Liturgia delle Ore - Letture
Mercoledi della 27° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Giovanni 12
1Sei giorni prima della Pasqua, Gesù andò a Betània, dove si trovava Lazzaro, che egli aveva risuscitato dai morti.2E qui gli fecero una cena: Marta serviva e Lazzaro era uno dei commensali.3Maria allora, presa una libbra di olio profumato di vero nardo, assai prezioso, cosparse i piedi di Gesù e li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì del profumo dell'unguento.4Allora Giuda Iscariota, uno dei suoi discepoli, che doveva poi tradirlo, disse:5"Perché quest'olio profumato non si è venduto per trecento denari per poi darli ai poveri?".6Questo egli disse non perché gl'importasse dei poveri, ma perché era ladro e, siccome teneva la cassa, prendeva quello che vi mettevano dentro.7Gesù allora disse: "Lasciala fare, perché lo conservi per il giorno della mia sepoltura.8I poveri infatti li avete sempre con voi, ma non sempre avete me".
9Intanto la gran folla di Giudei venne a sapere che Gesù si trovava là, e accorse non solo per Gesù, ma anche per vedere Lazzaro che egli aveva risuscitato dai morti.10I sommi sacerdoti allora deliberarono di uccidere anche Lazzaro,11perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù.
12Il giorno seguente, la gran folla che era venuta per la festa, udito che Gesù veniva a Gerusalemme,13prese dei rami di palme e uscì incontro a lui gridando:
'Osanna!
Benedetto colui che viene nel nome del Signore,'
il re d'Israele!
14Gesù, trovato un asinello, vi montò sopra, come sta scritto:
15'Non temere, figlia di Sion!
Ecco, il tuo re viene,
seduto sopra un puledro d'asina.'
16Sul momento i suoi discepoli non compresero queste cose; ma quando Gesù fu glorificato, si ricordarono che questo era stato scritto di lui e questo gli avevano fatto.17Intanto la gente che era stata con lui quando chiamò Lazzaro fuori dal sepolcro e lo risuscitò dai morti, gli rendeva testimonianza.18Anche per questo la folla gli andò incontro, perché aveva udito che aveva compiuto quel segno.19I farisei allora dissero tra di loro: "Vedete che non concludete nulla? Ecco che il mondo gli è andato dietro!".
20Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa, c'erano anche alcuni Greci.21Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli chiesero: "Signore, vogliamo vedere Gesù".22Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù.23Gesù rispose: "È giunta l'ora che sia glorificato il Figlio dell'uomo.24In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.25Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna.26Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà.27Ora l'anima mia è turbata; e che devo dire? Padre, salvami da quest'ora? Ma per questo sono giunto a quest'ora!28Padre, glorifica il tuo nome". Venne allora una voce dal cielo: "L'ho glorificato e di nuovo lo glorificherò!".
29La folla che era presente e aveva udito diceva che era stato un tuono. Altri dicevano: "Un angelo gli ha parlato".30Rispose Gesù: "Questa voce non è venuta per me, ma per voi.31Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori.32Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutti a me".33Questo diceva per indicare di qual morte doveva morire.34Allora la folla gli rispose: "Noi abbiamo appreso dalla Legge che il Cristo rimane in eterno; come dunque tu dici che il Figlio dell'uomo deve essere elevato? Chi è questo Figlio dell'uomo?".35Gesù allora disse loro: "Ancora per poco tempo la luce è con voi. Camminate mentre avete la luce, perché non vi sorprendano le tenebre; chi cammina nelle tenebre non sa dove va.36Mentre avete la luce credete nella luce, per diventare figli della luce".
Gesù disse queste cose, poi se ne andò e si nascose da loro.
37Sebbene avesse compiuto tanti segni davanti a loro, non credevano in lui;38perché si adempisse la parola detta dal profeta Isaia:
'Signore, chi ha creduto alla nostra parola?
E il braccio del Signore a chi è stato rivelato?'
39E non potevano credere, per il fatto che Isaia aveva detto ancora:
40'Ha reso ciechi i loro occhi
e ha indurito il loro cuore,
perché non vedano con gli occhi
e non comprendano con il cuore, e si convertano
e io li guarisca!'
41Questo disse Isaia quando vide la sua gloria e parlò di lui.42Tuttavia, anche tra i capi, molti credettero in lui, ma non lo riconoscevano apertamente a causa dei farisei, per non essere espulsi dalla sinagoga;43amavano infatti la gloria degli uomini più della gloria di Dio.
44Gesù allora gridò a gran voce: "Chi crede in me, non crede in me, ma in colui che mi ha mandato;45chi vede me, vede colui che mi ha mandato.46Io come luce sono venuto nel mondo, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre.47Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo.48Chi mi respinge e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho annunziato lo condannerà nell'ultimo giorno.49Perché io non ho parlato da me, ma il Padre che mi ha mandato, egli stesso mi ha ordinato che cosa devo dire e annunziare.50E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico come il Padre le ha dette a me".
Secondo libro di Samuele 17
1Achitòfel disse ad Assalonne: "Sceglierò dodicimila uomini: mi metterò ad inseguire Davide questa notte;2gli piomberò addosso mentre egli è stanco e ha le braccia fiacche; lo spaventerò e tutta la gente che è con lui si darà alla fuga; io colpirò solo il re3e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al marito. La vita di un solo uomo tu cerchi; la gente di lui rimarrà tranquilla".4Questo parlare piacque ad Assalonne e a tutti gli anziani d'Israele.5Ma Assalonne disse: "Chiamate anche Cusài l'Archita e sentiamo ciò che ha in bocca anche lui".6Quando Cusài fu giunto da Assalonne, questi gli disse: "Achitòfel ha parlato così e così; dobbiamo fare come ha detto lui? Se no, parla tu!".7Cusài rispose ad Assalonne: "Questa volta il consiglio dato da Achitòfel non è buono".8Cusài continuò: "Tu conosci tuo padre e i suoi uomini: sai che sono uomini valorosi e che hanno l'animo esasperato come un'orsa nella campagna quando le sono stati rapiti i figli; poi tuo padre è un guerriero e non passerà la notte con il popolo.9A quest'ora egli è nascosto in qualche buca o in qualche altro luogo; se fin da principio cadranno alcuni dei tuoi, qualcuno lo verrà a sapere e si dirà: C'è stata una strage tra la gente che segue Assalonne.10Allora il più valoroso, anche se avesse un cuore di leone, si avvilirà, perché tutto Israele sa che tuo padre è un prode e che i suoi uomini sono valorosi.11Perciò io consiglio che tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, si raduni presso di te, numeroso come la sabbia che è sulla riva del mare, e che tu vada in persona alla battaglia.12Così lo raggiungeremo in qualunque luogo si troverà e gli piomberemo addosso come la rugiada cade sul suolo; di tutti i suoi uomini non ne scamperà uno solo.13Se invece si ritira in qualche città, tutto Israele porterà corde a quella città e noi la trascineremo nella valle, così che non se ne trovi più nemmeno una pietruzza".14Assalonne e tutti gli Israeliti dissero: "Il consiglio di Cusài l'Archita è migliore di quello di Achitòfel". Il Signore aveva stabilito di mandare a vuoto il saggio consiglio di Achitòfel per far cadere la sciagura su Assalonne.
15Allora Cusài disse ai sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr: "Achitòfel ha consigliato Assalonne e gli anziani d'Israele così e così, ma io ho consigliato in questo modo.16Ora dunque mandate in fretta ad informare Davide e ditegli: Non passare la notte presso i guadi del deserto, ma passa subito dall'altra parte, perché non venga lo sterminio sul re e sulla gente che è con lui".
17Ora Giònata e Achimaaz stavano presso En-Roghèl, in attesa che una schiava andasse a portare le notizie che essi dovevano andare a riferire al re Davide; perché non potevano farsi vedere ad entrare in città.18Ma un giovane li vide e informò Assalonne. I due partirono di corsa e giunsero a Bacurìm a casa di un uomo che aveva nel cortile una cisterna.19Quelli vi si calarono e la donna di casa prese una coperta, la distese sulla bocca della cisterna e vi sparse grano pesto, così che non ci si accorgeva di nulla.20I servi di Assalonne vennero in casa della donna e chiesero: "Dove sono Achimaaz e Giònata?". La donna rispose loro: "Hanno passato il serbatoio dell'acqua". Quelli si misero a cercarli, ma, non riuscendo a trovarli, tornarono a Gerusalemme.
21Quando costoro se ne furono partiti, i due uscirono dalla cisterna e andarono ad informare il re Davide. Gli dissero: "Muovetevi e passate in fretta l'acqua, perché così ha consigliato Achitòfel a vostro danno".22Allora Davide si mosse con tutta la sua gente e passò il Giordano. All'apparire del giorno, neppure uno era rimasto che non avesse passato il Giordano.23Achitòfel, vedendo che il suo consiglio non era stato seguito, sellò l'asino e partì per andare a casa sua nella sua città. Mise in ordine gli affari della casa e s'impiccò. Così morì e fu sepolto nel sepolcro di suo padre.
24Davide era giunto a Macanàim, quando Assalonne passò il Giordano con tutti gli Israeliti.25Assalonne aveva posto a capo dell'esercito Amasà invece di Ioab. Amasà era figlio di un uomo chiamato Itrà l'Ismaelita, il quale si era unito a Abigàl, figlia di Iesse e sorella di Zeruià, madre di Ioab.26Israele e Assalonne si accamparono nel paese di Gàlaad.27Quando Davide fu giunto a Macanàim, Sobì, figlio di Nacàs che era da Rabbà, città degli Ammoniti, Machìr, figlio di Ammiel da Lodebàr, e Barzillài, il Galaadita di Roghelìm,28portarono letti e tappeti, coppe e vasi di terracotta, grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie,29miele, latte acido e formaggi di pecora e di vacca, per Davide e per la sua gente perché mangiassero; infatti dicevano: "Questa gente ha patito fame, stanchezza e sete nel deserto".
