Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Per la pace della casa siate umili e tolleranti. (San Giovanni Bosco)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 31° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 14

1In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù.2Egli disse ai suoi cortigiani: "Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui".

3Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello.4Giovanni infatti gli diceva: "Non ti è lecito tenerla!".5Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta.
6Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode7che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato.8Ed essa, istigata dalla madre, disse: "Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista".9Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data10e mandò a decapitare Giovanni nel carcere.11La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre.12I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.

13Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città.14Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
15Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare".16Ma Gesù rispose: "Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare".17Gli risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci!".18Ed egli disse: "Portatemeli qua".19E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla.20Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

22Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.23Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
24La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.25Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare.26I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: "È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura.27Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura".28Pietro gli disse: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque".29Ed egli disse: "Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.30Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!".31E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?".
32Appena saliti sulla barca, il vento cessò.33Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: "Tu sei veramente il Figlio di Dio!".

34Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret.35E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati,36e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.


Numeri 31

1Il Signore disse a Mosè:2"Compi la vendetta degli Israeliti contro i Madianiti, poi sarai riunito ai tuoi antenati".3Mosè disse al popolo: "Mobilitate fra di voi uomini per la guerra e marcino contro Madian per eseguire la vendetta del Signore su Madian.4Manderete in guerra mille uomini per tribù di tutte le tribù d'Israele".5Così furono forniti, dalle migliaia d'Israele, mille uomini per tribù, cioè dodicimila uomini armati per la guerra.6Mosè mandò in guerra quei mille uomini per tribù e con loro Pincas, figlio del sacerdote Eleazaro, il quale portava gli oggetti sacri e aveva in mano le trombe dell'acclamazione.7Marciarono dunque contro Madian come il Signore aveva ordinato a Mosè, e uccisero tutti i maschi.8Uccisero anche, oltre i loro caduti, i re di Madian Evi, Rekem, Sur, Ur e Reba cioè cinque re di Madian; uccisero anche di spada Balaam figlio di Beor.9Gli Israeliti fecero prigioniere le donne di Madian e i loro fanciulli e depredarono tutto il loro bestiame, tutti i loro greggi e ogni loro bene;10appiccarono il fuoco a tutte le città che quelli abitavano e a tutti i loro attendamenti11e presero tutto il bottino e tutta la preda, gente e bestiame.12Poi condussero i prigionieri, la preda e il bottino a Mosè, al sacerdote Eleazaro e alla comunità degli Israeliti, accampati nelle steppe di Moab, presso il Giordano di fronte a Gèrico.
13Mosè, il sacerdote Eleazaro e tutti i principi della comunità uscirono loro incontro fuori dell'accampamento.14Mosè si adirò contro i comandanti dell'esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, che tornavano da quella spedizione di guerra.15Mosè disse loro: "Avete lasciato in vita tutte le femmine?16Proprio loro, per suggerimento di Balaam, hanno insegnato agli Israeliti l'infedeltà verso il Signore, nella faccenda di Peor, per cui venne il flagello nella comunità del Signore.17Ora uccidete ogni maschio tra i fanciulli e uccidete ogni donna che si è unita con un uomo;18ma tutte le fanciulle che non si sono unite con uomini, conservatele in vita per voi.19Voi poi accampatevi per sette giorni fuori del campo; chiunque ha ucciso qualcuno e chiunque ha toccato un cadavere si purifichi il terzo e il settimo giorno; questo per voi e per i vostri prigionieri.20Purificherete anche ogni veste, ogni oggetto di pelle, ogni lavoro di pelo di capra e ogni oggetto di legno".
21Il sacerdote Eleazaro disse ai soldati che erano andati in guerra: "Questo è l'ordine della legge che il Signore ha prescritto a Mosè:22L'oro, l'argento, il rame, il ferro, lo stagno e il piombo,23quanto può sopportare il fuoco, lo farete passare per il fuoco e sarà reso puro; ma sarà purificato anche con l'acqua della purificazione; quanto non può sopportare il fuoco, lo farete passare per l'acqua.24Vi laverete le vesti il settimo giorno e sarete puri; poi potrete entrare nell'accampamento".

25Il Signore disse a Mosè:26"Tu, con il sacerdote Eleazaro e con i capi dei casati della comunità, fa' il censimento di tutta la preda che è stata fatta: della gente e del bestiame;27dividi la preda fra i combattenti che sono andati in guerra e tutta la comunità.28Dalla parte spettante ai soldati che sono andati in guerra preleverai un contributo per il Signore: cioè l'uno per cinquecento delle persone e del grosso bestiame, degli asini e del bestiame minuto.29Lo prenderete sulla metà di loro spettanza e lo darai al sacerdote Eleazaro come offerta da fare con il rito di elevazione in onore del Signore.30Della metà che spetta agli Israeliti prenderai l'uno per cinquanta delle persone del grosso bestiame, degli asini e del bestiame minuto; lo darai ai leviti, che hanno la custodia della Dimora del Signore".
31Mosè e il sacerdote Eleazaro fecero come il Signore aveva ordinato a Mosè.32Ora il bottino, cioè tutto ciò che rimaneva della preda fatta da coloro che erano stati in guerra, consisteva in seicentosettantacinquemila capi di bestiame minuto,33settantaduemila capi di grosso bestiame,34sessantunmila asini35e trentaduemila persone, ossia donne che non si erano unite con uomini.36La metà, cioè la parte di quelli che erano andati in guerra, fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto,37dei quali seicentosettantacinque per il tributo al Signore;38trentaseimila capi di grosso bestiame, dei quali settantadue per l'offerta al Signore;39trentamilacinquecento asini, dei quali sessantuno per l'offerta al Signore,40e sedicimila persone, delle quali trentadue per l'offerta al Signore.41Mosè diede al sacerdote Eleazaro il contributo dell'offerta prelevata per il Signore, come il Signore gli aveva ordinato.42La metà che spettava agli Israeliti, dopo che Mosè ebbe fatto la spartizione con gli uomini andati in guerra,43la metà spettante alla comunità fu di trecentotrentasettemilacinquecento capi di bestiame minuto,44trentaseimila capi di grosso bestiame,45trentamilacinquecento asini46e sedicimila persone.47Da questa metà che spettava agli Israeliti, Mosè prese l'uno per cinquanta degli uomini e degli animali e li diede ai leviti che hanno la custodia della Dimora del Signore, come il Signore aveva ordinato a Mosè.
48I comandanti delle migliaia dell'esercito, capi di migliaia e capi di centinaia, si avvicinarono a Mosè e gli dissero:49"I tuoi servi hanno fatto il computo dei soldati che erano sotto i nostri ordini e non ne manca neppure uno.50Per questo portiamo, in offerta al Signore, ognuno quello che ha trovato di oggetti d'oro: bracciali, braccialetti, anelli, pendenti, collane, per il rito espiatorio per le nostre persone davanti al Signore".51Mosè e il sacerdote Eleazaro presero dalle loro mani quell'oro, tutti gli oggetti lavorati.
52Tutto l'oro dell'offerta, che essi consacrarono al Signore con il rito dell'elevazione, da parte dei capi di migliaia e dei capi di centinaia, pesava sedicimilasettecentocinquanta sicli.53Gli uomini dell'esercito si tennero il bottino che ognuno aveva fatto per conto suo.54Mosè e il sacerdote Eleazaro presero l'oro dei capi di migliaia e di centinaia e lo portarono nella tenda del convegno come memoriale per gli Israeliti davanti al Signore.


Salmi 44

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core. Maskil.'

2Dio, con i nostri orecchi abbiamo udito,
i nostri padri ci hanno raccontato
l'opera che hai compiuto ai loro giorni,
nei tempi antichi.
3Tu per piantarli, con la tua mano hai sradicato le genti,
per far loro posto, hai distrutto i popoli.
4Poiché non con la spada conquistarono la terra,
né fu il loro braccio a salvarli;
ma il tuo braccio e la tua destra
e la luce del tuo volto,
perché tu li amavi.

5Sei tu il mio re, Dio mio,
che decidi vittorie per Giacobbe.
6Per te abbiamo respinto i nostri avversari
nel tuo nome abbiamo annientato i nostri aggressori.

7Infatti nel mio arco non ho confidato
e non la mia spada mi ha salvato,
8ma tu ci hai salvati dai nostri avversari,
hai confuso i nostri nemici.
9In Dio ci gloriamo ogni giorno,
celebrando senza fine il tuo nome.

10Ma ora ci hai respinti e coperti di vergogna,
e più non esci con le nostre schiere.
11Ci hai fatti fuggire di fronte agli avversari
e i nostri nemici ci hanno spogliati.
12Ci hai consegnati come pecore da macello,
ci hai dispersi in mezzo alle nazioni.
13Hai venduto il tuo popolo per niente,
sul loro prezzo non hai guadagnato.
14Ci hai resi ludibrio dei nostri vicini,
scherno e obbrobrio a chi ci sta intorno.
15Ci hai resi la favola dei popoli,
su di noi le nazioni scuotono il capo.
16L'infamia mi sta sempre davanti
e la vergogna copre il mio volto
17per la voce di chi insulta e bestemmia,
davanti al nemico che brama vendetta.

18Tutto questo ci è accaduto
e non ti avevamo dimenticato,
non avevamo tradito la tua alleanza.
19Non si era volto indietro il nostro cuore,
i nostri passi non avevano lasciato il tuo sentiero;
20ma tu ci hai abbattuti in un luogo di sciacalli
e ci hai avvolti di ombre tenebrose.
21Se avessimo dimenticato il nome del nostro Dio
e teso le mani verso un dio straniero,
22forse che Dio non lo avrebbe scoperto,
lui che conosce i segreti del cuore?
23Per te ogni giorno siamo messi a morte,
stimati come pecore da macello.

24Svègliati, perché dormi, Signore?
Dèstati, non ci respingere per sempre.
25Perché nascondi il tuo volto,
dimentichi la nostra miseria e oppressione?

26Poiché siamo prostrati nella polvere,
il nostro corpo è steso a terra.
Sorgi, vieni in nostro aiuto;
27salvaci per la tua misericordia.


Salmi 81

1'Al maestro del coro. Su "I torchi...". Di Asaf.'

2Esultate in Dio, nostra forza,
acclamate al Dio di Giacobbe.
3Intonate il canto e suonate il timpano,
la cetra melodiosa con l'arpa.
4Suonate la tromba
nel plenilunio, nostro giorno di festa.

5Questa è una legge per Israele,
un decreto del Dio di Giacobbe.
6Lo ha dato come testimonianza a Giuseppe,
quando usciva dal paese d'Egitto.
Un linguaggio mai inteso io sento:

7"Ho liberato dal peso la sua spalla,
le sue mani hanno deposto la cesta.
8Hai gridato a me nell'angoscia
e io ti ho liberato,
avvolto nella nube ti ho dato risposta,
ti ho messo alla prova alle acque di Meriba.

9Ascolta, popolo mio, ti voglio ammonire;
Israele, se tu mi ascoltassi!
10Non ci sia in mezzo a te un altro dio
e non prostrarti a un dio straniero.
11Sono io il Signore tuo Dio,
che ti ho fatto uscire dal paese d'Egitto;
apri la tua bocca, la voglio riempire.

12Ma il mio popolo non ha ascoltato la mia voce,
Israele non mi ha obbedito.
13L'ho abbandonato alla durezza del suo cuore,
che seguisse il proprio consiglio.

14Se il mio popolo mi ascoltasse,
se Israele camminasse per le mie vie!
15Subito piegherei i suoi nemici
e contro i suoi avversari porterei la mia mano.

16I nemici del Signore gli sarebbero sottomessi
e la loro sorte sarebbe segnata per sempre;
17li nutrirei con fiore di frumento,
li sazierei con miele di roccia".


Isaia 39

1In quel tempo Merodach-Bàladan figlio di Bàladan, re di Babilonia, mandò lettere e doni a Ezechia, perché aveva udito che era stato malato ed era guarito.2Ezechia se ne rallegrò e mostrò agli inviati la stanza del tesoro, l'argento e l'oro, gli aromi e gli unguenti preziosi, tutto il suo arsenale e quanto si trovava nei suoi magazzini; non ci fu nulla che Ezechia non mostrasse loro nella reggia e in tutto il regno.
3Allora il profeta Isaia si presentò al re Ezechia e gli domandò: "Che hanno detto quegli uomini e da dove sono venuti a te?". Ezechia rispose: "Sono venuti a me da una regione lontana, da Babilonia".4Isaia disse ancora: "Che hanno visto nella tua reggia?". Ezechia rispose: "Hanno visto quanto si trova nella mia reggia, non c'è cosa alcuna nei miei magazzini che io non abbia mostrata loro".
5Allora Isaia disse a Ezechia: "Ascolta la parola del Signore degli eserciti:6Ecco, verranno giorni nei quali tutto ciò che si trova nella tua reggia e ciò che hanno accumulato i tuoi antenati fino a oggi sarà portato a Babilonia; non vi resterà nulla, dice il Signore.7Prenderanno i figli che da te saranno usciti e che tu avrai generati, per farne eunuchi nella reggia di Babilonia".8Ezechia disse a Isaia: "Buona è la parola del Signore, che mi hai riferita". Egli pensava: "Per lo meno vi saranno pace e sicurezza nei miei giorni".


Atti degli Apostoli 16

1Paolo si recò a Derbe e a Listra. C'era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco;2egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio.3Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco.4Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero.5Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno.

6Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.7Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro;8così, attraversata la Misia, discesero a Tròade.9Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: "Passa in Macedonia e aiutaci!".10Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore.

11Salpati da Tròade, facemmo vela verso Samotràcia e il giorno dopo verso Neàpoli e12di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni;13il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite.14C'era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo.15Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: "Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa". E ci costrinse ad accettare.

16Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una giovane schiava, che aveva uno spirito di divinazione e procurava molto guadagno ai suoi padroni facendo l'indovina.17Essa seguiva Paolo e noi gridando: "Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunziano la via della salvezza".18Questo fece per molti giorni finché Paolo, mal sopportando la cosa, si volse e disse allo spirito: "In nome di Gesù Cristo ti ordino di partire da lei". E lo spirito partì all'istante.19Ma vedendo i padroni che era partita anche la speranza del loro guadagno, presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città;20presentandoli ai magistrati dissero: "Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei21e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare".22La folla allora insorse contro di loro, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli23 e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia.24Egli, ricevuto quest'ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi.

25Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli.26D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti.27Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti.28Ma Paolo gli gridò forte: "Non farti del male, siamo tutti qui".29Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila;30poi li condusse fuori e disse: "Signori, cosa devo fare per esser salvato?".31Risposero: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia".32E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa.33Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi;34poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.
35Fattosi giorno, i magistrati inviarono le guardie a dire: "Libera quegli uomini!".36Il carceriere annunziò a Paolo questo messaggio: "I magistrati hanno ordinato di lasciarvi andare! Potete dunque uscire e andarvene in pace".37Ma Paolo disse alle guardie: "Ci hanno percosso in pubblico e senza processo, sebbene siamo cittadini romani, e ci hanno gettati in prigione; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano di persona a condurci fuori!".38E le guardie riferirono ai magistrati queste parole. All'udire che erano cittadini romani, si spaventarono;39vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di partire dalla città.40Usciti dalla prigione, si recarono a casa di Lidia dove, incontrati i fratelli, li esortarono e poi partirono.


