Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Questa religione di Gesù Cristo trovasi solamente nella chiesa cattolica; niuno è cattolico senza il papa: guai a chi separasi da questo capo supremo! egli è fuori di quella religione, che uni ca può condurre a salvamento: chi non ha la chiesa per madre non può avere Iddio per Padre. (San Giovanni Bosco)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 27° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 8

1Quando Gesù fu sceso dal monte, molta folla lo seguiva.2Ed ecco venire un lebbroso e prostrarsi a lui dicendo: "Signore, se vuoi, tu puoi sanarmi".3E Gesù stese la mano e lo toccò dicendo: "Lo voglio, sii sanato". E subito la sua lebbra scomparve.4Poi Gesù gli disse: "Guardati dal dirlo a qualcuno, ma va' a mostrarti al sacerdote e presenta l'offerta prescritta da Mosè, e ciò serva come testimonianza per loro".

5Entrato in Cafàrnao, gli venne incontro un centurione che lo scongiurava:6"Signore, il mio servo giace in casa paralizzato e soffre terribilmente".7Gesù gli rispose: "Io verrò e lo curerò".8Ma il centurione riprese: "Signore, io non son degno che tu entri sotto il mio tetto, di' soltanto una parola e il mio servo sarà guarito.9Perché anch'io, che sono un subalterno, ho soldati sotto di me e dico a uno: Va', ed egli va; e a un altro: Vieni, ed egli viene, e al mio servo: Fa' questo, ed egli lo fa".
10All'udire ciò, Gesù ne fu ammirato e disse a quelli che lo seguivano: "In verità vi dico, presso nessuno in Israele ho trovato una fede così grande.11Ora vi dico che molti verranno dall'oriente e dall'occidente e siederanno a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli,12mentre i figli del regno saranno cacciati fuori nelle tenebre, ove sarà pianto e stridore di denti".13E Gesù disse al centurione: "Va', e sia fatto secondo la tua fede". In quell'istante il servo guarì.

14Entrato Gesù nella casa di Pietro, vide la suocera di lui che giaceva a letto con la febbre.15Le toccò la mano e la febbre scomparve; poi essa si alzò e si mise a servirlo.

16Venuta la sera, gli portarono molti indemoniati ed egli scacciò gli spiriti con la sua parola e guarì tutti i malati,17perché si adempisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaia:

'Egli ha preso le nostre infermità
e si è addossato le nostre malattie.'

18Vedendo Gesù una gran folla intorno a sé, ordinò di passare all'altra riva.19Allora uno scriba si avvicinò e gli disse: "Maestro, io ti seguirò dovunque tu andrai".20Gli rispose Gesù: "Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell'uomo non ha dove posare il capo".
21E un altro dei discepoli gli disse: "Signore, permettimi di andar prima a seppellire mio padre".22Ma Gesù gli rispose: "Seguimi e lascia i morti seppellire i loro morti".

23Essendo poi salito su una barca, i suoi discepoli lo seguirono.24Ed ecco scatenarsi nel mare una tempesta così violenta che la barca era ricoperta dalle onde; ed egli dormiva.25Allora, accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Salvaci, Signore, siamo perduti!".26Ed egli disse loro: "Perché avete paura, uomini di poca fede?" Quindi levatosi, sgridò i venti e il mare e si fece una grande bonaccia.27I presenti furono presi da stupore e dicevano: "Chi è mai costui al quale i venti e il mare obbediscono?".

28Giunto all'altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli vennero incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva più passare per quella strada.29Cominciarono a gridare: "Che cosa abbiamo noi in comune con te, Figlio di Dio? Sei venuto qui prima del tempo a tormentarci?".
30A qualche distanza da loro c'era una numerosa mandria di porci a pascolare;31e i demòni presero a scongiurarlo dicendo: "Se ci scacci, mandaci in quella mandria".32Egli disse loro: "Andate!". Ed essi, usciti dai corpi degli uomini, entrarono in quelli dei porci: ed ecco tutta la mandria si precipitò dal dirupo nel mare e perì nei flutti.33I mandriani allora fuggirono ed entrati in città raccontarono ogni cosa e il fatto degli indemoniati.34Tutta la città allora uscì incontro a Gesù e, vistolo, lo pregarono che si allontanasse dal loro territorio.


Primo libro delle Cronache 19

1Dopo, morì Nacas re degli Ammoniti; al suo posto divenne re suo figlio.2Davide disse: "Userò benevolenza con Canun figlio di Nacas, perché anche suo padre è stato benevolo con me". Davide mandò messaggeri per consolarlo della morte di suo padre. I ministri di Davide andarono nella regione degli Ammoniti da Canun per consolarlo.3Ma i capi degli Ammoniti dissero a Canun: "Forse Davide intende onorare tuo padre ai tuoi occhi mandandoti consolatori? Questi suoi ministri non sono venuti forse da te per spiare, per informarsi e per esplorare la regione?".
4Canun allora prese i ministri di Davide, li fece radere, tagliò a metà le loro vesti fino alle natiche e li rimandò.5Alcuni vennero a riferire a Davide la sorte di quegli uomini. Poiché costoro si vergognavano moltissimo, il re mandò ad incontrarli con questo messaggio: "Rimanete in Gèrico finché non sia cresciuta la vostra barba; allora ritornerete".
6Gli Ammoniti, accortisi di essersi inimicati Davide, mandarono, essi e Canun, mille talenti d'argento per assoldare carri e cavalieri nel paese dei due fiumi, in Aram Maaca e in Zoba.7Assoldarono trentaduemila carri e il re di Maaca con le sue truppe. Questi vennero e si accamparono di fronte a Màdaba; frattanto gli Ammoniti si erano radunati dalle loro città e si erano mossi per la guerra.
8Quando Davide lo venne a sapere, mandò Ioab con tutto il gruppo dei prodi.9Gli Ammoniti uscirono per disporsi a battaglia davanti alla città mentre i re alleati stavano da parte nella campagna.10Ioab si accorse che la battaglia gli si profilava di fronte e alle spalle. Egli scelse i migliori di Israele e li schierò contro gli Aramei.11Affidò il resto dell'esercito ad Abisài suo fratello che lo schierò contro gli Ammoniti.12E gli disse: "Se gli Aramei prevarranno su di me, mi verrai in aiuto; se invece gli Ammoniti prevarranno su di te, io ti verrò in aiuto.13Coraggio, dimostriamoci forti per il nostro popolo e per le città del nostro Dio; il Signore faccia ciò che gli piacerà".14Ioab con i suoi mosse verso gli Aramei per combatterli, ma essi fuggirono davanti a lui.15Anche gli Ammoniti, visto che gli Aramei si erano dati alla fuga, fuggirono di fronte ad Abisài fratello di Ioab, rientrando in città. Ioab allora tornò in Gerusalemme.
16Gli Aramei, visto che erano stati battuti dagli Israeliti, mandarono messaggeri e fecero venire gli Aramei d'Oltrefiume; li comandava Sofach, capo dell'esercito di Hadad-Èzer.
17Quando ciò fu riferito a Davide, egli radunò tutto Israele e attraversò il Giordano. Li raggiunse e si schierò davanti a loro; Davide si dispose per la battaglia contro gli Aramei, che l'attaccarono.18Gli Aramei fuggirono di fronte agli Israeliti. Davide uccise, degli Aramei, settemila cavalieri e quarantamila fanti; uccise anche Sofach capo dell'esercito.19Gli uomini di Hadad-Èzer, visto che erano stati battuti dagli Israeliti, fecero la pace con Davide e si sottomisero a lui. Gli Aramei non vollero più recare aiuto agli Ammoniti.


Salmi 51

1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2'Quando venne da lui il profeta Natan dopo che aveva peccato con Betsabea.'

3Pietà di me, o Dio, secondo la tua misericordia;
nella tua grande bontà cancella il mio peccato.
4Lavami da tutte le mie colpe,
mondami dal mio peccato.

5Riconosco la mia colpa,
il mio peccato mi sta sempre dinanzi.
6Contro di te, contro te solo ho peccato,
quello che è male ai tuoi occhi, io l'ho fatto;
perciò sei giusto quando parli,
retto nel tuo giudizio.

7Ecco, nella colpa sono stato generato,
nel peccato mi ha concepito mia madre.
8Ma tu vuoi la sincerità del cuore
e nell'intimo m'insegni la sapienza.

9Purificami con issopo e sarò mondo;
lavami e sarò più bianco della neve.
10Fammi sentire gioia e letizia,
esulteranno le ossa che hai spezzato.

11Distogli lo sguardo dai miei peccati,
cancella tutte le mie colpe.

12Crea in me, o Dio, un cuore puro,
rinnova in me uno spirito saldo.
13Non respingermi dalla tua presenza
e non privarmi del tuo santo spirito.
14Rendimi la gioia di essere salvato,
sostieni in me un animo generoso.

15Insegnerò agli erranti le tue vie
e i peccatori a te ritorneranno.
16Liberami dal sangue, Dio, Dio mia salvezza,
la mia lingua esalterà la tua giustizia.
17Signore, apri le mie labbra
e la mia bocca proclami la tua lode;
18poiché non gradisci il sacrificio
e, se offro olocausti, non li accetti.
19Uno spirito contrito è sacrificio a Dio,
un cuore affranto e umiliato, Dio, tu non disprezzi.

20Nel tuo amore fa grazia a Sion,
rialza le mura di Gerusalemme.
21Allora gradirai i sacrifici prescritti,
l'olocausto e l'intera oblazione,
allora immoleranno vittime sopra il tuo altare.


Salmi 61

1'Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Di Davide.'

2Ascolta, o Dio, il mio grido,
sii attento alla mia preghiera.
3Dai confini della terra io t'invoco;
mentre il mio cuore viene meno,
guidami su rupe inaccessibile.

4Tu sei per me rifugio,
torre salda davanti all'avversario.
5Dimorerò nella tua tenda per sempre,
all'ombra delle tue ali troverò riparo;
6perché tu, Dio, hai ascoltato i miei voti,
mi hai dato l'eredità di chi teme il tuo nome.

7Ai giorni del re aggiungi altri giorni,
per molte generazioni siano i suoi anni.
8Regni per sempre sotto gli occhi di Dio;
grazia e fedeltà lo custodiscano.

9Allora canterò inni al tuo nome, sempre,
sciogliendo i miei voti giorno per giorno.


Isaia 65

1Mi feci ricercare da chi non mi interrogava,
mi feci trovare da chi non mi cercava.
Dissi: "Eccomi, eccomi"
a gente che non invocava il mio nome.
2Ho teso la mano ogni giorno a un popolo ribelle;
essi andavano per una strada non buona,
seguendo i loro capricci,
3un popolo che mi provocava
sempre, con sfacciataggine.
Essi sacrificavano nei giardini,
offrivano incenso sui mattoni,
4abitavano nei sepolcri,
passavano la notte in nascondigli,
mangiavano carne suina
e cibi immondi nei loro piatti.
5Essi dicono: "Sta' lontano!
Non accostarti a me, che per te sono sacro".
Tali cose sono un fumo al mio naso,
un fuoco acceso tutto il giorno.
6Ecco, tutto questo sta scritto davanti a me;
io non tacerò finché non avrò ripagato
7le vostre iniquità e le iniquità dei vostri padri,
tutte insieme, dice il Signore.
Costoro hanno bruciato incenso sui monti
e sui colli mi hanno insultato;
così io calcolerò la loro paga
e la riverserò nel loro grembo.
8Dice il Signore: "Come quando
si trova succo in un grappolo,
si dice: Non distruggetelo,
perché v'è qui una benedizione,
così io farò per amore dei miei servi,
per non distruggere ogni cosa.
9Io farò uscire una discendenza da Giacobbe,
da Giuda un erede dei miei monti.
I miei eletti ne saranno i padroni
e i miei servi vi abiteranno.
10Saròn diventerà un pascolo di greggi,
la valle di Acòr un recinto per armenti,
per il mio popolo che mi ricercherà.
11Ma voi, che avete abbandonato il Signore,
dimentichi del mio santo monte,
che preparate una tavola per Gad
e riempite per Menì la coppa di vino,
12io vi destino alla spada;
tutti vi curverete alla strage,
perché ho chiamato e non avete risposto;
ho parlato e non avete udito.
Avete fatto ciò che è male ai miei occhi,
ciò che mi dispiace avete scelto".
13Pertanto, così dice il Signore Dio:
"Ecco, i miei servi mangeranno
e voi avrete fame;
ecco, i miei servi berranno
e voi avrete sete;
ecco, i miei servi gioiranno
e voi resterete delusi;
14ecco, i miei servi giubileranno
per la gioia del cuore,
voi griderete per il dolore del cuore,
urlerete per la tortura dello spirito.
15Lascerete il vostro nome
come imprecazione fra i miei eletti:
Così ti faccia morire il Signore Dio.
Ma i miei servi saranno chiamati con un altro nome.
16Chi vorrà essere benedetto nel paese,
vorrà esserlo per il Dio fedele;
chi vorrà giurare nel paese,
giurerà per il Dio fedele;
perché saranno dimenticate le tribolazioni antiche,
saranno occultate ai miei occhi.
17Ecco infatti io creo
nuovi cieli e nuova terra;
non si ricorderà più il passato,
non verrà più in mente,
18poiché si godrà e si gioirà sempre
di quello che sto per creare,
e farò di Gerusalemme una gioia,
del suo popolo un gaudio.
19Io esulterò di Gerusalemme,
godrò del mio popolo.
Non si udranno più in essa
voci di pianto, grida di angoscia.
20Non ci sarà più
un bimbo che viva solo pochi giorni,
né un vecchio che dei suoi giorni
non giunga alla pienezza;
poiché il più giovane morirà a cento anni
e chi non raggiunge i cento anni
sarà considerato maledetto.21Fabbricheranno case e le abiteranno,
pianteranno vigne e ne mangeranno il frutto.
22Non fabbricheranno perché un altro vi abiti,
né pianteranno perché un altro mangi,
poiché quali i giorni dell'albero,
tali i giorni del mio popolo.
I miei eletti useranno a lungo
quanto è prodotto dalle loro mani.
23Non faticheranno invano,
né genereranno per una morte precoce,
perché prole di benedetti dal Signore essi saranno
e insieme con essi anche i loro germogli.
24Prima che mi invochino, io risponderò;
mentre ancora stanno parlando,
io già li avrò ascoltati.
25Il lupo e l'agnello pascoleranno insieme,
il leone mangerà la paglia come un bue,
ma il serpente mangerà la polvere,
non faranno né male né danno
in tutto il mio santo monte". Dice il Signore.


