Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Si devono nascondere e guardare con gelosia il meglio delle nostre azioni, affinché non siano vedute da altri se non da Dio. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Giovedi della 27° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 9

1E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza".

2Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.4E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.5Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!".6Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.7Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!".8E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.10Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.11E lo interrogarono: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".12Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.13Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

14E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.15Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.16Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?".17Gli rispose uno della folla: "Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.18Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti".19Egli allora in risposta, disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me".20E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.21Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia;22anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".23Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede".24Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Credo, aiutami nella mia incredulità".25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più".26E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto".27Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".29Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.31Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".32Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

33Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?".34Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.35Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".36E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".

38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.40Chi non è contro di noi è per noi.

41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.44.45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.46.47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,48dove 'il loro verme non muore e il fuoco non si estingue'.49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


Secondo libro delle Cronache 12

1Quando il regno fu consolidato ed egli si sentì forte, Roboamo abbandonò la legge del Signore e tutto Israele lo seguì.
2Nell'anno quinto del re Roboamo, Sisach re d'Egitto marciò contro Gerusalemme, perché i suoi abitanti si erano ribellati al Signore.3Egli aveva milleduecento carri, sessantamila cavalli. Coloro che erano venuti con lui dall'Egitto non si contavano: Libi, Succhei ed Etiopi.4Egli prese le fortezze di Giuda e giunse fino a Gerusalemme.5Il profeta Semaia si presentò a Roboamo e agli ufficiali di Giuda, che si erano raccolti in Gerusalemme per paura di Sisach, e disse loro: "Dice il Signore: Voi mi avete abbandonato, perciò anch'io vi ho abbandonati nelle mani di Sisach".6Allora i capi di Israele e il re si umiliarono e dissero: "Giusto è il Signore!".7Poiché si erano umiliati, il Signore parlò a Semaia: "Si sono umiliati e io non li distruggerò. Anzi concederò loro la liberazione fra poco; la mia ira non si rovescerà su Gerusalemme per mezzo di Sisach.8Tuttavia essi saranno a lui sottomessi; così conosceranno la differenza fra la sottomissione a me e quella ai regni delle nazioni".
9Sisach, re d'Egitto, venne a Gerusalemme e prese i tesori del tempio e i tesori della reggia, li vuotò. Prese anche gli scudi d'oro fatti da Salomone.10Il re Roboamo li sostituì con scudi di bronzo, che affidò agli ufficiali delle guardie addette alla reggia.11Ogni volta che il re andava nel tempio, le guardie li prendevano, quindi li riportavano nella sala delle guardie.12Perché Roboamo si era umiliato, lo sdegno del Signore si ritirò da lui e non lo distrusse del tutto. Anzi in Giuda ci furono avvenimenti felici.
13Il re Roboamo si consolidò in Gerusalemme e regnò. Quando divenne re, Roboamo aveva quarantun anni; regnò diciassette anni in Gerusalemme, città scelta dal Signore fra tutte le tribù di Israele per porvi il suo nome. Sua madre, ammonita, si chiamava Naama.14Egli fece il male, perché non aveva applicato il cuore alla ricerca del Signore.
15Le gesta di Roboamo, le prime e le ultime, sono descritte negli atti del profeta Semaia e del veggente Iddo, secondo le genealogie. Ci furono guerre continue fra Roboamo e Geroboamo.16Roboamo si addormentò con i suoi padri e fu sepolto nella città di Davide. Al suo posto divenne re suo figlio Abia.


Salmi 12

1'Al maestro del coro. Sull'ottava. Salmo. Di Davide.'

2Salvami, Signore! Non c'è più un uomo fedele;
è scomparsa la fedeltà tra i figli dell'uomo.
3Si dicono menzogne l'uno all'altro,
labbra bugiarde parlano con cuore doppio.

4Recida il Signore le labbra bugiarde,
la lingua che dice parole arroganti,
5quanti dicono: "Per la nostra lingua siamo forti,
ci difendiamo con le nostre labbra:
chi sarà nostro padrone?".

6"Per l'oppressione dei miseri e il gemito dei poveri,
io sorgerò - dice il Signore -
metterò in salvo chi è disprezzato".
7I detti del Signore sono puri,
argento raffinato nel crogiuolo,
purificato nel fuoco sette volte.

8Tu, o Signore, ci custodirai,
ci guarderai da questa gente per sempre.
9Mentre gli empi si aggirano intorno,
emergono i peggiori tra gli uomini.


Salmi 105

1Alleluia.

Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere.
2Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi.
3Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

4Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.
5Ricordate le meraviglie che ha compiute,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca:
6voi stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.

