Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 32° settimana del tempo ordinario (San Giosafat)
Vangelo secondo Giovanni 16
1Vi ho detto queste cose perché non abbiate a scandalizzarvi.2Vi scacceranno dalle sinagoghe; anzi, verrà l'ora in cui chiunque vi ucciderà crederà di rendere culto a Dio.3E faranno ciò, perché non hanno conosciuto né il Padre né me.4Ma io vi ho detto queste cose perché, quando giungerà la loro ora, ricordiate che ve ne ho parlato.
Non ve le ho dette dal principio, perché ero con voi.
5Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi domanda: Dove vai?6Anzi, perché vi ho detto queste cose, la tristezza ha riempito il vostro cuore.7Ora io vi dico la verità: è bene per voi che io me ne vada, perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma quando me ne sarò andato, ve lo manderò.8E quando sarà venuto, egli convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio.9Quanto al peccato, perché non credono in me;10quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più;11quanto al giudizio, perché il principe di questo mondo è stato giudicato.
12Molte cose ho ancora da dirvi, ma per il momento non siete capaci di portarne il peso.13Quando però verrà lo Spirito di verità, egli vi guiderà alla verità tutta intera, perché non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e vi annunzierà le cose future.14Egli mi glorificherà, perché prenderà del mio e ve l'annunzierà.15Tutto quello che il Padre possiede è mio; per questo ho detto che prenderà del mio e ve l'annunzierà.
16Ancora un poco e non mi vedrete; un po' ancora e mi vedrete".17Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: "Che cos'è questo che ci dice: Ancora un poco e non mi vedrete, e un po' ancora e mi vedrete, e questo: Perché vado al Padre?".18Dicevano perciò: "Che cos'è mai questo "un poco" di cui parla? Non comprendiamo quello che vuol dire".19Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: "Andate indagando tra voi perché ho detto: Ancora un poco e non mi vedrete e un po' ancora e mi vedrete?20In verità, in verità vi dico: voi piangerete e vi rattristerete, ma il mondo si rallegrerà. Voi sarete afflitti, ma la vostra afflizione si cambierà in gioia.
21La donna, quando partorisce, è afflitta, perché è giunta la sua ora; ma quando ha dato alla luce il bambino, non si ricorda più dell'afflizione per la gioia che è venuto al mondo un uomo.22Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e23nessuno vi potrà togliere la vostra gioia. In quel giorno non mi domanderete più nulla.
In verità, in verità vi dico: Se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà.24Finora non avete chiesto nulla nel mio nome. Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena.
25Queste cose vi ho dette in similitudini; ma verrà l'ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi parlerò del Padre.26In quel giorno chiederete nel mio nome e io non vi dico che pregherò il Padre per voi:27il Padre stesso vi ama, poiché voi mi avete amato, e avete creduto che io sono venuto da Dio.28Sono uscito dal Padre e sono venuto nel mondo; ora lascio di nuovo il mondo, e vado al Padre".29Gli dicono i suoi discepoli: "Ecco, adesso parli chiaramente e non fai più uso di similitudini.30Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t'interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio".31Rispose loro Gesù: "Adesso credete?32Ecco, verrà l'ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto proprio e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me.
33Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo!".
Giudici 1
1Dopo la morte di Giosuè, gli Israeliti consultarono il Signore dicendo: "Chi di noi andrà per primo a combattere contro i Cananei?".2Il Signore rispose: "Andrà Giuda: ecco, ho messo il paese nelle sue mani".3Allora Giuda disse a Simeone suo fratello: "Vieni con me nel paese, che mi è toccato in sorte, e combattiamo contro i Cananei; poi anch'io verrò con te in quello che ti è toccato in sorte". Simeone andò con lui.4Giuda dunque si mosse e il Signore mise nelle loro mani i Cananei e i Perizziti; sconfissero a Bezek diecimila uomini.5Incontrato Adoni-Bezek a Bezek, l'attaccarono e sconfissero i Cananei e i Perizziti.6Adoni-Bezek fuggì, ma essi lo inseguirono, lo catturarono e gli amputarono i pollici delle mani e dei piedi.7Adoni-Bezek disse: "Settanta re con i pollici delle mani e dei piedi amputati, raccattavano gli avanzi sotto la mia tavola. Quello che ho fatto io, Dio me lo ripaga". Lo condussero poi a Gerusalemme dove morì.
8I figli di Giuda attaccarono Gerusalemme e la presero; la passarono a fil di spada e l'abbandonarono alle fiamme.
9Poi andarono a combattere contro i Cananei che abitavano le montagne, il Negheb e la Sefela.10Giuda marciò contro i Cananei che abitavano a Ebron, che prima si chiamava Kiriat-Arba, e sconfisse Sesai, Achiman e Talmai.11Di là andò contro gli abitanti di Debir, che prima si chiamava Kiriat-Sefer.12Allora Caleb disse: "A chi batterà Kiriat-Sefer e la prenderà io darò in moglie Acsa mia figlia".13La prese Otniel, figlio di Kenaz, fratello minore di Caleb, e questi gli diede in moglie sua figlia Acsa.14Ora, mentre andava dal marito, egli la indusse a chiedere un campo a suo padre. Essa scese dall'asino e Caleb le disse: "Che hai?".15Essa rispose: "Fammi un dono; poiché tu mi hai dato una terra arida, dammi anche qualche fonte d'acqua". Egli le donò la sorgente superiore e la sorgente inferiore.
16I figli del suocero di Mosè, il Kenita, salirono dalla città delle Palme con i figli di Giuda nel deserto di Giuda, a mezzogiorno di Arad; andarono dunque e si stabilirono in mezzo al popolo.17Poi Giuda marciò con Simeone suo fratello: sconfissero i Cananei che abitavano in Sefat, votarono allo sterminio la città, che fu chiamata Corma.18Giuda prese anche Gaza con il suo territorio, Ascalon con il suo territorio ed Ekron con il suo territorio.19Il Signore fu con Giuda, che scacciò gli abitanti delle montagne, ma non poté espellere gli abitanti della pianura, perché muniti di carri di ferro.20Come Mosè aveva ordinato, Ebron fu data a Caleb, che da essa scacciò i tre figli di Anak.