Salmi 53
1'Al maestro del coro. Su "Macalat". Maskil. Di Davide.'
2Lo stolto pensa:
"Dio non esiste".
Sono corrotti, fanno cose abominevoli,
nessuno fa il bene.
3Dio dal cielo si china sui figli dell'uomo
per vedere se c'è un uomo saggio che cerca Dio.
4Tutti hanno traviato,
tutti sono corrotti;
nessuno fa il bene;
neppure uno.
5Non comprendono forse i malfattori
che divorano il mio popolo come il pane
e non invocano Dio?
6Hanno tremato di spavento,
là dove non c'era da temere.
Dio ha disperso le ossa degli aggressori,
sono confusi perché Dio li ha respinti.
7Chi manderà da Sion la salvezza di Israele?
Quando Dio farà tornare i deportati del suo popolo,
esulterà Giacobbe, gioirà Israele.
Salmi 39
1'Al maestro del coro, Iditun. Salmo. Di Davide.'
2Ho detto: "Veglierò sulla mia condotta
per non peccare con la mia lingua;
porrò un freno alla mia bocca
mentre l'empio mi sta dinanzi".
3Sono rimasto quieto in silenzio: tacevo privo di bene,
la sua fortuna ha esasperato il mio dolore.
4Ardeva il cuore nel mio petto,
al ripensarci è divampato il fuoco;
allora ho parlato:
5"Rivelami, Signore, la mia fine;
quale sia la misura dei miei giorni
e saprò quanto è breve la mia vita".
6Vedi, in pochi palmi hai misurato i miei giorni
e la mia esistenza davanti a te è un nulla.
Solo un soffio è ogni uomo che vive,
7come ombra è l'uomo che passa;
solo un soffio che si agita,
accumula ricchezze e non sa chi le raccolga.
8Ora, che attendo, Signore?
In te la mia speranza.
9Liberami da tutte le mie colpe,
non rendermi scherno dello stolto.
10Sto in silenzio, non apro bocca,
perché sei tu che agisci.
11Allontana da me i tuoi colpi:
sono distrutto sotto il peso della tua mano.
12Castigando il suo peccato tu correggi l'uomo,
corrodi come tarlo i suoi tesori.
Ogni uomo non è che un soffio.
13Ascolta la mia preghiera, Signore,
porgi l'orecchio al mio grido,
non essere sordo alle mie lacrime,
poiché io sono un forestiero,
uno straniero come tutti i miei padri.
14Distogli il tuo sguardo, che io respiri,
prima che me ne vada e più non sia.
Amos 7
1Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Dio: egli formava uno sciame di cavallette quando cominciava a germogliare la seconda erba, quella che spunta dopo la falciatura del re.2Quando quelle stavano per finire di divorare l'erba della regione, io dissi: "Signore Dio, perdona, come potrà resistere Giacobbe? È tanto piccolo".3Il Signore si impietosì: "Questo non avverrà", disse il Signore.
4Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Dio: il Signore Dio chiamava per il castigo il fuoco che consumava il grande abisso e divorava la campagna.5Io dissi: "Signore Dio, desisti! Come potrà resistere Giacobbe? È tanto piccolo".6Il Signore se ne pentì: "Neanche questo avverrà", disse il Signore.
7Ecco ciò che mi fece vedere il Signore Dio: il Signore stava sopra un muro tirato a piombo e con un piombino in mano.8Il Signore mi disse: "Che cosa vedi, Amos?". Io risposi: "Un piombino". Il Signore mi disse: "Io pongo un piombino in mezzo al mio popolo, Israele; non gli perdonerò più.9Saranno demolite le alture d'Isacco e i santuari d'Israele saranno ridotti in rovine, quando io mi leverò con la spada contro la casa di Geroboàmo".
10Amasia, sacerdote di Betel, mandò a dire a Geroboàmo re di Israele: "Amos congiura contro di te in mezzo alla casa di Israele; il paese non può sopportare le sue parole,11poiché così dice Amos: Di spada morirà Geroboàmo e Israele sarà condotto in esilio lontano dal suo paese".12Amasia disse ad Amos: "Vattene, veggente, ritirati verso il paese di Giuda; là mangerai il tuo pane e là potrai profetizzare,13ma a Betel non profetizzare più, perché questo è il santuario del re ed è il tempio del regno".14Amos rispose ad Amasia:
"Non ero profeta, né figlio di profeta;
ero un pastore e raccoglitore di sicomori;
15Il Signore mi prese
di dietro al bestiame e il Signore mi disse:
Va', profetizza al mio popolo Israele.
16Ora ascolta la parola del Signore: Tu dici: Non profetizzare contro Israele, né predicare contro la casa di Isacco.17Ebbene, dice il Signore: Tua moglie si prostituirà nella città, i tuoi figli e le tue figlie cadranno di spada, la tua terra sarà spartita con la corda, tu morirai in terra immonda e Israele sarà deportato in esilio lontano dalla sua terra".
Lettera ai Filippesi 2
1Se c'è pertanto qualche consolazione in Cristo, se c'è conforto derivante dalla carità, se c'è qualche comunanza di spirito, se ci sono sentimenti di amore e di compassione,2rendete piena la mia gioia con l'unione dei vostri spiriti, con la stessa carità, con i medesimi sentimenti.3Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi, con tutta umiltà, consideri gli altri superiori a se stesso,4senza cercare il proprio interesse, ma anche quello degli altri.
5Abbiate in voi gli stessi sentimenti che furono in Cristo Gesù,
6il quale, pur essendo di natura divina,
non considerò un tesoro geloso
la sua uguaglianza con Dio;
7ma spogliò se stesso,
assumendo la condizione di servo
e divenendo simile agli uomini;
apparso in forma umana,
8umiliò se stesso
facendosi obbediente fino alla morte
e alla morte di croce.
9Per questo Dio l'ha esaltato
e gli ha dato il nome
che è al di sopra di ogni altro nome;
10perché nel nome di Gesù
'ogni ginocchio si pieghi'
nei cieli, sulla terra e sotto terra;
11e 'ogni lingua proclami'
che Gesù Cristo è il Signore, a gloria di Dio Padre.
12Quindi, miei cari, obbedendo come sempre, non solo come quando ero presente, ma molto più ora che sono lontano, attendete alla vostra salvezza con timore e tremore.13È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni.14Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche,15perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo,16tenendo alta la parola di vita. Allora nel giorno di Cristo, io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato.17E anche se il mio sangue deve essere versato in libagione sul sacrificio e sull'offerta della vostra fede, sono contento, e ne godo con tutti voi.18Allo stesso modo anche voi godetene e rallegratevi con me.
19Ho speranza nel Signore Gesù di potervi presto inviare Timòteo, per essere anch'io confortato nel ricevere vostre notizie.20Infatti, non ho nessuno d'animo uguale al suo e che sappia occuparsi così di cuore delle cose vostre,21perché tutti cercano i propri interessi, non quelli di Gesù Cristo.22Ma voi conoscete la buona prova da lui data, poiché ha servito il vangelo con me, come un figlio serve il padre.23Spero quindi di mandarvelo presto, non appena avrò visto chiaro nella mia situazione.24Ma ho la convinzione nel Signore che presto verrò anch'io di persona.
25Per il momento ho creduto necessario mandarvi Epafrodìto, questo nostro fratello che è anche mio compagno di lavoro e di lotta, vostro inviato per sovvenire alle mie necessità;26lo mando perché aveva grande desiderio di rivedere voi tutti e si preoccupava perché eravate a conoscenza della sua malattia.27È stato grave, infatti, e vicino alla morte. Ma Dio gli ha usato misericordia, e non a lui solo ma anche a me, perché non avessi dolore su dolore.28L'ho mandato quindi con tanta premura perché vi rallegriate al vederlo di nuovo e io non sia più preoccupato.29Accoglietelo dunque nel Signore con piena gioia e abbiate grande stima verso persone come lui;30perché ha rasentato la morte per la causa di Cristo, rischiando la vita, per sostituirvi nel servizio presso di me.
Capitolo XI: La conquista della pace interiore e l'amore del progresso spirituale
Leggilo nella Biblioteca1. Se non ci volessimo impicciare di quello che dicono o di quello che fanno gli altri, e di cose che non ci riguardano, potremmo avere una grande pace interiore. Come, infatti, è possibile che uno mantenga a lungo l'animo tranquillo se si intromette nelle faccende altrui, se va a cercare all'esterno i suoi motivi di interesse, se raramente e superficialmente si raccoglie in se stesso? Beati i semplici, giacché avranno grande pace. Perché mai alcuni santi furono così perfetti e pieni di spirito contemplativo? Perché si sforzarono di spegnere completamente in sé ogni desiderio terreno, cosicché - liberati e staccati da se stessi - potessero stare totalmente uniti a Dio, con tutto il cuore. Noi, invece, siamo troppo presi dai nostri sfrenati desideri, e troppo preoccupati delle cose di quaggiù; di rado riusciamo a vincere un nostro difetto, anche uno soltanto, e non siamo ardenti nel tendere al nostro continuo miglioramento. E così restiamo inerti e tiepidi. Se fossimo, invece, totalmente morti a noi stessi e avessimo una perfetta semplicità interiore, potremmo perfino avere conoscenza delle cose di Dio, e fare esperienza, in qualche misura, della contemplazione celeste. Il vero e più grande ostacolo consiste in ciò, che non siamo liberi dalle passioni e dalle brame, e che non ci sforziamo di entrare nella via della perfezione, che fu la via dei santi: anzi, appena incontriamo una difficoltà, anche di poco conto, ci lasciamo troppo presto abbattere e ci volgiamo a consolazioni terrene.