7È lui il Signore, nostro Dio,
su tutta la terra i suoi giudizi.
8Ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
9l'alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco.

10La stabilì per Giacobbe come legge,
come alleanza eterna per Israele:
11"Ti darò il paese di Cànaan
come eredità a voi toccata in sorte".
12Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quella terra,
13e passavano di paese in paese,
da un regno ad un altro popolo,
14non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
15"Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti".

16Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane.
17Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19finché si avverò la sua predizione
e la parola del Signore gli rese giustizia.

20Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21lo pose signore della sua casa,
capo di tutti i suoi averi,
22per istruire i capi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.

23E Israele venne in Egitto,
Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero.
24Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi nemici.
25Mutò il loro cuore
e odiarono il suo popolo,
contro i suoi servi agirono con inganno
26Mandò Mosè suo servo
e Aronne che si era scelto.
27Compì per mezzo loro i segni promessi
e nel paese di Cam i suoi prodigi.

28Mandò le tenebre e si fece buio,
ma resistettero alle sue parole.
29Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30Il loro paese brulicò di rane
fino alle stanze dei loro sovrani.
31Diede un ordine e le mosche vennero a sciami
e le zanzare in tutto il loro paese.
32Invece delle piogge mandò loro la grandine,
vampe di fuoco sul loro paese.
33Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi della loro terra.

34Diede un ordine e vennero le locuste
e bruchi senza numero;
35divorarono tutta l'erba del paese
e distrussero il frutto del loro suolo.
36Colpì nel loro paese ogni primogenito,
tutte le primizie del loro vigore.

37Fece uscire il suo popolo con argento e oro,
fra le tribù non c'era alcun infermo.
38L'Egitto si rallegrò della loro partenza
perché su di essi era piombato il terrore.
39Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.

40Alla loro domanda fece scendere le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque,
scorrevano come fiumi nel deserto,
42perché ricordò la sua parola santa
data ad Abramo suo servo.

43Fece uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44Diede loro le terre dei popoli,
ereditarono la fatica delle genti,
45perché custodissero i suoi decreti
e obbedissero alle sue leggi.

Alleluia.


Daniele 10

1L'anno terzo di Ciro re dei Persiani, fu rivelata una parola a Daniele, chiamato Baltazzàr. Vera è la parola e la lotta è grande. Egli comprese la parola e gli fu dato d'intendere la visione.
2In quel tempo io, Daniele, feci penitenza per tre settimane,3non mangiai cibo prelibato, non mi entrò in bocca né carne né vino e non mi unsi d'unguento finché non furono compiute tre settimane.4Il giorno ventiquattro del primo mese, mentre stavo sulla sponda del gran fiume, cioè il Tigri,5alzai gli occhi e guardai ed ecco un uomo vestito di lino, con ai fianchi una cintura d'oro di Ufàz;6il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l'aspetto della folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e le gambe somigliavano a bronzo lucente e il suono delle sue parole pareva il clamore di una moltitudine.
7Soltanto io, Daniele, vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore si impadronì di loro e fuggirono a nascondersi.8Io rimasi solo a contemplare quella grande visione, mentre mi sentivo senza forze; il mio colorito si fece smorto e mi vennero meno le forze.

9Udii il suono delle sue parole, ma, appena udito il suono delle sue parole, caddi stordito con la faccia a terra.
10Ed ecco, una mano mi toccò e tutto tremante mi fece alzare sulle ginocchia, appoggiato sulla palma delle mani.11Poi egli mi disse: "Daniele, uomo prediletto, intendi le parole che io ti rivolgo, alzati in piedi, poiché ora sono stato mandato a te". Quando mi ebbe detto questo, io mi alzai in piedi tutto tremante.
12Egli mi disse: "Non temere, Daniele, poiché fin dal primo giorno in cui ti sei sforzato di intendere, umiliandoti davanti a Dio, le tue parole sono state ascoltate e io sono venuto per le tue parole.13Ma il principe del regno di Persia mi si è opposto per ventun giorni: però Michele, uno dei primi prìncipi, mi è venuto in aiuto e io l'ho lasciato là presso il principe del re di Persia;14ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo alla fine dei giorni, poiché c'è ancora una visione per quei giorni".15Mentre egli parlava con me in questa maniera, chinai la faccia a terra e ammutolii.
16Ed ecco uno con sembianze di uomo mi toccò le labbra: io aprii la bocca e parlai e dissi a colui che era in piedi davanti a me: "Signor mio, nella visione i miei dolori sono tornati su di me e ho perduto tutte le energie.17Come potrebbe questo servo del mio signore parlare con il mio signore, dal momento che non è rimasto in me alcun vigore e mi manca anche il respiro?".18Allora di nuovo quella figura d'uomo mi toccò, mi rese le forze19e mi disse: "Non temere, uomo prediletto, pace a te, riprendi forza, rinfrancati". Mentre egli parlava con me, io mi sentii ritornare le forze e dissi: "Parli il mio signore perché tu mi hai ridato forza".