Lettera agli Ebrei 13

1Perseverate nell'amore fraterno.2Non dimenticate l'ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo.3Ricordatevi dei carcerati, come se foste loro compagni di carcere, e di quelli che soffrono, essendo anche voi in un corpo mortale.4Il matrimonio sia rispettato da tutti e il talamo sia senza macchia. I fornicatori e gli adùlteri saranno giudicati da Dio.
5La vostra condotta sia senza avarizia; accontentatevi di quello che avete, perché Dio stesso ha detto: 'Non ti lascerò e non ti abbandonerò'.6Così possiamo dire con fiducia:

'Il Signore è il mio aiuto, non temerò.
Che mi potrà fare l'uomo?'

7Ricordatevi dei vostri capi, i quali vi hanno annunziato la parola di Dio; considerando attentamente l'esito del loro tenore di vita, imitatene la fede.8Gesù Cristo è lo stesso ieri, oggi e sempre!9Non lasciatevi sviare da dottrine diverse e peregrine, perché è bene che il cuore venga rinsaldato dalla grazia, non da cibi che non hanno mai recato giovamento a coloro che ne usarono.10Noi abbiamo un altare del quale non hanno alcun diritto di mangiare quelli che sono al servizio del Tabernacolo.11Infatti i corpi degli animali, il cui sangue vien portato nel santuario dal sommo sacerdote per i peccati, vengono bruciati fuori dell'accampamento.12Perciò anche Gesù, per santificare il popolo con il proprio sangue, patì fuori della porta della città.13Usciamo dunque anche noi dall'accampamento e andiamo verso di lui, portando il suo obbrobrio,14perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura.15Per mezzo di lui dunque offriamo continuamente un sacrificio di lode a Dio, cioè il frutto di labbra che confessano il suo nome.
16Non scordatevi della beneficenza e di far parte dei vostri beni agli altri, perché di tali sacrifici il Signore si compiace.
17Obbedite ai vostri capi e state loro sottomessi, perché essi vegliano su di voi, come chi ha da renderne conto; obbedite, perché facciano questo con gioia e non gemendo: ciò non sarebbe vantaggioso per voi.
18Pregate per noi, poiché crediamo di avere una buona coscienza, desiderando di comportarci bene in tutto.19Con maggiore insistenza poi vi esorto a farlo, perché possa esservi restituito al più presto.
20Il Dio della pace che ha fatto tornare dai morti il Pastore grande delle pecore, 'in virtù del sangue di un'alleanza eterna', il Signore nostro Gesù,21vi renda perfetti in ogni bene, perché possiate compiere la sua volontà, operando in voi ciò che a lui è gradito per mezzo di Gesù Cristo, al quale sia gloria nei secoli dei secoli. Amen.
22Vi raccomando, fratelli, accogliete questa parola di esortazione; proprio per questo molto brevemente vi ho scritto.23Sappiate che il nostro fratello Timòteo è stato messo in libertà; se arriva presto, vi vedrò insieme con lui.24Salutate tutti i vostri capi e tutti i santi. Vi salutano quelli d'Italia. La grazia sia con tutti voi.


Capitolo XXIII: Le quattro cose che recano una vera grande pace

Leggilo nella Biblioteca

1. O figlio, ora ti insegnerò la via della pace e della vera libertà. Fa', o Signore, come tu dici; mi è gradito ascoltare il tuo insegnamento. Studiati, o figlio, di fare la volontà di altri, piuttosto che la tua. Scegli sempre di aver meno, che più. Cerca sempre di avere il posto più basso e di essere inferiore a tutti. Desidera sempre, e prega, che in te si faccia interamente la volontà di Dio. Un uomo che faccia tali cose, ecco, entra nel regno della pace e della tranquillità. Una grande dottrina di perfezione è racchiusa, o Signore, in queste tue brevi parole: brevi a dirsi, ma piene di significato e ricche di frutto. Che se io potessi fedelmente custodirle, tali parole, nessun turbamento dovrebbe tanto facilmente sorgere in me; in verità, ogni volta che mi sento inquieto od oppresso, trovo che mi sono allontanato da questa dottrina. Ma tu, che tutto puoi; tu che hai sempre caro il progresso dell'anima mia, accresci sempre la tua grazia, così che io possa adempiere alle tue parole e raggiungere la mia salvezza.

Preghiera contro i malvagi pensieri

2. O Signore, mio Dio, "non allontanarti da me; Dio mio, volgiti in mio aiuto" (Sal 70,12); ché vennero contro di me vari pensieri e grandi terrori, ad affliggere l'anima mia. Come ne uscirò illeso, come mi aprirò un varco attraverso di essi? Dice il Signore: io andrò innanzi a te e "abbatterò i grandi della terra" (Is 45,2). Aprirò le porte della prigione e ti rivelerò i più profondi segreti. O Signore, fa' come dici; e ogni iniquo pensiero fugga dinanzi a te. Questa è la mia speranza, questo è il mio unico conforto: in tutte le tribolazioni rifugiarmi in te, porre la mia fiducia in te; invocarti dal profondo del mio cuore e attendere profondamente la tua consolazione.

Preghiera per ottenere luce all'intelletto

3. Rischiarami, o buon Gesù, con la luce del lume interiore, e strappa ogni tenebra dal profondo del mio cuore; frena le varie fantasie; caccia le tentazioni che mi fanno violenza; combatti valorosamente per me e vinci queste male bestie, dico le allettanti concupiscenze, cosicché, per la forza che viene da te, si faccia pace, e nell'aula santa, cioè nella coscienza pura (Sal 121,7), risuoni la pienezza della tua lode. Comanda ai venti e alle tempeste. Dì al mare "calmati", al vento "non soffiare"; e si farà grande bonaccia (Mt 8,26). "Manda la tua luce e la tua verità" (Sal 52,3) a brillare sulla terra; ché terra io sono, povera e vuota, fino a quando tu non mi illumini. Effondi dall'alto la tua grazia; irriga il mio cuore di celeste rugiada; versa l'acqua della devozione ad irrigare la faccia della terra, che produca buono, ottimo frutto. Innalza la mia mente schiacciata dalla mole dei peccati; innalza alle cose celesti tutto l'animo mio, in modo che gli rincresca di pensare alle cose di questo mondo, dopo aver gustato la dolcezza della felicità suprema. Strappami e distoglimi dalle effimere consolazioni che danno le creature; poiché non v'è cosa creata che possa soddisfare il mio desiderio e darmi pieno conforto. Congiungimi a te con il vincolo indissolubile dell'amore, poiché tu solo basti a colui che ti ama, e a nulla valgono tutte le cose, se non ci sei tu.


La Genesi alla lettera: Libro terzo

La Genesi alla lettera - Sant'Agostino

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Creazione degli animali dall'acqua e dalla terra: relazione tra questi elementi.

1. 1. E Dio disse: Le acque produrranno rettili dotati di anime viventi e uccelli che volino lungo il firmamento del cielo al di sopra della terra. E ciò avvenne. Dio creò anche i grandi cetacei e tutti i rettili prodotti dalle acque secondo la loro specie e i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che sono esseri buoni. Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque nel mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra. E venne sera e poi venne mattina: il quinto giorno 1. Vengono ora creati, nella parte inferiore del mondo, gli esseri che sono mossi dallo spirito vitale, e in primo luogo quelli che vivono nelle acque, l'elemento più vicino alla natura propria dell'aria, poiché l'aria è così vicina al cielo, ove sono i luminari, che ha ricevuto anch'essa il nome di "cielo"; ma non so se può chiamarsi anche "firmamento". Il termine "cielo" al plurale si usa per denotare la medesima identica realtà che viene denotata con il termine "cielo" al singolare. Sebbene, infatti, in questo libro il cielo, che divide le acque superiori da quelle inferiori, sia usato al singolare, tuttavia nel Salmo è detto: Le acque che sono al di sopra dei cieli, lodino il nome del Signore 2, e l'espressione "cielo dei cieli", se ben comprendiamo, denota la regione siderale superiore dei cieli inferiori. Questi cieli l'intendiamo così anche nel medesimo Salmo ove è detto: Lodatelo, cieli dei cieli 3. È ben evidente che l'aria della nostra atmosfera è chiamata dalla Scrittura non solo "cielo" ma anche "cieli"; allo stesso modo che noi diciamo anche "le terre" volendo indicare soltanto quella che chiamiamo "terra" al singolare quando diciamo "globo delle terre" e "globo della terra".

Difficoltà a proposito del diluvio.

2. 2. In una delle lettere chiamate canoniche leggiamo che anche i cieli dell'atmosfera andarono distrutti a causa del diluvio 4. Infatti l'elemento liquido, che era cresciuto tanto da superare di quindici cubiti le cime delle montagne più alte 5, non poté raggiungere gli astri. Ma poiché esso aveva riempito tutto o quasi tutto lo spazio di quest'atmosfera d'aria più umida in cui volano gli uccelli, quella lettera scrive che perirono quelli ch'erano stati i cieli. Io non so come si possa intendere ciò se non nel senso che quest'aria nello stato più denso fu trasformata in acqua, altrimenti questi cieli non sarebbero scomparsi allora ma sarebbero stati elevati più in alto quando l'acqua occupava il loro spazio. Attenendoci pertanto all'autorità di quella lettera noi preferiamo credere che quei cieli andarono distrutti e che altri cieli, come in essa sta scritto, furono messi al loro posto 6 dopo essersi naturalmente diffusi i vapori umidi, anziché credere che quei cieli furono spinti in alto in modo da occupare lo spazio ch'è proprio del cielo superiore.

Affinità di natura dell'acqua e dell'aria.

2. 3. In rapporto alla creazione degli esseri destinati ad abitare questa parte inferiore del mondo denotata spesso globalmente con il nome di terra, era conveniente che prima fossero prodotti gli animali tratti dalle acque e poi quelli tratti dalla terra; e ciò per il fatto che l'acqua è tanto simile all'aria che, secondo i dati dell'esperienza, si condensa a causa dei suoi vapori e produce il soffio delle tempeste, cioè il vento, e addensa le nubi e può sostenere il volo degli uccelli. È vero pertanto, come dice uno dei nostri poeti pagani, che l'Olimpo sorpassa le nubi e sulle sue vette regna la pace 7. Si dice infatti che sulla vetta dell'Olimpo l'aria sia tanto rarefatta che non è né offuscata da nubi né turbata dal vento né può sostenere il volo degli uccelli e che, se alcuni salgono per caso fin lassù, l'aria non è abbastanza densa per mantenerli in vita, come invece sono abituati [a vivere] nell'aria di quaggiù; ma ciononostante è anch'essa aria e perciò si mescola con le acque per la sua natura ch'è simile a quelle e pertanto si crede che anch'essa si mutasse nella sostanza liquida al tempo del diluvio. Poiché non è pensabile ch'essa occupasse una parte del cielo sidereo allorché l'acqua arrivò a sorpassare i monti più alti.

Mutua trasformazione degli elementi, secondo l'opinione di alcuni.

3. 4. Riguardo alla trasmutazione degli elementi esiste d'altronde una discussione non piccola anche tra coloro stessi che hanno esaminato questi fenomeni con gran diligenza senz'essere occupati in altre faccende. Alcuni infatti dicono che tutto può mutarsi e trasformarsi in tutto; altri al contrario affermano che ciascun elemento ha qualcosa di esclusivamente proprio, che non può in alcun modo trasformarsi nella natura d'un altro elemento. Di questo problema tratteremo forse a suo tempo, se piacerà al Signore; adesso invece, per quanto concerne l'argomento che stiamo trattando, ho creduto opportuno di farne solo un cenno per far capire che nella narrazione dei fatti è stato osservato un ordine secondo il quale era conveniente narrare la creazione degli animali acquatici prima di quelli terrestri.

I quattro elementi.

