Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 29° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 22
1Gesù riprese a parlar loro in parabole e disse:2"Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio.3Egli mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze, ma questi non vollero venire.4Di nuovo mandò altri servi a dire: Ecco ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono già macellati e tutto è pronto; venite alle nozze.5Ma costoro non se ne curarono e andarono chi al proprio campo, chi ai propri affari;6altri poi presero i suoi servi, li insultarono e li uccisero.
7Allora il re si indignò e, mandate le sue truppe, uccise quegli assassini e diede alle fiamme la loro città.8Poi disse ai suoi servi: Il banchetto nuziale è pronto, ma gli invitati non ne erano degni;9andate ora ai crocicchi delle strade e tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze.10Usciti nelle strade, quei servi raccolsero quanti ne trovarono, buoni e cattivi, e la sala si riempì di commensali.11Il re entrò per vedere i commensali e, scorto un tale che non indossava l'abito nuziale,12gli disse: Amico, come hai potuto entrare qui senz'abito nuziale? Ed egli ammutolì.13Allora il re ordinò ai servi: Legatelo mani e piedi e gettatelo fuori nelle tenebre; là sarà pianto e stridore di denti.14Perché molti sono chiamati, ma pochi eletti".
15Allora i farisei, ritiratisi, tennero consiglio per vedere di coglierlo in fallo nei suoi discorsi.16Mandarono dunque a lui i propri discepoli, con gli erodiani, a dirgli: "Maestro, sappiamo che sei veritiero e insegni la via di Dio secondo verità e non hai soggezione di nessuno perché non guardi in faccia ad alcuno.17Dicci dunque il tuo parere: È lecito o no pagare il tributo a Cesare?".18Ma Gesù, conoscendo la loro malizia, rispose: "Ipocriti, perché mi tentate?19Mostratemi la moneta del tributo". Ed essi gli presentarono un denaro.20Egli domandò loro: "Di chi è questa immagine e l'iscrizione?".21Gli risposero: "Di Cesare". Allora disse loro: "Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio".22A queste parole rimasero sorpresi e, lasciatolo, se ne andarono.
23In quello stesso giorno vennero a lui dei sadducei, i quali affermano che non c'è risurrezione, e lo interrogarono:24"Maestro, Mosè ha detto: 'Se qualcuno muore senza figli, il fratello ne sposerà la vedova e così susciterà una discendenza al suo fratello'.25Ora, c'erano tra noi sette fratelli; il primo appena sposato morì e, non avendo discendenza, lasciò la moglie a suo fratello.26Così anche il secondo, e il terzo, fino al settimo.27Alla fine, dopo tutti, morì anche la donna.28Alla risurrezione, di quale dei sette essa sarà moglie? Poiché tutti l'hanno avuta".29E Gesù rispose loro: "Voi vi ingannate, non conoscendo né le Scritture né la potenza di Dio.30Alla risurrezione infatti non si prende né moglie né marito, ma si è come angeli nel cielo.31Quanto poi alla risurrezione dei morti, non avete letto quello che vi è stato detto da Dio:32'Io sono il Dio di Abramo e il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe?' Ora, non è Dio dei morti, ma dei vivi".33Udendo ciò, la folla era sbalordita per la sua dottrina.
34Allora i farisei, udito che egli aveva chiuso la bocca ai sadducei, si riunirono insieme35e uno di loro, un dottore della legge, lo interrogò per metterlo alla prova:36"Maestro, qual è il più grande comandamento della legge?".37Gli rispose: "'Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima' e con tutta la tua mente.38Questo è il più grande e il primo dei comandamenti.39E il secondo è simile al primo: 'Amerai il prossimo tuo come te stesso'.40Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti".
41Trovandosi i farisei riuniti insieme, Gesù chiese loro:42"Che ne pensate del Messia? Di chi è figlio?". Gli risposero: "Di Davide".43Ed egli a loro: "Come mai allora Davide, sotto ispirazione, lo chiama Signore, dicendo:
44'Ha detto il Signore al mio Signore: Siedi alla mia destra,
finché io non abbia posto i tuoi nemici sotto i tuoi piedi?'
45Se dunque Davide lo chiama Signore, come può essere suo figlio?".46Nessuno era in grado di rispondergli nulla; e nessuno, da quel giorno in poi, osò interrogarlo.
Secondo libro dei Re 17
1Nell'anno decimosecondo di Acaz re di Giuda divenne re in Samaria su Israele Osea figlio di Ela, il quale regnò nove anni.2Fece ciò che è male agli occhi del Signore, ma non come i re di Israele che erano stati prima di lui.3Contro di lui marciò Salmanassar re d'Assiria; Osea divenne suo vassallo e gli pagò un tributo.4Poi però il re d'Assiria scoprì una congiura di Osea, che aveva inviato messaggeri a So re d'Egitto e non spediva più il tributo al re d'Assiria, come faceva prima, ogni anno. Perciò il re d'Assiria lo fece imprigionare e lo chiuse in carcere.
5Il re d'Assiria invase tutto il paese, andò in Samaria e l'assediò per tre anni.6Nell'anno nono di Osea il re d'Assiria occupò Samaria, deportò gli Israeliti in Assiria, destinandoli a Chelach, alla zona intorno a Cabor, fiume del Gozan, e alle città della Media.
7Ciò avvenne perché gli Israeliti avevano peccato contro il Signore loro Dio, che li aveva fatti uscire dal paese d'Egitto, liberandoli dal potere del faraone re d'Egitto; essi avevano temuto altri dèi.8Avevano seguito le pratiche delle popolazioni distrutte dal Signore all'arrivo degli Israeliti e quelle introdotte dai re di Israele.9Gli Israeliti avevano proferito contro il Signore loro Dio cose non giuste e si erano costruiti alture in tutte le loro città, dai più piccoli villaggi alle fortezze.10Avevano eretto stele e pali sacri su ogni alto colle e sotto ogni albero verde.11Ivi avevano bruciato incenso, come le popolazioni che il Signore aveva disperso alla loro venuta; avevano compiuto azioni cattive, irritando il Signore.12Avevano servito gli idoli, dei quali il Signore aveva detto: "Non farete una cosa simile!".
13Eppure il Signore, per mezzo di tutti i suoi profeti e dei veggenti, aveva ordinato a Israele e a Giuda: "Convertitevi dalle vostre vie malvage e osservate i miei comandi e i miei decreti secondo ogni legge, che io ho imposta ai vostri padri e che ho fatto dire a voi per mezzo dei miei servi, i profeti".14Ma essi non ascoltarono, anzi indurirono la nuca rendendola simile a quella dei loro padri, i quali non avevano creduto al Signore loro Dio.15Rigettarono i suoi decreti e le alleanze che aveva concluse con i loro padri, e le testimonianze che aveva loro date; seguirono le vanità e diventarono anch'essi fatui, a imitazione dei popoli loro vicini, dei quali il Signore aveva comandato di non imitare i costumi.16Abbandonarono tutti i comandi del Signore loro Dio; si eressero i due vitelli in metallo fuso, si prepararono un palo sacro, si prostrarono davanti a tutta la milizia celeste e venerarono Baal.17Fecero passare i loro figli e le loro figlie per il fuoco; praticarono la divinazione e gli incantesimi; si vendettero per compiere ciò che è male agli occhi del Signore, provocandolo a sdegno.18Per questo il Signore si adirò molto contro Israele e lo allontanò dalla sua presenza e non rimase se non la sola tribù di Giuda.19Ma neppure quelli di Giuda osservarono i comandi del Signore loro Dio, ma piuttosto seguirono le usanze fissate da Israele.20Il Signore, perciò, rigettò tutta la discendenza di Israele; li umiliò e li mise in balìa di briganti, finché non li scacciò dalla sua presenza.21Difatti, quando Israele fu strappato dalla casa di Davide, e proclamò re Geroboamo, figlio di Nebàt, questi allontanò Israele dal seguire il Signore e gli fece commettere un grande peccato.22Gli Israeliti imitarono in tutto il peccato commesso da Geroboamo; non se ne allontanarono,23finché il Signore allontanò Israele dalla sua presenza, come aveva preannunziato per mezzo di tutti i suoi servi, i profeti; fece deportare Israele dal suo paese in Assiria, dove è fino ad oggi.
24Il re d'Assiria mandò gente da Babilonia, da Cuta, da Avva, da Amat e da Sefarvàim e la sistemò nelle città della Samaria invece degli Israeliti. E quelli presero possesso della Samaria e si stabilirono nelle sue città.25All'inizio del loro insediamento non temevano il Signore ed Egli inviò contro di loro dei leoni, che ne fecero strage.26Allora dissero al re d'Assiria: "Le genti che tu hai trasferite e insediate nelle città della Samaria non conoscono la religione del Dio del paese ed Egli ha mandato contro di loro dei leoni, i quali ne fanno strage, perché quelle non conoscono la religione del Dio del paese".27Il re d'Assiria ordinò: "Mandatevi qualcuno dei sacerdoti che avete deportati di lì: vada, vi si stabilisca e insegni la religione del Dio del paese".28Venne uno dei sacerdoti deportati da Samaria che si stabilì a Betel e insegnò loro come temere il Signore.
29Tuttavia ciascuna nazione si fabbricò i suoi dèi e li mise nei templi delle alture costruite dai Samaritani, ognuna nella città ove dimorava.30Gli uomini di Babilonia si fabbricarono Succot-Benòt; gli uomini di Cuta si fabbricarono Nergal; gli uomini di Amat si fabbricarono Asima.31Quelli di Avva si fabbricarono Nibcaz e Tartach; quelli di Sefarvàim bruciavano nel fuoco i propri figli in onore di Adram-Mèlech e di Anam-Mèlech, dèi di Sefarvàim.32Venerarono anche il Signore; si scelsero i sacerdoti delle alture, presi qua e là, e li collocavano nei templi delle alture.33Temevano il Signore e servivano i loro dèi secondo gli usi delle popolazioni, dalle quali provenivano i deportati.34Fino ad oggi essi seguono questi usi antichi: non venerano il Signore e non agiscono secondo i suoi statuti e i suoi decreti né secondo la legge e il comando che il Signore ha dato ai figli di Giacobbe, che chiamò Israele.35Il Signore aveva concluso con loro un'alleanza e aveva loro ordinato: "Non venerate altri dèi, non prostratevi davanti a loro, non serviteli e non sacrificate a loro,36ma temete il Signore, che vi ha fatti uscire dal paese d'Egitto con grande potenza e con braccio teso: davanti a lui solo prostratevi e a lui offrite sacrifici.37Osserverete gli statuti, i decreti, la legge e il comando che egli vi ha prescritti, mettendoli in pratica sempre; non venererete divinità straniere.38Non vi dimenticherete dell'alleanza conclusa con voi e non venererete divinità straniere,39ma venererete soltanto il Signore vostro Dio, che vi libererà dal potere di tutti i vostri nemici".40Essi però non ascoltarono: agirono sempre secondo i loro antichi costumi.
41Così quelle genti temevano il Signore e servivano i loro idoli; i loro figli e nipoti continuano a fare oggi come hanno fatto i loro padri.
Sapienza 4
1Meglio essere senza figli e avere la virtù,
poiché nel ricordo di questa c'è immortalità,
per il fatto che è riconosciuta da Dio e dagli uomini.
2Presente è imitata; assente è desiderata;
nell'eternità trionfa, cinta di corona,
per aver vinto nella gara di combattimenti senza macchia.
3La discendenza numerosa degli empi non servirà a nulla;
e dalle sue bastarde propaggini
non metterà profonde radici
né si consoliderà su una base sicura.
4Anche se per qualche tempo mette gemme sui rami,
i suoi germogli precari saranno scossi dal vento
e sradicati dalla violenza delle bufere.
5Si spezzeranno i ramoscelli ancora teneri;
il loro frutto sarà inutile, non maturo da mangiare,
e a nulla servirà.