20Allora mi disse: "Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò di nuovo a lottare con il principe di Persia, poi uscirò ed ecco verrà il principe di Grecia.21Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe,


Prima lettera a Timoteo 1

1Paolo, apostolo di Cristo Gesù, per comando di Dio nostro salvatore e di Cristo Gesù nostra speranza,2a Timòteo, mio vero figlio nella fede: grazia, misericordia e pace da Dio Padre e da Cristo Gesù Signore nostro.

3Partendo per la Macedonia, ti raccomandai di rimanere in Èfeso, perché tu invitassi alcuni a non insegnare dottrine diverse4e a non badare più a favole e a genealogie interminabili, che servono più a vane discussioni che al disegno divino manifestato nella fede.5Il fine di questo richiamo è però la carità, che sgorga da un cuore puro, da una buona coscienza e da una fede sincera.6Proprio deviando da questa linea, alcuni si sono volti a fatue verbosità,7pretendendo di essere dottori della legge mentre non capiscono né quello che dicono, né alcuna di quelle cose che dànno per sicure.

8Certo, noi sappiamo che la legge è buona, se uno ne usa legalmente;9sono convinto che la legge non è fatta per il giusto, ma per gli iniqui e i ribelli, per gli empi e i peccatori, per i sacrileghi e i profanatori, per i parricidi e i matricidi, per gli assassini,10i fornicatori, i pervertiti, i trafficanti di uomini, i falsi, gli spergiuri e per ogni altra cosa che è contraria alla sana dottrina,11secondo il vangelo della gloria del beato Dio che mi è stato affidato.

12Rendo grazie a colui che mi ha dato la forza, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia chiamandomi al mistero:13io che per l'innanzi ero stato un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo senza saperlo, lontano dalla fede;14così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù.
15Questa parola è sicura e degna di essere da tutti accolta: Cristo Gesù è venuto nel mondo per salvare i peccatori e di questi il primo sono io.16Ma appunto per questo ho ottenuto misericordia, perché Gesù Cristo ha voluto dimostrare in me, per primo, tutta la sua magnanimità, a esempio di quanti avrebbero creduto in lui per avere la vita eterna.
17Al Re dei secoli incorruttibile, invisibile e unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli. Amen.

18Questo è l'avvertimento che ti do, figlio mio Timòteo, in accordo con le profezie che sono state fatte a tuo riguardo, perché, fondato su di esse, tu combatta la buona battaglia19con fede e buona coscienza, poiché alcuni che l'hanno ripudiata hanno fatto naufragio nella fede;20tra essi Imenèo e Alessandro, che ho consegnato a satana perché imparino a non più bestemmiare.


Capitolo XIV: L’ardente brama del Corpo di Cristo in alcuni devoti

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Parola del discepolo

1. "Quanto è grande, o Signore, la ricchezza della tua bontà, riservata a coloro che ti temono" (Sal 30,20). O Signore, quando penso a certe anime devote, che si accostano al tuo Sacramento con grandissima devozione ed amore, spesso mi sento in colpa ed arrossisco. Al tuo altare e alla mensa della santa Comunione io vengo infatti con tanta tiepidezza e freddezza, restando così arido e senza slancio del cuore, non totalmente infiammato dinanzi a te, o mio Dio, e non così fortemente attratto d'amore verso di te, come lo furono molte anime devote. Nel loro grande desiderio della Comunione e nel palpitante loro amore, queste anime devote non potevano trattenersi dal pianto; con la bocca del cuore, e insieme con quella del corpo, anelavano dal profondo a te, fonte viva, non potendo calmare o saziare la propria sete in altro modo che ricevendo il tuo corpo, con piena letizia e con spirituale avidità. Veramente ardente, la loro fede; tale da costituire essa stessa motivo di prova della tua presenza. Questi devoti riconoscono davvero il loro Signore nello spezzare il pane, e il loro cuore arde tutto per quel Gesù, che sta camminando con loro (Lc 24,30s). Da me sono spesso ben lontani un tale slancio devoto, un amore così ardente.

