Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Bisogna pregare se si vuole ottenere. (San Giovanni Bosco)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 27° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 1

1Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi,2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola,3così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo,4perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

5Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta.6Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.7Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe,9secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso.10Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso.11Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso.12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore.13Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni.14Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita,15poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre16e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio.17Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, 'per ricondurre i cuori dei padri verso i figli' e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto".18Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni".19L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio.20Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo".
21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio.22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa.24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva:25"Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini".

26Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret,27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.28Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te".29A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.30L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.31Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.32Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo".35Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.36Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:37'nulla è impossibile a Dio'".38Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.

39In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!43A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?44Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.45E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".

46Allora Maria disse:

"'L'anima mia' magnifica 'il Signore'
47e il mio spirito 'esulta in Dio, mio salvatore,'
48perché 'ha guardato l'umiltà della' sua 'serva.'
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e 'Santo è il suo nome:'
50'di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.'
51Ha spiegato la potenza del suo 'braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri' del loro cuore;
52'ha rovesciato i potenti' dai troni,
'ha innalzato gli umili;'
53'ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.'
54'Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,'
55come aveva promesso 'ai nostri padri,
ad Abramo e alla' sua 'discendenza,'
per sempre".

56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.

59All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria.60Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni".61Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome".62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse.63Egli chiese una tavoletta, e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati.64In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose.66Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: "Che sarà mai questo bambino?" si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.

67Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo, e profetò dicendo:

68"'Benedetto il Signore Dio d'Israele,'
perché ha visitato e redento il suo popolo,
69e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
70come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo:
71salvezza 'dai' nostri 'nemici,'
'e dalle mani di quanti ci odiano.'
72'Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri'
'e si è ricordato della sua' santa 'alleanza,'
73'del giuramento fatto ad Abramo', nostro padre,
74di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore,75in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
76E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai 'innanzi al Signore a preparargli le strade,'
77per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
78grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge
79'per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre'
'e nell'ombra della morte'
e dirigere i nostri passi sulla via della pace".

80Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.


Esdra 9

1Terminate queste cose, sono venuti a trovarmi i capi per dirmi: "Il popolo d'Israele, i sacerdoti e i leviti non si sono separati dalle popolazioni locali, nonostante i loro abomini, cioè dai Cananei, Hittiti, Perizziti, Gebusei, Ammoniti, Moabiti, Egiziani, Amorrei,2ma hanno preso in moglie le loro figlie per sé e per i loro figli: così hanno profanato la stirpe santa con le popolazioni locali; anzi i capi e i magistrati sono stati i primi a darsi a questa infedeltà".3Udito ciò, ho lacerato il mio vestito e il mio mantello, mi sono strappato i capelli e i peli della barba e mi sono seduto costernato.4Quanti tremavano per i giudizi del Dio d'Israele su questa infedeltà dei rimpatriati, si radunarono presso di me. Ma io restai seduto costernato, fino all'offerta della sera.5All'offerta della sera mi sono alzato dal mio stato di prostrazione e con il vestito e il mantello laceri sono caduto in ginocchio e ho steso le mani al mio Signore,6e ho detto:
"Mio Dio, sono confuso, ho vergogna di alzare, Dio mio, la faccia verso di te, poiché le nostre colpe si sono moltiplicate fin sopra la nostra testa; la nostra colpevolezza è aumentata fino al cielo.7Dai giorni dei nostri padri fino ad oggi noi siamo stati molto colpevoli e per le nostre colpe, noi, i nostri re e i nostri sacerdoti, siamo stati dati nelle mani dei re stranieri; siamo stati consegnati alla spada, alla prigionia, alla rapina, all'insulto fino ad oggi.8Ora, da poco, il nostro Dio ci ha fatto una grazia: ha liberato un resto di noi, dandoci un asilo nel suo luogo santo, e così il nostro Dio ha fatto brillare i nostri occhi e ci ha dato un po' di sollievo nella nostra schiavitù.9Perché noi siamo schiavi; ma nella nostra schiavitù il nostro Dio non ci ha abbandonati: ci ha resi graditi ai re di Persia; ci ha fatti rivivere, perché rialzassimo la casa del nostro Dio e restaurassimo le sue rovine e ci ha concesso di avere un riparo in Giuda e in Gerusalemme.10Ma ora, che dire, Dio nostro, dopo questo? Poiché abbiamo abbandonato i tuoi comandi11che tu avevi dato per mezzo dei tuoi servi, i profeti, dicendo: Il paese di cui voi andate a prendere il possesso è un paese immondo, per l'immondezza dei popoli indigeni, per le nefandezze di cui l'hanno colmato da un capo all'altro con le loro impurità.12Per questo non dovete dare le vostre figlie ai loro figli, né prendere le loro figlie per i vostri figli; non dovrete mai contribuire alla loro prosperità e al loro benessere, così diventerete forti voi e potrete mangiare i beni del paese e lasciare un'eredità ai vostri figli per sempre.13Dopo ciò che è venuto su di noi a causa delle nostre cattive azioni e per la nostra grande colpevolezza, benché tu, Dio nostro, ci abbia punito meno di quanto meritavano le nostre colpe e ci abbia concesso di formare questo gruppo di superstiti,14potremmo forse noi tornare a violare i tuoi comandi e a imparentarci con questi popoli abominevoli? Non ti adireresti contro di noi fino a sterminarci, senza lasciare resto né superstite?15Signore, Dio di Israele, per la tua bontà è rimasto di noi oggi un gruppo di superstiti: eccoci davanti a te con la nostra colpevolezza. Ma a causa di essa non possiamo resistere alla tua presenza!".