Capitolo LIV: Gli opposti impulsi della natura e della grazia

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1. Figlio, considera attentamente gli impulsi della natura e quelli della grazia; come si muovono in modo nettamente contrario, ma così sottilmente che soltanto, e a fatica, li distingue uno che sia illuminato da interiore spiritualità. Tutti, invero, desiderano il bene e, con le loro parole e le loro azioni, tendono a qualcosa di buono; ma, appunto per una falsa apparenza del bene, molti sono ingannati. La natura è scaltra, trascina molta gente, seduce, inganna e mira sempre a se stessa. La grazia, invece, cammina schietta, evita il male, sotto qualunque aspetto esso appaia; non prepara intrighi; tutto fa soltanto per amore di Dio, nel quale, alla fine, trova la sua quiete. La natura non vuole morire, non vuole essere soffocata e vinta, non vuole essere schiacciata, sopraffatta o sottomessa, né mettersi da sé sotto il giogo. La grazia, invece, tende alla mortificazione di sé e resiste alla sensualità, desidera e cerca di essere sottomessa e vinta; non vuole avere una sua libertà, preferisce essere tenuta sotto disciplina; non vuole prevalere su alcuno, ma vuole sempre vivere restando sottoposta a Dio; è pronta a cedere umilmente a ogni creatura umana, per amore di Dio. La natura s'affanna per il suo vantaggio, e bada all'utile che le possa venire da altri. La grazia, invece, tiene conto di ciò che giova agli altri, non del profitto e dell'interesse propri. La natura gradisce onori e omaggi. La grazia, invece, ogni onore e ogni lode li attribuisce a Dio. La natura rifugge dalla vergogna e dal disprezzo. La grazia, invece, si rallegra "di patire oltraggi nel nome di Gesù" (At 5,41). La natura inclina all'ozio e alla tranquillità materiale. La grazia, invece, non può stare oziosa e accetta con piacere la fatica. La natura mira a possedere cose rare e belle, mentre detesta quelle spregevoli e grossolane. La grazia, invece, si compiace di ciò che è semplice e modesto; non disprezza le cose rozze, né rifugge dal vestire logori panni.

2. La natura guarda alle cose di questo tempo; gioisce dei guadagni e si rattrista delle perdite di quaggiù; si adira per una piccola parola offensiva. La grazia, invece, non sta attaccata all'oggi, ma guarda all'eternità; non si agita per la perdita di cose materiali; non si inasprisce per una parola un po' brusca, perché il suo tesoro e la sua gioia li pone nel cielo dove nulla perisce. La natura è avida, preferisce prendere che donare, ha caro ciò che è proprio e personale. La grazia, invece, è caritatevole e aperta agli altri; rifugge dalle cose personali, si contenta del poco, ritiene "più bello dare che ricevere" (At 20,35). La natura tende alle creature e al proprio corpo, alla vanità e alle chiacchiere. La grazia, invece, si volge a Dio e alle virtù; rinuncia alle creature, fugge il mondo, ha in orrore i desideri della carne, frena il desiderio di andare di qua e di là, si vergogna di comparire in pubblico. La natura gode volentieri di qualche svago esteriore, nel quale trovino piacere i sensi. La grazia, invece, cerca consolazione soltanto in Dio, e, al di sopra di ogni cosa di questo mondo, mira a godere del sommo bene. La natura tutto fa per il proprio guadagno e il proprio vantaggio; non può fare nulla senza ricevere nulla; per ogni favore spera di conseguirne uno uguale o più grande, oppure di riceverne lodi e approvazioni; desidera ardentemente che i suoi gesti e i suoi doni siano molto apprezzati. La grazia, invece, non cerca nulla che sia passeggero e non chiede, come ricompensa, altro premio che Dio soltanto; delle cose necessarie in questa vita non vuole avere più di quanto le possa essere utile a conseguire le cose eterne.

3. La natura si compiace di annoverare molte amicizie e parentele; si vanta della provenienza da un luogo celebre o della discendenza da nobile stirpe; sorride ai potenti, corteggia i ricchi ed applaude coloro che sono come lei. La grazia, invece, ama anche i nemici; non si esalta per la quantità degli amici; non dà importanza al luogo di origine o alla famiglia da cui discende, a meno che in essa vi sia una virtù superiore; è ben disposta verso il povero, più che verso il ricco; simpatizza maggiormente con la povera gente che con i potenti; sta volentieri con le persone sincere, non già con gli ipocriti; esorta sempre le anime buone ad ambire a "doni spirituali sempre più grandi" (1Cor 12,31), così da assomigliare, per le loro virtù, al Figlio di Dio. La natura, di qualcosa che manchi o che dia noia, subito si lamenta. La grazia sopporta con fermezza ogni privazione. La natura riferisce tutto a sé; lotta per sé, discute per sé. La grazia, invece, riconduce tutte le cose a Dio, da cui provengono come dalla loro origine; nulla di buono attribuisce a se stessa, non presume di sé con superbia; non contende, non pone l'opinione propria avanti alle altre; anzi si sottomette, in ogni suo sentimento e in ogni suo pensiero, all'eterna sapienza e al giudizio di Dio. La natura è avida di conoscere cose segrete e vuol sapere ogni novità; ama uscir fuori, per fare molte esperienze; desidera distinguersi e darsi da fare in modo che ad essa possa venirne lode e ammirazione. La grazia, invece, non si preoccupa di apprendere novità e curiosità, perché tutto il nuovo nasce da una trasformazione del vecchio, non essendoci mai, su questa terra, nulla che sia nuovo e duraturo. La grazia insegna, dunque, a tenere a freno i sensi, a evitare la vana compiacenza e l'ostentazione, a tener umilmente nascosto ciò che sarebbe degno di lode e di ammirazione, infine a tendere, in tutte le nostre azioni e i nostri studi, al vero profitto, alla lode e alla gloria di Dio. Non vuol far parlare di sé e delle cose sue, desiderando, invece, che, in tutti i suoi doni, sia lodato Iddio, che tutto elargisce per puro amore.

4. E', codesta grazia, una luce sovrannaturale, propriamente un dono particolare di Dio, un segno distintivo degli eletti, una garanzia della salvezza eterna. La grazia innalza l'uomo dalle cose terrestri all'amore del cielo e lo trasforma da carnale in spirituale. Adunque, quanto più si tiene in freno e si vince la natura, tanto maggior grazia viene infusa in noi; così, per mezzo di continue e nuove manifestazioni divine, l'uomo interiore si trasforma secondo l'immagine di Dio.


LIBRO SESTO: QUESTIONI SU GIOSUÈ

Questioni sull'Ettateuco - Sant'Agostino

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Mosè morì come servo di Dio e a Dio gradito.

1. (1, 5) Il Signore dice a Giosuè [figlio] di Nun : E come sono stato con Mosè, così sarò con te. Non solo da questo testo ma anche da molti altri passi del Deuteronomio si prova che Mosè morì come servo di Dio e a Dio gradito, sebbene riguardo a lui si compisse il castigo di non entrare nella Terra promessa 1. Da questo si può comprendere che il Signore può adirarsi anche con i suoi servi buoni per qualche loro peccato e castigarli con una pena temporanea, ma tuttavia annoverarli tra gli strumenti adatti per usi nobili e utili al Signore nella sua casa 2, ai quali darà le promesse fatte ai santi.

Passaggio del Giordano.

2. (1, 11; 2, 3-7) Si pone il quesito di sapere come mai dopo che il Signore aveva parlato a Giosuè di Nun esortandolo, confortandolo e promettendogli che sarebbe stato con lui, il medesimo Giosuè ordinò al popolo per mezzo dei capitani di fare provviste di viveri, poiché di lì a tre giorni avrebbero dovuto attraversare il Giordano, mentre si trova nella Scrittura che gli Israeliti passarono il Giordano dopo molti più giorni. Difatti dopo aver dato quest’ordine al popolo mandò esploratori a Gerico poiché, dopo che avessero attraversato il Giordano, quella era la città più vicina che s’incontrava. Gli esploratori poi andarono ad alloggiare in casa della meretrice Raab, dalla quale furono nascosti. Il re li fece ricercare ma non furono trovati, poiché quella donna li lasciò andare via attraverso una finestra consigliandoli di restare nascosti tre giorni sulle montagne 3; così è chiaro che passarono quattro giorni. Di conseguenza Giosuè si mise in marcia con tutto il popolo di buon mattino dal luogo dove era, dopo che gli esploratori ebbero riferito tutto quanto era loro successo. Giunto al Giordano si accampò e restò lì; allora il popolo ricevette un nuovo avviso di prepararsi a passare il Giordano di lì a tre giorni, al seguito dell’arca del Signore 4. Da ciò dunque si comprende che fu una disposizione umana quella che Giosuè fece impartire al popolo affinché facessero provviste di viveri, come se di lì a tre giorni avessero dovuto attraversare il suddetto fiume. Giosuè poté infatti, come uomo, sperare che quell’evento sarebbe potuto accadere se gli esploratori fossero tornati presto. Tardando però essi, quantunque la Scrittura non lo dica, si capisce che tutti gli altri avvenimenti si verificarono per disposizione di Dio, affinché Giosuè cominciasse ad essere glorificato presso il popolo e a rendersi palese che Dio era con lui come era stato con Mosè. Poiché quando sta per attraversare il fiume gli vengono rivolte le seguenti parole, come sta scritto nella Bibbia: E il Signore disse a Giosuè: " Quest’oggi comincerò a esaltarti al cospetto di tutti i figli d’Israele, perché sappiano che io sarò con te come sono stato con Mosè ". Ma non deve neppure sembrare incredibile che anche persone con le quali Dio parlava abbiano voluto compiere qualcosa di propria iniziativa umana per la quale confidavano che Dio sarebbe stato loro guida, ma i loro progetti furono mutati dalla provvidenza di Colui dal quale erano guidati. Effettivamente perfino Mosè per ispirazione del tutto umana aveva creduto fosse suo dovere ascoltare le cause del popolo ma in un modo da non poter essere di giovamento né a sé né al popolo, sobbarcandosi un fardello insopportabile; ma quella sua disposizione fu cambiata per opera di Dio e anche per suggerimento ed esortazione del suocero, approvati da Dio stesso 5.

L’ordine che l’arca andasse avanti a una dovuta distanza.

3. (3, 3-4. 15) I capitani dicono al popolo: Quando vedrete l’arca dell’alleanza del Signore Dio nostro e i nostri sacerdoti e i leviti che la portano, partite dai vostri posti e seguitela. Tra voi ed essa ci sia però una gran distanza: starete a circa duemila cubiti; non avvicinatevi ad essa in modo che possiate conoscere la via per la quale dovete andare, perché non siete mai passati per questa strada né ieri né ieri l’altro. L’ordine che l’arca andasse avanti a una dovuta distanza era stato dato perché potesse essere vista dal popolo. Poiché, se una massa così grande di gente avesse marciato da vicino dietro di essa, non l’avrebbe vista marciare in testa né avrebbe potuto sapere la via per cui seguirla. Per questo fatto si deve pensare che la colonna di nube, che era solita dare il segnale per levare il campo e mostrare la strada 6, si era ormai ritirata e non si mostrava più al popolo. Ciò fece sì che anche la partenza dovette essere annunziata tre giorni prima per disposizione umana. Adesso quindi il popolo segue l’arca del Signore sotto la guida di Giosuè, essendogli stata tolta la nube, come se gli fosse stato tolto il velo. Il Giordano però era in piena fin sopra le sue sponde come ai giorni della mietitura del frumento. Questo fenomeno pare incredibile per le nostre regioni, mentre lì, come affermano gli scienziati, all’inizio della primavera si fa la mietitura del grano e allora il fiume è molto più pieno che nell’inverno.

Le pietre che significano qualcosa di eterno.

4. (4, 7) E queste pietre saranno per i figli d’Israele un ricordo per l’eternità. Come può essere per l’eternità dal momento che il cielo e la terra passeranno 7? Forse perché queste pietre significano qualcosa di eterno non potendo essere eterne esse? Ciononostante l’espressione greca potrebbe tradursi in latino usque in saeculum [per sempre], ma non ne segue necessariamente che debba essere inteso nel senso di " eterno ".

Arca del Testamento o della Testimonianza.

5. (4, 15-16) E il Signore parlò a Giosuè in questi termini: " Ordina ai sacerdoti che portano l’arca del Testamento della Testimonianza ". L’arca suole essere chiamata arca del Testamento o della Testimonianza 8, ora è chiamata arca del Testamento della Testimonianza in modo che non solo l’arca, ma anche lo stesso Testamento viene chiamato Testamento della Testimonianza. Ecco perché l’Apostolo afferma: Adesso però la giustizia di Dio si è manifestata senza la legge, avendo la testimonianza della Legge e dei Profeti 9. Poiché quello che si chiama Antico Testamento era stato dato come testimonianza di qualche altra realtà ventura.

Giosuè circoncide di nuovo gli Ebrei.

6. (5, 2-7) Il Signore disse a Giosuè: Fatti dei coltelli di selce, affilati, oppure, come ha il testo greco: di selce affilata, siediti e circoncidi di nuovo i figli d’Israele. Riguardo a questo precetto si cerca di sapere perché il testo dice di nuovo, poiché non c’era nessuno che doveva essere circonciso due volte, ma dice di nuovo perché si trattava di un popolo di cui alcuni erano stati circoncisi ed altri no; in tal modo non veniva circonciso di nuovo una persona ma il popolo: ciò è dimostrato anche dal seguito del passo. La Scrittura infatti dice: E Giosuè si fece coltelli di selce affilati e circoncise i figli d’Israele sul colle detto dei prepuzi. In questo modo Giosuè circoncise i figli d’Israele: tutti coloro che nel passato erano stati nel viaggio e che non erano stati circoncisi e che, tra coloro ch’erano usciti dall’Egitto, non erano stati circoncisi, tutti quei tali Giosuè li fece circoncidere. Israele infatti era vissuto quarantadue anni nel deserto di Mabdarit e perciò un gran numero di quegli uomini impegnati nelle battaglie che erano usciti dall’Egitto non era stato circonciso e aveva disubbidito ai comandi di Dio e per essi il Signore aveva stabilito che non avrebbero visto il paese che egli aveva giurato di dare ai loro padri, terra ove scorreva latte e miele e al loro posto sostituì i loro figli, che Giosuè circoncise dal momento che non erano stati circoncisi durante il viaggio. È dunque evidente che non tutti erano incirconcisi ma solo alcuni. Infatti alcuni figli di coloro ch’erano usciti dall’Egitto non erano stati circoncisi in quel popolo, quelli che Giosuè poté circoncidere; si trattava cioè dei figli di coloro che li avevano generati nel deserto ma avevano trascurato di circonciderli, poiché non avevano ubbidito alla legge di Dio. Non c’è pertanto alcuna ragione perché credano di potersi fondare su questo testo coloro i quali pensano che si debbano ribattezzare coloro i quali posseggono il sacramento del battesimo cristiano, poiché nessun individuo fu circonciso due volte, ma si parla del popolo che in alcuni suoi membri era circonciso e in altri incirconciso. E se fosse potuto avvenire che in qualche modo avesse comandato di circoncidere due volte un uomo, potrebbero forse affermare che fu dato quell’ordine poiché quelli erano stati circoncisi dagli Egiziani o da alcuni eretici separati dalla comunità israelitica? Siccome, al contrario, appare assai chiaramente per quale motivo Dio diede quell’ordine, gli uomini non possono trovare qui alcuna giustificazione al proprio errore.

Se Giosuè si prostrò innanzi a un angelo e lo chiamò Signore.

7. (5, 13-15) Quando Giosuè vide un personaggio ritto innanzi a lui con la spada sguainata, che rispondendo gli disse: " Io sono il capo della milizia dell’esercito del Signore ", e [Giosuè], gettatosi con la faccia a terra, gli chiese: " Che cosa ordini al tuo servo? ". Possiamo chiederci se Giosuè si prostrò innanzi a un angelo e lo chiamò Signore o piuttosto, comprendendo da chi era stato inviato lo chiamò Signore e gli si prostrò. Giosuè infatti si trovava, come dice l’agiografo, a Gerico, ma non proprio dentro la città, le cui mura non erano ancora cadute - come sarebbe accaduto poco dopo - in modo che gli Israeliti potessero entrarvi, ma si trovava nella campagna contigua alla città, poiché così reca la traduzione fatta dall’ebraico.

Il furto di Achar.