2. Usami misericordia, o buon Gesù, dolce e benigno. Al poveretto tuo, che va implorando, concedi di sentire, almeno qualche volta, nella santa Comunione, un poco dell'impeto amoroso del tuo cuore; così si irrobustirà la mia fede, si dilaterà la speranza nella tua bontà, e in me non verrà mai meno un amore che già arde pienamente e che ha potuto gustare la manna del cielo. Ben può la tua misericordia concedermi almeno la grazia del desiderio e venire a me donandomi ardore di spirito, finché non giunga il giorno da te stabilito. In verità, benché io non sia acceso da una brama così grande come quella delle persone particolarmente a te devote, tuttavia sento, per grazia sua, di desiderare quel desiderio, grande e ardente; prego e sospiro di essere unito a tutti coloro che ti amano con fervore e di essere considerato della loro santa schiera.


DISCORSO 112 TENUTO NELLA BASILICA RESTITUITA SU GLI INVITATI ALLA CENA

Discorsi - Sant'Agostino

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I giudei invitati, non condotti o costretti al banchetto.

1. Ci sono stati proposti dei passi della Sacra Scrittura non solo perché li ascoltassimo, ma anche perché su di essi pronunciassimo, con l'aiuto del Signore, un breve discorso. In un passo dell'Apostolo viene ringraziato Dio per la fede dei pagani e naturalmente per il motivo ch'era stato lui a compiere quell'opera 1. Nel salmo abbiamo detto: Convertici, Dio degli eserciti, mostraci il tuo volto e noi saremo salvi 2. Nel Vangelo siamo stati invitati al banchetto; anzi, mentre altri vi sono stati solo invitati, noi non siamo stati invitati ma condotti; non solo condotti, ma anche spinti con la forza. Ecco infatti che cosa abbiamo ascoltato: Un tale fece un grande banchetto 3. Chi è questo tale? Non è altri che il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù 4. Aveva mandato a sollecitare gl'invitati perché andassero essendo già arrivata l'ora di andare. Chi sono gli invitati se non coloro ch'erano stati chiamati per mezzo dei Profeti inviati in precedenza? Da quanto tempo è che sono inviati i Profeti e invitano al banchetto di Cristo! Essi però erano inviati al popolo d'Israele. Molte volte essi furono inviati, molte volte avevano invitato a venire all'ora del banchetto. Gl'invitati però accolsero, sì, gl'invitanti, ma rifiutarono il banchetto. Che vuol dire:"accolsero gl'invitanti, ma rifiutarono il banchetto"? Vuol dire: lessero i Profeti, ma uccisero il Cristo 5. Quando però uccisero il Cristo, prepararono, pur senza saperlo, il banchetto per noi. Quando ormai il banchetto era stato preparato, dopo che il Cristo fu immolato, quando, dopo la risurrezione del Cristo, fu insegnato ai fedeli il banchetto del Signore ch'essi conoscono, che Cristo ha istituito con le sue mani e con la sua parola, gli Apostoli furono inviati a coloro ai quali prima erano stati inviati i Profeti. "Venite al banchetto" - così era stato stabilito perché fosse immolato il Cristo - dissero gli Apostoli: "Venite al banchetto".

Le tre scuse degli invitati che rifiutarono di partecipare al banchetto.

2. Coloro che rifiutarono di andare addussero delle scuse. In che modo si scusarono, fratelli miei? Tre furono le specie di scuse. Uno disse: Ho comprato un podere con una casa di campagna e devo andare a vederla. Tienimi per scusato 6. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi e voglio andare a provarli. Abbimi per scusato 7. Un terzo gli disse: Mi sono sposato, abbimi per scusato, non posso venire 8. Non sono forse queste le scuse che impediscono tutti coloro che rifiutano di venire a questo banchetto? Esaminiamo, discutiamo, cerchiamo di scoprire i motivi di siffatte scuse, al fine però di evitarli. A proposito della casa di campagna viene bollato lo spirito di dominio; viene dunque biasimata la superbia. Fa piacere infatti avere una fattoria, mantenerla, possederla, avere alla propria dipendenza altre persone all'interno di essa, avere il dominio. È un vizio funesto, è il vizio originale, poiché il primo uomo volle esercitare il proprio dominio dal momento che rifiutò d'avere un padrone. Che vuol dire: "esercitare il dominio" se non godere del proprio potere? Ma esiste un potere superiore: a questo dobbiamo sottometterci per riuscire a essere sicuri. Ho comprato una fattoria, abbimi per scusato 9. La superbia fu invitata ma rifiutò di recarsi al banchetto.