6Infatti i figli nati da unioni illegali
attestano la perversità dei genitori nel giudizio di essi.
7Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo.
8Vecchiaia veneranda non è la longevità,
né si calcola dal numero degli anni;
9ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza;
e un'età senile è una vita senza macchia.
10Divenuto caro a Dio, fu amato da lui
e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito.
11Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti
o l'inganno non ne traviasse l'animo,
12poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene
e il turbine della passione travolge una mente semplice.
13Giunto in breve alla perfezione,
ha compiuto una lunga carriera.
14La sua anima fu gradita al Signore;
perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio.
I popoli vedono senza comprendere;
non riflettono nella mente a questo fatto
15che la grazia e la misericordia sono per i suoi eletti
e la protezione per i suoi santi.
16Il giusto defunto condanna gli empi ancora in vita;
una giovinezza, giunta in breve alla perfezione,
condanna la lunga vecchiaia dell'ingiusto.
17Le folle vedranno la fine del saggio,
ma non capiranno ciò che Dio ha deciso a suo riguardo
né in vista di che cosa il Signore l'ha posto al sicuro.
18Vedranno e disprezzeranno,
ma il Signore li deriderà.
19Infine diventeranno un cadavere spregevole,
oggetto di scherno fra i morti per sempre.
Dio infatti li precipiterà muti, a capofitto,
e li schianterà dalle fondamenta;
saranno del tutto rovinati,
si troveranno tra dolori
e il loro ricordo perirà.
20Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati;
le loro iniquità si alzeranno contro di essi
per accusarli.
Salmi 19
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2I cieli narrano la gloria di Dio,
e l'opera delle sue mani annunzia il firmamento.
3Il giorno al giorno ne affida il messaggio
e la notte alla notte ne trasmette notizia.
4Non è linguaggio e non sono parole,
di cui non si oda il suono.
5Per tutta la terra si diffonde la loro voce
e ai confini del mondo la loro parola.
6Là pose una tenda per il sole
che esce come sposo dalla stanza nuziale,
esulta come prode che percorre la via.
7Egli sorge da un estremo del cielo
e la sua corsa raggiunge l'altro estremo:
nulla si sottrae al suo calore.
8La legge del Signore è perfetta,
rinfranca l'anima;
la testimonianza del Signore è verace,
rende saggio il semplice.
9Gli ordini del Signore sono giusti,
fanno gioire il cuore;
i comandi del Signore sono limpidi,
danno luce agli occhi.
10Il timore del Signore è puro, dura sempre;
i giudizi del Signore sono tutti fedeli e giusti,
11più preziosi dell'oro, di molto oro fino,
più dolci del miele e di un favo stillante.
12Anche il tuo servo in essi è istruito,
per chi li osserva è grande il profitto.
13Le inavvertenze chi le discerne?
Assolvimi dalle colpe che non vedo.
14Anche dall'orgoglio salva il tuo servo
perché su di me non abbia potere;
allora sarò irreprensibile,
sarò puro dal grande peccato.
15Ti siano gradite le parole della mia bocca,
davanti a te i pensieri del mio cuore.
Signore, mia rupe e mio redentore.
Isaia 29
1Guai ad Arièl, ad Arièl,
città dove pose il campo Davide!
Aggiungete anno ad anno,
si avvicendino i cicli festivi.
2Io metterò alle strette Arièl,
ci saranno gemiti e lamenti.
Tu sarai per me come un vero Arièl,
3io mi accamperò come Davide contro di te
e ti circonderò di trincee,
innalzerò contro di te un vallo.
4Allora prostrata parlerai da terra
e dalla polvere saliranno fioche le tue parole;
sembrerà di un fantasma la tua voce dalla terra,
e dalla polvere la tua parola risuonerà come bisbiglio.
5Sarà come polvere fine la massa dei tuoi oppressori
e come pula dispersa la massa dei tuoi tiranni.
Ma d'improvviso, subito,
6dal Signore degli eserciti sarai visitata
con tuoni, rimbombi e rumore assordante,
con uragano e tempesta e fiamma di fuoco divoratore.
7E sarà come un sogno,
come una visione notturna,
la massa di tutte le nazioni
che marciano su Arièl,
di quanti la attaccano
e delle macchine poste contro di essa.
8Avverrà come quando un affamato sogna di mangiare,
ma si sveglia con lo stomaco vuoto;
come quando un assetato sogna di bere,
ma si sveglia stanco e con la gola riarsa:
così succederà alla folla di tutte le nazioni
che marciano contro il monte Sion.
9Stupite pure così da restare sbalorditi,
chiudete gli occhi in modo da rimanere ciechi;
ubriacatevi ma non di vino,
barcollate ma non per effetto di bevande inebrianti.
10Poiché il Signore ha versato su di voi
uno spirito di torpore,
ha chiuso i vostri occhi,
ha velato i vostri capi.
11Per voi ogni visione sarà come le parole di un libro sigillato: si da' a uno che sappia leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non posso, perché è sigillato".12Oppure si da' il libro a chi non sa leggere dicendogli: "Leggilo", ma quegli risponde: "Non so leggere".
13Dice il Signore: "Poiché questo popolo
si avvicina a me solo a parole
e mi onora con le labbra,
mentre il suo cuore è lontano da me
e il culto che mi rendono
è un imparaticcio di usi umani,
14perciò, eccomi, continuerò
a operare meraviglie e prodigi con questo popolo;
perirà la sapienza dei suoi sapienti
e si eclisserà l'intelligenza dei suoi intelligenti".
15Guai a quanti vogliono sottrarsi alla vista del Signore
per dissimulare i loro piani,
a coloro che agiscono nelle tenebre, dicendo:
"Chi ci vede? Chi ci conosce?".
16Quanto siete perversi! Forse che il vasaio
è stimato pari alla creta?
Un oggetto può dire del suo autore:
"Non mi ha fatto lui"?
E un vaso può dire del vasaio: "Non capisce"?
17Certo, ancora un po'
e il Libano si cambierà in un frutteto
e il frutteto sarà considerato una selva.
18Udranno in quel giorno i sordi le parole di un libro;
liberati dall'oscurità e dalle tenebre,
gli occhi dei ciechi vedranno.
19Gli umili si rallegreranno di nuovo nel Signore,
i più poveri gioiranno nel Santo di Israele.
20Perché il tiranno non sarà più, sparirà il beffardo,
saranno eliminati quanti tramano iniquità,
21quanti con la parola rendono colpevoli gli altri,
quanti alla porta tendono tranelli al giudice
e rovinano il giusto per un nulla.
22Pertanto, dice alla casa di Giacobbe il Signore
che riscattò Abramo:
"D'ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire,
il suo viso non impallidirà più,
23poiché vedendo il lavoro delle mie mani tra di loro,
santificheranno il mio nome,
santificheranno il Santo di Giacobbe
e temeranno il Dio di Israele.
24Gli spiriti traviati apprenderanno la sapienza
e i brontoloni impareranno la lezione".
Prima lettera ai Corinzi 16
1Quanto poi alla colletta in favore dei fratelli, fate anche voi come ho ordinato alle Chiese della Galazia.2Ogni primo giorno della settimana ciascuno metta da parte ciò che gli è riuscito di risparmiare, perché non si facciano le collette proprio quando verrò io.3Quando poi giungerò, manderò con una mia lettera quelli che voi avrete scelto per portare il dono della vostra liberalità a Gerusalemme.4E se converrà che vada anch'io, essi partiranno con me.
5Verrò da voi dopo aver attraversato la Macedonia, poiché la Macedonia intendo solo attraversarla;6ma forse mi fermerò da voi o anche passerò l'inverno, perché siate voi a predisporre il necessario per dove andrò.7Non voglio vedervi solo di passaggio, ma spero di trascorrere un po' di tempo con voi, se il Signore lo permetterà.8Mi fermerò tuttavia a Èfeso fino a Pentecoste,9perché mi si è aperta una porta grande e propizia, anche se gli avversari sono molti.10Quando verrà Timòteo, fate che non si trovi in soggezione presso di voi, giacché anche lui lavora come me per l'opera del Signore.11Nessuno dunque gli manchi di riguardo; al contrario, accomiatatelo in pace, perché ritorni presso di me: io lo aspetto con i fratelli.12Quanto poi al fratello Apollo, l'ho pregato vivamente di venire da voi con i fratelli, ma non ha voluto assolutamente saperne di partire ora; verrà tuttavia quando gli si presenterà l'occasione.
13Vigilate, state saldi nella fede, comportatevi da uomini, siate forti.14Tutto si faccia tra voi nella carità.15Una raccomandazione ancora, o fratelli: conoscete la famiglia di Stefana, che è primizia dell'Acaia; hanno dedicato se stessi a servizio dei fedeli;16siate anche voi deferenti verso di loro e verso quanti collaborano e si affaticano con loro.17Io mi rallegro della visita di Stefana, di Fortunato e di Acàico, i quali hanno supplito alla vostra assenza;18essi hanno allietato il mio spirito e allieteranno anche il vostro. Sappiate apprezzare siffatte persone.
19Le comunità dell'Asia vi salutano. Vi salutano molto nel Signore Àquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa.20Vi salutano i fratelli tutti. Salutatevi a vicenda con il bacio santo.
21Il saluto è di mia mano, di Paolo.22Se qualcuno non ama il Signore sia anàtema. 'Maranà tha': vieni, o Signore!23La grazia del Signore Gesù sia con voi.24Il mio amore con tutti voi in Cristo Gesù!
Capitolo XII: Colui che si appresta a comunicarsi con Cristo vi si deve preparare con scrupolosa diligenza
Leggilo nella BibliotecaVoce del Diletto
1. Io sono colui che ama la purezza; io sono colui che dona ogni santità. Io cerco un cuore puro: là è il luogo del mio so. Allestisci e "apparecchia per me un'ampia sala ove cenare (Mc 14,15; Lc 22,12), e farò la Pasqua presso di te con i miei discepoli". Se vuoi che venga a te e rimanga presso di te, espelli "il vecchio fermento" (1Cor 5,7) e purifica la dimora del tuo cuore. Caccia fuori tutto il mondo e tutto il disordine delle passioni; sta "come il passero solitario sul tetto" (Sal 101,8) e ripensa, con amarezza di cuore, ai tuoi peccati. Invero, colui che ama prepara al suo caro, da cui è amato, il luogo migliore e più bello: di qui si conosce l'amorosa disposizione di chi riceve il suo diletto. Sappi tuttavia che, per questa preparazione - anche se essa durasse un intero anno e tu non avessi altro in mente - non potresti mai fare abbastanza con le tue sole forze. E' soltanto per mia benevolenza e per mia grazia, che ti viene concesso di accostarti alla mensa: come se un poveretto fosse chiamato al banchetto di un ricco e non avesse altro modo per ripagare quel beneficio che farsi piccolo e rendere grazie. Fa' dunque tutto quello che sta in te; fallo con tutta attenzione, non per abitudine, non per costrizione. Il corpo del tuo Diletto Signore Dio, che si degna di venire a te, accoglilo con timore, con venerazione, con amore. Sono io ad averti chiamato; sono io ad aver comandato che così fosse fatto; sarò io a supplire a quel che ti manca. Vieni ed accoglimi. Se ti concedo la grazia della devozione, che tu ne sia grato al tuo Dio; te la concedo, non già per il fatto che tu ne sia degno, ma perché ho avuto misericordia di te. Se non hai questa devozione, e ti senti piuttosto arido, insisti nella preghiera, piangi e bussa, senza smettere finché non avrai meritato di ricevere almeno una briciola o una goccia della grazia di salvezza. Sei tu che hai bisogno di me, non io di te. Sono io che vengo a santificare te e a farti migliore, non sei tu che vieni a dare santità a me. Tu vieni per ricevere da me la santità, nell'unione con me; per ricevere nuova grazia, nel rinnovato, ardente desiderio di purificazione. "Non disprezzare questa grazia" (1Tm 4,14); prepara invece il tuo cuore con ogni cura e fa' entrare in te il tuo diletto.
