato per la salute degli uomini.

            Verso la sera, allorchè Giuseppe all'ora solita rientrò, terminato il suo lavoro, Maria nulla gli disse del miracolo di cui ella era stata l'oggetto.

            Si contentò di annunziargli la gravidanza di sua cugina Elisabetta: e siccome ella desiderava di andarla a visitare, da sposa sottomessa domandò a Giuseppe il permesso di intraprendere quel viaggio che a dir vero era lungo e faticoso. Questi nulla avea a rifiutarle ed ella parti in compagnia di alcuni congiunti. È da credere che Giuseppe non potesse accompagnarla presso sua cugina, perchè lo ritenevano a Nazaret le sue occupazioni. {30 [310]}

 

 

Capo VI. Inquietudine di Giuseppe - È rassicurato da un Angelo.

 

Ioseph, fili David, noli timere accipere Mariam coniugem tuam, quod enim in ea natum est, de Spiritu Sancto est.

Giuseppe, figliuolo di Davidde, non temere di ricevere Maria tua consorte: imperciocchè ciò che in essa è stato conceputo è per opera dello Spirito Santo. MATTH. I, 20.

 

            S. Elisabetta abitava nelle montagne della Giudea, in una piccola città chiamata Ebron, posta a settanta miglia da Nazareth. Noi non terremo dietro a Maria nel suo viaggio, ci basti il sapere che Maria restò tre mesi circa colla sua cugina.

            Ma il ritorno di Maria preparava a Giuseppe una prova che dovea essere il preludio di molte altre. Egli non tardò ad accorgersi che Maria era in uno stato interessante e quindi veniva tormentato da mortali inquietudini. {31 [311]} La legge lo autorizzava ad accusare la sua sposa davanti ai sacerdoti e a coprirla di un eterno disonore; ma un simile passo ripugnava alla bontà del suo cuore, e all'alta stima che fino allora aveva avuto per Maria. In questa incertezza risolse di abbandonarla e di espatriare per rigettare unicamente sopra di se tutta l'odiosità di una tale separazione. Anzi aveva fatto di già i suoi preparativi per la partenza, quando un angelo discese dal Cielo per rassicurarlo:

            « Giuseppe, figliuolo di Davide, gli disse il celeste messaggiero, non temere di ricevere Maria per tua consorte, imperciocchè ciò che in essa è stato conceputo è per opera dello Spirito Santo. Ella partorirà un figliuolo cui tu porrai nome Gesù, imperciocchè ei libererà il suo popolo da'  suoi peccati.

            D'allora in poi Giuseppe rassicurato completamente concepì la più alta venerazione per la sua casta sposa; egli vide in essa il tabernacolo vivente dell'altissimo, e le sue cure non furono che più tenere e più rispettose. {32 [312]}

 

 

Capo VII. Editto di Cesare Augusto. - Il censo. - Viaggio di Maria e di Giuseppe verso Betlemme.

 

Tamquam aurum in fornace probavit electos Dominus.

Dio ha provato gli eletti come l'oro nella fornace. SAP. III, 6.

 

            Si avvicinava il momento in cui il Messia promesso alle genti doveva finalmente comparire nel mondo. L'impero Romano era allora arrivato all'apice della sua grandezza.

            Cesare Augusto impadronendosi del supremo potere, realizzava quella unità che secondo i disegni della Provvidenza doveva servire alla propagazione del Vangelo. Sotto il suo regno avevano cessato tutte le guerre, e il tempio di Giano era chiuso[6]. Nel suo {33 [313]} orgoglio il romano imperatore volle conoscere il numero de' suoi sudditi, e a questo scopo ordinò un censimento generale in tutto l'impero.

            Ciascun cittadino doveva far inscrivere nella sua città nativa se stesso e tutta la sua famiglia. Dovette adunque Giuseppe abbandonare la sua povera casa per obbedire agli ordini dell' imperatore; e siccome egli era della stirpe di Davide e questa illustre famiglia era originaria di Betlemme, colà doveva andare per farsi inscrivere.

            Era una mattina trista e nebbiosa del mese di dicembre, l'anno 752 di Roma, Giuseppe e Maria lasciavano la loro povera abitazione di Nazareth per recarsi a Betlemme, dove li chiamava l'obbedienza dovuta agli ordini del sovrano. Non furono lunghi i loro preparativi per la partenza. Giuseppe mise dentro ad un sacco alcune vestimenta, preparò la tranquilla e mansueta cavalcatura, che doveva portare Maria che era già nel nono mese di sua gravidanza, e si avviluppò nel suo largo mantello. Poscia i due santi viaggiatori {34 [314]} uscirono da Nazareth accompagnati dalle felicitazioni de loro congiunti ed amici. Il santo patriarca, avendo da una mano il suo bastone da viaggio, teneva coll'altra la briglia del giumento su cui stava assisa la sua consorte.

            Dopo quattro o cinque giorni di cammino scorsero da lontano Betlemme. Il giorno cominciava a venir meno quando entrarono nella città. La cavalcatura di Maria era stanca; Maria d'altronde aveva un grande bisogno di riposo: perciò Giuseppe si mise sollecitamente in cerca di alloggio. Egli percorse tutte le osterie di Betlemme, ma furono inutili i suoi passi. Il censimento generale vi aveva attirata una folla straordinaria; e tutti gli alberghi riboccavano di forestieri. Invano Giuseppe andò a battere di porta in porta domandando ricovero per la sua sposa estenuata dalla fatica, chè le porte rimasero chiuse. {35 [315]}

 

 

Capo VIII. Maria e Giuseppe si rifugiano in una povera grotta. - Nascita del Salvator del mondo.  - Gesù adorato dai pastori.

 

Et Verbum caro factum est.

Ed il Verbo si è fatto carne. IO. I, 14.

 

            Un po' scoraggiati dalla mancanza di ogni ospitalità, Giuseppe e Maria se ne uscirono da Betlemme speranzosi di trovare nella campagna quell'asilo che la città loro aveva rifiutato. Arrivarono essi presso ad una grotta abbandonata, la quale offriva un rifugio ai pastori ed ai loro armenti di notte e nei giorni di cattivo tempo. Giaceva in terra un po' di paglia, ed una incavatura praticata nella roccia serviva egualmente di panca per riposarsi, e di mangiatoia per gli animali. I due viaggiatori entrarono nella grotta onde prendere riposo dalle fatiche del viaggio, e per riscaldare le loro membra intirizzite dal freddo {36 [316]} dell'inverno. In questo miserabile riparo, lungi dagli sguardi degli uomini, Maria dava al mondo il Messia ai nostri primi padri promesso. Era la mezzanotte, Giuseppe adorando il divino fanciullo lo inviluppò con pannicelli, e lo pose entro alla mangiatoia. Egli era il primo degli uomini cui toccasse l'incomparabile onore di offrire i propri omaggi a Dio disceso sopra la terra per riscattare i peccati dell'umanità.

            Alcuni pastori guardavano le loro greggie nella vicina campagna. Un angelo del Signore comparve e loro annunziò la buona novella della nascita del Salvatore. Nel tempo stesso si udirono dei cori celesti a ripetere: e Gloria a Dio nel più alto de' Cieli e pace sulla terra agli uomini di buona volontà. » Questi uomini semplici non esitarono a seguire la voce dell'angelo, « Andiamo, si dissero, sino a Betlemme e vediamo ciò che è accaduto. » E senza fare maggiori indugi entrarono nella grotta ed adorarono il divino fanciullo. {37 [317]}

 

 

Capo IX. La Circoncisione.

 

Et vocavit nomen eius Iesum.

E gli pose nome Gesù. MATTH. I, 25.

 

            L'ottavo giorno dopo la nascita si dovevano circoncidere i figliuoli d'Israele per espresso comando da Dio fatto ad Abramo, affinchè vi fosse un segno che ricordasse al popolo l'alleanza da Dio giurata con lui.

            Maria e Giuseppe intendevano molto bene che tal segno non era per nulla necessario a Gesù. Questa dolorosa funzione era una pena che conveniva ai peccatori, ed aveva per iscopo di cancellare il peccato originale. Ora Gesù essendo il santo per eccellenza, il fonte d'ogni santità non portava con se alcun peccato che abbisognasse remissione. D'altronde egli era venuto al mondo per miracoloso concepimento, e non aveva da sottostare a veruna delle leggi che riguardavano gli uomini. {38 [318]} Tuttavia Maria e Giuseppe ben sapendo che Gesù non era venuto a sciogliere la legge, ma ad adempierla; che veniva per recare agli uomini l' esempio della perfetta obbedienza, disposto a soffrire tutto ciò che la gloria del Padre Celeste e la salute degli uomini gli avrebbe imposto, non ristettero dal compiere sul Divino fanciullo la penosa cerimonia.

            Giuseppe il santo Patriarca è il ministro ed il sacerdote di quel sacro rito. Eccolo che cogli occhi molli di pianto dice a Maria: « Maria, ora è tempo che ci accingiamo a compiere in questo benedetto tuo figliuolo il segnacolo del nostro padre Abramo. Io mi sento perdere il cuore nel pensarvi. Io metter il ferro in queste carni immacolate! Io trarre il primo sangue di questo agnello di Dio; oh se tu aprissi la bocca, o bambino mio, e mi dicessi che non vuoi la ferita, oh come lancerei lontano da me questo coltello, e godrei che tu non la volessi! Ma io veggo che tu mi domandi questo {39 [319]} sacrifizio; che vuoi patire. Sì, o bambino dolcissimo, noi patiremo: tu nella tua carne mondissima; Maria ed io nei nostri cuori. »

            Giuseppe intanto aveva compiuto il doloroso uffizio offerendo a Dio quel primo sangue in espiazione dei peccati degli uomini. Poi con Maria lacrimosa e piena d'affanno pel patimento del suo Figliuolo aveva ripetuto: « Gesù è il suo nome, perchè Egli deve salvare il suo popolo da'  suoi peccati: vocabis nomen eius Iesum; ipse enim salvum faciet populum suum a peccatis eorum[7]. » O nome santissimo! o nome sopra ogni nome! quanto convenientemente in questo momento tu sei per la prima volta pronunciato! Dio volle che il bambino venisse chiamato Gesù alloraquando incomincerebbe a sparger sangue, perchè se egli era e sarebbe Salvatore, ciò era appunto in virtù e per effetto del suo sangue, per cui entrò nel santo dei santi una volta sola e {40 [320]} col sacrifizio di tutto se stesso consumava la Redenzione d'Israele e di tutto il mondo.