Le cinque paia di buoi: simbolo della curiosità dei sensi.

3. Un altro disse: Ho comprato cinque paia di buoi 10. Non sarebbe stato sufficiente dire: "Ho comprato dei buoi"? Senza dubbio c'è qualche significato misterioso che, a causa della sua oscurità, ci stimola a cercare e a capire e, poiché è chiuso, ci esorta a bussare. "Cinque paia di buoi": sono i sensi del nostro corpo. Dei sensi del nostro corpo se ne contano cinque, come sanno tutti, e anche quelli che forse non sono abituati a riflettere, li riconoscono senz'altro se vengono richiamati alla loro memoria. Orbene, cinque sono i sensi del nostro corpo: la vista negli occhi, l'udito nelle orecchie, l'odorato nelle narici, il gusto nella bocca, il tatto in tutte le membra. Gli oggetti bianchi e neri o colorati in qualsiasi modo, quelli luminosi e oscuri li percepiamo con la vista; i suoni striduli e quelli armoniosi li percepiamo con l'udito, gli odori disgustosi e i profumi li percepiamo con l'odorato; le cose dolci o amare le percepiamo col gusto; gli oggetti duri o molli, quelli lisci e quelli ruvidi, quelli caldi e quelli freddi, quelli pesanti e quelli leggeri li percepiamo col tatto. I sensi sono cinque ma ognuno forma una coppia. Che però formino delle coppie appare facilmente solo nei primi tre sensi: due sono gli occhi, due le orecchie, due le narici: ecco tre coppie. Anche nella bocca, cioè nel senso del gusto si trova, per così dire, un doppio senso, poiché mediante il gusto non si assapora nulla se non si tocca con la lingua e col palato. È più difficile scorgere come il piacere sensibile prodotto dal tatto ha un organo doppio: esso infatti è esterno e interno; anch'esso dunque è doppio. Ma perché si parla di paia di buoi? Perché mediante questi sensi del corpo si ricercano le cose terrene e i buoi rivoltano la terra. Vi sono poi persone lontane dalla fede, dedite solo alle cose terrene, occupate solo nelle cose carnali; non vogliono credere se non a ciò che percepiscono con la sensazione suaccennata distinta in cinque parti. Essi infatti ammettono solo questi medesimi sensi come unica regola di tutta la verità. "Io - dicono - credo solo a ciò che vedo: ecco ciò che so, ecco ciò che conosco. Un oggetto è bianco o nero, è rotondo o quadrato, è colorato così o così; lo so, lo conosco, ritengo che è proprio così; me lo insegna la stessa natura. Non son costretto a credere a ciò ch'essa non può mostrarmi. C'è un canto: lo sento perché risuona; uno canta bene o male, è gradevole, è stridulo: lo so, lo conosco, l'ho percepito. C'è un profumo, c'è un cattivo odore; me ne rendo conto, lo riconosco. Questo è dolce, questo è amaro, questo è salato, questo è insipido; non so che cosa uno possa dirmi di più. Toccando conosco che cosa è duro o molle, che cosa è liscio o ruvido, che cosa è caldo o freddo. Che cosa potrai mostrarmi di più?".

Qual è l'ostacolo della fede.

4. Da un impedimento di tal genere era trattenuto il nostro apostolo Tommaso, il quale a proposito di Cristo, cioè della risurrezione di Cristo, non volle credere neppure ai soli occhi. Se non metterò - disse - le dita nel posto dei chiodi e delle ferite, nel suo costato, non crederò 11. D'altra parte il Signore, che sarebbe potuto risorgere senza alcuna traccia di ferite, conservò le cicatrici, perché fossero toccate da colui che dubitava e guarissero le ferite del suo cuore. Tuttavia egli, che avrebbe invitato al banchetto, contro le scuse delle cinque paia di buoi: Beati - disse - coloro che non vedono ma credono 12. Noi invece, o miei fratelli, invitati al banchetto, non siamo stati impediti da queste cinque paia di buoi. Noi infatti non abbiamo desiderato vedere il volto fisico del Signore in questo tempo, né abbiamo desiderato sentire con le orecchie la sua parola proferita dalla bocca del suo corpo; non abbiamo ricercato in lui alcun profumo temporale; una donna versò su di lui un unguento profumato di grandissimo valore, la casa si riempì di quel profumo; ma noi non c'eravamo. Ecco, noi non abbiamo sentito quel profumo, eppure abbiamo creduto. Diede ai suoi discepoli la cena consacrata con le proprie mani; noi però non eravamo a tavola in quel banchetto, e tuttavia ogni giorno mangiamo con fede quella stessa cena. Ma non dovete credere che fosse un gran bene essere presenti senza fede a quella cena distribuita con le sue mani. È risultata preferibile la fede manifestatasi in seguito che non la mancanza di fede di allora. Non c'era Paolo che poi professò la fede, mentre c'era Giuda che perpetrò il tradimento. Quanti ancora adesso nella stessa cena, sebbene non abbiano visto quella mensa e non abbiano visto con i propri occhi o mangiato con la bocca ciò che il Signore aveva nelle sue mani, tuttavia, poiché è la stessa che si appresta adesso, quanti - ripeto - ancora adesso nella stessa cena mangiano e bevono la propria condanna 13!.

