Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 28° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 5
1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.2Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:
3"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.
11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.
13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,15né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.
17Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.18In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.
20Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: 'Non uccidere'; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.26In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio';28ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.30E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31Fu pure detto: 'Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio';32ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: 'Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti';34ma io vi dico: non giurate affatto: né per 'il cielo', perché è 'il trono di Dio';35né per 'la terra', perché è 'lo sgabello per i suoi piedi'; né per 'Gerusalemme', perché è 'la città del gran re'.36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
38Avete inteso che fu detto: 'Occhio per occhio e dente per dente';39ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;40e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.41E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.42Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
43Avete inteso che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo' e odierai il tuo nemico;44ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,45perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.46Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?48Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.
Secondo libro dei Maccabei 9
1Avvenne in quel periodo il ritorno ignominioso di Antioco dalle regioni della Persia.2Infatti egli era giunto nella città chiamata Persepoli e si era accinto a depredare il tempio e ad impadronirsi della piazza, ma i cittadini ricorsero in massa alle armi e lo ricacciarono; perciò Antioco, messo in fuga dagli abitanti, dovette ritirarsi vergognosamente.3Mentre si trovava presso Ecbàtana, gli giunsero le notizie su ciò che era accaduto a Nicànore e agli uomini di Timòteo.4Montato in gran furore, pensava di sfogarsi sui Giudei anche per lo smacco inflittogli da coloro che lo avevano messo in fuga. Perciò diede ordine al cocchiere di compiere il viaggio spingendo i cavalli senza sosta; ma incombeva ormai su di lui il giudizio del Cielo. Così diceva nella sua superbia: "Farò di Gerusalemme un cimitero di Giudei, appena vi sarò giunto".5Ma il Signore che tutto vede, il Dio d'Israele, lo colpì con piaga insanabile e invisibile. Aveva appena terminato quella frase, quando lo colpì un insopportabile dolore alle viscere e terribili spasimi intestinali,6ben meritati da colui che aveva straziato le viscere altrui con molti e strani generi di tormenti.7Ma egli non desisteva affatto dalla sua alterigia, anzi pieno ancora di superbia spirava il fuoco della sua collera contro i Giudei e comandava di accelerare la corsa. Ma gli accadde di cadere dal carro in corsa tumultuosa e per la grave caduta di riportare contusioni in tutte le membra del corpo.8Colui che poco prima pensava di comandare ai flutti del mare, arrogandosi di essere un superuomo e di pesare sulla bilancia le cime dei monti, ora gettato a terra doveva farsi portare in lettiga, rendendo a tutti manifesta la potenza di Dio,9a tal punto che nel corpo di quell'empio si formavano i vermi e, mentre era ancora vivo, le sue carni fra spasimi e dolori cadevano a brandelli e l'esercito era tutto nauseato dal fetore e dal marciume di lui.10Colui che poco prima credeva di toccare gli astri del cielo, ora nessuno poteva sopportarlo per l'intollerabile intensità del fetore.11Allora finalmente, malconcio a quel modo, incominciò ad abbassare il colmo della sua superbia e ad avviarsi al ravvedimento per effetto del divino flagello, mentre ad ogni istante era lacerato dai dolori.12Non potendo più sopportare il suo proprio fetore, disse: "È giusto sottomettersi a Dio e non pensare di essere uguale a Dio quando si è mortali!".13Quell'empio si mise a pregare quel Signore che ormai non avrebbe più avuto misericordia di lui, e diceva14che avrebbe dichiarato libera la città santa, che prima si affrettava a raggiungere per raderla al suolo e farne un cimitero;15che avrebbe reso pari agli Ateniesi tutti i Giudei che prima aveva stabilito di non degnare neppure della sepoltura, ma di gettare in pasto alle fiere insieme con i loro bambini;16che avrebbe adornato con magnifici doni votivi il sacro tempio, che prima aveva saccheggiato, e avrebbe restituito in maggior numero tutti gli arredi sacri e avrebbe provveduto con le proprie entrate ai contributi fissati per i sacrifici;17inoltre che si sarebbe fatto Giudeo e si sarebbe recato in ogni luogo abitato per annunciare la potenza di Dio.
18Ma poiché i dolori non diminuivano per nulla - era arrivato infatti su di lui il giusto giudizio di Dio - e disperando ormai di sé, scrisse ai Giudei la lettera che riportiamo qui sotto, nello stile di una supplica, così concepita:
19"Ai Giudei, ottimi cittadini, il re e condottiero Antioco augura magnifica salute, benessere e prosperità.20Se voi state bene e i figli e le vostre cose procedono secondo il vostro pensiero, io, riponendo le mie speranze nel Cielo,21mi ricordo con tenerezza del vostro onore e della vostra benevolenza. Ritornando dalle province della Persia e trovandomi colpito da una malattia insopportabile, ho creduto necessario pensare alla comune sicurezza di tutti.22Pur non disperando del mio stato, ma avendo molta fiducia di poter scampare dalla malattia,23considerando d'altra parte che anche mio padre, quando aveva intrapreso spedizioni nelle province settentrionali, aveva indicato il successore,24perché se accadesse qualche cosa di inaspettato o si diffondesse la notizia di qualche grave incidente, gli abitanti del paese, sapendo in mano a chi era stato lasciato il governo, non si agitassero;25e oltre a questo constatando che i sovrani vicini e confinanti con il nostro regno spiano il momento opportuno e attendono gli eventi, ho designato come re mio figlio Antioco, che già più volte, quando intraprendevo i viaggi nei distretti settentrionali, ho raccomandato e affidato a moltissimi di voi. A lui indirizzo la lettera qui unita.26Vi prego dunque e vi scongiuro di ricordarvi dei benefici ricevuti pubblicamente o privatamente e prego ciascuno di conservare la vostra benevolenza verso di me e mio figlio.27Ho fiducia che egli si comporterà con voi con moderazione e umanità, secondo le mie direttive".
