Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Non ti inquietare quando non puoi meditare, non puoi comunicarti e non puoi attendere a tutte le pratiche devote. Cerca in questo frattempo di supplire diversamente col tenerti unita a nostro Signore con una volontà  amorosa, con le orazioni giaculatorie, con le comunioni spirituali. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 27° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 5

1Un giorno, mentre, levato in piedi, stava presso il lago di Genèsaret2e la folla gli faceva ressa intorno per ascoltare la parola di Dio, vide due barche ormeggiate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti.3Salì in una barca, che era di Simone, e lo pregò di scostarsi un poco da terra. Sedutosi, si mise ad ammaestrare le folle dalla barca.
4Quando ebbe finito di parlare, disse a Simone: "Prendi il largo e calate le reti per la pesca".5Simone rispose: "Maestro, abbiamo faticato tutta la notte e non abbiamo preso nulla; ma sulla tua parola getterò le reti".6E avendolo fatto, presero una quantità enorme di pesci e le reti si rompevano.7Allora fecero cenno ai compagni dell'altra barca, che venissero ad aiutarli. Essi vennero e riempirono tutte e due le barche al punto che quasi affondavano.8Al veder questo, Simon Pietro si gettò alle ginocchia di Gesù, dicendo: "Signore, allontanati da me che sono un peccatore".9Grande stupore infatti aveva preso lui e tutti quelli che erano insieme con lui per la pesca che avevano fatto;10così pure Giacomo e Giovanni, figli di Zebedèo, che erano soci di Simone. Gesù disse a Simone: "Non temere; d'ora in poi sarai pescatore di uomini".11Tirate le barche a terra, lasciarono tutto e lo seguirono.

12Un giorno Gesù si trovava in una città e un uomo coperto di lebbra lo vide e gli si gettò ai piedi pregandolo: "Signore, se vuoi, puoi sanarmi".13Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii risanato!". E subito la lebbra scomparve da lui.14Gli ingiunse di non dirlo a nessuno: "Va', mostrati al sacerdote e fa' l'offerta per la tua purificazione, come ha ordinato Mosè, perché serva di testimonianza per essi".15La sua fama si diffondeva ancor più; folle numerose venivano per ascoltarlo e farsi guarire dalle loro infermità.16Ma Gesù si ritirava in luoghi solitari a pregare.

17Un giorno sedeva insegnando. Sedevano là anche farisei e dottori della legge, venuti da ogni villaggio della Galilea, della Giudea e da Gerusalemme. E la potenza del Signore gli faceva operare guarigioni.18Ed ecco alcuni uomini, portando sopra un letto un paralitico, cercavano di farlo passare e metterlo davanti a lui.19Non trovando da qual parte introdurlo a causa della folla, salirono sul tetto e lo calarono attraverso le tegole con il lettuccio davanti a Gesù, nel mezzo della stanza.20Veduta la loro fede, disse: "Uomo, i tuoi peccati ti sono rimessi".21Gli scribi e i farisei cominciarono a discutere dicendo: "Chi è costui che pronuncia bestemmie? Chi può rimettere i peccati, se non Dio soltanto?".22Ma Gesù, conosciuti i loro ragionamenti, rispose: "Che cosa andate ragionando nei vostri cuori?23Che cosa è più facile, dire: Ti sono rimessi i tuoi peccati, o dire: Àlzati e cammina?24Ora, perché sappiate che il Figlio dell'uomo ha il potere sulla terra di rimettere i peccati: io ti dico - esclamò rivolto al paralitico - alzati, prendi il tuo lettuccio e va' a casa tua".25Subito egli si alzò davanti a loro, prese il lettuccio su cui era disteso e si avviò verso casa glorificando Dio.26Tutti rimasero stupiti e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano: "Oggi abbiamo visto cose prodigiose".

27Dopo ciò egli uscì e vide un pubblicano di nome Levi seduto al banco delle imposte, e gli disse: "Seguimi!".28Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.

29Poi Levi gli preparò un grande banchetto nella sua casa. C'era una folla di pubblicani e d'altra gente seduta con loro a tavola.30I farisei e i loro scribi mormoravano e dicevano ai suoi discepoli: "Perché mangiate e bevete con i pubblicani e i peccatori?".31Gesù rispose: "Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati;32io non sono venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori a convertirsi".

33Allora gli dissero: "I discepoli di Giovanni digiunano spesso e fanno orazioni; così pure i discepoli dei farisei; invece i tuoi mangiano e bevono!".34Gesù rispose: "Potete far digiunare gli invitati a nozze, mentre lo sposo è con loro?35Verranno però i giorni in cui lo sposo sarà strappato da loro; allora, in quei giorni, digiuneranno".36Diceva loro anche una parabola: "Nessuno strappa un pezzo da un vestito nuovo per attaccarlo a un vestito vecchio; altrimenti egli strappa il nuovo, e la toppa presa dal nuovo non si adatta al vecchio.37E nessuno mette vino nuovo in otri vecchi; altrimenti il vino nuovo spacca gli otri, si versa fuori e gli otri vanno perduti.38Il vino nuovo bisogna metterlo in otri nuovi.39Nessuno poi che beve il vino vecchio desidera il nuovo, perché dice: Il vecchio è buono!".


Numeri 30

1Mosè riferì agli Israeliti quanto il Signore gli aveva ordinato.
2Mosè disse ai capi delle tribù degli Israeliti: "Questo il Signore ha ordinato:3Quando uno avrà fatto un voto al Signore o si sarà obbligato con giuramento ad una astensione, non violi la sua parola, ma dia esecuzione a quanto ha promesso con la bocca.4Quando una donna avrà fatto un voto al Signore e si sarà obbligata ad una astensione, mentre è ancora in casa del padre, durante la sua giovinezza,5se il padre, avuta conoscenza del voto di lei e dell'astensione alla quale si è obbligata, non dice nulla, tutti i voti di lei saranno validi e saranno valide tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata.6Ma se il padre, quando ne viene a conoscenza, le fa opposizione, tutti i voti di lei e tutte le astensioni alle quali si sarà obbligata, non saranno validi; il Signore la perdonerà, perché il padre le ha fatto opposizione.7Se si marita quando è legata da voti o da un obbligo di astensione assunto alla leggera con le labbra,8se il marito ne ha conoscenza e quando viene a conoscenza non dice nulla, i voti di lei saranno validi e saranno validi gli obblighi di astensione da lei assunti.9Ma se il marito, quando ne viene a conoscenza, le fa opposizione, egli annullerà il voto che essa ha fatto e l'obbligo di astensione che essa si è assunta alla leggera; il Signore la perdonerà.10Ma il voto di una vedova o di una donna ripudiata, qualunque sia l'obbligo che si è assunto, rimarrà valido.11Se una donna nella casa del marito farà voti o si obbligherà con giuramento ad una astensione12e il marito ne avrà conoscenza, se il marito non dice nulla e non le fa opposizione, tutti i voti di lei saranno validi e saranno validi tutti gli obblighi di astensione da lei assunti.13Ma se il marito, quando ne viene a conoscenza, li annulla, quanto le sarà uscito dalle labbra, voti od obblighi di astensione, non sarà valido; il marito lo ha annullato; il Signore la perdonerà.14Il marito può ratificare e il marito può annullare qualunque voto e qualunque giuramento, per il quale essa sia obbligata a mortificarsi.15Ma se il marito, da un giorno all'altro, non dice nulla in proposito, egli ratifica così tutti i voti di lei e tutti gli obblighi di astensione da lei assunti; li ratifica perché non ha detto nulla a questo proposito quando ne ha avuto conoscenza.16Ma se li annulla qualche tempo dopo averne avuto conoscenza, porterà il peso della colpa della moglie".
17Queste sono le leggi che il Signore prescrisse a Mosè riguardo al marito e alla moglie, al padre e alla figlia, quando questa è ancora fanciulla, in casa del padre.


Salmi 85

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core.' Salmo.
2Signore, sei stato buono con la tua terra,
hai ricondotto i deportati di Giacobbe.
3Hai perdonato l'iniquità del tuo popolo,
hai cancellato tutti i suoi peccati.
4Hai deposto tutto il tuo sdegno
e messo fine alla tua grande ira.

5Rialzaci, Dio nostra salvezza,
e placa il tuo sdegno verso di noi.
6Forse per sempre sarai adirato con noi,
di età in età estenderai il tuo sdegno?
7Non tornerai tu forse a darci vita,
perché in te gioisca il tuo popolo?
8Mostraci, Signore, la tua misericordia
e donaci la tua salvezza.

9Ascolterò che cosa dice Dio, il Signore:
egli annunzia la pace
per il suo popolo, per i suoi fedeli,
per chi ritorna a lui con tutto il cuore.
10La sua salvezza è vicina a chi lo teme
e la sua gloria abiterà la nostra terra.
11Misericordia e verità s'incontreranno,
giustizia e pace si baceranno.
12La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo.

13Quando il Signore elargirà il suo bene,
la nostra terra darà il suo frutto.
14Davanti a lui camminerà la giustizia
e sulla via dei suoi passi la salvezza.


Salmi 80

1'Al maestro del coro. Su "Giglio del precetto". Di Asaf. Salmo'.
2Tu, pastore d'Israele, ascolta,
tu che guidi Giuseppe come un gregge.
Assiso sui cherubini rifulgi
3davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse.
Risveglia la tua potenza
e vieni in nostro soccorso.

4Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

5Signore, Dio degli eserciti,
fino a quando fremerai di sdegno
contro le preghiere del tuo popolo?

6Tu ci nutri con pane di lacrime,
ci fai bere lacrime in abbondanza.
7Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini,
e i nostri nemici ridono di noi.