Disposizioni interiori per partecipare al banchetto eucaristico.

5. Ma da che cosa nacque - diciamo così - l'occasione che spinse il Signore a parlare di questa cena? Egli si trovava al banchetto al quale era stato invitato; ora uno dei commensali aveva esclamato: Beato chi potrà mangiare il pane nel regno di Dio 14. Costui sospirava bramoso di raggiungere, per così dire, realtà lontane, mentre il pane in persona era a tavola davanti a lui. Chi è il pane disceso dal regno di Dio se non colui che dice: Sono io il pane vivo disceso dal cielo 15? Non si deve preparare la bocca ma il cuore. È questo sentimento che ci fa apprezzare l'eccellenza di questa cena: ecco che noi crediamo in Cristo, quando la riceviamo con fede. Nel riceverla noi sappiamo che cosa è presente nel nostro spirito. Ne riceviamo un poco, ma ci satolliamo nel cuore. Nutre dunque non ciò che appare ma ciò che si crede. Non abbiamo dunque cercato neppure l'ultimo dei sensi, non abbiamo detto: "Ammettiamo pure che credessero coloro i quali con i propri occhi videro e con le mani palparono il Signore risorto - se è vero quanto si narra -; noi non l'abbiamo toccato; perché dovremmo credere?". Se pensassimo a cose di tal genere, saremmo impediti di partecipare alla cena da quelle cinque paia di buoi. E perché vi convinciate, fratelli, che a proposito dei cinque sensi è censurato non tanto il diletto che blandisce e genera il piacere sensuale, quanto piuttosto una certa curiosità, quel tale non disse: "Ho comprato cinque paia di buoi, devo condurli al pascolo", ma: "Debbo andare a provarli". Chi vuol provarli, vuole eliminare il dubbio mediante le paia di buoi, allo stesso modo che san Tommaso volle assicurarsi per mezzo delle stesse paia di buoi. "Debbo vedere, toccare, metterci il dito". "Ecco, gli disse il Signore, metti le tue dita nel mio costato e non essere incredulo 16. Io sono stato ucciso per te; attraverso la ferita, che tu vuoi toccare, ho sparso il mio sangue per redimerti; e ancora dubiti di me se non mi tocchi? Ecco, ti do anche questo; ecco, ti offro anche questo: tocca e credi. Trova il posto della ferita; guarisci la ferita del tuo dubbio".

La moglie, simbolo dei piaceri carnali.

6. Un terzo disse: Mi sono sposato. Questo significa il piacere carnale: quanti ne sono schiavi! Volesse il cielo che lo fossero solo all'esterno e non all'interno! Ci sono persone che dicono: "L'uomo non è contento se non quando può godere le delizie della carne". Proprio questi sono quelli biasimati dall'Apostolo quando dice: Mangiamo e beviamo, perché domani morremo 17. Frasi di tal genere proferiva il ricco e superbo epulone nei suoi banchetti: Mangiamo e beviamo perché domani morremo 18. "Chi mai di là è tornato vivo quassù? Chi mai ci ha detto ciò che si fa laggiù? Noi prendiamo per noi il bene che abbiamo in questo tempo". Chi parla così, è come uno che ha preso moglie; è attaccato alla carne, gode dei piaceri carnali, si scusa di non partecipare al banchetto; stia attento però a non morire per la fame spirituale. Badate a quanto dice l'apostolo ed evangelista san Giovanni: Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo 19. O voi che venite alla cena del Signore, non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Non dice: "Non dovete avere", ma: Non dovete amare. Le hai avute, le hai possedute, le hai amate: vi ti sei attaccato. L'amore delle cose terrene è il vischio delle ali spirituali. Ecco, le hai desiderate: ti ci sei attaccato. Chi ti darà le ali come quelle d'una colomba? 20. Quando potrai spiccare il volo verso il cielo ove potrai riposare davvero, dato che hai voluto riposarti falsamente qui dove ti sei attaccato malamente? Non amate il mondo: così risuona la parola di Dio. L'assemblea in cui risuona questa parola è tutto il mondo. A tutto il mondo viene detto: Non amate il mondo né le cose che sono nel mondo. Se uno amerà il mondo, in lui non c'è l'amore del Padre; poiché tutto quanto è nel mondo, è concupiscenza della carne, concupiscenza degli occhi e superbia della vita 21. [Giovanni] comincia dall'ultima [concupiscenza ricordata nel Vangelo]; comincia da dove finisce il Vangelo e termina dove questo inizia. La concupiscenza della carne è [indicata dalle parole]: Ho preso moglie; la concupiscenza degli occhi [dalle parole]: Ho comprato cinque paia di buoi; il tronfio orgoglio dei mondani è [denotato dalla frase]: Ho comprato una villa di campagna 22.