8. (7, 1 ss.) Trattiamo del fatto di cui fu autore Achar della tribù di Giuda: costui aveva rubato qualcosa dal bottino della città di Gerico votato al Signore, contrariamente a quanto aveva ordinato il Signore, e per causa del suo peccato tremila soldati, ch’erano stati inviati a Gai, voltarono le spalle ai nemici e ne furono uccisi trentasei; e poiché il popolo era rimasto gravemente atterrito, Giosuè con gli anziani si gettò bocconi davanti al Signore e gli fu risposto che quella sventura era accaduta poiché il popolo aveva peccato. Dio inoltre minacciò anche dicendo che li avrebbe abbandonati se non avessero tolto di mezzo ad essi l’anatema. Il testo sacro aggiunge che fu scoperto chi aveva commesso quel peccato e fu messo a morte non solo lui ma anche tutti i suoi. A questo riguardo si è soliti domandare in qual modo è lecito secondo la legge punire altri per i peccati di un altro, soprattutto perché nella legge il Signore ha detto che i padri non debbono essere puniti per i peccati dei figli, né i figli per i peccati dei padri 10. Oppure si tratta che quel precetto dev’essere osservato dagli uomini quando giudicano, cioè che non puniscano l’uno invece di un altro, mentre i giudizi di Dio non sono dello stesso genere, poiché con il suo profondo e invisibile senno conosce fino a qual segno deve estendere anche il castigo temporaneo e il salutare terrore degli uomini? Per quanto riguarda il governo dell’universo non accade nulla di crudele ai mortali quando muoiono, essendo destinati un giorno o l’altro a morire. E tuttavia la paura di un tale castigo risulta una sanzione della legge che non solo ciascuno si prenda cura di se stesso nella propria comunità, ma gli uni si prendano cura degli altri, preoccupati gli uni degli altri, quali membri d’un solo corpo e d’un solo uomo 11. Non si deve pensare neppure che uno possa essere condannato per un altro anche alle pene che vengono inflitte dopo la morte; ma questo castigo viene inflitto solo per alcuni beni che avrebbero dovuto avere un termine anche se in modo diverso. Allo stesso tempo si rende qui manifesta la stretta solidarietà che unisce tutti i membri d’un medesimo popolo, in modo che questi non si considerino ciascuno isolatamente ma anche come le parti di un tutto. Così, per il peccato di uno solo e per la morte di pochi, tutto quanto il popolo fu ammonito a ricercare - per così dire - in tutto il corpo il male ch’era stato commesso. Nello stesso tempo quel peccato servì a far comprendere quanto grave sventura sarebbe stata, se a peccare fosse stata tutta quanta la comunità, dal momento che il castigo meritato da un solo colpevole non avrebbe potuto mettere tutti gli altri al riparo dallo stesso castigo. Ma - si dirà - se Achar fosse stato scoperto da qualcuno e condotto al tribunale di Giosuè per essere giudicato come colpevole di quel peccato, non si può supporre che Giosuè, nella sua qualità di giudice, avrebbe potuto punire invece di lui o con lui alcun altro individuo che non fosse stato suo complice. A lui infatti non era permesso oltrepassare il comando della legge che era stato dato a uomini, perché in base al suo giudizio, imposto o permesso a un uomo contro un altro uomo, non pensasse d’infliggere un castigo a uno per il peccato di un altro. Si fonda invece su una giustizia di gran lunga più misteriosa e arcana il giudizio che fa Dio, il quale può salvare o mandare in perdizione 12 anche dopo la morte, cosa che non può fare un uomo. Perciò le afflizioni visibili o la morte degli uomini, per il fatto che non solo possono recare danno ma anche giovamento a coloro ai quali sono fatte subire, il Signore, grazie al mistero della sua provvidenza, sa per chi può prepararle con giustizia anche quando pare vendicare in altri i peccati altrui. Al contrario i castighi invisibili, che non possono se non recar danno e non possono giovare, nessuno è condannato da Dio giudice a subirli per i peccati altrui, allo stesso modo che nessuno deve essere condannato da un uomo giudice a scontare tali castighi visibili se non per colpa propria. Dio infatti ha riservato all’uomo giudice questa competenza sulle azioni il cui castigo spetta al tribunale umano, perché ci pensa egli stesso nel suo giudizio là dove il potere umano non arriva.

Perché Giosuè, anziché far morire Achar tra le fiamme, lo fece lapidare dal popolo.

9. 1. (7, 15. 25) Il Signore aveva comandato che, se fosse stato provato che uno avesse rubato qualcosa che era stato dichiarato herem, venisse bruciato vivo. Ora si pone il quesito - a ragione - perché Achar quando fu scoperto e fu provato che aveva commesso il furto, Giosuè, anziché farlo morire tra le fiamme, lo fece lapidare dal popolo. Oppure era necessario che Achar morisse come Giosuè, il quale più attentamente eseguiva la volontà del Signore, poté capire le parole dell’ordine dato dal Signore? Nessun altro avrebbe potuto capirle facilmente. Dobbiamo perciò domandarci piuttosto perché il Signore chiama fuoco la lapidazione, anziché credere che Giosuè agisse diversamente da come aveva ordinato il Signore. Poiché nessuno poté essere più sapiente per capire gli ordini del Signore né più ubbidiente per eseguirli. Per questo la Scrittura nel Deuteronomio attesta che mediante la parola fuoco poté essere simboleggiato un castigo, nel passo ove agli Israeliti si dice: E vi condussi fuori dalla fornace di ferro, dall’Egitto 13, ove evidentemente volle fare intendere una dura tribolazione.

9. 2. Mi si presentano però alla mente due ragioni - non che siano atte a risolvere il quesito ambedue, ma l’una o l’altra - perché Achar non fu bruciato mediante il fuoco visibile con tutti i suoi. Se il Signore aveva giudicato che il peccato di Achar era di tal natura che, una volta espiato con quell’estremo supplizio, non lo avrebbe punito in eterno, quel castigo fu chiamato con il termine appropriato di fuoco a causa della stessa espiazione e purificazione. Nessuno potrebbe essere indotto a pensare a una tale interpretazione, se Achar fosse stato bruciato da un fuoco inteso in senso proprio; ma si atterrebbe al fatto chiaramente espresso e non andrebbe a cercare qualche altra ulteriore ragione. Ora, al contrario, considerando le parole di Dio e l’azione di Giosuè, dal quale quelle parole non potevano essere trasgredite, con tutta ragione si dice che anche la lapidazione era un fuoco, si riconosce convenientemente che quell’uomo fu purificato con quel castigo, perché non perisse in seguito a causa di quel peccato. Questa medesima cosa indicano anche gli utensili che nel Levitico si comanda di purificare col fuoco 14. Se invece il peccato di Achar era di tal natura per cui egli andasse a finire nella geenna anche dopo la vita presente, Giosuè con lo stabilire di lapidarlo volle fare intendere che le parole dette dal Signore: Sarà bruciato col fuoco si devono intendere nel senso che non doveva essere fatto da loro ciò che doveva essere fatto dal Signore. Se infatti il Signore avesse detto: " brucerete lui e tutte le sue cose " non si potrebbe ammettere affatto tale interpretazione; ma a giudicare dal testo sembra che Dio fece una predizione di ciò che sarebbe accaduto al peccatore, anziché ordinare ciò che avrebbe dovuto essere compiuto dagli uomini; Giosuè, che da quel grande profeta che era, aveva compreso le parole di Dio e compì in modo profetico quella stessa azione, non poté agire meglio che facendolo uccidere con il lapidarlo, anziché farlo perire nel fuoco, perché non sembrasse che con quelle fiamme gli ordini del Signore fossero adempiuti, mentre aveva inteso che fossero dati per un’altra azione.

9. 3. Non ci deve neppure impressionare il fatto che Dio in precedenza aveva detto che si doveva bruciare al fuoco non solo il colpevole ma anche tutto ciò che gli apparteneva. Poiché Dio disse così: Sarà bruciato col fuoco tutto ciò che è suo. Tutto ciò che è suo si può intendere per tutte le sue opere, che disse doversi bruciare con lui, non come dice l’Apostolo a proposito di certe opere consumate dal fuoco, ma egli sarà salvo 15, se si deve intendere che il peccato di costui è di tal natura da essere punito anche con il fuoco eterno. Il popolo dunque nel punirlo abbatté a colpi di pietre nello stesso tempo i suoi figli e le sue figlie con il suo bestiame e con tutto ciò che aveva. Tuttavia Giosuè non fece compiere quel castigo ispirato da un giudizio umano, ma spinto da spirito profetico o perché intese le parole con tutte le sue cose in modo da non considerare eccettuati dalla lapidazione nemmeno i figli, infliggendo loro anche quel castigo invece del fuoco, oppure perché intendeva indicare le opere di Achar che Dio avrebbe bruciato con lui dopo la sua morte, non solo per le altre cose appartenenti a lui ma anche per i suoi figli.

9. 4. Ma non si deve pensare affatto che i suoi figli anche dopo la morte furono condannati al castigo d’essere bruciati al fuoco dell’inferno per il peccato del padre, di cui loro erano innocenti. Poiché la morte che sovrasta tutti, benché provenga dal primo peccato 16, tuttavia, poiché siamo nati nella condizione che naturalmente dobbiamo morire senza scampo, ad alcuni è utile quando viene affrettata. Di conseguenza si legge di un tale che fu rapito perché il male non alterasse i suoi sentimenti 17. Pertanto per qual giudizio o misericordia di Dio la morte fu inflitta sia ai figli di costui sia ai trentasei soldati 18, pur essendo tutti estranei al suo peccato, lo sa solo Colui nel quale non c’è ingiustizia 19. Tuttavia è chiaro che anche il popolo dovette riflettere sbigottito sul peccato commesso, e tutti gli altri ebbero una paura tanto più grande di imitare l’azione di Achar quanto più grande orrore ha la debolezza umana e di venire esposti allo sdegno assai grande e giusto del popolo, e di estinguersi a causa del proprio peccato insieme con la morte dei figli che credeva di lasciare per la propagazione della propria stirpe.

Dio comanda a Giosué di disporre un’imboscata.

10. (8, 2) Per quanto riguarda il fatto che Dio comandò a Giosuè, dicendogli di disporre un’imboscata [contro la città] nella parte posteriore, vale a dire, dei guerrieri posti in agguato per far cadere in trappola i nemici, siamo indotti a considerare che non agiscono ingiustamente coloro che fanno una guerra giusta. Per questo l’uomo giusto che si trova nella costrizione di far guerra, - non tutti si trovano nella stessa necessità -, non deve pensare a nulla di più importante che a fare una guerra giusta. Intrapresa una guerra giusta, non importa riguardo alla giustizia se si vince in una battaglia campale oppure mediante un’imboscata. Si è poi soliti denominare giuste le guerre che vendicano dei torti, qualora una nazione o una città, che dev’essere investita dalla guerra, abbia trascurato di punire l’ingiustizia fatta dai suoi cittadini o di rendere ciò che è stato portato via ingiustamente. È quindi senza dubbio giusto anche questo genere di guerra comandata da Dio, nel quale non è ingiustizia 20, e sa che cosa deve darsi a ciascuno. In rapporto a questa guerra il capo dell’esercito e il popolo stesso se ne devono considerare non tanto i promotori, quanto piuttosto gli esecutori [dei disegni di Dio].

C’è differenza fra inganno e menzogna.

11. (8, 4-8) Giosuè, nell’inviare trentamila combattenti alla guerra contro [la città di] Aj, disse loro: Voi vi metterete in agguato dietro la città e non starete lontani da essa e vi terrete tutti pronti. Io invece e tutto il popolo che sta con me ci avvicineremo alla città. E avverrà che quando saranno usciti per affrontarci coloro che vivono in Aj, come fecero anche la prima volta, e ci daremo alla fuga davanti a loro. E quando saranno usciti inseguendoci li trascineremo via lontani dalla città e diranno: " Costoro fuggono davanti a noi come anche prima ". Voi invece sbucherete dall’imboscata ed entrerete nella città. Voi farete secondo questo ordine. Ecco ve lo comando. Si deve porre il quesito se ogni intenzione di ingannare si deve considerare come menzogna e, se è così, se può essere giusta la menzogna con la quale viene ingannato chi merita di essere ingannato, ma se neanche questa si riconosce una menzogna giusta, non resta che riferire alla verità, conforme a un particolare simbolismo, il fatto qui riferito dell’imboscata.

Trucco escogitato dai Gabaoniti.

12. (9, 3-4. 13) [La Scrittura narra] che i Gabaoniti si recarono da Giosuè con pani stantii e sacchi già usati: era un trucco perché si pensasse che giungevano da un paese lontano e così fossero risparmiati - il Signore infatti aveva ordinato agli Israeliti di non risparmiare nessuno degli abitanti dei paesi in cui sarebbero entrati -; riguardo al testo relativo alcuni manoscritti non solo greci, ma anche latini, hanno: e prendendo sacchi vecchi sulle proprie spalle; al contrario altri, che sembrano più veridici, non hanno: sulle spalle, ma: sopra i loro asini. L’errore fu facilitato dalla rassomiglianza dei due termini nella lingua greca e perciò anche gli esemplari latini hanno lezioni differenti; effettivamente non suonano molto diversamente tra di loro i due termini e , di cui il primo significa spalle e il secondo asini. In effetti è più probabile che si tratti degli asini per il fatto che i Gabaoniti dissero di essere stati inviati dal loro popolo che stava lontano: di qui è chiaro che erano ambasciatori e perciò poterono portare le cose indispensabili piuttosto sopra asini che sulle loro spalle, anche perché non potevano essere molti e la Scrittura ricorda che non portavano solo dei sacchi ma anche degli otri.

Come mai gli Ebrei credettero loro dovere di osservare il giuramento fatto ai Gabaoniti.

13. (9, 19. 9) Ci possiamo domandare come mai gli Ebrei credettero loro dovere di osservare il giuramento fatto ai Gabaoniti, ai quali lo avevano fatto credendo che venissero da un paese lontano, come essi avevano mentito. I Gabaoniti sapevano infatti di essere destinati allo sterminio se gli Ebrei fossero venuti a sapere che essi abitavano nel paese che era stato loro promesso e di cui sarebbero entrati in stabile possesso qualora ne avessero uccisi gli abitanti. Gli Israeliti dunque giurarono di salvare loro la vita poiché i Gabaoniti avevano mentito di essersi recati presso di loro da un paese lontano. Ma dopo che gli Israeliti vennero a sapere che quelli abitavano dove, secondo l’ordine di Dio, si dovevano sterminare tutti coloro che vi avessero trovato, non vollero tuttavia infrangere il giuramento e, sebbene avessero appreso che quelli avevano mentito, preferirono salvare loro la vita a causa del giuramento, pur potendo naturalmente dire che avevano fatto loro un giuramento nella persuasione che provenissero da un paese lontano, ma essendo poi venuti a sapere il contrario, avrebbero dovuto osservare il comando del Signore sterminandoli come tutti gli altri. Iddio tuttavia approvò questo modo di agire e non si adirò contro gli Israeliti che li avevano risparmiati, sebbene non lo avessero consultato 21 per sapere che specie d’individui fossero e perciò essi riuscirono ad ingannarli. Di conseguenza, anche nell’ipotesi che i Gabaoniti avessero avuto l’intenzione d’ingannare per aver salva la vita, si può credere con tutta ragione che ebbero un vero timore di Dio in mezzo al suo popolo. Per questo motivo neppure il Signore si adirò con gli Israeliti che avevano fatto il giuramento e li avevano risparmiati, tanto che in seguito vendicò gli stessi Gabaoniti, come se facessero parte del suo popolo, castigando la casa di Saul, come espone il Libro dei Re 22. E poiché il giuramento fu mantenuto sebbene riguardo a persone che avevano mentito, di modo che la decisione si piegò alla clemenza, non dispiacque a Dio. Poiché se al contrario gli Israeliti avessero giurato di uccidere alcuni di loro creduti essere Gabaoniti abitanti nella terra promessa ma in seguito avessero appreso essere stranieri riguardo a quella terra e venuti presso di loro da lontano, non si deve pensare affatto che li avrebbero sterminati per osservare il giuramento. Per la stessa clemenza di risparmiargli la vita il santo Davide, anche dopo aver giurato di uccidere Nabal pur sapendo di certo chi era colui che aveva deciso di uccidere, preferì risparmiarlo e non mantenere il giuramento in un caso più grave, pensando che era cosa più gradita a Dio 23 se non avesse fatto ciò che fuori di sé per la collera aveva giurato di fare per nuocere piuttosto che se lo avesse compiuto.

Il Signore, sebbene non consultato, salva la vita.