8Rialzaci, Dio degli eserciti,
fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi.

9Hai divelto una vite dall'Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
10Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
11La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
12Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.

13Perché hai abbattuto la sua cinta
e ogni viandante ne fa vendemmia?
14La devasta il cinghiale del bosco
e se ne pasce l'animale selvatico.

15Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
16proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato.
17Quelli che l'arsero col fuoco e la recisero,
periranno alla minaccia del tuo volto.
18Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
19Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome.

20Rialzaci, Signore, Dio degli eserciti,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.


Isaia 1

1Visione che Isaia, figlio di Amoz, ebbe su Giuda e su Gerusalemme nei giorni di Ozia, di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda.

2Udite, cieli; ascolta, terra,perché il Signore dice:
"Ho allevato e fatto crescere figli,
ma essi si sono ribellati contro di me.
3Il bue conosce il proprietario
e l'asino la greppia del padrone,
ma Israele non conosce
e il mio popolo non comprende".
4Guai, gente peccatrice,
popolo carico di iniquità!
Razza di scellerati,
figli corrotti!
Hanno abbandonato il Signore,
hanno disprezzato il Santo di Israele,
si sono voltati indietro;
5perché volete ancora essere colpiti,
accumulando ribellioni?
La testa è tutta malata,
tutto il cuore langue.
6Dalla pianta dei piedi alla testa
non c'è in esso una parte illesa,
ma ferite e lividure
e piaghe aperte,
che non sono state ripulite, né fasciate,
né curate con olio.
7Il vostro paese è devastato,
le vostre città arse dal fuoco.
La vostra campagna, sotto i vostri occhi,
la divorano gli stranieri;
è una desolazione come Sòdoma distrutta.
8È rimasta sola la figlia di Sion
come una capanna in una vigna,
come un casotto in un campo di cocomeri,
come una città assediata.
9Se il Signore degli eserciti
non ci avesse lasciato un resto,
già saremmo come Sòdoma,
simili a Gomorra.

10Udite la parola del Signore,
voi capi di Sòdoma;
ascoltate la dottrina del nostro Dio,
popolo di Gomorra!
11"Che m'importa dei vostri sacrifici senza numero?"
dice il Signore.
"Sono sazio degli olocausti di montoni
e del grasso di giovenchi;
il sangue di tori e di agnelli e di capri
io non lo gradisco.
12Quando venite a presentarvi a me,
chi richiede da voi
che veniate a calpestare i miei atri?
13Smettete di presentare offerte inutili,
l'incenso è un abominio per me;
noviluni, sabati, assemblee sacre,
non posso sopportare delitto e solennità.
14I vostri noviluni e le vostre feste
io detesto,
sono per me un peso;
sono stanco di sopportarli.
15Quando stendete le mani,
io allontano gli occhi da voi.
Anche se moltiplicate le preghiere,
io non ascolto.
Le vostre mani grondano sangue.
16Lavatevi, purificatevi,
togliete il male delle vostre azioni
dalla mia vista.
Cessate di fare il male,
17imparate a fare il bene,
ricercate la giustizia,
soccorrete l'oppresso,
rendete giustizia all'orfano,
difendete la causa della vedova".
18"Su, venite e discutiamo"
dice il Signore.
"Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,
diventeranno bianchi come neve.
Se fossero rossi come porpora,
diventeranno come lana.
19Se sarete docili e ascolterete,
mangerete i frutti della terra.
20Ma se vi ostinate e vi ribellate,
sarete divorati dalla spada,
perché la bocca del Signore ha parlato".

21Come mai è diventata una prostituta
la città fedele?
Era piena di rettitudine,
la giustizia vi dimorava;
ora invece è piena di assassini!
22Il tuo argento è diventato scoria,
il tuo vino migliore è diluito con acqua.
23I tuoi capi sono ribelli
e complici di ladri;
tutti sono bramosi di regali,
ricercano mance,
non rendono giustizia all'orfano
e la causa della vedova fino a loro non giunge.
24Perciò, oracolo del Signore,
Dio degli eserciti,
il Potente di Israele:
"Ah, esigerò soddisfazioni dai miei avversari,
mi vendicherò dei miei nemici.
25Stenderò la mano su di te,
purificherò nel crogiuolo le tue scorie,
eliminerò da te tutto il piombo.
26Renderò i tuoi giudici come una volta,
i tuoi consiglieri come al principio.
Dopo, sarai chiamata città della giustizia,
città fedele".
27Sion sarà riscattata con la giustizia,
i suoi convertiti con la rettitudine.
28Tutti insieme finiranno in rovina ribelli e peccatori
e periranno quanti hanno abbandonato il Signore.
29Vi vergognerete delle querce
di cui vi siete compiaciuti,
arrossirete dei giardini
che vi siete scelti,
30poiché sarete come quercia
dalle foglie avvizzite
e come giardino senza acqua.
31Il forte diverrà come stoppa,
la sua opera come scintilla;
bruceranno tutte e due insieme
e nessuno le spegnerà.


Lettera ai Galati 2

1Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito:2vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.3Ora neppure Tito, che era con me, sebbene fosse greco, fu obbligato a farsi circoncidere.4E questo proprio a causa dei falsi fratelli che si erano intromessi a spiare la libertà che abbiamo in Cristo Gesù, allo scopo di renderci schiavi.5Ad essi però non cedemmo, per riguardo, neppure un istante, perché la verità del vangelo continuasse a rimanere salda tra di voi.
6Da parte dunque delle persone più ragguardevoli - quali fossero allora non m'interessa, perché Dio non bada a persona alcuna - a me, da quelle persone ragguardevoli, non fu imposto nulla di più.7Anzi, visto che a me era stato affidato il vangelo per i non circoncisi, come a Pietro quello per i circoncisi -8poiché colui che aveva agito in Pietro per farne un apostolo dei circoncisi aveva agito anche in me per i pagani -9e riconoscendo la grazia a me conferita, Giacomo, Cefa e Giovanni, ritenuti le colonne, diedero a me e a Bàrnaba la loro destra in segno di comunione, perché noi andassimo verso i pagani ed essi verso i circoncisi.10Soltanto ci pregarono di ricordarci dei poveri: ciò che mi sono proprio preoccupato di fare.

11Ma quando Cefa venne ad Antiochia, mi opposi a lui a viso aperto perché evidentemente aveva torto.12Infatti, prima che giungessero alcuni da parte di Giacomo, egli prendeva cibo insieme ai pagani; ma dopo la loro venuta, cominciò a evitarli e a tenersi in disparte, per timore dei circoncisi.13E anche gli altri Giudei lo imitarono nella simulazione, al punto che anche Bàrnaba si lasciò attirare nella loro ipocrisia.14Ora quando vidi che non si comportavano rettamente secondo la verità del vangelo, dissi a Cefa in presenza di tutti: "Se tu, che sei Giudeo, vivi come i pagani e non alla maniera dei Giudei, come puoi costringere i pagani a vivere alla maniera dei Giudei?

15Noi che per nascita siamo Giudei e non pagani peccatori,16sapendo tuttavia che l'uomo non è giustificato dalle opere della legge ma soltanto per mezzo della fede in Gesù Cristo, abbiamo creduto anche noi in Gesù Cristo per essere giustificati dalla fede in Cristo e non dalle opere della legge; poiché dalle opere della legge 'non verrà mai giustificato nessuno'".
17Se pertanto noi che cerchiamo la giustificazione in Cristo siamo trovati peccatori come gli altri, forse Cristo è ministro del peccato? Impossibile!18Infatti se io riedifico quello che ho demolito, mi denuncio come trasgressore.19In realtà mediante la legge io sono morto alla legge, per vivere per Dio.20Sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me. Questa vita nella carne, io la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me.21Non annullo dunque la grazia di Dio; infatti se la giustificazione viene dalla legge, Cristo è morto invano.


Capitolo XVI: Soltanto in Dio va cercata la vera consolazione

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1. Qualunque cosa io possa immaginare e desiderare per mia consolazione, non l'aspetto qui, ora, ma in futuro. Ché, pure se io potessi avere e godere da solo tutte le gioie e le delizie del mondo, certamente ciò non potrebbe durare a lungo. Sicché, anima mia, non potrai essere pienamente consolata e perfettamente confortata se non in Dio, che allieta i poveri e accoglie gli umili. Aspetta un poco, anima mia, aspetta ciò che Dio ha promesso e avrai in cielo la pienezza di ogni bene. Se tu brami disordinatamente i beni temporali, perderai quelli eterni del cielo: dei beni di quaggiù devi avere soltanto l'uso temporaneo, col desiderio fisso a quelli eterni. Anima mia, nessun bene di quaggiù, ti potrà appagare perché non sei stata creata per avere soddisfazione in queste cose. Anche se tu avessi tutti i beni del mondo, non potresti essere felice e beata, perché è in Dio, creatore di tutte le cose, che consiste la tua completa beatitudine e la tua felicità. Non è una felicità quale appare nella esaltazione di coloro che amano stoltamente questo mondo, ma una felicità quale si aspettano i buoni seguaci di Cristo; quale, talora, è pregustata, fin da questo momento, da coloro che vivono dello spirito e dai puri di cuore, "il cui pensiero è già nei cieli" (Fil 3,20).

2. Vano e di breve durata è il conforto che viene dagli uomini; santo e puro è quello che la verità fa sentire dal di dentro. L'uomo pio si porta con sé, dappertutto, il suo consolatore, Gesù, e gli dice: o Signore Gesù, stammi vicino in ogni luogo e in ogni tempo. La mia consolazione sia questa, di rinunciare lietamente ad ogni conforto umano. Che se mi verrà meno la tua consolazione, sia per me di supremo conforto, appunto, questo tuo volere, questa giusta prova; poiché "non durerà per sempre la tua collera e le tue minacce non saranno eterne" (Sal 102,9).