3. 5. Non si deve però pensare affatto che la Scrittura abbia omesso di parlare d'alcun elemento di questo mondo, che - come tutti ritengono per certo - risulta dei quattro elementi ben noti, per il fatto che in questo passo la Scrittura sembra ricordare solo il cielo, l'acqua e la terra, senza invece dire nulla dell'aria. Le nostre Scritture infatti sono solite chiamare il mondo con i termini di cielo e terra o aggiungere talvolta anche il mare. Si comprende quindi che l'aria fa parte del cielo, negli spazi perfettamente sereni e tranquilli dei suoi strati superiori, o fa parte della terra a causa di questa nostra zona soggetta alle tempeste e nuvolosa, la quale si condensa a causa dei suoi vapori umidi, sebbene anch'essa molto spesso sia denotata con il nome di "cielo". Ecco perché la Scrittura non dice: "Le acque producano rettili dotati d'anime viventi", e poi: "L'aria produca volatili che volino al di sopra della terra", ma narra che entrambe le specie di animali furono prodotte dalle acque. Tutta la massa delle acque, dunque, sia quella scorrente in forma di fluide onde, sia quella leggera e sospesa sotto forma di vapore - quella essendo destinata ai rettili dotati d'anime viventi, questa ai volatili - nell'uno e nell'altro stato è tuttavia considerata come sostanza liquida.

Relazione dei cinque sensi dell'uomo con i quattro elementi.

4. 6. Ci sono perciò anche degli scrittori che, in base a sottilissime considerazioni, distinguono [i caratteri essenziali dei] nostri cinque sensi, a tutti ben noti, in relazione ai quattro elementi comunemente conosciuti, dicendo che gli occhi hanno relazione con il fuoco, gli orecchi con l'aria. I sensi dell'odorato e del gusto li mettono in rapporto con l'elemento liquido; l'odorato in rapporto con l'esalazioni umide che rendono densa l'aria in cui volano gli uccelli; il gusto con le molecole fluide dei liquidi. Infatti tutto ciò che si gusta nella bocca si mescola proprio con la saliva della bocca perché abbia sapore anche se quando vi s'introduce sembra secco. Il fuoco tuttavia penetra ogni corpo per produrvi il movimento. D'altra parte un liquido si congela per mancanza di calore ma, laddove tutti gli altri elementi possono riscaldarsi, il fuoco non può raffreddarsi, perché più facilmente si spegne cessando d'essere fuoco anziché restar freddo o intepidirsi a contatto con qualche sostanza fredda. Quanto invece al tatto, il quinto dei sensi, esso ha maggiore attinenza con l'elemento terrestre; ciò spiega perché ogni sensazione tattile si estende a tutto il corpo animato risultante soprattutto di terra. [Quei filosofi] dicono inoltre che senza fuoco non si può veder nulla, e senza terra non si può toccar nulla, e perciò ogni elemento è presente in tutti gli altri, ma ciascuno ha ricevuto il nome dalla sua proprietà fisica predominante. Ecco perché quando il corpo si raffredda eccessivamente per mancanza di calore, il senso s'intorpidisce poiché diviene più tardo il moto inerente al corpo ed è prodotto dal calore, dal momento che il fuoco influisce sull'aria, l'aria sull'elemento liquido, questo su tutti gli elementi terrestri, per il fatto che gli elementi più sottili penetrano in quelli più densi.

4. 7. Ora, quanto più sottile è un elemento di natura materiale, tanto più si avvicina alla natura spirituale, sebbene sia di specie molto differente, dal momento che l'uno è materia e l'altro no.

La sensazione in rapporto ai quattro elementi.

5. 7. Per conseguenza, poiché il sentire non è una proprietà del corpo ma dell'anima per mezzo del corpo, per quanto si cerchi di dimostrare con acuti ragionamenti che i sensi del corpo sono distribuiti in relazione ai diversi elementi materiali, la facoltà di sentire è tuttavia nell'anima che però, non essendo materiale, esercita questa sua facoltà mediante un corpo più sottile. Essa quindi comincia il movimento riguardo a tutti i sensi servendosi della sottigliezza del fuoco ma non in tutti arriva al medesimo effetto. Nella vista infatti arriva fino alla luce del fuoco sopprimendone il calore; nell'udito, mediante il calore del fuoco, penetra fino all'aria più pura; nell'odorato invece attraversa l'aria pura e arriva fino all'esalazioni umide che rendono più densa l'aria dell'atmosfera che noi respiriamo; nel gusto oltrepassa l'esalazioni umide e arriva fino alle molecole umide più corpulente; dopo averle penetrate e attraversate, quando arriva alla densità pesante della terra, mette in moto il tatto, l'ultimo dei sensi.

L'aria in rapporto al cielo e all'acqua.

6. 8. Non ignorava dunque né la natura né la serie ordinata degli elementi colui che, mettendoci sotto gli occhi la creazione degli esseri visibili, che per la loro natura si muovono entro gli elementi di questo mondo, ricorda dapprima i luminari del cielo, poi gli animali acquatici e infine quelli terrestri. Non ha certo tralasciato di menzionare l'aria, ma se vi sono regioni d'aria, assolutamente priva di nubi e calma ove si dice che non possono volare gli uccelli, esse sono congiunte al cielo superiore e le Scritture chiamandole con il termine di "cielo" ci fanno capire che fanno parte della regione superiore del mondo; perciò con il termine "terra" s'intende in genere tutto il nostro mondo di quaggiù, partendo dal quale [il Salmista] procedendo dall'alto verso il basso dice: Lodate il Signore fuoco, grandine, neve, ghiaccio, venti di tempesta e tutti gli abissi 8 finché si giunge all'asciutto cioè alla terra propriamente detta. Pertanto l'aria dell'atmosfera superiore, sia perché - fa parte della zona celeste di questo mondo, sia perché non è abitata da nessun essere visibile di cui adesso parla il narratore, non è stata passata sotto silenzio per il fatto ch'egli la denota con il termine "cielo", ma non l'annovera tra gli elementi in cui saranno creati gli animali. L'aria dell'atmosfera inferiore, al contrario, che s'impregna delle evaporazioni umide del mare e della terra e in una certa misura si condensa affinché possa sostenere gli uccelli, non possiede se non animali nati dalle acque. Ciò che c'è d'umido sostiene il corpo degli uccelli che si servono delle ali nel volare, come i pesci si servono di pinne, simili ad ali nel nuotare.

Perché la Genesi dice che gli uccelli sono nati dalle acque.

7. 9. Ecco perché a ragion veduta lo Spirito di Dio, in quanto ispirava lo scrittore sacro, dice che gli uccelli nacquero dalle acque. Queste, benché siano di una stessa natura, ebbero in sorte due zone differenti, cioè una inferiore per le acque che sono labili, e una superiore per l'aria ove soffiano i venti: quella destinata agli animali che nuotano, questa agli animali che volano. Così pure vediamo che agli animali furono dati anche due sensi confacenti a questo elemento: l'odorato per fiutare i vapori, il gusto per assaggiare i liquidi. In realtà, che noi possiamo percepire le acque e i venti anche con il tatto si deve al fatto che la sostanza compatta dalla terra risulta un miscuglio di tutti gli elementi, ma viene percepita maggiormente negli elementi più densi in modo che, toccandoli, si possono anche palpare. Ecco perché, a proposito delle due parti più grandi del mondo, anche l'aria umida e l'acqua vengono riunite sotto il nome comprensivo di "terra", come è mostrato dal Salmo quando enumera tutte le realtà esistenti nelle regioni superiori dicendo al principio: Lodate il Signore dall'alto dei cieli 9, e tutte le altre realtà inferiori, dicendo al principio della seconda parte: Lodate il Signore dalla terra 10, ove sono nominati anche i venti delle bufere e tutti gli abissi e anche il fuoco di quaggiù che brucia chi lo tocca, poiché nasce dai moti dell'elemento terrestre e di quello liquido per trasformarsi poi a sua volta nell'altro elemento. Sebbene, inoltre, con il salire in alto il fuoco mostri la sua tendenza naturale, non potrebbe tuttavia salire fino alla regione serena del cielo superiore perché, essendo sopraffatto dalla gran massa d'aria e trasformandosi in essa, si spegnerebbe. Per conseguenza in questa regione del creato più corruttibile e più pesante è agitato da moti burrascosi adatti a temperare il freddo della terra per essere utile ai mortali e incutere ad essi terrore.

Perché la Genesi chiama gli uccelli: volatili del cielo.

7. 10. Poiché dunque il flusso delle onde e il soffio dei venti possono percepirsi anche per mezzo del tatto, la cui caratteristica è d'essere legato strettamente alla terra, per conseguenza anche gli stessi animali acquatici non solo si nutrono di alimenti terrestri, ma anche, specialmente gli uccelli, si riposano e si riproducono sulla terra; in effetti una parte dell'umidità che esala in vapori si estende anche al di sopra della terra. Ecco perché la Scrittura, dopo aver detto: Le acque producano rettili dotati d'anima vivente e i volatili che volano al di sopra della terra, aggiunge esplicitamente: lungo il firmamento 11, inciso dal quale può apparire più chiaro quanto prima pareva oscuro. In realtà non dice: "Nel firmamento del cielo", come aveva detto dei luminari, ma dice: I volatili che volano al di sopra della terra lungo il firmamento del cielo, cioè: "presso il firmamento, poiché questa nostra regione caliginosa e umida in cui volano gli uccelli è naturalmente contigua alla regione ove non possono volare e, in virtù della sua calma e serenità, fa già parte del firmamento del cielo. Gli uccelli dunque volano sì nel cielo ma in questo che il Salmo denota globalmente con il nome di "terra". Proprio in relazione a quel cielo in molti passi della Scrittura gli uccelli vengono chiamati "creature volanti del cielo", non tuttavia "nel firmamento", ma "lungo il firmamento".

Perché i pesci sono chiamati: rettili d'animali viventi. Prima opinione.

8. 11. Alcuni pensano che i pesci sono stati chiamati non "esseri viventi dotati di anima", ma rettili d'esseri viventi dotati di anima, per il fatto che i loro sensi sono rudimentali. Ma se fossero stati chiamati così per questo motivo, agli uccelli sarebbe stato dato il nome di "esseri viventi dotati di anima". Allo stesso modo che quelli sono stati chiamati "rettili", rimanendo sottinteso "di esseri viventi dotati di anima"; si deve quindi ammettere, a mio giudizio, che la Scrittura s'è espressa così, come se si fosse detto: "I rettili e i volatili che sono tra gli esseri animati viventi", allo stesso modo che si potrebbe dire: "i plebei tra gli uomini" per indicare tutti gl'individui che tra gli uomini sono plebei. Sebbene infatti vi siano anche degli animali terrestri che strisciano sulla terra, tuttavia sono molto più numerosi quelli che si muovono con i loro piedi, e quelli che strisciano sulla terra sono forse tanto pochi quanto quelli che si muovono nelle acque.

Seconda opinione.

8. 12. Alcuni pensatori invece credono che i pesci sono stati chiamati non "anime viventi" ma rettili d'anime viventi perché sono affatto privi di memoria e d'una esperienza che rassomigli in qualche modo alla ragione. Costoro però s'ingannano perché manca loro una sufficiente esperienza dei fatti. Quanto dico è provato dal fatto che alcuni hanno lasciato scritte molte meravigliose osservazioni che poterono fare nei vivai dei pesci. Ma anche se per caso hanno scritto delle cose prive di fondamento, è tuttavia certissimo che i pesci hanno memoria. Ciò l'ho constatato io stesso e potrebbero constatarlo anche quanti ne hanno la possibilità e la volontà. C'è infatti una grande sorgente nelle parti di Bulla Regia rigurgitante di pesci. La gente, che li guarda dall'alto, è solita gettar loro qualche briciola: i pesci accorrono in frotta per afferrarla per primi o lottano tra di loro per strapparsela. Abituati a un tal pasto, mentre la gente cammina al margine della sorgente, anch'essi nuotando in frotta, vanno e vengono, con la gente, in attesa che coloro, dei quali avvertono la presenza, gettino loro qualche boccone. Non mi pare dunque che gli animali acquatici siano stati chiamati "rettili" senza ragione, come sono stati chiamati "volatili" gli uccelli; la ragione è la seguente: nell'ipotesi che ai pesci non fosse stato dato il nome di "anime viventi" perché sono affatto privi di memoria o perché hanno una conoscenza sensibile piuttosto tarda, questo nome sarebbe stato dato almeno agli uccelli che vivono sotto i nostri occhi e non solo sono dotati di memoria e sono garruli, ma sono anche abilissimi a costruirsi i nidi e ad allevare i loro piccoli.

Ripartizione degli animali secondo gli elementi.