14. (10, 7-8) Quando gli abitanti di Gabaon, essendo assediati dai re degli Amorrei, inviarono messi a Giosuè perché accorresse in loro aiuto, la Scrittura continua e dice: E Giosuè salì da Galgala, lui con tutti i suoi uomini atti alla guerra, tutti prodi guerrieri. E il Signore disse a Giosuè: " Non avere paura di loro, poiché te li ho dati nelle tue mani, nessuno potrà resistere a voi ". In quel caso non era stato consultato il Signore se si dovesse andare contro di loro, ma agli Israeliti, che di propria iniziativa avevano voluto giustamente soccorrere i loro, preannunciò che avrebbero riportato la vittoria. Allo stesso modo dunque il Signore avrebbe potuto, sebbene non consultato a proposito dei Gabaoniti 24, fare intendere loro chi erano coloro che mentivano di essere persone di paesi lontani, se non avesse approvato quel giuramento che li avrebbe costretti a salvare la vita a un popolo sottomesso. Essi infatti avevano creduto in Dio, poiché avevano sentito dire 25 che aveva promesso al suo popolo che avrebbe distrutto quei popoli e sarebbe entrato in possesso della loro terra, e Dio ricompensò in qualche modo la loro fede non consegnandoli nelle mani [degli Israeliti].

I cinque re dei Gebusei o Amorrei.

15. (10, 5-6) Sorge il quesito di sapere perché Adonibeze, re della città di Gerusalemme, e gli altri quattro con cui assediò i Gabaoniti, dapprima, quando si riunirono per assediarli, secondo la versione dei Settanta, sono chiamati re dei Gebusei; in seguito invece dagli stessi gabaoniti sono chiamati re degli Amorrei, quando inviarono messi a Giosuè perché li liberasse dal loro assedio. Ma, per quanto abbiamo potuto vedere, nella versione dall’ebraico, in entrambi i casi sono chiamati re degli Amorrei, poiché risulta che il re della città di Gerusalemme era un Gebuseo, poiché la stessa città aveva il nome di Gebus 26, essendo considerata come la capitale di quel popolo, e la Scrittura menziona assai spesso i sette popoli che Dio aveva promesso di sterminare davanti al suo popolo e uno di essi è chiamato degli Amorrei, tranne che si tratti di una denominazione generale di tutti o meglio della maggior parte di loro, di modo che sotto quel nome fossero compresi più popoli, non uno solo, di quei sette, sebbene uno solo di quei sette popoli si chiamasse in senso proprio Amorreo; così c’è una parte dell’Africa propriamente detta Libia, sebbene questo nome si possa applicare a tutta quanta l’Africa, come pure c’è una parte propriamente detta Asia, sebbene alcuni abbiano riferito che l’Asia è addirittura la metà o altri un terzo di tutto il mondo. Come infatti si sa, anche i cananei sono menzionati come un popolo tra quei sette e tuttavia tutto quel paese originariamente si chiama Canaan.

Dio non è crudele quando castiga i peccati.

16. (11, 14-15) Giosuè non lasciò in essa nessun vivente. Come il Signore aveva ordinato al suo servo Mosè, e come Mosè aveva ordinato a Giosuè, [questi] lo eseguì senza trascurare nulla di quanto il Signore aveva ordinato a Mosè. In nessun modo si deve pensare che fosse una crudeltà il fatto che Giosuè non lasciava nessun vivente nelle città consegnatesi a lui, poiché così aveva comandato Dio. Coloro però che in base a questo ordine pensano che Dio stesso era crudele e perciò non vogliono credere che il vero Dio fu l’autore dell’Antico Testamento, giudicano falsamente tanto le opere di Dio quanto i peccati degli uomini, ignorando che cosa ognuno merita di patire e stimando un gran male il fatto che si abbattono edifici destinati a cadere e muoiono esseri soggetti alla morte.

Gli Ebrei poterono conquistare assolutamente tutte le città.

17. (11, 19) E non ci fu città che non si era consegnata ai figli d’Israele. Come mai - ci domandiamo - ciò può essere vero dal momento che in seguito, né al tempo dei Giudici, né al tempo dei Re gli Ebrei poterono conquistare assolutamente tutte le città di quei sette popoli? Perciò o si deve intendere la frase nel senso che Giosuè, nel fare la guerra, non assaltò nessuna città senza conquistarla, o per lo meno nessuna delle città situate nelle regioni menzionate prima restò senza essere conquistata. Sono infatti menzionate le regioni in cui si trovavano le città a proposito delle quali è fatta la seguente ricapitolazione: e tutte le conquistò combattendo.

Quando Dio abbandona, la sua condotta è giusta e ispirata da un disegno misterioso della sua sapienza.

18. (11, 20) Poiché per mezzo del Signore avvenne che il loro cuore si rinforzasse di modo che andarono in guerra contro Israele per essere sterminati, e così non fu concessa loro misericordia ma furono sterminati come il Signore aveva detto a Mosè. Qui abbiamo l’espressione: per mezzo del Signore avvenne che il loro cuore si rinforzasse, cioè si ostinasse il loro cuore, come si legge del Faraone 27. Ora, quando Dio abbandona e se ne impossessa il nemico, non si deve dubitare affatto che la sua condotta è giusta e ispirata da un disegno misterioso della sua sapienza. Tale è la spiegazione della frase da dare in questo caso come in quello precedente. Ma ora si presenta un altro problema: come mai la Scrittura dice che s’indurì il cuore dei Cananei affinché combattessero contro Israele e perciò non meritavano alcuna clemenza? Come se la clemenza si fosse dovuta concedere, se non avessero fatto la guerra, dal momento che Dio aveva ordinato che non si doveva risparmiare nessuno di loro e risparmiarono i Gabaoniti perché, fingendo di essere venuti da un paese lontano, avevano ritenuto vero il loro giuramento 28. Ma poiché gli Israeliti, sebbene contro il comando di Dio, mostrarono clemenza spontaneamente verso alcuni popoli, si deve pensare che la Scrittura dica che i Gabaoniti si erano sollevati in armi e di conseguenza non sarebbero dovuti essere risparmiati e gli Israeliti, incuranti del comando di Dio, non avrebbero dovuto lasciarsi piegare da quelli alla clemenza. Per la verità non si deve credere che ciò sia potuto accadere sotto la condotta di Giosuè, il quale osservava scrupolosamente tutti i precetti di Dio. Tuttavia nemmeno Giosuè avrebbe potuto distruggere tanto presto quei nemici, se non gli si fossero opposti tutti insieme di comune accordo; in tal modo sarebbe potuto accadere che, non essendo stati annientati da Giosuè, che si preoccupava di adempiere gli ordini di Dio, sarebbero potuti rimanere fino al tempo in cui, dopo la morte di Giosuè, avrebbero potuto avere salva la vita da coloro che non adempivano i comandi di Dio con tanta cura. Poiché anche mentre egli era ancora in vita risparmiarono alcuni popoli sottomettendoli solo al loro potere; alcuni altri invece non poterono neppure vincerli. Tuttavia questi fatti non avvennero sotto il comando di Giosuè, ma quando, già vecchio, non si occupava più della guerra ma solo distribuiva le terre agli Israeliti, di modo che essi, quando Giosuè non faceva più la guerra, occupavano le terre loro distribuite, in parte già sgombre dei nemici, in parte conquistate guerreggiando. Inoltre che gli Israeliti non furono in grado di vincere alcuni popoli, apparirà senz’altro da alcuni passi della Scrittura che fu voluto dalla divina provvidenza.

La salita del Faraone, re d’Egitto.

19. (16, 10) Efraim però non distrusse il Cananeo che abitava in Ghezer. E il Cananeo è rimasto in mezzo a Efraim fino al giorno d’oggi, finché non salì il Faraone, re d’Egitto, e prese la città, la incendiò e passò a fil di spada i Cananei, i Ferezei e gli abitanti di Gazer; e il Faraone la diede in dote a sua figlia. Sarei curioso di sapere se questa affermazione relativa al Faraone si deve intendere in senso profetico, dal momento che questa notizia storica si crede scritta al tempo in cui erano accaduti quei fatti quasi contemporanei. Ma quale importanza aveva quel fatto per essere scelto ad essere annunciato profeticamente, quando si raccontano fatti passati e invece non vengono registrati fatti futuri più importanti e assai necessari? Per questo motivo si deve piuttosto pensare che i Settanta traduttori, che si narra abbiano tradotto per ispirazione profetica, con un mirabile accordo esistente tra loro, aggiunsero quel fatto non per fare la predizione di un evento futuro ma, poiché vivevano al tempo in cui ricordavano che era avvenuto e lo avevano letto nei libri dei Re 29. In effetti era avvenuto al tempo dei Re. Ciò mi pare più probabile, poiché abbiamo visto la traduzione fatta dall’ebraico e non ve l’abbiamo trovato; così non abbiamo trovato nemmeno quanto si dice di Gerico, che Hoza, il quale l’avrebbe ricostruita, incorse nella maledizione pronunciata da Giosuè. Così infatti sta scritto: In quel giorno Giosuè fece questo giuramento: Maledetto l’uomo che risusciterà e riedificherà questa città; egli pose le fondamenta sopra il suo primogenito e sul figlio minore pose le sue porte 30. Così troviamo fin qui nella traduzione fatta dal testo ebraico; lì però non si legge la pericope che segue, e cioè: e così fece Hoza che era di Bethel; sul primogenito Abiron pose le fondamenta di essa e sull’ultimo suo figlio, salvato la seconda volta, pose le sue porte 31. Di qui risulta evidente che questa pericope fu aggiunta dai Settanta, i quali sapevano che era successo così.

Gli Amorrei tributari degli Ebrei.

20. (19, 47) E l’Amorreo rimase abitando in Elom e in Salamin e la mano di Efraim si appesantì su di essi e divennero loro tributari. Ciò si compiva già contro il precetto del Signore mentre era ancora in vita Giosuè, ma non era più il loro comandante nelle battaglie a causa della vecchiaia. Ecco perché la Scrittura dice che fu il Signore a far sì che si ostinasse il cuore di coloro che si erano messi d’accordo di andare in guerra contro Giosuè 32 affinché non fosse accordata loro questa misericordia, anche contro il comando di Dio 33 se quando Giosuè fosse vecchio e già morto fossero rimasti senza essere stati vinti e fossero stati lasciati per essere vinti dai figli di Israele, i quali potessero aver salva la vita contro il comando del Signore, cosa che Giosuè non avrebbe fatto.

Perché Israele non distrusse i popoli che possedevano la terra promessa.

21. 1. (21, 41-43) Con ragione si pone il quesito per sapere in quale senso si deve intendere il testo della Scrittura che si riporta qui di seguito, poiché Israele, non solo fino alla morte di Giosuè, ma anche dopo non distrusse i popoli che possedevano la terra promessa, sebbene si fossero ormai stabiliti nella terra promessa dopo averne annientato in parte gli indigeni; il testo dice: E il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri, la ebbero in eredità e vi abitarono. E il Signore concesse loro la pace [con tutti i popoli] all’intorno; come aveva giurato ai loro padri; nessuno dei loro nemici poté resistere davanti a loro. Il Signore mise tutti i loro nemici nelle loro mani, non cadde a vuoto nessuna delle parole buone dette dal Signore ai figli d’Israele; si compirono tutte.

21. 2. Si devono dunque esaminare tutte attentamente. E anzitutto si deve considerare la terra di quanti popoli fu promessa agli Israeliti. Sembra che siano menzionati ripetutamente almeno sette popoli, come si legge nell’Esodo: E il Signore disse a Mosè: " Va’, sali di qui tu e il tuo popolo, che hai condotto fuori dall’Egitto, verso la terra da me promessa con giuramento ad Abramo, Isacco e Giacobbe dicendo: "La darò ai vostri discendenti". E nello stesso tempo invierò davanti a te un angelo e scaccerà l’Amorreo e il Cetteo e il Ferezeo e il Gergeseo e l’Eveo e il Gebuseo e il Cananeo "34. Sembra dunque che sia la terra di questi sette popoli quella promessa da Dio ai Patriarchi. Anche nel Deuteronomio sta scritto molto più chiaramente: Se poi ti avvicinerai a una città per assalirla e li inviterai in uno spirito di pace; se ti risponderanno parole di pace e ti apriranno, tutto il popolo, che saranno trovati nella città ti pagheranno un tributo e ti saranno sottomessi; se invece non ti si sottometteranno e faranno la guerra contro di te, assedierai la città e il Signore te la darà nelle tue mani e tu ucciderai ogni maschio a fil di spada eccetto le donne e la suppellettile; tutte le greggi e tutto ciò che si troverà nella città e tutti gli utensili li prenderai come bottino per te; e mangerai tutto il bottino dei tuoi nemici che il Signore tuo Dio ti darà. Allo stesso modo ti comporterai con tutte le città che saranno assai lontane da te, che non fanno parte delle città di questi popoli. Ma ecco, nelle città che il Signore tuo Dio ti darà perché tu le erediti sulla loro terra, non lascerai vivo alcun essere che respira, ma dovrai votarli all’anatema: il Cetteo, l’Amorreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Eveo, il Gebuseo e il Gergeseo, come te l’ha comandato il Signore tuo Dio 35. Anche qui risulta evidente che era la terra di quei sette popoli quella promessa in eredità, che gli Israeliti avrebbero posseduto dopo aver sconfitto decisamente fino allo sterminio i medesimi popoli. Quanto agli altri popoli che si trovavano più lontano al di fuori di questi, il Signore volle che divenissero tributari degli Israeliti, se non avessero opposto resistenza; se però si fossero opposti dovevano essere uccisi anch’essi e venire dispersi, eccetto il bestiame e le altre cose che avessero potuto costituire il bottino. Parimenti in un altro passo del Deuteronomio si legge quanto segue: E accadrà che, quando il Signore tuo Dio ti avrà introdotto nella terra in cui entrerai per ereditarla e avrà distrutto grandi e numerose nazioni al tuo cospetto, il Cetteo, il Gergeseo, l’Amorreo, il Cananeo, il Ferezeo, l’Eveo e il Gebuseo, sette nazioni numerose e più forti di voi, e il Signore tuo Dio te le darà nelle tue mani e le sbaraglierai, le sterminerai completamente. Non stabilirai alleanza con esse e non devi aver pietà di esse né unirvi in matrimonio con esse; non darai tua figlia a suo figlio né prenderai sua figlia per tuo figlio 36, ecc.

21. 3. Perciò da questi e da altri passi della Scrittura viene dimostrato spesso che i figli di Israele ricevettero in eredità le terre di questi sette popoli, in modo che le abitarono non con coloro che le possedevano ma al posto di essi. Tuttavia nella Genesi alla discendenza di Abramo vengono promessi non solo questi sette popoli ma undici. Così infatti si legge: Quel giorno il Signore stabilì una alleanza con Abramo nei seguenti termini: ai tuoi discendenti darò questa terra che si stende dal fiume dell’Egitto fino al gran fiume, l’Eufrate: i Keniti, i Kenizziti, i Kadmoniti, i Cetei, i Perizziti, i Refaim, gli Amorrei, i Cananei, gli Evei, i Gergesei e i Gebusei 37. Questo problema si risolve intendendo il testo come una lontana profezia secondo la quale Salomone avrebbe esteso e ampliato fino a quelle terre il regno; di lui la Scrittura dice: E tutto quello che Salomone si era proposto di fare, che aveva deciso di costruire in Gerusalemme e nel Libano e in tutto il territorio del suo dominio; quanto a tutta la popolazione che era rimasta degli Amorrei, degli Ittiti, dei Fereziti, degli Evei, dei Gebusei, i quali non erano Israeliti, dei figli di coloro che erano rimasti nel paese e che gli Israeliti non avevano potuto sterminare e Salomone li fece tributari fino ad oggi 38. Ecco qual è il resto dei popoli che dovevano essere sconfitti e sterminati completamente per ordine di Dio; Salomone li sottomise riducendoli a tributari mentre, secondo l’ordine di Dio, avrebbe dovuto sterminarli; essi tuttavia furono sottomessi e ridotti sotto il dominio [d’Israele] come tributari. Poco dopo si legge: [Salomone] stendeva il suo dominio su tutti i re dal fiume fino al paese dei Filistei e fino ai confini dell’Egitto 39. Ecco il passo in cui si afferma avverato ciò che Dio aveva predetto ad Abramo nella Genesi, quando gli parlò e gli fece la promessa. Dal fiume, infatti, qui s’intende " dall’Eufrate ", poiché in quei luoghi si può intendere trattarsi del grande fiume anche senza aggiungere il nome proprio. Non può infatti trattarsi del Giordano, poiché gli Israeliti avevano già conquistato i paesi siti tanto di qua che di là del Giordano, anche prima del regno di Salomone. La Scrittura, dunque, nel Libro dei Re dice che il regno era esteso dal fiume Eufrate a Oriente fino al paese d’Egitto, che per gli Israeliti era ad Occidente. Allora perciò il territorio dei sudditi [di Salomone] era più esteso che non quello occupato da quei sette popoli; e perciò furono allora assoggettati non sette ma undici popoli. Come sta scritto nel Libro dei Re: Fino ai confini dell’Egitto a partire dal fiume - volendo la Scrittura mostrare quanto fosse esteso il regno da Oriente a Occidente - è detto nella Genesi quando viene delimitato dall’Occidente fino all’Oriente: dal fiume d’Egitto fino al gran fiume, il fiume Eufrate 40. Ora il fiume d’Egitto, il quale è il confine che separa Israele dall’Egitto, non è il Nilo, ma è un altro fiume non grande che scorre attraverso la città di Rinocorura, a Oriente della quale già inizia la terra promessa. Così dunque era stato ordinato ai figli d’Israele di abitare i paesi dei sette popoli dopo averli sterminati e uccisi e di estendere la loro sovranità sugli altri popoli assoggettati e resi tributari fino all’Eufrate. E sebbene non avessero ubbidito a Dio riguardo a questo comando, poiché anche di quei popoli che avrebbero dovuto sterminare alcuni li avevano solo sottomessi [a pagare un tributo], tuttavia Dio al tempo di Salomone adempì la promessa.