Omelia 17: Guarigione di un paralitico alla piscina probatica.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

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[Il paralitico guarito simbolo di unità.]

1. Non ci si dovrebbe meravigliare che Dio abbia compiuto un miracolo; ci sarebbe da meravigliarsi se lo avesse compiuto un uomo. Dovrebbe riempirci di meraviglia e di gaudio più il fatto che il Signore e salvatore nostro Gesù Cristo sia diventato uomo, che non il fatto che egli abbia compiuto cose divine in mezzo agli uomini. E' più importante per la nostra salvezza ciò che egli si è fatto per gli uomini, che non ciò che ha fatto tra gli uomini; e conta più l'aver guarito i vizi delle anime che non l'aver guarito le malattie dei corpi mortali. Ma siccome l'anima stessa non conosceva colui che doveva guarirla, e aveva nella carne occhi per vedere i fatti fisici mentre non aveva ancora occhi sani nel cuore per conoscere Dio che era nascosto, il Signore fece delle cose che essa poteva vedere, per guarire quegli altri occhi che non erano capaci di vederlo. Egli entrò in un luogo dove giaceva una grande moltitudine d'infermi, ciechi, zoppi, paralitici; e siccome era il medico delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire tutte le anime dei credenti in lui, fra tutti ne scelse uno da guarire, a significare l'unità. Se consideriamo superficialmente e secondo il modo umano d'intendere e di conoscere le cose, non troveremo qui né un grande miracolo se pensiamo alla potenza di lui, né un atto di grande bontà se pensiamo alla sua benignità. Erano tanti, gli infermi, e uno solo fu guarito: eppure il Signore, con una sola parola, avrebbe potuto rimetterli tutti in piedi. Che cosa dobbiamo concludere, se non che quella potenza e quella bontà operavano più con lo scopo che le anime intendessero attraverso i suoi gesti il senso che essi possiedono in ordine alla salute eterna, che non allo scopo di procurare un qualche beneficio ai corpi in ordine alla salute temporale? Perché la salute dei corpi, quella vera, che attendiamo dal Signore, si otterrà alla fine dei secoli quando risorgeranno i morti: allora, ciò che vivrà non morrà più, ciò che sarà guarito non si ammalerà più; chi sarà stato saziato non avrà più né fame né sete, ciò che allora sarà rinnovato non invecchierà più. Se consideriamo, adesso, i fatti operati dal Signore e salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi che egli aprì, furono richiusi dalla morte, e le membra dei paralitici da lui ricompaginate, furono nuovamente disgregate dalla morte; e così tutta la salute ridonata temporaneamente alle membra mortali, alla fine è venuta meno, mentre l'anima che ha creduto è passata alla vita eterna. Con la guarigione di questo infermo il Signore ha voluto offrire un grande segno all'anima che avrebbe creduto, i cui peccati egli era venuto a rimettere e le cui infermità era venuto a guarire con la sua umiliazione. Intendo parlare come posso del profondo mistero di questo fatto e di questo segno, secondo che il Signore mi vorrà concedere, contando sulla vostra attenzione e sulla vostra preghiera in soccorso alla mia debolezza. Alla mia insufficienza supplirà il Signore, con l'aiuto del quale io faccio quello che posso.

2. So di avervi parlato più d'una volta di questa piscina che aveva cinque portici, nei quali giaceva una grande moltitudine di infermi: quanto dirò non sarà una cosa nuova per molti di voi. Non è inutile però ritornare sulle cose già dette: così chi non le conosce ancora potrà apprenderle, e chi le conosce potrà approfondirle. Non sarà necessario soffermarci a lungo: basterà una breve esposizione. Penso che quella piscina e quell'acqua significhino il popolo giudaico. Che le acque simboleggiano i popoli ce lo dice chiaramente Giovanni nell'Apocalisse, quando, essendogli state mostrate molte acque e avendo egli chiesto che cosa significassero, gli fu risposto che le acque sono i popoli (cf. Apoc 17, 15). Quell'acqua, dunque, cioè quel popolo, era circondato dai cinque libri di Mosè come da cinque portici. Ma quei libri erano destinati a rivelare l'infermità, non a guarire gli infermi. La legge infatti costringeva gli uomini a riconoscersi peccatori, ma non li assolveva. Perciò, la lettera senza la grazia creava dei colpevoli, che, riconoscendosi tali, sarebbero stati liberati dalla grazia. E' quanto dice l'Apostolo: Se infatti fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché, allora, è stata data la legge? Continua l'Apostolo: La Scrittura però ha tutto rinchiuso sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo (Gal 3, 21-22). Niente di più chiaro. Non ci danno, forse, queste parole, la spiegazione dei cinque portici e della moltitudine degli infermi? I cinque portici rappresentano la legge. Perché i cinque portici non riuscivano a guarire gli infermi? Perché se fosse stata concessa una legge capace di dare la vita, la giustizia verrebbe davvero dalla legge. Perché non riuscivano a guarire quelli che contenevano? Perché la Scrittura ha rinchiuso tutto sotto il peccato, affinché ai credenti la promessa fosse concessa in virtù della fede in Gesù Cristo.

3. E come mai guarivano nell'acqua agitata, quanti non riuscivano a guarire nei portici? Infatti, si vedeva l'acqua improvvisamente agitata e non si vedeva chi era ad agitarla. E' da credere che ciò avvenisse per virtù angelica, non senza allusione ad un mistero. Non appena l'acqua veniva agitata, il primo malato che riusciva ad immergervisi, guariva; dopo di lui, chiunque altro si gettasse nell'acqua, lo faceva inutilmente. Che significa questo, se non che è venuto un solo Cristo per il popolo giudaico e, con le sue grandi opere, con i suoi insegnamenti salutari, ha turbato i peccatori; con la sua presenza ha agitato le acque provocando la sua passione? Ma agitò l'acqua rimanendo nascosto. Infatti, se l'avessero conosciuto, non avrebbero crocifisso il Signore della gloria (1 Cor 2, 8). Scendere nell'acqua agitata significa, dunque, credere umilmente nella passione del Signore. Nella piscina veniva guarito uno solo a significare l'unità. Chiunque arrivasse dopo, non veniva guarito perché fuori dell'unità non si può guarire.

[Il significato sacro del numero quaranta.]

4. Vediamo ora che cosa ha voluto significare il Signore con quell'uno che solo fra tutti i malati guarì, allo scopo, come abbiamo già detto, di conservare il mistero dell'unità. Riscontrò negli anni della sua malattia un numero che simboleggiava l'infermità. Era ammalato da trentotto anni (Io 5, 5). Va spiegato un po' meglio come questo numero si riferisca più alla malattia che alla guarigione. Fate attenzione, vi prego: il Signore mi aiuterà a parlare in modo adeguato, sicché voi possiate sentire quanto basta. Il quaranta è un numero sacro ed è simbolo di perfezione. Credo che ciò sia noto a vostra Carità. Lo attestano insistentemente le divine Scritture. Il digiuno, come sapete, ricevette il suo carattere sacro da questo numero. Mosè digiunò quaranta giorni (cf. Ex 34, 28), altrettanto Elia (cf. 3 Reg 19, 8), e lo stesso Signore e salvatore Gesù Cristo con il suo digiuno arrivò a questo numero di giorni (cf. Mt 4, 2). Ora, Mosè rappresenta la Legge, Elia i Profeti, il Signore il Vangelo. Per questo apparvero tutti e tre su quel monte, dove il Signore si mostrò ai discepoli sfolgorante nel volto e nella veste (cf. Mt 17, 1-3). Egli apparve in mezzo a Mosè ed Elia, quasi a significare che il Vangelo riceveva testimonianza dalla Legge e dai Profeti (cf Rom 3, 21). Tanto nella Legge, dunque, quanto nei Profeti e nel Vangelo, il numero quaranta appare legato al digiuno. Ora, il digiuno vero e completo, il digiuno perfetto, consiste nell'astenersi dall'iniquità e dai piaceri illeciti del mondo: affinché rinnegando l'empietà e le cupidigie del secolo, si viva in questo mondo con temperanza, giustizia e pietà. Quale ricompensa, secondo l'Apostolo, è riservata a tale digiuno? Continua dicendo: aspettando quella beata speranza e la manifestazione della gloria del beato Iddio, e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tit 2, 12-13). Noi celebriamo in questo mondo come una quarantena di astinenza quando viviamo bene, quando ci asteniamo dalla iniquità e dai piaceri illeciti; e siccome questa astinenza non sarà senza una ricompensa, aspettiamo quella beata speranza e la manifestazione della gloria del grande Iddio e Salvatore nostro Gesù Cristo. In virtù di questa speranza, quando la speranza sarà diventata realtà, riceveremo in ricompensa un denaro. E' la ricompensa che, secondo il Vangelo, vien data agli operai della vigna (cf Mt 20, 9-10). Ricordate? Spero infatti di non dovervi sempre ricordare tutto, come a gente rozza ed incolta. Si riceverà, dunque, come ricompensa un denaro corrispondente al numero dieci, che, addizionato a quaranta, fa cinquanta. Per questo celebriamo nella penitenza i quaranta giorni prima della Pasqua, e nella letizia, come chi ha ricevuto la ricompensa, i cinquanta giorni dopo la Pasqua. A questa salutare disciplina di opere buone, cui si riferisce il numero quaranta, si viene ad aggiungere il denaro del riposo e della felicità, e si ha così il numero cinquanta.