28Quest'omicida e bestemmiatore dunque, soffrendo crudeli tormenti, come li aveva fatti subire agli altri, finì così la sua vita in terra straniera, in una zona montuosa, con una sorte misera.29Curò il trasporto della salma Filippo, cresciuto insieme a lui, il quale poi, diffidando del figlio di Antioco, si recò in Egitto presso Tolomeo Filomètore.
Salmi 80
1'Al maestro del coro. Su "Giglio del precetto". Di Asaf. Salmo'.
2Tu, pastore d'Israele, ascolta,
tu che guidi Giuseppe come un gregge.
Assiso sui cherubini rifulgi
3davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse.
Risveglia la tua potenza
e vieni in nostro soccorso.
4Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
5Signore, Dio degli eserciti,
fino a quando fremerai di sdegno
contro le preghiere del tuo popolo?
6Tu ci nutri con pane di lacrime,
ci fai bere lacrime in abbondanza.
7Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini,
e i nostri nemici ridono di noi.
8Rialzaci, Dio degli eserciti,
fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi.
9Hai divelto una vite dall'Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
10Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
11La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
12Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.
13Perché hai abbattuto la sua cinta
e ogni viandante ne fa vendemmia?
14La devasta il cinghiale del bosco
e se ne pasce l'animale selvatico.
15Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
16proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato.
17Quelli che l'arsero col fuoco e la recisero,
periranno alla minaccia del tuo volto.
18Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
19Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome.
20Rialzaci, Signore, Dio degli eserciti,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.
Salmi 39
1'Al maestro del coro, Iditun. Salmo. Di Davide.'
2Ho detto: "Veglierò sulla mia condotta
per non peccare con la mia lingua;
porrò un freno alla mia bocca
mentre l'empio mi sta dinanzi".
3Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene,
la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.
4Ardeva il cuore nel mio petto,
al ripensarci è divampato il fuoco;
allora ho parlato:
5"Rivelami, Signore, la mia fine;
quale sia la misura dei miei giorni
e saprò quanto è breve la mia vita".
6Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni
e la mia esistenza davanti a te è un nulla.
Solo un soffio è ogni uomo che vive,
7come ombra è l'uomo che passa;
solo un soffio che si agita,
accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.
8Ora, che attendo, Signore?
In te la mia speranza.
9Liberami da tutte le mie colpe,
non rendermi scherno dello stolto.
10Sto in silenzio, non apro bocca,
perché sei tu che agisci.
11Allontana da me i tuoi colpi:
sono distrutto sotto il peso della tua mano.
12Castigando il suo peccato tu correggi l'uomo,
corrodi come tarlo i suoi tesori.
Ogni uomo non è che un soffio.
13Ascolta la mia preghiera, Signore,
porgi l'orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime,
poiché io sono un forestiero,
uno straniero come tutti i miei padri.
14Distogli il tuo sguardo, che io respiri,
prima che me ne vada e più non sia.
Geremia 30
1Parola che fu rivolta a Geremia da parte del Signore:2Dice il Signore, Dio di Israele: "Scriviti in un libro tutte le cose che ti dirò,3perché, ecco, verranno giorni - dice il Signore - nei quali cambierò la sorte del mio popolo, di Israele e di Giuda - dice il Signore -; li ricondurrò nel paese che ho concesso ai loro padri e ne prenderanno possesso".4Queste sono le parole che il Signore pronunziò per Israele e per Giuda:
5Così dice il Signore:
"Si ode un grido di spavento,
terrore, non pace.
6Informatevi e osservate se un maschio può partorire.
Perché mai vedo tutti gli uomini
con le mani sui fianchi come una partoriente?
Perché ogni faccia è stravolta,
impallidita? Ohimè!
7Perché grande è quel giorno,
non ce n'è uno simile!
Esso sarà un tempo di angoscia per Giacobbe,
tuttavia egli ne uscirà salvato.
8In quel giorno - parola del Signore degli eserciti - romperò il giogo togliendolo dal suo collo, spezzerò le sue catene; non saranno più schiavi di stranieri.9Essi serviranno il Signore loro Dio e Davide loro re, che io susciterò loro.
10Tu, poi, non temere, Giacobbe, mio servo.
Oracolo del Signore.
Non abbatterti, Israele,
Poiché io libererò te dal paese lontano,
la tua discendenza dal paese del suo esilio.
Giacobbe ritornerà e godrà la pace,
vivrà tranquillo e nessuno lo molesterà.
11Poiché io sono con te
per salvarti, oracolo del Signore.
Sterminerò tutte le nazioni
in mezzo alle quali ti ho disperso;
ma con te non voglio operare una strage;
cioè ti castigherò secondo giustizia,
non ti lascerò del tutto impunito".
12Così dice il Signore: "La tua ferita è incurabile,
la tua piaga è molto grave.