9. 13. Non ignoro, inoltre, che alcuni filosofi hanno distribuito gli esseri viventi secondo l'elemento proprio di ciascuna loro famiglia, affermando che sarebbero terrestri non solo gli animali che strisciano e camminano sulla terra, ma anche gli uccelli, per il fatto che anch'essi vi si posano quando si sono stancati nel volare; gli esseri viventi dell'aria invece sarebbero i demoni, e quelli del cielo gli dèi; noi tuttavia chiamiamo una parte di essi luminari, un'altra parte angeli. I medesimi, tuttavia, attribuiscono alle acque i pesci e gli altri mostri marini, sicché nessun elemento è privo dei propri esseri viventi, come se sotto le acque non ci fosse che terra o come se potessero provare che i pesci non vi si riposino e non vi ristorino le loro forze per nuotare, allo stesso modo che gli uccelli ristorano le forze per volare. Sennonchè i pesci forse vi si riposano più raramente perché l'acqua è più resistente dell'aria per portare i corpi, tanto da sostenere anche gli animali terrestri quando nuotano, sia che abbiano imparato a farlo con l'esercizio come gli uomini, sia che l'abbiano imparato per istinto naturale come i quadrupedi e i serpenti. Oppure, se non credono che i pesci siano animali terrestri perché non hanno le zampe, neppure i vitelli marini e le foche sono animali acquatici, né sono animali terrestri i serpenti e le chiocciole poiché quelli hanno zampe e questi altri, privi di zampe, non dico che riposano sulla terra ma che appena o mai s'allontanano da essa. Quanto poi ai draghi si dice che sono privi di zampe e si sollevano nell'aria; benché siano difficilmente conosciuti, non tacciono di questa specie d'animali non solo le nostre sacre Scritture ma nemmeno gli scritti dei pagani.

Il "luogo" dei demoni.

10. 14. Per questo motivo, anche se i demoni sono esseri viventi dell'aria, poiché sono dotati di corpi di natura aerea, e perciò non finiscono nella dissoluzione causata dalla morte per il fatto che prevale in essi un elemento più adatto ad essere attivo che ad essere passivo, superiore agli altri due elementi, cioè all'acqua e alla terra, ma inferiore all'altro ch'è il fuoco sidereo - infatti due elementi, cioè l'acqua e la terra, sono classificati tra quelli soggetti a essere passivi; gli altri due invece, e cioè l'aria e il fuoco, hanno la proprietà d'essere attivi -; se dunque essi sono di natura aerea, questo carattere distintivo non è affatto in contraddizione con la nostra Scrittura, la quale c'insegna che i volatili sono stati prodotti a partire non dall'aria ma dall'acqua. Il ruolo assegnato ai volatili è costituito in effetti da evaporazioni diffuse nell'aria, poco dense - è vero - ma tuttavia prodotte dall'acqua. L'aria inoltre si estende dalla linea di confine del cielo pieno di luce fino alle acque fluide e alle terre nude; tuttavia i vapori umidi non offuscano tutto lo spazio occupato dall'aria ma fino alla linea di confine ove comincia già quella che il Salmo chiama "terra", là ove dice: Lodate il Signore dalla terra 12. La parte superiore dell'aria, al contrario, a causa della sua assoluta tranquillità, è unita, con una pace abituale, al cielo con il quale essa confina e di cui condivide lo stesso nome. Se in questa parte superiore dell'aria prima della loro ribellione v'erano gli angeli prevaricatori insieme con il loro capo, adesso diavolo, allora angelo - alcuni scrittori cristiani infatti pensano ch'essi non erano angeli dei cieli o dei cieli più sublimi - non c'è da stupirsi che dopo il loro peccato furono cacciati giù in questa regione inferiore caliginosa ove tuttavia non solo c'è l'aria ma essa è anche impregnata di vapori leggeri: se è agitata con più violenza produce anche fulmini con lampi e tuoni, se è condensata produce le nubi, se compressa produce la pioggia, quando le nubi si congelano produce la neve; quando poi le nubi più dense si congelano con un movimento più turbinoso produce la grandine; quando si è rarefatta produce il sereno. Tutto ciò avviene per effetto dell'occulta volontà e dell'azione di Dio che governa tutte le sue creature, dalle più eccelse alle infime. Ecco perché nel Salmo succitato, dopo aver enumerato il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il vento delle bufere 13, perché non si pensasse che quei fenomeni avvengano o siano eccitati senza l'intervento della divina provvidenza, il Salmista soggiunge immediatamente: che ubbidite al suono della sua parola 14.

Il corpo aereo dei demoni.

10. 15. Se gli angeli ribelli prima della loro ribellione avevano un corpo celeste, non c'è nemmeno da stupire che esso per castigo si sia mutato in un corpo aereo in modo da poter provare qualche tormento da parte del fuoco, d'un elemento cioè di natura superiore, per sua natura, a quella dell'aria; ma non è stato loro nemmeno permesso di abitare nelle regioni più alte e più serene dell'atmosfera ma in queste caliginose di quaggiù che, in rapporto alla loro natura, sono per essi come una specie di prigione fino al giorno del giudizio. Se però occorre fare indagini più accurate su questi angeli ribelli, si faranno più opportunamente se ci si presenterà qualche altro passo della Scrittura. Per ora quindi ci basterà dire: se queste regioni burrascose e tempestose, per la natura dell'atmosfera che si estende fino alle acque e alle terre, possono sostenere corpi aerei, possono sostenere anche il corpo degli uccelli, prodotti a partire dalle acque, grazie ai leggeri vapori che esalano dalle acque; questi vapori, cioè, esalando penetrano nell'aria medesima che circola presso le acque e le terre ed è perciò assegnata alla parte più bassa e terrestre del mondo e con l'aria forma il complesso dell'atmosfera. Le suddette esalazioni rese pesanti dal freddo della notte si depositano anche in gocce sotto forma di rugiada quando è sereno e, se il freddo è più acuto, sotto forma di brina biancheggiante.

Gli animali terrestri.

11. 16. E Dio disse: La terra faccia uscire esseri viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e fiere terrestri secondo la loro specie, animali domestici secondo la loro specie. E così avvenne. E Dio fece le fiere terrestri secondo la loro specie, gli animali domestici secondo la loro specie e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che sono cose buone 15. Era logico che ormai Dio dotasse di esseri viventi appropriati la seconda parte più bassa nel mondo, cioè la terra propriamente detta, sebbene in altri passi la Scrittura denoti globalmente con il termine "terra" tutta la regione più bassa con tutti gli abissi e l'atmosfera in cui si formano le nubi. Sono d'altronde ben note le specie degli animali fatte uscire dalla terra in virtù della parola di Dio. Ma poiché sovente sotto il nome di "animali domestici" o di "fiere" si è soliti intendere tutti gli animali privi di ragione, possiamo chiederci giustamente quali sono qui chiamate "fiere" e quali "animali domestici" in senso proprio. Non c'è dubbio che per animali striscianti e rettili della terra la Scrittura vuole intendere ogni specie di serpenti, sebbene possano chiamarsi anche fiere ma nel linguaggio comune non si adatta ai serpenti il nome di animali domestici. Per contro, ai leoni, ai leopardi, alle tigri, ai lupi, alle volpi, perfino ai cani e alle scimmie e a tutti gli altri animali dello stesso genere si adatta secondo l'uso comune della lingua il nome di "fiere". Il nome di "animali domestici", invece, siamo soliti applicarlo in senso più appropriato agli animali che sono al servizio degli uomini sia per aiutarli nei lavori, come i buoi, i cavalli e gli altri animali di tal genere, sia per dare la lana e il nutrimento, come le pecore e i maiali.

I quadrupedi.

11. 17. Che cosa sono dunque i quadrupedi? Poiché, sebbene tutti questi animali camminino su quattro zampe, eccettuati alcuni che strisciano, tuttavia, qualora [l'agiografo] non avesse voluto denotare con questo termine alcune specie determinate di animali, quantunque non ne parli più nel ripetere l'elenco. Sono forse chiamati quadrupedi in senso proprio i cervi, i caprioli, gli asini selvatici e i cinghiali - non possono infatti annoverarsi nella categoria delle belve in cui sono annoverati i leoni e, sebbene simili agli animali domestici, non sono tuttavia come quelli oggetto delle cure dell'uomo - come se questi animali fossero i rimanenti ai quali sarebbe data quella denominazione che in genere denota molti animali - è vero - a causa d'un certo numero di zampe, ma che ha tuttavia un significato speciale? Oppure, dato che ripete tre volte: secondo la loro specie 16, c'invita forse a considerare tre specie d'animali? Dapprima i quadrupedi e i rettili secondo la loro specie: [l'agiografo] indicherebbe, a mio avviso, quelli da essa chiamati quadrupedi, quelli cioè annoverati nella classe dei rettili come le lucertole, le tarantole e altri dello stesso genere. Ecco perché nel ripetere l'enumerazione non ripete una seconda volta il termine "quadrupedi" poiché, probabilmente, li comprende sotto il nome di "rettili" e perciò nel ripetere l'enumerazione non dice semplicemente "i rettili", ma dice: tutti i rettili della terra 17, ove aggiunge della terra perché vi sono anche i rettili delle acque e aggiunge: tutti poiché vi sono anche quelli che camminano su quattro zampe e che prima erano stati indicati col nome di "quadrupedi". Le fiere, invece, di cui [l'agiografo] dice ugualmente: secondo la loro specie, comprenderebbero, a eccezione dei serpenti, tutti gli animali che aggrediscono con i denti o con gli artigli. Al contrario gli animali di cui per la terza volta [lo scrittore sacro] dice: secondo la loro specie, sarebbero quelli che non feriscono né con i denti né con gli artigli o con le corna o neppure con queste. Ho già detto più sopra infatti che il termine "quadrupedi" è molto generico e si applica facilmente a tutti gli animali riconoscibili dalle quattro zampe e ho detto anche che sotto il nome di animali domestici e di fiere sono compresi talora tutti gli animali privi di ragione. Ma anche il termine fera ("belva, bestia selvatica") ha spesso in latino il medesimo significato. Io non dovevo tuttavia trascurare di esaminare come questi termini, che non senza motivo sono usati in questo passo delle Scritture, possono essere destinati a indicare anche un senso preciso e speciale che si può riconoscere facilmente nel linguaggio comune d'ogni giorno.

La formula: secondo la loro specie e le ragioni eterne.

12. 18. Anche il lettore non senza motivo resta imbarazzato nel risolvere il quesito se [lo scrittore sacro], senza un'intenzione particolare e, diciamo così, per caso o per una ragione speciale, usi la formula: secondo la loro specie, come se le specie esistessero anche prima degli esseri di cui è narrata la creazione la prima volta. O si deve forse pensare che quelle specie esistevano nelle regioni superiori ossia spirituali, conformi alle quali sono creati gli esseri di quaggiù? Ma se la cosa stesse in questi termini, la stessa formula sarebbe stata usata a proposito della luce, del cielo, delle acque e delle terre e dei luminari del cielo. Qual è infatti, tra quelli suddetti, l'essere la cui eterna e immutabile ragione di esistere non risieda con la sua potenzialità nella stessa Sapienza di Dio, la quale si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà 18? Ora, [l'agiografo] usa questa formula per la prima volta quando parla delle erbe e degli alberi fino a quando narra la creazione degli animali terrestri. D'altra parte, benché la formula non ricorra nella prima menzione degli animali che Dio creò traendoli dalle acque, tuttavia nella ripetizione della frase si trova detto: E Dio fece i grandi mostri marini e ogni essere vivente degli animali che strisciano, fatti uscire dalle acque secondo la loro specie e tutti i volatili pennuti secondo la loro specie 19.

Altre spiegazioni possibili.

12. 19. Forse per il fatto che questi esseri furono creati perché da essi ne nascessero altri e nella successione conservassero la stessa natura originaria, [l'agiografo] usa la formula: secondo la loro specie per indicare la propagazione della stirpe grazie alla quale erano destinati a perdurare com'erano stati creati? Ma per qual motivo, a proposito degli alberi e delle erbe non solo è usata l'espressione: secondo la loro specie, ma anche quest'altra: a loro somiglianza, sebbene anche gli animali, tanto acquatici che terrestri, generino i discendenti a loro somiglianza? O forse perché la somiglianza è una conseguenza di una data specie, [lo scrittore sacro] non ha voluto ripetere la seconda formula? In realtà non sempre ha ripetuto neanche il termine "seme", pur essendo insìto non solo nelle erbe e negli alberi ma anche negli animali, anche se non in tutti; poiché è stato osservato che alcuni animali nascono dalle acque o dalla terra senza avere alcun sesso e perciò il loro seme non è insito in essi ma negli elementi da cui nascono. La formula: secondo la loro specie è dunque da intendersi solo riguardo agli animali che hanno sia il potere del seme per riprodursi sia la somiglianza di quelli che succedono a quelli che scompaiono, poiché nessuno di essi è stato creato in modo da esistere una volta per sempre, tanto se destinato a perdurare quanto se destinato a sparire senza alcuna discendenza.

Perché quella formula non è usata per l'uomo.

12. 20. E allora per qual motivo anche dell'uomo non è detto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza secondo la propria specie", essendo evidente che anche l'uomo si riproduce? Forse perché Dio aveva creato l'uomo in modo che non dovesse morire, qualora avesse voluto osservare il precetto e perciò non era necessario chi succedesse a lui una volta scomparso? Ma dopo il peccato l'uomo fu paragonato e divenne simile agli animali privi di ragione 20, di modo che ormai i figli di quel mondo generano e sono generati affinché la specie dei mortali possa sussistere col mantenere la discendenza. Che significa, dunque, la benedizione pronunciata dopo la creazione dell'uomo [nei seguenti termini]: Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra, dato che ciò poteva avvenire [solo] con la generazione? Dobbiamo forse astenerci dall'avventare alcune ipotesi in proposito finché non arriveremo a quel passo della Scrittura ove tale problema dev'essere esaminato e spiegato con maggior attenzione? Per adesso infatti potrebbe forse essere sufficiente pensare che a proposito dell'uomo sarebbe stata omessa l'espressione: secondo la sua specie, per il fatto ch'egli fu creato da solo, mentre da lui fu tratta anche la donna quando fu creata. In realtà non vi sono molte specie di uomini come invece ve ne sono d'erbe, di alberi, di pesci, di volatili, di serpenti, d'animali domestici, di belve. Per conseguenza l'espressione: secondo la loro specie la dovremmo intendere nel senso di: "per via della riproduzione" per distinguere dalle altre creature gl'individui simili tra loro e che derivano da un unico germe originale.