I vari sensi in relazione agli occhi.

7. Questi sensi poi sono indicati mediante i soli occhi, prendendo la parte per il tutto, poiché tra i cinque sensi ha la preminenza quello degli occhi. Per questa ragione, sebbene la vista sia una proprietà specifica degli occhi, siamo soliti applicare il predicato "vedere " a tutti e cinque i sensi. In che modo? Innanzitutto - in relazione alla facoltà propria degli occhi - si dice: "Vedi quanto è bianco questo oggetto; osserva bene e vedi quanto è bianco"; ciò è riferito alla funzione degli occhi. Si dice anche: "Ascolta e vedi quanto è melodioso questo canto"; puoi forse dire viceversa: "Ascolta e vedi quanto è bianco quest'oggetto"? La voce verbale "vedi" sì adatta a tutti i sensi; ma i termini specifici, denotanti gli altri sensi, per sé non si adattano a sensi diversi. "Osserva e vedi quanto ciò è bianco; ascolta e vedi quanto ciò è melodioso; annusa e vedi quanto ciò è gradevole; assaggia e vedi quanto ciò è dolce; tocca e vedi quanto ciò è piacevole a toccarsi". Naturalmente, poiché cinque sono i sensi, dovremmo dire piuttosto: "Ascolta e senti quanto è melodioso", oppure: "annusa e senti quanto è gradevole; assaggia e senti quanto è dolce; tocca e senti quanto è caldo; palpa e senti quanto è liscio; palpa e senti quanto è molle", ma nessuna di queste espressioni è entrata nell'uso. Infatti lo stesso Signore, poiché era apparso ai suoi discepoli dopo la risurrezione e quelli, vedendolo, ancora esitavano a credere, pensando di vedere un fantasma: Perché esitate - disse - e i dubbi invadono il vostro cuore? Guardate le mie mani e i miei piedi 23. E non basta: Guardate, ma: Toccate - disse - e palpate e vedete 24. "Osservate e vedete: palpate e vedete. Vedete con i soli occhi, vedete cioè con tutti i sensi". Poiché cercava l'intimo senso della fede, egli era presente anche ai sensi esterni. Noi con questi sensi esterni non abbiamo preso nulla direttamente dal Signore: abbiamo udito con l'ascolto della parola di Dio, abbiamo creduto con il cuore 25, e inoltre la stessa parola di Dio l'abbiamo udita non dalla sua bocca, ma dalla bocca dei sui predicatori, dalla bocca di coloro che già avevano partecipato alla cena e c'invitavano con la loro predicazione.

Tutti partecipino al banchetto.