13Per la tua piaga non ci sono rimedi,
non si forma nessuna cicatrice.
14Tutti i tuoi amanti ti hanno dimenticato,
non ti cercano più;
poiché ti ho colpito come colpisce un nemico,
con un castigo severo,
per le tue grandi iniquità,
per i molti tuoi peccati.
15Perché gridi per la ferita?
Incurabile è la tua piaga.
A causa della tua grande iniquità, dei molti tuoi peccati,
io ti ho fatto questi mali.
16Però quanti ti divorano saranno divorati,
i tuoi oppressori andranno tutti in schiavitù;
i tuoi saccheggiatori saranno abbandonati al saccheggio
e saranno oggetto di preda quanti ti hanno depredato.
17Farò infatti cicatrizzare la tua ferita
e ti guarirò dalle tue piaghe.
Parola del Signore.
Poiché ti chiamano la ripudiata, o Sion,
quella di cui nessuno si cura",
18Così dice il Signore.
"Ecco, restaurerò la sorte delle tende di Giacobbe
e avrò compassione delle sue dimore.
La città sarà ricostruita sulle rovine
e il palazzo sorgerà di nuovo al suo posto.
19Ne usciranno inni di lode,
voci di gente festante.
Li moltiplicherò e non diminuiranno,
li onorerò e non saranno disprezzati,
20i loro figli saranno come una volta.
la loro assemblea sarà stabile dinanzi a me;
mentre punirò i loro avversari.
21Il loro capo sarà uno di essi
e da essi uscirà il loro comandante;
io lo farò avvicinare ed egli si accosterà a me.
Poiché chi è colui che arrischia la vita
per avvicinarsi a me? Oracolo del Signore.
22Voi sarete il mio popolo
e io il vostro Dio.
23Ecco la tempesta del Signore, il suo furore si scatena,
una tempesta travolgente;
si abbatte sul capo dei malvagi.
24Non cesserà l'ira ardente del Signore,
finché non abbia compiuto e attuato
i progetti del suo cuore.
Alla fine dei giorni lo comprenderete!
Seconda lettera ai Corinzi 1
1Paolo, apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Timòteo, alla chiesa di Dio che è in Corinto e a tutti i santi dell'intera Acaia:2grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.
3Sia benedetto Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, Padre misericordioso e Dio di ogni consolazione,4il quale ci consola in ogni nostra tribolazione perché possiamo anche noi consolare quelli che si trovano in qualsiasi genere di afflizione con la consolazione con cui siamo consolati noi stessi da Dio.5Infatti, come abbondano le sofferenze di Cristo in noi, così, per mezzo di Cristo, abbonda anche la nostra consolazione.6Quando siamo tribolati, è per la vostra consolazione e salvezza; quando siamo confortati, è per la vostra consolazione, la quale si dimostra nel sopportare con forza le medesime sofferenze che anche noi sopportiamo.7La nostra speranza nei vostri riguardi è ben salda, convinti che come siete partecipi delle sofferenze così lo siete anche della consolazione.
8Non vogliamo infatti che ignoriate, fratelli, come la tribolazione che ci è capitata in Asia ci ha colpiti oltre misura, al di là delle nostre forze, sì da dubitare anche della vita.9Abbiamo addirittura ricevuto su di noi la sentenza di morte per imparare a non riporre fiducia in noi stessi, ma nel Dio che risuscita i morti.10 Da quella morte però egli ci ha liberato e ci libererà, per la speranza che abbiamo riposto in lui, che ci libererà ancora,11grazie alla vostra cooperazione nella preghiera per noi, affinché, per il favore divino ottenutoci da molte persone, siano rese grazie per noi da parte di molti.
12Questo infatti è il nostro vanto: la testimonianza della coscienza di esserci comportati nel mondo, e particolarmente verso di voi, con la santità e sincerità che vengono da Dio, non con la sapienza della carne ma con la grazia di Dio.13 Non vi scriviamo in maniera diversa da quello che potete leggere o comprendere; spero che comprenderete sino alla fine,14come ci avete già compresi in parte, che noi siamo il vostro vanto, come voi sarete il nostro, nel giorno del Signore nostro Gesù.
15Con questa convinzione avevo deciso in un primo tempo di venire da voi, perché riceveste una seconda grazia,16e da voi passare in Macedonia, per ritornare nuovamente dalla Macedonia in mezzo a voi ed avere da voi il commiato per la Giudea.17Forse in questo progetto mi sono comportato con leggerezza? O quello che decido lo decido secondo la carne, in maniera da dire allo stesso tempo "sì, sì" e "no, no"?18Dio è testimone che la nostra parola verso di voi non è "sì" e "no".19Il Figlio di Dio, Gesù Cristo che abbiamo predicato tra voi, io, Silvano e Timoteo, non fu "sì" e "no", ma in lui c'è stato il "sì".20E in realtà tutte le promesse di Dio in lui sono divenute "sì". Per questo sempre attraverso lui sale a Dio il nostro "Amen" per la sua gloria.21È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione,22ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito nei nostri cuori.
23Io chiamo Dio a testimone sulla mia vita, che solo per risparmiarvi non sono più venuto a Corinto.24Noi non intendiamo far da padroni sulla vostra fede; siamo invece i collaboratori della vostra gioia, perché nella fede voi siete già saldi.