            Giuseppe fu quel grande e nobile ministro della Circoncisione per cui si diede al Figliuol di Dio il suo proprio nome. Giuseppe ne ricevè la relazione dall'angelo, Giuseppe pronunciollo il primo fra gli uomini, e al pronunziarlo fe' che gli angeli tutti s'incurvassero, e che i demoni sorpresi da straordinario spavento, anche senza intendere il perchè, cadessero adorando e si nascondessero nel più profondo dell' inferno. Gran dignità di Giuseppe! Grande obbligazione di ossequio che noi gli abbiamo per aver egli il primo chiamato Redentore il Figliuolo di Dio, ed egli il primo aver cooperato col santo ministerio della circoncisione a farcelo Redentore. {41 [321]}

 

 

Capo X. Gesù adorato dai Magi. La Purificazione.

 

Reges Tharsis et insulae munera offerent, Reges Arabum et Saba dona adducent.

I Re di Tharsis e le isole a lui faranno le loro offerte, i Re degli Arabi e di Saba porteranno i loro doni. PSAL. LXXI, 10.

 

            Quel Dio che era disceso sulla terra per far della casa d'Israele e delle genti disperse una sola famiglia voleva intorno alla sua culla i rappresentanti dell'uno e dell'altro popolo. I semplici e gli umili avevano avuto la preferenza nel trovarsi attorno a Gesù: i grandi peraltro ed i sapienti della terra non dovevano esserne esclusi. Dopo i pastori vicini, Gesù dal silenzio della sua grotta di Betlemme moveva una stella del Cielo a ricondurvi adoratori lontani. {42 [322]}

            Una tradizione popolarissima in tutto l'Oriente e registrata nella bibbia, annunziava che un fanciullo nascerebbe in Occidente, il quale cangierebbe la faccia del mondo, e che un nuovo astro doveva in pari tempo comparire e segnare questo avvenimento. Or bene all'epoca della nascita del Salvatore vi erano all'estremità dell'Oriente alcuni principi detti comunemente i tre Re Magi, dotati di una scienza straordinaria.

            Profondamente versati nelle scienze astronomiche, questi tre magi aspettavano con ansietà l'apparizione della nuova stella che doveva loro annunziare la nascita del maraviglioso fanciullo.

            Una notte mentre questi osservavano il cielo attentamente, un astro d'insolita grandezza pareva distaccarsi dalla volta celeste, come se avesse voluto discendere sopra la terra.

            Riconoscendo a questo segnale che il momento era giunto, frettolosamente se ne partirono, e guidati sempre dalla stella giunsero a Gerusalemme. La fama {43 [323]} del loro arrivo e sopra tutto la causa, che li conduceva, turbò il cuore dell' invidioso Erode. Questo principe crudele fece venire a se i Magi e disse loro: « Pigliate esatte informazioni di questo fanciullo, ed appena l'avrete trovato, ritornate ad avvertirmene affinchè io pure vada ad adorarlo. » I dottori della legge avendo indicato che il Cristo doveva nascere in Betlemme; i Magi uscirono da Gerusalemme preceduti sempre dalla misteriosa stella. Non tardarono ad arrivare a Betlemme; la stella si arrestò al disopra della grotta dove stava il Messia. I Magi vi entrarono, si prostrarono ai piedi del fanciullo e l'adorarono.

            Aprendo allora i cofanetti di legni preziosi che con se avevano portato, gli offrirono dell'oro come per riconoscerlo re, dell'incenso come Dio e della mirra come uomo mortale.

            Avvisati poscia da un angelo dei veri disegni di Erode, senza passare per Gerusalemme, ritornarono direttamente ai loro paesi.

            Avvicinavasi il quarantesimo giorno {44 [324]} dalla nascita del Santo Bambino: la legge di Mosè prescriveva che ogni primogenito venisse portato al tempio per essere offerto a Dio e quindi consacrato, e per essere purificata la madre. Giuseppe in compagnia di Gesù e di Maria moveva verso Gerusalemme per compiere la prescritta cerimonia. Offri due tortorelle in sacrifizio e pagò cinque sicli d'argento. Poscia avendo fatto inscrivere il figlio sopra le tavole del censo e pagato il tributo, i santi sposi se ne ritornarono in Galilea, a Nazareth loro città. {45 [325]}

 

 

Capo XI. Il tristo annunzio. - La strage degli innocenti. - La sacra famiglia parte per l' Egitto.

 

Surge, accipe puerum et matrem eius et fuge in Aegyptum et esto ibi usque dum dicam tibi.

L'angelo del Signore disse a Giuseppe: Levati, prendi il bambino e la sua madre e fuggi in Egitto e fermati colà fintantochè io t'avvisi. MATTH. II, 13.

 

Vox in excelso audita est lamentationis, luctus, et fletus Rachel plorantis filios suos, et nolentis consolari super eis quia non sunt.

Si è sentito nell'alto voce di querela, di lutto e di gemito di Rachele che piange i suoi figli; e riguardo ad essi non ammette consolazione perch' ei più non sono. GEREM. c. XXXI, v. 15.

 

            La tranquillità della santa famiglia non doveva essere di lunga durata. Appena Giuseppe era rientrato nella povera casa ai Nazareth, un angelo del Signore gli apparve in sogno e {46 [326]} gli disse: « Alzati, togli teco il fanciullo e sua madre e fuggi in Egitto, e rimani colà finchè io non ti dica di ritornare. Imperocchè Erode cercherà il fanciullo per farlo morire. »

            E ciò non era che troppo vero. Il crudele Erode ingannato dai Magi e furioso di vedersi sfuggire una si bella occasione, per disfarsi di colui che egli considerava come un competitore al trono, aveva concepito l'infernale disegno di far massacrare tutti i bambini maschi di età inferiore a due anni. Quest' ordine abbominevole fu eseguito.

            Un largo fiume di sangue scorse la Galilea. Allora si avverò quello che aveva predetto Geremia: « Una voce si è fatta intendere in Rama, voce mista di lacrime e di lamenti. È Rachele che piange i suoi figli e non vuol essere consolata; imperocchè essi non sono più. » Questi poveri innocenti, si crudelmente scannati, furono i primi martiri della divinità di Gesù Cristo.

            Giuseppe aveva riconosciuto la voce {47 [327]} dell' Angelo; nè si permise alcuna riflessione sulla precipitata partenza, a cui dovevano risolversi; sulle difficoltà d'un viaggio così lungo e così pericoloso. E sì che gli doveva rincrescere di abbandonare la sua povera casa, per andare attraverso ai deserti a cercare un asilo in un paese che egli non conosceva. Senza nemmeno aspettare il domani, nel momento che l'angelo disparve egli si alzò e corse a svegliare Maria. Maria preparò frettolosamente piccola provigione di panni e di viveri che doveano portare con se. Giuseppe intanto preparò la giumenta, e partirono senza rammarico dalla loro città per obbedire al comando di Dio. Ecco dunque un povero vecchio, che rende vane le orribili trame del tiranno di Galilea; è a lui che Iddio affida la custodia di Gesù e di Maria. {48 [328]}

 

 

Capo XII. Viaggio disastroso - Una tradizione.

 

Si persequentur vos in civitate ista, fugite in atiam.

Allorquando vi perseguiteranno in questa città fuggite ad un'altra. MATTH. X, 23.

 

            Due strade si presentavano al viaggiatore, che per la via di terra volesse recarsi in Egitto. L'una attraversava deserti popolati da bestie feroci, ed i sentieri ne erano malagevoli, lunghi e poco frequentati. L'altra si dirigeva attraverso a un paese poco frequentato, ma gli abitanti della contrada erano ostilissimi agli Ebrei. Giuseppe, che aveva soprattutto a temere gli uomini in questa fuga precipitosa, scelse la prima di queste due strade siccome la più nascosta.

            Partiti da Nazarette nel più fitto della notte, i cauti viaggiatori, il cui itinerario obbligava a passare dappresso Gerusalemme, batterono per qualche {49 [329]} tempo i sentieri più tristi e tortuosi. Quando si doveva attraversare qualche grande strada, Giuseppe lasciando al riparo d'una roccia Gesù e sua Madre, andava in perlustrazione pel cammino, per accertarsi se l'uscita non ne fosse guardata dai soldati di Erode. Rassicurato da questa precauzione, ritornava a prendere il suo prezioso tesoro, e la santa famiglia continuava il suo viaggio, tra i burroni ed i colli. Di tratto in tratto si faceva una breve sosta sull'orlo d'un limpido ruscello, e dopo una frugale refezione si prendeva un po' di riposo dalle fatiche del viaggio. Giunta la sera, era mestieri rassegnarsi a dormire a cielo scoperto. Giuseppe spogliandosi del suo mantello, ne copriva Gesù e Maria per preservarli dall'umidità della notte. Poi il domani sul far del giorno si ricominciava il faticoso viaggio. I santi viaggiatori, avendo oltrepassata la piccola città di Anata, si diressero dalla parte di Ramla per discendere nelle pianure della Siria, dove essi dovevano ormai esser liberi dalle insidie dei loro feroci {50 [330]} persecutori. Contro alla loro abitudine aveano continuato a camminare malgrado fosse di già fatta la notte per essere più presto in salvo. Giuseppe andava quasi tastando il terreno avanti agli altri. Maria tutta tremante per questa corsa notturna figgeva i suoi sguardi irrequieti nella profondità dei valloni, e nelle sinuosità delle roccie. D'un tratto in uno svolto, una frotta d'uomini armati si presentò ad intercettare loro il cammino. Era una banda di scellerati, i quali devastavano la contrada, la cui fama spaventevole si estendeva molto lontano. Giuseppe aveva arrestato la cavalcatura di Maria, e pregava il Signore in silenzio; imperocchè era impossibile qualunque resistenza. Tutto al più si poteva sperare di ottener salva la vita. Il capo dei briganti si staccò da'  suoi compagni e si avanzò verso Giuseppe per osservare con chi avesse egli da trattare. La vista di questo vecchio senza armi, di questo bambinello che dormiva sopra il seno della sua madre, toccò il cuore sanguinario del bandito. Ben lungi dal {51 [331]} voler far loro alcun male, stese la mano a Giuseppe, offrendo ospitalità a lui ed alla sua famiglia. Questo capo si chiamava Disma. La tradizione ci dice, che trent' anni dopo egli fu preso dai soldati, e condannato ad essere crocifisso. Fu messo in croce sul Calvario al fianco di Gesù, ed è lo stesso che noi conosciamo sotto il nome del buon ladrone.