2. Se facessimo di tutto, da uomini forti, per non abbandonare la battaglia, tosto vedremmo venire a noi dal cielo l'aiuto del Signore. Il quale prontamente sostiene coloro che combattono fiduciosi nella sua grazia; anzi, ci procura occasioni di lotta proprio perché ne usciamo vittoriosi. Che se facciamo consistere il progresso spirituale soltanto in certe pratiche esteriori, tosto la nostra religione sarà morta. Via, mettiamo la scure alla radice, cosicché, liberati dalle passioni, raggiungiamo la pace dello spirito. Se ci strappassimo via un solo vizio all'anno diventeremmo presto perfetti. Invece spesso ci accorgiamo del contrario; troviamo cioè che quando abbiamo indirizzata la nostra vita a Dio eravamo più buoni e più puri di ora, dopo molti anni di vita religiosa. Il fervore e l'avanzamento spirituale dovrebbe crescere di giorno in giorno; invece già sembra gran cosa se uno riesce a tener viva una particella del fervore iniziale.
3. Se facessimo un poco di violenza a noi stessi sul principio, potremmo poi fare ogni cosa facilmente e gioiosamente. Certo è difficile lasciare ciò a cui si è abituati; ancor più difficile è camminare in senso contrario al proprio desiderio. Ma se non riesci a vincere nelle cose piccole e da poco, come supererai quelle più gravi? Resisti fin dall'inizio alla tua inclinazione; distaccati dall'abitudine, affinché questa non ti porti, a poco a poco, in una situazione più ardua. Se tu comprendessi quanta pace daresti a te stesso e quanta gioia procureresti agli altri, e vivendo una vita dedita al bene, sono certo che saresti più sollecito nel tendere al tuo profitto spirituale.
DISCORSO 105 SULLE PAROLE DEL VANGELO DI LC 11, 5-13: "SE QUALCUNO DI VOI HA UN AMICO E VA A TROVARLO DI NOTTE" ECC.
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaCristo con parabole ci esorta a chiedere a Dio.
1. 1. Abbiamo udito l'esortazione rivoltaci da nostro Signore, celeste maestro e lealissimo consigliere; egli ci esorta a chiedere e nello stesso tempo ci concede quanto chiediamo. L'abbiamo udito nel Vangelo esortarci a chiedere con insistenza e bussare fino a sembrare importuni. Egli infatti ci ha presentato a mo' d'esempio il seguente caso: Supponiamo che uno di voi abbia un amico e vada da lui a mezzanotte a chiedergli tre pani essendogli arrivato un amico di passaggio e non avendo nulla da servirgli a tavola; supponiamo anche che quello gli risponda ch'egli e i suoi servi sono già a letto e non dev'essere importunato dalle sue preghiere; ma supponiamo che l'altro insista e continui a bussare, e non se ne vada nemmeno distolto dalla vergogna, ma incalzi costretto dalla necessità; quello si alzerà e gli darà tutti i pani che vorrà, se non perché gli è amico, almeno perché l'altro gli dà fastidio. Ma quanti pani voleva? Non ne voleva più di tre. A proposito di questo paragone il Signore aggiunse un'esortazione e ci stimolò in ogni modo a chiedere, a bussare e cercare fin quando non riceviamo ciò che chiediamo, ciò che cerchiamo, ciò per cui bussiamo, servendosi di un esempio preso in senso opposto; come quel giudice, che non temeva Dio e non rispettava gli uomini, e tuttavia, poiché ogni giorno una vedova andava a chiedergli di farle giustizia, fu costretto a concederle, vinto dalla sua importunità, ciò che non poté concederle di buon grado contro sua voglia 1. Infatti nostro Signore Gesù Cristo, il quale chiede in mezzo a noi e concede insieme col Padre, non ci avrebbe certo esortati a chiedere, se non desiderasse di concedere. Si vergogni l'umana pigrizia: ha maggior desiderio lui di dare che noi di ricevere; ha maggior desiderio lui di usare misericordia che noi d'essere liberati dalla miseria; è certo poi che se non saremo liberati, noi rimarremo miseri. Ordunque, l'esortazione ch'egli ci rivolge è diretta al nostro bene.
Dobbiamo dar ristoro a un amico di passaggio.
2. 2. Svegliamoci e prestiamo fede a chi ci esorta, facciamo il volere di chi promette e rallegriamoci di colui che dà. Poiché non è venuto forse una volta anche da noi un amico da un viaggio e non abbiamo trovato nulla da mettergli in tavola e ci siamo trovati in necessità e siamo stati costretti a procurarci qualcosa per noi e per lui? Effettivamente è impossibile che uno non si sia sentito rivolgere da un amico delle domande alle quali non sia stato capace di rispondere, e allora si è trovato a non aver nulla quando era in dovere di dare. Ti giunge un amico da un viaggio, cioè dalla vita di questo mondo, in cui tutti passano come forestieri e nessuno vi resta come proprietario, ma a ciascuno vien detto: Ti sei ristorato, esci di qui; continua il tuo viaggio; cedi il posto a un altro che dovrà venire 2. Oppure ti giunge forse da un viaggio cattivo, cioè da una vita cattiva un non so quale tuo amico stanco che non trova la verità; l'ascolto e la comprensione di essa potrebbe renderlo felice; ma egli, spossato com'è da tutte le passioni e miserie del mondo, viene da te come a un seguace di Cristo e ti dice: "Rendimi ragione della fede, fa' di me un cristiano". Egli t'interroga su ciò che forse tu, nella semplicità della tua fede, non sai; allora non hai di che saziare la sua fame; indotto da ciò a riflettere, scopri la tua indigenza e, mentre vorresti insegnare, sei costretto a imparare e, per la vergogna che provi davanti all'amico per non aver saputo dare la risposta alle sue domande, sei costretto a cercarla per meritare di trovarla.
L'altro amico disturbato a mezzanotte perché dia tre pani.
2. 3. E dove cercherai? Dove, se non nelle Sacre Scritture? Forse ciò su cui ti ha interrogato il tuo amico è enunciato in un Libro sacro ma è oscuro. Forse lo insegna l'Apostolo in una sua lettera. Lo insegna però in modo che lo puoi leggere, ma non lo puoi capire; tuttavia non ti è permesso passare oltre. L'interrogante infatti incalza ma non ti è concesso di rivolgere domande direttamente ne a Paolo né a Pietro né a un altro Profeta, poiché questi servi di Dio sono già a riposare con il loro Signore, e l'ignoranza di questo mondo è profonda, è cioè come la mezzanotte, e l'amico affamato ti sollecita. A te forse era sufficiente una fede ingenua, ma non basta a lui. Dovrebbe forse essere abbandonato? Dovrebbe forse essere cacciato via da casa?
Si deve pregare con insistenza Dio, desideroso di dare.
3. 3. Rivolgiti dunque direttamente al Signore; col pregare bussa, chiedi, insisti presso lo stesso Signore col quale riposano i suoi servi. Egli, a differenza di quell'amico, di cui parla la parabola, che cedette solo all'importunità, si alzerà e ti darà quanto chiedi. Desidera dartelo; se tu bussando non hai ricevuto ancora, continua a bussare; egli vuol dartelo. Ma egli differisce ciò che vuol dare affinché tu desideri maggiormente ciò ch'è differito perché non perda il suo pregio ciò che si dà subito.
Significato simbolico dei tre pani.
3. 4. Quando sarai giunto ai tre pani, cioè a cibarti della Trinità e a intenderla, avrai di che vivere e di che nutrire gli altri. Non devi temere un forestiero che arriva da un viaggio, ma accogliendolo cerca di farne un concittadino, un membro della tua famiglia, senza temere d'esaurire i tuoi viveri. Quel pane non avrà fine, ma porrà fine alla tua indigenza. È pane Dio Padre, è pane Dio Figlio, è pane Dio Spirito Santo. Eterno è il Padre, coeterno il Figlio, coeterno lo Spirito Santo. Immutabile è il Padre, immutabile il Figlio, immutabile lo Spirito Santo. È creatore non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. È pastore e datore di vita non solo il Padre ma anche il Figlio e lo Spirito Santo. È cibo e pane eterno tanto il Padre che il Figlio e lo Spirito Santo. Impara e insegna: vivi e nutrisci. Dio, il quale dà a te, non ti dà di meglio che se stesso. O avaro, che cos'altro di più cercavi? Anche se tu chiedessi qualche altra cosa, come ti basterebbe dal momento che non ti basta Dio?
Fede, speranza, carità sono doni di Dio.
4. 5. È tuttavia necessario che tu abbia la carità, la fede e la speranza, affinché tu possa gustare la dolcezza del dono che ricevi. Anche queste virtù: la fede, la speranza e la carità sono tre, e nello stesso tempo sono un dono di Dio. La fede infatti l'abbiamo ricevuta da lui. Secondo la misura della fede - dice l'Apostolo - che Dio ha dato a ciascuno 3. Anche la speranza l'abbiamo ricevuta da Colui al quale è detto: [Ricordati, Signore, della tua parola] con la quale mi hai dato la speranza 4. Anche la carità l'abbiamo ricevuta da Colui del quale è detto: La carità di Dio è stata versata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 5. Queste medesime tre virtù sono però alquanto diverse tra loro, ma sono tutte dono di Dio. Queste, infatti, sono le tre cose che rimangono: la fede, la speranza, la carità, ma più grande di tutte è la carità 6. A proposito di quei pani la Scrittura non dice che uno fosse maggiore degli altri due, ma semplicemente che furono chiesti e dati tre pani.