Capitolo II: Nel Sacramento si manifestano all’uomo la grande bontà e l’amore di Dio
Leggilo nella BibliotecaParola del discepolo
1. O Signore, confidando nella tua bontà e nella tua grande misericordia, mi appresso infermo al Salvatore, affamato e assetato alla fonte della vita, povero al re del cielo, servo al Signore, creatura al Creatore, desolato al pietoso mio consolatore. Ma "per qual ragione mi è dato questo, che tu venga a me?" (Lc 1,43). Chi sono io, perché tu ti doni a me; come potrà osare un peccatore di apparirti dinanzi; come ti degnerai di venire ad un peccatore? Ché tu lo conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui non c'è alcunché di buono, per cui tu gli dia tutto ciò. Confesso, dunque, la mia pochezza, riconosco la tua bontà, glorifico la tua misericordia e ti ringrazio per il tuo immenso amore. Infatti non è per i miei meriti che fai questo, ma per il tuo amore: perché mi si riveli maggiormente la tua bontà, più grande mi si offra il tuo amore e l'umiltà ne risulti più perfettamente esaltata. Poiché, dunque, questo ti è caro, e così tu comandasti che si facesse, anche a me è cara questa tua degnazione. E voglia il Cielo che a questo non sia di ostacolo la mia iniquità.
2. Gesù, pieno di dolcezza e di benignità, quanta venerazione ti dobbiamo, e gratitudine e lode incessante, per il fatto che riceviamo il tuo santo corpo, la cui grandezza nessuno può comprendere pienamente. Ma quali saranno i miei pensieri in questa comunione con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio Signore che non riesco a venerare nella misura dovuta e che tuttavia desidero accogliere devotamente? Quale pensiero più opportuno e più salutare di quello di abbassarmi totalmente di fronte a te, esaltando, su di me la tua bontà infinita? Ti glorifico, o mio Dio, e ti esalto in eterno; disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal profondo della mia pochezza. Ecco, tu sei il santo dei santi, ed io una sozzura di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me, che non sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco, tu vieni a me, vuoi stare con me, mi inviti al tuo banchetto; tu mi vuoi dare il cibo celeste, mi vuoi dare da mangiare il pane degli angeli: nient'altro, veramente, che te stesso, "pane vivo, che sei disceso dal cielo e dai la vita al mondo (Gv 6,33.51). Se consideriamo da dove parte questo amore, quale degnazione ci appare; quanto profondi ringraziamenti e quante lodi ti si debbono!
3. Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo disegno, quando hai istituito questo sacramento; come è soave e lieto questo banchetto, nel quale hai dato in cibo te stesso! Come è ammirabile questo che tu fai; come è efficace la tua potenza e infallibile la tua verità. Infatti, hai parlato "e le cose furono" (Sal 148, 5); e fu anche questo sacramento, che tu hai comandato. Mirabile cosa, degna della nostra fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato senza essere consumato. "Tu, o Signore di tutti", che, di nessuno avendo bisogno, hai voluto, per mezzo del Sacramento, abitare fra noi (2 Mac 14,35), conserva immacolato il mio cuore e il mio corpo, affinché io possa celebrare sovente i tuoi misteri, con lieta e pura coscienza; e possa ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu hai stabilito e istituito massimamente a tua glorificazione e perenne memoria di te.
4. Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per un dono così sublime, per un conforto così straordinario, lasciato a te in questa valle di lacrime. In verità, ogni qualvolta medito questo mistero e ricevi il corpo di Cristo, lavori alla tua redenzione e ti rendi partecipe di tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno, infatti, l'amore di Cristo; né si esaurisce la grandezza della sua intercessione. E' dunque con animo sempre rinnovato che ti devi disporre a questo Sacramento; è con attenta riflessione che devi meditare il mistero della salvezza. E quando celebri la Messa, o l'ascolti, ciò deve apparirti un fatto così grande, così straordinario e così pieno di gioia, come se, in quello stesso giorno, scendendo nel seno della Vergine, Cristo si facesse uomo, patisse e morisse pendendo dalla croce.
LETTERA 245: Agostino a Possidio sulla moda e sui cosmetici (n. 1) sugli orecchini portati per superstizione; gli vieta di ordinare un tale battezzato nello scisma donatista.
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta (secondo i Maurini) verso il 401.
Agostino a Possidio sulla moda e sui cosmetici (n. 1) sugli orecchini portati per superstizione; gli vieta di ordinare un tale battezzato nello scisma donatista (n. 2).
AGOSTINO E I FRATELLI CHE SONO CON ME, A POSSIDIO, AMATISSIMO SIGNORE, VENERABILE FRATELLO E COLLEGA NELL'EPISCOPATO E AI FRATELLI CHE SONO CON TE, SALUTE NEL SIGNORE
La moda cristiana.