 

 

Capo XIII. Arrivo in Egitto - Prodigi avvenuti al loro ingresso in questa terra - Villaggio di Matarie - Abitazione della sacra Famiglia.

 

Ecce ascendet Dominus super nubem levem et commovebuntur simulacra Aegypti.

Ecco che il Signore salirà sopra una nuvola leggera ed entrerà in Egitto e alla presenza di lui si conturberanno i simulacri d' Egitto. IS. XIX, 1.

 

             Comparso appena il giorno, i fuggitivi, ringraziando i briganti diventati ospiti, ripresero il loro cammino pieno {52 [332]} di pericoli. Si dice che Maria sul partire abbia detto queste parole al capo di quei banditi: « Ciò che tu hai fatto per questo bambino, ti sarà un giorno largamente ricompensato. » Dopo di avere attraversato Betlemme e Gaza, Giuseppe e Maria discesero nella Siria e avendo incontrato una carovana che partiva per l'Egitto si unirono ad essa. Da questo istante sino al termine del loro viaggio non videro più davanti a se, che un immenso deserto di sabbia, la cui aridità non era interrotta che a ben rari intervalli da qualche oasi, ossia da alcuni tratti di terreno fertile e verdeggiante. Le loro fatiche si raddoppiarono durante questa corsa attraverso a queste pianure infuocate da ardente sole. I viveri erano poco abbondanti, e l' acqua ben sovente mancava. Quante notti Giuseppe, che era vecchio e povero, si vide risospinto, quando tentava di avvicinarsi alla fonte, cui la carovana si era arrestata per dissetarsi!

            Finalmente dopo due mesi di penosissimo cammino i viaggiatori entrarono {53 [333]} in Egitto. Al dire di Sozomeno, dal momento che la santa Famiglia ebbe toccato questa terra antica, gli alberi abbassarono i loro rami per adorare il Figlio di Dio; le bestie feroci vi accorsero dimenticando il loro istinto; e gli uccelli cantarono in coro le lodi del Messia. Anzi se crediamo a quanto ci narrano autori degni di fede, tutti gli idoli della provincia, riconoscendo il vincitore del Paganesimo, caddero frantumati in mille pezzi. Così ebbero letterale compimento le parole del profeta Isaia quando disse; « Ecco che il Signore salirà sopra una nuvola leggerà ed entrerà in Egitto, e alla presenza di lui si conturberanno i simulacri d'Egitto. »

            Giuseppe e Maria, desiderosi d'arrivar presto al termine del loro viaggio, non fecero che attraversare Eliopoli, consacrata al culto del sole, per recarsi a Matari dove intendevano di riposarsi delle loro fatiche.

            Matari è un bel villaggio ombreggiato da sicomori, a due leghe circa dal Cairo, capitale dell'Egitto. Colà {54 [334]} Giuseppe aveva intenzione di stabilire dimora. Ma non era ancora questo il termine delle sue pene. Gli era mestieri di cercarsi un alloggio. Gli Egiziani non erano per nulla ospitali; così la santa famiglia fu costretta a ripararsi per alcuni giorni nei tronco d'un antico e grosso albero. Alfine dopo lunghe ricerche Giuseppe trovò una modesta cameruccia, in cui collocò alla meglio Gesù e Maria.

            Questa casa, che si fa vedere ancora in Egitto, era una specie di grotta, di venti piedi di lunghezza sopra quindici di larghezza. Non vi erano nemmeno finestre; la luce vi doveva penetrare per la porta. Le mura erano d'una specie d'argilla nera e schifosa, la cui vecchiezza portava l'impronta della miseria. A destra eravi una piccola cisterna, dalla quale Giuseppe attingeva l' acqua pel servizio della famiglia. {55 [335]}

 

 

Capo XIV. Dolori. - Consolazione e termine dell'esilio.

 

Cum ipso sum in tribulatione.

Con lui son io nella tribolazione. PSAL. XC. 15.

 

            Entrato appena in questa nuova abitazione ripigliò Giuseppe il suo lavoro ordinario. Cominciò a mobiliare la sua casa; un tavolino, qualche sedia, una panca, tutto quanto opera delle sue mani. Poscia andò di porta in porta in cerca di lavoro per guadagnar il sostentamento alla piccola famiglia. Egli senza dubbio ebbe a provare ben molti rifiuti, e a tollerare ben molti umilianti disprezzi! Egli era povero, e sconosciuto; e ciò bastava perchè venisse rifiutata l'opera sua. A sua volta Maria, mentre aveva mille cure pel Figlio, si diede coraggiosamente al lavoro, occupando in esso una parte della notte per supplire {56 [336]} ai guadagni piccoli ed insufficienti del suo sposo. Tuttavia in mezzo alle sue pene quante consolazioni per Giuseppe! Era per Gesù che lavorava, e il pane che il divino fanciullo mangiava era egli che l'aveva acquistato col sudore della sua fronte. E poi quando rientrava in sulla sera affaticato e oppresso dal caldo, Gesù sorrideva al suo arrivo, e lo accarezzava colle sue piccole mani. Ben sovente col prezzo di privazioni, che s'imponeva, Giuseppe riusciva ad ottenere qualche risparmio qual gioia provava allora nel poterlo impiegare nell' addolcire la condizione del divino fanciullo! Ora erano alcuni datteri, ora alcuni giuocattoli adatti alla sua età, che il pio falegname recava al Salvatore degli uomini. Oh quanto erano dolci allora le emozioni del buon vecchio nel contemplare il viso raggiante di Gesù! Quando arrivava il Sabato, giorno di riposo e consacrato al Signore, Giuseppe prendendo per le mani il fanciullo, ne guidava i {57 [337]} primi passi con una sollecitudine veramente paterna.

            Frattanto il tiranno che regnava sopra Israele moriva. Iddio, il cui braccio onnipossente punisce sempre il colpevole, gli aveva mandato una malattia crudele, che lo condusse rapidamente al sepolcro. Tradito dal suo proprio figlio, roso vivo dai vermi, Erode era morto, portando con se l'odio de' Giudei, e la maledizione de' posteri.

 

 

Capo XV. Il nuovo annunzio. - Ritorno in Giudea. - Una tradizione riferita da s. Bonaventura.

 

Ex Aegyypto vocavi filium meum.

Dall'Egitto richiamai il mio figliuolo. OSEAE XI, 1.

 

            Da sette anni stava Giuseppe in Egitto, quando l'Angelo del Signore, messaggiero ordinario dei voleri del {58 [338]} Cielo gli apparve di nuovo durante il sonno e gli disse: « Alzati, togli teco il fanciullo e la sua madre, e ritorna al paese d'Israele, imperocchè coloro che cercavano il fanciullo per farlo morire, non esistono più. » Sempre pronto alla voce di Dio, Giuseppe vendette la sua casa ed i suoi mobili, ed ordinò il tutto per la partenza. Invano gli Egiziani rapiti dalla bontà di Giuseppe e dalla dolcezza di Maria fecero le più vive instanze per ritenerlo. Invano gli promisero l'abbondanza d'ogni cosa necessaria per la vita, Giuseppe fu irremovibile. I ricordi della sua infanzia, gli amici, che egli aveva nella Giudea, la pura atmosfera della sua patria, assai più parlavano al suo cuore, che non la bellezza dell' Egitto. D'altronde Iddio aveva parlato, e null'altro abbisognava per decidere Giuseppe a far ritorno alla terra de' suoi antenati.

            Alcuni storici sono d'opinione che la santa famiglia abbia fatto per mare una parte del viaggio, perchè vi s'impiegava minor tempo, ed aveva un {59 [339]} desiderio grandissimo di rivedere presto la sua patria. Appena sbarcati ad Ascalonia, Giuseppe intese che Archelao era succeduto nel trono a suo padre Erode. Indi per Giuseppe era una nuova sorgente di inquietudini. L'angelo non gli aveva detto in quale parte della Giudea dovesse egli stabilirsi. Doveva ciò fare a Gerusalemme, o nella Galilea, o nella Samaria? Giuseppe pieno d'ansietà pregò il Signore che gli mandasse durante la notte il suo celeste messaggiero. L'angelo gli ordinò di fuggire Archelao e di ritirarsi in Galilea. Giuseppe allora più non ebbe a temere, e prese tranquillamente la strada di Nazareth, che aveva sette anni prima abbandonata.

            Non dispiaccia ai nostri divoti lettori di sentir sopra questo punto di storia il serafico dottor s. Bonaventura: « Erano in atto di partirsi: e Giuseppe andò innanzi cogli uomini, e la madre veniva da lungi colle donne (venuti queste e quelli come amici della santa famiglia ad accompagnarli un tratto). E quando {60 [340]} furono fuor della porta, Giuseppe rattiene gli uomini e non si lascia più accompagnare. Allora alcuno di quelli buoni uomini, avendo compassione della povertà di costoro, chiamò il fanciullo e diegli alquanti denari per ispese. Vergognossi il Fanciullo di riceverli; ma, per amore della povertà, apparecchiò la mano e ricevè la pecunia vergognosamente e ringraziollo. E così fecero più persone. Lo chiamarono ancora quelle onorabili matrone e fecero lo stesso; non si vergognava meno la madre che il fanciullo, ma tuttavia umilmente li ringraziò. »

            Preso dunque commiato da quella cordiale compagnia rinnovati i ringraziamenti ed i saluti, la santa famiglia rivolse i suoi passi verso la Giudea. {61 [341]}

 

 

Capo XVI. Arrivo di Giuseppe in Nazareth. - Vita domestica con Gesù e Maria.