21I figli di Beniamino non scacciarono i Gebusei che abitavano Gerusalemme, perciò i Gebusei abitano con i figli di Beniamino in Gerusalemme fino ad oggi.
22Anche la casa di Giuseppe marciò contro Betel e il Signore fu con loro.23La casa di Giuseppe mandò a esplorare Betel, città che prima si chiamava Luz.24Gli esploratori videro un uomo che usciva dalla città e gli dissero: "Insegnaci una via di accesso alla città e noi ti faremo grazia".25Egli insegnò loro la via di accesso alla città ed essi passarono la città a fil di spada, ma risparmiarono quell'uomo con tutta la sua famiglia.26Quell'uomo andò nel paese degli Hittiti e vi edificò una città che chiamò Luz: questo è il suo nome fino ad oggi.
27Manàsse non scacciò gli abitanti di Beisan e delle sue dipendenze, né quelli di Taanach e delle sue dipendenze, né quelli di Dor e delle sue dipendenze, né quelli d'Ibleam e delle sue dipendenze, né quelli di Meghiddo e delle sue dipendenze; i Cananei continuarono ad abitare in quel paese.28Quando Israele divenne più forte, costrinse ai lavori forzati i Cananei, ma non li scacciò del tutto.29Nemmeno Efraim scacciò i Cananei, che abitavano a Ghezer, perciò i Cananei abitarono in Ghezer in mezzo ad Efraim.
30Zàbulon non scacciò gli abitanti di Kitron, né gli abitanti di Naalol; i Cananei abitarono in mezzo a Zàbulon e furono ridotti in schiavitù.31Aser non scacciò gli abitanti di Acco, né gli abitanti di Sidòne, né quelli di Aclab, di Aczib, di Elba, di Afik, di Recob;32i figli di Aser si stabilirono in mezzo ai Cananei che abitavano il paese, perché non li avevano scacciati.33Nèftali non scacciò gli abitanti di Bet-Semes, né gli abitanti di Bet-Anat e si stabilì in mezzo ai Cananei che abitavano il paese; ma gli abitanti di Bet-Semes e di Bet-Anat furono da loro costretti ai lavori forzati.34Gli Amorrei respinsero i figli di Dan sulle montagne e non li lasciarono scendere nella pianura.35Gli Amorrei continuarono ad abitare Ar-Cheres, Aialon e Saalbim; ma la mano della casa di Giuseppe si aggravò su di loro e furono costretti ai lavori forzati.36Il confine degli Amorrei si estendeva dalla salita di Akrabbim, da Sela in su.
Siracide 10
1Un governatore saggio educa il suo popolo,
l'autorità di un uomo assennato sarà ben ordinata.
2Quale il governatore del popolo, tali i suoi ministri;
quale il capo di una città, tali tutti gli abitanti.
3Un re senza formazione rovinerà il suo popolo;
una città prospererà per il senno dei capi.
4Il governo del mondo è nelle mani del Signore;
egli vi susciterà al momento giusto l'uomo adatto.
5Il successo dell'uomo è nelle mani del Signore,
che investirà il magistrato della sua autorità.
6Non crucciarti con il tuo prossimo per un torto
qualsiasi;
non far nulla in preda all'ira.
7Odiosa al Signore e agli uomini è la superbia,
all'uno e agli altri è in abominio l'ingiustizia.
8L'impero passa da un popolo a un altro
a causa delle ingiustizie, delle violenze e delle
ricchezze.
9Perché mai si insuperbisce chi è terra e cenere?
Anche da vivo le sue viscere sono ripugnanti.
10La malattia è lunga, il medico se la ride;
chi oggi è re, domani morirà.
11Quando l'uomo muore eredita insetti, belve e vermi.
12Principio della superbia umana è allontanarsi dal
Signore,
tenere il proprio cuore lontano da chi l'ha creato.
13Principio della superbia infatti è il peccato;
chi vi si abbandona diffonde intorno a sé l'abominio.
Per questo il Signore rende incredibili i suoi castighi
e lo flagella sino a finirlo.
14Il Signore ha abbattuto il trono dei potenti,
al loro posto ha fatto sedere gli umili.
15Il Signore ha estirpato le radici delle nazioni,
al loro posto ha piantato gli umili.
16Il Signore ha sconvolto le regioni delle nazioni,
e le ha distrutte fin dalle fondamenta della terra.
17Le ha estirpate e annientate,
ha fatto scomparire dalla terra il loro ricordo.
18Non è fatta per gli uomini la superbia,
né per i nati di donna l'arroganza.
19Quale stirpe è onorata? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è onorata? Coloro che temono il Signore.
20Quale stirpe è ignobile? La stirpe dell'uomo.
Quale stirpe è ignobile?
Coloro che trasgrediscono i comandamenti.
21Tra i fratelli è onorato il loro capo,
ma coloro che temono il Signore lo sono ai suoi occhi.
22Uno ricco, onorato o povero,
ponga il proprio vanto nel timore del Signore.
23Non è giusto disprezzare un povero assennato
e non conviene esaltare un uomo peccatore.
24Il nobile, il giudice e il potente sono onorati;
ma nessuno di loro è più grande di chi teme il Signore.
25Uomini liberi serviranno un servo sapiente;
un uomo intelligente non mormora per questo.
26Non fare il saccente nel compiere il tuo lavoro
e non gloriarti al momento del bisogno.
27Meglio uno che lavora e abbonda di tutto
che chi va in giro vantandosi e manca di cibo.
28Figlio, con modestia glorifica l'anima tua
e rendile onore secondo che merita.
29Chi darà ragione a uno che si dà torto da sé?
Chi stimerà uno che si disprezza?