Perché la benedizione fu da Dio impartita, oltre all'uomo, ai soli animali acquatici.

13. 21. Viene posto anche quest'altro quesito: per qual motivo gli animali prodotti dalle acque meritarono un sì grande onore di ricevere, da parte del Creatore, soltanto essi la benedizione come gli uomini? Dio infatti benedisse anch'essi dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra 21. Secondo questa ipotesi la benedizione avrebbe dovuto essere pronunciata per la prima creatura capace di riprodursi, vale a dire per l'erba e per l'albero. O forse il Creatore pensò che la benedizione espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi fosse fuor di proposito se rivolta a creature in cui non esiste alcun desiderio di propagare la prole e generano senza alcuna coscienza, mentre, per gli animali che hanno siffatto desiderio, il Creatore avrebbe pronunciato per la prima volta la detta benedizione in modo che, senz'essere ripetuta, la s'intendesse valida anche per gli animali terrestri? Sarebbe invece stato necessario ch'essa fosse ripetuta per l'uomo affinché non si dicesse che nella funzione di generare i figli c'è qualche peccato come invece è non solo nella passione carnale della fornicazione ma anche nell'uso smodato dello stesso matrimonio.

I problemi relativi agli insetti.

14. 22. C'è ancora un altro problema riguardante certi animali piccolissimi, se cioè furono creati al principio della corruzione o derivarono in seguito dalla corruzione degli esseri mortali. La maggior parte d'essi infatti nasce o da alterazioni patologiche dei corpi viventi o dai loro escrementi o dalle loro esalazioni oppure dai cadaveri putrefatti, alcuni altri nascono anche dalle parti marcite della legna e delle erbe, alcune dal marciume dei frutti. A proposito di tutti questi animaletti non abbiamo tuttavia il diritto di dire che non ne sia creatore Dio, poiché tutti hanno una sorta di bellezza naturale propria della loro specie, una bellezza tale da suscitare una meraviglia maggiore in chi li considera attentamente e da far lodare di più l'Artefice onnipotente che tutto ha fatto mediante la Sapienza 22 la quale, estendendosi da un confine all'altro e governando tutto con bontà 23, non lascia allo stato informe neppure gl'infimi esseri della natura, che si corrompono conforme al grado della loro specie - la cui dissoluzione c'inorridisce a causa del castigo che ci ha resi mortali -, crea però animali dal corpo piccolissimo ma dai sensi acuti sicché, se li osservassimo con maggiore attenzione, dovremmo stupirci più dell'agilità d'una mosca che vola anziché della potenza d'un giumento che cammina e dovremmo ammirare di più le opere delle formiche che non i carichi pesanti portati dai cammelli.

La creazione degli insetti e il problema della generazione spontanea.

14. 23. Ma veniamo al problema già accennato, se cioè dobbiamo pensare che questi esseri piccolissimi furono creati anch'essi nella prima creazione delle cose, o come conseguenza della decomposizione dei corpi corruttibili. Si può tuttavia dire che gli esseri piccolissimi, che traggono origine dall'acqua e dalla terra, furono fatti nella creazione primitiva. Tra essi non è illogico annoverare altresì quelli che nascono dalle piante, prodotte dalla forza generatrice della terra, sia perché queste creature avevano preceduto la creazione non solo degli animali ma anche dei luminari, sia perché mediante la stretta connessione delle radici sono collegate alla terra, dalla quale spuntarono il giorno in cui apparve la terra asciutta. Dovremmo per conseguenza pensare che questi animali minutissimi sono un'integrazione della terra abitabile piuttosto che appartenenti al numero degli abitanti. Quanto invece a tutti gli altri esseri che nascono dal corpo degli animali e soprattutto dai cadaveri è del tutto irragionevole affermare che furono creati contemporaneamente ai medesimi animali se non nel senso che in tutti i corpi animati erano insiti una certa potenza naturale e i germi, diciamo così, seminati in antecedenza e in certo qual modo abbozzati degli animali futuri destinati a nascere - ciascuno conforme alla propria specie e alle proprie caratteristiche - dalla corruzione di quei corpi grazie all'ineffabile governo del Creatore che tutto muove senza subire mutamenti.

Perché furono creati gli animali nocivi.

15. 24. Anche a proposito delle specie degli animali velenosi e nocivi si suol porre il quesito se furono creati dopo il peccato dell'uomo allo scopo di punirlo o se invece, creati dapprima innocenti, solo in seguito cominciarono a esser nocivi per i peccatori. Ma neppure ciò deve sorprenderci, dal momento che nel corso di questa vita, piena d'affanni e d'afflizioni, nessuno è talmente virtuoso da osare di dirsi perfetto, come attesta sinceramente l'Apostolo che dice: Non ch'io abbia conquistato il premio o sia già arrivato alla perfezione 24. Inoltre tentazioni e molestie corporali sono ancora necessarie per esercitare e perfezionare la virtù nella debolezza, come dichiara ancora il medesimo Apostolo, il quale dice che, affinché non montasse in superbia per le grandi rivelazioni, gli fu messa una spina nella carne, un angelo di Satana perché lo schiaffeggiasse e, pur avendo pregato per tre volte il Signore d'allontanarlo da lui, ebbe la seguente risposta: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesta appieno nella debolezza 25; ciononostante anche il servo di Dio, Daniele, visse senza paura e incolume in mezzo ai leoni 26; eppure egli nella preghiera innalzata a Dio, confessa schiettamente non solo i peccati del suo popolo, ma anche i suoi personali 27; e così pure una vipera morse lo stesso Apostolo senza però fargli alcun male 28. Questi animali, dunque, anche se creati all'origine del mondo, sarebbero potuti essere innocui, se non vi fosse stato alcun motivo di far temere e punire i vizi o di mettere alla prova e portare a perfezione la virtù, poiché è necessario mostrare esempi di pazienza per il progresso spirituale degli altri; l'uomo inoltre nelle prove acquista una migliore conoscenza di se stesso; è infine giusto che la salvezza eterna, perduta vergognosamente a causa del piacere, venga recuperata coraggiosamente mediante il dolore.

Perché furono create le bestie che si danneggiano a vicenda.

16. 25. Qualcuno però obietterà: "Per qual motivo dunque le bestie si danneggiano a vicenda, dato ch'esse non hanno alcun peccato perché possa parlarsi d'un castigo, né acquistano alcuna virtù con l'esercizio di tale attività?". Evidentemente il motivo è che le une sono cibo delle altre e perciò avremmo torto a dire: "Non ci dovrebbero essere bestie che fossero cibo delle altre". Tutte le creature infatti, fintanto che esistono, hanno le loro misure, i loro ritmi di sviluppo, le loro leggi: tutte cose queste che, se considerate come si deve, meritano lode, e le loro trasformazioni, anche quando si tratta d'un passaggio da un bene a un altro, obbediscono all'economia specifica ma occulta della bellezza del divenire. Se queste leggi sfuggono agli stolti, appaiono invece in una luce fioca ai progredienti ma in piena luce ai perfetti. Tutte queste attività delle creature inferiori offrono all'uomo salutari ammaestramenti: gli fan capire quanto deve impegnarsi per arrivare alla salvezza eterna dell'anima, grazie alla quale egli è superiore a tutti gli animali irragionevoli, al vedere che tutte le bestie, dai più grossi elefanti ai più piccoli vermiciattoli, fanno tutto ciò di cui sono capaci sia lottando sia mettendosi in guardia per conservare l'esistenza fisica e temporale data loro in sorte dalla posizione inferiore nella graduatoria conforme alla loro specie. Questo non appare se non quando alcuni animali, cercano il ristoro per il loro corpo nel corpo degli altri, resistendo altri con tutte le forze o ricorrendo alla fuga o mettendosi al riparo nei nascondigli. In verità anche lo stesso dolore fisico in ogni essere animato è una grande e meravigliosa potenza dell'anima in quanto mantiene in vita la compagine corporea in virtù della sua misteriosa fusione e la riduce a una certa unità conforme alla propria natura, poiché soffre non con indifferenza ma, per così dire, con indignazione che tale unità venga alterata e dissolta.

Perché gli animali dilaniano i cadaveri per cibarsene.

17. 26. Uno forse potrebbe fare anche un'altra obiezione, e cioè: ammettiamo pure che gli animali nocivi facciano del male alle persone viventi per castigarle o le esercitino ai fini della loro salvezza o le mettano alla prova per loro vantaggio o le istruiscano a loro insaputa; ma per quale motivo dilaniano perfino i cadaveri umani per cibarsene? Come se importasse alcunché alla nostra utilità sapere per quali vie la nostra carne esanime vada nelle segrete profondità della natura dalle quali dovrà poi essere tirata fuori per essere formata di nuovo dalla mirabile potenza del Creatore! Anche da questo fatto, peraltro, si può trarre un ammonimento per i saggi: quello cioè d'affidarsi alla fedeltà del Creatore, il quale con ordini misteriosi governa gli esseri tutti, dai più piccoli ai più grandi, e conosce perfino il numero dei capelli della nostra testa 29, e ciò affinché non abbiano orrore d'alcun genere di morte a causa di vane preoccupazioni per i propri cadaveri, ma non siano esitanti a preparare il vigore della fortezza prodotta dalla fede per affrontare qualsiasi evenienza.

Perché e quando furono creati i rovi e le spine.

18. 27. Una simile questione suole sorgere anche a proposito delle spine e dei rovi oltre che di certi alberi non fruttiferi e cioè per qual motivo e quando sono stati creati, dal momento che Dio disse: La terra produca l'erba commestibile avente in sé il seme e alberi fruttiferi che producano frutti 30. Ma coloro che si lasciano impressionare da questa obiezione non comprendono nemmeno quale senso ha il termine "usufrutto" nelle comuni formule del diritto umano. Con il termine "frutto", s'intende infatti qualsiasi utilità derivante a chi usa qualcosa. Orbene dei numerosi vantaggi, sia palesi che occulti, di tutto ciò che la terra produce e nutre mediante le radici, alcuni possono vederli da se stessi, mentre riguardo agli altri si possono informare da coloro che li conoscono.

Una risposta più esauriente sui rovi.

18. 28. Quanto alle spine e ai rovi si può dare una risposta ancor più esauriente, poiché dopo il peccato, a proposito della terra, fu detto all'uomo: Spine e rovi produrrà per te 31. Non si deve tuttavia affermare senz'altro che la terra cominciò a produrli solo allora. Infatti, poiché anche tra le varie specie di semi si trovano molte utilità, forse potevano aver il loro posto nella natura senza costituire alcun castigo per l'uomo. Ma quanto al fatto che le spine nascessero anche nei campi in cui ormai l'uomo era condannato a lavorare, si può pensare che ciò fosse un aggravio del suo castigo, poiché sarebbero potute nascere in altri luoghi sia per nutrimento degli uccelli e del bestiame, sia per altri bisogni degli stessi uomini. C'è pertanto un'altra interpretazione che non è incompatibile con queste parole: produrrà per te spine e rovi, se le prendiamo nel senso che la terra avrebbe prodotto spine anche prima del peccato per procurare non già afflizione all'uomo ma un nutrimento adatto ad ogni sorta d'animali: ce ne sono infatti alcuni che si cibano di questa specie di piante, siano esse tenere o secche, come d'un nutrimento adatto e gradito. Il suolo al contrario avrebbe cominciato a produrre queste spine per procurare una fatica penosa all'uomo quando, dopo il peccato, cominciò a lavorare la terra. Non già che le spine in precedenza nascessero in altri luoghi e dopo il peccato nei campi coltivati dall'uomo per raccoglierne le messi, ma sia prima che dopo nascevano nei medesimi luoghi; tuttavia non nascevano per l'uomo in precedenza, ma in seguito, essendo ciò indicato dall'inciso aggiunto alla frase, poiché la Scrittura non dice solo: spine e rovi produrrà, ma: produrrà per te, vale a dire: "queste spine cominceranno a nascere per te al fine di procurarti fatica, mentre prima nascevano solo per essere il nutrimento di altri animali".

Perché solo quando creò l'uomo Dio disse: Facciamo...