21. 4. Orbene, in qual modo sarà vera l’affermazione contenuta nel libro di Giosuè, figlio di Nun, che ci siamo impegnati di esaminare, e cioè: E il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri; e ne vennero in possesso? In che modo il Signore diede loro tutta la terra essendo ancora vivo Giosuè quando non avevano ancora vinto il resto di quei sette popoli? È vero ciò che segue: e la possedettero, poiché stavano lì e vi si erano stabiliti. È vero ciò che il testo aggiunge di seguito: E il Signore diede loro pace d’ogni intorno, come aveva giurato ai loro padri, poiché, vivendo ancora Giosuè non si era arreso loro il resto di quei popoli - è vero - ma nessuno di essi osava provocarli a far guerra nelle terre in cui si erano stabiliti. Ecco perché è detto quanto viene aggiunto di seguito: nessuno fra i loro nemici poté resistere loro. Ciò che invece è detto subito dopo: e il Signore mise i loro nemici nelle loro mani, si deve intendere dei nemici, che osarono assalirli in guerra. L’espressione che viene di poi: Di tutte le buone promesse che Dio aveva fatto ai figli d’Israele non ne cadde a vuoto nessuna: si compirono tutte, si deve intendere nel senso che, pur avendo gli Israeliti operato contro il comando del Signore risparmiando la vita ad alcuni di quei sette popoli e facendoli tributari, erano tuttavia rimasti ancora sani e salvi tra loro. Avendo perciò detto la Scrittura: di tutte le promesse, aggiunse: buone, poiché non erano sopraggiunte ancora le maledizioni stabilite per coloro che avevano disprezzato e trasgredito il comando del Signore. Resta dunque che l’espressione: Il Signore diede a Israele tutta la terra che aveva giurato di dare ai loro padri, s’intenda nel senso che, anche se di quei popoli ce n’era ancora un resto da distruggere e da sterminare o di quelli presso il fiume Eufrate o da sottomettere se non si fossero opposti o da sterminare se si fossero opposti, tuttavia erano stati lasciati per loro utilità, perché fossero molestati da essi, cioè per evitare che, snervati da sentimenti e passioni carnali non fossero poi in grado di sopportare in maniera modesta e vantaggiosa una sì grande e repentina prosperità di condizioni temporali, ma insuperbiti andassero presto in rovina, come sarà dimostrato opportunamente in un altro passo. Quella terra fu dunque data tutta quanta a loro, poiché anche la parte, che ancora non era stata data in possesso, era già stata concessa perché servisse - per così dire - a metterli alla prova.

Nessun popolo resistette all’invasione ebrea.

22. (21, 42) Quanto a ciò che dice la Scrittura: E nessuno dei loro nemici poté resistere ad essi si può domandare in che modo è vero, dal momento che poco più sopra, a proposito della tribù di Dan, sta scritto che non permisero ai loro nemici di scendere nella valle e li vinsero sui monti 41. Ma, come abbiamo esposto dove la Scrittura afferma che i dodici figli di Giacobbe nacquero in Mesopotamia in cui Beniamino non era nato 42, anche qui dobbiamo intendere che le undici tribù sono contate come se fossero tutto il popolo in base alla regola che ci è ben nota per altri passi delle Scritture. Se però si cerca la causa perché questa tribù nel sorteggio delle terre non ne aveva ottenute di sufficienti e da coloro che le possedevano fu molestata, si deve pensare che si trova certamente nel segreto disegno di Dio. Tuttavia quando Giacobbe benedisse i suoi figli pronunciò - a proposito di questo Dan - tali cose 43 che alcuni pensano che l’Anticristo uscirà da quella tribù. Su questo tema non ci interessa di parlare più a lungo, per il fatto che questo problema potrebbe risolversi intendendo la frase: nessuno dei loro nemici poté resistere loro nel senso che ciò si avverò fin tanto che tutte le tribù fecero la guerra insieme sotto il comando d’un solo capitano, prima che fosse diviso il territorio che ogni tribù avrebbe dovuto difendere come proprio.

Il solo sacrificio della salvezza.

23. (22, 27) E con i sacrifici delle nostre salvezze. Poiché parla di sacrifici al plurale, usa al plurale anche il termine salvezza. A questo proposito bisogna osservare attentamente che di solito si dice " sacrificio della salvezza " poiché, se ammetteremo che Cristo è chiamato salvezza di Dio 44, non si vede qual senso può darsi a questa parola se usata al plurale, poiché uno solo è il Signore nostro Gesù Cristo 45, quantunque alcuni siano chiamati cristi per sua grazia, come si legge nel Salmo: Non toccate i miei cristi 46; ma salutaris [che porta salute o salvezza] può forse essere usato al plurale e dire salutares o salutaria? Non dobbiamo affermarlo senz’altro, poiché Egli solo è il salvatore del corpo 47.

Ciò che Giosuè dice riguardo alla sua morte imminente.

24. (23, 14) Quanto a ciò che Giosuè dice riguardo alla sua morte imminente: Io però me ne vado per la via come anche tutti coloro che vivono sulla terra, nella traduzione dall’ebraico troviamo: Io entro nella via. In questo senso dunque si deve intendere il termine recurro usato dai Settanta, come fu detto all’uomo: Finché non torni alla terra dalla quale sei stato tratto 48, affermazione da intendersi riguardo al corpo; se invece la vorremo intendere riferita all’anima, come nell’Ecclesiaste si afferma: E lo spirito tornerà a Dio che l’ha dato 49 non credo che possa applicarsi indistintamente a tutti gli uomini, ma solo a coloro che siano vissuti in modo da meritare di tornare a Dio come all’autore, dal quale sono stati creati. Ciò infatti non può intendersi correttamente di coloro di cui si dice: spirito che va e non torna 50. Se però questo santo uomo di Giosuè, figlio di Nun, non avesse aggiunto: come tutti coloro che vivono sulla terra, non ci sarebbe alcun problema, poiché non penseremmo di lui nient’altro che quanto leggiamo essere degno di lui. Ma poiché egli aggiunse l’espressione: come anche tutti coloro che vivono sulla terra, sarebbe strano se ciò che il traduttore latino rese con recurro [percorro; corro attraverso] non si dovesse esprimere piuttosto con percurro [percorro; corro attraverso] o con excurro [corro in fretta; percorro] se ciò può essere significato dal verbo che ha il testo greco. Tutti infatti percorrono, o percorrono in fretta la via della vita terrena, quando sono giunti alla sua fine. Ma siccome questo verbo è usato nel passo in cui i genitori di Rebecca dicono al servo di Abramo: Ecco Rebecca, prendila e va’ di corsa e sia la moglie del figlio del tuo padrone 51, perciò anche qui è stato tradotto così questo verbo.

Analisi di una interpretazione dei Settanta.

25. (24, 3) Ciò che la traduzione fatta dai Settanta esprime nei seguenti termini: e presi il vostro padre Abramo da di là del fiume e lo condussi in tutta la terra, la traduzione fatta dall’ebraico lo esprime così: e lo condussi nella terra di Canaan. Parrebbe strano che i Settanta volessero indicare tutta la terra invece della sola terra di Canaan, salvo che avessero presente al loro spirito una profezia, di modo che s’intenda come un fatto verificatosi per la promessa di Dio ciò che con assoluta certezza si preannunciava sarebbe accaduto riguardo a Cristo e alla Chiesa, che è la vera discendenza di Abramo formata non già dai figli della carne ma dai figli della promessa 52.

C’è una guerra quando c’è un’inimicizia in certo qual modo armata.

26. (24, 11) E hanno fatto guerra contro di voi gli abitanti di Gerico. Ci possiamo domandare come ciò sia vero, dal momento che quelli si difesero solo dentro la cerchia delle mura dopo aver chiuso le porte. L’espressione però è giusta, poiché anche il chiudere le porte contro il nemico è un’azione di guerra, perché non inviarono ambasciatori a chiedere la pace. Di conseguenza, se l’agiografo avesse detto: " combatterono contro di voi " sarebbe contrario alla verità. La guerra infatti non comporta battaglie continue ma talora frequenti, talora invece rare, talora nessuna. Tuttavia c’è una guerra quando c’è un’inimicizia in certo qual modo armata.

Le vespe a protezione degli Israeliti.

27. (24, 12) Che significa ciò che, tra le altre cose che Giosuè di Nun ricorda essere state fatte dal Signore a protezione degli Israeliti, dice: mandò innanzi a voi le vespe e li scacciò davanti a voi? Ciò si legge anche nel libro della Sapienza 53, ma tuttavia in nessun passo si trova che sia accaduto tra i fatti narrati dalla storia. Ha forse l’agiografo voluto con la parola vespe presa in senso traslato fare intendere i pungiglioni assai dolorosi della paura, con cui in certo qual modo per le notizie che si spargevano rapidamente venivano tormentati perché fuggissero? Oppure ha voluto farci intendere gli spiriti occulti dell’aria, poiché nel Salmo si dice: per mezzo degli angeli cattivi 54, salvo che uno dica che non tutti i fatti accaduti sono stati registrati e anche questo fatto accadde visibilmente e di conseguenza vuol fare intendere trattarsi di vere vespe?.

Servire Dio in modo perfetto è impossibile.

28. (24, 19) Che significa ciò che Giosuè disse al popolo: Non potrete servire il Signore, poiché Dio è santo? Vuol forse dire che è incompatibile per la fragilità umana il conformarsi in qualche modo con la santità di lui con un culto perfetto? All’udire ciò gli Israeliti avrebbero dovuto non solo scegliere il servizio di Dio ma anche attendere il suo aiuto e la sua misericordia, come lo aveva capito l’autore del Salmo che dice: Non entrare in giudizio con il tuo servo, poiché nessun vivente sarà giustificato dinanzi a te 55. Gli Israeliti invece preferirono avere fiducia in se stessi di poter servire Dio senza pericolo di cadere in colpa, di modo che iniziarono fin d’allora a fare ciò che l’Apostolo disse di loro: Poiché, non conoscendo la giustizia di Dio e volendo stabilire la propria, non si sono assoggettati alla giustizia di Dio 56; così sopraggiunse per essi la legge, di modo che si moltiplicarono i peccati, ma in seguito sovrabbondò la grazia 57 per opera di Cristo nostro Signore, che è il compimento della legge [di Mosè] per la giustificazione di chiunque è credente 58.

Fedeltà al Signore contro l’idolatria.

29. (24, 23) Che cosa vuol dire ciò che il medesimo Giosuè dice parlando al popolo: E ora portate via gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi e rivolgete il vostro cuore verso il Signore, Dio d’Israele? Non si può, infatti, pensare che avessero ancora nelle loro case idoli dei pagani, avendo poco prima esaltato la loro ubbidienza. Se, al contrario, avessero ancora tenuto quegli idoli dopo tante minacce della legge, non li avrebbe accompagnati la prosperità, dal momento che proprio il Signore li castigò perché uno solo di loro aveva rubato qualcosa [interdetta] in forza dell’anatema. Così, per esempio, Giacobbe disse la medesima cosa a coloro che erano venuti via con lui dalla Mesopotamia ove agli idoli veniva reso un culto così diffuso che perfino Rachele rubò gli dèi del padre 59, ma dopo l’ammonizione consegnarono a Giacobbe gli idoli che possedevano 60; risultò evidente che era stata detta loro quella cosa, poiché chi l’aveva detta sapeva che essi li possedevano. Ora, al contrario, dopo questo ammonimento di Giosuè nessuno consegnò nulla di simile. Non si deve tuttavia pensare che Giosuè diede quell’ordine senza un motivo, poiché non disse: " e ora portate via gli dèi stranieri, se ve n’è qualcuno in mezzo a voi ", ma sapendo per certo che ve ne erano: che sono - dice - in mezzo a voi. Di conseguenza il santo Profeta vedeva che nei loro cuori c’erano idee riguardo a Dio estranee a Dio e proprio quelle ammoniva di togliere via. In realtà chiunque immagina un Dio di natura diversa da quella di Dio, certamente porta nella sua fantasia un dio non corrispondente alla natura di Dio, un dio falso. Chi mai infatti può immaginare Dio così com’egli è? E perciò ai fedeli, finché siamo lontani dal Signore 61, non resta che togliere dal loro cuore i vani fantasmi che vi penetrano e s’introducono nell’immaginazione come se Dio fosse di tale o tal altra natura come di certo non è, e volgere verso di lui il cuore con spirito di fede, affinché nella maniera e nella misura che sa essere utile a noi vi penetri lui mediante il suo Spirito finché non sparisca ogni menzogna - per la qual cosa si dice che ogni uomo è bugiardo 62 - e affinché, una volta scomparsa non solo l’empia falsità ma anche lo specchio e l’enigma, lo conosciamo faccia a faccia, come siamo conosciuti anche noi, secondo l’affermazione dell’Apostolo: Ora noi vediamo come attraverso uno specchio in un enigma, allora invece faccia a faccia; ora lo conosco in parte, allora invece lo conoscerò come anch’io sono conosciuto 63.

Simbologia della pietra eretta da Giosuè.

30. 1. (24, 25-27) E quel giorno Giosuè stabilì l’alleanza per il popolo e gli diede legge e precetti in Silo davanti alla tenda-santuario del Signore Dio d’Israele. E scrisse queste parole nel libro delle leggi di Dio; prese poi una grande pietra e la drizzò ivi sotto il terebinto davanti al Signore. E Giosuè disse al popolo: " Ecco, questa pietra sarà a testimonianza contro di voi, poiché ha udito tutte le parole che Dio ci ha detto, tutto ciò che vi ha detto oggi; ed essa sarà a testimonianza contro di voi negli ultimi giorni, quando mentirete al Signore Dio vostro. Coloro che non ascoltano queste parole non soltanto superficialmente ma le sottopongono a un esame un po’ più profondo non devono credere che un personaggio così grande fosse tanto stupido da credere che una pietra senza vita avesse udito le parole dette da Dio al popolo; quella pietra, anche se fosse stata foggiata da un artista in modo da riprodurre la sembianza d’una persona, sarebbe considerata come uno di coloro di cui nel Salmo si canta: Hanno orecchie ma non sentono 64. In effetti non è vero che gli idoli dei pagani, che sono oro e argento 65, sono i soli a non udire, ma se sono di pietra sentono. Senza dubbio però con questa pietra fu simboleggiato colui che fu la pietra d’inciampo per i Giudei non credenti e pietra di scandalo che, scartata dai costruttori, divenne la pietra angolare 66. Il Cristo fu prefigurato anche da quella roccia che, percossa dal bastone, fece uscire l’acqua da bere per il popolo assetato 67, della quale l’Apostolo dice: Bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava e quella roccia era Cristo 68. Perciò questo singolare condottiero circoncise anche il popolo con coltelli di pietra 69; quei coltelli di pietra furono anche sepolti con lui, perché mostrassero un profondo mistero che sarebbe stato apportatore di beni ai loro posteri. Così dunque anche questa pietra, sebbene eretta lì visibilmente, dobbiamo considerarla spiritualmente come una testimonianza destinata per il futuro contro i Giudei infedeli, cioè menzogneri, dei quali il Salmo dice: I nemici del Signore hanno mentito a lui 70. In realtà non è senza ragione che, pur avendo Mosè, fedele servo di Dio, o piuttosto Dio, per mezzo di lui, già stabilito per il popolo un’alleanza 71, che si conservava nell’arca, chiamata " Arca dell’alleanza ", e nei libri della legge composti di una gran quantità d’insegnamenti religiosi e rituali e di precetti, tuttavia anche qui è detto: In quel giorno Giosuè stabilì un’alleanza per il popolo. La ripetizione dell’alleanza è il simbolo della nuova alleanza; questa è simboleggiata anche dal Deuteronomio che significa: " seconda legge " e anche dalle Tavole della Legge rinnovate dopo essere state spezzate le prime 72. Poiché doveva essere simboleggiato sotto un gran numero di figure diverse ciò che si doveva compiere in un unico modo. Ora la pietra collocata sotto il terebinto era simbolo di ciò che il bastone era presso la roccia per fare sgorgare l’acqua, perché neppure qui la pietra si trova senza il legno. E stava al di sotto perché Cristo non sarebbe stato esaltato sulla croce, se non si fosse sottomesso con l’umiltà o perché, al tempo in cui Giosuè, figlio di Nun, compiva quell’azione, il mistero doveva rimanere ancora velato. Il legno del terebinto inoltre trasuda una resina medicinale, albero qui menzionato con questo nome dai Settanta traduttori, sebbene, secondo altri traduttori, si tratti di una quercia.