5. Lo stesso Signore Gesù ha voluto significare questo più chiaramente, quando, dopo la risurrezione, passò in terra quaranta giorni con i suoi discepoli (cf. Act 1, 3); e, asceso al cielo nel quarantesimo giorno, dopo altri dieci giorni, inviò il dono dello Spirito Santo (cf. Act 2, 1-4). Questi misteri sono stati prefigurati, e i segni hanno preceduto la realtà. Di tali segni ci nutriamo, in attesa di giungere alle realtà permanenti. Siamo operai che ancora stanno lavorando nella vigna; terminato il giorno, compiuta l'opera, ci verrà data la ricompensa. Ma quale operaio può resistere fino alla ricompensa se non si nutre durante il lavoro? Tu non dai al tuo operaio soltanto la mercede, ma gli procuri altresì l'alimento necessario per ristorarsi durante la fatica. Sì, nutri colui al quale darai la ricompensa. Con questi contenuti della Scrittura il Signore intende nutrire anche noi che ci affatichiamo a scoprirli. Se ci fosse negata la gioia che ci viene dall'intelligenza dei misteri, verremmo meno nella fatica e nessuno giungerebbe alla ricompensa.

[La carità compimento della legge.]

6. In che senso, ora, il numero quaranta è simbolo dell'opera compiuta? Forse perché la legge è stata articolata in dieci precetti, e doveva essere predicata in tutto il mondo, il quale mondo si compone di quattro parti: oriente, occidente, mezzogiorno e settentrione; per cui, moltiplicando il numero dieci per quattro, abbiamo quaranta. Oppure, perché il Vangelo, che è in quattro libri, è il compimento della legge, secondo quanto nel Vangelo stesso è detto: Non sono venuto per abolire la legge, ma per compierla (Mt 5, 17), Sia per una ragione, sia per l'altra, sia per un'altra ancora che a noi sfugge, anche se non sfugge a chi è più dotto, è certo che il numero quaranta indica una certa perfezione nelle buone opere, perfezione che consiste soprattutto nell'esercizio dell'astinenza dai desideri illeciti del mondo, cioè nel digiuno inteso nel senso più vero. Ascolta ancora l'Apostolo che dice: La carità è il compimento della legge (Rom 13, 10). E donde nasce la carità? Dalla grazia di Dio, dallo Spirito Santo. Non proviene da noi, non ne siamo noi gli autori. E' dono di Dio, e grande dono di Dio: La carità di Dio è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato donato (Rom 5, 5). La carità, dunque, compie la legge, come giustamente è stato detto: La carità è il compimento della legge. Cerchiamola, questa carità, come il Signore ci raccomanda. Ricordate il mio proposito: spiegare il significato dei trentotto anni di quell'infermo; perché quel numero trentotto debba riferirsi piuttosto alla malattia che alla guarigione. La carità, dicevo, è il compimento della legge. Il numero quaranta indica il compimento della legge in tutte le azioni, e la carità ci vien presentata in due precetti. Fate attenzione, vi prego, e fissate nella vostra memoria quanto vi dico, per non esporvi al disprezzo della parola, facendo diventare l'anima vostra una strada dove il seme gettato non germoglia: Verranno gli uccelli e se lo mangeranno (Mc 4, 4). Accogliete e tutto custodite nel vostro cuore. Due sono i precetti della carità che il Signore raccomanda: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua mente; e amerai il prossimo tuo come te stesso. A questi due precetti si riduce tutta la Legge e i Profeti (Mt 22, 37-40). A ragione quella povera vedova che mise due spiccioli nel tesoro del tempio per offerta a Dio, diede tutto ciò che aveva per vivere (cf. Lc 21, 2-4); così, per guarire quell'infermo ferito dai briganti, l'albergatore ricevette due monete (cf. Lc 10, 35); così, Gesù passò due giorni presso i Samaritani per rafforzarli nella carità (cf. Io 4, 40). Essendo dunque il numero due simbolo di una cosa buona, per mezzo di esso viene soprattutto inculcata la carità distinta in due precetti. Ora, se il numero quaranta significa perfezione della legge, e se la legge non si compie se non mediante il duplice precetto della carità, ti fa meraviglia che quell'uomo fosse infermo da quarant'anni meno due?

7. Vediamo ora in che modo misterioso il Signore guarì questo infermo. E' venuto infatti il Signore, maestro della carità, pieno di carità, a ricapitolare - come di lui era stato predetto - la parola sulla terra (Is 10, 23; 28, 22; Rom 9, 28), e a mostrare che nei due precetti della carità tutta la Legge e tutti i Profeti sono riassunti. In questi due precetti sono racchiusi Mosè col suo digiuno di quaranta giorni, ed Elia con il suo; e questo numero anche il Signore scelse a propria testimonianza. Il paralitico è guarito dal Signore in persona; ma prima che cosa gli dice Gesù? Vuoi essere guarito? (Io 5, 6). Quello risponde che non ha un uomo che lo immerga nella piscina. Sì, per essere guarito aveva assolutamente bisogno di un uomo, ma di un uomo che fosse anche Dio. Unico infatti è Iddio, unico anche il mediatore fra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù (1 Tim 2, 5). E' venuto dunque l'uomo che era necessario; perché differire ancora la guarigione? Alzati - gli dice il Signore - prendi il tuo lettuccio e cammina (Io 5, 8). Tre cose gli ha detto: Alzati, prendi il tuo lettuccio, cammina. Ma la parola alzati, non espresse il comando di qualcosa da farsi, ma l'atto stesso della guarigione. All'infermo già guarito, il Signore ordina poi due cose: Prendi il tuo lettuccio e cammina. Ora io vi domando: non bastava ordinargli: cammina? oppure dire soltanto alzati? Una volta alzatosi guarito, sicuramente non sarebbe rimasto là. Non si sarebbe alzato per camminare? Mi colpisce anche il fatto che il Signore abbia comandato due cose a quell'uomo che egli aveva trovato infermo da quarant'anni meno due. Era come comandargli le altre due cose che gli mancavano per arrivare a quaranta.

[Per vedere Dio bisogna amare il prossimo.]

8. Come, adesso, possiamo vedere simboleggiati in questi due ordini del Signore - Prendi il tuo lettuccio e cammina - i due precetti? Ricordiamo insieme, o fratelli, quali sono questi due precetti. Essi infatti debbono essere ben presenti in voi: non dovete richiamarli alla mente solo quando ve li ricordiamo; anzi, mai devono cancellarsi dai vostri cuori. Sempre, in ogni istante, dovete ricordarvi che si deve amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente, e il prossimo come noi stessi (Lc 10, 27). Questo è ciò che dovete pensare sempre, meditare sempre, ricordare sempre, praticare sempre, compiere sempre alla perfezione. L'amore di Dio è il primo che viene comandato, l'amore del prossimo è il primo che si deve praticare. Enunciando i due precetti dell'amore, il Signore non ti raccomanda prima l'amore del prossimo e poi l'amore di Dio, ma mette prima Dio e poi il prossimo. Ma siccome Dio ancora non lo vedi, meriterai di vederlo amando il prossimo. Amando il prossimo rendi puro il tuo occhio per poter vedere Dio come chiaramente dice Giovanni: Se non ami il fratello che vedi, come potrai amare Dio che non vedi? (1 Io 4, 20). Ti vien detto: ama Dio. Se tu mi dici: mostrami colui che devo amare, ti risponderò con Giovanni: Nessuno ha mai veduto Dio (Io 1, 18). Con ciò non devi assolutamente considerarti escluso dalla visione di Dio, perché l'evangelista afferma: Dio è carità, e chi rimane nella carità rimane in Dio (1 Io 4, 16). Ama dunque il prossimo, e mira dentro di te la fonte da cui scaturisce l'amore del prossimo: ci vedrai, in quanto ti è possibile, Dio. Comincia dunque con l'amare il prossimo. Spezza il tuo pane con chi ha fame, e porta in casa tua chi è senza tetto; se vedi un ignudo, vestilo, e non disprezzare chi è della tua carne. Facendo così, che cosa succederà? Allora sì che quale aurora eromperà la tua luce (Is 58, 7-8). La tua luce è il tuo Dio. Egli è per te luce mattutina, perché viene a te dopo la notte di questo mondo. Egli non sorge né tramonta, risplende sempre. Sarà luce mattutina per te che ritorni, lui che per te era tramontato quando t'eri perduto. Dunque, con quel prendi il tuo lettuccio e cammina, mi sembra che il Signore voglia dire: ama il tuo prossimo.

[Camminare insieme.]