8. Togliamo dunque di mezzo le scuse menzognere e cattive, rechiamoci al banchetto per impinguarci interiormente. Non c'impedisca l'orgoglio della superbia, non ci distolga o non ci trattenga l'illecita smania di sapere e ci faccia voltare le spalle a Dio; la voluttà della carne non ci distolga dalla volontà del cuore. Andiamo e satolliamoci. Ma quali furono le persone che vi andarono se non i mendicanti, gli storpi, gli zoppi e i ciechi? Non v'andarono invece i ricchi sani, che si credevano di camminare bene, e d'avere una vista acuta, cioè quelli che presumevano molto di se stessi, e perciò tanto più disperati quanto più erano superbi. Vengano i mendicanti, poiché l'invita Colui che da ricco che era si fece povero per amor nostro, perché noi che siamo poveri diventassimo ricchi mediante la sua povertà 26. Vengano gl'infermi, poiché hanno bisogno del medico non i sani ma gli ammalati 27. Ci vengano gli zoppi che gli dicono: Guida i miei passi secondo la tua parola 28. Ci vengano i ciechi che gli dicono: Illumina i miei occhi, perché non mi addormenti mai nella morte 29. Persone di tal genere andarono subito dopo che, a causa delle loro scuse, erano stati rimproverati gl'invitati. Andarono subito: entrarono dalle piazze e dalle vie della città. Il servo, ch'era stato mandato, riferì al padrone: Signore, è stato eseguito il tuo ordine, ma a tavola c'è ancora posto. Esci - gli rispose - e va' per i sentieri e lungo le siepi, e spingi a entrare quanti ne troverai 30. Non aspettare che si degnino di venire quelli che troverai, non aspettarli; ma spingili a entrare. Ho preparato un gran banchetto, una grande casa; non permetterò che ci sia un posto vuoto. Dalle piazze e dalle vie andarono i popoli: vengano dai sentieri e dalle siepi gli eretici e gli scismatici. Spingili a entrare. Qui troveranno la pace poiché quelli che costruiscono siepi cercano le divisioni. Vengano trascinati via dalle siepi, vengano separati a forza dalle spine. Sono attaccati alle siepi e non vogliono esserne spinti via. "Entreremo - si dice - di nostra propria volontà". Non è questo che ha ordinato il Signore: Costringeteli ad entrare, disse. Di fuori ci sta la costrizione, dentro nascerà la volontà.

[Fine del discorso sugl'invitati alla cena].

 

1 - Cf. Rm 15; Gal 3.

2 - Sal 79, 4. 8. 20.

3 - Lc 14, 16.

4 - 1 Tm 2, 5.

5 - Cf. Mt 23, 37; cf. Lc 13, 34.

6 - Lc 14, 18.

7 - Lc 14, 19.

8 - Lc 14, 20.

9 - Lc 14, 18.

10 - Lc 14, 19.

11 - Gv 20, 25.

12 - Gv 20, 29.

13 - Cf. 1 Cor 11, 29.

14 - Lc 14, 15.

15 - Gv 6, 41.

16 - Gv 20, 27.

17 - 1 Cor 15, 32.

18 - 1 Cor 15, 32.

19 - 1 Gv 2, 15.

20 - Cf. Sal 54, 7.

21 - 1 Gv 2, 15-16.

22 - 1 Gv 2, 15-16; cf. Lc 14, 18-20.

23 - Lc 24, 38-39.

24 - Lc 24, 39.

25 - Cf. Rm. 10, 8 ss.

26 - Cf. 2 Cor 8, 9.

27 - Mt 9, 12.

28 - Sal 118, 133.

29 - Sal 12, 4.

30 - Lc 14, 22-23.


18 - La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù.

La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda

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1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa, dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato, in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di lui!

1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il Messia promesso.

1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza? L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente, decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.

1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore, che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo». Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente fosse.

1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del cielo».

1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme, insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava, l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano: «A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni, ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici. Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con dolcezza, facendo a tutti del bene.

1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.

1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza, rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno. Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».

1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore, seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi. E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore, non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme». «Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto meno di uccidere».

1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione. Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia, come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.

1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti, sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti, soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza, desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale; spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin quando videro esaudito il loro proposito.

1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo, ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la folla.

1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo, innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia, crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.

1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi, se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare, non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio Salvatore elargire.

Insegnamento della Regina del cielo

1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà, primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della divina pietà, che è sempre sovrabbondante.

1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia, della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece, tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi, per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi, comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti, adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché pochi sono quelli che camminano su di essa.

1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano, lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio. Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera sapienza.


MISERICORDIA A.N.A. 90 14 maggio 1995

Catalina Rivas

Gesù
C'era in Gerusalemme una piscina chiamata piscina probatica, dove di quando in quando, scendeva un angelo a muovere le acque per guarire quanti erano infermi. Oggi, la Mia nuova leggedi amore, la Misericordia, rende possibile che nella Messa, vera e unica piscina di salute santa, scenda Io, il Re degli Angeli, a perdonare e a guarire ogni infermità spirituale.

E lì, chi si abbandona a Me, cade nell'abisso d'amore che Io attendo, per lasciarsi portare con Me attraverso la Mia volontà che si manifesta in ogni istante. Non importa dove lo porta, deve solo sapere che si trova fra le braccia del suo tenero Padre...