19. 29. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio creò l'uomo, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò. E Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela e dominate sui pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio disse: Ecco, io vi ho dato ogni erba commestibile che produce seme che si trova su tutta la terra, e ogni albero che ha in sé frutto produttore di seme: sarà cibo per voi e per tutte le bestie della terra, per tutti gli uccelli del cielo e per tutti i rettili che strisciano sulla terra, e hanno il soffio vitale, e così per nutrimento [vi do] ogni specie d'erba verdeggiante. E così avvenne. E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco: sono cose molto buone. E fu sera e mattina: il sesto giorno 32. Avremo in seguito più volte occasione più opportuna di considerare e discutere con maggior attenzione la natura dell'uomo. Per adesso tuttavia, al fine di concludere la nostra investigazione e la nostra spiegazione sulle opere dei sei giorni, diciamo anzitutto, brevemente, che si deve porre in rilievo il significato del fatto che, mentre a proposito delle altre opere la Scrittura dice: Dio disse: Sia fatto, qui invece dice: Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, allo scopo naturalmente d'indicare, per così dire, la pluralità delle persone a motivo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tuttavia, per ricordarci che quella pluralità dobbiamo intenderla come l'unità divina, [l'agiografo] soggiunge immediatamente: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, e non come se il Padre lo [avesse fatto] a immagine del Figlio o il Figlio a immagine del Padre - altrimenti l'espressione: a nostra immagine non sarebbe giusta se l'uomo fosse stato fatto a immagine del solo Padre o del solo Figlio - ma la Scrittura dice: Dio lo fece a immagine di Dio, come se dicesse: "Dio lo fece a sua immagine". Ma poiché ora dice: a immagine di Dio, dopo aver detto poco prima: a immagine nostra, vuole indicarci che la pluralità delle persone non deve indurci a dire o credere o intendere che ci siano più dèi, ma dobbiamo intendere che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - cioè la Trinità a cui si riferisce l'espressione: a nostra immagine - sono un solo Dio conforme all'espressione: a immagine di Dio.

Rispetto a che cosa l'uomo è immagine di Dio.

20. 30. A questo punto non si deve neppure passare sotto silenzio che, dopo aver detto: a nostra immagine, la Scrittura soggiunge immediatamente: e abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo 33 e su tutti gli altri animali privi di ragione, per farci intendere, appunto che l'uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione. Orbene, questa facoltà è proprio la ragione o mente o intelligenza o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà. Ecco perché l'Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo 34, che si rinnova per la conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creato 35. Queste espressioni mostrano assai bene in rapporto a che cosa l'uomo è stato creato a immagine di Dio, e cioè non rispetto alle fattezze del corpo ma alla natura - diciamo così - intelligibile dell'anima quando è stata illuminata.

Perché nella creazione dell'uomo non fu detto: e così avvenne.

20. 31. Ecco perché la Scrittura non dice: " E così fu fatto ", per ripetere: E Dio fece, come dice a proposito della luce primordiale - se è giusto pensare che, mediante quel termine è denotata la luce intellettuale, partecipe dell'eterna e immutabile sapienza di Dio - poiché, come abbiamo spiegato nella misura della nostra capacità, non aveva luogo alcuna conoscenza del Verbo di Dio nella prima creatura, affinché in seguito a quella conoscenza fosse creato quaggiù ciò ch'era creato nel Verbo; ma in primo luogo veniva creata la luce mediante la quale potesse avvenire la conoscenza del Verbo di Dio, per mezzo del quale veniva creata, conoscenza consistente precisamente nel volgersi dal proprio stato informe verso Dio, che la formava, e nell'essere, così, creata e formata. In seguito, però, a proposito della creazione degli altri esseri, la Scrittura dice: E così fu fatto, espressione con cui si vuole indicare che la conoscenza del Verbo di Dio fu effettuata prima in quella luce, vale a dire nella creatura intellettuale; quando poi in seguito essa dice: E Dio fece, mette in evidenza che viene creata la specie della stessa creatura pronunciata nel Verbo di Dio e predestinata a esser fatta. Questa formula è conservata anche a proposito della creazione dell'uomo. Dio infatti disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 36, ecc.; ma in seguito l'agiografo non dice: E così fu fatto, ma aggiunge: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, poiché anche questa stessa natura è intellettuale come la [prima] luce, e di conseguenza per essa l'essere fatta è lo stesso che riconoscere il Verbo di Dio, mediante la quale è stata creata.

E così avvenne indica la conoscenza degli esseri irrazionali nel Verbo.

20. 32. Se infatti la Scrittura avesse detto: E così fu fatto e poi avesse aggiunto: E Dio fece, si sarebbe potuto intendere che quell'essere fu dapprima creato nella conoscenza della creatura razionale e in seguito in qualche altra creatura che non sarebbe stata razionale; ma, poiché anche l'anima è una creatura razionale, è anch'essa fatta perfetta in virtù della medesima conoscenza. In effetti, allo stesso modo che dopo la caduta a causa del peccato l'uomo è rinnovato nella conoscenza di Dio per essere immagine di Colui che lo ha creato, così è stato creato nella stessa conoscenza prima che invecchiasse a causa del peccato, condizione questa da cui esce rinnovato per la medesima conoscenza. Riguardo invece a certe creature che sono state create senza questa conoscenza, perché si trattava d'anime irrazionali, la loro conoscenza fu prodotta dapprima nella creatura intellettuale dal Verbo, mediante il quale fu detto: "Esistano". A proposito di questa conoscenza la Scrittura dice dapprima: E così fu fatto, per mostrare che questa conoscenza dell'essere da creare fu prodotta nella creatura ch'era capace di conoscere ciò dapprima nel Verbo di Dio; in seguito furono create le stesse creature corporee e irrazionali e per questo motivo la Scrittura aggiunge: E Dio fece.

Immortalità dell'uomo e generazione.

21. 33. Come mai però l'uomo, sebbene fosse stato creato immortale, ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l'erba dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l'erba verdeggiante, è difficile a dirsi. Se infatti l'uomo divenne mortale a causa del peccato, non aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che l'ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra 37, supponga che ciò non potesse avvenire senza l'amplesso coniugale del maschio e della femmina - cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali - si potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d'unione nei corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento d'amore di benevolenza, privo di qualsiasi sensualità del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a quando la terra non sarebbe stata ripiena d'uomini immortali: in tal modo, dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite. Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere sostenuta è un'altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per ristorare le loro forze.

Secondo alcuni la creazione dell'anima è indicata con il verbo "fece", quella del corpo con "plasmò".

22. 34. Alcuni poi hanno fatto anche un'altra ipotesi, che cioè allora fu creato solo l'uomo interiore, mentre il corpo dell'uomo sarebbe stato creato in seguito, quando la Scrittura dice: E Dio plasmò l'uomo con la polvere della terra 38, cosicché la parola fece si riferirebbe alla creazione dello spirito, plasmò invece a quella del corpo. Costoro però non hanno considerato che la creazione del maschio e della femmina non poté avvenire se non rispetto al corpo. Si potrebbe - è vero - ricorrere a una spiegazione molto sottile, che cioè l'anima dell'uomo, riguardo alla quale egli fu creato a immagine di Dio, sia una specie di vita razionale e abbia due attività distinte: quella di contemplare la verità eterna, e quella di guidare le cose temporali, e in tal modo verrebbe a essere - diciamo così - maschio e femmina, una parte prendendo le decisioni e l'altra obbedendo; tuttavia, se si accettasse questa distinzione, potrebbe chiamarsi giustamente immagine di Dio solo la parte che attende alla contemplazione della verità immutabile. Secondo questo significato simbolico l'apostolo Paolo dice che l'uomo soltanto è immagine e gloria di Dio, la donna invece - dice - è la gloria dell'uomo 39. Sebbene dunque questi due aspetti differenti che si prendono in senso figurato come presenti interiormente soltanto nell'anima dell'uomo, siano simbolizzati esternamente e fisicamente in due creature umane di sesso diverso, tuttavia anche la donna, poiché è femmina solo per il corpo, viene rinnovata anch'essa nello spirito della sua mente per la conoscenza di Dio per essere immagine di colui che l'ha creata, cosa questa per la quale non c'è né maschio né femmina. Allo stesso modo, infatti, che le donne non sono escluse da questa grazia del rinnovamento e della restaurazione dell'immagine di Dio - benché nel loro sesso fisico ci sia un diverso simbolismo nel senso che la Scrittura dice essere immagine e gloria di Dio soltanto l'uomo - così anche nella stessa prima creazione dell'uomo, in quanto la donna era anch'essa una persona umana, aveva di certo la sua anima parimenti razionale, rispetto alla quale è stata anch'essa creata a immagine di Dio. Ma a causa dell'unità [di natura] dei sessi la Scrittura dice: Dio fece l'uomo a immagine di Dio 40; affinché però non si pensasse che allora fu creato soltanto lo spirito dell'uomo - sebbene fosse creato a immagine di Dio solo quanto allo spirito - soggiunse: Dio lo fece, maschio e femmina li fece 41, per farci intendere che allora fu creato anche il corpo. D'altra parte perché non si pensasse che l'uomo fu creato in modo che i due sessi fossero sviluppati in una singola persona umana - come alle volte nascono individui chiamati androgini - la Scrittura lascia intendere d'aver usato il singolare per indicare l'unità dei due sessi, e dice che la donna fu creata venendo tratta dall'uomo, come è detto chiaramente in seguito, quando sarà spiegato più accuratamente ciò che qui è detto brevemente. Ecco perché la Scrittura subito dopo usa il plurale allorché dice: li fece e li benedisse 42. Ma, come ho già detto, esamineremo più attentamente la creazione dell'uomo nel seguito dell'esposizione della Scrittura.

A che si riferisce e che significa: così avvenne?

23. 35. Si deve ora considerare che la Scrittura, dopo aver detto: E così fu fatto, immediatamente aggiunge: E Dio vide tutto ciò che aveva fatto ed ecco è una cosa molto buona 43. Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il potere e la facoltà stessa di prendere per cibo l'erba dei campi e i frutti degli alberi. Per questo l'espressione: E così fu è in relazione con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse: Ecco: vi ho dato l'erba che porta il seme 44, ecc.; se infatti l'espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch'è detto prima, dovremmo ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e s'erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per questo motivo, dopo che fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti e l'uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E così fu, nel senso che l'uomo n'ebbe conoscenza per mezzo della parola di Dio. Poiché se anche allora avesse compiuto quell'azione, se cioè avesse preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza, dopo aver detto: E così fu - che mira ad indicare la suddetta conoscenza -, avrebbe ricordato l'azione stessa e avrebbe detto: "Ne presero e ne mangiarono". La cosa avrebbe potuto essere espressa così, anche senza che venisse nominato la seconda volta Dio, come nel passo ove, dopo aver detto: L'acqua ch'è sotto il cielo s'ammassi in un sol luogo e appaia la terra asciutta 45, soggiunge: E così fu, senza dire di seguito: E Dio fece, benché ripeta: E l'acqua si ammassò nei suoi propri luoghi ecc.

Perché non è detto che l'uomo era buono.

24. 36. Si potrebbe porre poi, a buon diritto, il quesito per quale ragione, a proposito della creatura umana, la Scrittura non dice in particolare come di tutte le altre creature: E Dio vide che è una cosa buona ma, dopo aver narrato la creazione dell'uomo e il potere datogli sia di dominare che di nutrirsi, a proposito di tutte le creature soggiunge: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco sono assai buone 46. La Scrittura infatti avrebbe potuto esprimere dapprima per l'uomo in particolare la compiacenza espressa in particolare per gli altri esseri creati in precedenza e poi, alla fine, dire a proposito di tutte le cose create da Dio: Ed ecco che sono cose molto buone. Oppure si può pensare che, essendo stata compiuta nel sesto giorno tutta la creazione, la Scrittura doveva dire di tutte le cose: Dio vide tutte le cose che aveva create ed ecco che sono molto buone, e non in particolare degli esseri creati quello stesso giorno? Ma allora perché mai siffatta approvazione fu pronunciata a proposito del bestiame, delle bestie selvatiche e dei rettili della terra creati nel medesimo sesto giorno? Forse perché quegli animali meritarono d'essere proclamati buoni, da una parte singolarmente e riguardo alla specie di ciascuno di essi, e dall'altra globalmente con le altre creature, mentre l'uomo fatto a immagine di Dio avrebbe meritato quella approvazione solo rispetto all'insieme di tutte le altre creature? Oppure si potrebbe supporre che l'uomo non era ancora perfetto non essendo stato ancora posto nel paradiso? Come se la Scrittura quella compiacenza, omessa a questo punto, l'avesse espressa dopo che l'uomo vi fu posto.

La natura può essere deformata dal peccato, ma l'universo resta bello.

24. 37. Che diremo dunque? La spiegazione è forse che, prevedendo Dio che l'uomo avrebbe peccato e non sarebbe rimasto nella perfezione dell'immagine di Dio, l'agiografo ha voluto esprimere l'approvazione ch'esso è buono considerandolo non già nella sua individualità ma solo nell'insieme delle creature come per farci capire che cosa sarebbe avvenuto? Poiché, dal momento che le creature che sono state create, le quali rimangono nello stato in cui sono state create possedendo la perfezione da esse ricevuta - sia quelle che non peccarono, sia quelle che non possono peccare - da una parte sono buone individualmente, da un'altra sono tutte molto buone prese nel loro insieme. Non senza un motivo è stato aggiunto l'avverbio molto, poiché anche le membra del corpo sono belle anche se considerate a una a una, ma sono tuttavia molto più belle se viste tutte nell'intero organismo umano; poiché se per esempio l'occhio, attraente e ammirato, lo vedessimo separato dal corpo, non lo diremmo tanto bello quanto lo è se unito alle altre membra e se visto situato al suo posto nell'intero corpo. Al contrario le creature, le quali peccando perdono la loro propria bellezza, non causano in alcun modo la conseguenza di non essere buone anch'esse, regolate come sono con la totalità e l'insieme degli esseri. L'uomo, quindi, prima del peccato era buono anche se considerato [separatamente] nella sua propria natura specifica, ma la Scrittura tralasciò di dirlo enunciando una cosa per predire qualche altra cosa che doveva avvenire. La Scrittura infatti non dice nulla di falso a proposito dell'uomo. Poiché, se uno è buono individualmente, lo è certamente ancor di più preso in unione con tutti; ma non ne viene di conseguenza che, se uno è buono nell'insieme di tutti, lo sia anche individualmente. L'agiografo pertanto ha seguito un giusto criterio dicendo ciò ch'era vero per allora e indicando ciò che Dio prevedeva sarebbe avvenuto. Poiché Dio, creatore sommamente buono delle nature, è sommamente giusto ordinatore di quelle che peccano, in modo però che anche se alcune creature diventano individualmente brutte a causa del peccato, cionondimeno l'universo con l'inclusione di esse, resta sempre bello. Ma ora dobbiamo trattare nel seguente libro gli altri argomenti che vengono in seguito.