2. Ancora, occorre, non solo che tu ti disponga a pietà, avanti la Comunione, ma anche che tu ti conservi in essa, con ogni cura, dopo aver ricevuto il Sacramento. La vigilanza di poi non deve essere inferiore alla devota preparazione di prima; ché tale attenta vigilanza è a sua volta la migliore preparazione per ottenere una grazia più grande. Taluno diventa assai mal disposto, proprio per essersi subito abbandonato a consolazioni esteriori. Guardati dal molto parlare; tieniti appartato, a godere del tuo Dio. E' lui che tu possiedi; neppure il mondo intero te lo potrà togliere. Io sono colui al quale devi darti interamente, così che tu non viva più in te, ma in me, fuori da ogni affanno.
La città di Dio - libro Nono: Politeismo, Cristianesimo e mediazione
La città di Dio - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca
Premessa e compendio (1-2)
Riassunto delle opinioni su dèi buoni e cattivi.
1. Alcuni hanno opinato che esistono dèi buoni e cattivi, altri invece pensando più rettamente degli dèi hanno assegnato loro un onore e una lode tanto grandi che non osarono sostenere la malvagità di qualcuno degli dèi. Ma coloro i quali hanno affermato che alcuni dèi sono buoni, altri cattivi 1, hanno esteso il concetto di dèi anche ai demoni, sebbene, ma più raramente, anche il concetto di demoni agli dèi. Riconoscono perfino che Giove stesso, considerato re e capo degli altri, sia stato da Omero considerato un demone 2. Coloro, i quali sostengono che gli dèi non possono essere che buoni e molto più perfetti di quegli uomini che sono giudicati buoni, sono giustamente turbati da certe azioni dei demoni che non possono negare. Giudicando impossibile che esse siano compiute dagli dèi, che ritengono tutti buoni, sono costretti a introdurre una differenza fra dèi e demoni. Quindi sostengono che è di demoni e non di dèi tutto ciò che disapprovano nelle azioni e nei sentimenti disonesti con cui gli spiriti occulti manifestano il proprio potere. Ma i pagani, supponendo che nessun uomo può comunicare col dio, affermano che i demoni siano stati stabiliti come intermediari tra gli uomini e gli dèi per portare dal basso le richieste e riportare dall'alto i favori accordati. La pensano così anche i platonici, i più eccellenti e illustri filosofi. Proprio con essi, come i più eminenti, ho deciso di esaminare il problema, se il culto di molti dèi giovi per conseguire la vita felice che si avrà dopo la morte. Nel libro precedente ho preso in considerazione che i demoni godono di fatti che gli onesti e i saggi sdegnano e condannano, cioè delle sacrileghe, scandalose e oscene favole dei poeti, e non nei confronti di un uomo qualunque ma degli dèi stessi, e della scellerata e colpevole profanazione delle arti magiche. Ci si è chiesto dunque in che modo essi, come più vicini e più amici, possano rendere graditi gli uomini buoni agli dèi buoni. Si è concluso che è assolutamente impossibile.Qual è l'argomento del libro.
2. Quindi questo libro, come ho promesso alla fine del precedente, dovrà contenere la trattazione sulla differenza, se ne propongono alcuna, non degli dèi fra di loro perché, secondo i platonici, sono tutti buoni, non sulla differenza fra dèi e demoni perché considerano gli dèi molto lontani e superiori agli uomini e i demoni intermediari fra gli dèi e gli uomini, ma sulla differenza fra i demoni stessi. È questo l'argomento della presente trattazione. In molti è abituale il discorso che i demoni siano alcuni buoni e altri cattivi. E se l'opinione è anche dei platonici o di altri filosofi, non si deve evitare di sottoporla ad esame. Non deve avvenire infatti che qualcuno ritenga di dover fidarsi di demoni che suppone buoni e mentre intende ed aspira, con essi come intermediari, di rendersi gradito agli dèi che ritiene tutti buoni per poterli raggiungere dopo la morte, accalappiato e ingannato dalle fandonie di spiriti malvagi, si allontani dal vero Dio. Con lui solo infatti, in lui solo, da lui solo l'anima umana, cioè ragionevole e intelligente, è felice.Demoni soggetti alla passione (3-11)
Soggezione dei dèmoni alla passione.
3. Dunque quale differenza esiste fra demoni buoni e cattivi? Il platonico Apuleio, che ne ha trattato in generale e ha parlato a lungo dei loro corpi aeriformi, non ha parlato affatto delle loro virtù spirituali. Eppure ne sarebbero forniti se fossero buoni. Non ha parlato dunque della causa della felicità, ma non ha potuto non dare una indicazione della loro infelicità. Ha ammesso infatti che la loro mente, con la quale a sentir lui sono esseri ragionevoli, non essendo per lo meno penetrata e fortificata dalla virtù, cede alle irragionevoli passioni dell'animo e anche essa, come avviene nella condotta delle coscienze insipienti, è agitata in certo senso da tempestose passioni. Le sue parole sull'argomento sono queste. Riferendosi a questa categoria di demoni, i poeti, senza discostarsi dalla verità, sogliono immaginare che gli dèi siano nemici e amici di alcuni uomini, che favoriscano ed esaltino alcuni, sdegnino e deprimano altri, che sentano dunque compassione e collera, angoscia e gioia, che subiscano ogni mutamento dell'animo umano, che nel mutare del sentimento e nel mareggiare dello spirito siano agitati attraverso tutti i flutti dei pensieri. Tutti questi turbamenti e tempeste sono ben lontani dalla serenità degli dèi celesti 3. Con queste parole egli ha voluto indicare, non v'è alcun dubbio, che non la parte inferiore dell'animo ma la mente stessa dei demoni, per cui sono esseri animati e ragionevoli, viene sconvolta dalla tempesta delle passioni come un mare agitato. Non si possono quindi paragonare neanche ai saggi, perché questi resistono con la mente imperturbata a simili turbamenti della psiche dai quali non è esente l'umana debolezza, anche quando li provano a causa della soggezione della vita presente. I saggi infatti non cedono ai perturbamenti nel considerare onesta o compiere un'azione che devii dal cammino della saggezza e dalla legge della giustizia. I demoni, al contrario, sono simili non nel corpo ma nella condotta ai mortali insipienti e ingiusti, per non dire peggiori, in quanto più inveterati e incurabili a causa della pena dovuta; sono agitati nel mareggiare della mente stessa, come ha detto Apuleio, e in nessuna parte dello spirito trovano la fermezza nell'ideale di virtù con cui si resiste ai movimenti inquieti e disordinati.Dottrina filosofica sulle passioni.
4. 1. Due sono le opinioni dei filosofi sui movimenti della psiche che i Greci chiamano , dei nostri alcuni, come Cicerone 4, perturbazioni, altri affezioni o affetti 5, altri infine, come Apuleio 6, con maggiore aderenza al greco, passioni. Alcuni filosofi dunque affermano che simili perturbazioni o affezioni o passioni si verificano anche nel saggio, ma ridotte a misura e sottomesse alla ragione, in modo che il dominio della mente imponga in una determinata misura le leggi con cui siano ricondotte alla necessaria misura. Coloro che la pensano così sono i platonici o anche aristotelici, dato che Aristotele, fondatore della scuola peripatetica, fu discepolo di Platone. Altri invece come gli stoici insegnano che nel saggio non si devono assolutamente avere simili passioni. Ma Cicerone nei libri su I limiti del bene e del male dimostra a costoro, cioè agli stoici, che si battono contro platonici e aristotelici più a parole che a concetti 7. Gli stoici infatti si rifiutano di considerare le passioni come un bene, ma le considerano come un benessere fisico e deteriore perché, secondo loro, bene per l'uomo è soltanto la virtù, come regola della morale che è esclusivamente nella coscienza. Al contrario, i platonici le considerano un bene in senso largo e secondo il comune modo di esprimersi, ma le considerano un bene insignificante e di poco conto nel confronto con la virtù mediante la quale si vive rettamente. Ne consegue che comunque siano chiamate dagli uni e dagli altri, o bene o benessere, sono valutate con eguale criterio e che sull'argomento gli stoici si prendono la soddisfazione di una terminologia nuova. Mi sembra dunque che anche sul problema se si hanno nel saggio le passioni o ne sia del tutto immune facciano questione più di parole che di concetti. A mio avviso la pensano proprio come platonici e peripatetici per quanto attiene al significato dei concetti e non al suono delle parole.Lo stoico in pericolo in Gellio.
4. 2. Ometto altre considerazioni che valgano a dimostrarlo per non farla lunga. Mi limito a fare una osservazione che sia veramente evidente. Nei libri intitolati Le notti attiche, Aulo Gellio, buon letterato e uomo di vasta cultura, narra di avere una volta viaggiato per mare con un noto filosofo stoico. Gellio racconta diffusamente e con molti particolari l'episodio che io esporrò brevemente 8. Lo stoico, poiché la nave era sbattuta con grave pericolo dal mare in orribile tempesta, divenne pallido di paura. Il fatto fu notato dai presenti che osservavano con molta curiosità, sebbene fossero in prossimità della morte, se il filosofo fosse turbato o no. Passata la burrasca, appena la cessazione del pericolo offrì l'opportunità di parlare o anche di chiacchierare, uno dei viaggiatori, un ricco dissoluto dell'Asia, apostrofa il filosofo schernendolo perché era impallidito dalla paura, mentre egli era rimasto intrepido nella sciagura imminente. E quegli gli diede la risposta di Aristippo, discepolo di Socrate, il quale, avendo in una circostanza simile udite le medesime parole da un individuo della medesima risma, rispose che l'altro giustamente non si era preoccupato per la vita di un dissoluto fannullone, lui invece doveva temere per la vita di Aristippo. Avuta questa risposta il riccone se la batté. Allora A. Gellio chiese al filosofo, non con l'intenzione di umiliarlo ma di apprendere, quale fosse il motivo della sua paura. Ed egli per insegnare a un individuo profondamente preso dal desiderio di sapere, tirò subito fuori da un suo fagotto il libro dello stoico Epitteto. Vi erano esposte le dottrine che corrispondevano più a fondo agli insegnamenti di Zenone e di Crisippo che, come sappiamo, furono i capi degli stoici. Gellio dice di aver letto in quel libro la seguente dottrina stoica. Le rappresentazioni, che essi chiamano fantasie, quando provengono da fenomeni terrificanti e paurosi, non dipendono da noi nel modo e nel tempo in cui si hanno nella coscienza. È necessario quindi che turbino anche la coscienza del saggio, in modo che per un po' tremi di paura o sia afflitto dalla tristezza, nel senso che queste passioni precorrono la funzione della mente e della ragione; ma non per questo nella mente si ha l'accettazione del male, né le passioni si ritengono oneste o ad esse si consente. Questo, secondo loro, dipende da noi e a loro avviso la differenza fra la coscienza del saggio e quella dell'insipiente consiste nel fatto che la coscienza dell'insipiente cede alle passioni applicando ad esse l'assenso della mente, mentre la coscienza del saggio, sebbene le tolleri perché ineluttabili, conserva con la fermezza dello spirito una vera e coerente valutazione delle cose che si devono desiderare o evitare secondo ragione. Ho esposto queste notizie non certo più esaurientemente di A. Gellio ma, a mio avviso, più brevemente e più chiaramente. Egli dichiara di averle lette nel libro di Epitteto che a sua volta le avrebbe esposte in conformità agli insegnamenti degli stoici.I filosofi concordano sul concetto di serenità.