1. Con i renitenti agli ordini, occorre pensare piuttosto al modo come trattarli anziché al modo come far loro comprendere quanto sia illecito quello che fanno. D'altronde in questo momento la lettera della Santità tua mi trova assai occupato e il ritorno del latore assai frettoloso non mi permette, se non di risponderti, almeno di rispondere come si dovrebbe ai tuoi quesiti. Non vorrei comunque che tu pronunciassi una sentenza precipitosa nel proibire i fronzoli d'oro e i vestiti sfarzosi se non a quelle persone che, non essendo unite in matrimonio o non avendone il desiderio, devono pensare come piacere a Dio. I coniugati invece pensano alle cose del mondo: in qual modo cioè i mariti possano piacere alle mogli e le mogli ai mariti 1. Senonché alle donne, anche se maritate, non è permesso di mettere in mostra i capelli, poiché l'Apostolo comanda loro di tenere il velo sul capo 2. Inoltre, imbellettarsi per dare alla carnagione un colorito più roseo o più candido è un trucco da adultere e sono certo che gli stessi mariti non desiderano esserne ingannati. Alle donne deve essere permesso di adornarsi solo al fine di piacere ai loro mariti, cosa questa da prendersi non come comandata ma solo tollerata. Poiché il vero ornamento, soprattutto dei Cristiani e delle Cristiane, non solo non è alcun trucco che inganna, ma neppure lo sfarzo dell'oro o delle stoffe, bensì i buoni costumi.
La superstizione degli orecchini.
2. È inoltre detestabile la superstizione degli amuleti che si applicano ai malati, tra cui sono annoverati anche gli orecchini per i maschi, pendenti da una sola parte all'estremità delle orecchie e di cui si servono non per piacere agli uomini, ma per essere schiavi dei demoni. Nessuno potrebbe trovare divieti particolari di sì nefande superstizioni nella Scrittura, dal momento che l'Apostolo afferma genericamente: Non voglio che siate in relazione con i demoni 3; e in un altro passo: Che v'è di comune tra Cristo e Belial? 4 Salvo che, avendo nominato solo Belial e proibito solo genericamente le relazioni con i demoni, sia lecito ai Cristiani offrir sacrifici a Nettuno per il fatto che non si legge nella Scrittura alcuna proibizione particolare riguardo a Nettuno! Questi sventurati siano intanto ammoniti che, se rifiutano di ubbidire a prescrizioni tanto salutari, per lo meno non difendano tali loro pratiche sacrileghe, per non cadere in un peccato più grave. Non saprei comunque qual provvedimento prendere contro chi ha paura di togliersi gli orecchini, mentre invece non ha paura di ricevere il corpo di Cristo con tali distintivi diabolici. Riguardo poi a ordinare il chierico ch'è stato battezzato nella setta di Donato, non posso consigliartelo, poiché un conto è farlo, se vi si è costretti, un altro è consigliare di farlo.
1 - 1 Cor 7, 32-34.
2 - 1 Cor 11, 5-6.
3 - 1 Cor 10, 20.
4 - 2 Cor 6, 15.
L’inondazione e la zattera salvatrice
I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco
Leggilo nella BibliotecaQuesto sogno fu narrato da Don Bosco ai suoi giovani la sera deI 1
gennaio 1866. È stato intitolato: Avvenire della Congregazione Salesiana
e sua missione salvatrice in mezzo alla gioventù. In esso Don Bosco
presenta alla rapita e commossa fantasia dei suoi figliuoli il vasto
panorama delle vicende della vita dello spirito colorando, con tocchi
potentemente drammatici, la sorte alla quale Maria Ausiliatrice guida
infallibilmente i suoi, e i tragici disastri ai quali vanno fatalmente
incontro quelli che a Maria, cioè a tutto quel complesso di vita
cristiana che è in essa vivente e operante, volgono stoltamente le
spalle.
E un sogno suggestivo e rivelatore, capace di tonificare l’anima e di
richiamarla ai suoi veri destini. In esso Don Bosco descrive un viaggio
fatto in compagnia dei suoi giovani durante una improvvisa e furiosa
tempesta e attraverso le acque burrascose di una spaventosa inondazione.
Lo riferiamo con qualche riduzione, ma con la solita fedeltà.
Don Bosco sognò di trovarsi tra i giovani del suo Oratorio, che si
ricreavano allegramente in una immensa prateria; quand’ecco,
all’improvviso, si videro da ogni parte circondati da una inondazione,
la quale cresceva a misura che si avanzava verso di loro. Sopraffatti
dal terrore, corsero a rifugiarsi in un grande mulino isolato, con le
mura grosse come quelle di una fortezza. Dalle finestre si vedeva
l’estensione del disastro: invece di prati, campi coltivati, orti,
boschi, cascine, non si scorgeva più altro che la superficie di un lago
immenso.
A misura che l’acqua cresceva, essi salivano da un piano all’altro.
Perduta ogni speranza umana di salvarsi, Don Bosco prese a incoraggiare i
suoi cari giovani, invitandoli a mettersi tutti con piena fiducia nelle
mani di Dio e tra le braccia della loro cara Madre Maria. Quando
l’acqua giunse al livello dell’ultimo piano, il terrore s’impossessò di
tutti, e non videro altro scampo che quello di rifugiarsi in una
grandissima zattera in forma di nave, apparsa in quel l’istante, che
galleggiava vicino a loro.
Ognuno voleva rifugiarvisi per primo, ma c’era un muro che emergeva un
po’ più alto del livello delle acque. C’era un solo mezzo: servirsi di
un lungo e stretto tronco d’albero; ma rendeva difficile il passaggio il
fatto che il tronco poggiava sul barcone e si muoveva seguendo il
beccheggio della barca stessa, agitata dalle onde.