Siracide 15

1Così agirà chi teme il Signore;
chi è fedele alla legge otterrà anche la sapienza.
2Essa gli andrà incontro come una madre,
l'accoglierà come una vergine sposa;
3lo nutrirà con il pane dell'intelligenza,
e l'acqua della sapienza gli darà da bere.
4Egli si appoggerà su di lei e non vacillerà,
si affiderà a lei e non resterà confuso.
5Essa l'innalzerà sopra i suoi compagni
e gli farà aprir bocca in mezzo all'assemblea;
6egli troverà contentezza e una corona di gioia
e otterrà fama perenne.
7Gli insensati non conseguiranno mai la sapienza,
i peccatori non la contempleranno mai.
8Essa sta lontana dalla superbia,
i bugiardi non pensano ad essa.
9La sua lode non s'addice alla bocca del peccatore,
perché non gli è stata concessa dal Signore.
10La lode infatti va celebrata con sapienza;
è il Signore che la dirigerà.

11Non dire: "Mi son ribellato per colpa del Signore",
perché ciò che egli detesta, non devi farlo.
12Non dire: "Egli mi ha sviato",
perché egli non ha bisogno di un peccatore.
13Il Signore odia ogni abominio,
esso non è voluto da chi teme Dio.
14Egli da principio creò l'uomo
e lo lasciò in balìa del suo proprio volere.
15Se vuoi, osserverai i comandamenti;
l'essere fedele dipenderà dal tuo buonvolere.
16Egli ti ha posto davanti il fuoco e l'acqua;
là dove vuoi stenderai la tua mano.
17Davanti agli uomini stanno la vita e la morte;
a ognuno sarà dato ciò che a lui piacerà.
18Grande infatti è la sapienza del Signore,
egli è onnipotente e vede tutto.
19I suoi occhi su coloro che lo temono,
egli conosce ogni azione degli uomini.
20Egli non ha comandato a nessuno di essere empio
e non ha dato a nessuno il permesso di peccare.


Salmi 78

1'Maskil. Di Asaf.'

Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento,
ascolta le parole della mia bocca.
2Aprirò la mia bocca in parabole,
rievocherò gli arcani dei tempi antichi.

3Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato,
4non lo terremo nascosto ai loro figli;
diremo alla generazione futura
le lodi del Signore, la sua potenza
e le meraviglie che egli ha compiuto.

5Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe,
ha posto una legge in Israele:
ha comandato ai nostri padri
di farle conoscere ai loro figli,
6perché le sappia la generazione futura,
i figli che nasceranno.
Anch'essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli
7perché ripongano in Dio la loro fiducia
e non dimentichino le opere di Dio,
ma osservino i suoi comandi.
8Non siano come i loro padri,
generazione ribelle e ostinata,
generazione dal cuore incostante
e dallo spirito infedele a Dio.
9I figli di Èfraim, valenti tiratori d'arco,
voltarono le spalle nel giorno della lotta.