30. 2. È davvero strano che l’uomo di Dio, Giosuè, neppure nelle ultime parole rivolte al popolo li rimproverò del fatto che risparmiarono quei popoli che il Signore aveva ordinato di mandare in rovina fino allo sterminio con l’anatema. Poiché sta scritto così: E avvenne dopo che i figli d’Israele divennero assai potenti e sottomisero i Cananei in servitù ma non li sterminarono del tutto 73. La Scrittura infatti attesta che in un primo tempo essi non ne ebbero la capacità 74 ma ora, dopo essere divenuti tanto forti da sottometterli in servitù, il fatto di non averli anche sterminati fu una disubbidienza al comando del Signore, e ciò non lo fecero con nessun popolo quando Giosuè era a capo dell’esercito. Perché mai dunque, nel suo ultimo discorso rivolto al popolo, non li rimproverò di essere stati negligenti nell’osservare i precetti del Signore riguardo a questo obbligo? Forse perché - come afferma la Scrittura - prima essi non ne furono capaci, almeno prima che fossero molto forti, ed anche quando erano divenuti molto potenti si deve credere che temettero che se non avessero voluto risparmiare loro la vita quando erano pronti a sottomettersi, li avrebbero costretti a combattere più accanitamente contro di loro a causa della loro disperazione e allora non avrebbero potuto vincerli? Il Signore dunque non volle imputare loro questo timore umano, sebbene si mostri in esso un certo indebolimento di fede; se avessero avuto una fede vigorosa avrebbero conseguito i successi che era riuscito a riportare Giosuè quando faceva la guerra. Ma poiché non ebbero una fede altrettanto grande, anche quando erano diventati più forti dei loro nemici, per la paura che avevano di essi non osarono combattere con loro fino allo sterminio. Quella paura derivante non da malizia o da superbia o dal disprezzo del comando del Signore, ma dalla debolezza dell’animo il Signore - come ho detto - non volle imputarla ad essi quando per mezzo di Giosuè rivolse loro l’ultimo discorso. Ecco perché anche l’Apostolo dice: Alessandro, il ramaio, si è comportato molto male con me; il Signore lo ripagherà in proporzione di quanto ha fatto. Di coloro invece che lo abbandonarono al momento del bisogno, non per cattiveria ma per paura, dice così: Quando dovetti difendermi la prima volta non mi rimase vicino nessuno, ma tutti mi abbandonarono; non sia loro imputato 75.

 

 

 

1 - Cf. Dt 32, 48-52; 34, 4-5.

2 - Cf. 2 Tm 2, 21.

3 - Cf. Gs 2, 1-6.15-16.

4 - Cf. Gs 3, 1-3.

5 - Cf. Es 18, 13-26.

6 - Cf. Es 13, 21.

7 - Cf. Mt 24, 35.

8 - Cf. Es 39, 35; 40, 3.

9 - Rm 3, 21.

10 - Cf. Dt 24, 16.

11 - Cf. 1 Cor 12, 12. 25.

12 - Cf. Gc 4, 12.

13 - Dt 4, 20.

14 - Cf. Lv 13, 52.

15 - 1 Cor 3, 15.

16 - Cf. Rm 5, 12.

17 - Sap 4, 11.

18 - Cf. Gs 7, 5.

19 - Cf. Rm 9, 14.

20 - Cf. Rm 9, 14.

21 - Cf. Gs 9, 14.

22 - Cf. 2 Sam 21, 1-8.

23 - Cf. 1 Sam 25, 22-33.

24 - Cf. Gs 9, 14.

25 - Cf. Gs 9, 9.

26 - Cf. Gs 18, 28.

27 - Cf. Es 7, 3. 22; 8, 19.

28 - Cf. Gs 9.

29 - Cf. 1 Re 4, 14 (sec. LXX).

30 - Gs 6, 36.

31 - 1 Re 16, 34.

32 - Cf. Gs 11, 20.

33 - Cf. Gs 21, 20.

34 - Es 33, 1-3.

35 - Dt 20, 10-17.

36 - Dt 7, 1-3.

37 - Gn 15, 18-20.

38 - 1 Re 10, 22 (sec. LXX).

39 - 1 Re 10, 26 (sec. LXX).

40 - Gn 15, 18.

41 - Cf. Gs 19, 47.

42 - Cf. q. 1, 117.

43 - Cf. Gn 49, 17.

44 - Lc 2, 30.

45 - 1 Cor 8, 6.

46 - Sal 104, 15.

47 - Ef 5, 23.

48 - Gn 3, 19.

49 - Qo 12, 7.

50 - Sal 77, 39.

51 - Gn 24, 51.

52 - Cf. Rm 9, 8.

53 - Cf. Sap 12, 8.

54 - Sal 77, 49.

55 - Sal 142, 2.

56 - Rm 10, 3.

57 - Rm 5, 20.

58 - Rm 10, 4.

59 - Cf. Gn 31, 19.

60 - Cf. Gn 35, 2-4.

61 - Cf. 2 Cor 5, 6.

62 - Sal 115, 2; Rm 3, 4.

63 - 1 Cor 13, 12.

64 - Sal 113, 6.

65 - Cf. Sal 113, 12; 134 15.

66 - Cf. Sal 117, 22; 1 Pt 2, 7-8.

67 - Cf. Es 17, 6.

68 - 1 Cor 10, 4.

69 - Cf. Gs 5, 2-3.

70 - Sal 80, 16.

71 - Cf. Es 24, 3 ss.

72 - Cf. Es 34, 1-4.

73 - Gs 17, 13.

74 - Cf. Gs 7, 12 e 17, 12.

75 - 2 Tm 4, 14. 16.


Il castello interiore: quarte mansioni

Il castello interiore - Santa Teresa d'Avila

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Capitolo 1

Contenti e soddisfazioni che si provano nell'orazione, e in che si distinguano dai gusti spirituali - Gioia provata nell'intendere la differenza tra l'immaginazione e l'intelletto, cosa assai utile per coloro che durante l'orazione vanno soggetti a molte distrazioni

1 - Per parlare delle quarte mansioni devo raccomandarmi, come ho già fatto, allo Spirito Santo e supplicarlo che parli in luogo mio, non altrimenti che per poter dire e far capire qualche cosa delle mansioni che rimangono.

Qui comincia il soprannaturale, parlar del quale è assai difficile, a meno che non mi aiuti Sua Maestà, come ha fatto in un un altro mio scritto dove, - circa quattordici anni fa - ho riferito quello che ne avevo inteso. Presentemente, mi sembra di avere un po' più di luce su questi favori che Dio accorda alle anime; ma quanto a spiegarli, è un'altra cosa. Se Dio vuole che ne ricaviate qualche utile, li spieghi Lui, altrimenti lasci stare...

2 - Queste mansioni, essendo più vicine all'appartamento reale, sono di una magnificenza così grande e contengono meraviglie così stupende che invano si sforza l'intelletto a cercar termini sufficienti per riprodurle meno imperfettamente. Coloro che non hanno esperienza vi troveranno molte oscurità, mentre gli altri mi comprenderanno benissimo, soprattutto se la loro esperienza sarà grande.

Parrà che per arrivare a queste mansioni occorra aver vissuto a lungo nelle altre. Se in via ordinaria è vero che bisogna passare per le mansioni precedenti, tuttavia, come avrete sentito più volte, non è di regola assoluta, perché Dio distribuisce i suoi beni come vuole, quando vuole e a chi vuole, senza far ingiuria ad alcuno.

3 - Le bestie velenose entrano raramente in queste mansioni; e se vi entrano, invece di far danno, sono piuttosto di vantaggio. Anzi, in questo grado di orazione è meglio secondo me, che esse vi entrino e vi scatenino la guerra, perché in mancanza di altre tentazioni può darsi che il demonio s'intrometta nelle consolazioni di Dio e inganni le anime, facendo loro maggior danno che non con le solite tentazioni. Tali anime, infatti, non vi guadagnano che ben poco, perché il maligno toglie loro ogni occasione di merito con lasciarle in continua pace. La quale, quando è sempre nello stesso grado, non mi pare molto sicura, essendo impossibile in questa vita che lo Spirito di Dio stia in noi sempre nel medesimo modo.

4 - Parliamo ora di ciò che ho promesso, vale a dire della differenza fra i contenti che si provano nell'orazione e i gusti spirituali.

Con il nome di contenti mi pare si possano intendere quei sentimenti soavi che ci procuriamo da noi, facendo meditazione o pregando il Signore.

Benché siano effetto di nostra industria, richiedono sempre il concorso di Dio: cosa che bisogna sottintendere in qualsiasi fatto che verrò esponendo, perché senza di Lui non possiamo far nulla.

Si hanno contenti anche dalle buone opere che facciamo, in quanto che, vedendovi un frutto del nostro lavoro, godiamo d'esserci impiegati in tal modo.

Ma, pensandoci bene, vediamo che si provano i medesimi sentimenti anche per molte cose terrene, come per una grande fortuna che ci venga inopinatamente, per l'incontro improvviso di una persona molto cara, per il buon esito di un affare importante o di un'altra cosa assai grave che ci attiri l'approvazione di tutti, oppure per veder ritornare vivo il marito, un fratello, un figlio di cui si era già pubblicata la morte.

Vi sono contenti così grandi che perfino fan piangere, come io stessa ho veduto e come qualche volta è successo anche a me. Ora, se questi contenti sono naturali, tali mi sembrano anche quelli che procedono dalle cose di Dio.

Se i primi non sono cattivi, i secondi sono più nobili, perché cominciano da noi e finiscono in Dio, mentre i gusti cominciano da Dio e si fanno sentire dalla natura, procurandoci tanto piacere quanto í contenti di poco prima, e assai di più.

Oh, Gesù, se mi potessi spiegar meglio!... Mi par di vedervi una grandissima differenza, ma non so come farmi capire. Lo faccia il Signore!...

5 - Mi ricordo in questo momento del versetto che diciamo in fine all'ultimo salmo di Prima: Cum dilatasti cor meum (Quando dilatasti il cuor mio, Sal 118, 32).

Chi ha grande esperienza non ha bisogno di altro per conoscere la differenza in questione; ma per chi non ne ha, occorrono più ampie spiegazioni.

I contenti sopra accennati, non solo non dilatano il cuore, ma pare, in via ordinaria, che lo stringano alquanto, nonostante derivino dal vedere che si lavora per Iddio. Sgorgano pure certe lacrime angosciose, che sembrano quasi spremute da passione.

Ignorante come sono, so ben poco di ciò che siano le passioni dell'anima. Se lo sapessi, e sapessi distinguere ciò che procede dalla nostra natura e sensibilità, mi farei capire un po' meglio. Certe cose le saprei meglio dichiarare se, oltre averle provate per esperienza, le avessi anche intese. Lo studio e la scienza sono utilissimi in ogni cosa.

6 - L'esperienza da me avuta di questo stato, vale a dire dei contenti e dei gusti della meditazione, consisteva in questo, che se pensando alla passione del Signore mi mettevo a piangere, non potevo più cessare se non quando mi sentivo la testa indolenzita. E altrettanto mi accadeva quando pensavo ai miei peccati: tutte cose che costituivano per me una grande grazia di Dio.

Presentemente non voglio esaminare quale dei due fenomeni sia il migliore, sei contenti o i gusti spirituali, ma soltanto dirne la differenza.

In queste lacrime e desideri vi concorre alle volte la natura, in quanto dipendono dalle nostre disposizioni; ma, come ho detto, benché provengano da tali cause, finiscono sempre in Dio, e perciò si devono molto stimare, purché entri l'umiltà a farci conoscere che non per questo siamo migliori degli altri. Non si può infatti sapere se tali effetti provengano tutti dall'amore, nel qual caso sarebbero un puro dono di Dio.

Per lo più queste devozioni sono delle anime che stanno nelle mansioni precedenti, dove il lavoro consiste quasi sempre nel meditare e nel discorrere con l'intelletto.

In ciò esse fanno bene, non essendo loro concesso di più.

Ma sarebbe meglio che ogni tanto si occupassero in far atti di lode e d'amore di Dio, rallegrandosi della sua bontà e del suo essere divino, desiderando il suo onore e la sua gloria: e ciò nel miglior modo possibile, perché si tratta di sentimenti che eccitano molto la volontà. Se il Signore ci concede di emettere questi atti, guardiamoci bene dal troncarli sotto pretesto che sia terminato il tempo di meditazione.

7 - Essendomi già dilungata altrove intorno a ciò, non voglio aggiungere più nulla. Desidero soltanto avvertirvi che per inoltrarsi in questo cammino e salire alle mansioni a cui tendiamo, l'essenziale non è già nel molto pensare, ma nel molto amare, per cui le vostre preferenze devono essere soltanto in quelle cose che più eccitano all'amore.

Forse non sappiamo ancora in che consista l'amore, e non mi meraviglio. L'amore di Dio non sta nei gusti spirituali, ma nell'essere fermamente risolute a contentarlo in ogni cosa, nel fare ogni sforzo per non offenderlo, nel pregare per l'accrescimento dell'onore e della gloria di suo Figlio e per l'esaltazione della Chiesa cattolica.

Questi sono i segni dell'amore, non già non distrarsi, quasi basti la più piccola divagazione per mandare a monte ogni cosa.

8 - Per l'instabilità del pensiero, mi sono trovata anch'io varie volte in grandissima afflizione. Ma da poco più di quattro anni sono giunta a conoscere, per esperienza, che il pensiero, o, a meglio intenderci, l'immaginazione, non è la stessa cosa che l'intelletto.

Ne ho interrogato un dotto ed ho saputo con mia grande soddisfazione che veramente è così. Non riuscivo infatti a spiegarmi come mai l'intelletto, che pure è una potenza dell'anima, rimanga alle volte intontito, mentre il pensiero sia quasi sempre così instabile da non poter esser fermato che da Dio.

E quando Dio lo ferma, ci par quasi d'esser fuori dal corpo. Insomma, mi pareva che le potenze dell'anima fossero occupate e stessero raccolte in Dio, mentre il pensiero vagava in mezzo alle distrazioni, e ciò mi stupiva.

9 - Prendete in acconto, o Signore, tutto ciò che la nostra ignoranza ci fa soffrire in questo cammino! Il male deriva dal credere che non si debba far altro che pensare a Voi, per cui non osiamo interrogare i dotti, né conosciamo di che cosa abbiamo bisogno.

E così, per non intenderci, sopportiamo terribili sofferenze, credendo alle volte che sia grave peccato, non solo il cattivo, ma persino il buono.