 

Constituit eum dominum domus suae.

Lo costituì padrone della sua casa. PSAL. CIV, 20.

 

            Erano finalmente terminati i giorni dell' esilio. Giuseppe poteva di nuovo rivedere la sospirata terra nativa, che gli richiamava alla mente le più care memorie. Bisognerebbe amare il proprio paese come lo amavano allora gli Ebrei, per comprendere le dolci impressioni che riempivano l'anima di Giuseppe allorquando apparve da lontano la vista di Nazareth. L'umile patriarca accelerò il passo della cavalcatura di Maria, e ben presto arrivarono nelle strette vie della loro cara città.

            I Nazareni, i quali ignoravano la {62 [342]} causa delle partenza del pio operaio, videro con gioia il suo ritorno. I capi di famiglia vennero a dare il benvenuto a Giuseppe, e a stringere la mano del vecchio, la cui testa era incanutita lungi dalla sua patria. Le figlie salutarono l'umile Vergine, la cui grazia era ancora aumentata dalle cure, delle quali ella circondava il suo divino fanciullo. Gesù, il prediletto Gesù vide accorrere presso di se i ragazzi della sua età, e, per la prima volta, intese il linguaggio de' suoi antenati invece di quello amaro dell'esilio.

            Ma il tempo e l'abbandono avevano ridotto la povera abitazione di Giuseppe in pessimo stato. L' erba selvaggia era cresciuta sopra le mura, e la tignuola si era impossessata dei vecchi mobili della santa famiglia.

            Alcune terre che circondavano la casa furono vendute, e col loro prezzo furono comperate le masserizie più necessarie. Le meschine risorse dei due sposi furono impiegate negli acquisti più indispensabili. Non restavano adunque più a Giuseppe che il {63 [343]} suo laboratorio e le sue braccia. Ma la stima che ciascuno sentiva pel santo uomo, la confidenza che si aveva nella sua buona fede come nella sua abilità, fecero sì che a poco a poco gli ritornassero e il lavoro e gli avventori; e il coraggioso falegname ebbe ben presto ripreso il suo consueto lavoro. Era invecchiato nelle fatiche, ma il suo braccio era pur sempre robusto, ed il suo ardore si era ancora accresciuto dopo che si trovava egli incaricato di nutrire il Salvatore degli uomini.

            Gesù cresceva in età e sapienza. Nella stessa guisa che Giuseppe aveva guidato i suoi primi passi, quando piccino ancora incominciava a camminare, diede pure a Gesù le prime nozioni di lavoro. Egli teneva la sua piccola mano e la dirigeva nell' insegnargli a tracciare le linee, e a maneggiare la pialla. Egli insegnava a Gesù le difficoltà e la pratica del mestiere. E il Creatore del mondo si lasciava guidare dal suo fedele servitore, che egli si era scelto per padre! {64 [344]}

            Giuseppe, che era assiduo agli uffizi nel sacro tempio, come era diligente dei doveri del suo lavoro, osservava rigorosamente la legge di Mosè e la religione de' suoi antenati. Così giammai si sarebbe visto lavorare in giorno festivo, egli aveva compreso come non sia di troppo un giorno per settimana onde pregare il Signore e ringraziarlo de' suoi favori. Ogni anno alle tre grandi solennità giudaiche, alle feste di Pasqua, della Pentecoste e dei Tabernacoli, egli si recava al tempio di Gerusalemme in compagnia di Maria. Ordinariamente egli lasciava a Nazareth Gesù, che si sarebbe soverchiamente stancato dal lungo cammino; e soleva sempre pregare qualche suo vicino perchè s'incaricasse della custodia del fanciullo nell' assenza dei suoi genitori. {65 [345]}

 

 

Capo XVII. Gesù va con Maria sua madre e s. Giuseppe a celebrare la Pasqua in Gerusalemme. - È smarrito e ritrovato dopo tre giorni.

 

Fili, quid fecisti nobis sic? Ecce pater tuus et ego dolentes quaerebamus te. Quid est quod me quaerebalis? Nesciebalit quia in his quae Patris mei sunt oportet me esse?

Figlio, perchè ci hai tu fatto questo? Ecco che tuo padre ed io addolorati andavamo di te in cerca; (ed egli disso loro): Perchè mi cercavate voi » non sapevate che nelle cose spettanti al Padre mio debbo occuparmi? LUC. II, 43, 49.

 

            Quando Gesù ebbe raggiunta l'età di dodici anni, ed approssimandosi le feste di Pasqua, Giuseppe e Maria lo giudicarono abbastanza forte per sopportare il viaggio, e lo condussero con loro in Gerusalemme. Essi rimasero circa sette giorni nella città santa per celebrare la Pasqua e compiere i sacrifizi comandati dalla legge. {66 [346]}

            Terminate le feste pasquali ripresero la strada di Nazareth in mezzo ai loro congiunti ed amici. La carovana era assai numerosa. Nella semplicità dei loro costumi le famiglie di una stessa città o di uno stesso villaggio se ne ritornavano alle case loro riunite in allegre brigate, in cui i vecchi discorrevano gravemente coi vecchi, le donne colle donne, mentre i ragazzi correvano e giuocavano insieme nel loro cammino. Così Giuseppe non vedendo Gesù presso di se lo credette, come era naturale, presso la madre sua o coi ragazzi di sua età. Maria camminava ella pure in mezzo alle compagne persuasa egualmente che il fanciullo seguisse gli altri. Giunta poi la sera la carovana si arrestò nella piccola città di Machmas per passarvi la notte. Giuseppe venne a ritrovare Maria; ma quale non fu la loro sorpresa ed il loro dolore quando si domandarono reciprocamente dove era Gesù? Nè l'uno, nè l'altro l'aveva veduto dopo l'uscita dal tempio; i ragazzi dal canto loro non potevano darne alcuna notizia. Egli non era con essi. {67 [347]}

            Subito Giuseppe e Maria malgrado la loro stanchezza si rimisero in viaggio per Gerusalemme. Rifecero pallidi ed inquieti la strada che avevano di già percorsa lo stesso giorno. Echeggiarono i dintorni delle loro grida di cordoglio; Giuseppe chiamava Gesù, ma Gesù non rispondeva. All'alba del giorno arrivarono a Gerusalemme, dove, dice il vangelo, essi passarono tre giorni intieri in cerca dell'amatissimo figlio. Quanti dolori pel cuore di Giuseppe! e quanto dovette egli rimproverarsi un istante di distrazione! Finalmente verso la fine del terzo giorno questi desolati genitori entrarono nel tempio, piuttosto per invocare i lumi dall'alto, che colla speranza di trovarvi Gesù. Ma quale non fu la loro sorpresa e la loro ammirazione nel vedere il divino fanciullo in mezzo ai dottori maravigliati della saggezza de' suoi discorsi, delle dimande e delle risposte che loro faceva! Maria piena di gioia, perchè aveva ritrovato il figlio, non potè tuttavia trattenersi dal manifestargli l'inquietudine che l'aveva afflitta: « Mio {68 [348]} figlio, gli disse, perchè hai tu fatto così con noi? sono tre giorni da che immersi nel dolore andiamo in cerca di te. » - Gesù rispose: « Perchè mi cercavate voi così? Non sapevate che mi è mestieri di occuparmi delle cose che riguardano mio padre? » Il vangelo soggiunge che Giuseppe e Maria non compresero immediatamente questa risposta. Fortunati di aver ritrovato Gesù se ne ritornarono tranquillamente alla loro piccola casa di Nazareth.

 

 

Capo XVIII. Sèguita della vita domestica della santa famiglia.

 

Et erat subditus illis.

E Gesù era ad ossi ubbidiente. LUC. II, 51.

 

            Il santo Vangelo dopo aver raccontato i principali tratti della vita di Gesù fino all' età di dodici anni, giunto a {69 [349]} questo punto conchiude tutta la vita privata di Gesù fino a trent' anni in queste brevi parole: « Gesù era obbediente a Maria ed a Giuseppe, et erat subditus illis. » - Queste parole, mentre nascondono a'  nostri sguardi la gloria di Gesù, rivelano in magnifico aspetto la grandezza di Giuseppe. Se l'educatore d'un principe occupa una dignità onorifica nello stato, quale deve essere la dignità di Giuseppe, mentre fu incaricato della educazione del Figlio di Dio! Gesù cui le forze erano cresciute cogli anni diventò l'allievo di Giuseppe. Egli lo seguiva nelle sue giornate di lavoro, e sotto la sua direzione apprese il mestiere del falegname. S. Cipriano, vescovo di Cartagine, scriveva circa l'anno 250 dell'êra cristiana, che si conservavano ancora con venerazione aratri fatti dalla mano del Salvatore. Era senza dubbio Giuseppe che ne aveva dato il modello e che aveva diretto nella sua bottega la mano del Creatore di ogni cosa.

            Gesù voleva dare agli uomini l' esempio dell' obbedienza anche nelle {70 [350]} più piccole circostanze della vita. Così si fa vedere ancora presso di Nazareth un pozzo, cui Giuseppe mandava il divino fanciullo ad attingere l'acqua pei bisogni della famiglia.

            Ci mancano i particolari circa questi anni laboriosi che Giuseppe passò a Nazareth con Gesù e Maria. Ciò che possiam dire senza timore di ingannarci è che Giuseppe lavorava senza tregua per guadagnar il pane. La sola distrazione che si permetteva era di conversare bene spesso col Salvatore, le cui parole rimanevano profondamente scolpite nel suo cuore.