30Un povero è onorato per la sua scienza,
un ricco è onorato per la sua ricchezza.
31Chi è onorato nella povertà,
quanto più lo sarà nella ricchezza?
Chi è disprezzato nella ricchezza,
quanto più lo sarà nella povertà?
Salmi 41
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
4Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
5Io ho detto: "Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato".
6I nemici mi augurano il male:
"Quando morirà e perirà il suo nome?".
7Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.
8Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
9"Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi".
10Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.
11Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami,
che io li possa ripagare.
12Da questo saprò che tu mi ami
se non trionfa su di me il mio nemico;
13per la mia integrità tu mi sostieni,
mi fai stare alla tua presenza per sempre.
14Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.
Lamentazioni 5
1Ricordati, Signore, di quanto ci è accaduto,
guarda e considera il nostro obbrobrio.
2La nostra eredità è passata a stranieri,
le nostre case a estranei.
3Orfani siam diventati, senza padre;
le nostre madri come vedove.
4L'acqua nostra beviamo per denaro,
la nostra legna si acquista a pagamento.
5Con un giogo sul collo siamo perseguitati
siamo sfiniti, non c'è per noi riposo.
6All'Egitto abbiamo teso la mano,
all'Assiria per saziarci di pane.
7I nostri padri peccarono e non sono più,
noi portiamo la pena delle loro iniquità.
8Schiavi comandano su di noi,
non c'è chi ci liberi dalle loro mani.
9A rischio della nostra vita ci procuriamo il pane
davanti alla spada nel deserto.
10La nostra pelle si è fatta bruciante come un forno
a causa degli ardori della fame.
11Han disonorato le donne in Sion,
le vergini nelle città di Giuda.
12I capi sono stati impiccati dalle loro mani,
i volti degli anziani non sono stati rispettati.
13I giovani han girato la mola;
i ragazzi son caduti sotto il peso della legna.
14Gli anziani hanno disertato la porta,
i giovani i loro strumenti a corda.
15La gioia si è spenta nei nostri cuori,
si è mutata in lutto la nostra danza.
16È caduta la corona dalla nostra testa;
guai a noi, perché abbiamo peccato!
17Per questo è diventato mesto il nostro cuore,
per tali cose si sono annebbiati i nostri occhi:
18perché il monte di Sion è desolato;
le volpi vi scorrazzano.
19Ma tu, Signore, rimani per sempre,
il tuo trono di generazione in generazione.
20Perché ci vuoi dimenticare per sempre?
Ci vuoi abbandonare per lunghi giorni?
21Facci ritornare a te, Signore, e noi ritorneremo;
rinnova i nostri giorni come in antico,
22poiché non ci hai rigettati per sempre,
né senza limite sei sdegnato contro di noi.
Seconda lettera ai Corinzi 8
1Vogliamo poi farvi nota, fratelli, la grazia di Dio concessa alle Chiese della Macedonia:2nonostante la lunga prova della tribolazione, la loro grande gioia e la loro estrema povertà si sono tramutate nella ricchezza della loro generosità.3Posso testimoniare infatti che hanno dato secondo i loro mezzi e anche al di là dei loro mezzi, spontaneamente,4domandandoci con insistenza la grazia di prendere parte a questo servizio a favore dei santi.5Superando anzi le nostre stesse speranze, si sono offerti prima di tutto al Signore e poi a noi, secondo la volontà di Dio;6cosicché abbiamo pregato Tito di portare a compimento fra voi quest'opera generosa, dato che lui stesso l'aveva incominciata.
7E come vi segnalate in ogni cosa, nella fede, nella parola, nella scienza, in ogni zelo e nella carità che vi abbiamo insegnato, così distinguetevi anche in quest'opera generosa.8Non dico questo per farvene un comando, ma solo per mettere alla prova la sincerità del vostro amore con la premura verso gli altri.9Conoscete infatti la grazia del Signore nostro Gesù Cristo: da ricco che era, si è fatto povero per voi, perché voi diventaste ricchi per mezzo della sua povertà.10E a questo riguardo vi do un consiglio: si tratta di cosa vantaggiosa per voi, che fin dall'anno passato siete stati i primi, non solo a intraprenderla ma a desiderarla.11Ora dunque realizzatela, perché come vi fu la prontezza del volere, così anche vi sia il compimento, secondo i vostri mezzi.12Se infatti c'è la buona volontà, essa riesce gradita secondo quello che uno possiede e non secondo quello che non possiede.13Qui non si tratta infatti di mettere in ristrettezza voi per sollevare gli altri, ma di fare uguaglianza.14Per il momento la vostra abbondanza supplisca alla loro indigenza, perché anche la loro abbondanza supplisca alla vostra indigenza, e vi sia uguaglianza, come sta scritto:
15'Colui che raccolse molto non abbondò,
e colui che raccolse poco non ebbe di meno'.
16Siano pertanto rese grazie a Dio che infonde la medesima sollecitudine per voi nel cuore di Tito!17Egli infatti ha accolto il mio invito e ancor più pieno di zelo è partito spontaneamente per venire da voi.18Con lui abbiamo inviato pure il fratello che ha lode in tutte le Chiese a motivo del vangelo;19egli è stato designato dalle Chiese come nostro compagno in quest'opera di carità, alla quale ci dedichiamo per la gloria del Signore, e per dimostrare anche l'impulso del nostro cuore.20Con ciò intendiamo evitare che qualcuno possa biasimarci per questa abbondanza che viene da noi amministrata.21'Ci preoccupiamo' infatti 'di comportarci bene' non soltanto 'davanti al Signore', ma 'anche' davanti 'agli uomini'.22Con loro abbiamo inviato anche il nostro fratello, di cui abbiamo più volte sperimentato lo zelo in molte circostanze; egli è ora più zelante che mai per la grande fiducia che ha in voi.