 

1 - Gn 1, 20-23.

2 - Sal 148, 4-5.

3 - Sal 148, 4.

4 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.

5 - Cf. Gn 7, 20.

6 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.

7 - LUCANO, Pharsalia 2, 271. 273.

8 - Sal 148, 8-9.

9 - Sal 148, 1.

10 - Sal 148, 7.

11 - Gn 1, 20.

12 - Sal 148, 7.

13 - Sal 148, 8.

14 - Sal 148, 8.

15 - Gn 1, 24-25.

16 - Gn 1, 24.

17 - Gn 1, 24.

18 - Sap 8, 1.

19 - Gn 1, 21.

20 - Cf. Sal 48, 13.

21 - Gn 1, 22.

22 - Cf. Sal 103, 24.

23 - Cf. Sap 8, 1.

24 - Fil 3, 12.

25 - 2 Cor 12, 7-9.

26 - Cf. Dn 6, 22; 14, 38.

27 - Cf. Dn 9, 4-19.

28 - Cf. At 28, 5.

29 - Cf. Lc 12, 7.

30 - Gn 1, 11.

31 - Gn 3, 18.

32 - Gn 1, 26-31.

33 - Gn 1, 28.

34 - Ef 4, 23.

35 - Col 3, 10.

36 - Gn 1, 26.

37 - Gn 1, 22.

38 - Gn 1, 27.

39 - 1 Cor 11, 7.

40 - Gn 1, 27.

41 - Gn 1, 27.

42 - Gn 1, 28.

43 - Gn 1, 30-31.

44 - Gn 1, 29.

45 - Gn 1, 9.

46 - Gn 1, 31.


5 - La discesa dello Spirito Santo sopra gli apostoli e gli altri di­scepoli.

La mistica Città di Dio - Libro settimo - Suor Maria d'Agreda

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58. Nel cenacolo, i dodici apostoli e gli altri discepoli perseveravano lieti aspettando l'adempimento della pro­messa del Signore, confermata dalla grande Regina del cie­lo lì presente, di mandare lo Spirito consolatore che avreb­be insegnato e chiarificato loro quanto avevano ascoltato dal Maestro. Saldamente uniti nella carità, in quei giorni nessuno ebbe pensieri, sentimenti o gesti in contrasto con gli altri: erano tutti un cuor solo ed un'anima sola nel giu­dicare e nell'operare. Tra questi nuovi figli della Chiesa non si manifestò un minimo principio o segno di discordia, neppure quando ebbe luogo l'elezione di san Mattia. In oc­casioni simili la diversità dei pareri può muovere la vo­lontà in modo da creare dissapori anche tra persone in grande armonia, perché ciascuno è intento a seguire il pro­prio punto di vista e non ad accogliere l'opinione altrui. In quella santa riunione invece non si infiltrò divisione, poi­ché i presenti furono corroborati dalla preghiera, dal di­giuno e dall'attesa concorde della visita dello Spirito San­to, il quale non dimora nei cuori in conflitto. Per cono­scere quanto la comunione che li animava fosse forte e po­tente, tale non solo da renderli idonei a ricevere il Para­clito, ma anche da vincere e mettere in fuga i demoni, av­verto che questi ultimi dall'inferno, dove stavano sprofon­dati fin dal momento della morte di Gesù, si sentirono col­piti da una nuova oppressione e furono presi da terrore per le virtù di coloro che erano nel cenacolo. Essi ignora­vano di che cosa si trattasse, ma comprendevano che era lì la fonte della forza sconosciuta che li abbatteva. Intui­vano che il loro impero stava per andare in rovina proprio a causa di ciò che i discepoli di Cristo cominciavano ad operare nel mondo con la parola e con l'esempio.

59. La Regina degli angeli, piena di scienza e di grazia, conobbe il momento preciso stabilito dalla divina volontà per inviare lo Spirito Santo sopra il collegio apostolico. Men­tre stavano per compiersi i giorni della Pentecoste, cioè i cinquanta giorni dopo la risurrezione del Redentore nostro, la beatissima Madre vide che, in cielo, l'umanità della per­sona del Verbo presentava all'eterno Padre la promessa che il medesimo Salvatore aveva fatta ai suoi apostoli mentre era nel mondo. Vide inoltre che era imminente il tempo fis­sato dalla sua infinita sapienza per ricolmare di questa gra­zia la Chiesa , radicandola nella fede obbediente alla parola annunciata da suo Figlio ed elargendole i doni che egli le aveva ottenuto. Cristo ricordò i meriti da lui acquistati nel­la carne mortale con la sua santissima vita, passione e mor­te, e le sue opere in favore degli uomini, dei quali era me­diatore, avvocato, intercessore al cospetto dell'Altissimo; tra di essi, inoltre, viveva la sua dolcissima Madre, in cui le divine Persone si compiacevano. Sua Maestà chiese che il Con­solatore scendesse nel mondo visibilmente, oltre che in for­ma invisibile attraverso la grazia, poiché ciò era convenien­te per onorare la legge del Vangelo agli occhi di tutti, per confortare ed incoraggiare ancor più gli apostoli e quanti dovevano predicare la parola di Dio, per infondere terrore nei nemici di Cristo che durante la sua vita nel tempo lo avevano perseguitato e disprezzato sino alla morte di croce.

60. La Vergine santissima, quale pietosa madre dei fe­deli, accompagnò dalla terra questa richiesta presentata in cielo dal nostro Salvatore. Stando umilmente prostrata in forma di croce, conobbe che la beatissima Trinità accetta­va tale preghiera; per attuarla - a nostro modo di inten­dere - le due Persone del Padre e del Figlio, principio dal quale lo Spirito Santo procede e a cui se ne attribuisce l'in­vio, ordinavano alla terza Persona la missione attiva. Ma­ria vide inoltre che la terza Persona, lo Spirito Santo, ac­cettava la missione passiva e acconsentiva a venire nel mondo. Quantunque tutte le Persone divine e le loro ope­razioni esprimano una medesima volontà infinita ed eter­na, senza differenza alcuna, tuttavia le facoltà, che in tut­te e tre le Persone sono indivise ed uguali, hanno in una Persona alcune operazioni "ad intra" che non hanno in un'altra: così, l'intelletto genera nel Padre e non nel Figlio, perché questi è generato; la volontà spira nel Padre e nel Figlio e non nello Spirito Santo, il quale è spirato. Per que­sta ragione si attribuisce al Padre e al Figlio, come a prin­cipio attivo, l'invio "ad extra" dello Spirito Santo, al quale viene attribuito l'essere inviato in modo passivo.

61. In seguito a tali richieste, il giorno di Pentecoste, di buon mattino, sua Altezza esortò gli apostoli, gli altri discepoli e le donne - in tutto centoventi persone ? ad invocare l'Onnipotente più fervidamente e a ravvivare la speranza, poiché ben presto sarebbero stati visitati dal­l'alto. Mentre stavano pregando con la celeste Signora, al­l'ora terza si sentì nell'aria un fragore di tuono ed un ven­to impetuoso accompagnato da un grande splendore, co­me di baleno e di fiamma, che riempì di luce il cenaco­lo; e sopra coloro che erano riuniti si diffuse il Fuoco di­vino. Comparvero sul capo di ognuno alcune lingue del­lo stesso fuoco, nel quale veniva lo Spirito Santo, col­mando tutti e ciascuno di doni sublimi, con effetti assai diversi, nel cenacolo e in Gerusalemme, a seconda dei soggetti.

62. Solo chi abita nei cieli potette ammirare ciò che ac­cadde in Maria: la nostra capacità è troppo inferiore per riuscire ad intenderlo e spiegarlo. La gran Regina fu ele­vata e trasformata in Dio: vide la terza divina Persona chia­ramente e per intuizione; godette della visione beatifica, anche se in modo transeunte, e ricevette più doni dello Spirito lei sola di tutti i santi considerati insieme. In quel lasso di tempo ebbe una gloria superiore a quella degli an­geli e dei beati. Dette lode e rese grazie al Signore più di quanto tutti coloro che vivono in paradiso non facciano per aver egli mandato il Paraclito sulla santa Chiesa ed es­sersi così obbligato ad inviarlo ad essa molte altre volte, governandola e assistendola per suo mezzo fino alla fine dei secoli. In questa occasione, la beatissima Trinità gradì le opere della Vergine e se ne compiacque al punto da tro­varvi pieno compenso per la grazia effusa sul mondo. E non solo: l'Altissimo si considerò come costretto a elargi­re tale beneficio a motivo della presenza sulla terra di que­sta singolare creatura che il Padre considerava come figlia, il Figlio come madre, lo Spirito Santo come sposa, e che pertanto - a nostro modo di intendere - doveva visitare e arricchire dopo averla innalzata a una dignità tanto subli­me. Nella degna e felice sposa furono rinnovati tutti i ca­rismi del Consolatore, con nuove operazioni che noi non siamo in grado di comprendere.

63. Anche gli apostoli, come dice san Luca, furono riem­piti del Fuoco divino che accrebbe in loro in sommo gra­do la grazia giustificante, nella quale essi soli furono con­fermati così da non poterla più perdere. Vennero loro in­fuse rispettivamente, in misura appropriata, le caratteristi­che specifiche dei sette doni: sapienza, intelletto, scienza, pietà, consiglio, fortezza e timore. I Dodici conservarono questa elezione rigeneratrice dovuta a tale grande, mera­viglioso ed inusitato beneficio, affinché fossero ministri idonei della nuova alleanza e fondatori della comunità cri­stiana. Difatti ricevettero una forza divina che li orientava in modo efficace e soave all'eroicità nelle virtù e nella san­tità, come pure li animava a pregare ed agire con pron­tezza e facilità quando affrontavano imprese ardue e diffi­cili, e ciò non con tristezza o sotto l'impulso della neces­sità, ma con gioia e letizia.

64. I medesimi effetti furono operati anche negli altri discepoli presenti nel cenacolo, sui quali discese lo Spi­rito Santo; tuttavia costoro non furono confermati in gra­zia come gli apostoli, ma ebbero i doni con maggiore o minore abbondanza in base alla disposizione dei singoli e in vista dei diversi ministeri ecclesiali che sarebbero sta­ti loro affidati. Anche tra i Dodici ci fu una proporzione: san Pietro e san Giovanni, infatti, a motivo degli alti uf­fici che assunsero - l'uno di governare la Chiesa come ca­po, l'altro di assistere e servire la sua Regina e signora del cielo e della terra - si distinsero in modo particolare nel ricevere queste grazie. La sacra Scrittura afferma che il Soffio divino riempì tutta la casa, non solo a motivo del dono in essa ricevuto dai discepoli ivi felicemente riu­niti, ma perché l'edificio stesso fu inondato di luce am­mirabile e di splendore. Una tale abbondanza di meravi­glie e di prodigi traboccò fuori del cenacolo e si comu­nicò agli abitanti di Gerusalemme, producendo vari e di­versi effetti. Tutti quelli che, mossi da qualche sentimen­to di pietà, avevano interiormente condiviso la sofferen­za del nostro Redentore durante la sua passione e mor­te, dolendosi per i suoi acerbi tormenti e provando rive­renza verso la sua persona, furono illuminati interior­mente dalla grazia, la quale li dispose ad accettare in se­guito la dottrina predicata dagli apostoli. Tra coloro che si convertirono in seguito al primo discorso di san Pie­tro vi furono molti di questi, i quali così ottennero gran frutto dalla compassione provata per la morte di Gesù. Ugualmente ad altri giusti, che si trovavano in Gerusa­lemme fuori del cenacolo, fu donata una grande conso­lazione interiore, grazie alla quale il cuore di ciascuno di­venne disponibile a tal punto da permettere allo Spirito Santo di operarvi nuovi prodigi.