4. 3. Se le cose stanno così, non si ha alcuna o una minima differenza fra la teoria degli stoici e quella degli altri filosofi sulle passioni e le perturbazioni dell'anima. In definitiva gli uni e gli altri sostengono che la facoltà spirituale del saggio è immune dal loro dominio. E forse gli stoici dicono che esse non si hanno nell'animo del saggio perché non offuscano con l'errore e non eliminano con la colpa la saggezza per cui è saggio. Ma in verità le passioni, salva la serenità della saggezza, si hanno nell'animo del saggio a causa di quelli che gli stoici definiscono benessere o malessere, sebbene preferiscano non chiamarli bene e male 9. Certamente se quel filosofo non avesse tenuto in considerazione i beni che, come prevedeva, avrebbe perduto col naufragio, come sono la vita e il benessere fisico, non avrebbe avuto paura del pericolo al punto di esternarla col pallore. Tuttavia poteva anche inibire il turbamento e tener fisso nella mente il criterio che la vita e la salute fisica, minacciate dalla violenza della tempesta, non sono beni che rendono buoni coloro che li hanno come fa la giustizia. L'affermare poi che non si devono considerare un bene ma un benessere si deve attribuire a una contesa di parole e non alla interpretazione dei concetti. Che differenza fa se siano chiamati con maggiore proprietà un bene ovvero un benessere se hanno timore e paura di esserne privi tanto lo stoico che il peripatetico? Alla fin fine li denominano in maniera diversa ma li valutano alla stessa maniera. Tutti e due infatti, se siano spinti dai rischi di questo bene o benessere a una colpa o a una cattiva azione, sicché non sia loro possibile conservarli in altra maniera, affermano che preferiscono perderli perché con essi si conserva e si rende incolume l'essere fisico, anziché commettere azioni con cui si viola la giustizia. In tal modo la mente, in cui è incrollabile questo criterio, non permette che in se stessa le perturbazioni, anche se si verificano nella parte inferiore dell'anima, prendano il sopravvento contro la ragione. Anzi essa le domina e non consentendo e piuttosto resistendo loro esercita l'impero della virtù. Anche Virgilio descrive così Enea con le parole: La mente si mantiene immobile, invano scorrono le lacrime (di Didone) 10.Dottrina cristiana sulla moderazione, e stoica sulla compassione.
5. Non è necessario mostrare diffusamente e accuratamente che cosa insegni sulle passioni la sacra Scrittura da cui deriva la dottrina cristiana. Essa infatti considera la mente sottomessa all'ordine e al soccorso di Dio e le passioni alla misura e al limite della mente perché siano volte a vantaggio della giustizia. Inoltre nell'insegnamento cristiano non si chiede tanto se l'animo va in collera ma perché va in collera 11, non se è triste ma per quale motivo è triste 12, non se teme ma che cosa teme 13. Non so infatti se si possa biasimare con un retto criterio l'andare in collera con chi pecca perché si ravveda, il rattristarsi con chi è triste perché si riscatti dalla tristezza, il temere per chi è in pericolo affinché non vi perisca. Gli stoici sono soliti incolpare la compassione 14, ma quanto più onesto del timore del naufragio sarebbe stato nello stoico di Gellio il turbamento della compassione per riscattare un uomo. Con molta proprietà, umanità e corrispondenza al sentimento delle anime compassionevoli ha parlato Cicerone a lode di Cesare con le parole: Nessuna delle tue virtù è così ammirevole e gradita come la compassione 15. E la compassione non è altro che la partecipazione del nostro sentimento alla infelicità degli altri perché con essa, se ci è possibile, siamo spinti ad andare loro incontro. E questo movimento è utile alla ragione quando la compassione si offre in modo da assecondare la giustizia, tanto nel contribuire al bisognoso come nel perdonare il pentito. Cicerone, illustre oratore, non ha esitato a considerarla virtù, mentre gli stoici non hanno difficoltà a inserirla fra i vizi. Essi tuttavia, come ha dato a conoscere il libro dell'illustre stoico Epitteto, affermano in base agli insegnamenti di Zenone e Crisippo, iniziatori della scuola, che esistono le passioni nell'animo del saggio, sebbene lo dichiarino immune da tutti i vizi. Ne consegue che non considerano vizi le passioni quando si verificano nel saggio in modo da non ostacolare la virtù e l'egemonia razionale della mente. Quindi è identica la dottrina dei peripatetici, dei platonici e degli stessi stoici ma, come dice Cicerone, la controversia sulle parole da lungo tempo turba i Greci desiderosi più della polemica che della verità 16. Inoltre è opportuno chiedersi ancora se è proprio della debolezza della vita presente provare certi sentimenti anche in alcuni doveri morali. Anche gli angeli puniscono senza collera coloro che devono punire secondo l'eterna legge di Dio, aiutano gli infelici senza partecipare alla loro infelicità e soccorrono senza timore le persone da loro amate che si trovano nei pericoli. Eppure anche nei loro confronti, in base alla tecnica della lingua umana, vengono usate parole indicanti le passioni per denotare una certa somiglianza delle azioni e non la soggezione ai turbamenti. Stando alle Scritture, Dio stesso va in collera eppure non è turbato da alcuna passione. L'effetto della punizione, e non un suo affetto perturbatore, ha indotto a usare questa parola.Mente demoniaca adeguata alla passione.
6. Rimandiamo frattanto la questione sugli angeli. Esaminiamo per ora in che senso i platonici dicano che i demoni posti di mezzo fra gli dèi e gli uomini sono agitati dai flutti delle passioni. Se infatti subissero tali movimenti con la mente che rimane sgombra da essi e li domina, Apuleio non direbbe che nel mutare del sentimento e nel mareggiare dello spirito sono agitati attraverso tutti i flutti dei pensieri 17. Quindi la loro mente stessa, cioè la parte superiore dello spirito, per cui sono esseri ragionevoli e in cui si hanno virtù e saggezza, seppure ne hanno, sarebbe dominata dalle passioni turbatrici delle parti inferiori dello spirito che dovrebbero essere sottomesse e dominate: la loro mente stessa, dico, come dichiara questo platonico, è agitata dal mareggiare delle passioni. Dunque la mente dei demoni è resa schiava dalle passioni della libidine, del timore, dell'ira e dalle altre. Quindi non v'è in essi una facoltà libera e partecipe di sapienza con cui esser graditi agli dèi e orientare gli uomini alla conformità con la legge morale. La loro mente soggetta e oppressa dalle imperfezioni delle passioni volge all'inganno e alla mistificazione ogni potere razionale che ha per natura, e tanto più intensamente quanto maggiore è il desiderio di fare del male che la possiede.Anche gli dèi soggetti alla passione.
7. Ma qualcuno potrebbe osservare che non di tutti i demoni ma soltanto di quelli che sono nel numero dei malvagi i poeti, non andando lontani dalla verità, immaginano che si comportino da dèi nemici e amici di alcuni uomini. Proprio di loro ha detto Apuleio che nel mareggiare dello spirito si agitano attraverso tutti i flutti dei pensieri. Ma come potremmo accettare questa spiegazione se egli con quell'affermazione intendeva fissare la posizione di mezzo, fra gli dèi e gli uomini, a causa del corpo aeriforme, non di alcuni cioè dei malvagi, ma di tutti i demoni? Ha affermato appunto che i poeti mediante l'impunita licenza della poesia mitica costruiscono favole nel considerare dèi alcuni di questi demoni, nell'attribuire loro i nomi degli dèi e nel classificarli arbitrariamente come amici o nemici di alcuni uomini, perché considera gli dèi alieni dalla condotta dei demoni per la dimora nel cielo e per la pienezza della felicità. Questo è dunque il favoleggiare dei poeti: considerare come dèi esseri che dèi non sono e farli combattere fra di loro con la denominazione di dèi a favore di uomini che essi con parzialità amano o odiano. E sostiene che la favola non è lontana dalla verità perché, sebbene designati con i nomi di dèi che non sono, sono fatti agire come demoni quali sono. Inoltre dichiara che di questo stampo è la Minerva di Omero che interviene fra le schiere dei Greci per frenare Achille 18. Dichiara dunque che quella Minerva è una finzione poetica perché egli considera Minerva una dea e la pone, lontana dal trattare con gli uomini, nell'alta dimora dell'etere fra gli dèi che ritiene tutti buoni e felici. Vi sarebbe dunque qualche demone fautore dei Greci e nemico dei Troiani come qualche altro fautore dei Troiani contro i Greci, che Omero ricorda col nome di Venere o di Marte. Invece Apuleio li pone nelle dimore del cielo lontani da tali azioni. E questi demoni avrebbero combattuto fra di loro a favore di coloro che amavano contro quelli che odiavano. Apuleio ha confessato che i poeti hanno detto queste cose senza discostarsi dalla verità. Le hanno infatti affermate nei confronti di esseri che, stando a lui, col mutare del sentimento e col mareggiare dello spirito, simile a quello degli uomini, si agitano attraverso tutti i flutti delle rappresentazioni. Possono dunque provare l'amore e l'odio non a favore della giustizia, come fa la massa, che loro somiglia e che mantiene i propri favoritismi per gli uni contro gli altri nei confronti dei campioni del circo e dell'arena 19. Il filosofo platonico, come è evidente, si è dato pensiero affinché non si credesse che certe azioni, per il fatto che erano cantate dai poeti, non fossero compiute dai demoni posti in mezzo, ma dagli dèi stessi, giacché i poeti nel favoleggiare fanno i loro nomi 20.L'idea di demone è contraria a sapienza e felicità.
8. Ma forse è opportuno esaminare la stessa definizione dei demoni perché in essa Apuleio stabilendone i dati essenziali li ha inclusi tutti. In essa ha dichiarato che i demoni sono viventi nel genere, soggetti alle passioni nello spirito, ragionevoli per mente, aeriformi nel corpo, immortali nell'esistenza 21. Non ha incluso affatto fra le cinque caratteristiche elencate una per cui possa sembrare che essi abbiano in comune con gli uomini buoni un qualcosa che non sia nei malvagi. Infatti parlando nel luogo conveniente degli uomini stessi come di esseri di rango inferiore perché terreni, ne elenca un po' più diffusamente le caratteristiche essenziali. Prima aveva parlato degli dèi esistenti nel cielo. Così dopo aver ricordato i due estremi del rango più alto e del più basso, per ultimo al terzo posto ha parlato dei demoni in quanto posti in mezzo. Dice dunque: Quindi gli uomini capaci di pensiero, dotati di parola, dall'animo immortale, dall'organismo soggetto alla morte, dallo spirito soggetto al piacere e al dolore, dal corpo inerte e schiavo, dalla condotta morale diversa, dalla identica inclinazione all'errore, dalla inflessibile audacia, dalla invincibile speranza, dall'inutile affaticarsi, dalla fortuna destinata a finire, individualmente mortali, perenni universalmente come razza, che si sostituiscono a vicenda mediante la riproduzione della prole, dall'esistenza fuggevole, dalla saggezza tarda a venire, dalla morte pronta a venire, dalla vita incline al lamento, abitano la terra 22. Pur avendo elencato varie caratteristiche che sono proprie di moltissimi uomini, non ne ha taciuta una che riconosceva a pochi quando ha detto dalla saggezza tarda a venire. Se l'avesse tralasciata, l'accurata esattezza di questa descrizione non avrebbe affatto determinato le proprietà della razza umana. Nell'evidenziare poi la superiorità degli dèi, ha affermato che in essi è eminente la felicità che gli uomini vogliono conseguire con la sapienza. Quindi se intendesse far capire che alcuni demoni sono buoni, nell'elencarne le caratteristiche, porrebbe una dote, mediante la quale s'intenda che hanno in comune o con gli dèi una determinata parte di felicità o con gli uomini una qualunque sapienza. Al contrario non ha ricordato alcun loro bene col quale i buoni si distinguono dai malvagi. E sebbene si sia astenuto dal dichiarare più apertamente la loro malvagità, non tanto per non offendere loro quanto per non oltraggiarne gli adoratori ai quali si rivolgeva, ha indicato tuttavia alle persone sagge che cosa debbano pensare di loro. Infatti ha ritenuto gli dèi, che stando alla sua teoria sono tutti buoni e felici, del tutto immuni dalle passioni o, come egli dice, dai turbamenti dei demoni e li ha ritenuti eguali soltanto per l'immortalità dei corpi. Al contrario, per quanto riguarda lo spirito, ha dichiarato con estrema chiarezza che i demoni non sono simili agli dèi ma agli uomini, e non in considerazione del bene della sapienza, di cui anche gli uomini possono esser partecipi, ma del turbamento delle passioni che domina gli insipienti e i malvagi, ma viene dominato dai sapienti e dagli onesti al punto che preferiscono non provarlo che superarlo. Se avesse voluto far capire che i demoni hanno in comune con gli dèi non l'immortalità del corpo ma dello spirito, non avrebbe negato agli uomini la comunanza di questa prerogativa, giacché come platonico ritiene indubbiamente che lo spirito umano è immortale. E per questo nel determinare le caratteristiche degli uomini ha affermato che sono viventi dallo spirito immortale e dall'organismo soggetto alla morte. Pertanto se gli uomini non hanno in comune con gli dèi l'immortalità perché sono mortali nel corpo, certamente i demoni l'hanno in comune perché nel corpo sono immortali.Il demone sbilanciato fra dèi e uomini.