23Quanto a Tito, egli è mio compagno e collaboratore presso di voi; quanto ai nostri fratelli, essi sono delegati delle Chiese e gloria di Cristo.24Date dunque a loro la prova del vostro affetto e della legittimità del nostro vanto per voi davanti a tutte le Chiese.
Capitolo XXI: La compunzione del cuore
Leggilo nella Biblioteca 1. Se vuoi fare qualche progresso conservati nel timore di Dio, senza ambire a una smodata libertà; tieni invece saldamente a freno i tuoi sensi, senza lasciarti andare a una stolta letizia. Abbandonati alla compunzione di cuore, e ne ricaverai una vera devozione. La compunzione infatti fa sbocciare molte cose buone, che, con la leggerezza di cuore, sogliono subitamente disperdersi. E' meraviglia che uno possa talvolta trovare piena letizia nella vita terrena, se considera che questa costituisce un esilio e se riflette ai tanti pericoli che la sua anima vi incontra. Per leggerezza di cuore e noncuranza dei nostri difetti spesso non ci rendiamo conto dei guai della nostra anima; anzi, spesso ridiamo stoltamente, quando, in verità, dovremmo piangere. Non esiste infatti vera libertà, né santa letizia, se non nel timore di Dio e nella rettitudine di coscienza. Felice colui che riesce a liberarsi da ogni impaccio dovuto a dispersione spirituale, concentrando tutto se stesso in una perfetta compunzione. Felice colui che sa allontanare tutto ciò che può macchiare o appesantire il suo spirito. Tu devi combattere da uomo: l'abitudine si vince con l'abitudine. Se impari a non curarti della gente, questa lascerà che tu attenda tranquillamente a te stesso. Non portare dentro di te le faccende degli altri, non impicciarti neppure di quello che fanno le persone più in vista; piuttosto vigila sempre e in primo luogo su di te, e rivolgi il tuo ammonimento particolarmente a te stesso, prima che ad altre persone, anche care. Non rattristarti se non ricevi il favore degli uomini; quello che ti deve pesare, invece, è la constatazione di non essere del tutto e sicuramente nella via del bene, come si converrebbe a un servo di Dio e a un monaco pieno di devozione.
2. E' grandemente utile per noi, e ci dà sicurezza di spirito, non ricevere molte gioie in questa vita; particolarmente gioie materiali. Comunque, è colpa nostra se non riceviamo consolazioni divine o ne proviamo raramente; perché non cerchiamo la compunzione del cuore e non respingiamo del tutto le vane consolazioni che vengono dal di fuori. Riconosci di essere indegno della consolazione divina, e meritevole piuttosto di molte sofferenze, Quando uno è pienamente compunto in se stesso, ogni cosa di questo mondo gli appare pesante e amara. L'uomo retto, ben trova motivo di pianto doloroso. Sia che rifletta su di sé o che vada pensando agli altri, egli comprende che nessuno vive quaggiù senza afflizioni; e quanto più severamente si giudica, tanto maggiormente si addolora. Sono i nostri peccati e i nostri vizi a fornire materia di giusto dolore e di profonda compunzione; peccato e vizi dai quali siamo così avvolti e schiacciati che raramente riusciamo a guardare alle cose celesti. Se il nostro pensiero andasse frequentemente alla morte, più che alla lunghezza della vita, senza dubbio ci emenderemmo con maggior fervore. Di più, se riflettessimo nel profondo del cuore alle sofferenze future dell'inferno e del purgatorio, accetteremmo certamente fatiche e dolori, e non avremmo paura di un duro giudizio. Invece queste cose non penetrano nel nostro animo; perciò restiamo attaccati alle dolci mollezze, restiamo freddi e assai pigri. Spesso, infatti, è sorta di spirituale povertà quella che facilmente invade il nostro misero corpo. Prega dunque umilmente il Signore che ti dia lo spirito di compunzione; e di', con il profeta: nutrimi, o Signore, "con il pane delle lacrime; dammi, nelle lacrime, copiosa bevanda" (Sal 79,6).
Omelia 59: Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato.
Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca[Maestro di umiltà con la parola e con l'esempio.]
1. Abbiamo ascoltato nel santo Vangelo le parole del Signore: In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è superiore a chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, beati sarete se le mettete in pratica (Gv 13, 16-17). Disse questo perché, avendo lavato i piedi dei discepoli, si era dimostrato maestro di umiltà con la parola e con l'esempio. Potremo ora, con il suo aiuto, esaminare meglio le cose che presentano qualche difficoltà, se non ci soffermeremo in quelle che sono chiare. Dopo aver detto dunque queste parole, il Signore aggiunse: Non parlo di tutti voi: io conosco quelli che ho eletti; ma si deve adempiere la Scrittura: Uno che mangia il pane con me, leverà il calcagno contro di me (Gv 13, 18). Cioè: mi calpesterà. L'allusione era evidente: si riferiva a Giuda il traditore. Il Signore dunque non lo aveva eletto, dato che con questa dichiarazione lo distingue da quelli che aveva eletti. Dicendo: Beati voi se mettete in pratica queste cose; non parlo di tutti voi, implicitamente dice che c'è tra loro chi non è beato e che non metterà in pratica queste cose. Io conosco quelli che ho eletti. E chi sono costoro se non quelli che saranno beati col mettere in pratica quanto ha ordinato e confermato con l'esempio colui che può rendere gli uomini beati? Giuda il traditore, egli dice, non è stato eletto. Come si spiega allora l'affermazione altrove riportata: Non vi ho io scelto tutti e dodici, eppure uno di voi è un diavolo (Gv 6, 71)? Oppure anch'egli è stato scelto per un compito per il quale era necessario, ma non per la beatitudine della quale egli dice: Beati voi se metterete in pratica queste cose? Questo non lo dice di tutti; egli infatti conosce quelli che ha eletti a partecipare a questa beatitudine. Di essi non fa parte colui che mangiando il pane del Signore, ha levato contro di lui il suo calcagno. Gli altri mangiavano il pane nutrendosi del Signore, Giuda mangiava il pane del Signore contro il Signore: quelli mangiavano la vita, questi la sua condanna. Chi mangia indegnamente - dice l'Apostolo - mangia la propria condanna (1 Cor 11, 29). Ve lo dico fin d'ora, prima che accada - continua il Signore - affinché, quando sarà accaduto, crediate che io sono (Gv 13, 19); che, cioè, io sono colui del quale profetizzò la Scrittura, laddove dice: Uno che mangia il pane con me, leverà il calcagno contro di me.