10Non osservarono l'alleanza di Dio,
rifiutando di seguire la sua legge.
11Dimenticarono le sue opere,
le meraviglie che aveva loro mostrato.
12Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri,
nel paese d'Egitto, nei campi di Tanis.
13Divise il mare e li fece passare
e fermò le acque come un argine.
14Li guidò con una nube di giorno
e tutta la notte con un bagliore di fuoco.
15Spaccò le rocce nel deserto
e diede loro da bere come dal grande abisso.
16Fece sgorgare ruscelli dalla rupe
e scorrere l'acqua a torrenti.

17Eppure continuarono a peccare contro di lui,
a ribellarsi all'Altissimo nel deserto.
18Nel loro cuore tentarono Dio,
chiedendo cibo per le loro brame;
19mormorarono contro Dio
dicendo: "Potrà forse Dio
preparare una mensa nel deserto?".
20Ecco, egli percosse la rupe e ne scaturì acqua,
e strariparono torrenti.
"Potrà forse dare anche pane
o preparare carne al suo popolo?".
21All'udirli il Signore ne fu adirato;
un fuoco divampò contro Giacobbe
e l'ira esplose contro Israele,
22perché non ebbero fede in Dio
né speranza nella sua salvezza.

23Comandò alle nubi dall'alto
e aprì le porte del cielo;
24fece piovere su di essi la manna per cibo
e diede loro pane del cielo:
25l'uomo mangiò il pane degli angeli,
diede loro cibo in abbondanza.
26Scatenò nel cielo il vento d'oriente,
fece spirare l'australe con potenza;
27su di essi fece piovere la carne come polvere
e gli uccelli come sabbia del mare;
28caddero in mezzo ai loro accampamenti,
tutto intorno alle loro tende.
29Mangiarono e furono ben sazi,
li soddisfece nel loro desiderio.
30La loro avidità non era ancora saziata,
avevano ancora il cibo in bocca,
31quando l'ira di Dio si alzò contro di essi,
facendo strage dei più vigorosi
e abbattendo i migliori d'Israele.

32Con tutto questo continuarono a peccare
e non credettero ai suoi prodigi.
33Allora dissipò come un soffio i loro giorni
e i loro anni con strage repentina.
34Quando li faceva perire, lo cercavano,
ritornavano e ancora si volgevano a Dio;
35ricordavano che Dio è loro rupe,
e Dio, l'Altissimo, il loro salvatore;
36lo lusingavano con la bocca
e gli mentivano con la lingua;
37il loro cuore non era sincero con lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
38Ed egli, pietoso, perdonava la colpa,
li perdonava invece di distruggerli.
Molte volte placò la sua ira
e trattenne il suo furore,
39ricordando che essi sono carne,
un soffio che va e non ritorna.
40Quante volte si ribellarono a lui nel deserto,
lo contristarono in quelle solitudini!
41Sempre di nuovo tentavano Dio,
esasperavano il Santo di Israele.
42Non si ricordavano più della sua mano,
del giorno che li aveva liberati dall'oppressore,

43quando operò in Egitto i suoi prodigi,
i suoi portenti nei campi di Tanis.
44Egli mutò in sangue i loro fiumi
e i loro ruscelli, perché non bevessero.
45Mandò tafàni a divorarli
e rane a molestarli.
46Diede ai bruchi il loro raccolto,
alle locuste la loro fatica.
47Distrusse con la grandine le loro vigne,
i loro sicomori con la brina.
48Consegnò alla grandine il loro bestiame,
ai fulmini i loro greggi.

49Scatenò contro di essi la sua ira ardente,
la collera, lo sdegno, la tribolazione,
e inviò messaggeri di sventure.
50Diede sfogo alla sua ira:
non li risparmiò dalla morte
e diede in preda alla peste la loro vita.
51Colpì ogni primogenito in Egitto,
nelle tende di Cam la primizia del loro vigore.

52Fece partire come gregge il suo popolo
e li guidò come branchi nel deserto.
53Li condusse sicuri e senza paura
e i loro nemici li sommerse il mare.
54Li fece salire al suo luogo santo,
al monte conquistato dalla sua destra.
55Scacciò davanti a loro i popoli
e sulla loro eredità gettò la sorte,
facendo dimorare nelle loro tende le tribù di Israele.

56Ma ancora lo tentarono,
si ribellarono a Dio, l'Altissimo,
non obbedirono ai suoi comandi.
57Sviati, lo tradirono come i loro padri,
fallirono come un arco allentato.
58Lo provocarono con le loro alture
e con i loro idoli lo resero geloso.