            Agli occhi degli uomini Gesù passava per figlio di Giuseppe. E questi, la cui umiltà era tanto grande quanto l'obbedienza, serbava entro se stesso il mistero che era incaricato di proteggere colla sua presenza. « Giuseppe, dice Bossuet, vedeva Gesù e taceva; egli lo gustava e non ne parlava; si contentava di Dio solo senza dividere cogli uomini la sua gloria. Compieva la sua vocazione, perchè come gli apostoli erano ministri di Gesù Cristo {71 [351]} conosciuto, Giuseppe era il ministro ed il compagno della sua vita nascosta. »

 

 

Capo XIX. Ultimi giorni di s. Giuseppe. Sua preziosa agonia.

 

O nimis felix, nimis o beatus Cuius extremam vigiles ad horam Christus et Virgo simul astiterunt Ore sereno!

O beata o felice anima pia, Che del tuo esilio nell'estremo istante, Godesti allato di Gesù e Maria Il bel sembiante. (La s. Chiesa nell'uffizio di s. Giuseppe).

 

            Giuseppe toccava i suoi ottant'anni, e Gesù non doveva tardare ad abbandonare la sua dimora per ricevere il battesimo da Giovanni Battista, quando Iddio chiamò a se il suo fedele servitore. Le fatiche ed i travagli d'ogni sorta avevano logorato la tempra robusta di Giuseppe, e sentiva egli stesso che la sua fine era ben prossima. {72 [352]} D'altronde la sua missione sulla terra era terminata; ed era giusto che egli ricevesse finalmente la ricompensa che meritavano le sue virtù.

            Per un favore affatto speciale un angelo venne ad avvisarlo della sua prossima morte. Egli era pronto a comparire innanzi a Dio. Tutta la sua vita non era stata che una serie di atti d'obbedienza alla volontà divina e poco gl'importava della vita, poichè si trattava d'ubbidire a Dio che lo chiamava alla vita beata. Secondo le testimonianze unanimi della tradizione Giuseppe non morì tra le sofferenze acute della malattia. Si spense dolcemente come una fiamma cui venga meno l'alimento.

            Steso sul letto di morte, avendo ai suoi fianchi Gesù e Maria, Giuseppe fu rapito in estasi per ventiquattro ore. I suoi occhi videro allora chiaramente le verità che la sua fede aveva credute sin allora senza comprendere. Egli penetrò il mistero di Dio fatto uomo e la grandezza della missione che Iddio aveva confidato a lui {73 [353]} povero mortale. Assistette in ispirito ai dolori della passione del Salvatore. Quando si risvegliò, il suo viso era illuminato e come trasfigurato da una beltà tutta celeste. Un profumo delizioso riempì la camera in cui egli giaceva e si sparse anche al di fuori, annunziando così ai vicini del santo uomo che la sua anima si pura e si bella stava per passare in un mondo migliore.

            In una famiglia di anime povere e semplici che si amano di quell' amor puro e cordiale che difficilmente si trova in seno alla grandezza ed all'abbondanza, quando queste persone si godettero in santa unione gli anni del pellegrinaggio, e che come ebbero comuni le domestiche gioie, così si divisero i dolori santificati dal conforto religioso, se avvenga che questa bella pace debba offuscarsi per la separazione di un caro membro, oh come si sente allora angoscioso il cuore nel dividersi!

            Gesù aveva come Dio un padre in cielo che comunicandogli da tutta l'eternità {74 [354]} la sua divina sostanza e natura rendeva perenne alla sua persona sulla terra la celeste gloria (quantunque velata da spoglie mortali); Maria aveva in terra Gesù che le riempiva di paradiso il cuore. Chi tuttavia vorrà negarci che Gesù e Maria trovandosi ora presso al moribondo Patriarca e lasciando anche la tenerezza del loro cuore in balìa della natura non abbiano sofferto nel doversi temporaneamente separare dal compagno fedele del loro pellegrinaggio in terra? Maria non poteva dimenticare i sacrifizi, le pene, i disagi, che per essa aveva dovuto soffrire Giuseppe nei penosi viaggi di Betlemme e di Egitto. E vero che Giuseppe trovandosi continuamente in compagnia di Lei veniva compensato di quanto soffriva, ma se questo era un argomento di conforto per l'uno, non era cagione che dispensasse il cuore tenerissimo dell'altra dal sentimento di gratitudine. Giuseppe l' aveva servita non solo con tutto l'affetto d'uno sposo, ma eziandio con tutta la fedeltà d' un servo {75 [355]} e l'umiltà d'un discepolo, venerando in Lei la Regina del cielo, la Madre di Dio. Ora a Maria non erano certo sfuggiti dalla mente tanti segni di venerazione, di obbedienza e di stima, e non poteva non sentirne per Giuseppe profonda e verissima riconoscenza.

            E Gesù che in fatto di amore non doveva starsi certamente inferiore nè all'uno nè all'altra, dal momento che aveva disposto nei decreti della sua divina Provvidenza che Giuseppe fosse il suo custode e protettore in terra, dal momento che questa protezione aveva pur dovuto costare a Giuseppe tanti patimenti e tante fatiche, anche Gesù doveva sentir in quel suo cuore amantissimo i più dolci sensi di grata rimembranza. Nel contemplare quelle scarne braccia disposte in croce sull' affannoso petto egli ricordava che quelle si erano tante volte aperte per istringerselo al seno quando vagiva in Betlemme, che si erano stancate a portarlo in Egitto, che si erano logorate sul lavoro per mantenergli il pane della vita. Quante volte quelle {76 [356]} care labbra si erano appressate riverenti a stampargli amorosi baci o a scaldargli nell' inverno le intirizzite membra; e quegli occhi, che allora stavano per chiudersi alla luce del giorno, quante volte eransi aperti al pianto, onorando le sofferenze di Lui e di Maria, quando doveva contemplarlo fuggiasco in Egitto, ma specialmente quando per tre giorni lo pianse smarrito in Gerusalemme. Queste prove di amore sviscerato non erano certamente da Gesù dimenticate in quegli estremi istanti di Giuseppe. Quindi m'immagino che Maria e Gesù nello sparger di paradiso quelle ultime ore di vita di Giuseppe avranno eziandio come sulla tomba dell'amico Lazzaro onorato collo sfogo delle più pure lagrime quello estremo solenne saluto. Oh sì che Giuseppe aveva il paradiso innanzi agli occhi! Egli volgea lo sguardo da un lato e vedeva l'aspetto di Maria, e ne stringeva nelle sue le mani santissime, e ne riceveva le ultime cure, e ne sentiva le parole di consolazione. Volgeva gli occhi dall'altra parte ed incontrava lo {77 [357]} sguardo maestoso ed onnipotente di Gesù, e sentiva le sue mani divine sostenergli il capo, e tergere i sudori, e raccoglieva dal suo labbro i conforti, i ringraziamenti, le benedizioni e le promesse. E parmi che dicesse Maria: « Giuseppe, tu ci abbandoni; tu hai finito la peregrinazione dell'esilio, tu mi precederai nella tua pace, discendendo il primo nel seno del nostro padre Abramo; oh Giuseppe, come ti son grata della soave compagnia, che mi facesti, dei buoni esempi che mi hai dato, della cura che avesti di me e delle cose mie e delle pene gravissime che soffristi per cagion mia! oh tu mi abbandoni, ma vivrai pur sempre nella mia memoria e nel mio cuore. Sta di buon animo, o Giuseppe, quoniam appropinquat redemptio nostra. » E parmi dicesse Gesù: « Giuseppe mio, tu muori, ma anch'io morrò, e se muoio io tu devi stimare la morte ed amarla come mercede. Breve, o Giuseppe, ha da essere il tempo delle tenebre e dell'aspettazione. {78 [358]} Vanne da Abramo e da Isacco i quali bramarono di vedermi e non furon degni; vanne a loro che da molti anni aspettano la mia venuta in quelle tenebre e loro annunzia la prossima liberazione; dillo a Noè, a Giuseppe, a Davidde, a Giuditta, a Geremia, ad Ezechiello, di a tutti quei Padri che ancor tre anni dovranno aspettare e poi sarà consumata l'Ostia ed il Sacrifizio e scancellata l'iniquità del mondo. Tu intanto dopo questo breve tempo sarai ravvivato e glorioso e bellissimo, e con me più glorioso più bello sorgerai nell'ebbrezza del trionfo. Vanne lieto, caro custode della mia vita, tu fosti buono e generoso per me, ma vincermi di gratitudine non può nessuno. » La santa Chiesa esprime le amorose ultime assistenze di Gesù e di Maria verso s. Giuseppe con queste parole: « Cuius extremas vigiles ad horas Christus et Mater simul astiterunt ore sereno. » Nelle ore estreme di s. Giuseppe con volto sereno assistevano colla più amorevole vigilanza Gesù e Maria. {79 [359]}

 

 

Capo XX. Morte di s. Giuseppe. - Sua sepoltura.

 

Nunc dimittis servum tuum Domine, secundum verbum tuum in pace, quia viderunt oculi mei salutare tuum.

Adesso lascia, o Signore, che se ne vada in pace il tuo servo secondo la tua parola: perchè gli occhi miei hanno veduto il Salvatore dato da te. LUC. II, 29.

 

            L'ultimo momento era giunto, Giuseppe fece uno sforzo supremo per alzarsi e adorare colui che gli uomini consideravano quale suo figlio, ma che Giuseppe conosceva per suo Signore e Dio. Egli voleva gettarsi a'  suoi piedi e domandargli la remissione de' suoi peccati. Ma Gesù non permise che egli s'inginocchiasse, e lo ricevette nelle sue braccia. Così poggiando il venerando capo sul Divin petto di Gesù colle labbra vicino a quel cuore adorabile spirava Giuseppe, dando agli uomini un ultimo esempio di fede e di umiltà. {80 [360]} Era il diciannovesimo giorno di marzo, l'anno di Roma 777, il venticinquesimo dalla nascita del Salvatore.

            Gesù e Maria piansero sulla fredda spoglia di Giuseppe, e fecero presso di lui la mesta veglia dei morti. Gesù lavò egli stesso questo corpo verginale, gli chiuse gli occhi e gli incrociò le mani sul petto; poi lo benedisse per preservarlo dalla corruzione della tomba, e pose a sua custodia gli angeli del Paradiso.