Da qui procedono le afflizioni di molte persone di orazione - almeno di gran parte di quelle che sono poco istruite - e il lamentarsi delle loro pene interiori; da qui le malinconie, la perdita della salute e l'abbandono definitivo dell'orazione: dal non pensare, cioè, che abbiamo in noi un mondo interiore.

Come non possiamo fermare il movimento del cielo che continua sempre nella sua corsa vertiginosa, così non possiamo fermare il pensiero.

E noi intanto, immaginandoci che dietro al pensiero vadano anche le altre potenze, crediamo di smarrirci e di impiegare malamente il tempo che passiamo innanzi a Dio, quando invece può darsi che mentre l'anima è assorta in Lui nelle mansioni più elevate, il pensiero si aggiri nelle vicinanze del castello soffrendo e lottando fra una quantità di bestie feroci e velenose, con grande suo merito.

Perciò non dobbiamo turbarci, né abbandonare l'orazione, che è appunto lo scopo del demonio, ma persuaderci che la maggior parte di queste inquietudini e sofferenze derivano dal non conoscere noi stessi.

10 - Proprio ora, mentre scrivo queste righe, mi vien da osservare ciò che succede nella mia testa.

Accenno al gran rumore di cui me la sento intontita, così grande che in principio mi pareva di non poter obbedire a chi mi aveva ordinato di scrivere.

Si direbbe che vi sian dentro fiumi molto grandi, cascate di acqua, uccelli in gran numero e fischi: e non già nelle orecchie ma nella sommità della testa, dove, a quanto dicesi, risiede la parte superiore dell'anima.

Andai soggetta a questo fenomeno molte altre volte, e mi pare che il gran movimento dello spirito salga in su velocemente. Piaccia a Dio che ricordi di dirne la causa nelle mansioni seguenti, perché qui non vien bene.

Può darsi che il Signore mi abbia mandato ora questo mal di testa per farmelo meglio comprendere. Ma nonostante il rumore di cui me la sento ripiena, niente m'impedisce di applicarmi all'orazione e di continuare a scrivere, perché l'anima è tutt'intera nel riposo e nell'amore, con i suoi desideri e la sua chiara conoscenza.

11 - Ma se la parte superiore dell'anima risiede nella sommità della testa, perché non ne rimane disturbata?

Non lo so, eppure è così.Questo rumore dà pena quando l'orazione non è accompagnata da sospensione; ma durante la sospensione non dà alcun disturbo.

Sarebbe veramente deplorevole se per questo inconveniente dovessi abbandonare l'orazione!... così pure dei pensieri.

Non è ragionevole inquietarsene: dobbiamo trascurarli.

Se provengono dal demonio, il maligno vedendo che non ce ne curiamo, ci lascerà in pace.

Ma spesso avviene che procedano dalla debolezza lasciata in noi con molti altri inconvenienti dal peccato di Adamo. Allora sopportiamoli con pazienza per amor di Dio, come sopportiamo la necessità di mangiare e dormire, senza poterne fare a meno, nonostante la molestia che ne abbiamo.

12 - Riconosciamo la nostra miseria e sospiriamo a quel soggiorno dove più nessuno ci disprezzi. (Cantico 8,1)

Queste, come mi ricordo di aver alle volte sentito dire, sono parole della Sposa dei Cantici, e io non vi trovo migliore applicazione, non essendovi certo in questa vita umiliazione e disprezzi così grandi da potersi paragonare a queste lotte interiori.

Quando interiormente si è in pace, si sa sopportare qualsiasi lotta e turbamento; ma fuggire la moltitudine delle preoccupazioni terrene per ritirarci in un riposo che Dio stesso ci facilita, e trovarne gli ostacoli in noi stessi, oh! è un tormento penosissimo, quasi insopportabile!...

Perciò, Signore, portateci in quel luogo dove queste miserie non ci disprezzino più, perché alle volte sembra proprio che si prendano gioco dell'anima!

Però, se in questa vita Dio ne libera qualcuno, è soltanto quando egli giunge all'ultima mansione, come, a Dio piacendo, dirò.

13 - Quanto all'intensità della pena e alla guerra che queste miserie scatenano, non credo che tutte le anime ne debbano soffrire come la mia, che per essere stata tanto cattiva ne soffri per molti anni, quasi a vendetta di se stessa.

Siccom questa lotta mi fu assai penosa, credo che sia tale anche per voi, e per ciò ve ne parlo ad ogni istante, sperando, una volta o l'altra, di farvi intendere che, trattandosi di una cosa inevitabile, non ve ne dovete inquietare né affliggere.

Maciniamo la nostra farina senza curarci di questa battola di molino, facendo agire la nostra volontà e il nostro intelletto.

14 - Questo disturbo si sente più o meno. a seconda della salute e dei tempi. La povera anima si rassegni a soffrire, anche se non ne ha alcuna colpa. Del resto, commettiamo tanti altri difetti che è doveroso aver pazienza!

Siccome siamo poco istruite, e non bastano a farci trascurare questi pensieri né i consigli che ci danno, né ciò che leggiamo nei libri, non mi pare che sia tempo perduto fermarmi più a lungo a consolarvi, per il caso che ne abbiate bisogno, perché nulla saprò fare se Dio non vi darà la sua luce.

È necessario - e il Signore lo vuole - che ricorriamo a tutti quei mezzi che ci siano di aiuto a ben conoscerci, per non addebitare all'anima ciò che è puro effetto della nostra mobile fantasia, della natura e del demonio.

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento, e dichiara con un paragone cosa siano i gusti spirituali e come non bisogna cercarli

1 - Dove mi sono perduta, mio Dio!...

Non so neppure cosa stavo dicendo. Gli affari e la poco salute mi hanno interrotta sul più bello. E così, data la mia poca memoria e la mancanza di tempo per rileggere ciò che ho scritto, questo lavoro non sarà che un disordine completo.

E chi sa se non sia una confusione continua anche quello che dico! Tale almeno è l'impressione che ne ho.

Dei contenti spirituali mi pare di aver detto che alle volte si mischiano con le nostre passioni, così da far uscire in singulti.

Ho udito dire di alcuni che si sentono stringere il petto e vanno soggetti a certi movimenti esteriori da cui non possono difendersi: perdono sangue dal naso, ed altri simili inconvenienti.

Io non ne so nulla, perché queste cose non mi sono mai avvenute, ma credo che quelle persone ne debbano uscire consolate, perché, come ho detto, va tutto a finire in un grande desiderio di piacere a Dio e di goderlo.

2 - Ma quelli che io chiamo gusti di Dio, e a cui altrove ho dato il nome di orazione di quiete, sono molto diversi, e lo sanno anche coloro che per bontà di Dio ne hanno fatto la prova.

Supponiamo per meglio intenderci di vedere due fontane i cui bacini si riempiono di acqua.

Ignorante e di poco ingegno come sono, non trovo nulla di più adatto per meglio spiegare certe cose di spirito quanto l'acqua che io amo assai e che ho osservato con attenzione speciale, a preferenza di ogni altro elemento.

Del resto non vi dev'essere cosa, creata da un Dio tanto grande e sapiente, che non nasconda moltissimi segreti dai quali non ci sia possibile ricavare grandi utilità, non meno di coloro che se n'intendono. Sono anzi persuasa che ogni minima creatura di Dio, sia pure una piccola formica, occulti più meraviglie di quante se ne sappiano immaginare.

3 - Dunque, questi due bacini si riempiono di acqua, ma in modo diverso. In uno l'acqua viene da lontano per via di acquedotti e di artificio, mentre l'altro, essendo costruito nella sorgente, si riempie senza rumore.

Se la sorgente è abbondante, com'è questa di cui parliamo, non solo riempie il bacino, ma questo, a sua volta, rigurgita in un grosso ruscello continuamente alimentato, senza bisogno di condutture o d'artificio. E in ciò consiste la differenza.

L'acqua che viene per i condotti rappresenta, secondo me, i contenti che sgorgano dalla meditazione e che noi ci procuriamo con le nostre riflessioni, meditando sulle creature e stancandoci l'intelletto. Siccome sono frutto di nostra industria, quando devono apportare all'anima qualche vantaggio, lo fanno con rumore.

4 - Nell'altro bacino, invece, l'acqua deriva dalla stessa sorgente che è Dio; e quando Sua Maestà si compiace di accordare qualche grazia soprannaturale, l'acqua fluisce nel più profondo dell'anima con pace, dolcezza e tranquillità inesprimibile, senza che si sappia donde e in che modo scaturisca.

Si tratta di gioie e di diletti che, sebbene da principio non si facciano sentire nel cuore, come quelli del mondo, in seguito inondano ogni cosa. L'acqua si riversa per ogni mansione e in tutte le potenze, sino a raggiungere il corpo: perciò ho detto che comincia in Dio e finisce in noi. In questo gusto e soavità l'uomo esteriore va tutto immerso, come sa bene chi l'ha provato.

5 - Scrivendo queste righe, ricordo il versetto accennato: Dilatasti cor meum, nel quale si dice che il cuore si è dilatato. Tuttavia, mi pare che questi effetti, invece di nascere dal cuore, provengano da un punto più interno, come da una cosa molto profonda.

Penso che debba essere dal centro dell'anima, come più tardi ho inteso, e più avanti dirò.

Scopro in noi tanti segreti che spesse volte ne rimango stupita. E quanti altri ve ne devono essere!...

O Signor mio e Dio mio! Come sono grandi le vostre meraviglie! E noi qui, da poveri ed ignoranti pastorelli, pensiamo di poter capire qualche cosa di quello che Voi siete!

E che è questo qualche cosa, se non un niente, dato che non conosciamo neppure i molti segreti che sono in noi?

Ma se dico un niente, è solo in paragone del moltissimo che c'è in Voi, non già perché non sia assai grande quello che possiamo ammirare nelle vostre opere.

6 - Ritorniamo a quel versetto che mi può servire per far comprendere la dilatazione di cui parlo.

Appena l'acqua celeste comincia a sgorgare dalla sua sorgente, vale a dire dal profondo di noi stessi, sembra che il nostro interno si vada dilatando ed ampliando, empiendosi di beni eccellenti ed ineffabili, tanto che la stessa anima non sa comprendere ciò che allora riceve. Sente come una specie di profumo, quasi che nel fondo del nostro interno vi sia un braciere sul quale vengano gettate squisitissime essenze odorose.

Il fuoco non si vede, né si sa dove sia, ma il calore e il fumo odoroso penetrano tutta l'anima, arrivando spesso, come ho detto, ad investire anche il corpo.

Badate bene d'intendermi! Non si sente né calore, né odore, ma un qualche cosa di più delicato. Se mi servo di questi paragoni, è per farmi capire.

Chi non l'ha provato si persuada che è così e che lo si sente assai bene. L'anima lo sente più chiaramente di quanto io mi sappia esprimere. Non è questa una cosa che si possa immaginare di sentire, perché non vi riusciremmo neppure impiegandovi tutte le nostre diligenze.

E da ciò si vede che non è opera del nostro metallo, ma dell'oro purissimo della Sapienza divina. Benché le potenze non mi sembrino ancora nell'unione, pure vi si trovano come assorte, rapite di meraviglia innanzi a ciò che succede.

7 - Parlando di queste cose interiori, può darsi che intorno a qualche particolare non vada d'accordo con quel che ho detto in altri luoghi. Ma ciò non deve far meraviglia, perché sono ormai passati quasi quindici anni, e può essere che ora il Signore mi abbia dato maggior lume che non in quel tempo.

Tanto adesso che allora sono sempre capace d'ingannarmi, ma non mai di mentire: con la grazia di Dio soffrirei piuttosto mille morti. Dico le cose come le intendo.

8 - Però mi sembra che in qualche maniera la volontà debba state unita alla volontà di Dio. Ma queste cose di orazione si conoscono meglio esaminando gli effetti e le opere che ne seguono: infatti, per provarle non v'è crogiuolo migliore. Per chi le riceve, è grandissima grazia se ne ha insieme l'intelligenza, e maggiore se non ritorna indietro.

Voi forse, figliuole, vorreste aver subito questa specie di orazione, e non ne stupisco, perché l'anima non ha ancora finito di comprendere ciò che Dio accorda in questo stato, né il grande amore con il quale Egli l'avvicina a sé, che subito si sente presa dal desiderio di conoscere come queste grazie si acquistino. Perciò vi voglio dire quello che ho potuto capire.

9 - Prescindiamo dal caso in cui il Signore si degni di accordarcele unicamente perché così gli piace. Egli ne sa il motivo, e noi non ci dobbiamo intromettere.

Dopo aver fatto ciò che si esige per le mansioni precedenti, si richiede umiltà e ancora umiltà. Questa virtù inclina il Signore ad accondiscendere alle nostre brame.

E il primo segno per vedere se ne siete in possesso è credere fermamente che di queste grazie e gusti divini siete indegne, e che mai vi saranno accordati in tutta la vostra vita.

Ma voi mi direte: Se non le dobbiamo procurare, in che modo le potremo avere?

Rispondo che non vi è modo migliore di quello che ho detto, vale a dire, di non procurarle. Ed eccone le ragioni.

La prima, che per ricevere queste grazie è necessario amare il Signore senza alcun interesse.La seconda, che è mancanza di umiltà credere che i nostri meschini servizi possano meritare un tal bene.

La terza, che la vera disposizione per noi, che abbiamo tanto offeso il Signore, non è già di aspirare ai gusti spirituali, ma di bramare sinceramente di soffrire e di renderci simili a Lui.

La quarta, che se Dio si è obbligato a concedere la gloria a chi osserva i comandamenti, non lo si è affatto quanto a dare queste grazie, perché possiamo salvarci anche senza di esse, ed Egli sa meglio di noi quello che ci conviene, e chi siano i suoi veri amanti.

So di alcune persone che camminano per la via dell'amore nel modo che si deve, vale a dire con l'unico desiderio di servire il loro Dio crocifisso; eppure non solo non domandano consolazioni, ma nemmeno le desiderano, sino a supplicare il Signore a non volerle dar loro in questa vita.

E questa è la pura verità che io so di preciso, perché sono persone di mia conoscenza.

La quinta ragione è che faticheremo inutilmente. Siccome quest'acqua non è condotta per via di canali come la precedente, se la fonte si rifiuta di produrla, ci stancheremo senza alcun risultato.

Voglio dire che nonostante le nostre frequenti meditazioni e gli sforzi che facessimo per versar lacrime, l'acqua non verrebbe ugualmente, perché non scaturisce da qui. Dio la concede a chi vuole, e spesso nel momento in cui meno si pensa.

10 - Siamo di Dio, sorelle. Egli faccia di noi quello che vuole e ci conduca per dove meglio gli piace! Se ci umiliamo e ci distacchiamo veramente - dico veramente e non già nell'immaginazione che spesso ci inganna - se veramente dunque ci distacchiamo da tutto, il Signore non lascerà di farci queste grazie e molte altre ancora, superiori a ogni nostro desiderio. Sia Egli per sempre lodato e benedetto!

Capitolo 3

Tratta dell'orazione di raccoglimento - Ordinariamente Dio l'accorda prima della precedente, che è quella dei gusti divini - Effetti dell'una e dell'altra

1 - Gli effetti di questa orazione sono molti, e ne dirò alcuni. Ma prima voglio parlare dell'orazione che ordinariamente la precede. Non ne dirò che poche parole, perché ne ho già parlato altrove.

Si tratta di un raccoglimento che mi sembra anch'esso soprannaturale.

Benché non consista nello starsene al buio, nel chiudere gli occhi e in altre cose esteriori, tuttavia gli occhi si chiudono e si desidera la solitudine.

E con ciò pare che senza alcuna fatica si vada costruendo l'edificio dell'orazione precedente. I sensi e le altre cose esteriori sembrano rinunciare a ogni loro diritto, per dar modo all'anima di ricuperare i suoi che aveva perduti.

2 - Coloro che ne trattano, dicono che l'anima rientra in se stessa e che alle volte sale sopra se stessa. Ma se io mi servo di questo linguaggio, non riesco a dir nulla. Io ho questo di cattivo: di pensare che voi intendiate le espressioni che mi fabbrico io, le quali forse non saranno intese che da me.

Immaginiamoci dunque che i sensi e le potenze - che secondo il paragone adottato, sono gli abitanti del castello - siano fuggiti fuori e vivano da giorni ed anni con gente straniera, nemica del bene del castello.