2. E prosegue: In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato (Gv 13, 20). Egli vuole forse farci intendere con queste parole che tra lui e quello che egli manda, c'è la medesima distanza che esiste tra lui e Dio Padre? Se così intendiamo le sue parole, non so quanti gradini dovremo ammettere seguendo, Dio non voglia, gli ariani. Essi infatti, ascoltando o leggendo queste parole del Vangelo, immediatamente si affrettano a fare quei gradini della loro dottrina, che certo non li conducono alla vita ma li precipitano nella morte. Subito dicono: Benché il Figlio abbia detto: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, tra l'apostolo del Figlio e il Figlio esiste la stessa distanza che c'è tra il Figlio e il Padre, quantunque egli abbia detto: Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato. Ma se dici così, o eretico, hai dimenticato i tuoi gradini. Se infatti, basandoti su queste parole del Signore, tra il Figlio e il Padre poni la medesima distanza che poni tra l'apostolo e il Figlio, dove metterai lo Spirito Santo? Hai dimenticato che siete soliti metterlo dopo il Figlio? Si verrà dunque a trovare tra l'apostolo e il Figlio; e allora il Figlio finirà col distare dall'apostolo molto più di quanto non dista dal Padre. O forse, per mantenere la medesima distanza tra il Figlio e l'apostolo, e tra il Padre e il Figlio, dirai che lo Spirito Santo è uguale al Figlio? Ma questo non volete ammetterlo. E allora, dove lo metterete, se tra il Figlio e il Padre voi ponete la medesima distanza che c'è tra l'apostolo e il Figlio? Vogliate dunque reprimere questa vostra temeraria audacia, e smettetela di appoggiarvi su queste parole per sostenere che tra il Figlio e l'apostolo c'è la medesima distanza che esiste tra il Padre e il Figlio. Ascoltate piuttosto quanto dice lo stesso Figlio: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Con questa affermazione la Verità non vi lascia alcuna possibilità di pensare che ci sia distanza tra il Padre e l'Unigenito. Con questa affermazione Cristo elimina tutti i vostri gradini, la Pietra manda in frantumi le vostre scale gerarchiche.
[Il Padre e il Figlio sono della medesima natura.]
3. Ma ora che abbiamo respinto l'insinuazione degli eretici, in che senso dobbiamo intendere queste parole del Signore: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me, e chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato? Se noi intendiamo le parole: Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato nel senso che il Padre e il Figlio sono della medesima natura, logicamente, dato il parallelismo delle due frasi, dovremo intendere anche le altre parole: chi accoglie colui che io manderò, accoglie me nel senso che anche l'apostolo ha la stessa natura del Figlio. E' possibile anche questa interpretazione, e non è sconveniente, considerando che il campione lieto di percorrere la sua via (cf. Sal 18, 6) è in possesso dell'una e dell'altra natura, dato che il Verbo si è fatto carne (cf. Gv 1, 14), cioè Dio si è fatto uomo. Si potrebbe quindi supporre che il Signore abbia detto: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me in quanto era uomo; e abbia detto: Chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato in quanto era Dio. Con queste parole non voleva richiamarsi all'unità di natura, ma piuttosto affermare l'autorità di colui che manda in colui che è mandato; di modo che ciascuno accolga colui che è stato mandato, considerando in lui chi lo ha mandato. Così, se tu consideri Cristo in Pietro, vi troverai il maestro del discepolo; se invece consideri il Padre nel Figlio, troverai il Genitore dell'Unigenito, e accoglierai, senza timore di sbagliare, colui che manda in colui che è mandato. Le parole del Vangelo che vengono dopo, non possono essere coartate nella ristrettezza del tempo che ci rimane. Perciò, o carissimi, se quanto avete ascoltato lo ritenete un sufficiente nutrimento per le anime fedeli, cercate di gustarlo e di trarne profitto; se lo trovate scarso, ruminatelo col desiderio di un nutrimento più abbondante.
7 - Come l'Altissimo diede inizio alle sue opere
La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca80. Causa di tutte le cause, e creatore di tutto quello che esiste, fu Dio. Egli, col potere del suo braccio, volle dare inizio a tutte le sue ammirabili opere ad extra quando e come fu sua volontà. L'ordine e l'inizio di questa creazione viene da Mosè riferito nel primo capitolo del libro della Genesi e poiché il Signore me ne ha dato la comprensione, dirò qui quello che conviene, per indagare sin dal loro principio le opere e i misteri dell'incarnazione del Verbo e della nostra redenzione.