59Dio, all'udire, ne fu irritato
e respinse duramente Israele.
60Abbandonò la dimora di Silo,
la tenda che abitava tra gli uomini.
61Consegnò in schiavitù la sua forza,
la sua gloria in potere del nemico.
62Diede il suo popolo in preda alla spada
e contro la sua eredità si accese d'ira.
63Il fuoco divorò il fiore dei suoi giovani,
le sue vergini non ebbero canti nuziali.
64I suoi sacerdoti caddero di spada
e le loro vedove non fecero lamento.

65Ma poi il Signore si destò come da un sonno,
come un prode assopito dal vino.
66Colpì alle spalle i suoi nemici,
inflisse loro una vergogna eterna.
67Ripudiò le tende di Giuseppe,
non scelse la tribù di Èfraim;
68ma elesse la tribù di Giuda,
il monte Sion che egli ama.
69Costruì il suo tempio alto come il cielo
e come la terra stabile per sempre.
70Egli scelse Davide suo servo
e lo trasse dagli ovili delle pecore.
71Lo chiamò dal seguito delle pecore madri
per pascere Giacobbe suo popolo,
la sua eredità Israele.
72Fu per loro pastore dal cuore integro
e li guidò con mano sapiente.


Michea 7

1Ahimè! Sono diventato
come uno spigolatore d'estate,
come un racimolatore dopo la vendemmia!
Non un grappolo da mangiare,
non un fico per la mia voglia.
2L'uomo pio è scomparso dalla terra,
non c'è più un giusto fra gli uomini:
tutti stanno in agguato
per spargere sangue;
ognuno da' la caccia con la rete al fratello.
3Le loro mani son pronte per il male;
il principe avanza pretese,
il giudice si lascia comprare,
il grande manifesta la cupidigia
e così distorcono tutto.
4Il migliore di loro non è che un pruno,
il più retto una siepe di spine.
Il giorno predetto dalle tue sentinelle,
il giorno del castigo è giunto,
adesso è la loro rovina.
5Non credete all'amico,
non fidatevi del compagno.
Custodisci le porte della tua bocca
davanti a colei che riposa vicino a te.
6Il figlio insulta suo padre,
la figlia si rivolta contro la madre,
la nuora contro la suocera
e i nemici dell'uomo
sono quelli di casa sua.
7Ma io volgo lo sguardo al Signore,
spero nel Dio della mia salvezza,
il mio Dio m'esaudirà.

8Non gioire della mia sventura,
o mia nemica!
Se son caduta, mi rialzerò;
se siedo nelle tenebre,
il Signore sarà la mia luce.
9Sopporterò lo sdegno del Signore
perché ho peccato contro di lui,
finché egli tratti la mia causa
e mi renda ragione,
finché mi faccia uscire alla luce
e io veda la sua giustizia.
10La mia nemica lo vedrà
e sarà coperta di vergogna,
lei che mi diceva:
"Dov'è il Signore tuo Dio?".
I miei occhi gioiranno nel vederla
calpestata come fango della strada.

11È il giorno in cui le tue mura
saranno riedificate;
in quel giorno più ampi saranno i tuoi confini;
12in quel giorno si verrà a te
dall'Assiria fino all'Egitto,
dall'Egitto fino all'Eufrate,
da mare a mare, da monte a monte.
13La terra diventerà un deserto
a causa dei suoi abitanti,
a motivo delle loro azioni.

14Pasci il tuo popolo con la tua verga,
il gregge della tua eredità,
che sta solitario nella foresta
in mezzo ai giardini;
pascolino in Basàn e in Gàlaad
come nei tempi antichi.
15Come quando sei uscito dall'Egitto,
mostraci cose prodigiose.
16Vedranno le genti e resteranno deluse
di tutta la loro potenza.
Si porranno la mano sulla bocca,
i loro orecchi ne resteranno assorditi.
17Leccheranno la polvere come il serpente,
come i rettili della terra;
usciranno tremanti dai loro nascondigli,
trepideranno e di te avranno timore.

18Qual dio è come te,
che toglie l'iniquità e perdona il peccato
al resto della sua eredità;
che non serba per sempre l'ira,
ma si compiace d'usar misericordia?
19Egli tornerà ad aver pietà di noi,
calpesterà le nostre colpe.
Tu getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati.
20Conserverai a Giacobbe la tua fedeltà,
ad Abramo la tua benevolenza,
come hai giurato ai nostri padri
fino dai tempi antichi.