Riconoscendo finalmente il loro torto, ritornano, si avvicinano al castello, ma non si decidono ad entrarvi per la tirannia della cattiva abitudine contratta. Tuttavia, girano intorno e non tradiscono più.

Il gran Monarca che risiede nel castello, vedendo la loro buona volontà si lascia impietosire, e nella sua grande misericordia decide di chiamarli a sé.

A guisa di buon pastore, emette un fischio tanto soave da non esser quasi percepito, ma con il quale fa loro conoscere la sua voce, acciocché lasciata la via della perdizione, rientrino nel castello.

E ciò fanno immediatamente, perché quel fischio è di così grande efficacia da districarli da tutte le cose esteriori fra le quali vivevano. Mi sembra di non essermi mai spiegata così bene come in questo momento.

Quando il Signore accorda questa grazia, si ha un aiuto particolare per cercar Dio in noi stessi. Qui lo si trova meglio e con maggior profitto che non nelle creature, e qui afferma d'averlo trovato anche S. Agostino dopo averlo cercato altrove.

3 - Ma non crediate che si possa ottenere il raccoglimento procurando di applicare l'intelligenza a considerare che Dio è in noi, o cercando di rappresentarcelo nell'anima mediante l'immaginazione.

Questo sarà un ottimo ed eccellente metodo di meditazione, perché fondato sulla verità dell'inabitazione di Dio, ma non è quello che io intendo dire, perché, dopo tutto, è sempre una cosa che con l'aiuto del Signore può essere fatta da chiunque.

Non così di quello che intendo io, perché alle volte gli abitanti si trovan nel castello prima ancora che si cominci a pensare a Dio. Non so come vi siano entrati, né come abbiano udito il fischio del pastore. Ciò non fu certamente per le orecchie, con le quali non si percepisce nulla, ma per aver sentito un certo vivo desiderio di ritirarsi soavemente nell'interno.

Mi capirà bene chi ne avrà l'esperienza, perché io non so spiegarmi di più.

Mi pare di aver detto che succede come di un riccio o di una tartaruga quando si ritirano in se stessi. Colui che lo scrisse deve averlo inteso assai bene. Però questi animali si ritirano quando vogliono, mentre qui non dipende da noi, ma solo da Dio quando ce ne vuol favorire.

Dovendo essere chiamati ad occuparsi in modo speciale di ciò che riguarda l'interiore, sono persuasa che Dio non conceda questa grazia se non a coloro che van staccandosi da tutto, se non con l'opera, perché impediti dal loro stato, almeno con il desiderio.

E se questi che Dio invita a salire gli lasciano mano libera, posso affermare che non si fermeranno qui.

4 - Chi scopre in sé questi effetti ne ringrazi molto il Signore, essendo doveroso che si mostri riconoscente, e in tal modo si disporrà ad altre grazie più grandi.

Inoltre, questo stato serve per abituarci - come si consiglia in alcuni libri - a tralasciare ogni discorso per attendere a quello che Dio fa in noi.

Però, se il Signore non ha ancora cominciato a sospenderci, non so se si potrà così fermare il pensiero da non averne più danno che vantaggio. Su questo argomento hanno molto discusso alcune persone spirituali, ma io - confesso la mia poca umiltà - non ho mai trovato nelle loro ragioni tanta forza da farmi arrendere a quello che dicevano.

Una di loro mi allegò un certo libro del santo - come credo che sia - fra Pietro d'Alcantara, a cui mi sarei sottomessa volentieri perché se n'intendeva. Orbene, leggendo insieme quel libro, lo trovammo del mio stesso parere.

Non si esprime con le medesime parole, ma da ciò che dice si capisce che l'amore dev'essere già acceso.

5 - Può darsi che m'inganni, ma ecco i motivi su cui mi appoggio. Primieramente, perché in queste cose di spirito fa più chi meno pensa e meno vuol fare. Dobbiamo essere come un povero bisognoso che sta innanzi a un grande e ricco imperatore: chiedere, abbassare gli occhi e aspettare con umiltà.

Quando Dio ci farà capire per certe sue vie segrete che ci sta ascoltando, allora, giacché ci ha permesso di stargli innanzi, sarà bene che ci mettiamo in silenzio, procurando - ciò che potendo non sarà male - di non porre in moto l'intelletto.

Ma se notiamo che il Re non ci ha né veduti né sentiti, guardiamoci bene dallo star là come tonti, a guisa di anime che per essersi sforzate di frenare i pensieri e violentate per non pensare a nulla, si trovano in più grande aridità e forse in maggiore inquietudine d'immaginazione. Dio vuole che gli facciamo delle domande, che pensiamo di essere alla sua presenza, persuasi che Egli conosca quello che ci conviene. Non so affatto persuadermi che le industrie umane possano avere qualche valore in cose che Dio ha riservate a sé.

Sembra che in queste Egli abbia posto dei limiti, mentre ne ha lasciate libere molte altre che con il suo aiuto possiamo fare anche noi - sempre fin dove ce lo permetta la nostra miseria - come le penitenze, l'orazione e le altre buone opere.

6 - La seconda ragione è che queste operazioni interiori sono soavi e pacifiche, mentre ciò che vien fatto con pena è più di danno che di vantaggio. (Chiamo fatte con pena quelle azioni che esigono uno sforzo, come i1 trattenere il respiro).

L'anima deve abbandonarsi nelle mani di Dio, affinché Egli ne faccia quel che vuole; deve dimenticarsi di ogni suo interesse e fare il possibile per rassegnarsi alla sua divina volontà.

La terza ragione è che la stessa preoccupazione di non pensare a nulla può eccitare a pensare molto.

La quarta, perché non vi è nulla di più utile e di più gradevole a Dio che dimenticarci di noi stessi, dei nostri interessi, delle nostre soddisfazioni personali, per occuparci del suo onore e della sua gloria.

Ora, come può dimenticarsi di se stesso chi è tutto intento a non distrarsi, sino a non permettere che la sua intelligenza e i suoi affetti si muovano a desiderare la maggior gloria di Dio e a rallegrarsi per quella che già gode? Se é Dio che sospende l'intelletto, gli dà da occuparsi in altro modo, e ciò mediante una illustrazione così chiara che esso ne rimane assorto, persuaso che per certe cose non può proprio far nulla.

Tuttavia, e senza che ne sappia il modo, si trova meglio ammaestrato che non con l'impiego di tutte le sue diligenze, con le quali piuttosto si sarebbe fatto del danno.

Siccome Dio ci ha dato le potenze per aiutarci ad agire, non vedo perché si debbano sospendere, tanto più che ad ogni loro azione ha da corrispondere un premio. Lasciamole fare il loro ufficio, fino a quando Dio non si degni elevarle a uno più grande.

7 - Per l'anima che Dio ha voluto mettere in questa mansione, non vi è nulla di più conveniente, secondo me, che di attenersi a quello che ho detto: cioè, procurare, senza rumore e senza violenza, d'impedire che l'intelletto discorra, ma senza sospenderlo, né sospendere il pensiero, bensì impiegarlo nel ricordarsi della presenza di Dio e della sua natura divina.

Se l'intelletto si sospende da solo per quello che sente in sé, ciò sia alla buon'ora, purché si guardi dal volere intendere di che si tratta. Il dono è fatto solo alla volontà, e bisogna lasciarglielo godere senza ricorrere ad alcuna industria, eccetto a qualche parola amorosa. Del resto, avviene spesso in questo stato che, pur non procurandolo, si rimanga li senza pensare a nulla, benché solo per poco.

8 - Sul principio di questa mansione ho parlato dell'orazione dei gusti divini, poi sono passata all'orazione di raccoglimento, della quale avrei dovuto parlare prima, perché meno alta di quella, e mezzo per raggiungerla.

Dunque, nell'orazione di raccoglimento non si deve mai smettere di meditare e di discorrere con l'intelletto. Nell'altra invece, nella quale l'acqua si trova nella stessa sorgente e non per via di canali, l'intelletto, come ho detto in altro luogo, si sospende da sé o si sente sospendere dal fatto di non poter capire ciò che avviene; e così va girando da una parte all'altra come intontito, incapace di fissarsi in alcuna cosa.

Questa agitazione inquieta molto la volontà, che nel frattempo è tutta immersa nel suo Dio. Ma essa non se ne curi, perché perderebbe buona parte di ciò che gode: lasci stare l'intelletto e si abbandoni fra le braccia dell'amore. Il Signore le insegnerà quello che dovrà fare: cioè, riputarsi indegna di tanto bene e impiegarsi in atti di ringraziamento.

9 - Volendo trattare dell'orazione di raccoglimento, ho tralasciato gli effetti di quella dei gusti divini e i segni dai quali si può conoscere chi ne è favorito. A quanto si sperimenta, si tratta di una dilatazione o aumento di anima.

Ecco una sorgente da cui l'acqua non ha via di uscita, ma il cui bacino è così fatto che quanto più acqua riceve, tanto più cresce di capacità. Così sembra anche qui, perché, oltre le grandi grazie che si ricevono, Dio dilata l'anima e la rende capace di contenere ogni cosa.

Questa soavità e dilatamento interiore si riconoscono anche dall'energia di cui l'anima si sente ripiena, perché nel servizio di Dio non si porta più grettamente come prima, ma con larghezza maggiore. Cessa pure di angustiarsi per la paura dell'inferno, e nutre grande fiducia di andare un giorno in paradiso. Non teme che di offendere Iddio, ma non con timore servile, che qui sparisce del tutto.

Se prima aveva paura di far penitenza per non perdere la salute, ora le sembra con l'aiuto di Dio di poterne fare, non avendo mai avuto in proposito desideri così grandi come ora.

E se prima provava tanta ripugnanza per le tribolazioni, ora le teme di meno, perché la sua fede si è fatta più viva e vede che accettandole per amor di Dio, ottiene la forza di sopportarle con pazienza.

Anzi, nella sua brama di far qualche cosa per Lui, qualche volta le avviene pure di desiderarle. Quanto più progredisce nella conoscenza di Dio, tanto più bassa è l'opinione che si fa di sé.

E avendo assaporato le dolcezze del Signore, ritiene per immondizie quelle della terra, da cui si allontana a poco a poco, rendendosi, a ciò fare, sempre più padrona di sé. Insomma, resta migliorata in tutte le virtù, e andrà sempre più progredendo, purché non torni ad offendere Iddio, nel qual caso perderebbe ogni cosa, anche se già arrivata alla cima.

Però, non si deve credere che per trovarsi con tali effetti basti ricevere questa grazia una o due volte soltanto. Occorre riceverla di continuo: il nostro bene è tutto in questa perseveranza.

10 - Ecco un avviso che raccomando molto a chi si trova in questo stato. Si guardi attentamente dal mettersi nelle occasioni di offendere Iddio.

Qui l'anima non è ancora formata: è come un bambino che comincia a poppare, il quale se si discosta dal petto di sua madre non può aspettarsi che la morte. Se chi ha ricevuto questa grazia si allontana dall'orazione senza un'urgente necessità e non vi fa subito ritorno, temo grandemente che le avvenga come al bambino, e vada di male in peggio. So che vi è molto da temere, e conosco alcune persone a cui questo è successo per essersi allontanate da Colui che voleva farsi loro amico, come dimostravano le sue opere.

Ne sento viva compassione. Se tanto insisto sulla fuga dalle occasioni, è perché il demonio mette più impegno nel rovinare un'anima sola di queste, che non molte altre a cui Dio non faccia tali grazie.

Queste gli possono essere di gran danno, perché attirano altre anime, con immenso vantaggio per la Chiesa di Dio. Perciò le combatte in ogni modo e fa di tutto per rovinarle, se non altro per la rabbia di vederle tanto amate da Dio. Ma se soccombono, diventano peggiori delle altre.

Da questi pericoli, sorelle, a quanto si può capire, voi siete al sicuro. Ma Dio vi liberi dall'andare in superbia e vanagloria!

Il demonio può simulare anche queste grazie; ma lo si conosce facilmente, perché non solo non produce gli effetti che ho descritto, ma ne lascia di diametralmente opposti.

11 - benché ve n'abbia già parlato altrove, tuttavia vi voglio avvertire di un pericolo in cui ho visto cadere varie persone di orazione, specialmente donne, che perla loro debolezza vi sono più esposte: ed è il seguente.

Alcune persone, a causa delle loro grandi austerità, orazioni e vigilie, o semplicemente perché di debole complessione, non possono ricevere una consolazione spirituale senza che la loro natura ne rimanga soggiogata.

E siccome sentono una certa interiore dolcezza mentre esteriormente vanno indebolendosi e mancando - specialmente quando entrano in quello stato che si chiama di sonno spirituale, che è alquanto più alto di quello anzidetto - confondono quella dolcezza con l'indebolimento che sentono, e se ne lasciano sopraffare.

Più si abbandonano e più ne rimangono assorbite, perché la natura s'indebolisce sempre più. E intanto credono che sia un qualche rapimento. Ma io lo chiamo sbalordimento, perché non fan altro che perdere il tempo e rovinarsi la salute.

12 - Una certa persona rimaneva in questo stato per otto ore di seguito, senza perdere i sensi, e nemmeno con pensieri di Dio. Ma siccome si trovò chi l'ebbe a intendere, le fecero sparire ogni cosa obbligandola a mangiare, a dormire e a non fare tanta penitenza. Senza volerlo, aveva ingannato il confessore, varie altre persone e se stessa. Sono convinta che il demonio non vi doveva essere estraneo: pretendeva di cavarne vantaggio, e non poco già cominciava ad averne.

13 - È bene sapere che vi può essere languidezza esteriore ed interiore anche allora che questo stato proviene da Dio, ma l'anima ne rimane forte, e nel vedersi così vicina al Signore, si lascia andare a grandi sentimenti.

Tuttavia questo stato non dura che pochissimo, benché si ripeta di frequente e l'anima torni a sospendersi. Tuttavia, se non è per debolezza naturale, questa orazione non solo non abbatte il corpo, ma nemmeno è causa di affezioni esteriori.

Perciò dovete star bene attente, e quando alcuna va soggetta a tali cose, ne avverta la Superiora e faccia di tutto per distrarsi. La Superiora non le permetta tante ore di orazione ma gliene ordini poca. Procuri che mangi e che dorma bene, fino a quando non abbia riprese le sue forze naturali, nel caso che le abbia perdute per mancanza di nutrimento e di sonno.

Se è di così debole complessione da non averne giovamento, credetemi, Dio la vuole per la vita attiva: nei monasteri vi dev'essere di tutto.

Sia impiegata negli uffici e si abbia cura che non rimanga troppo in solitudine, perché finirebbe col rovinarsi del tutto la salute.

Ciò le sarà di grande mortificazione, ma il Signore vuol provare come sopporti la sua assenza, e se lo ami per davvero. Dopo un po' di tempo, può darsi che Egli le ritorni le forze; ma se non lo fa, ella acquisterà tanti meriti con la preghiera vocale, e l'obbedienza, quanti ne acquisterebbe con la vita contemplativa, e forse più.

14 - Può anche darsi che vi siano persone d'immaginazione o di testa così debole come io ne ho trovate, che s'immaginino di vedere tutto quello che pensano. Sarebbe molto pericoloso, ma siccome ne devo parlare più avanti, non aggiungo altro. Mi sono tanto dilungata in queste mansioni perché credo che in esse le anime vi entrino in maggior numero. Si aggiunga inoltre che in queste, per l'unione che vi è del naturale col soprannaturale, il demonio può fare maggior danno che nelle seguenti, nelle quali il Signore non gli lascia tanta libertà.

Sia Egli per sempre benedetto! Amen!



Milano, 27 settembre 1973. Festa di San Vincenzo de Paoli. La stoltezza per confondere la sapienza.

Don Stefano Gobbi

«Tu non hai capito, o figlio, che Io ho scelto la stoltezza per confondere la sapienza e la debolezza per sconfiggere la forza. È mio volere che il volumetto venga diffuso così com'è: sarà il mezzo con cui Io chiamerò tanti Sacerdoti nel mio Movimento e mi formerò la mia schiera invincibile. La tua poca fede, la tua sfiducia in Me mi addolora, figlio. Cosa temi? Di che hai paura? Prega e abbandonati a Me: lascia veramente faresolo a Me».