9. Che razza di intermediari tra uomini e dèi sono i demoni, tanto che per loro mezzo gli uomini debbano aspirare all'amicizia con gli dèi, se la parte più perfetta in un vivente, cioè lo spirito, l'hanno meno perfetta assieme agli uomini e la parte meno perfetta, cioè il corpo, l'hanno più perfetta assieme agli dèi? Un vivente, cioè un essere animato, è composto di anima e di corpo e di essi l'anima, anche se difettosa e infiacchita, è certamente più perfetta del corpo, anche del corpo più sano e vigoroso, poiché la sua natura è più eccellente e non può essere ritenuta inferiore al corpo a causa delle imperfezioni. Anche l'oro grezzo vale più dell'argento e del piombo per quanto raffinati. Invece questi intermediari fra dèi e uomini, giacché mediante la loro interposizione le cose umane si congiungono alle divine, hanno il corpo immortale assieme agli dèi e lo spirito imperfetto assieme agli uomini, come se la religione, con cui gli uomini intendono unirsi mediante i demoni agli dèi, sia collocata nel corpo e non nello spirito. E quale malvagità o pena tengono sospesi questi intermediari, falsi e ingannatori, per così dire a testa all'ingiù? Hanno infatti con gli esseri più alti la parte più bassa del vivente, cioè il corpo, e con quelli più bassi la parte più alta, cioè lo spirito, e sono uniti con la parte che è schiava agli dèi che stanno in cielo e sono infelici nella parte che è dominatrice con gli uomini che stanno sulla terra. Il corpo infatti è schiavo, come ha detto anche Sallustio: Possediamo principalmente il dominio dello spirito e la sottomissione del corpo. E aggiunge: L'uno ci è comune con gli dèi, l'altro con i bruti 23. Parlava degli uomini che hanno un corpo mortale come i bruti. I demoni invece, che i filosofi ci hanno rimediato come intermediari fra noi e gli dèi, possono certamente dire parlando del loro spirito e del loro corpo: "L'uno ci è comune con gli dèi, l'altro con gli uomini". Ma essi, come ho detto, quasi sospesi alla rovescia con una corda, hanno il corpo schiavo assieme agli dèi felici e lo spirito dominatore assieme agli uomini infelici, posti in alto con la parte bassa e in basso con la parte alta. Quindi anche nell'ipotesi che abbiano l'eternità assieme agli dèi, perché il loro spirito non viene sciolto dal corpo con la morte, come avviene dei viventi terrestri, non si deve ritenere che il loro corpo sia eterno portatore di spiriti gloriosi ma carcere eterno di spiriti dannati.Nel demone immoralità contro felicità.
10. Plotino vissuto nei tempi più vicini a noi viene lodato per essersi distinto nella conoscenza di Platone 24. Egli parlando dello spirito umano dice: Il Padre misericordioso costruiva per loro un carcere destinato a finire 25. Quindi ha sostenuto che il fatto stesso che gli uomini sono mortali nel corpo è dovuto alla bontà di Dio padre, in modo che gli uomini non fossero legati per sempre alla infelicità di questa vita. La malvagità dei demoni è stata da lui giudicata indegna di questa bontà perché l'infelicità di uno spirito soggetto alle passioni ha avuto un corpo immortale e non mortale come gli uomini. Sarebbero più fortunati degli uomini se avessero come loro un corpo mortale e uno spirito sereno come gli dèi. Sarebbero invece eguali agli uomini se avessero ottenuto di avere come loro, assieme allo spirito infelice, per lo meno un corpo mortale. Praticando la pietà sarebbero almeno dopo la morte liberi dalla sofferenza. Nello stato attuale invece non sono più felici degli uomini, ma a causa della infelicità dello spirito sono ancora più infelici in considerazione della immortalità del corpo. Dicendo esplicitamente che i demoni sono immortali, Apuleio ha voluto far comprendere che da demoni non diventano dèi, perché non possono rendersi migliori con una qualche disciplina religiosa o sapienziale.Aspetti demoniaci nell'uomo.
11. Apuleio afferma inoltre che anche l'anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati dèi Mani se è incerta la loro qualificazione 26. E chi non vedrebbe, purché rifletta un tantino, quale voragine spalancano con questa teoria al dilagare dell'immoralità? Infatti gli uomini, ritenendo che diverranno spettri o anche dèi Mani, sebbene siano stati iniqui, divengono tanto peggiori quanto sono più desiderosi di far del male al punto da convincersi che per far del male saranno invocati dopo la morte con sacrifici propri di onori divini. Dice infatti che gli spettri sono uomini divenuti demoni malvagi. Ma ne sorge un altro problema. Egli, confermando che anche lo spirito umano è un demone, dichiara che in greco gli uomini felici sono appunto chiamati perché sono spiriti buoni, cioè demoni buoni 27.Il demone non è mediatore (12-23)
Tra caratteristiche opposte fra dèi e uomini.
12. Ma ora trattiamo di quei demoni che egli ha delineato in un particolare esser di mezzo fra gli dèi e gli uomini perché sono esseri animati per genere, ragionevoli per intelligenza, soggetti alle passioni nello spirito, aeriformi nel corpo, immortali nell'esistenza. Prima ha distribuito gli dèi nell'altezza del cielo e gli uomini nell'infimità della terra, in quanto separati dallo spazio e dal diverso valore dell'essere. Infine ha concluso: Avete frattanto due tipi di viventi, gli dèi che differiscono moltissimo dagli uomini per l'altezza nello spazio, per la perennità dell'esistenza, per la perfezione dell'essere; non v'è fra di loro alcuna diretta partecipazione, poiché la grande lontananza del culmine separa le sedi più alte dalle più basse; lassù l'esistenza è eterna e indefettibile, qui passeggera e precaria, lassù l'intelligenza è sublimata nella felicità, qui depressa nell'infelicità 28. Noto che nel passo sono ricordate tre coppie di caratteristiche contrarie relative alle due parti estreme dell'essere, cioè la più alta e la più bassa. Infatti ha enunciato tre caratteristiche significative di dignità per gli dèi e le ha ripetute, ovviamente con altre parole, in modo da contrapporre da parte degli uomini le tre contrarie. Le tre caratteristiche degli dèi sono: l'altezza nello spazio, l'immortalità dell'esistenza, la perfezione dell'essere. Le ha ripetute con altre parole, in modo da contrapporre ad esse le tre caratteristiche contrarie della condizione umana. Dice: La grande lontananza del culmine separa le sedi più alte dalle più basse, perché aveva parlato dell'altezza nello spazio. Soggiunge: Lassù l'esistenza è eterna e indefettibile, qui passeggera e precaria, perché aveva parlato della perennità dell'esistenza. Ancora: Lassù l'intelligenza è sublimata nella felicità, qui depressa nell'infelicità, perché aveva parlato della perfezione dell'essere. Dunque da lui sono state considerate tre caratteristiche degli dèi, cioè l'altezza nello spazio, l'immortalità, la felicità e ad esse opposte tre caratteristiche degli uomini, cioè la bassezza nello spazio, la mortalità, la infelicità.Posizione di mezzo per immoralità e infelicità...
13. 1. Non v'è alcuna discussione sulla posizione occupata dai demoni che Apuleio ha collocato in mezzo fra queste tre coppie di caratteristiche relative agli dèi e agli uomini. Fra il più alto e il più basso v'è e si concepisce precisamente uno spazio di mezzo. Vi sono le altre due coppie di caratteristiche, alle quali si deve volgere un esame più attento, in modo da chiarire se siano estranee ai demoni ovvero siano ripartite, come sembra richiedere la posizione di mezzo. Ma non possono essere loro estranee. Si può concepire infatti che lo spazio non sia né il più alto né il più basso, ma non si può concepire che i demoni non siano né felici, dato che sono esseri animati ragionevoli, né infelici, come sono le piante che sono prive di sensazione e le bestie che sono prive di ragione. Gli esseri spirituali dotati di ragione sono necessariamente o felici o infelici. Allo stesso modo non si può dire ragionevolmente che i demoni non siano né mortali né immortali. Tutti gli esseri viventi o vivono per sempre o terminano con la morte l'esistenza. Ora Apuleio ha affermato che i demoni sono immortali nell'esistenza. Non rimane dunque altro che essi, posti nel mezzo, abbiano una caratteristica dagli esseri posti in alto e una da quelli posti in basso. Se avranno l'una e l'altra o da quelli in basso o da quelli in alto, non saranno in mezzo ma o risalgono o discendono verso l'una o l'altra parte. Quindi poiché non possono essere privi, come è stato dimostrato, dell'una e dell'altra rispettiva caratteristica, sono posti in mezzo col prenderne una dall'una parte e una dall'altra. Pertanto dato che non possono prendere l'immortalità dagli esseri posti in basso perché non l'hanno, ricevono questa caratteristica da quelli in alto e quindi non v'è altro da ricevere da quelli in basso che l'infelicità a rendere compiuta la loro posizione di mezzo....caratterizzante il demone...
13. 2. Si ha dunque secondo i platonici o la felice immortalità o l'immortale felicità degli dèi, perché posti in alto; degli uomini, al contrario, perché posti in basso, o l'infelicità per soggezione alla morte o l'infelice soggezione alla morte; dei demoni invece, perché posti in mezzo, o l'infelice immortalità o l'immortale infelicità 29. Apuleio difatti mediante le cinque proprietà che ha proposto nella definizione dei demoni non ha mostrato, come prometteva, che sono collocati nel mezzo. Ha affermato appunto che hanno tre caratteristiche in comune con noi, e cioè che per genere sono viventi, per intelligenza capaci di pensiero e soggetti alle passioni nello spirito; con gli dèi una caratteristica, che sono immortali nell'esistenza, e una particolare, che sono aeriformi nel corpo. In che senso sono dunque nel mezzo se hanno una proprietà in comune con gli esseri più in alto e tre con quelli più in basso? Chi non vedrebbe in quali proporzioni, abbandonando la posizione di mezzo, siano volti e trascinati verso il basso? Potrebbero certamente trovarsi in mezzo se avessero una caratteristica propria che è il corpo aeriforme, come l'hanno anche gli estremi dell'alto e del basso, e cioè gli dèi il corpo etereo e gli uomini il corpo terrestre e se si avessero inoltre due proprietà in comune a tutti e tre e cioè che siano viventi nel genere e capaci di pensiero per intelligenza. Lo stesso Apuleio, parlando degli dèi e degli uomini dice: Sono due tipi di viventi; e i platonici parlano sempre degli dèi come di esseri dotati d'intelligenza 30. Rimangono due caratteristiche dei demoni e cioè che sono soggetti alle passioni nello spirito ed immortali nell'esistenza. Di esse hanno una in comune con quelli in basso e l'altra con quelli in alto, sicché la posizione di mezzo bilanciata col calcolo della proporzione non scatta verso l'alto e non scivola verso il basso. Ed essa è appunto la infelice immortalità o l'immortale infelicità dei demoni. Apuleio, che li ha dichiarati soggetti alle passioni nello spirito, li avrebbe dichiarati anche infelici, se non avesse avuto ritegno per i loro adoratori. Ora poiché il mondo non è retto da un destino cieco ma dalla provvidenza del sommo Dio, come anche i platonici sostengono, non si avrebbe l'immortale infelicità dei demoni se non si avesse la loro grande malvagità....che quindi è di mezzo fra dèi e uomini.