Apocalisse 22

1Mi mostrò poi 'un fiume d'acqua viva' limpida come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell'Agnello.2'In mezzo' alla piazza della città e 'da una parte e dall'altra del fiume si trova un albero di vita' che da' dodici raccolti e produce frutti ogni 'mese; le foglie' dell'albero servono 'a guarire' le nazioni.

3E non vi sarà più maledizione.
Il trono di Dio e dell'Agnello
sarà in mezzo a lei e i suoi servi lo adoreranno;
4'vedranno la sua faccia'
e porteranno il suo nome sulla fronte.
5Non vi sarà più notte
e non avranno più bisogno di luce di lampada,
né di luce di sole,
perché 'il Signore Dio li illuminerà
e regneranno nei secoli dei secoli'.

6Poi mi disse: "Queste parole sono certe e veraci. Il Signore, il Dio che ispira i profeti, ha mandato il suo angelo per mostrare ai suoi servi ciò che deve accadere tra breve.7Ecco, io verrò presto. Beato chi custodisce le parole profetiche di questo libro".
8Sono io, Giovanni, che ho visto e udito queste cose. Udite e vedute che le ebbi, mi prostrai in adorazione ai piedi dell'angelo che me le aveva mostrate.9Ma egli mi disse: "Guardati dal farlo! Io sono un servo di Dio come te e i tuoi fratelli, i profeti, e come coloro che custodiscono le parole di questo libro. È Dio che devi adorare".
10Poi aggiunse: "Non mettere sotto sigillo le parole profetiche di questo libro, perché il tempo è vicino.11Il perverso continui pure a essere perverso, l'impuro continui ad essere impuro e il giusto continui a praticare la giustizia e il santo si santifichi ancora.
12Ecco, io verrò presto e porterò con me il mio salario, 'per rendere a ciascuno secondo le sue opere'.13Io sono l'Alfa e l'Omega, il Primo e l'Ultimo, il principio e la fine.14Beati coloro che lavano le loro vesti: avranno parte all'albero della vita e potranno entrare per le porte nella città.15Fuori i cani, i fattucchieri, gli immorali, gli omicidi, gli idolàtri e chiunque ama e pratica la menzogna!

16Io, Gesù, ho mandato il mio angelo, per testimoniare a voi queste cose riguardo alle Chiese. Io sono la radice della stirpe di Davide, la stella radiosa del mattino".
17Lo Spirito e la sposa dicono: "Vieni!". E chi ascolta ripeta: "Vieni!". Chi ha sete venga; chi vuole attinga gratuitamente l'acqua della vita.
18Dichiaro a chiunque ascolta le parole profetiche di questo libro: a chi vi aggiungerà qualche cosa, Dio gli farà cadere addosso i flagelli descritti in questo libro;19e chi toglierà qualche parola di questo libro profetico, Dio lo priverà dell'albero della vita e della città santa, descritti in questo libro.
20Colui che attesta queste cose dice: "Sì, verrò presto!". Amen. Vieni, Signore Gesù.21La grazia del Signore Gesù sia con tutti voi. Amen!


Capitolo VI: gli sregolati moti dell'anima

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Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e, quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava, immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.


Le Confessioni - Libro quarto: insegnante per nove anni a Tagaste e Cartagine - vanità di retore

Le confessioni - Sant'Agostino d'Ippona

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Nove anni di superbia e superstizione manichea
1. 1. Trascorremmo questo periodo di nove anni, dal diciannovesimo al ventottesimo, cadendo e traendo in agguati, fra inganni subìti e attuati, in preda a diverse passioni, pubblicamente praticando l’insegnamento delle discipline cosiddette liberali, occultamente una religione spuria, superbi nel primo, superstiziosi nella seconda, in entrambi vani; attraverso il primo inseguendo una fama popolare vuota fino agli applausi teatrali, ai certami poetici, a gare per una corona di fieno, a spettacoli frivoli e passioni sregolate; attraverso la seconda cercando la purificazione da queste macchie mediante le vivande che portavamo agli eletti e ai santoni, come li chiamavano, affinché nell’officina del loro ventricolo ne fabbricassero per noi gli angeli e gli dèi nostri liberatori. Io seguivo queste pratiche, le compivo insieme ai miei amici, ingannandoli e ingannandomi con loro. Subirò la derisione dei presuntuosi, coloro che non hai ancora prostrati e schiacciati per il loro bene, Dio mio; ma ti confesserò ugualmente le mie infamie a tua lode. Permettimi, ti scongiuro, concedimi di percorrere col ricordo presente gli antichi percorsi del mio errore e di immolarti una vittima di giubilo. Cosa sono io per me stesso senza te, se non una guida verso il precipizio? e quando anche sto bene, cosa sono, se non uno che succhia il tuo latte e si nutre di te, vivanda incorruttibile? e chi è l’uomo, qualsiasi uomo, come uomo? Ci deridano pure i forti e i potenti; noi, deboli e bisognosi, ci confesseremo a te.