9. Rimane oscuro e richiede spiegazione, a mio parere, il fatto che il Signore comanda l'amore del prossimo nell'atto in cui ordina di prendere il lettuccio, non sembrandoci conveniente che il prossimo venga paragonato ad una cosa piuttosto banale e inanimata, come è un lettuccio. Non si offenda il prossimo, se il Signore ce lo raccomanda per mezzo di una cosa priva di anima e di intelligenza. Lo stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo fu chiamato pietra angolare, destinato a riunire in sé due muri, cioè due popoli (cf. Eph 2, 14-20). Fu chiamato anche rupe, da cui scaturì l'acqua: E quella rupe era Cristo (1 Cor 10, 4). Che meraviglia, dunque, se il prossimo è simboleggiato nel legno del lettuccio, dal momento che Cristo fu simboleggiato nella rupe? Non qualsiasi legno, tuttavia, è simbolo del prossimo, come non qualsiasi rupe era simbolo di Cristo, ma quella rupe da cui scaturiva l'acqua per gli assetati; né una qualunque pietra, ma la pietra angolare che unì in sé i due muri di opposta provenienza. Così non devi vedere il simbolo del prossimo in qualsiasi legno, ma nel lettuccio. Ora io ti domando: perché proprio nel lettuccio viene simboleggiato il prossimo, se non perché quel tale mentre era infermo veniva portato nel lettuccio, e, una volta guarito, era lui a portare il lettuccio? Cosa dice l'Apostolo? Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo (Gal 6, 2). La legge di Cristo è la carità, e la carità non si compie se non portiamo i pesi gli uni degli altri. Sopportatevi a vicenda con amore, - aggiunge l'Apostolo - e studiatevi di conservare l'unita dello spirito mediante il vincolo della pace (Eph 4, 2-3). Quando tu eri infermo venivi portato dal tuo prossimo; adesso che sei guarito devi essere tu a portare il tuo prossimo: Portate i pesi gli uni degli altri, e così voi adempirete la legge di Cristo. E' così, o uomo, che tu completerai ciò che ti mancava. Prendi, dunque, il tuo lettuccio. E quando l'avrai preso, non fermarti, cammina! Amando il prossimo e interessandoti di lui, tu camminerai. Quale cammino farai, se non quello che conduce al Signore Iddio, a colui che dobbiamo amare con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo lo abbiamo sempre con noi. Porta dunque colui assieme al quale cammini, per giungere a Colui con il quale desideri rimanere per sempre. Prendi, dunque, il tuo lettuccio e cammina.

10. Così fece quello, e i Giudei si scandalizzarono. Essi vedevano un uomo portare il suo giaciglio di sabato e non osavano prendersela col Signore che lo aveva guarito di sabato, perché temevano che rispondesse: Chi di voi, se un giumento gli cade nel pozzo, non lo tira fuori in giorno di sabato, e non lo salva? (cf. Lc 14, 5). Perciò non rimproveravano lui d'aver guarito un uomo di sabato, ma facevano osservazione a quell'uomo perché portava il suo giaciglio. Ammesso che non si dovesse rinviare la guarigione, era lecito dare quell'ordine? Perciò dicevano: Non ti è lecito fare quello che fai, portar via il tuo lettuccio. E quello appellandosi all'autore della sua guarigione: Chi mi ha guarito, mi ha detto: Prendi il tuo letto e cammina. Potevo non accettare un ordine da chi avevo ricevuto la guarigione? E quelli: Chi è quell'uomo che ti ha detto: Prendi il tuo letto e cammina? (Io 5, 10-12).

11. Il guarito non sapeva chi fosse l'uomo che gli aveva dato quell'ordine. Gesù infatti - dopo aver compiuto il miracolo e dato l'ordine - era scomparso tra la folla (Io 5, 13). Notate questo particolare. Noi portiamo il prossimo e camminiamo verso Dio; e allo stesso modo che noi non vediamo ancora Colui verso il quale camminiamo, così quello non conosceva ancora Gesù. E' un mistero che ci viene suggerito: noi crediamo in Colui che ancora non vediamo, ed Egli per non esser visto, scompare tra la folla. E' difficile scorgere Cristo in mezzo alla folla. La nostra anima ha bisogno di solitudine. Nella solitudine, se l'anima è attenta, Dio si lascia vedere. La folla è chiassosa: per vedere Dio è necessario il silenzio. Prendi il tuo lettuccio, porta il tuo prossimo, dal quale sei stato portato; e cammina, per raggiungere Dio. Non cercare Gesù tra la folla, perché egli non è uno della folla: ha preceduto in tutti i modi la folla. Quel grande Pesce salì per primo dal mare, e siede in cielo ad intercedere per noi: egli solo, come grande sacerdote, è penetrato nel Santo dei Santi oltre il velo, mentre la folla rimane fuori. Cammina, tu che porti il prossimo; purché abbia imparato a portarlo, tu che eri abituato a farti portare. Insomma, tu ancora non conosci Gesù, ancora non vedi Gesù; ma ascolta ciò che segue. Siccome quello non abbandonò il suo lettuccio e seguitava a camminare, poco dopo Gesù lo incontrò nel tempio. Non lo aveva incontrato in mezzo alla folla, lo incontrò nel tempio. Il Signore Gesù vedeva lui sia tra la folla, sia nel tempio; l'infermo non riconobbe Gesù tra la folla, ma solo nel tempio. Quello, dunque, raggiunse il Signore: lo incontrò nel tempio, nel luogo sacro, nel luogo santo. E che cosa si sentì dire? Ecco, sei guarito; non peccare più, affinché non ti succeda di peggio (Io 5, 14).

12. Allora quell'uomo, dopo che ebbe visto Gesù e seppe che era lui l'autore della sua guarigione, senza indugio corse ad annunciare chi aveva visto: se ne andò a dire ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo (Io 5, 15). Quell'annuncio li riempì di furore: egli proclamava la sua salvezza, ma quelli non cercavano la propria.

[Il mistero del sabato.]

13. 1 Giudei perseguitavano Gesù, perché faceva queste cose di sabato. Sentiamo che cosa risponde il Signore ai Giudei. Vi ho già detto cosa era solito rispondere, a proposito delle guarigioni operate di sabato: che loro non lasciavano perire, di sabato, i loro animali, alzandoli se caduti o nutrendoli. A proposito del giaciglio portato di sabato che cosa risponde? Agli occhi dei Giudei appariva senz'altro un'opera corporale, non la guarigione del corpo, ma l'attività del corpo, tanto più che questa non sembrava così necessaria come la guarigione. Ci riveli, dunque, il Signore, il mistero del sabato e il significato dell'osservanza di quel giorno di riposo temporaneamente prescritta ai Giudei, e ci insegni come questo mistero abbia trovato in lui il suo compimento. Il Padre mio - dice - continua ad agire ed anch'io agisco (Io 5, 16-17). Provocò in mezzo ad essi un grande tumulto: l'acqua è agitata dalla venuta del Signore, ma colui che la agita rimane nascosto. Tuttavia per l'agitazione dell'acqua, cioè per la passione del Signore, il mondo intero, come un solo grande malato, ottiene la guarigione.

14. Vediamo dunque la risposta della Verità: Il Padre mio continua ad agire e anch'io agisco. Allora non è vero quello che dice la Scrittura, che Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le sue opere (Gen 2, 2)? E il Signore contraddirebbe questa Scrittura, dovuta a Mosè, quando egli stesso dice ai Giudei: Se credeste a Mosè, credereste anche a me; di me infatti egli ha scritto (Io 5, 46)? Vediamo, dunque, se le parole di Mosè: nel settimo giorno Dio si riposò, non abbiano un altro significato. Dio infatti non aveva cessato di lavorare sospendendo l'opera della creazione, né aveva bisogno di riposo come l'uomo. Come poteva stancarsi colui che aveva fatto tutto mediante la parola? Tuttavia è vero che nel settimo giorno Iddio si riposò, ed è ugualmente vero ciò che dice Gesù: il Padre mio continua ad agire. Ma come potrà spiegare questo mistero un uomo ad altri uomini come lui, deboli come lui, come lui ignoranti e desiderosi di apprendere? E ammesso che un uomo abbia capito qualcosa, come potrà esprimerlo e spiegarlo a chi tanto difficilmente intende anche quando si riesce ad esprimere ciò che si capisce? Chi riuscirà, o miei fratelli, a spiegare a parole come possa Dio operare senza affaticarsi e riposarsi continuando ad operare? Aspettate, vi prego, di aver fatto ulteriori progressi nella via di Dio. Per vedere questo bisogna essere arrivati nel tempio di Dio, nel luogo santo. Caricatevi del prossimo e camminate. Arriverete a vedere Dio là dove non avrete più bisogno di parole umane.

15. Credo si possa dire, piuttosto, che il riposo di Dio nel settimo giorno era un grande segno misterioso dello stesso Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, il quale dichiarò: Il Padre mio continua ad agire, e anch'io agisco. Anche il Signore Gesù è Dio. Egli è il Verbo di Dio, e voi avete sentito che in principio era il Verbo; e non un verbo qualsiasi, ma il Verbo era Dio, e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui (Io 1, 1 3). Qui forse c'è il significato del riposo di Dio da tutte le sue opere nel settimo giorno. Leggete infatti il Vangelo e vedrete quante cose mirabili Gesù ha compiuto. Ha operato sulla croce la nostra salvezza, affinché si compissero in lui tutti gli oracoli dei profeti; fu coronato di spine, fu appeso alla croce; disse: Ho sete (Io 19, 28), e prese l'aceto di cui era imbevuta la spugna, affinché si adempisse la profezia: Nella mia sete mi hanno abbeverato con aceto (Ps 68, 22). Ma quando tutte le sue opere furono compiute, nel giorno sesto, reclinò il capo e rese lo spirito, e il sabato si riposò nel sepolcro da tutte le sue fatiche. Quindi è come se dicesse ai Giudei: Perché vi aspettate che io non operi di sabato? La legge del sabato vi è stata data in riferimento a me. Volgete l'attenzione alle opere di Dio: io ero presente quando esse venivano compiute e tutte sono state compiute per mio mezzo. Io so che il Padre mio continua ad agire. Il Padre ha creato la luce; egli disse: Sia fatta la luce (cf. Gen 1, 3); ma, se disse, vuol dire che operò per mezzo del Verbo. Ed io ero, io sono il suo Verbo; per mezzo mio attraverso quelle opere il mondo è stato creato, e per mezzo mio attraverso queste opere il mondo è governato. Il Padre mio operò allora, quando creò il mondo, e ancora adesso opera governando il mondo. Creando ha creato per mezzo mio, governando governa per mezzo mio. Questo ha detto il Signore, ma a chi? A dei sordi, a dei ciechi, a degli zoppi, a dei malati che non volevano saperne del medico, e nella loro pazzia volevano ucciderlo.