13. 3. Se dunque i felici sono giustamente considerati eudemoni, i demoni non sono eudemoni perché i platonici li hanno collocati in mezzo fra uomini e dèi. Qual è dunque il luogo di buoni demoni che in un grado superiore agli uomini e inferiore agli dèi offrano agli uni il soccorso, agli altri il servizio? Se infatti sono buoni ed immortali, sono anche felici. Ma una felicità immortale non permette che siano nel mezzo perché li eguaglia sensibilmente agli dèi e li differenzia sensibilmente dagli uomini. Quindi invano i platonici tenteranno di chiarire il criterio per cui i demoni buoni, se sono anche immortali e felici, siano ragionevolmente collocati in mezzo fra gli dèi liberi dalla morte e dal male e gli uomini soggetti alla morte e al male. Essi avrebbero due proprietà in comune con gli dèi, cioè la felicità e l'immortalità, e nessuna con gli uomini infelici e mortali. Per quale ragione dunque non sono considerati lontani dagli uomini e uniti agli dèi, anziché posti nel mezzo fra gli uni e gli altri? Sarebbero nel mezzo se avessero due determinate caratteristiche proprie, non comuni a due altre degli uni o degli altri ma a una di entrambi. Anche l'uomo è un qualcosa di mezzo, ma fra le bestie e gli angeli. Difatti poiché la bestia è un vivente irragionevole e mortale, l'angelo al contrario ragionevole e immortale, l'uomo è di mezzo, inferiore agli angeli, superiore alle bestie, perché ha in comune con le bestie la soggezione alla morte e con gli angeli l'intelligenza. È appunto un essere animato, ragionevole, mortale. Dunque allo stesso modo quando si cerca la posizione di mezzo fra esseri felici immortali ed esseri infelici mortali, si deve trovare o che l'essere mortale è felice o l'immortale è infelice.L'uomo fra moralità e felicità.
14. Esiste nel mondo umano il grande problema se l'uomo può essere contemporaneamente felice e mortale. Alcuni hanno esaminato con maggiore umiltà la propria condizione e hanno affermato che l'uomo non può essere capace di felicità finché vive nella soggezione alla morte. Altri invece per orgoglio hanno osato affermare che, pur mortali, gli uomini in possesso della sapienza possono essere felici. Se è così, perché essi piuttosto non vengono collocati in mezzo fra infelici mortali e felici immortali, dato che hanno in comune la felicità con gli immortali felici e la soggezione alla morte con i mortali infelici? Certamente se sono felici non invidiano alcuno, poiché l'invidia è la più grande infelicità. Pertanto aiuterebbero, secondo le proprie possibilità, gli infelici mortali a conseguire la felicità, in modo da essere anche immortali dopo la morte ed essere uniti agli angeli immortali e felici.Cristo mediatore come uomo-Dio...
15. 1. Se poi, ed è la teoria più attendibile e probabile, tutti gli uomini, finché sono soggetti alla morte, sono ineluttabilmente anche infelici, si deve pensare a un intermediario che non soltanto sia uomo ma anche dio. Soltanto la felice soggezione alla morte di questo intermediario potrà condurre col suo intervento gli uomini dalla infelice soggezione alla morte a una felice immortalità. Ed era opportuno che egli divenisse mortale e non rimanesse mortale. È divenuto mortale senza abbassare la divinità del Verbo ma assumendo la bassezza della carne; e non è rimasto mortale nella carne ma l'ha risuscitata dalla morte, poiché fine della sua mediazione è che non rimanessero nella morte perpetua, sia pure della carne, coloro per la cui riabilitazione egli era divenuto mediatore. Per questo fu necessario che egli, mediatore fra noi e Dio, avesse una temporanea soggezione alla morte e la felicità perenne, in modo che mediante la dimensione con cui diviene si adatti a esseri destinati a morire e una volta morti li trasferisca alla dimensione che non diviene. Gli angeli buoni dunque non possono essere di mezzo fra gli infelici mortali e i felici immortali, perché anche essi sono felici e immortali; lo possono invece gli angeli cattivi, perché sono immortali con gli uni e infelici con gli altri. Contrario a loro è il mediatore buono che in opposizione alla loro immortalità e infelicità volle essere mortale nel tempo e poté rimanere felice nell'eternità. Così con l'umiltà della propria morte e col bene della propria felicità ha sconfitto negli uomini gli immortali superbi e infelici operatori del male, affinché con l'esca della immortalità non li attirassero all'infelicità. Egli appunto ha liberato il loro spirito dal loro impuro dominio purificandolo per mezzo della fede in lui....e come datore di salvezza.
15. 2. Dunque l'uomo mortale e infelice, separato per grande distanza dagli esseri immortali e felici, quale intermediario potrà scegliere per cui mezzo congiungersi all'immortalità e alla felicità? Ciò che potrebbe attrarre nell'immortalità dei demoni è infelicità; ciò che potrebbe contrariare nella soggezione del Cristo alla morte non è più infelicità. In quella immortalità ci si deve guardare dalla eterna infelicità; in questa soggezione al morire non si deve temere la morte che non poteva essere eterna e si deve scegliere la felicità eterna. A quel destino s'interpone un intermediario immortale e infelice per impedire di passare all'immortalità felice perché permane in lui ciò che la impedisce, cioè la stessa infelicità; per l'altro destino si è interposto un intermediario mortale e felice per rendere gli uomini, una volta passata la soggezione alla morte, da morti a immortali sul modello che ha mostrato in sé risorgendo, da infelici a felici in quella vita da cui mai si era allontanato. L'uno è dunque un intermediario cattivo perché separa gli amici, l'altro buono perché riconcilia i nemici. Gli intermediari che disuniscono sono molti appunto perché la moltitudine che è felice lo diviene nella partecipazione del Dio uno, mentre la moltitudine degli angeli cattivi è infelice per mancanza di tale partecipazione. Ed essa si oppone per impedire, anziché interporsi per far conseguire la felicità e tumultua, per così dire, anche mediante la moltitudine stessa affinché non sia possibile giungere all'unico bene che rende felici. E per essere condotti a lui non erano necessari molti mediatori ma uno solo, e quello stesso di cui partecipando si diviene felici, cioè il Verbo di Dio, non creato, perché per suo mezzo sono state create tutte le cose 31. Tuttavia non è mediatore in quanto Verbo perché il Verbo sommamente immortale e felice è ben lontano dagli infelici mortali, ma è mediatore perché è uomo 32. Con questo fatto stesso mostra che per il bene, non solo felice ma che rende felici, non è necessario cercare altri intermediari e supporre di costruirci con essi una scala con cui raggiungerlo, perché il Dio felice e che rende felici, divenuto partecipe della nostra umanità, ci ha offerto la via più breve per partecipare alla sua divinità. Liberandoci dalla soggezione alla morte e al male non ci eleva fino agli angeli immortali e felici per essere anche noi immortali e felici, ma alla Trinità perché anche gli angeli sono felici della sua partecipazione. Perciò quando nella forma di schiavo 33, per essere mediatore, volle essere inferiore agli angeli, rimase loro superiore nella forma di Dio, perché è sempre lui che in basso è la via della vita e in alto è la vita 34.Assurda teoria della incontaminabilità degli dèi...
16. 1. Non è vero infatti l'aforisma che il citato platonico attribuisce a Platone: Nessun dio comunica con l'uomo; e ha aggiunto che principale indizio della loro sublimità è che non sono contaminati dal contatto con gli uomini 35. Ammette dunque che i demoni ne sono contaminati. Ne consegue dunque che non possono render puri coloro dai quali sono contaminati e tutti e due sono egualmente impuri, i demoni mediante il contatto con gli uomini e gli uomini mediante l'adorazione dei demoni. Ovvero se i demoni possono avere contatti e comunicazioni con gli uomini senza esserne contaminati, sono evidentemente più perfetti degli dèi, perché questi sarebbero contaminati se comunicassero. È infatti caratteristica principale degli dèi, secondo la loro teoria, che il contatto umano non li può contaminare perché inaccessibili per elevatezza 36. Apuleio afferma inoltre che il Dio sommo, creatore di tutti, che noi cristiani riconosciamo per il vero Dio, è considerato da Platone come il solo che è impossibile esprimere, sia pure lontanamente, con parole a causa della povertà del linguaggio umano; ma che appena ai filosofi, se col dinamismo spirituale, quanto è loro consentito, si siano allontanati dalla materia, la conoscenza di questo Dio, sebbene raramente, brillerebbe quasi attraverso folte tenebre come candida luce in un rapidissimo balenare 37. Dunque il Dio veramente sommo, perché sopra tutte le cose, si manifesterebbe in una determinata intelligibile e ineffabile presenza, sebbene raramente, sebbene brillando come candida luce in un rapidissimo balenare, all'intelligenza dei filosofi, purché, quanto è consentito, si siano distolti dalla materia; ed egli non potrebbe esserne contaminato. Che ragionamento è dunque questo che gli dèi vengono relegati lontano, nello spazio più alto, perché non siano contaminati dal contatto umano? Basta solamente vedere i corpi celesti, dato che la terra è illuminata, quanto basta, dalla loro luce. Ora se con l'esser visti non sono contaminati gli astri che Apuleio considera tutti dèi visibili 38, neanche i demoni sono contaminati dallo sguardo umano, anche se fossero visti da vicino. Ma forse gli dèi sono contaminati dalla voce umana, sebbene non lo siano dalla vista? E per questo forse avrebbero come mediatori i demoni, da cui sia loro riferita la voce degli uomini, dato che sono da loro lontani per rimanere pienamente incontaminati? Che dire degli altri sensi? Neppure gli dèi, se fossero più vicini, potrebbero esser contaminati usando l'olfatto e neanche i demoni, quando sono vicini, possono essere contaminati dalle esalazioni dei corpi umani vivi, se non sono contaminati dal fumo delle carogne nei sacrifici. Per quanto riguarda la sensazione del gusto non sono stimolati dal bisogno di ristorare il corpo mortale tanto che, spinti dalla fame, chiedano da mangiare agli uomini. Il tatto poi dipende da loro. Infatti quantunque sia evidente che il contatto derivi etimologicamente da questo senso, gli dèi comunicherebbero, qualora lo volessero, con gli uomini soltanto per vedere ed essere veduti, ascoltare ed essere ascoltati. Che necessità vi sarebbe di toccare? Neanche gli uomini oserebbero desiderarlo se potessero godere della vista o colloquio con gli dèi o con i buoni demoni. E se la curiosità arrivasse al punto che lo vogliano, in qual modo potrebbe un individuo toccare loro malgrado un dio o un demone se non può toccare un passero se non dopo averlo preso?....e dei dèmoni.