Fattosi coraggio, Don Bosco vi passò per primo; e per facilitare il
trasbordo ai giovani, stabilì preti e chierici che, dal mulino,
sorreggessero chi partiva e, dal barcone, dessero mano a chi arrivava.
Frattanto molti giovani impazienti, trovato un pezzo di asse abbastanza
lungo e un po’ più làrgo del tronco, ne fecero un secondo ponte e, senza
aspettare l’aiuto dei preti e dei chierici e non dando ascolto alle
grida di Don Bosco, vi si slanciarono, ma perdendo l’equilibrio,
caddero e, ingoiati da quelle torbide e putride acque, più non si
videro.
Anche il fragile ponte si era sprofondato con quanti vi stavano sopra. E
sì grande fu il numero di quegli infelici, che un quarto dei giovani
restò vittima del loro capriccio.
Quelli che si erano rifugiati sulla zattera vi trovarono una gran de
quantità di pani, custoditi in molti canestri.
«Quando tutti furono sulla barca — continua Don Bosco — presi il comando
di capitano e dissi ai giovani:
— Maria è la Stella del mare. Essa non abbandona chi in Lei confida:
mettiamoci tutti sotto il suo manto; Ella ci scamperà dai pericoli e ci
guiderà a porto tranquillo.
Quindi abbandonammo ai flutti la nave, che galleggiava ottimamente,
mentre l’impeto delle onde, agitate dal vento, la spingeva con tale
velocità, che noi, abbracciati l’un l’altro, facemmo un sol corpo per
non cadere.
Percorso molto spazio in brevissimo tempo, a un tratto la barca si fermò
e si mise a girare attorno a sé stessa con straordinaria rapidità,
sicché pareva dovesse affondare. Ma un soffio violentissimo la spinse
fuori del vortice. Prese quindi un corso più regolare e, ripetendosi
ogni tanto qualche mulinello e il soffio del vento salvatore, andò a
fermarsi vicino a una terra che si ergeva come una collina in mezzo a
quel mare.
Molti giovani se ne invaghirono e, dicendo che il Signore aveva posto
l’uomo sulla terra e non sulle acque, senza chiedere il permesso,
uscirono dalla barca giubilando. Ma breve fu la loro gioia perché per un
improvviso infuriare della tempesta, crebbero le acque, la collina fu
inondata, ed essi scomparvero travolti dalle onde.
Io esclamai:
— È proprio vero che chi fa di sua testa, paga di sua borsa.
La zattera intanto, in balia di quel turbine, minacciava di nuovo di
andare a fondo. Vidi allora i miei giovani pallidi in volto e tremanti: —
Fatevi coraggio — gridai loro —, Maria non ci abbandonerà.
E unamini e di cuore ci mettemmo a pregare in ginocchio, tenendoci per
mano gli uni con gli altri. Però ci furono parecchi in sensati che,
indifferenti a quel pericolo, alzatisi in piedi, si aggira vano qua e là
sghignazzando tra di loro e burlandosi degli atteggiamenti
supplichevoli dei loro compagni.
Ed ecco che la nave si arresta all’improvviso, gira con rapidità su sé
stessa e un vento furioso sbatte nelle onde quei disgraziati. Erano
trenta, ed essendo l’acqua profonda e melmosa, appena vi furono dentro,
più nulla si vide di loro.
Noi intonammo la Salve Regina e più che mai invocammo di cuore la
protezione della Stella del mare. Sopravvenne la calma, ma la nave
continuava ad avanzare senza che sapessimo dove ci avrebbe condotti. A
bordo intanto ferveva l’opera di salvataggio. Si faceva di tutto per
impedire ai giovani di cadere nelle acque e per salvare i caduti.
Poiché vi erano di quelli che sporgendosi incautamente dalle basse
sponde della zattera, cadevano nel lago; e ve ne erano anche altri che,
sfacciati e crudeli, chiamando qualche compagno vicino alle sponde, con
un urtone, lo gettavano giù.
Perciò vari preti preparavano canne robuste, grosse lenze e ami di varie
specie. Appena cadeva un giovane, le canne si abbassavano e il naufrago
si aggrappava alla lenza, oppure con l’amo resta va uncinato alla
cintura o nelle vesti, e così veniva tratto in salvo. Io stavo ai piedi
di un alto pennone piantato nel centro, circondato da moltissimi
giovani, da preti e da chierici che eseguivano i miei ordini.
Finché i giovani furono docili e obbedienti alle mie parole, tutto
andava bene: erano tranquilli, contenti, sicuri. Ma non pochi
cominciarono a trovare incomoda quella zattera, a temere il viaggio
troppo lungo, a lamentarsi dei pericoli e disagi di quella traversata, a
disputare sul luogo ove avremmo approdato, a pensare al modo di trovare
altro rifugio, e a rifiutarmi obbedienza. Invano io cercavo di
persuaderli con le ragioni.
Ed ecco in vista altre zattere, che sembrava tenessero un corso diverso
dal nostro; e quegli imprudenti deliberarono di secondare i loro
capricci: gettarono nelle acque alcune tavole che erano nella nostra
zattera, vi saltarono sopra e si allontanarono alla volta delle zattere
apparse. Fu una scena indescrivibile e dolorosa per me:
vedevo quegli infelici che andavano incontro alla rovina. Soffiava il
vento, i flutti erano agitati, e alcuni sprofondarono tra le spire dei
vortici, altri riuscirono a salire sulle zattere, che però non tardarono a sommergersi. La notte si era fatta buia: in lontananza si
udivano le grida strazianti di coloro che perivano. Naufragarono tutti.