16. Proseguendo l'evangelista dice: Per questo, a maggior ragione, i Giudei volevano ucciderlo, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre. E non chiamava Dio suo padre in senso generico, ma in senso preciso e unico: facendosi uguale a Dio (Io 5, 18). Infatti anche noi diciamo a Dio: Padre nostro che sei nei cieli (Mt 6, 9); dalla Scrittura sappiamo anche che i Giudei dicevano a Dio: Sei tu il nostro padre (Is 63, 16; 64, 8). Non reagivano perché chiamava Dio suo padre in questo senso, ma perché lo chiamava padre suo in un senso assolutamente diverso da come lo chiamano gli uomini. I Giudei hanno capito ciò che invece gli Ariani non capiscono. Gli Ariani dicono che il Figlio non è uguale al Padre, e di qui l'eresia che affligge la Chiesa. Ecco, gli stessi ciechi, gli stessi che giunsero a uccidere Cristo, compresero il senso delle parole di Cristo. Non compresero che era lui il Cristo, tanto meno che era il Figlio di Dio, e tuttavia hanno compreso che con quelle parole egli si presentava come Figlio di Dio, uguale a Dio. Non sapevano chi fosse, ma si rendevano conto che si presentava come Figlio di Dio, perché chiamava Dio suo padre, facendosi uguale a Dio. Ma forse che non era uguale a Dio? Non era lui a farsi uguale a Dio, ma era Dio che lo aveva generato uguale a sé. Se di sua iniziativa si fosse fatto uguale a Dio, tale usurpazione lo avrebbe fatto cadere in disgrazia di Dio. Colui, infatti, che pretese di farsi uguale a Dio, senza esserlo, cadde in disgrazia (cf. Is 14, 14-15), e da angelo diventò diavolo, e propinò all'uomo il veleno della superbia per cui questi fu cacciato dal paradiso. Infatti, cosa suggerì all'uomo, che invidiava perché era rimasto in piedi mentre lui era caduto? Gustate il frutto, e diventerete come dèi (Gen 3, 5); cioè, carpite con la frode ciò che non siete, come ho fatto io che, avendo tentato di usurpare la natura divina, sono stato cacciato. Non si esprimeva proprio così, ma questo era il contenuto della sua tentazione. Cristo invece non era diventato, ma era nato uguale al Padre: è stato generato dalla stessa sostanza del Padre, come ce lo ricorda l'Apostolo: Egli, pur essendo della stessa forma di Dio, non stimò un'usurpazione l'essere uguale a Dio. Che significa non stimò un'usurpazione? Significa che non usurpò la sua uguaglianza con Dio, poiché la possedeva già fin dalla nascita. E noi, come potremo pervenire a colui che è uguale a Dio? Egli annientò se stesso col prendere forma di servo (Phil 2, 6-7). Annientò se stesso, non perdendo ciò che era, ma assumendo ciò che non era. I Giudei disprezzando questa forma di servo, erano incapaci di comprendere che Cristo Signore era uguale al Padre, benché non potessero dubitare che questo di sé egli affermava: anzi per questo lo perseguitavano. Gesù, tuttavia, li sopportava e cercava di guarire quelli che si accanivano contro di lui.


17 - Le sofferenze che pati' il nostro salvatore Gesù durante la notte del rinnegamento di Pietro e il gran dolore della sua santissima Madre.

La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda

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1283. I santi evangelisti hanno fatto passare sotto silenzio i patimenti di Gesù nella notte del rinnegamento di Pietro e gli insulti che ricevette nella casa di Caifa, mentre tutti e quattro riferiscono la nuova consultazione fatta tra i membri del sinedrio per presentarlo a Pilato, come si vedrà nel capitolo seguente. Io allora dubitai se fosse opportuno proseguire il mio racconto e manifestare quanto mi era stato dato di comprendere, perché nel contempo mi fu fatto capire che nel nostro pellegrinaggio terreno non ci sarà svelata ogni cosa, né conviene che si dica a tutti ciò di cui si viene a conoscenza, poiché nel giorno del giudizio saranno palesati questo ed altri misteriosi eventi della vita e della passione del nostro Redentore. Inoltre, su quanto io posso dichiarare, non trovo parole adeguate al mio pensiero e molto meno all'oggetto che concepisco, perché l'argomento è ineffabile e superiore alla mia capacità. Tuttavia, per obbedire, esporrò quello che mi sarà concesso di intendere, per non essere ripresa per aver taciuto una verità così sublime da confondere e condannare la vanità e la dimenticanza umana. Confesso dinanzi al cielo la mia durezza a non morire di vergogna e dolore, per aver commesso colpe che tanto costarono a quel Dio che mi diede l'esistenza: non possiamo negare l'orrore e la gravità del peccato che fece strazio dell'Autore della grazia e della gloria. Sarei la più ingrata di tutti gli uomini, al pari dello stesso demonio, se da oggi in poi non aborrissi la colpa più della morte: questo debito desidero trasmettere e ricordare a tutti i cattolici, figli della Chiesa.

1284. L'ambizioso sommo sacerdote, di fronte alle torture che Cristo nostro bene subiva silenziosamente alla sua presenza, si accese d'invidia, mentre i suoi collaboratori, non appagati di ciò che veniva messo in atto contro la divina persona, fremettero d'ira. Passata la mezzanotte, deliberarono che il Salvatore restasse ben custodito fino al mattino, per avere la certezza che non potesse fuggire mentre dormivano. Ordinarono perciò di rinchiuderlo, legato com'era, in un sotterraneo che serviva per far scontare l'ergastolo ai peggiori ladroni e facinorosi dell'impero. Questo carcere era senza luce e così sporco e maleodorante che, se non fosse stato ben chiuso, avrebbe potuto infettare l'intera abitazione; difatti, erano parecchi anni che non veniva pulito sia perché assai profondo, sia perché non si facevano molti scrupoli di confinare le persone più inique in quell'orribile luogo, ritenendole gente indegna di ogni pietà, bestie indomite e feroci.

1285. Eseguito subito l'ordine del malvagio consiglio, il Creatore dell'universo fu portato in quell'immondo e tenebroso luogo. E poiché seguitava a stare legato nello stesso modo in cui era stato condotto dal Getsèmani, quei malviventi poterono continuare con sicurezza a sfogare su di lui lo sdegno che il principe delle tenebre somministrava loro incessantemente: ora lo tiravano per le corde, ora lo trascinavano con disumano furore, con percosse esecrabili. La prigione descritta in un angolo presentava una sporgenza, talmente resistente da non essere mai stata smussata, a cui venne spietatamente attaccato con l'estremità delle corde sua Maestà, che, lasciato in piedi con il corpo ricurvo, non aveva possibilità di sedersi e rialzarsi per un piccolo sollievo: questo si rivelò una tortura nuova ed estremamente penosa. I soldati, abbandonandolo così, serrarono le porte con le chiavi che consegnarono ad un custode perché ne avesse cura.

1286. Il dragone infernale nella sua recondita superbia non aveva riposo; bramava sempre di poter sapere se costui fosse il Messia e, per irritarne l'eccelsa pazienza, macchinò un'altra malvagità. Infuse nell'immaginazione della guardia depravata l'intento di invitare alcuni amici, dai costumi simili ai suoi, per scendere tutti insieme nella fossa e trattenersi alquanto a prendere in giro il mansuetissimo Agnello: volevano obbligarlo a profetizzare ed a fare qualcosa di inaudito, poiché lo ritenevano un mago o un indovino. Con questa diabolica suggestione Lucifero eccitò anche altri sgherri inducendoli ad eseguire le perfide molestie che avevano pensato. E mentre essi si riunivano per decidere, molti degli angeli che assistevano Gesù nel martirio, vedendolo in un posto tanto ignobile, stretto in quella dolorosa posizione, subito si prostrarono davanti a lui, adorandolo come vero Dio. Inoltre, gli resero riverenza e culto tanto più profondi quanto più lo riconobbero mirabile nel permettere di farsi insultare per l'amore che portava ai mortali, e gli elevarono alcuni inni e cantici composti da Maria. In nome della stessa Signora, lo pregarono che, quantunque non volesse mostrare la potenza della sua destra nell'innalzare la sua santissima umanità, almeno desse loro il permesso di alleviargli il tormento e difenderlo da quella schiera di malvagi, che incitata dal diavolo si preparava ancora ad offenderlo.

1287. Il nostro Maestro non accettò un ossequio così particolare e disse: «Ministri dell'eterno Padre, non è mia volontà avere sollievo in questo momento. Io desidero sopportare gli affronti per soddisfare la carità ardente con la quale amo i discendenti di Adamo, e lasciare ai miei eletti un esempio, affinché mi imitino e non si perdano d'animo nelle tribolazioni, tenendo presenti i tesori della grazia che ho procurato ad essi con abbondanza. In tal modo io voglio giustificare la mia causa perché nel giorno della mia ira sia manifesta ai reprobi la giustizia con cui saranno condannati per aver disprezzato l'acerbissima passione, che io ho accettato per procurare il loro rimedio. Dite a colei che mi ha generato che si consoli in quest'afflizione, sino a quando non arriverà il giorno della gioia e del riposo, e mi accompagni adesso nell'opera della redenzione, poiché dal suo compassionevole affetto e da tutto ciò che fa io ricevo soddisfazione e compiacimento». Dopo questa risposta, i messaggeri superni ritornarono dalla Regina e con queste rassicuranti parole la confortarono, benché ella tramite un'altra via di conoscenza non ignorasse il volere di patire del suo Unigenito e tutto ciò che succedeva nella casa di Caifa. E quando ebbe notizia della nuova crudeltà con la quale i soldati lo avevano attaccato e della condizione tanto dura in cui era stato lasciato, la purissima Vergine provò nella sua delicatissima persona lo stesso dolore, avvertendo anche quello dei pugni, degli schiaffi e degli obbrobri che erano stati riservati all'Autore della vita. Nel corpo della candidissima colomba tutto risuonava come un'eco miracolosa: stesso dardo feriva il Figlio e la Madre, stesso coltello trapassava entrambi, con la sola differenza che egli soffriva come uomo-Dio e unico salvatore dell'umanità, ella come semplice creatura e coadiutrice del beneplacito divino.