            I funerali del povero operaio furono modesti come modesta era stata tutta la sua vita. Ma se parvero tali in faccia alla terra ebbero per altro così grande onore che non vantarono certamente i più gloriosi imperatori del mondo, giacchè ebbero presso l'augusta salma il Re e la Regina del Cielo Gesù e Maria. Il corpo di Giuseppe fu deposto nel sepolcro de' suoi padri, nella valle di Giosafatte, tra la montagna di Sion e quella degli Oliveti. {81 [361]}

 

 

Capo XXI. Potenza di s. Giuseppe nel cielo. Motivi della nostra confidenza.

 

Ite ad Joseph.

Andate a Giuseppe e fate tutto quello che egli vi dirà. GEN. XLI, 55.

 

            Non sempre la gloria e la potenza dei giusti sopra la terra sono la misura certa del merito della loro santità; ma non è così di quella gloria e di quella potenza di cui essi sono rivestiti nel cielo, ove ognuno è ricompensato secondo le sue opere. Più essi sono stati santi agli occhi di Dio, più sono innalzati ad un grado sublime di potenza e di autorità.

            Stabilito una volta questo principio, non dobbiamo noi credere, che fra i beati che sono l'oggetto del nostro culto religioso, s. Giuseppe sia, dopo Maria, il più potente di tutti presso Dio, e colui che merita a più giusto {82 [362]} titolo la nostra confidenza ed i nostri omaggi? Di fatto quanti gloriosi privilegi lo distinguono dagli altri santi, e devono inspirarci per lui una profonda e tenera venerazione!

            Il figliuol di Dio che ha scelto Giuseppe per suo padre, per ricompensarne tutti i servigi e dargli in cambio le dimostrazioni del più tenero amore nel tempo della sua vita mortale, non l'ama meno in cielo di quello che lo amasse sopra la terra. Felice di aver l'intiera eternità per compensare il diletto suo padre di tutto quello che egli ha fatto per lui nella vita presente, con uno zelo così ardente, con una fedeltà così inviolabile ed un'umiltà tanto profonda. Ciò fa che il divin Salvatore è sempre disposto ad ascoltar favorevolmente tutte le sue preghiere, ed a soddisfare a tutti i suoi desiderii.

            Troviamo nei privilegi e nei favori di cui fu ricolmato l'antico Giuseppe, il quale non era che l'ombra del nostro vero Giuseppe,una figura del credito onnipossente di cui gode nel cielo il santo sposo di Maria. {83 [363]}

            Faraone per ricompensare i servigi, che da Giuseppe figliuolo di Giacobbe aveva ricevuto, lo stabilì intendente generale della sua casa, padrone di tutti i suoi beni volendo che ogni cosa si facesse secondo il suo cenno. Dopo averlo stabilito vicerè dell'Egitto gli affidò il sigillo della sua autorità reale, e gli donò il pieno potere di concedere tutte le grazie che volesse. Ordinò che fosse chiamato il salvatore del mondo, affinchè i suoi sudditi riconoscessero che a lui dovevano la loro salute; insomma mandava a Giuseppe tutti coloro che venivano per qualche favore, affinchè li ottenessero dalla sua autorità, e gli dimostrassero la loro riconoscenza: Ite ad Ioseph, et quidquid dixerit vobis, facile[8]; Andate da Giuseppe, fate tutto quello che egli vi dirà, e ricevete da lui quanto egli vorrà donarvi.

            Ma quanto più ancora sono maravigliosi e capaci d'inspirarci un'illimitata confidenza i privilegi del casto {84 [364]} sposo di Maria, del padre adottivo del Salvatore! Non è un re della terra come Faraone, ma è Dio onnipotente colui che ha voluto ricolmare de' suoi favori questo nuovo Giuseppe. Comincia per istabilirlo padrone e capo venerabile della santa famiglia; vuole che tutto gli obbedisca e gli sia sottomesso, perfino il proprio suo figlio a lui eguale in ogni cosa. Lo fa qual suo vicerè, volendo che rappresenti la sua adorabile persona sino a dargli il privilegio di portare il suo nome e di essere chiamato il padre del suo Unigenito. Mette nelle sue mani questo figlio, per farci conoscere che gli dà illimitato potere di far ogni grazia. Osservate come fa pubblicare nel vangelo per tutta la terra ed in tutti i secoli, che s. Giuscpppe è il padre del re dei re: Erant pater et mater eius mirantes[9]. Vuole che egli sia chiamato il Salvatore del mondo essendo che egli alimentò e conservò colui che è la salute di tutti gli uomini. Finalmente  {85 [365]} ci avverte che se desideriamo grazie e favori, a Giuseppe dobbiamo rivolgerci: Ite ad Ioseph, poichè egli è che ha ogni potere presso il re dei re per ottenere tutto ciò che domanda.

            La santa chiesa riconosce questo potere sovrano di Giuseppe giacchè ella domanda por sua intercessione ciò che non potrebbe ottenere da se stessa: Ut quod possibilitas nostra non obtinet, eius nobis intercessione donetur.

            Certi santi, dice il dottore angelico, hanno ricevuto da Dio il potere di assisterci in certi bisogni particolari; ma il credito di s. Giuseppe non ha limite; si estende a tutte le necessità, e tutti coloro i quali a lui ricorrono con fiducia sono certi d'essere prontamente esauditi. Santa Teresa ci dichiara che ella non ha mai domandato niente a Dio per intercessione di s. Giuseppe che non l'abbia tosto ottenuto: e la testimonianza di questa santa ne vale mille altre, giacchè era fondata sulla quotidiana esperienza de' suoi benefizii. Gli altri santi godono, è vero, un {86 [366]} credito grande nel cielo; ma essi intercedono supplicando come servi e non comandano come padroni. Giuseppe, il quale ha veduto Gesù e Maria sottomessi a se, può senza dubbio ottenere tutto quello che vuole dal re suo figlio e dalla regina sua sposa. Egli ha presso l'uno e presso l'altra un credito illimitato, e, come dice Gersone, egli più che supplicare, comanda: Non impetrat, sed imperai. Gesù, dice s. Bernardino da Siena, vuol continuare nel cielo a dare a s. Giuseppe prove del suo rispetto figliale obbedendo a tutti i suoi desideri: Dum pater orat natum, velut imperium reputatur.

            È difatto che potrebbe negare Gesù Cristo a Giuseppe, il quale niente negò mai a lui nel tempo della sua vita? Mosè non era nella sua vocazione se non il capo ed il conduttore del popolo d'Israele, eppure si portava con Dio con tanta autorità, che quando lo prega in favore di quel popolo ribelle ed incorreggibile, la sua preghiera sembra farsi comando, il {87 [367]} quale leghi in certo modo le mani alla divina maestà, e la riduca a non poter quasi castigare i colpevoli, finchè egli ne abbia renduto la libertà: Dimitte me, ut irascatur furor meus contro eos et deleam eos. (Esodo, XXXII).

            Ma quanto maggior virtù e potenza non avrà la preghiera che Giuseppe volge per noi al sovrano giudice, di cui egli fu guida e padre adottivo? Poichè se egli è vero, come dice s. Bernardo, che Gesù Cristo, il quale è nostro avvocato presso il padre, gli presenta le sacre sue piaghe ed il sangue adorabile che ha sparso per la nostra salute, se Maria, per parte sua presenta all'unico figlio il seno che lo portò e nutrì, non possiamo noi aggiungere che s. Giuseppe mostra al Figlio ed alla Madre le mani le quali hanno tanto affaticato per loro ed i sudori che egli ha sparso per guadagnare il loro vitto sopra la terra? E se Dio padre non può nulla negare al suo figlio diletto quando lo prega per le sue sacre piaghe, nè il {88 [368]} figlio nulla negare alla sua Santissima Madre quando lo scongiura per le viscere che lo hanno portato, non siam noi tenuti a credere che nè il Figlio, nè la Madre divenuta la dispensatrice delle grazie che Gesù Cristo ha meritato non possono nulla negare a s. Giuseppe quando egli li prega per tutto ciò che ha fatto per essi in trent'anni di sua vita?

            Immaginiamoci che il nostro santo protettore volga per noi a Gesù Cristo, di lui Figlio adottivo, questa commovente preghiera: « O mio divin Figlio, degnatevi di spargere le vostre più abbondanti grazie sopra i miei servi fedeli; io ve lo domando pel dolce nome di padre di cui mi avete tante volte onorato, per queste braccia che vi ricevettero e vi riscaldarono nella vostra nascita, che vi trasportarono in Egitto per salvarvi dal furor di Erode; ve lo chiedo per quegli occhi di cui asciugai le lacrime, per quel prezioso sangue che io raccolsi nella vostra circoncisione; per i travagli e le fatiche che io portai con tanta contentezza {89 [369]} per nudrire la vostra infanzia, per allevarvi nella vostra giovinezza...» Gesù còsi pieno di carità potrebbe egli resistere a tale preghiera? E se è scritto, dice s. Bernardo, che egli fa la volontà di coloro che lo temono, come può negare egli di fare quella di colui che lo servì e nutrì con tanta fedeltà, con tanto amore? Si voluntatem timentium se faciet; quomodo voluntatem nutrientis se non faciet?[10]

            Ma ciò che deve raddoppiar la nostra confidenza in s. Giuseppe si è la sua ineffabile carità per noi. Gesù facendosi suo figlio, gli mise nel cuore un amore più tenero di quello del migliore dei padri.

            Non siamo noi diventati suoi figli; mentre Gesù Cristo è nostro fratello e Maria, sua casta sposa, è nostra madre piena di misericordia?

            Rivolgiamoci dunque a s. Giuseppe con una viva e piena confidenza. La sua preghiera unita a quella di Maria {90 [370]} e presentata a Dio in nome dell'infanzia adorabile di Gesù Cristo, non può trovar rifiuto, ma senza più deve ottenere tutto ciò che domanda.