81. Il capitolo primo della Genesi alla lettera dice così: In principio Dio creò il cielo e la terra. Ora la terra era informe e deserta e le tenebre ricoprivano l'abisso e lo spirito di Dio aleggiava sulle acque. Dio disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Dio vide che la luce era cosa buona e separò la luce dalle tenebre e chiamò la luce giorno e le tenebre notte. E fu sera e fu mattina: primo giorno. In questo primo giorno, la Genesi dice che in principio Dio creò il cielo e la terra, perché da ciò il Dio potente incominciò ad operare, stando nel suo essere immutabile e quasi uscendone per creare fuori da se stesso le creature, che in quel momento cominciarono ad esistere in se stesse. E in certo qual modo Dio cominciò a ricrearsi nelle sue creature, quali opere adeguatamente perfette. Inoltre, affinché anche il loro ordine fosse perfettissimo, prima di creare creature intellettuali e razionali, formò il cielo per gli angeli e gli uomini, e la terra, dove i mortali dovevano essere viatori. Tali luoghi erano così proporzionati ai loro fini e così perfetti, che, come dice Davide, i cieli narrano la gloria di Dio e il firmamento e la terra annunziano le opere delle sue mani. I cieli, con la loro armonia, manifestano la magnificenza e la gloria, perché sono deposito del premio preparato per i santi; il firmamento della terra annunzia che devono esservi creature e uomini che l'abitino, innalzandosi per suo mezzo al Creatore. Ma prima di crearli, l'Altissimo volle preparare loro, creandolo, tutto il necessario per questo e per la vita che li avrebbe mandati a vivere, affinché da ogni parte si trovino costretti ad ubbidire e ad amare il loro Creatore e benefattore, e conoscano, per mezzo delle sue opere, l'ammirabile suo nome e le infinite sue perfezioni.
82. Della terra, la Genesi dice che era informe e non lo dice del cielo, perché in esso Dio creò gli angeli nell'istante in cui disse: «Sia la luce!». E la luce fu. Infatti non parla della luce materiale soltanto, ma anche delle luci angeliche e intellettuali. Né volle far più chiara menzione di loro che chiamandoli con questo nome (luci), per l'indole degli ebrei troppo facile ad attribuire la divinità a cose nuove ed altresì inferiori agli spiriti angelici. Tuttavia molto appropriata fu la metafora della luce nell'indicare la natura degli angeli e, misticamente, la luce della scienza e della grazia con cui nella loro creazione furono illuminati. Unitamente al cielo empireo Dio creò la terra, per formare nel suo centro l'inferno, poiché, nell'istante in cui fu creata, per divina disposizione rimasero nel mezzo di questo globo molte profonde e spaziose caverne, adatte per l'inferno, il limbo e il purgatorio. Nell'inferno ad un tempo fu creato fuoco materiale e le altre cose che lì, al presente, servono di pena ai dannati. Il Signore doveva dividere subito la luce dalle tenebre e chiamare la luce giorno, come le tenebre notte. Questo non avvenne solo tra la notte e il giorno naturali, bensì anche tra gli angeli buoni e i cattivi, dando ai buoni, che chiamò giorno, e giorno eterno, l'eterna luce della sua visione; al contrario, chiamò i cattivi notte del peccato, precipitandoli nelle tenebre eterne dell'inferno, affinché comprendiamo tutti quanto nel castigo andarono congiunte la liberal misericordia del Creatore e vivificatore e la giustizia del rettissimo giudice.
83. Gli angeli furono creati nel cielo empireo e nello stato di grazia affinché, per mezzo di essa, il merito precedesse il premio della gloria. Infatti, quantunque fossero nel luogo di tale gloria, tuttavia la Divinità non si era manifestata loro faccia a faccia, né con chiarezza, fino a che, per mezzo della grazia, quelli che obbedirono alla divina volontà lo meritarono. E così questi angeli santi, non altrimenti che gli altri apostati, rimasero assai poco nello stato di viatori, perché la creazione, lo stato e il termine loro consistettero in tre stazioni, divise con qualche intervallo in tre stadi o momenti. Nel primo furono tutti creati e adornati di grazia e doni, restando bellissime e perfette creature. A questo momento seguì una stazione, nella quale a tutti fu proposta e intimata la volontà del loro Creatore e fu loro ordinato di operare riconoscendolo come supremo Signore, adempiendo così al fine per cui li aveva creati. In questa stazione, si verificò, tra san Michele con i suoi angeli e il drago con i suoi, quella grande battaglia, che san Giovanni riporta nel capitolo dodicesimo dell'Apocalisse: gli angeli buoni, perseverando nella grazia, meritarono la felicità eterna, mentre i disobbedienti, levandosi contro Dio, meritarono la pena che scontano.
84. Ora, benché in questa seconda stazione tutto poté succedere molto brevemente, in considerazione della natura angelica e del potere divino, nondimeno intesi che la pietà dell'Altissimo si trattenne alquanto, e con qualche intervallo presentò loro il bene e il male, la verità e la falsità, il giusto e l'ingiusto, la sua grazia ed amicizia e la malizia del peccato e l'inimicizia di Dio, il premio e il castigo eterno, nonché la perdizione per Lucifero e per coloro che lo avessero seguito. Mostrò loro anche l'inferno con le sue pene ed essi lo videro tutto, perché nella loro natura tanto superiore ed eccellente si possono vedere tutte le cose come sono in se stesse, essendo create e limitate, di modo che, prima di decadere dalla grazia, videro chiaramente il luogo del castigo. E sebbene non abbiano conosciuto in egual misura il premio della gloria, tuttavia ebbero di essa un'altra conoscenza e la promessa manifesta ed esplicita del Signore. Con questo l'Altissimo giustificò la sua causa ed operò con somma equità e rettitudine. Ma poiché tutta questa bontà e giustificazione non bastò a trattenere Lucifero e i suoi seguaci, essi furono puniti come pertinaci e precipitati nel profondo delle caverne infernali, mentre i buoni furono confermati in grazia e in gloria eterna. Tutto questo avvenne nel terzo momento, nel quale si conobbe, con tale fatto, che nessuna creatura fuori di Dio è per sua natura impeccabile, dal momento che l'angelo, che la possiede tanto eccellente e che la ricevette adorna con tanti doni di scienza e di grazia, alla fine peccò e fu perduto. Ora, che farà la fragilità umana, se il potere divino non la difende qualora essa lo obblighi ad abbandonarla?