1288. Quando l'amorosa Principessa seppe che Gesù permetteva l'ingresso nel carcere a quei vilissimi malfattori, pianse amaramente per quanto stava per accadere. Prevedendo i perversi propositi di Lucifero, fu molto prudente ad usare il suo potere regale e ad impedire che si eseguisse contro il suo diletto qualche atto indecoroso, come costui stava macchinando. Difatti, sebbene tutte le azioni tramate fossero indegne e di somma irriverenza, in alcune vi poteva concorrere minore decenza: queste erano quelle che il nemico cercava di inculcare nelle guardie per provocare lo sdegno di Cristo, quando vedeva che con le altre molestie intentate non era riuscito ad irritare la sua mansuetudine. Furono talmente rare, ammirevoli, eroiche e straordinarie le opere compiute da Maria in questa circostanza ed in tutto il corso della passione, che non si possono giustamente riferire né lodare, benché su tale argomento siano stati scritti molti libri: è ineluttabile, allora, rimettere tutto ciò al tempo della visione beatifica, perché è così sublime da non potersi narrare in questa vita.

1289. Quei ministri del peccato entrarono nel sotterraneo, celebrando con ingiurie la festa che avevano deciso di fare tra derisioni e beffe contro il Signore. Avvicinatisi a lui, incominciarono a sputargli in faccia in modo nauseante, schernendolo e dandogli schiaffi con incredibile sfacciataggine; ma egli non rispose né aprì bocca né alzò lo sguardo, serbando sempre sul volto un'umile serenità. Quei farabutti volevano obbligarlo a parlare oppure a fare qualcosa di ridicolo o straordinario, al fine di avere ancora un'occasione per appellarlo come stregone e burlarsi di lui. Allorché si accorsero invece della sua imperturbabile mitezza, si lasciarono maggiormente irritare dai diavoli: lo sciolsero dalla roccia a cui stava legato e lo posero in mezzo alla prigione, bendandogli con un panno i santissimi occhi. Accerchiatolo incominciarono uno dopo l'altro a percuoterlo con pugni sotto il mento e schiaffi, chiedendogli di indovinare chi fosse colui che lo aveva colpito; ciascuno faceva a gara per superare gli altri nelle derisioni e nelle bestemmie. In quest'occasione, essi pronunciarono parole blasfeme ancor più fieramente che alla presenza di Anna.

1290. Alla pioggia di obbrobri il mansuetissimo Agnello non ribatteva. Frattanto, satana bramava che facesse qualche gesto contro la pazienza, crucciandosi nel vedere come questa virtù rimanesse immutabile in lui. Infuse, allora, nell'immaginazione di quei suoi amici l'infernale decisione di spogliarlo di tutte le vesti e di trattarlo come aveva escogitato nella sua esecrabile mente. A questa suggestione quegli iniqui non fecero resistenza, risolvendo di concretizzarla subito. La prudentissima Vergine con preghiere, lacrime e sospiri e con l'autorità di regina impedì l'abominevole sacrilegio, implorando il Padre che non concorresse con le cause seconde in tali azioni delittuose. Ingiunse così a quei ministri di empietà di non usare la loro forza naturale per effettuare quanto avevano ordito e, per questa potenza, essi non poterono realizzare niente di ciò che il serpente con la sua malizia aveva loro suggerito, poiché dimenticavano immediatamente molte cose che desideravano fare tralasciandone altre, e rimanevano con le braccia irrigidite sino a quando non ritrattavano la loro perversa iniziativa. Nel desistere ritornavano nello stato normale, perché quel miracolo non era compiuto per castigarli, ma solo per impedire gli atti più ignobili; infatti, era loro consentito di eseguire solamente le irriverenze che rientravano nel beneplacito superno.

1291. La potentissima sovrana comandò anche ai demoni che tacessero e non incitassero più a simili oltraggi. Da questo ordine il dragone restò schiacciato e reso inabile in ciò a cui si estendeva la volontà di diniego della Madre; fu allora impossibilitato ad aizzare ulteriormente la stolta rabbia di quei delinquenti, che pertanto non furono più in grado di dire o fare qualcosa di indecoroso, se non nell'ambito loro permesso. Tuttavia essi, pur sperimentando in sé tutti quegli effetti mirabili e alquanto insoliti, non meritarono di disingannarsi né di riconoscere il potere divino e, benché in quel frangente si sentissero ora storpi ora liberi e sani, attribuivano il repentino cambiamento a facoltà di stregone e di mago, ritenendo tale il Maestro della verità e della vita. Con questo diabolico errore perseverarono nel fare altre burle infamanti e nell'infliggere nuovi tormenti a Cristo, fin quando si accorsero che la notte era già molto avanzata. Ritornarono allora a legarlo alla roccia e lasciandolo lì attaccato uscirono con i ministri infernali. Per disposizione dell'eccelsa sapienza fu affidata alla gran Signora la difesa dell'onestà e della dignità del suo Unigenito, perché queste non venissero offese.

1292. Il nostro Salvatore rimase nuovamente solo in quella fossa, assistito però dagli angeli che, stupefatti delle sue opere e dei segreti giudizi in ciò che aveva voluto patire, lo adoravano e lo benedicevano magnificando ed esaltando il suo santo nome. Egli elevò una lunga orazione all'Eterno, pregandolo per i futuri cristiani, per la propagazione della fede e per gli apostoli, intercedendo particolarmente in favore di san Pietro, che in quel momento si rammaricava e piangeva il proprio peccato. Raccomandò anche quelli che lo avevano ingiuriato e deriso, e soprattutto invocò l'Onnipotente per Maria e per coloro che a sua imitazione sarebbero stati afflitti e disprezzati dal mondo: per tutti questi fini offrì la passione che già incombeva su di lui. Nel contempo la celeste Principessa, addolorata, lo accompagnava innalzando le stesse suppliche a vantaggio dei figli della Chiesa e dei nemici, senza turbarsi né risentire sdegno contro questi ultimi. Nutriva disprezzo solo verso Lucifero, perché incapace di aprirsi alla grazia a causa della sua irreparabile ostinazione, e con profondi gemiti parlò all'Altissimo:

1293. «Bene dell'anima mia, siete degno di ricevere l'onore e la lode degli esseri viventi: tutto a voi è dovuto, perché siete immagine del Padre e impronta della sua sostanza, infinito nel vostro essere e nelle vostre perfezioni; siete principio e fine di ogni santità. Se tutto è stato creato per adempiere docilmente il vostro volere, come mai adesso disprezzano, insultano e oltraggiano la vostra persona, meritevole del loro supremo culto e della somma venerazione? Come mai si è tanto innalzata la malizia dei mortali? Come mai si è tanto inoltrata la superbia sino a mettere la bocca nel cielo? Come può esser diventata così potente l'invidia? Voi siete l'unico splendido sole di giustizia che illumina e dissipa le tenebre dell'errore. Siete la sorgente della grazia, che non è negata a nessuno se la vuole. Siete colui che per liberalità date l'essere, il movimento e la conservazione. Tutto dipende da voi ed ha bisogno di voi, senza che voi abbiate bisogno di niente. Che cosa dunque hanno visto nelle vostre opere? Che cosa di tanto gravoso hanno ritrovato in voi perché siate così offeso e maltrattato? O atrocissima bruttura del peccato, che hai sfigurato la bellezza del cielo ed oscurato lo splendore del suo venerabile volto! O sanguinolenta fiera, che senza umanità tratti il riparatore stesso dei tuoi danni! Figlio mio, io so già che siete l'artefice del vero amore, l'autore del riscatto, il maestro, il Signore degli esercititi, e che voi stesso mettete in pratica la dottrina insegnata agli umili discepoli della scuola divina. Voi abbassate l'alterigia, confondete l'arroganza e siete esempio di salvezza perenne. Ma se volete che ciascuno imiti la vostra ineffabile carità e la vostra infinita mitezza, spetta a me farlo per prima; a me che offrii il mio corpo per rivestirvi della carne passibile, nella quale ora siete percosso, riempito di sputi e schiaffeggiato. Oh, potessi subire io sola tante pene e voi, innocentissimo tesoro mio, restarne privo! Ma se ciò non è possibile, patisca almeno io con voi sino alla fine. E voi, spiriti superni che, stupefatti della sua mansuetudine, conoscete la sua immutabile divinità e l'innocenza e la nobiltà della sua vera umanità, ricompensatelo delle ingiurie e delle bestemmie. Dategli magnificenza e gloria, sapienza, virtù e fortezza. Invitate gli astri, i pianeti, le stelle e gli elementi affinché tutti lo confessino, e considerate se per caso vi sia un altro dolore simile al mio». Queste ed altre struggenti parole proferiva la purissima Regina, sospirando alquanto nell'amarezza del suo cordoglio.