16. 2. Dunque gli dèi potrebbero comunicare con gli uomini vedendo e offrendosi alla vista, parlando e ascoltando. Se quindi i demoni comunicano nel modo che ho detto e non ne sono contaminati, gli dèi invece lo sono, i demoni, a sentir loro, sono incontaminabili e gli dèi contaminabili. Se poi sono contaminati anche i demoni, che cosa conferiscono agli uomini per la felicità dopo la morte se, rimanendo contaminati, non li possono purificare per ricongiungerli puri agli dèi incontaminati, dato che sono mediatori fra gli uni e gli altri? E se non tributano questo soccorso, che cosa giova agli uomini l'amichevole mediazione dei demoni? Forse affinché gli uomini non passino dopo la morte agli dèi attraverso i demoni, ma affinché vivano entrambi contaminati e quindi né gli uni né gli altri felici? A meno che non si dica che i demoni purifichino i propri amici col sistema delle spugne e simili e che perciò diventino tanto più sporchi quanto più puliti diventano gli uomini mediante questa abluzione. Ma se è così, gli dèi comunicano con i demoni più contaminati degli uomini; eppure hanno evitato la vicinanza e il contatto degli uomini per non rimanerne contaminati. O forse gli dèi possono purificare i demoni contaminati dagli uomini e non essere contaminati da loro e per gli uomini non sarebbe possibile? E chi la penserebbe così se non fosse tratto in inganno dai demoni grandi impostori? Se poi l'esser visti e il vedere contaminano e si vedono dagli uomini gli dèi che Apuleio dichiara visibili 39 come le luci più fulgide del mondo 40, e così per gli astri, forse che sono più immuni i demoni da questa contaminazione umana, dato che non possono esser veduti se non vogliono? E se non l'esser visto ma il vedere rende impuri, affermino che gli uomini non sono visti da queste fulgidissime luci del mondo che ritengono dèi, sebbene facciano giungere i loro raggi fino alla terra. Tuttavia questi raggi diffusi su tanti oggetti immondi non sono contaminati. E rimarrebbero contaminati gli dèi se comunicassero con gli uomini, anche se al soccorso fosse indispensabile il contatto? Infatti la terra viene colpita dai raggi del sole e della luna; eppure non rende immonda la loro luce.Cristo mediatore per somiglianza.
17. Mi meraviglio assai che uomini così dotti, sebbene abbiano giudicato tutte le cose materiali e sensibili inferiori alle spirituali e intelligibili, sull'argomento della felicità accennino ai contatti corporali. Non vi si riscontra affatto il celebre detto di Plotino: Si deve dunque fuggire verso la patria diletta, perché in essa è il padre, in essa tutto; e soggiunge: Qual è dunque la lotta o la fuga? Divenire simile a Dio 41. Se si diviene tanto più vicini a Dio quanto si è più simili a lui, la sola lontananza da lui è essergli dissimili. L'anima dell'uomo quindi è tanto più dissimile da lui che è immateriale eterno e fuori del divenire quanto più è attaccata alle cose del tempo che sono nel divenire. Bisogna guarire da questo male. Ma poiché le cose soggette alla morte e alla materia che sono in basso non possono essere proporzionate alla somma immaterialità che è in alto, si ha bisogno di un mediatore. Tuttavia egli non deve essere tale che abbia un corpo sia pure immortale, vicino agli esseri più alti, e lo spirito soggetto al male come gli esseri più bassi, perché piuttosto ci ostacolerebbe dall'esserne guariti che aiutarci a guarirne. Il mediatore deve essere tale che, reso simile per soggezione alla morte nel corpo a noi che siamo in basso, possa porgere un aiuto veramente divino alla nostra catarsi e liberazione per immortale giustizia dello spirito mediante la quale rimase in alto non per distanza nello spazio ma per sovrana eguaglianza. Ed è impossibile che egli, Dio immutabile, temesse la contaminazione da parte dell'uomo che ha assunto o degli uomini in mezzo ai quali è vissuto come uomo. Frattanto non sono trascurabili questi due benefici che egli con la sua incarnazione ci ha rivelati, e cioè che la vera divinità non può essere contaminata dalla terrenità e che i demoni non si devono ritenere migliori di noi per il fatto che non partecipano della terrenità. Egli è, come dichiara la sacra Scrittura, il mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 42. Non è qui il momento di parlare espressamente, sia pure nei limiti delle nostre possibilità, della sua divinità, per cui è eternamente eguale al Padre, e della sua umanità, per cui si è reso simile a noi.Via fra cielo e terra.
18. Al contrario i demoni, mediatori mentiti e mentitori, quantunque, pur soggetti all'infelicità e al male a causa dell'impurità dello spirito, esercitino il loro influsso su molti avvenimenti, approfittando tuttavia delle distanze nello spazio materiale e della leggerezza del loro corpo aeriforme, tramano di distoglierci definitivamente dall'elevazione spirituale. Quindi non mostrano la via a Dio ma impediscono che si tenga la via. Comunque una parola sulla via dello spazio corporeo. Essa è ingannevole ed è fitta di errori, perché per essa non passa la giustizia, dato che dobbiamo salire a Dio non attraverso l'altezza fisica ma per somiglianza spirituale, cioè non corporea. Comunque anche per quanto riguarda la via dello spazio corporeo, che gli adoratori dei demoni dispongono fra gli dèi eterei e gli uomini terreni stabilendo come intermediari i demoni, essi ritengono in definitiva che gli dèi abbiano come principale caratteristica di non essere contaminati dal contatto umano in virtù della distanza nello spazio. Con questa teoria sostengono piuttosto che i demoni sono contaminati dagli uomini, anziché gli uomini siano purificati dai demoni e che gli dèi stessi possono rimanere contaminati se non fossero difesi dall'altezza nello spazio 43. Chi è tanto sciagurato da pensare di raggiungere la catarsi per questa via, giacché in essa gli uomini contaminano, i demoni sono contaminati e gli dèi contaminabili? E perché non dovrebbe scegliere la via in cui si evitino i demoni che contaminano 44, e gli uomini dal Dio incontaminabile siano liberati dalla contaminazione per raggiungere la società degli angeli non contaminati?Angeli e dèmoni.
19. Ma non deve sembrare che facciamo questione di terminologia, poiché alcuni di questi, per così dire, demonicoli, fra cui è anche Labeone, affermano che da alcuni sono chiamati angeli quelli che essi chiamano demoni. Prendo atto quindi che si deve esporre qualche concetto sugli angeli buoni. I pagani non ne negano l'esistenza ma preferiscono chiamarli demoni buoni anziché angeli. Noi invece, come insegna la Scrittura in base alla quale siamo cristiani, sentiamo parlare di angeli, che in parte sono buoni e in parte cattivi, mai comunque di demoni buoni. In qualunque parte della Scrittura si trovi questo nome, siano denominati dèmoni o demòni, sono sempre indicati come spiriti malvagi. E dovunque gli individui ormai hanno adottato questo modo di parlare al punto che non esiste alcuno, di quelli che sono chiamati pagani e difendono il culto di molti dèi e demoni, anche se letterato e colto, che osi dire a titolo di lode sia pure al proprio schiavo: Hai un demone 45. Al contrario, non può avere alcun dubbio di essere interpretato soltanto nel senso che ha inteso ingiuriare, chiunque sia l'individuo a cui si è rivolto. Non v'è ragione dunque che ci costringa a giustificare la nostra affermazione, data la ripugnanza di moltissimi individui, ormai quasi tutti, abituati a interpretare soltanto in cattivo senso la parola. Usando la parola angeli possiamo evitare la ripugnanza che può manifestarsi se si usa la parola demoni.Scienza e superbia nei dèmoni.
20. Comunque anche l'etimologia di questo nome, se consideriamo attentamente i libri della Scrittura, ci induce a una importante considerazione. Demoni, stando alla radice greca del nome [], derivano etimologicamente da scienza 46. Ora l'Apostolo parlando nello Spirito Santo afferma: La scienza gonfia, la carità costruisce 47. Il detto non significa altro che la scienza giova soltanto quando si ha la carità 48 e che senza di essa gonfia e cioè innalza a una vuota altezzosità. V'è dunque nei demoni la scienza senza la carità e quindi sono così gonfi, cioè così superbi al punto che si sono industriati perché fossero loro tributati onori divini e il servizio religioso che, come sanno, si devono al vero Dio; tuttora si dan da fare per quanto è loro possibile e con chi è possibile. Ora l'anima degli uomini gonfia della colpa dell'orgoglio non sa, perché simile ai demoni nella superbia e non nella scienza, quanto potere ha l'umiltà di Dio che si è manifestata in Cristo contro la superbia dei demoni, dalla quale era meritatamente reso schiavo il genere umano.Cristo si palesa ai dèmoni.
21. E i demoni sanno anche questo. Hanno perfino detto al Signore mentre era rivestito della debolezza della carne: Che c'è fra noi e te, o Gesù di Nazareth? Sei venuto a mandarci in rovina [prima del tempo]? 49. È chiaro da queste parole che esisteva in essi una grande scienza e non vi era la carità. Temevano la pena da lui ma non amavano in lui la giustizia. Si fece conoscere da loro nei limiti che volle e lo volle nei limiti dell'indispensabile. Però non si fece conoscere come agli angeli santi i quali godono nella partecipazione alla sua eternità secondo la relazione per cui è il Verbo di Dio 50, ma come si doveva far conoscere dai demoni per atterrirli. Stava appunto per liberare dal loro potere, in certo senso tirannico, i predestinati al suo regno e alla sua gloria verace e veracemente eterna. Si fece dunque conoscere dai demoni non nella dimensione della vita eterna e della luce indefettibile che illumina i credenti, giacché per conoscerlo mediante la fede che proviene da lui si richiede la purificazione dello spirito; si è fatto conoscere soltanto mediante manifestazioni nel tempo e segni della sua presenza invisibile che potevano essere palesi alle facoltà angeliche, anche di spiriti malvagi, anziché alla debolezza umana. Poi quando credette opportuno di occultarli e si tenne maggiormente nascosto, il principe dei demoni dubitò di lui e per scoprire se era il Cristo lo provò nei limiti in cui egli consentì di esser messo alla prova, per commisurare l'uomo che era in lui a modello della nostra imitazione. Ma dopo quella prova, come è scritto, lo servirono gli angeli 51, certamente quelli buoni e santi e perciò temibili e terribili agli spiriti immondi. Quindi sempre di più si palesava ai demoni la sua grandezza, sicché nessun demone osò resistere al suo comando, sebbene in lui potesse sembrare oggetto di disprezzo la debolezza della carne.Conoscenza degli angeli e dei dèmoni.
22. Quindi per gli angeli buoni è senza valore ogni conoscenza delle cose fisiche poste nel tempo, mentre i demoni se ne inorgogliscono. Non che gli angeli ne siano ignari, ma per essi ha valore la carità di Dio dalla quale sono resi santi. In ordine alla bellezza non solo spirituale ma anche immutevole e ineffabile di lui, dal cui santo amore sono infiammati, essi ritengono senza valore tutte le cose che gli sono inferiori e che non sono quelle che lui è, e se stessi per partecipare nel tutto del bene che sono di quel bene per cui sono un bene. Perciò conoscono più distintamente anche le cose poste nel tempo e nel divenire, perché ne intuiscono le ragioni ideali nel Verbo di Dio per mezzo del quale è stato creato il mondo; e in queste ragioni alcune cose sono approvate, alcune disapprovate, tutte ordinate. I demoni al contrario non intuiscono nella Sapienza di Dio le ragioni eterne che, analogicamente parlando, reggono i tempi ma, attraverso una maggiore conoscenza immediata di segni a noi occulti, prevedono molto più degli uomini eventi futuri e talora predicono perfino le proprie iniziative. Ma i demoni spesso s'ingannano, gli angeli mai. Una cosa è infatti congetturare eventi nel tempo e nel divenire da altri eventi e inserire in essi una dimensione, posta nel tempo e nel divenire, della propria volontà e potere; e questo in una maniera determinata è consentito ai demoni. Altro è prevedere il divenire dei tempi nelle leggi di Dio che sono fuori del tempo e del divenire e sussistono nella sua Sapienza e conoscere nella partecipazione del suo Spirito la volontà di Dio che fra tutte, quanto è più efficace, tanto è più determinante; e questo con retto criterio è stato concesso agli angeli santi. Perciò non solo sono immortali ma anche felici. E Dio, da cui sono stati creati, è per loro il bene da cui sono felici. Godono infatti nella sua partecipazione e visione indefettibilmente.Significato di dèi nella Scrittura.