65. In seguito all'effusione del Paraclito, in questo gior­no nella città si verificarono altri fenomeni straordinari, contrari ai precedenti ma non meno portentosi, anche se più nascosti; ad esempio, il fragore di tuono e i lampi, che accompagnarono la venuta dello Spirito, turbarono e intimorirono gli abitanti di Gerusalemme che erano ne­mici del Signore, ognuno nella misura della propria ma­levolenza e perfidia. Gli artefici della morte del nostro Salvatore, distintisi per cattiveria e crudeltà, subirono una punizione del tutto singolare: caddero in terra picchian­do la testa e vi rimasero tre ore. Coloro che avevano fla­gellato sua Maestà morirono immediatamente affogati nel proprio sangue che, per la forte pressione del vento, era fuoriuscito dai vasi sanguigni fino a soffocarli; con ciò pagarono il fio per quel sangue che con tanta malvagità avevano sparso. Il temerario che aveva schiaffeggiato Ge­sù non solo morì repentinamente, ma fu cacciato all'in­ferno in anima e corpo. Altri giudei, pur non morendo, furono puniti con atroci sofferenze e con alcune orribili infermità che, insieme alla colpa volontariamente addos­satasi per l'uccisione del Redentore, si sono trasmesse ai loro discendenti, i quali ancor oggi ne sono resi impuri e deformi. Questo fatto ebbe notevole risonanza in Ge­rusalemme, benché i sommi sacerdoti e i farisei facesse­ro di tutto per nasconderlo, come già avevano fatto ri­guardo alla risurrezione di Cristo. Dal momento che non si trattava di un avvenimento molto importante, però, gli apostoli e gli evangelisti non ne scrissero e fu subito di­menticato, a motivo del subbuglio che si era creato tra i numerosi abitanti.

66. Il castigo raggiunse anche l'inferno, dove i demo­ni per tre giorni provarono un disorientamento e un'op­pressione mai avvertiti prima, così come i giudei erano rimasti stesi al suolo per tre ore. Durante quei giorni, Lu­cifero e i suoi diavoli emisero urla fortissime, per cui i dannati furono presi da uno strazio e da un abbattimen­to indescrivibili, che li gettarono in una dolorosa confu­sione. Oh, Spirito ineffabile ed onnipotente! La santa Chiesa ti chiama "dito di Dio" perché procedi dal Padre e dal Figlio, come il dito dal braccio e dal corpo. In que­sta occasione ho compreso chiaramente che partecipi del­lo stesso potere infinito del Padre e del Figlio. Per la tua presenza regale, cielo e terra si mossero nel medesimo istante, con esiti assai diversificati in tutti i loro abitan­ti, molto simili però a quelli del giorno del giudizio. Ri­colmasti i santi e i giusti della tua grazia, dei tuoi doni e delle tue consolazioni inesprimibili, mentre punisti gli empi e i superbi riempiendoli di angoscia. In ciò riconosco veramente adempiuta la parola da te pronunciata per bocca di Davide, cioè che tu sei il Dio delle vendette e che liberamente operi dando la degna ricompensa ai mal­vagi, affinché non si glorino della loro malizia, né pen­sino che non puoi vederli e scrutare il loro cuore per ri­prenderli e castigarli.

67. Intendano, dunque, gli sciocchi del mondo e sap­piano gli stolti della terra che l'Altissimo conosce i vani pensieri degli uomini e che, se con i fedeli è generoso e soave, con gli empi, al contrario, è rigoroso e giusto. La terza divina Persona in questa circostanza doveva mo­strare l'uno e l'altro aspetto, dal momento che procede­va dal Verbo incarnatosi per amore degli uomini e mor­to per redimerli patendo offese e tormenti innumerevoli senza aprire bocca o contraccambiare le umiliazioni e le ingiurie. Era giusto, dunque, che lo Spirito, venendo nel mondo, assumesse la difesa dell'Unigenito del Padre. I nemici del Signore non furono tutti puniti, ma il ca­stigo dei più empi rimase di esempio per gli altri che lo avevano disprezzato con perfidia: se costoro non si fos­sero arresi alla verità facendo penitenza, approfittando del tempo che veniva loro concesso, avrebbero subito una punizione simile. Al contrario, era conforme a giustizia che venissero premiati e resi idonei al ministero di im­piantare la Chiesa e diffondere la buona novella quei po­chi che avevano accolto il Salvatore, lo avevano ascolta­to e seguito riconoscendolo Messia, e che avrebbero do­vuto predicare la sua dottrina. Alla divina Madre, poi, la visita del Paraclito in un certo senso era dovuta. Come disse l'Apostolo, l'uomo che - conforme all'insegnameno di Mosè - lascia il padre e la madre per unirsi con la sposa è sacramento di Cristo, il quale venne dal se­no del Padre per unirsi alla Chiesa sua sposa nell'uma­nità ricevuta da Maria. Analogamente, lo Spirito Santo doveva scendere per stare con la Vergine , che non è me­no sposa sua di quanto la Chiesa lo sia di Cristo, e che egli non amava meno di quanto il Verbo incarnato ami la Chiesa.

 

Insegnamento della Regina del cielo

68. Figlia mia, i cristiani sono poco attenti e grati al­l'Altissimo per il beneficio loro elargito con l'invio dello Spirito Santo. Fu tanto grande l'amore con cui il Padre volle attirarli a sé che, per renderli partecipi della sua perfezione, mandò prima il Figlio, la sapienza, quale re­dentore e maestro degli uomini, poi lo Spirito Santo, cioè il suo stesso amore, affinché i credenti venissero arrichiti di questi attributi in proporzione alla propria capa­cità interiore. Benché la prima volta il Soffio divino fos­se effuso solo sugli apostoli e sugli altri che stavano con loro, ciò fu pegno e testimonianza dei carismi e delle gra­zie che in seguito tutti i seguaci di Cristo, figli della luce e del Vangelo, avrebbero ricevuto se fossero stati di­sponibili. Venne dunque il Consolatore, in forma e con effetti visibili, sopra quei credenti che veramente erano servi fedeli, umili, sinceri, puri di cuore, pronti ad acco­glierlo. Anche oggi egli viene in molte anime giuste, seb­bene non con segni così appariscenti, poiché non è più necessario né opportuno. Tuttavia la qualità della sua azione è la stessa e penetra in ciascuno nella misura del­la sua docilità.

69. Felice è l'anima che brama e sospira di partecipa­re di questo munifico Fuoco divino che accende, illumina e consuma quanto trova in lei di terreno e carnale; dopo averla purificata, la eleva ad una nuova condizione me­diante l'unione con Dio stesso. Tale felicità, figlia mia, io desidero per te da vera ed amorevole madre e, affinché tu la consegua in pienezza, ti esorto nuovamente a prepara­re il cuore, impegnandoti a conservarlo in una inalterabi­le tranquillità qualunque cosa ti accada. La divina cle­menza vuole porti in alto, in una dimora eccelsa e sicu­ra, dove abbiano fine le tempeste del tuo spirito e non giungano le forze nemiche del mondo e dell'inferno, dove l'Altissimo riposi nella tua quiete e trovi in te un'abita­zione e un tempio degni della sua gloria. Non manche­ranno assalti e tentazioni, che il demonio escogiterà con somma astuzia: tu sii pronta e accorta, affinché nella tua anima non vi sia turbamento né inquietudine. Custodisci interiormente il tuo tesoro e godi le delizie del Signore, i dolci frutti del suo casto amore e della sua sapienza, dal momento che proprio in questo egli ti ha eletta ed esal­tata tra molte generazioni, aprendo generosamente la sua mano verso di te.

70. Considera dunque la tua vocazione: sta' sicura che l'Onnipotente ti offre di nuovo la partecipazione e la co­municazione dello Spirito e dei suoi doni. Sappi però che quando egli li concede non coarta la libertà, perché lascia sempre in potere di chi li riceve la possibilità di volgersi, a proprio arbitrio, al bene o al male; perciò, confidando nella grazia, conviene che tu decida di imitarmi in tutto, non ostacolando l'opera del Consolatore. Per farti intende­re meglio questa dottrina, ti insegnerò come trarre profit­to dai sette doni.

71. Il primo, cioè la "sapienza", ti fa conoscere e gusta­re le cose divine, affinché il tuo cuore sia riscaldato con l'a­more che ti deve animare per esse, ricercando attivamente in ogni cosa buona ciò che è più accetto al Signore. Colla­bora con questa mozione e abbandonati interamente al be­neplacito divino, disprezzando quello che può esserti di im­pedimento, per quanto possa sembrare amabile alla volontà e desiderabile ai sensi. In questo ti aiuta il secondo dono, l`intelletto, dandoti una luce speciale per penetrare profon­damente l'oggetto rappresentato all'intelligenza. Da parte tua, devi cooperare distogliendoti dalle false notizie che il demonio ti presenta, direttamente o per mezzo di altre crea­ture, al fine di distrarre la mente. In realtà, ciò procura gran­de imbarazzo all'intelletto umano, perché si tratta di due in­telligenze incompatibili e la scarsa capacità umana, divisa tra molti oggetti, pone in ciascuno di essi minor attenzione di quella che vi metterebbe se si occupasse di uno solo. Si fa allora esperienza della verità proclamata nel Vangelo: Nes­suno può servire a due padroni. Quando l'anima tutta in­tenta al bene lo comprende, allora le è necessaria la "for­tezza", il terzo dono, per eseguire risolutamente quello che all'intelletto è stato manifestato come migliore e più gradi­to a Dio. Le difficoltà e gli ostacoli che incontrerà saranno vinti con tenacia ed essa si esporrà a qualunque sofferenza, pur di non privarsi dello splendido tesoro che ha scoperto.

72. Molte volte succede che, per l'ignoranza e i dubbi insiti nella natura umana e per il sopraggiungere della ten­tazione, la creatura non riesca a capire il fine e le conse­guenze della verità divina conosciuta. Mentre aspira al me­glio, ella resta confusa tra le diverse possibilità presenta­tele dalla prudenza della carne. In tal caso, le occorre il dono della "scienza", il quarto, che illumina opportunamente per distinguere le cose buone dalle altre, per impa­rare ciò che è sicuro ed anche per comunicarlo, se neces­sario. A questo, segue il dono della "pietà", il quinto, che con forte dolcezza orienta l'anima verso quello che vera­mente piace al Signore e le è di vantaggio spirituale, af­finché compia il bene solo per motivazioni virtuose e non sotto l'impulso di qualche passione naturale. Inoltre, per­ché si governi in tutto con singolare prudenza, occorre il sesto dono, il "consiglio", che dirige la ragione ad agire con accortezza e audacia, dando con discrezione suggeri­menti riguardo a sé e al prossimo, scegliendo i mezzi con­soni al raggiungimento di obiettivi onesti e degni di un se­guace di Cristo. L'ultimo dei doni, il "timore", custodisce tutti gli altri e predispone il cuore a fuggire e a tenersi lon­tano da ogni cosa imperfetta, pericolosa, in contrasto con la santità dell'anima per la quale costruisce come un mu­ro di difesa. Bisogna divenire pienamente consapevoli del­la materia e della modalità proprie dell'azione del santo ti­more, perché la creatura non ecceda in esso temendo sen­za fondamento, come tante volte ti è successo per l'astu­zia del diavolo, il quale ha inoculato in te la paura disor­dinata perfino dei benefici di Dio. Il mio insegnamento ti renderà prudente nel mettere a frutto i doni dell'Altissimo e nel porti di fronte ad essi. Tieni presente che la scienza del temere è proprio l'effetto dei favori concessi dall'Onni­potente: egli la comunica all'anima con dolcezza e pace af­finché sappia stimare ed apprezzare le sue grazie, che non sono di breve durata se provengono dalla mano dell'eter­no Padre. In tal modo il timore non le impedirà di ren­dersi conto del beneficio divino, ma anzi la indirizzerà ad essere grata al Signore con tutte le forze e ad umiliarsi fi­no alla polvere. Conoscendo tali verità senza inganno e la­sciando la vigliaccheria del timore servile, ti resterà il ti­more filiale, con il quale, quasi fosse la tua stella polare, navigherai sicura in questa valle di lacrime.


4-78 Agosto 3, 1901 L’anima che possiede la grazia tiene potestà sull’inferno, sugli uomini e sopra Dio.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Questa mattina il mio adorabile Gesù non ci veniva, onde dopo molto aspettare è venuta la Vergine Mamma conducendolo quasi per forza, ma Gesù sfuggiva. Onde la Vergine Santissima mi ha detto:

(2) “Figlia mia, non ti stancare nel chiederlo, ma sii importuna, che questo sfuggire che fa è segno che vuol fare qualche castigo, perciò sfugge la vista delle persone amate, ma tu non ti arrestare, perché l’anima che possiede la grazia tiene potestà sull’inferno, sugli uomini e sopra Dio stesso, perché essendo la Grazia parte di Dio stesso, e possedendola l’anima, non tiene forse il potere sopra ciò che essa stessa possiede?”

(3) Onde dopo molto stentare costretto dalla Mamma Regina, ed importunato da me è venuto, ma con aspetto imponente, serio, in modo che non si ardiva di parlare, non sapevo come fare per farlo spezzare quell’aspetto sì imponente. Ho pensato di uscire a parlare cogli spropositi dicendogli: “Dolce mio bene, vogliamoci bene, se non ci amiamo noi, chi ci deve amare? E se non vi contentate del mio amore, chi mai potrà contentarvi? Deh! dammi un segno certo che sei contento del mio amore, altrimenti io vengo meno, io muoio”. Ma chi può dire tutti i spropositi che ho detto? Credo meglio passarle innanzi, ma con ciò pare che sono riuscita a spezzare quell’aria imponente che teneva, e mi ha detto:

(4) “Allora sarò contento del tuo amore, quando il tuo amore sorpasserà il fiume dell’iniquità degli uomini, perciò pensa ad accrescere il tuo amore, che di più sarò contento di te”.

(5) Detto ciò è scomparso.