1294. Nel corso della passione la pazienza della Vergine fu incomparabile: non le parve mai troppo quello che sopportava, non considerando il peso dei suoi tormenti uguale a quello del suo affetto, che misurava sull'amore, sulla dignità di Gesù e sulle torture a lui inflitte. Inoltre, per tutte le insolenze lanciate contro di lui, ella nutrì il desiderio di sentirle su di sé e, pur non reputandole proprie, le pianse perché rivolte contro la divina persona e ritorte a danno degli aggressori stessi. Pregò per tutti costoro, affinché l'Onnipotente li perdonasse, li allontanasse dalla colpa e da ogni male, e li illuminasse con la sua luce, cosicché anch'essi conseguissero il frutto della redenzione.

Insegnamento della Regina del cielo

1295. Carissima, sta scritto nel Vangelo che l'Altissimo diede al suo e mio Unigenito il potere di condannare i reprobi nel giudizio universale. In quel giorno tutti coloro che saranno considerati rei vedranno e riconosceranno la sua santissima umanità, nella quale furono riscattati tramite il suo martirio. Per di più, sarà lo stesso Signore a chiedere ai peccatori di rendere conto delle loro azioni e, siccome non gli potranno rispondere né dare soddisfazione, questa vergogna sarà il principio della punizione che riceveranno per la loro ostinata ingratitudine. Allora sarà palese la misericordia di Dio in tutta la sua grandezza, ma anche la giustizia, perché i cattivi saranno meritevoli del castigo eterno. Enormi e acerbissime furono le sofferenze che patì il mio santissimo Figlio, particolarmente per coloro che non avrebbero guadagnato gli effetti della redenzione. Mentre veniva torturato, il mio cuore si sentì trapassato, come pure nel guardarlo coperto di sputi, schiaffeggiato, bestemmiato ed afflitto con torture tanto empie che non si possono comprendere nell'esistenza terrena. Io ebbi di ciò una chiara visione e la mia angoscia fu conforme alla rivelazione datami. Ma le tribolazioni peggiori furono provocate dalla consapevolezza che molti si sarebbero dannati nonostante il supplizio di sua Maestà.

1296. Desidero che tu mi accompagni in questi patimenti, che mi imiti e che gema sopra una così lamentevole sciagura; tra i mortali non ve n'è un'altra degna di essere deplorata tanto amaramente, né vi è strazio che si possa paragonare ad essa. Sono pochi nel mondo quelli che riflettono su tale verità con la dovuta ponderazione, ma il Maestro ed io li accogliamo con speciale compiacimento, perché ci seguono sulla via dei dolori e si affliggono per la perdizione di tante anime. Cerca di distinguerti in quest'esercizio ben accetto al sommo sovrano. Devi però essere al corrente delle sue promesse: a colui che chiederà sarà dato, a chi griderà sarà aperta la porta dei suoi infiniti tesori. Ed affinché tu sappia cosa offrirgli, imprimi nella memoria le pene procurate al tuo sposo, per mano di uomini vili e depravati, e l'invincibile pazienza, la mansuetudine, il silenzio con cui egli si assoggettò alla loro iniqua volontà. Tenendolo presente come modello, d'ora innanzi tenta con tutte le forze di mantenerti immune dall'irascibilità e da ogni altra passione che attanaglia i discendenti di Adamo; fa' che si generi in te un profondo rifiuto della superbia che disprezza ed offende il prossimo. Supplica inoltre il Padre perché ti conceda mitezza, affabilità e amore verso la croce: stringiti ad essa, prendila con pio affetto e va' dietro a Cristo, affinché tu giunga a possederlo.


20-61 Febbraio 19, 1927 Gesù la invita a lottare. Come Gesù lotta con le sue conoscenze, cogli esempi, cogli insegnamenti; l’anima lotta col riceverle, col seguire gli atti della sua Volontà nella Creazione e Redenzione.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo seguendo il mio volo nel Fiat Divino ed il mio dolce Gesù si faceva vedere che usciva da dentro il mio interno ed intrecciava le sue mani con le mie, invitandomi a lottare con Lui, io ero piccina, piccina e non mi sentivo abile e forte a lottare con Lui, molto più che è uscita una voce da dentro una luce che diceva: “E’ troppo piccolina, come può vincere questa lotta? ” E Gesù ha risposto:

(2) “Anzi perché piccola può vincere, perché tutta la fortezza sta nella piccolezza”.

(3) Io ero sconfortata, né osavo lottare con Gesù e Lui incitandomi alla lotta mi ha detto:

(4) “Figlia mia, coraggio, provaci, se tu vinci, vincerai il regno della mia Volontà, né ti devi arrestare perché sei piccola, perché ho messo a tua disposizione tutta la forza delle cose create; sicché insieme con te lotta tutta la forza che contiene il cielo, il sole, l’acqua, il vento, il mare, tutti mi fanno battaglia, la fanno con Me per farmi cedere il regno del Fiat Divino, la fanno alle creature con le armi che ciascuna cosa creata tiene nel proprio pugno, per arrenderle a riconoscere la mia Volontà, acciocché la facciano regnare come la fanno esse regnare e volendo vincere, tutte si son messe come in ordine di battaglia e vedendo che le creature resistono, volendo vincere per forza perché tengono con loro una forza di quella Volontà che le anima e domina, con le armi che possiedono, atterrano gente e città con tale impero, che nessuno le può resistere; tu non puoi comprendere tutta la forza e potenza che contengono tutti gli elementi, che se il mio Volere non li tenesse come a freno, sarebbe tanto accanita la battaglia, che della terra ne farebbero un mucchio. Ora la forza di esse è anche tua e perciò tu gira in mezzo ad esse per metterle in ordine di battaglia, i tuoi atti, il tuo chiedere continuo il regno del Fiat Supremo, chiami sull’attenti tutta la Creazione e la mia Volontà movendosi in essa, mette tutti gli atti suoi in ufficio regio, per dare e vincere il regno suo in mezzo alle creature. Quindi è lo stesso mio Volere che lotta, che fa battaglia con la mia stessa Volontà per il trionfo del regno suo. Sicché la tua lotta è animata da Essa, la quale tiene forza sufficiente ed irresistibile per vincere. Perciò, lotta pure che vincerai, e poi, lottare per vincere il regno del Fiat Supremo è la lotta più santa che può esistere, è la battaglia più giusta e più di diritto che si può fare, tanto vero, che il mio stesso Volere come formò la Creazione, incominciò questa battaglia e questa lotta e allora si arrenderà quando vincerà completamente. Ma vuoi sapere quando tu lotti con Me ed Io con te? Io lotto quando ti manifesto le conoscenze sul mio eterno Fiat, sicché ogni detto, ogni conoscenza, ogni similitudine che lo riguardano, è una lotta e una battaglia che faccio con te, per vincere la tua volontà, metterla al suo posto da Noi creato, chiamarla quasi a via di lottare nell’ordine del regno del mio Divino Volere, e mentre la faccio con te per soggiogare la tua, la inizio in mezzo alle creature. Lotto con te quando ti insegno la via che devi tenere e ciò che devi fare per vivere nel regno mio, le felicità, le gioie che devi possedere. Insomma lotto a via di luce, che contengono le mie conoscenze, lotto a via d’amore e cogli esempi più toccanti in modo da non poter resistere alla mia lotta, lotto per mezzo delle promesse di felicità e di gioia senza fine, la mia lotta è persistente, né mi stanco mai, ma per vincere che cosa? La tua volontà e nella tua quelli che riconosceranno la mia per vivere nel regno mio. E tu lotti con Me quando ricevi le mie conoscenze e mettendole in ordine nell’anima tua, formi il regno del mio Fiat Supremo in te, e lottandomi cerchi di vincere il regno mio. Ogni tuo atto fatto nella mia Volontà è una lotta che mi fai. Ogni tua girata che fai per tutte le cose create, per unirti a tutti gli atti che Essa fa in tutta la Creazione, chiami tutta la Creazione a muovere battaglia per vincere il regno mio, movendo la stessa mia Volontà dominante in tutte le cose create, per far battaglia alla mia stessa Volontà per stabilire il regno suo. E perciò in questi tempi, il vento, l’acqua, il mare, la terra, il cielo, stanno più che mai tutti in moto, movendo battaglia contro le creature, succedendo fenomeni nuovi e quanti di più ne succederanno, distruggendo gente e città, perché nelle battaglie è necessario disporsi a subire le perdite e molte volte anche da parte di chi vince, senza battaglia non ci sono mai state conquiste di regni, e se c’è stato non sono state durature. Lotti con Me quando investendo tutto ciò che Io feci e soffrii nella mia Umanità, cioè nelle mie lacrime, nelle mie pene più intime, nelle mie preghiere, nei miei passi, nelle mie parole e fin nelle gocce del mio sangue, imprimi il tuo ti amo e per ciascuno degli atti miei mi chiedi che venga il regno del mio Fiat Supremo, chi può dirti la lotta che mi fai? Muovi gli stessi atti miei a farmi battaglia per arrendermi a cederti il regno mio. Perciò Io lotto con te e tu lotti con Me, è necessaria questa lotta, tu per vincere il regno mio, ed Io per vincere la tua volontà e per iniziare la battaglia in mezzo alle creature, per stabilire il regno del mio Supremo Volere. Io ho la mia stessa Volontà, tutta la sua stessa Potenza, Fortezza ed Immensità per vincere, tu hai la mia stessa Volontà e a disposizione tua, tutta la Creazione e tutto ciò che Io feci di bene nella Redenzione, per agguerrire un esercito formidabile per muovere battaglia e vincere il regno del Fiat Supremo. Vedi, anche ogni parola che scrivi è una lotta che mi fai e un soldato di più che rimpiazza nell’esercito, che devono vincere il regno della mia Volontà. Perciò sii attenta figlia mia, che sono tempi di lotta ed è necessario usare tutti i mezzi per vincere”.