Le medesime tre virtù simboleggiate in altro modo. L'uovo simbolo della speranza.
4. 6. Ecco tre altre cose diverse: Chi di voi, se vostro figlio vi chiede un pane, gli darebbe una pietra? Oppure, chi di voi, se vostro figlio vi chiede un pesce, gli darebbe un serpente? Oppure, se vi chiede un uovo, chi gli darebbe uno scorpione? Se dunque voi, pur essendo cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, a quanto maggior ragione il vostro Padre celeste darà cose buone a coloro che gliele chiedono? 7. Consideriamo dunque anche queste tre cose, caso mai vi fossero raffigurate le tre virtù: la fede, la speranza e la carità, tra le quali la più grande è la carità. Metti dunque a raffronto queste tre cose, il pane, il pesce, l'uovo, tra cui la più importante è il pane. Giustamente dunque tra queste tre cose il pane lo intendiamo nel senso della carità. Per questo motivo al pane contrappose una pietra, poiché la durezza di cuore è contraria alla carità. Il pesce lo intendiamo nel senso della fede. Un fedele servo di Dio ha detto - e piace anche a noi ripeterlo -: "Il pesce buono è la retta fede; vive in mezzo alle onde ma non viene spezzato o disfatto da esse". La retta fede vive fra le tentazioni e le tempeste di questo mondo; il mondo le si accanisce contro ma essa rimane integra. Soltanto fa' attenzione al serpente contrario alla fede. Mediante la fede infatti è stata fidanzata colei alla quale è detto nel Cantico dei cantici: Vieni dal Libano, sposa mia; vieni partendo dalla fede 8. Ecco perché è stata anche fidanzata, perché il fidanzamento ha il suo inizio dalla fede. Lo sposo infatti fa una promessa ed è vincolato dalla fede giurata. Il Signore contrappose poi il serpente al pesce, il diavolo alla fede. Per questo motivo l'Apostolo dice a questa fidanzata: Vi ho fidanzati a un solo sposo, per presentarvi a Cristo come una vergine pura 9. Dice inoltre: Temo però che allo stesso modo che Eva fu sedotta dal serpente con la sua astuzia, anche i vostri pensieri si corrompano e perdano la purezza nei riguardi di Cristo 10, cioè la purezza relativa alla fede in Cristo. [Poiché chiedo a Dio] - dice l'Apostolo - che nei vostri cuori abiti Cristo per mezzo della fede 11. Che il diavolo dunque non corrompa la fede, cioè non divori il pesce.
L'uovo simbolo della speranza.
5. 7. Resta la speranza che, a quanto mi sembra, è paragonata all'uovo. La speranza infatti non è ancora giunta alla realtà, come anche l'uovo è qualcosa ma non è ancora il pulcino. I quadrupedi quindi partoriscono i figli, ma gli uccelli la speranza dei figli. Orbene, la speranza ci esorta a disprezzare le cose presenti e aspettare le future; dimenticando le cose che ci stanno alle spalle, slanciamoci con l'Apostolo verso le cose che ci stanno davanti. Ecco infatti com'egli si esprime: Questo solo dico: dimentico del passato e proteso verso l'avvenire, mi lancio verso la mèta, al premio della vita alta quale Dio ci chiama per mezzo di Cristo Gesù 12. Nulla dunque è tanto contrario alla speranza quanto il guardare indietro, cioè riporre la speranza nelle cose che scorrono via e passano. Dobbiamo riporla nelle cose non ancora concesse, ma che un giorno ci saranno date e non passeranno mai. Dal momento però che il mondo è inondato di tentazioni come dalla pioggia di zolfo bollente che si abbatté sopra Sodoma, bisogna temere d'imitare la moglie di Lot. Essa infatti si volse indietro a guardare e rimase immobile sul posto ove s'era voltata. Fu mutata in una statua di sale 13 per rendere sapidi i prudenti con il suo esempio. Di questa speranza ecco come parla l'apostolo Paolo: Infatti noi siamo stati salvati ma solo nella speranza; se però ciò che si spera già si vede, non v'è più la speranza; perché infatti uno dovrebbe sperare ciò che vede? Se invece speriamo in ciò che ancora non vediamo, lo aspettiamo con pazienza 14. Perché infatti uno dovrebbe sperare ciò che vede? È un uovo. Sì, è un uovo, ma non e ancora un pulcino. È ricoperto d'un guscio, non si vede perché è coperto; si deve aspettare con pazienza; dev'essere prima ben riscaldato per cominciare ad avere la vita. Protenditi, slanciati verso ciò che ti sta davanti, dimentica il passato. Ciò che infatti si vede è temporaneo. Non fissiamo lo sguardo - dice l'Apostolo - su ciò che vediamo, ma su ciò che non vediamo; infatti ciò che vediamo dura solo per breve tempo, mentre ciò che non vediamo dura per sempre 15. Appunta quindi la tua speranza su ciò che non si vede: aspetta, abbi pazienza. Non voltarti a guardare indietro. Temi lo scorpione per il tuo uovo. Bada che esso ferisce con la coda che ha di dietro. Lo scorpione dunque non distrugga il tuo uovo, questo mondo non elimini la speranza col veleno per così dire in contrasto con essa per il fatto ch'è rivolto all'indietro. Quante cose ti dice il mondo, quanto schiamazzo fa alle tue spalle perché tu ti rivolga a guardare indietro, vale a dire affinché tu ponga la tua speranza nelle cose presenti (ma nemmeno presenti, poiché non si possono chiamare presenti le cose non mai permanenti), e tu distolga il tuo cuore da ciò che Cristo ha promesso e non ha dato ancora, ma che darà perché è fedele, e voglia trovar riposo nel mondo che va in rovina.
Come ai cristiani sono utili le stragi e le distruzioni.
6. 8. Dio infatti ad avvenimenti della felicità terrena mescola delle amarezze, affinché si ricerchi un'altra felicità la cui dolcezza non è fallace, ma anche mediante le amarezze il mondo si sforza di distoglierti da ciò cui tendi proteso in avanti e di farti tornare indietro. Tu recrimini le stesse amarezze e le stesse tribolazioni e dici: "Ecco, tutto va in rovina nell'era cristiana". Ma perché vai schiamazzando? Dio non mi ha promesso che non andranno in rovina queste cose; non ciò mi ha promesso Cristo. L'Eterno ha promesso beni eterni; se crederò, da mortale diverrò eterno. Perché strepiti, o mondo immondo? Perché fai tanto chiasso? Perché tenti di allontanarmi dalla mèta? Tu mi vuoi trattenere quaggiù mentre vai in rovina? che faresti se tu perdurassi per sempre? Chi non inganneresti con le tue dolcezze se, pur essendo amaro, sai fare acquistare ai cibi falsi sapori? Se io possederò la speranza, se conserverò la speranza, il mio uovo non sarà trafitto dallo scorpione. Benedirò il Signore ogni momento, sempre sulla mia bocca sarà la sua lode 16. Sia che il mondo sia felice, sia che vada in rovina, io benedirò il Signore che ha fatto il mondo. Lo benedirò in ogni modo. Bene o male che vadano le cose secondo un punto di vista umano, benedirò il Signore ogni momento, sulla mia bocca sarà sempre la sua lode. Poiché se lo benedirò quando le cose vanno bene e lo bestemmierò quando vanno male, sono stato punto dal pungiglione dello scorpione ed essendo stato punto mi sono voltato indietro a guardare. Dio ne scampi! Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come è piaciuto al Signore, così è avvenuto; sia benedetto il nome del Signore 17.
Ci attende la città e il regno eterno del cielo.
7. 9. Se permane la città che ci ha generati fisicamente, ringraziamone Dio. Volesse il cielo ch'essa venisse generata spiritualmente e con noi passasse all'eternità! Se non perdura la città che ci ha generati fisicamente, rimane quella che ci ha generati spiritualmente. È il Signore che edifica Gerusalemme 18. Ha forse mandato in rovina il proprio edificio perché sonnecchiava o vi ha fatto entrare i nemici perché non l'ha custodito? Se il Signore non custodirà la città, invano sta all'erta chi la custodisce 19. E quale città? Non si addormenterà né sonnecchierà Colui che custodisce Israele 20. Che cos'è Israele se non la discendenza di Abramo? Chi è il discendente di Abramo se non Cristo? E al tuo discendente - dice la Scrittura - ch'è il Cristo 21. E a noi che cosa ha promesso Dio? Ma voi appartenete a Cristo e perciò siete discendenti di Abramo ed eredi secondo la promessa 22. E mediante il tuo discendente - dice la Bibbia - saranno benedette tutte le genti 23. La città santa, la città fedele, la città pellegrina sulla terra, è fondata in cielo. O fedele, non corrompere la speranza, non perdere la carità, cingiti i fianchi, ascendi e tieni davanti a te le lampade, aspetta il Signore, quando tornerà dalle nozze 24. Perché ti spaventi che vadano in rovina i regni terreni? Ti è stato promesso quello celeste, perché tu non andassi in rovina con quelli terreni. Infatti è stato predetto senz'alcun dubbio che quelli andranno in rovina. Non possiamo negare ch'è stato predetto. Il tuo Signore, che tu aspetti, ti ha detto: I popoli combatteranno l'uno contro l'altro, un regno contro un altro 25. Hanno le loro vicissitudini i regni terreni, ma verrà Colui del quale la Scrittura dice: Il suo regno non avrà mai fine 26.