85. Resta da sapere la motivazione di Lucifero e dei suoi seguaci nel loro peccato, motivazione che vado cercando e da cui presero l'occasione per la loro disubbidienza e caduta. Riguardo a ciò compresi che poterono commettere molti peccati secundum reatum, benché non abbiano commesso gli atti di tutti, ma, da quelli che con la loro volontà depravata commisero, rimase loro un'abituale inclinazione per tutti gli atti malvagi, inducendovi altri ed approvando quei peccati che non potevano operare da soli. Per il malvagio desiderio che allora ebbe Lucifero, incorse in un disordinatissimo amore di se stesso; questo gli venne dal vedersi con doni maggiori e con maggiore bellezza di natura e di grazia rispetto a tutti gli altri angeli inferiori. In tale cognizione si trattenne soverchiamente, e la còmpiacenza, che provò di se stesso, lo ritardò e intiepidi nella riconoscenza che doveva al suo Dio, come alla causa unica di tutto quello che aveva ricevuto. E rivolgendosi di nuovo a rimirarsi, si compiacque nuovamente della sua bellezza e delle sue grazie, le attribuì a se stesso e le amò come sue. Questo disordinato amor proprio non solamente lo fece peccare di vanagloria per quello che aveva ricevuto da un'altra superiore virtù, ma altresì lo spinse ad invidiare e a bramare altri doni ed eccellenze altrui, che egli non possedeva. Quindi, non potendole conseguire, concepi un odio ed uno sdegno mortale contro Dio - che lo aveva creato dal niente - e contro tutte le sue creature.
86. Da qui ebbero origine la disobbedienza, la presunzione, l'ingiustizia, l'infedeltà, la bestemmia ed anzi quasi una specie di idolatria, perché desiderò per sé l'adorazione e la riverenza dovute a Dio solo. Bestemmiò la sua grandezza e santità, venne meno alla fede e alla lealtà che doveva e pretese di distruggere tutte le creature e presunse di potere tutto questo e molto di più; ne derivò che la sua superbia cresce sempre e persevera, benché la sua arroganza sia maggiore della sua fortezza, perché in questa non può crescere, mentre nel peccato un abisso chiama un altro abisso. Il primo angelo che peccò fu Lucifero, come consta dal capitolo quattordicesimo di Isaia; egli indusse altri a seguirlo e così si chiama principe dei demoni non già per natura, giacché per essa non poté avere questo titolo, ma per la colpa. D'altra parte quelli che peccarono non furono solamente di una gerarchia o di un ordine, ma furono in molti a cadere.
87. Ora per rendere manifesto, come mi fu dimostrato, quale fu l'onore e l'eccellenza che con tanta superbia bramò e invidiò Lucifero, faccio presente che, come nelle opere di Dio vi fu equità, peso e misura, così, prima che gli angeli si potessero orientare a diversi fini, la sua provvidenza decise di manifestare loro, immediatamente dopo la loro creazione, il fine per cui li aveva creati di una così alta ed eccellente natura. Di tutto ciò ricevettero spiegazione in questa forma: prima ebbero intelligenza molto chiara dell'essere di Dio, uno nella sostanza e trino nelle Persone, e ricevettero ordine di adorarlo e riverirlo come loro creatore e sommo Signore, infinito nel suo essere e nei suoi attributi. A quell'ordine si arresero tutti, seppure con qualche differenza; infatti gli angeli buoni ubbidirono per amore e per un principio di giustizia, assoggettando il loro affetto di buona volontà, ammettendo e credendo ciò che era superiore alle loro forze, e ubbidendo con gioia. Lucifero invece si assoggettò perché gli pareva che fosse impossibile il contrario. Non lo fece dunque con carità perfetta, perché divise la volontà dandone parte a se stesso e parte alla verità infallibile del Signore. Questo fece sì che il precetto gli riuscisse alquanto violento e arduo e che non lo compisse con affetto pieno di amore e di giustizia; così si dispose a non perseverare in esso. Sebbene questa remissione e tiepidezza nell'operare questi primi atti con ritrosia non gli togliesse la grazia, nondimeno di qui cominciò la sua cattiva disposizione, riportandone una certa debolezza nella virtù e svogliatezza nello spirito, tanto che la sua bellezza non rifulse come doveva. L'effetto che questa rilassatezza e difficoltà, a mio parere, procurò in Lucifero, fu somigliante a quello che fa nell'anima un peccato veniale avvertito. Non affermo con questo che abbia allora peccato mortalmente né venialmente, poiché adempì il precetto di Dio, ma questo adempimento fu debole ed imperfetto, e più per esservi spinto dalla forza della ragione che per amore e volontà di ubbidire; così si dispose a cadere.
88. In secondo luogo, Dio manifestò loro che avrebbe creato una natura umana e creature razionali inferiori perché amassero, temessero e riverissero Dio, come loro autore e bene eterno. Manifestò loro che avrebbe molto favorito tale natura, che anzi la seconda Persona della stessa Trinità santissima si sarebbe incarnata e fatta uomo, innalzando la natura umana all'unione ipostatica e alla persona divina e che essi dovevano riconoscere come capo quella persona, uomo e Dio, non solo in quanto Dio, ma anche in quanto uomo; lo avrebbero dovuto riverire e adorare, dovendo essere essi, gli angeli, inferiori a lui in dignità e grazia, e suoi servi. Inoltre fece loro comprendere la convenienza, l'equità, la giustizia e la ragione che c'era in questo, perché era appunto l'accettazione dei meriti previsti di quell'uomo-Dio che aveva loro meritato la grazia che possedevano e la gloria che avrebbero posseduto; per la sua gloria essi stessi erano stati creati e sarebbero state create le altre creature, dovendo egli essere a tutte superiore e dovendo, quelle che fossero capaci di conoscere e godere Dio, essere tutte popolo e membra di quel capo per riconoscerlo e riverirlo. Tutto questo, senza indugio, fu ordinato agli angeli.
89. A tale comando tutti gli angeli ubbidienti e santi si arresero e prestarono ossequioso assenso, con umile ed amoroso affetto e con tutta la loro volontà. Ma Lucifero con superbia ed invidia oppose resistenza e provocò gli angeli suoi seguaci perché facessero altrettanto, come di fatto fecero, seguendo lui e disobbedendo al divino mandato. Il reo principe li persuase che sarebbe stato loro capo e che avrebbe costituto un principato indipendente e separato da Cristo. L'invidia e la superbia poterono causare in un angelo tanta cecità e un affetto così disordinato da essere origine e contagio, perché si comunicasse a tanti altri il peccato.