Il numero dei miei cari figliuoli era diminuito di molto, ciò nonostante continuando a confidare nella Madonna, dopo una notte
tenebrosa, la nave entrò in uno stretto, tra due sponde limacciose,
coperte di cespugli, di ciottoli e di rottami. Tutto intorno alla barca
si vedevano tarantole, rospi, serpenti, coccodrilli, vipere e mille
altri animali schifosi. Sopra salici piangenti, i cui rami pendevano
sopra la nostra barca, stavano molti scimmioni che, penzolando dai rami,
si sforzavano di toccare e arroncigliare i giovani; ma questi,
curvandosi impauriti, schivavano quelle insidie.
Fu colà, su quel greto, che rivedemmo con grande sorpresa e orrore i
poveri compagni perduti. Dopo il naufragio erano stati gettati dalle
onde su quella spiaggia, contro gli scogli. Altri erano sotterrati nel
padule e non se ne vedevano che i capelli e la metà d’un braccio. Qui
sporgeva dal fango un dorso, più in là una testa; altrove galleggiava,
interamente visibile, qualche cadavere.
Ma ben altro spettacolo si presentava ai nostri occhi. A poca distanza
s’innalzava una gigantesca fornace, nella quale divampava un fuoco
grande e ardentissimo. Sopra quel fuoco vi era come un gran coperchio,
sul quale stavano scritte a grossi caratteri queste parole: “Il sesto e
il settimo conducono qui” (cioè: il furto e l’impurità).
Là vicino vi era anche una vasta prominenza di terra, ove si moveva
un’altra moltitudine di nostri giovani o caduti nelle onde o
allontanatisi nel corso del viaggio. Io scesi a terra, non badando al
pericolo, mi avvicinai e vidi che avevano gli occhi, le orecchie, i
capelli e persino il cuore pieni di insetti e di vermi schifosi, che li
rosicchiavano e cagionavano loro grandissimo dolore.
Io additai a tutti una fonte che gettava in gran copia acqua fresca e
ferruginosa: chiunque andava a lavarsi in quella, guariva al l’istante e
poteva ritornare nella zattera. La maggior parte di quegli infelici
aderì al mio invito; ma alcuni si rifiutarono. Allora io, seguìto da
quelli che erano risanati, tornai alla zattera, che uscì da quello
stretto dalla parte opposta a quella per cui era entrata, e si slanciò
di nuovo in un oceano senza confini.
Noi, compiangendo la fine lacrimevole dei nostri compagni abbandonati
in quel luogo, ci mettemmo a cantare: “Lodate Maria, o lingue fedeli”,
in ringraziamento alla gran Madre celeste per averci fino allora
protetti; e sull’istante, quasi al comando di Maria, cessò l’infuriare
del vento e la nave prese a scorrere rapida sulle placide onde.
Ed ecco comparire in cielo un’iride più meravigliosa di un’aurora
boreale, sulla quale, passando, vedemmo scritto a grossi caratteri di
luce la parola MEDOUM, senza intenderne il significa to. A me parve che
ogni lettera fosse l’iniziale di queste parole: “Mater et Domina omnis
universi Maria” (Madre e Signora di tutto l’universo Maria).
Dopo un lungo tratto di viaggio, ecco spuntare terra in fondo
all’orizzonte. A quella vista provammo una gioia inesprimibile. Quella
terra, amenissima per boschetti con ogni specie di alberi, presentava il
panorama più incantevole, perché illuminata dal so le nascente, che
spandeva una luce ineffabilmente quieta e riposante, simile a quella di
una splendida sera d’estate.
Finalmente, urtando contro la sabbia del lido o strisciando su di essa,
la zattera si fermò all’asciutto, ai piedi di una bellissima vigna. I
giovani mi guardavano come per dirmi: — Discendiamo? Al mio “Sì” fu un
grido generale di gioia, e tutti entrarono in quella vigna.
Dalle viti pendevano grappoli d’uva simili a quelli della terra
promessa, e sugli alberi c’era ogni sorta di frutta. In mezzo a quella
vastissima vigna sorgeva un grande castello attorniato da un delizioso
giardino e da forti mura. Ci fu concessa libera entrata. In un’ampia
sala, tutta ornata d’oro, stava apparecchiata per noi una gran tavola
con ogni sorta di cibi i più squisiti.
Ognuno poté servirsi a piacimento. Mentre finivamo di rifocillarci,
entrò nella sala un nobile giovane di una bellezza indescrivibile, il
quale con affettuosa e familiare cortesia ci salutò chiamandoci tutti
per nome. Vedendoci meravigliati per le cose già viste, ci disse: —
Questo è nulla, venite e vedrete.
Noi tutti lo seguimmo; dai parapetti delle logge egli ci fece con
templare i giardini, dicendoci che erano a nostra disposizione per la
ricreazione. E ci condusse di sala in sala, una più magnifica del
l’altra per architettura, colonnati e ornamenti di ogni specie. Ci
introdusse quindi in una splendida chiesa. Il pavimento, le mura, le
volte erano ricche di marmi, di argento, d’oro e di pietre preziose. —
Ma questa bellezza — esclamai — è una bellezza di paradiso. Faccio firma
di rimanere qui per sempre!