Virgilio predisse per adulazione l'impero eterno di Roma.
7. 10. Coloro che promisero l'eternità ai regni terreni, la promisero non indotti dalla verità ma mentirono per adulazione. Un illustre loro poeta rappresenta Giove che parla ai romani e dice:
A questi non fisso confini né di spazio né di tempo:
ho dato loro un impero senza limiti 27.
Ciò però non corrisponde affatto a verità. Questo regno che hai dato senza limiti, o tu che non hai dato proprio nulla, si trova in terra o in cielo? Si trova certamente sulla terra, ma anche se fosse in cielo, il cielo e la terra passeranno 28. Passeranno le cose create dallo stesso Dio, quanto più presto passerà il regno fondato da Romolo? Forse, se volessimo criticare Virgilio e schernirlo perché disse questo, ci prenderebbe in disparte e ci direbbe: "Lo so anch'io, ma che avrei dovuto fare io, che vendevo parole ai romani, se non promettere, con questa adulazione, qualcosa ch'era falso? Purtuttavia anche a questo riguardo fui cauto; quando dissi: ho dato loro un impero senza limiti, misi quelle parole in bocca al loro Giove. Non dissi una cosa così falsa personalmente io, ma addossai la parte della falsità a Giove; allo stesso modo ch'era falso il dio, così era falso il vate. Orbene, volete sapere ch'ero ben consapevole di questo? In un altro passo, allorché non faccio parlare Giove - ch'è solo una pietra -, ma parlo io in persona, dico:
Né la potenza di Roma né i regni destinati a perire 29.
Vedete che ho detto: regni destinati a perire. Ho detto che i regni son destinati ad andare in rovina; non l'ho taciuto". Fu la verità a spingerlo a non tacere che i regni sono destinati ad andare in rovina, ma fu l'adulazione che lo spinse a promettere un regno destinato a durare per sempre.
La costanza necessaria nel sopportare le avversità.
8. 11. Non dobbiamo dunque perderci d'animo, fratelli miei: tutti i regni sono destinati a finire. Se la fine è già arrivata lo sa Dio solo. Forse la fine non è arrivata ancora, ed è una certa debolezza o sentimento di misericordia o di miseria a farci desiderare che non sia ancora la fine; tuttavia sarà forse per questo motivo che non verrà? Abbiate una ferma speranza in Dio, bramate e aspettate i beni eterni. Siete cristiani, fratelli, siamo cristiani. Cristo non è disceso in un corpo per darsi ai piaceri; cerchiamo di tollerare le condizioni presenti piuttosto che amarle. È lampante la rovina che apporta l'avversità, ma è falsa la seduzione della prosperità. Devi aver paura del mare anche quando è in bonaccia. Non dobbiamo affatto ascoltare invano: In alto il cuore 30. Perché lo teniamo attaccato alla terra, dal momento che la terra offre alla vista solo rovine? Noi non possiamo fare altro che esortarvi ad aver pronta una risposta da dare in difesa della vostra speranza a quanti insultano e bestemmiano il nome cristiano. Nessuno con le sue recriminazioni vi allontani dall'aspettare i beni futuri. Tutti coloro, i quali a causa delle presenti sciagure bestemmiano il nostro Cristo, sono la coda dello scorpione. Noi invece dobbiamo porre il nostro uovo sotto le ali di quella gallina del Vangelo che grida alla città falsa e scellerata: Gerusalemme, Gerusalemme! Quante volte ho desiderato riunire attorno a me i tuoi figli, come una gallina raduna i suoi pulcini sotto le sue ali, ma tu non hai voluto! 31. Che non ci venga detto: Quante volte ho desiderato, ma tu hai rifiutato! Poiché quella gallina è la Sapienza divina, ma s'incarnò per uniformarsi ai pulcini. Osservate come la gallina, con le penne ispide e le ali abbassate, con la voce rauca, tremante, spossata e languida si conforma ai suoi pulcini. Poniamo dunque il nostro uovo, cioè la nostra speranza, sotto le ali di quella gallina.
Il sacco di Roma falsamente attribuito alla religione cristiana o all'estinzione dell'idolatria.
9. 12. Forse avete osservato come la gallina uccide lo scorpione. Volesse dunque il cielo che questi individui che bestemmiano, simili a rettili della terra, usciti da caverne e che feriscono mortalmente col loro pungiglione, li uccidesse e li inghiottisse quella gallina, li incorporasse e li trasformasse in uova. Non si adirino: noi diamo l'impressione d'essere turbati ma non rispondiamo con ingiurie alle ingiurie. Essi c'insultano, ma noi benediciamo; essi dicono male di noi, ma noi preghiamo per loro 32. "Non ci venga a parlare di Roma", è stato detto a proposito di me: "Oh se tacesse riguardo a Roma!", come se io fossi qui a far della polemica e non piuttosto a pregare il Signore e, sia pure indegnamente, a esortarvi. Lungi da me il lanciare insulti. Dio l'allontani dal mio cuore perché non divenga rimorso della mia coscienza. Non abbiamo forse avuto a Roma numerosi fratelli e non li abbiamo ancora? Non vive forse lì una gran porzione della città pellegrinante, di Gerusalemme? Non ha essa sopportato lì le sciagure temporali senza perdere i beni eterni? Che cosa dico dunque allorché parlo di essa? Dico solo ch'è falso quanto affermano a proposito del nostro Cristo, che cioè sarebbe stato lui a mandare Roma in rovina e che invece a proteggere Roma sarebbero stati degli dèi di pietra e di legno. Aumentane pure il valore: dèi di bronzo. Aumentalo ancora di più: dèi d'argento e d'oro. Gl'idoli pagani sono argento e oro 33. La Scrittura non dice: "sono pietra"; non dice: "sono legno"; non dice: "sono terracotta"; ma sono ciò che si stima di gran valore: argento e oro. Ciononostante, pur essendo essi argento e oro, hanno occhi ma non vedono 34. Gli dèi d'oro e quelli di legno sono differenti per il loro prezzo ma, quanto al fatto di avere occhi e di non vedere, sono uguali. Ecco a che razza di custodi, muniti d'occhi ma che non vedono, affidarono Roma i dotti. Oppure, se erano in grado di conservare Roma, perché furono proprio essi ad andare prima in rovina? Rispondono: "Roma andò in rovina allora". Purtuttavia andarono in rovina gli dèi. "No - dicono - non sono andati in rovina gli dèi, ma le loro statue". In qual modo allora avrebbero potuto custodire le vostre case dal momento che non furono in grado di conservare le proprie statue? Da tempo siffatti dèi li ha mandati in rovina Alessandria. Costantinopoli da quando fu fondata per essere una grande città, poiché è stata fondata da un imperatore cristiano, già da un pezzo ha distrutto gli stessi falsi dèi e tuttavia non solo è cresciuta, ma cresce ancora e perdura. Perdurerà fino a quando Dio lo vorrà. Ma dicendo ciò non promettiamo l'eternità neanche a quella città. Cartagine sussiste per grazia di Cristo, ma da un pezzo è stata abbattuta la dea Celeste, poiché non era celeste ma terrestre.
La distruzione non accade per l'abbattimento degli idoli.
10. 13. Non è dunque vero ciò che dicono, che cioè, appena scomparvero gli dèi, Roma fu presa e devastata. Non è affatto vero; le stesse statue furono abbattute prima e così furono sconfitti i goti con Radagaiso. Ricordatelo, fratelli miei, ricordatelo; non è un fatto lontano, ma di pochi anni fa: ricordatelo. Dopo ch'erano stati abbattuti nella città di Roma tutti gl'idoli, arrivò Radagaiso, re dei goti, con un ingente esercito, molto più numeroso di quello di Alarico. Radagaiso era un pagano, offriva ogni giorno sacrifici a Giove. Dappertutto si diceva che Radagaiso non desisteva dal fare sacrifici agli dèi. Tutti cotesti nostri avversari in quel frangente dicevano: "Ecco, noi non offriamo sacrifici, mentre lui li offre; noi, ai quali non è lecito offrire sacrifici, saremo vinti da uno che li offre ". Dio, al contrario, mostrò che la stessa salvezza temporale e gli stessi regni terreni non dipendono da questi sacrifici e Radagaiso fu sconfitto in modo sorprendente. In seguito arrivarono i goti che non sacrificano agli dèi e, sebbene siano di fede cristiana ma non cattolica, purtuttavia sono nemici degli idoli. Arrivarono gli avversari degli idoli e presero anch'essi Roma; vinsero coloro che confidavano negl'idoli e ancora cercano gl'idoli andati in rovina e desiderano ancora sacrificare ad essi. Orbene, c'erano a Roma anche i nostri e furono ridotti a mal partito, ma sapevano dire: Benedirò il Signore ogni momento 35. Furono trattati duramente nel regno terreno, ma non persero quello dei cieli, anzi con la sofferenza delle tribolazioni furono resi migliori per conquistarlo. E se nelle tribolazioni non bestemmiarono, uscirono come vasi intatti da una fornace e furono colmati della benedizione del Signore. Al contrario questi bestemmiatori, che ricercano avidamente i beni della terra, che ne fanno il solo oggetto dei loro desideri, che ripongono la speranza nei beni terreni, quando, volenti o nolenti, li perderanno, che cosa otterranno? dove si stabiliranno? Non avranno più nulla né al di fuori né al di dentro; vuota sarà l'arca, ancor più vuota la coscienza! Dove sarà la pace? dove la salute? dove la speranza? Vengano dunque, cessino di bestemmiare, imparino ad adorare: gli scorpioni, che trafiggono, vengano mangiati dalla gallina, vengano cambiati nel corpo di essa che li inghiotte; siano sottoposti alle prove sulla terra perché vengano premiati in cielo.