            Il potere di s. Giuseppe è illimitato; si estende a tutti i bisogni della nostr' anima e del nostro corpo.

            Dopo tre anni di malattia violenta e continua, che non le lasciava nè riposo, nè speranza di guarigione s. Teresa ebbe ricorso a s. Giuseppe; ed egli tosto le ottenne sanità.

            Egli è principalmente alla nostra ultima ora, allorchè la vita essendo sul punto di lasciarci come un falso amico, l'inferno raddoppierà i suoi sforzi per rapire la nostr' anima nel passaggio all'eternità, egli è in quel momento decisivo per la nostra salute che s. Giuseppe ci assisterà in un modo tutto speciale, qualora siamo fedeli a onorarlo ed a pregarlo in vita. Il divin Salvatore per ricompensarlo di averlo sottratto alla morte liberandolo dal furore di Erode, gli diede il privilegio speciale di sottrarre dalle insidie del demonio e dalla morte {91 [371]} eterna i moribondi che si sono messi sotto la sua protezione.

            Ecco il motivo per cui lo s'invoca con Maria in tutto il mondo cattolico, come patrono della buona morte. Oh! quanto saremmo felici, se potessimo morire come tanti fedeli servi di Dio, pronunziando i nomi onnipossenti di Gesù, Maria, Giuseppe. Il figlio di Dio, dice il venerabile Bernardo da Bustis, avendo le chiavi del paradiso, ne diede una a Maria, l'altra a Giuseppe, affinchè essi potessero introdurre tutti i loro servi fedeli nel luogo del refrigerio, della luce e della pace.

 

 

Capo XXII. Propagazione del culto ed istituzione della festa del 19 marzo e del Patrocinio di s. Giuseppe.

 

Qui custos est domini sui glorificabitur.

Chi custodisce il suo padrone sarà onorato. PROV. XXVII, 18.

 

            Come la divina Provvidenza dispose che s. Giuseppe morisse prima che Gesù si manifestasse pubblicamente quale {92 [372]} Salvatore degli uomini, così fece pure che il culto verso questo santo non si propagasse prima che la fede cattolica si fosse universalmente diffusa nel mondo. Difatto l' esaltare questo santo nei primi tempi del cristianesimo sembrava pericoloso alla fede ancor debole dei popoli. Alla dignità di Gesù Cristo era di somma convenienza che s'inculcasse esser egli nato da una vergine per opera dello Spirito Santo; ora il metter innanzi la memoria di s. Giuseppe sposo di Maria avrebbe fatto ombra a quella dogmatica credenza presso alcune menti deboli, non ancor illuminate intorno ai miracoli della potenza divina. D'altronde importava in quei secoli di battaglia di far principale oggetto di venerazione quei santi eroi che per sostener la fede avevano versato il sangue col martirio.

            Come poi fu consolidata nei popoli la fede e furono sollevati all'onore degli altari molti santi che avevano edificato la chiesa collo splendor delle loro virtù senza passare pei tormenti, {93 [373]} parve tosto di somma convenienza che non si lasciasse sotto silenzio un santo di cui il vangelo stesso faceva sì ampio elogio. Quindi i Greci oltre la festa di tutti gli antenati di Cristo (che furono giusti) la quale celebrano nella domenica che precede il giorno di Natale, consacrarono la domenica che corre in quest'ottava al culto specialmente di s. Giuseppe, sposo di Maria, del santo profeta Davide e di s. Giacomo cugino del Signore.

            Nel calendario dei Cofti sotto il giorno 20 luglio si fa menzione di s. Giuseppe, ed è opinione sostenuta da alcuni che il 4 luglio sia stato il giorno della morte del nostro santo.

            Nella chiesa latina poi il culto di s. Giuseppe rimonta all'antichità dei primi secoli come appare dagli antichissimi martirologi del monastero di s. Massimino di Treveri e di Eusebio. L' ordine dei frati mendicanti fu il primo a celebrarne l'uffizio proprio come rilevasi dai loro breviarii. Il loro esempio fu seguito nel decimoquarto secolo dai Francescani e dai Domenicani {94 [374]} per opera di Alberto Magno che fu maestro di s. Tommaso d'Aquino.

            Verso il fine del decimoquinto secolo la chiesa milanese e Toletana lo introdussero pure nella loro liturgia, finchè nell'anno 1522 la sede apostolica ne estese il culto a tutto l' orbe cattolico. Pio V, Urbano VIII e Sisto IV ne perfezionarono l'uffiziatura.

            La principessa Isabella Clara Eugenia di Spagna, erede dello spirito di santa Teresa devotissima di s. Giuseppe, recandosi nel Belgio ottenne che vi fosse instituita nella città di Brusselle una festa di precetto addì 19 marzo in onore di questo santo, e divulgatosi il culto nelle provincie vicine veniva proclamato e venerato sotto il titolo di conservator della pace e protettore della Boemia. Questa festa ebbe principio in Boemia l'anno 1655.

            Una parte del manto con cui s. Giuseppe ravvolse il santo bambino Gesù è conservata in Roma nella chiesa di santa Cecilia in Transtevere dove si conserva pure il bastone che questo santo portava viaggiando. L'altra parte {95 [375]} si conserva nella chiesa di santa Anastasia nella stessa città.

            Giusta quanto ci tramandarono testimonii di veduta questo manto è di color giallognolo. Una particella di questo fu data in dono dal Cardinale Ginetti ai Padri Carmelitani Scalzi di Anversa, custodita in una magnifica cassetta, sotto tre chiavi e viene esposta ogni anno alla pubblica venerazione nelle feste natalizie.

            Fra i sommi pontefici che concorsero colla loro autorità a promuovere il culto di questo santo si annovera Sisto IV il quale fu il primo ad instituirne la festa verso il fine del secolo XV. S. Pio V ne formulò l' uffizio nel Breviario Romano. Gregorio XV ed Urbano VIII si adoperarono con appositi decreti a riscuotere il fervore verso questo santo che pareva in alcuni popoli affievolito. Finchè il Sommo Pontefice Innocenzo X cedendo alle istanze di moltissime chiese della cristianità, bramoso anch'esso di promuovere la gloria del santissimo sposo di Maria e così renderne alla religione {96 [376]} più efficace il patrocinio, ne estese a solennità a tutto l'orbe cattolico.

            La festa di s. Giuseppe veniva pertanto fissata al giorno 19 di marzo, giorno che si crede piamente essere stato quello della beatissima sua morte (contro l'opinione di alcuni che vogliono essere questa avvenuta ai 4 del mese di luglio).

            Questa festa cadendo sempre nel tempo Quaresimale non poteva essere celebrata in giorno di Domenica, giacchè tutte le Domeniche della Quaresima sono privilegiate: quindi avrebbe dovuto bene spesso passare inosservata se la pietà ingegnosa dei fedeli non avesse trovato modo di supplirvi altrimenti.

            Fin dal 1621 l'Ordine dei Carmelitani scalzi avendo solennemente riconosciuto s. Giuseppe come patrono e padre universale del loro Istituto consacrava una delle Domeniche dopo Pasqua a celebrarne la solennità sotto il titolo di Patrocinio di s. Giuseppe. Dietro fervorosa domanda e dello stesso Ordine e di molte Chiese della Cristianità {97 [377]} la sacra Congregazione dei Riti con decreto del 1680 fissava questa solennità alla terza Domenica dopo Pasqua. Molte Chiese dell'orbe cattolico adottarono tosto spontaneamente questa festa. La Compagnia di Gesù, i Redentoristi, i Passionisti e la Società di Maria la celebrano con ottava ed uffizio proprio sotto il rito doppio di prima classe.

            La sacra Congregazione dei Riti finalmente per secondare ed animare sempre più la pietà dei fedeli verso questo gran Santo con un decreto del 10 settembre 1847 dietro istanza dell'Eminentissimo Cardinal Patrizi estendeva questa festa a tutta la Chiesa universale.

            Se mai furono tempi calamitosi per la Chiesa di Gesù Cristo, se mai la fede cattolica volse le sue preghiere al Cielo per implorarne un protettore sono pur troppo i giorni presenti. La nostra s. religione assalita ne' suoi più sacrosanti principii vede numerosi figli strapparsi con crudele indifferenza dal suo materno seno per darsi pazzamente {98 [378]} in braccio all' incredulismo ed alla scostumatezza, e diventando scandalosi apostoli dell'empietà trarre a traviamenti tanti loro fratelli, e dilaniare così il cuore a quella madre amorosa che li ha nutriti. Or bene mentre la divozione a san Giuseppe attirerebbe copiose benedizioni sulle famiglie de' suoi divoti, procurerebbe alla desolata sposa di Gesù Cristo il validissimo patrocinio di un santo, il quale come seppe un giorno serbar illesa la vita di Gesù dalla persecuzione che gli muoveva Erode, saprà bene serbar illesa la fede dei suoi figli dalla persecuzione che le muove l'inferno. Come il primo Giuseppe figliuolo di Giacobbe seppe mantenere l' abbondanza nel popolo d'Egitto durante sette anni di carestia, il vero Giuseppe più felice amministratore dei celesti tesori saprà mantener nel popolo cristiano quella fede santissima per stabilir la quale discese sulla terra quel Dio, di cui fu egli per trent'anni l'aio ed il custode. {99 [379]}

 

 

Sette allegrezze e sette dolori di S. Giuseppe.

 

            Indulgenza accordata da Pio IX ai fedeli che reciteranno questa corona che può servire di pratica per la novena del Santo.

 

            Il regnante Pio IX, ampliando le concessioni de' suoi predecessori, specialmente quelle di Gregorio XVI, accordò a' fedeli dell'uno e dell'altro sesso, i quali dopo aver recitali i seguenti ossequii, detti comunemente le sette Allegrezze ed i sette dolori di s. Giuseppe, per sette consecutive domeniche, in qualunque tempo dell'anno, visiteranno, confessati e comunicati, una Chiesa, od Oratorio pubblico, ed ivi pregheranno secondo la sua intenzione: indulgenza Plenaria applicabile ancora alle anime del Purgatorio, in ciascuna di dette domeniche.