23. 1. Se i platonici preferiscono chiamare dèi anziché demoni gli angeli e ad essi aggiungere quelli che Platone, loro capo e maestro, dichiara creati dal Dio sommo, facciano pure 52. Con essi non ci si deve affannare per questioni di terminologia. Se infatti affermano che sono immortali, ma ciò nonostante creati dal Dio sommo e che non da sé sono felici, ma nell'unione a lui dal quale sono stati creati, dicono quel che diciamo noi, qualunque sia il nome con cui li chiamino. Che questa è la dottrina dei platonici, di tutti o dei migliori, è documentato dai loro libri. Non v'è poi quasi nessun dissenso tra noi e loro sul nome stesso con cui designano come dèi tale creatura immune dalla morte e dal male, anche perché nei nostri scritti sacri si legge: Il Dio signore degli dèi ha parlato 53; e altrove: Lodate il Dio degli dèi 54; e ancora: Il re grande su tutti gli dèi 55. Al contrario, poco dopo viene dichiarato il motivo per cui è stato scritto: È terribile su tutti gli dèi. Segue infatti: Perché tutti gli dèi delle genti sono demoni, mentre il Signore ha creato i cieli 56. Ha detto dunque su tutti gli dèi ma delle genti, cioè che le genti considerano dèi, mentre sono demoni e perciò è terribile. E sotto simile terrore domandavano al Signore: Sei venuto a mandarci in rovina? 57. Invece, l'altra frase il Dio degli dèi non può avere il significato del Dio dei demoni; ed è impossibile che anche l'altra il re grande su tutti gli dèi significhi il re grande su tutti i demoni. Ma il medesimo libro della Scrittura chiama dèi anche gli uomini appartenenti al popolo di Dio. Dice: Io ho detto che siete dèi e figli dell'Altissimo tutti 58. Si può interpretare che è il Dio di questi dèi quello che è stato definito il Dio degli dèi, e re grande su tutti gli dèi quello che è stato definito re grande su tutti gli dèi....appellativo più confacente all'uomo che all'angelo...
23. 2. Tuttavia ci si può obiettare: se gli uomini sono stati considerati dèi perché appartengono al popolo di Dio, al quale egli parla per mezzo di angeli o uomini, quanto più sono degni di questo nome esseri immortali che posseggono la felicità alla quale gli uomini aspirano a giungere adorando Dio? Risponderemo che non a caso nella Scrittura sono stati considerati dèi più esplicitamente gli uomini che gli spiriti immortali e felici ai quali noi saremo eguali, come ci è stato promesso, dopo la resurrezione. Si doveva evitare che la debolezza nella fede osasse a causa della loro superiorità stabilire come dio per noi qualcuno degli angeli. Trattandosi dell'uomo era più facile evitarlo. Inoltre gli uomini dovevano più apertamente essere considerati dèi se appartenenti al popolo di Dio, affinché fossero più stabili nella fiducia che il loro Dio è quello che è stato chiamato il Dio degli dèi 59. E sebbene siano chiamati dèi gli spiriti immortali e felici che sono nei cieli, tuttavia non sono stati considerati dèi degli dèi, cioè dèi degli uomini appartenenti al popolo di Dio ai quali è stato detto: Io ho detto che siete dèi e figli dell'Altissimo tutti 60. Da qui le parole dell'Apostolo: Vi sono esseri considerati dèi tanto nel cielo come sulla terra; e siccome vi sono molti dèi, vi sono anche molti signori. Ma noi abbiamo un solo Dio Padre, dal quale tutte le cose e anche noi in lui e un solo signore Gesù il Cristo, per mezzo del quale tutte le cose e anche noi per mezzo di lui 61....comunque non oggetto di culto.
23. 3. Non si deve discutere sul nome perché il concetto è tanto chiaro che è esente da ogni dubbio per quanto scrupoloso. Tuttavia noi cristiani affermiamo che dal numero degli spiriti immortali e beati alcuni sono mandati come angeli per annunziare agli uomini la volontà di Dio. Il discorso non piace ai platonici, perché sostengono che questa funzione non è esercitata da quelli che essi considerano dèi, cioè immortali e felici, ma dai demoni che considerano soltanto immortali. Non osano considerarli felici o, se immortali e felici, soltanto come demoni buoni, non dèi che sono collocati nello spazio più alto e lontani dal contatto umano. E sebbene questo sembri un dissenso di terminologia, tuttavia la denominazione di demoni è così detestabile che noi cristiani dobbiamo assolutamente considerarla sconveniente ai santi angeli. A questo punto si deve chiudere il presente libro. Abbiamo accertato infatti che gli spiriti immortali e felici, comunque siano chiamati, purché siano stati prodotti dal nulla, non sono intermediari per i mortali infelici da guidarsi all'immortale felicità, perché ne sono disgiunti dall'una e dall'altra differente proprietà. Al contrario quelli che sono nel mezzo, poiché hanno in comune con quelli collocati in alto l'immortalità e con quelli collocati in basso l'infelicità, dato che sono infelici per colpa della soggezione al male, possono piuttosto invidiarci che offrirci la felicità che non hanno. Quindi gli amici dei demoni non hanno nulla da proporci che valga a farceli adorare come soccorritori anziché evitarli come ingannatori. Vi sono infine gli spiriti buoni, e quindi non solo immortali ma anche felici, riguardo ai quali i platonici sostengono che si devono adorare con misteri e sacrifici per conseguire la felicità dopo la morte. Ma quali che siano e comunque siano denominati, noi nel seguente libro esporremo più accuratamente la nostra dottrina, e cioè che non si devono adorare essi con un simile culto religioso ma un solo Dio dal quale sono stati creati e della cui partecipazione sono felici.Sogna di trovarsi in una nicchia in San Pietro
I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaUn giorno, non si sa in che anno, Don Bosco sognò di trovarsi nella
Basilica di San Pietro, entro la grande nicchia che si apre sotto il
cornicione, a destra della navata centrale, perpendicolarmente alla
statua di bronzo del Principe degli Apostoli, e al medaglione in mosaico
di Pio IX. Egli non sapeva come fosse capitato lassù e non si dava
pace. Guarda attorno se vi sia modo di scendere, ma non vede nulla.
Chiama, grida, ma nessuno risponde. Finalmente, vinto dall’angoscia, si
sveglia.
Se qualcuno, udendo questo sogno, allora avesse creduto di scorgervi un
senso profetico, si sarebbe detto che sognava a occhi aperti. Ma oggi,
proprio dall’alto di quella nicchia, sorride il magnifico Don Bosco del
Canonica.
Questo monumento, degno della Basilica vaticana, è un colossale gruppo
marmoreo, in cui la figura di Don Bosco misura metri 4,80 di altezza,
senza tener conto del piedestallo di oltre un metro di altezza. Don
Bosco è rappresentato nell’atto che con nobile gesto della destra indica
l’altare papale a due giovani, da lui avvolti con la sinistra in ampio
amplesso paterno. Questi sono San Domenico Savio e il venerabile giovane
patagone Zeffirino Namuncurà, figlio del Gran Cacico convertito con la
sua tribù dal cardinal Cagliero.
I due giovani pare pendano dal suo labbro per ascoltare, perpetuata nel
marmo, quella professione di fedeltà al Papa, che è stata la divisa
inviolata di Don Bosco. Tale atteggiamento, mentre risponde alla fedeltà
storica, non isola la statua nella sua nicchia come un puro elemento
decorativo, ma ne fa un elemento organico del tempio vaticano.
«In questo monumento, concezione ed espressione toccano il vertice
dell’arte. Il Canonica, scultore di fama mondiale e Accademico d’Italia,
svincolandosi dalle meticolosità fotografiche e sorpassando gli
atteggiamenti tradizionali di Don Bosco dipinto e scolpito, ne fissò
energicamente la grandezza spirituale in una creazione che appartiene
all’arte veramente degna di questo nome».
Traspare infatti «il carattere meditativo del Santo, la sua forza
intellettuale, la sua antiveggenza di santo e di apostolo; ciò che,
sposato al sorriso paterno della sua forte bocca, integra bene il suo
carattere esuberante di carità e di amore» (G. De Mori).
Il monumento fu inaugurato il 31 gennaio 1936 e benedetto dal cardinal
Pacelli, il futuro Pio XII, tra l’entusiasmo di 20.000 giovani, tra i
quali 10.000 rappresentavano, per disposizione del Ministero, le Scuole
di Roma.
La nicchia assegnata da Pio XI a Don Bosco si può ben dire nicchia
d’onore, perché s’innalza sopra la statua di San Pietro ed era rimasta
vuota per secoli. Coloro poi che vissero negli ultimi anni del Santo non
potevano contemplarlo lassù senza ra,nmentare il sogno citato, che
avevano udito raccontare da ragazzi. Nessuno, e lui meno di tutti,
allora avrebbe mai immaginato quale arcano si potesse nascondere sotto
il velo dello strano sogno.
4-167 Dicembre 30, 1902 Il Signore la fa vedere terremoti, distruzione di città, e le parla della sua Volontà.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato, mi pareva di vedere la Santissima Trinità ed io in mezzo a loro, come se volessero risolvere che cosa dovessero fare del mondo. Onde, pareva che dicevano:
(2) “Se al mondo non si mandano fierissimi flagelli, tutto per lui è finito in fatto di religione, e diventeranno peggiori degli stessi barbari”.
(3) E mentre ciò dicevano, pareva che scendevano sulla terra guerre d’ogni specie, terremoti da distruggere intere città e malattie. Io nel vedere ciò, tutta tremante ho detto: “Maestà Suprema, perdonate all’umana ingratitudine, ora più che mai il cuore dell’uomo è ribellato; se si vedrà mortificato si ribellerà maggiormente, aggiungendo oltraggi ad oltraggi alla vostra Maestà”. Ed una voce che usciva da mezzo a loro diceva:
(4) “L’uomo si può ribellare quando è solo mortificato, ma quando è distrutto, cessa il suo ribellamento; ora qui non si parla di mortificazione, ma di distruzione”.
(5) Dopo ciò sono scomparsi; ma chi può dire come sono restata, molto più ché mi sentivo come una disposizione di volere uscire da questo stato di sofferenze, ed una volontà non perfettamente acquietata al Volere Divino. Vedevo con chiarezza che la più brutta onta che può fare la creatura al Creatore è opporsi al Volere suo Santissimo, ne sentivo la pena, temevo forte che potessi fare un’atto opposto al suo Volere, con tutto ciò non mi potevo acquietare. Quindi dopo molto stentare è ritornato il mio adorabile Gesù e mi ha detto:
(6) “Figlia mia, molte volte Io mi diletto di eleggere le anime, di circondarle di fortezza divina in modo che nessun nemico possa in lei entrare, e vi stabilisco il mio perpetuo soggiorno, ed in questa dimore che faccio mi abbasso, si può dire, ai più minuti servizi, la ripulisco, l’estirpo tutte le spine, le distruggo tutto ciò che di male ha prodotto la natura umana, e vi pianto tutto ciò che di bello e di buono in me si trova; tanto da formare il più bel giardino delle mie delizie, da servirmene a mio gusto, e secondo le circostanze della mia gloria e del bene altrui, tanto, che si può dire che non ha più nulla del suo, servendomi solo per mia abitazione. Onde, sai tu che ci vuole per distruggere tutto questo? Un’atto opposto alla mia Volontà; e tutto questo lo farai tu se ti opponi alla mia Volontà”.
(7) Ed io: “Temo Signore che i superiori mi possano dare l’ubbidienza dell’altra volta”.
(8) E Lui: “Questo non è cosa tua, ed Io me la vedrò con loro, ma qui c’è il tuo volere”.
(9) Con tutto ciò non mi potevo quietare ed andavo ripetendo nel mio interno: “Che cambiamento funesto mi è successo, chi ha disgiunto il voler mio dal Volere del mio Dio, che pareva formata tutt’uno?”