1 - Cf. Lc 18, 1-8.
2 - Sir 29, 33.
3 - Rm 12, 3.
4 - Sal 118, 49.
5 - Rm 5, 5.
6 - 1 Cor 13, 13-
7 - Lc 11, 11-13; cf. Mt, 7, 9-11-
8 - Ct 4, 8 (sec. LXX)
9 - 2 Cor 11, 2.
10 - 2 Cor 11, 3.
11 - Ef 3, 17.
12 - Fil 3, 13-14.
13 - Cf. Gn 19, 26.
14 - Rm 8, 24-25
15 - 2 Cor 4, 18.
16 - Sal 33, 2.
17 - Gb 1, 21.
18 - Sal 146, 2.
19 - Sal 126, 1.
20 - Sal 120, 4.
21 - Gal 3, 16.
22 - Gal 3, 29.
23 - Gn 22, 18; 26, 4.
24 - Lc 12, 35-36.
25 - Mc 13, 8.
26 - Lc 1, 33.
27 - VERG., Aen. 1, 278 s.
28 - Lc 21, 33.
29 - VERG., Georg. 2, 498.
30 - Praef. Missae.
31 - Mt 23, 37.
32 - Cf. 1 Cor 4, 12-13.
33 - Sal 113, 4.
34 - Sal 113, 5.
35 - Sal 33, 2.
2 - Un singolare favore che l'Altissimo fece a Maria
La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca428. Quando Maria, accomiatati i genitori, restò sola nel tempio, la maestra le assegnò la cella che le toccava tra le altre vergini, ciascuna delle quali aveva una piccola stanza. Pensando che quello era suolo e locale del tempio, subito la Principessa del cielo lo baciò adorando il Signore e ringraziandolo di quel nuovo beneficio. Ringraziò la stessa terra d'averla accolta e sorretta, riconoscendosi indegna di un tale bene, perfino di calpestarla e stare su di essa. Si rivolse poi ai suoi angeli dicendo: «Principi celesti, messaggeri dell'Altissimo, miei amici e compagni fedeli, vi supplico con tutto l'affetto della mia anima: custoditemi in questo santo tempio del mio Dio, come vigilanti sentinelle, avvisandomi di tutto ciò che devo fare, istruendomi ed orientandomi come maestri e guide. Così io riuscirò a compiere in modo perfetto la volontà dell'Altissimo, darò soddisfazione ai santi sacerdoti, ubbidirò alla mia maestra e anche alle mie compagne». Rivolgendosi poi in particolare ai dodici angeli, i dodici dell'Apocalisse di cui ho già parlato precedentemente, disse: «Ed a voi, miei messaggeri, chiedo, se l'Altissimo vi darà il suo permesso, di andare a consolare i miei santi genitori nella loro afflizione e solitudine».
429. I dodici angeli ubbidirono alla loro Regina ed ella, rimasta con gli altri in divini colloqui, sentì subito una virtù superiore che fortemente e soavemente la muoveva, innalzandola ad un'ardente estasi; in quello stesso momento l'Altissimo ordinò ai suoi serafini di illuminare quest'anima santissima e prepararla al nuovo favore che stava per farle. All'istante le fu data una luce ed una qualità divina che perfezionò e proporzionò le sue facoltà all'oggetto che Dio voleva manifestarle. Così disposta, accompagnata da tutti i suoi santi angeli e da molti altri ancora, avvolta da una piccola nuvola splendente, la bambina fu sollevata corpo ed anima fino all'empireo, dove fu accolta dalla santissima Trinità con benevolenza e compiacimento. Giunta alla presenza dell'altissimo e onnipotente Signore si prostrò, come era solita fare nelle altre visioni, adorandolo con profonda umiltà e riverenza. Tornarono allora ad illuminarla una seconda volta con un'altra luce, mediante la quale vide la Divinità intuitivamente e chiaramente; fu questa, all'età di tre anni, la seconda volta che l'Altissimo le si manifestò in modo intuitivo.
430. Non vi è sentimento né linguaggio che possa manifestare gli effetti di questa visione e partecipazione della natura divina. La persona dell'eterno Padre parlò allora alla futura Madre del suo Figlio dicendole: «Colomba, diletta mia, voglio che tu veda i tesori del mio essere immutabile e delle mie infinite perfezioni, nonché gli occulti doni destinati alle anime da me elette eredi della mia gloria, che saranno riscattate col sangue dell'Agnello che deve dar la vita per loro. Conosci, figlia mia, quanto sono magnanimo verso le creature che mi conoscono e mi amano, quanto sono veritiero nelle parole, fedele nelle promesse, potente ed ammirabile nelle opere. Osserva, mia sposa, questa verità infallibile: chi mi seguirà non vivrà nelle tenebre. Tu, dunque, come mia eletta, sii testimone visibile dei tesori preparati per esaltare gli umili, rimunerare i poveri, far grandi i piccoli, premiare quanto faranno o patiranno i mortali per il mio nome».
431. Altri grandi misteri conobbe la santissima Bambina in questa visione di Dio, poiché l'oggetto è infinito. E sebbene avesse già avuto un'altra chiara manifestazione, resta ancora infinitamente da comunicare, suscitando sempre maggiore meraviglia e più ardente amore in chi riceve tale favore. Maria santissima rispose al Signore dicendo: «Altissimo, supremo, eterno Dio! Voi siete incomprensibile nella vostra grandezza, ricco nelle misericordie, abbondante nei tesori, ineffabile nei misteri, fedele nelle promesse, veritiero nelle parole e perfetto in tutte le vostre opere, perché siete Signore infinito ed eterno nell'essere e nella perfezione. La mia piccolezza che potrà mai fare, o altissimo Signore, alla vista della vostra grandezza? Mi riconosco indegna di guardare la vostra altezza, ma allo stesso tempo mi riconosco bisognosa di essere da voi guardata. Alla vostra presenza, o Signore, ogni creatura resta annientata: che farà allora questa vostra serva che è polvere? Adempite in me ogni vostro volere e beneplacito e, se ai vostri occhi sono tanto stimabili i patimenti, il disprezzo, l'umiltà, la pazienza e la mansuetudine dei mortali, non permettete, o mio Diletto, che io sia privata di un così ricco tesoro e di tali pegni del vostro amore; quanto al premio che ne consegue, datelo ai vostri servi ed amici che assai meglio di me lo meriteranno, poiché io non ho fatto né patito niente per servirvi e darvi soddisfazione».
432. L'Altissimo gradì molto la domanda della Bambina e le fece conoscere il suo consenso concedendole nel corso della sua vita travagli e patimenti per amor suo. Maria non intese, per il momento, né il tempo né il modo in cui tutto questo sarebbe accaduto; tuttavia, per il beneficio e favore d'essere stata eletta a soffrire per il nome e per la gloria del Signore, gli rese grazie e, tutta accesa dal desiderio di conseguire ciò, chiese il permesso di fare in sua presenza i voti di castità, povertà, obbedienza e perpetua clausura nel tempio, dove l'aveva chiamata. A tale richiesta il Signore rispose: «Mia sposa, i miei pensieri sovrastano quelli di tutte le creature; tu, mia eletta, ignori al presente ciò che nel corso della vita ti potrà accadere e come non sarà possibile dare in tutto compimento ai tuoi desideri nel modo che tu ora pensi. Quanto al voto di castità permetto e voglio che tu lo faccia e quanto alle ricchezze terrene che vi rinunci fin da ora; ma quanto agli altri voti voglio soltanto che tu agisca, in ciò che sarà possibile, come se li avessi fatti. Il tuo desiderio si adempirà, nel tempo futuro della legge di grazia, in molte altre giovani che ti seguiranno e, per servirmi, faranno gli stessi voti, vivendo in comunità, cosicché tu sarai madre di molte figlie».
433. Subito, la santissima Bambina fece il voto di castità alla presenza del Signore; per il resto, senza obbligarsi, rinunciò ad ogni cosa terrena e creata, proponendo inoltre di ubbidire per Dio a tutte le creature. In seguito adempì questi propositi con maggior puntualità, fervore e fedeltà di chiunque altro abbia promesso o prometterà in futuro, con voto, le stesse cose. Cessò allora la visione intuitiva e chiara di Dio, ma la bambina non fu restituita alla terra, perché subito, in un altro stato più basso, ebbe un'altra visione immaginaria dello stesso Signore, stando ancora nell'empireo; nello stesso modo seguirono altre visioni immaginarie alla presenza della Divinità.