            A coloro poi che non sanno leggere, o non potranno portarsi in qualche Chiesa, ove pubbicamente si fanno detti Ossequii, lo stesso Pontefice accordò la medesima Indulgenza Plenaria purchè, visitando la detta Chiesa e pregando come sopra, recitino, invece degli Ossequii suddetti, sette Pater, Ave e Gloria in onore del santo Patriarca. {100 [380]}

 

 

Corona dei sette dolori ed allegrezze di s. Giuseppe.

 

            1. O sposo purissimo di Maria Santissima, glorioso s. Giuseppe, siccome fu grande il travaglio e l'angustia del vostro cuore nella perplessità di abbandonare la vostra illibatissima sposa: così fu inesplicabile l'allegrezza quando dall' angelo vi fu rivelato il mistero sovrano dell'Incarnazione.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza vi preghiamo di consolar ora e negli estremi dolori l'anima nostra coll'allegrezza di una buona vita e di una santa morte somigliante alla vostra, in mezzo di Gesù e di Maria.

            Pater, Ave e Gloria.

            2. O felicissimo Patriarca, glorioso s. Giuseppe, che trascelto foste all'uffizio di Padre putativo dell' umanato Verbo, che dolore doveste sentire nel {101 [381]} vedere nascere con tanta povertà il bambino Gesù! ma questo si cambiò subito in giubilo celeste nell'udire l'armonia angelica e nell'udir le glorie di quella fortunatissima notte.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza vi supplichiamo d'impetrarci, che dopo il cammino di questa vita, ce ne passiamo ad udire le lodi angeliche, ed a godere gli splendori della celeste gloria.

            Pater, Ave e Gloria.

            3. O esecutore delle divine leggi, glorioso s. Giuseppe, il sangue preziosissimo che sparse nella circoncisione il Bambino Redentore vi trafisse il cuore, ma il nome di Gesù ve lo ravvivò, riempiendolo di contento.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza, otteneteci, che, tolto da noi ogni vizio in vita, col nome santissimo di Gesù nel cuore e nella bocca, giubilando spiriamo.

            Pater, Ave e Gloria.

            4. O fedelissimo Santo, che a parte foste dei Misteri della nostra Redenzione, {102 [382]} glorioso s. Giuseppe, se la profezia fatta da Simeone di ciò che Gesù e Maria erano per patire, vi cagionò spasimo di morte, vi ricolmò ancora di un beato godimento per la salute e gloriosa risurrezione, che insieme predisse dover seguirne, d'innumerabili anime.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza, impetrateci che noi siamo nel numero di quelli, che, per i meriti di Gesù e ad intercessione della Vergine sua Madre, hanno gloriosamente da risorgere.

            Pater, Ave e Gloria.

            5. O vigilantissimo custode, famigliare intrinseco dell'Incarnato Figliuolo di Dio, glorioso s. Giuseppe, quanto penaste in sostenere e servire il Figlio dell'Altissimo particolarmente nella fuga che doveste fare in Egitto; ma quanto ancora molto gioiste avendo sempre con voi l'istesso Dio, e vedendo cadere a terra gli Idoli Egiziani.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza, impetrateci, che tenendo da noi lontano il tiranno infernale, {103 [383]} specialmente colla fuga delle occasioni pericolose, cada dal nostro cuore ogni idolo di affetto terreno; e tutti impiegati nella servitù di Gesù e di Maria, per loro solamente da noi si viva, e felicemente si muoia.

            Pater, Ave e Gloria.

            6. O Angelo della terra, glorioso san Giuseppe, che a' vostri cenni ammiraste soggetto il Re del Cielo, so che la consolazione vostra nel ricondurlo dall'Egitto intorbidossi col timore di Archelao; ma so pure che assicurato dall'Angelo, lieto con Gesù e Maria, dimoraste in Nazareth.

            Per questo vostro dolore e per questa vostra allegrezza, impetrateci che da timori nocivi sgombrato il nostro cuore godiamo pace di coscienza e sicuri viviamo con Gesù e Maria e fra loro ancora moriamo.

            Pater, Ave e Gloria.

            7. O esemplare d'ogni Santità, glorioso s. Giuseppe, smarrito che aveste senza vostra colpa il fanciullo Gesù, {104 [384]} per maggior dolore tre giorni lo cercaste, finchè con sommo giubilo godeste della vostra Vita ritrovata nel tempio fra i dottori.

            Per questo dolore e per questa vostra allegrezza vi supplichiamo, col cuore sulle labbra, ad interporvi, onde non ci avvenga mai di perdere con colpa grave Gesù. Che se per somma disgrazia lo perdessimo, fate, che con tale indefesso dolore lo ricerchiamo, finchè favorevole lo ritroviamo, particolarmente nella nostra morte, per passare a goderlo in Cielo, ed ivi con voi in eterno cantare le sue divine misericordie.

            Pater, Ave e Gloria.

 

            Antif. Ipse Jesus erat incipiens quasi annorum triginta, ut putabatur Filius Joseph.

            Y. Ora prò nobis, sancte Joseph.

            R. Ut digni efficiamur promissionibus Christi.

 

Oremus.

 

            Deus, qui ineffabili providentia beatum Joseph sanctissimae Genitricis {105 [385]} tuae Sponsum eligere dignatus es, praesta quaesumus, ut quem protectorem veneramur in terris, intercessorem habere mereamur in Coelis. Qui vivis et regnas in secula seculorum.

            R. Amen.

 

Altra orazione a s. Giuseppe.

 

            Dio vi salvi, o Giuseppe, pieno di grazia; Gesù e Maria sono con voi; voi siete benedetto fra gli uomini, e benedetto è il frutto del seno della vostra sposa Maria. S. Giuseppe, padre putativo di Gesù, vergine sposo di Maria, pregate per noi peccatori adesso e nell'ora della morte nostra. Così sia.

 

 

Con permissione Ecclesiastica. {106 [386]}


La chiesa trionfante

Beata Anna Katharina Emmerick

Ricevetti una visione indescrivibilmente significativa:
mi apparve un tavolo enorme, rosso e ricoperto da un trasparente bianco, apparecchiato con una quantità di vere pietanze. Sopra si vedevano anfore dorate che avevano ai margini lettere blu. Dappertutto c’era della frutta e dei fiori in un radioso sviluppo. Intorno a questa tavola su troni sedevano i Santi, raggruppati tra di loro nei diversi ordini di appartenenza. Religiosi di tutti i tipi, vescovi che servivano a tavola e si prendevano cura della stessa. Io ero presso questa tavola enorme e potei vedere tutto il giardino grandioso, che si suddivideva formando tanti altri piccoli giardini con tavole secondarie, pieno di Cori, anch’essi suddivisi in singoli giardini. Ma tutta l’armonia scorreva e aveva origine unicamente da quel grande tavolo al centro. In tutti questi giardini, campi, aiuole, fiori e frutta si trova tutto ciò che vive in ogni essere umano. Il godimento della frutta non aveva certo per significato il mangiare, ma la presa di coscienza di sé. Tutti i Santi erano rappresentati con i loro attributi, alcuni vescovi avevano chiese nelle mani perché ne erano stati i fondatori, altri invece solo bacchette perché avevano avuto una funzione di controllo.

Intorno ai Santi c’erano anche molti alberi pieni di frutta ed io desideravo tanto che i poveri ne potessero trarre profitto. Allora smossi quegli alberi e tanta frutta cadde sulle singole contrade della terra ‘. Vidi anche i Santi che tutti assieme, seppur distinti sempre in gruppi, trasportavano impalcature, fiori e corone per montare un grande trono all’estremità della tavola. Questo lavoro procedeva in modo inesprimibilmente ordinato e si muoveva armonicamente senza carenze, mancanze, peccati e morte e senza artifici. Frattanto guardiani e soldati spirituali sorvegliavano la tavola. I ventiquattro anziani sedevano su seggi meravigliosi intorno al trono. Alcuni di questi avevano nelle mani arpe e altri incensi, cantavano e incensavano. Improvvisamente vidi un’immagine scendere dall’alto e calare obliquamente sul trono preparato precedentemente. Aveva le sembianze di un vecchio con una triplice corona e un mantello spiegato. Sulla fronte si faceva notare una massa di luce triangolare dove si specchiava tutto quello che c’era all’intorno. Sembrava che tutto ciò che si trovava intorno fosse causato dalla sua stessa immagine oppure accolto dalla stessa.
Dalla sua bocca fuoriusciva un fascio di luce nel quale vidi una quantità di parole. Distinsi lettere e numeri del tutto semplici. Ho dimenticato quali erano. Un po più in giù, davanti al suo petto, vidi un Bambino crocefisso avvolto da uno splendore inesprimibile. Dalle piaghe, dove si trovavano grandi glorie, fuoruscivano fasci di luce del colore dell’arcobaleno. Questi fasci di luce investivano tutti i Santi e si fondevano in un solo armonico splendore di colori, con le diverse glorie delle sante piaghe dei medesimi. Si creava così nel cosmo una tale armonia e un sentimento di leggerezza e libertà, che non è possibile accennarne la descrizione. Il flusso di raggi, che fuoriusciva dalle piaghe dei Santi, era come una pioggia di vere e proprie pietre preziose dagli svariati colori che cadeva sulla terra. Allora appresi, con la comprensione dell’anima, i valori, l’energia, i misteri delle vere e proprie pietre preziose, e sopratutto la conoscenza di tutti i colori dell’universo. Tra la croce e l’occhio della fronte del vecchio si trovava lo Spirito Santo, come una figura alata, mentre dall’occhio e dalla croce si diffondevano raggi di luce meravigliosa. Un pò più in basso della croce c’era la Beata Vergine Maria circondata da molte vergini; attorno alla croce, a mezza altezza, vidi papi, apostoli e vergini.
In tutte queste apparizioni, i Santi e gli innumerevoli Angeli, si muovevano in larghi circoli in una perfetta armonia d’insieme. L’impressione dell’insieme fu chiara e lucida e perfino molto più grande di quella di un universo stellato. Anche di questa non posso renderne la spiegazione dettagliata».