90. Qui segui la grande battaglia, di cui san Giovanni parla, che avvenne nel cielo. Poiché gli angeli obbedienti e santi, con ardente zelo di difendere la gloria dell'Altissimo e l'onore del Verbo contemplato già nella sua incarnazione, chiesero il permesso e il beneplacito al Signore per resistere e opporsi al drago e fu loro concesso. In questo, peraltro, si compì un nuovo mistero: quando a tutti gli angeli si propose di ubbidire al Verbo incarnato, si diede loro un terzo precetto, in forza del quale dovevano ritenere ugualmente superiore una donna, nelle membra della quale avrebbe assunto la natura umana l'Unigenito del Padre. Tale donna sarebbe stata loro regina e padrona di tutte le creature, distinta e avvantaggiata nei doni di grazia e di gloria più di tutte le creature angeliche ed umane. Gli angeli buoni, obbedendo a questo precetto del Signore, accrebbero la loro umiltà, per cui non solo lo accolsero, ma lodarono anche il potere e i misteri dell'Altissimo. Non così Lucifero e i suoi compagni: essi, per questo precetto e mistero, si levarono in superbia e in vanità anche maggiori, a tal punto che, disordinatamente furibondo, egli bramò per se stesso il privilegio di essere capo di tutta la stirpe umana e di tutti gli ordini angelici; e se ciò fosse avvenuto mediante l'unione ipostatica, che questa si operasse in lui stesso.
91. Quanto all'essere inferiore alla Madre del Verbo incarnato e signora nostra, vi si oppose con orrende bestemmie, prorompendo in uno sdegno sfrenato contro l'Autore di così grandi meraviglie. Di conseguenza, provocando anche gli altri, questo drago diceva loro: «Questi ordini sono ingiusti e si fa affronto alla mia grandezza; però questa natura a cui tu, Signore, guardi con tanto amore e che ti proponi di favorire tanto, io la perseguiterò e distruggerò, e in questo impiegherò il mio potere e la mia cura. Io precipiterò questa donna, Madre del Verbo, dallo stato in cui tu prometti di porla e nelle mie mani dovrà perire il tuo intento».
92. Questo superbo vaneggiare irritò il Signore al punto che, umiliando Lucifero, gli disse: «Questa donna, che tu non hai voluto rispettare, sarà quella che ti schiaccerà il capo, e da lei sarai vinto ed annientato. Infatti, se per la tua superbia facesti entrare la morte nel mondo, per l'umiltà di questa donna vi entrerà la vita e la salvezza di tutti i mortali; questi godranno il premio e la corona, che tu e i tuoi seguaci avete perduto». Ciononostante, a tutto questo il drago replicava con sdegnosa superbia contro quanto intendeva della divina volontà e dei suoi decreti e minacciava tutto il genere umano. Per questo gli angeli buoni, conoscendo il giusto sdegno dell'Altissimo contro Lucifero e i suoi apostati, con le armi dell'intelletto, della ragione e della verità combatterono contro di loro.
93. Un altro mirabile mistero operò qui l'Onnipotente. Manifestato per intelligenza a tutti gli angeli il grande mistero dell'unione ipostatica, mostrò loro la santissima Vergine in un segno, o figura, a somiglianza delle nostre visioni immaginarie, secondo il nostro modo d'intendere. E così presentò e fece conoscere loro la natura umana pura in una perfettissima donna, nella quale il braccio potente dell'Altissimo doveva rendersi più ammirabile che in tutto il resto delle creature, perché in lei depositava le grazie e i doni della sua destra in grado superiore ed eminente.
Questo segno, ossia questa visione della Regina del cielo e madre del Verbo incarnato, fu noto e manifesto a tutti gli angeli, sia buoni che cattivi. I buoni a quella vista ammutolirono di ammirazione, prorompendo in cantici di lode, e fin da allora cominciarono a difendere l'onore del Dio incarnato e della sua Madre santissima, armati di questo ardente zelo e dello scudo inespugnabile di quel segno. Il drago e i suoi alleati, invece, concepirono un implacabile furore e odio contro Cristo e la sua santissima Madre; avvenne così tutto ciò che si trova nel capitolo dodicesimo dell'Apocalisse, la cui spiegazione esporrò, come mi fu data, nel capitolo che segue.
5-4 Marzo 23, 1903 Se l’amore è santo forma la vita della santificazione, se è perverso la vita della dannazione.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato, dopo d’aver molto stentato, per poco ho visto il mio adorabile Gesù fra le mie braccia ed una luce che gli usciva dalla sua fronte, ed in questa luce stavano scritte queste parole: L’amore è tutto per Dio e per l’uomo, se cessa l’amore cesserebbe la vita, però due specie d’amore vi sono, l’uno spirituale e divino, l’altro corporale e disordinato, e tra questi amori vi è gran differenza tra loro per l’intensità, molteplicità, diversità, si può dire quasi la differenza che passa tra il pensare della mente e l’operare delle mani; la mente in brevissimo tempo può pensare a cento cose, dove le mani appena possono compire un’opera sola”. Iddio Creatore, e se crea le creature, il solo amore le fa creare; se tiene in continua attitudine tutti i suoi attributi verso le creature, è l’amore che a ciò lo spinge e gli stessi attributi dall’amore ne ricevono la vita; lo stesso amore disordinato, come le ricchezze, i piaceri e tante altre cose, non sono queste che formano la vita dell’uomo, ma se sente amore a queste cose, non solo formano la vita, ma giunge a farne un idolo proprio. Sicché se l’amore è santo forma la vita della santificazione, se è perverso forma la vita della dannazione”.