434. In questa seconda visione vennero alcuni dei serafini più vicini al Signore, che per suo comando la adornarono e rivestirono nella seguente maniera. Dapprima tutti i suoi sentimenti furono come illuminati con una luce che li riempiva di grazia e di bellezza; quindi le fecero immediatamente indossare una veste, una tonaca splendente e preziosissima, la cinsero d'una cintura di pietre di vario tipo e di diversi colori trasparenti, brillanti e risplendenti che la rendeva bella al di sopra d'ogni umano pensiero; era segno del candore della sua purezza unito alle virtù molteplici ed eroiche della sua anima. Le misero anche un monile, una collana di inestimabile bellezza e valore: aveva tre grandi perle - simbolo delle tre maggiori e più eccellenti virtù, fede, speranza e carità - che pendevano sul petto, a indicare il loro proprio luogo, la sede di così ricche virtù. Le diedero poi sette anelli di rara bellezza e le sue mani furono inanellate dallo Spirito Santo in segno dei sette doni con cui l'adornava in modo eminentissimo. Per completare un tale abbigliamento, la santissima Trinità mise sopra il suo capo una corona imperiale di materiale prezioso con gemme inestimabili e la costituì sua sposa e imperatrice del cielo. A conferma di tutto ciò la sua veste, candida come la neve e risplendentissima, era raffinatamente ricamata di alcune cifre d'oro finissimo e brillante che dicevano: Maria, figlia dell'eterno Padre, sposa dello Spirito Santo e madre della vera luce. Quest'ultima espressione non fu intesa dall'eccelsa Signora, ma solo dagli angeli che, tutti assorti nelle lodi dell'Autore, assistevano ad un'opera così nuova e singolare. Stando già per compiersi tutto ciò, l'Altissimo infuse negli stessi spiriti angelici nuova attenzione, ed ecco che dal trono della santissima Trinità usci una voce, che parlando a Maria santissima disse: «Tu sarai nostra sposa, nostra diletta, scelta fra tutte le creature per l'eternità; gli angeli ti serviranno, tutte le nazioni e le generazioni ti chiameranno beata».
435. Quando la Bambina fu adornata con i divini ornamenti, subito si celebrò lo sposalizio più solenne e mirabile che mai avrebbero potuto immaginare gli stessi cherubini e serafini, poiché l'Altissimo l'accettò per sposa unica e singolare e la costituì nella dignità più alta possibile a una semplice creatura, per depositare in lei la sua stessa divinità nella persona del Verbo, e con lui tutti i tesori della grazia che a tale grandezza convenivano. L'umilissima tra gli umili, tutta assorta nell'abisso d'amore e di stupore che tali favori e benefici le avevano suscitato, alla presenza del Signore disse: «Altissimo re, Dio incomprensibile, chi siete voi e chi sono io, perché la degnazione vostra si volga a questa polvere, indegna delle vostre misericordie? In voi, o mio Signore, come in un chiaro specchio, conoscendo il vostro essere immutabile, vedo e conosco senz'inganno la bassezza e la viltà del mio. Contemplo la vostra immensità e il mio niente e in questa visione resto annientata, meravigliandomi che la vostra infinita Maestà si pieghi ad un vermiciattolo così vile, degno solo di rifiuto e di disprezzo fra tutte le creature. O Signore, mio bene, quanto sarete magnificato ed esaltato in quest'opera! Quale ammirazione susciterete a causa mia negli spiriti angelici, che conoscono la vostra infinita bontà, grandezza e misericordia, nel sollevare la polvere, per collocare colei che è povera tra i principi! Io, mio re e mio Signore, vi accetto come mio sposo e mi offro come vostra schiava. Il mio intelletto non avrà altro oggetto, né la mia memoria altra immagine, né la mia volontà altro fine e desiderio fuorché voi, sommo, vero, unico bene e amore mio. I miei occhi non si alzeranno per vedere creatura umana, né le mie facoltà e i miei sensi attenderanno a nient'altro all'infuori di voi e di ciò a cui la vostra Maestà mi vorrà indirizzare; solo voi, mio diletto, sarete per la vostra sposa ed ella sarà per voi solo, Bene insostituibile ed eterno».
436. L'Altissimo si compiacque grandemente per come la sovrana Principessa aveva accolto lo sposalizio celebrato con la sua anima santissima. Pose nelle mani di lei, come sua vera sposa e signora di tutto il creato, tutti i tesori della sua potenza e grazia, comandandole di chiedere qualunque cosa desiderasse, poiché niente le sarebbe stato negato. Così fece l'umilissima colomba e chiese al Signore, con ardentissima carità, di inviare il suo Unigenito al mondo per la salvezza dei mortali, di chiamare tutti alla vera conoscenza della sua Divinità, di far crescere i suoi genitori Gioacchino ed Anna nell'amore e nei doni della sua divina destra, di consolare e confortare nelle loro sofferenze i poveri e gli afflitti; infine, per se stessa domandò l'adempimento e il beneplacito della divina volontà. Furono queste le domande più particolari che in quest'occasione la nuova sposa Maria fece alla beatissima Trinità. In seguito, tutti gli spiriti angelici a lode dell'Altissimo intonarono nuovi inni d'ammirazione e quelli incaricati da sua Maestà, con musica celestiale, riportarono la santissima bambina dall'empireo al tempio, dove l'avevano presa.
437. Appena giunse al tempio, per mettere subito in pratica ciò che aveva promesso in presenza del Signore, la Bambina andò dalla sua maestra e le consegnò tutto quanto sua madre sant'Anna le aveva lasciato, perfino certi libri ed il vestiario, pregandola di volerne fare dono ai poveri, o di disporne altrimenti come le sembrava meglio; per il resto chiese che le comandasse ed ordinasse tutto ciò che doveva fare. Piena di discernimento, la maestra che, come ho già detto, era Anna la profetessa, per divino impulso accetto quanto Maria le presentava, lasciandola povera di tutto fuorché del vestito, ma nello stesso tempo si propose di aver cura di lei in modo particolare, come di colei che più d'ogni altra era povera e abbandonata, visto che tutte le altre fanciulle avevano del denaro e disponevano liberamente anche di altre cose, oltre quelle loro assegnate.
438. Inoltre la maestra diede alla dolcissima Bambina una regola di vita, che intelligentemente aveva stabilito in precedenza con il sommo sacerdote. Così, mediante tale nudità e sottomissione, la Regina e signora delle creature ottenne di restare sola, spogliata di tutto e perfino di se stessa, senza riservarsi altro affetto o possesso, fuorché il solo ardentissimo amore del Signore e il proprio abbassamento e disprezzo. Veramente io confesso la mia somma ignoranza, viltà, incapacità e indegnità di spiegare misteri così alti ed occulti. Che cosa potrà mai dire una donna inutile e vile laddove sarebbero insufficienti gli stessi sapienti e perfino la scienza e l'amore dei cherubini e dei serafini? So bene che col solo parlarne offenderei la grandezza di misteri così venerabili, se non mi scusasse l'obbedienza; ma, pur accompagnata da essa, temo e credo d'ignorare e tacere il più, di conoscere e palesare il meno, riguardo a ciascuno dei misteri di questa città di Dio, Maria santissima.
Insegnamento della santissima vergine Maria
439. Figlia mia, tra i favori grandi e ineffabili che ho ricevuto dalla destra dell'Onnipotente nel corso della mia vita, uno è stato appunto quello che hai ora finito di scrivere. Quando vidi chiaramente la divinità e l'essere incomprensibile dell'Altissimo, conobbi arcani misteri e in quell'ornamento e sposalizio ricevetti incomparabili benefici, avvertendo nello spirito sentimenti dolcissimi e divini. Il desiderio che poi ebbi di fare i quattro voti di povertà, obbedienza, castità e clausura, riuscì molto gradito al Signore, cosicché egli stabilì che nella Chiesa le religiose facessero gli stessi voti, come avviene oggi. Di là ebbe origine ciò che fate voi religiose, secondo il detto di Davide nel salmo 44: Con lei le vergini compagne a te sono condotte, poiché l'Altissimo ordinò che i miei desideri fossero il fondamento delle istituzioni religiose nella legge evangelica. Io poi adempii interamente e perfettamente tutto quanto avevo promesso al cospetto del Signore; secondo quanto fu possibile al mio stato non guardai mai in viso nessun uomo, neppure il mio sposo Giuseppe, anzi neppure gli stessi angeli quando mi apparivano in forma umana, anche se li vedevo e li conoscevo tutti in Dio. Non mi attaccai a nessuna cosa creata o razionale, né ad alcuna attività o inclinazione umana, né ebbi volontà mia propria, né mai si udì dalle mie labbra: «Voglio, non voglio... farò, non farò», poiché in tutto mi dirigeva l'Altissimo, direttamente o per mezzo dell'ubbidienza alle creature, cui mi assoggettavo di mia spontanea volontà.
440. Devi sapere, o carissima, che lo stato religioso è sacro e ordinato dall'Altissimo perché in esso si conservi la dottrina della perfezione cristiana e l'imitazione della vita santissima di mio Figlio. Per questo motivo egli è molto sdegnato contro quelle anime religiose che dormono dimentiche di un così grande beneficio e vivono trascurate e rilassate più di molti altri; così le aspetta un giudizio e un castigo ben più severo. Anche il demonio, serpente antico ed astuto, mette più diligenza e sagacità nel tentare i religiosi e le religiose di quanta ne usi con gli altri; quando riesce a far cadere una persona religiosa, cresce la sollecitudine di tutto l'inferno per impedire che si rialzi mediante i rimedi che a tale scopo tiene pronti la religione: l'ubbidienza, i santi esercizi, l'uso frequente dei sacramenti. Ora, affinché tutto ciò si perda e non giovi al religioso caduto, il nemico mette in opera tanti stratagemmi che il solo conoscerli farebbe inorridire. Molto però se ne può rilevare riflettendo sugli sforzi che i religiosi fanno per difendere le loro rilassatezze, scusandole se possibile con qualche pretesto o mettendosi a disobbedire e abbandonandosi a sempre maggiori disordini e peccati.