In mezzo a questo gran tempio s’innalzava, sopra ricca base, una grande,
magnifica statua di Maria Ausiliatrice. Attorno ad essa si raccolse la
moltitudine dei giovani per ringraziare la Vergine dei tanti favori che
ci aveva elargito.
Mentre i giovani stavano ammirandone la bellezza veramente celestiale, a
un tratto la statua parve animarsi e sorridere. Tra la folla si levò
allora un grido: — La Madonna muove gli occhi!
Maria infatti girava con ineffabile bontà i suoi occhi materni sui
giovani che Le stavano intorno. Poco dopo risonò un secondo grido: — La
Madonna muove le mani! «Lasciatemi solo; soffro troppo!»
La Vergine, aprendo lentamente le braccia, con le mani solleva va il
manto in atto di protezione.
— La Madonna muove le labbra! —. Gridarono altri in coro. Seguì un
silenzio profondo, mentre gli occhi di tutti erano fissi nel volto di
Maria, la quale con voce dolcissima disse:
— Se voi sarete per me figliuoli devoti, io sarò per voi Madre amorosa. A
queste parole cademmo in ginocchio e intonammo il canto: Lodate Maria, o
lingue fedeli.
L’armonia delle voci era così forte, così soave che, sopraffatto da
essa, mi svegliai; e così terminò la visione» . Di questo sogno fece
qualche commento Don Bosco stesso, e confidò ai singoli che lo
richiedevano il posto che occupavano in esso. L ‘immensa pianura è il
mondo. L ‘inondazione, i pericoli del mondo. Il mulino rappresenta la
Chiesa. Il tronco di albero che fa da ponte, la Croce. La grande
zattera, la Casa di Maria, l’Oratorio. I canestri di pane, la SS.
Eucaristia. I vortici impetuosi, le tentazioni. La collina che alletta
molti, i desideri mondani. I sacerdoti che si prodigano al salvataggio
con ami e lenze, la Confessione. Gli animali schifosi e gli scimmioni,
gli allettamenti della colpa. La fonte di acqua fresca, ferruginosa, la
Confessione e la Comunione. L ‘iride radiosa, Maria. Il castello, la
vigna e il convito indicano la Patria. Infine Maria Ausiliatrice stessa
corona l’inebriante gioia di tutti con l’assicurazione: « Se voi sarete
per me figliuoli devoti, io sarò per voi Madre amorosa».
Oggi il mondo, ossia la mentalità anticristiana, è ancor più dilagante
con i suoi vortici sempre più travolgenti, attraverso il progressivo
annacquamento delle convinzioni e delle abitudini cristiane. Di qui
l’attualità sempre viva di Don Bosco: ora che ha raggiunto la Patria, è
più potente e operante di prima nell’opera di salvataggio della
gioventù, pupilla dei suoi occhi.
La mia morte sia vita per il mondo
Beata Alexandrina Maria da Costa
Non vissi, non risuscitai con Gesù. I miei occhi non videro; i miei
orecchi non udirono; il mio cuore non amò, il mio corpo non sentì se
non dolore. Lo sguardo dei miei occhi non era mio, né l'ascolto dei
miei orecchi, né il sentire del mio corpo, né l'amore del mio cuore, né
il sorriso che copriva tutto questo, neppure il sorriso era mio. A chi
apparteneva? Gesù lo sa, io non so dire nulla. Le gioie sono per chi
Gesù vuole, eccetto che per me. Ma sono contenta: io non vivo, viva Lui
con la sua vita divina nelle anime; non risuscitai, risuscitino loro
per Gesù. Non ho amore, non ho nulla da offrire al mio Signore; Gli
giungano graditi l'amore di tutti i cuori e l'offerta totale di tutte
le sue creature. Non ho lingua per lodarlo; Gli giunga gradita la lode
della terra e del cielo. Tutta la terra e il cielo Lo lodano; soltanto
io, poveretta, sono stata esclusa; resto da parte. Non posso unirmi ai
beati del cielo, ai giusti della terra. Tutta la cattiveria e la
miseria del mondo sono mie: che vergogna! Che orrore!
Ho perduto Gesù! Che perdita eterna! Mai più Lo posso vedere. Non v'è
rimedio per tale perdita. Non posso pensarvi. La mia anima non resiste
a questo dolore: perdere Gesù, per,derlo per sempre! ... Venne Gesù: -
Figlia mia,... ti accompagno nel dolore, nell'amore, nelle lotte contro
il demonio. Sono con te in questo mare immenso di martirio nel quale
sei immersa. Sorridi con le tue labbra, nascondendo il dolore e
l'amarezza nei quali stai sepolta... - O mio Gesù, confido che mi
accompagni, che tutto vinci in me; ma perché, nel medesimo tempo, sento
tanto dolore a parlare con Te? - Perché sia completa la mia
consolazione, siano completi il tuo martirio e la tua riparazione... -
Se è così, consólati, o Gesù, gioisci nel mio dolore! Non voglio la
mia, ma la Tua gioia; non voglio il mio trionfo, ma quello delle anime.
Accetta il mio martirio e fa' che la mia morte sia vita per il mondo e
la mia cecità luce per i cuori. Voglio che il povero mondo viva solo
per Te, veda, ami e benedica solo Te... - (diario, 3-4-1945).