441. Sta' dunque attenta, figlia mia, e temi assai un così grande pericolo. Procura sempre con le forze della grazia divina di sollevarti al di sopra di te stessa, senza permettere ad alcun affetto o moto disordinato di introdursi nella tua volontà. Voglio che tu faccia ogni sforzo per morire alle tue passioni e spiritualizzarti, affinché, estinto in te tutto ciò che è terreno, passi ad un genere di vita più angelico che umano. Per corrispondere al nome di sposa di Cristo, devi uscire dai confini di ciò che è umano per sollevarti allo stato divino; quantunque tu sia terra, devi essere terra benedetta, senza spine di passioni e il cui frutto copioso sia tutto per il Signore, che ne è il padrone. Se dunque hai per sposo il potente e supremo Signore, il Re dei re e Signore dei signori, non volgere gli occhi e tantomeno il cuore ai vili schiavi, le creature umane; per la dignità di cui sei stata insignita come sposa dell'Altissimo, gli angeli stessi ti amano e ti rispettano. Se tra i mortali si considera temeraria audacia quella d'un uomo vile che metta gli occhi sulla sposa del principe, qual delitto sarà porli sulla sposa del Re celeste e onnipotente? Né sarà certo minore la colpa di lei, se ciò permette e consente. Rifletti sul terribile castigo riservato a tale colpa; non te lo faccio vedere perché per la tua debolezza verresti meno. Basti il mio insegnamento a farti eseguire quanto ti ordino e a far sì che come discepola tu mi imiti fin dove arrivano le tue forze. Sii sollecita di inculcare questa dottrina alle tue monache e procura che la mettano in pratica.
442. Dopo che l'eccelsa Signora ebbe parlato, io dissi:
«Signora mia, regina pietosa, gioisce la mia anima all'udire le vostre dolcissime parole, piene di spirito e di vita. Quanto bramerei scriverle nell'intimo del mio cuore mediante la grazia del vostro Figlio; vi supplico di ottenermela! Se mi permettete, parlerò in vostra presenza come discepola ignorante con la sua Signora e maestra. Bramo, o Madre, mio rifugio, che per adempiere ai quattro voti della mia professione, come mi comanda vostra Maestà e come è mio dovere eseguire, sebbene lo desideri troppo tiepidamente, vi degniate di darmi un insegnamento più ampio, che mi serva da guida nell'adempimento dei voti promessi, secondo il desiderio che avete infuso nel mio cuore».
18-1 Agosto 9, 1925 Come il ricambiare Iddio in amore per tutte le cose create, entra nel primo dovere della creatura. La Divina Volontà fu data come vita primaria della creatura.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Mio Gesù, dammi la forza, Tu che vedi le grandi ripugnanze che sento nello scrivere, che se non fosse per la benedetta ubbidienza ed il timore di dispiacerti, non avrei vergato mai più una sola parola. Le tue lunghe privazioni m’intontiscono e mi rendono incapace di tutto, perciò ho bisogno di aiuto maggiore per mettere su carta ciò che il tuo Santo Volere mi suggerisce. Perciò dammi la mano e sii Tu sempre insieme con me.
(2) Ora, mentre mi stavo fondendo nel Santo Voler Divino, per ricambiare in amore tutto ciò che Iddio aveva fatto nella Creazione per amore delle creature, il pensiero mi diceva che non era necessario il fare ciò, né era gradito al mio Gesù questo modo di pregare, queste sono invenzioni della mia testa. Ed il mio sempre amabile Gesù, movendosi nel mio interno mi ha detto:
(3) “Figlia mia, tu devi sapere che questo modo di pregare, cioè di ricambiare Iddio in amore per tutte le cose da Lui create, è un diritto divino ed entra nel primo dovere della creatura. La Creazione fu fatta per amore dell’uomo, anzi, fu tanto il nostro amore che, se fosse necessario avremmo creato tanti cieli, tanti soli, stelle, mari, terre, piante, e tutto il resto, per quante creature dovevano venire alla luce di questo mondo, affinché ognuna avesse una Creazione per sé, un universo tutto suo, come difatti quando il tutto fu creato, solo Adamo fu lo spettatore di tutto il creato, egli poteva godere tutto il bene che voleva. E se ciò non facemmo, fu perché l’uomo poteva godere lo stesso tutto come se fosse suo, ad onta che gli altri ne godano. Difatti, chi non può dire: il sole è mio e godere della luce del sole per quanta ne vuole? Che l’acqua è mia, e dissetarsi e servirsene dove la necessita? Che il mare, la terra, il fuoco, l’aria, sono cose mie? E tante altre cose da Me create, e se in qualche cosa l’uomo pare che difetta, che stenta la vita, è il peccato che sbarrando il passo ai miei benefizi, impedisce alle cose da Me create d’essere larghe per la creatura ingrata.
(4) Quindi, stando tutto ciò, che in tutte le cose create Iddio vincolava il suo amore verso ciascuna creatura, in essa entrava il dovere di ricambiare Iddio con il suo piccolo amore, con la sua gratitudine, con il suo grazie verso chi tanto aveva fatto per lei. Questo non ricambiare Iddio in amore per tutto ciò che ha fatto nella Creazione per l’uomo, è la prima frode che fa la creatura a Dio, è un usurpare i suoi doni senza neppure riconoscerli, da dove vengono, e chi tanto l’ha amato. Perciò è il primo dovere della creatura, ed è tanto indispensabile questo dovere ed importante, che Colei che prese a petto tutta la nostra gloria, la nostra difesa, il nostro interesse, non faceva altro che girare per tutte le sfere, dalla più piccola alla più grande delle cose da Dio create, per imprimere il suo ricambio d’amore, di gloria, di ringraziamento per tutti, e a nome di tutte le umane generazioni. Ah! si, fu proprio la mia Mamma Celeste che riempì Cieli e terra del ricambio a tutto ciò che Dio aveva fatto nella Creazione. Dopo di Lei fu la mia Umanità che compì questo dovere sì sacrosanto, a cui tanto tanto la creatura aveva mancato, e che mi rese propizio il mio Padre Celeste verso l’uomo colpevole; sicché 18[1] Questo libro è stato copiato direttamente dal originale manoscritto di Luisa Piccarreta furono le mie preghiere e quelle della mia inseparabile Mamma. Non vuoi tu dunque ripetere le mie stesse preghiere? Anzi, perciò ti ho chiamato nel mio Volere, affinché ti associ con Noi e segua e ripeta gli atti nostri”.
(5) Ond’io cercavo per quanto potevo di girare per tutte le cose create, per dare al mio Dio il ricambio dell’amore, della gloria, della gratitudine per tutto ciò che aveva fatto nella Creazione. Mi pareva di vedere in tutte le cose il ricambio dell’amore della mia Imperatrice Mamma, e del mio amato Gesù. Questo ricambio formava la più bella armonia tra il Cielo e la terra, e vincolava il Creatore con la creatura. Ogni ricambio d’amore era un tasto, una sonatina di musica celeste che rapiva, ed il mio dolce Gesù ha soggiunto:
(6) “Figlia mia, tutte le cose create non furono altro che un atto della nostra Volontà che le mise fuori, né esse possono spostarsi, né cambiare effetti, né posizione, né l’ufficio che ciascuna ricevette dal suo Creatore; esse non sono altro che specchi dove l’uomo doveva mirare i riflessi delle qualità del suo Creatore: Dove la potenza, dove la bellezza, in altre cose create la bontà, l’immensità, la luce, ecc., insomma, ogni cosa creata predica all’uomo le qualità del suo Creatore, e con voci mute le dicono quanto lo amo. Invece nel creare l’uomo, non fu la nostra sola Volontà, ma una emanazione che uscì dal nostro seno, una parte di Noi stessi che infondemmo in lui, e perciò lo creammo libero di volontà, acciò crescesse sempre in bellezza, in sapienza, in virtù; a somiglianza nostra lui poteva moltiplicare i suoi beni, le sue grazie. Oh! se un sole fosse libero di volontà e potesse fare da uno, due soli; da due, quattro soli, quale gloria, quale onore non darebbe al suo Creatore, e quanta gloria anche a sé stesso? Eppure, ciò che non possono fare le cose create, perché prive di libero arbitrio e perché furono create perché dovevano servire l’uomo, lo può fare l’uomo, perché doveva servire a Dio, sicché tutto il nostro amore era accentrato nell’uomo, e perciò mettemmo tutto il creato a sua disposizione, tutto ordinato intorno a lui, perché l’uomo se ne servisse delle opere nostre come tante scale e vie per venire a Noi, per conoscerci e amarci. Ma qual è il nostro dolore nel vedere l’uomo al disotto delle nostre cose create, anzi, trasformata dal peccato in bruttezza la sua bell’anima data da Noi, non solo non cresciuto nel bene, ma orrido a vedersi? Eppure, come se tutto ciò che fu creato per lui non bastasse al nostro amore, per custodire questo libero arbitrio le facemmo il dono più grande, che superò tutti gli altri doni, cioè, gli demmo la nostra Volontà per preservativo, come antidoto, come preventivo ed aiuto alla sua libera volontà. Sicché la nostra Volontà si mise a sua disposizione per dargli tutti quegli aiuti di cui l’uomo avesse bisogno. Sicché la nostra Volontà le fu data come vita primaria ed atto primo di tutte le sue opere. Dovendo lui crescere in grazia ed in bellezza, aveva bisogno d’una Volontà Suprema che non solo facesse compagnia alla sua umana volontà, ma che si sostituisse all’operato della creatura; ma anche questo gran dono disprezzò e non lo volle conoscere. Vedi dunque come la nostra Volontà entra nella vita primaria della creatura, e fino a tanto che tiene il suo atto primo, la sua vita, la creatura cresce sempre in grazia, in luce, in bellezza, conserva il vincolo dell’atto primo della sua creazione, e Noi riceviamo la gloria di tutte le cose create, perché servono alla nostra Volontà operante nella creatura, scopo unico di tutta la Creazione. Perciò ti raccomando che la nostra Volontà sia per te più che vita, e l’atto primo di tutte le tue azioni”.