Vita pubblica e privata di Agostino in quegli anni
2. 2. In quegli anni insegnavo retorica: vinto cioè dalla mia passione, vendevo chiacchiere atte a vincere cause. Tuttavia preferivo, Signore, tu sai, avere allievi buoni nel vero senso della parola, e a loro senza inganno insegnavo inganni utili non a perdere un innocente, ma a salvare talvolta un reo. E tu, Dio, di lontano vedesti vacillare sul viscidume la mia buona fede ed emettere tra denso fumo qualche sprazzo di luce. Io la offrivo nel mio insegnamento a persone che amavano la vanità e cercavano la menzogna, senza essere diverso da loro. Ancora in quegli anni tenevo con me una donna, non posseduta in nozze, come si dicono, legittime, ma scovata nel vagolare della mia passione dissennata; una sola, comunque, e a cui prestavo per di più la fedeltà di un marito. Sperimentai tuttavia di persona in questa unione l’enorme divario esistente fra l’assetto di un patto coniugale stabilito in vista della procreazione, e l’intesa di un amore libidinoso, ove pure la prole nasce, ma contro il desiderio dei genitori, sebbene imponga di amarla dopo nata.

Avversione per le pratiche degli aruspici
- 3. Ricordo pure che, avendo voluto partecipare a un concorso di poesia teatrale, un oscuro aruspice mi fece chiedere quale ricompensa ero disposto a dargli, perché mi facesse vincere. Risposi che detestavo e aborrivo le sue luride pratiche, e neppure se la corona fosse stata d’oro indistruttibile avrei permesso che s’immolasse una mosca per la mia vittoria. Era infatti evidente che si preparava a immolare nei suoi sacrifici alcuni animali nell’intento di attrarre su di me con tali omaggi i favori dei demòní. Rifiutai dunque un simile misfatto, ma ancora una volta non in nome della tua illibatezza, Dio del mio cuore, perché non sapevo amarti, non sapendo pensare a uno splendore privo di corpo: e un’anima che sospira dietro a simili immaginazioni non tresca forse lontano da te, non poggia su falsità, non nutre i venti? Non volevo certamente che s’immolassero vittime per me ai demòní; io stesso però m’immolavo a loro mediante la mia superstizione: e che altro è "nutrire i venti", se non nutrire i demòni, offrire cioè ad essi col proprio errore motivi di godimento e derisione?

Ostinata devozione per l’astrologia
3. 4. Perciò quegli altri vagabondi, che chiamano matematici, non desistevo dal consultarli tranquillamente, pensando che non praticavano nessun sacrificio e non pregavano nessuno spirito per divinare il futuro. La religiosità cristiana, la vera, respinge e condanna però coerentemente ogni pratica del genere. È bene confessare te, Signore, e dirti: "Abbi pietà di me, sana la mia anima, perché ho peccato contro di te"; ed è bene non abusare della tua indulgenza per darsi licenza di peccare, ricordando le parole divine: Eccoti guarito, non peccare più, se non vuoi che ti avvenga di peggio. Dono di salvezza, costoro si sforzano di distruggerlo interamente dicendo: "Dal cielo ti viene la causa inevitabile del peccato" e: "È opera di Venere", oppure di Saturno, oppure di Marte. Evidentemente mirano con ciò a rendere senza colpa l’uomo, che è carne e sangue e superbo marciume, e colpevole il creatore e regolatore del cielo e degli astri. Ma chi è costui, se non tu, nostro Dio, dolcezza e fonte di giustizia, che renderai a ciascuno secondo le proprie opere, e non sprezzi il cuore contrito e umiliato?

Due avversari dell’astrologia: Vindiciano e Nebridio
– 5. Viveva in quel tempo un personaggio intelligente, versatissimo e reputatissimo in medicina, il quale da proconsole aveva posto di sua mano sul mio capo malsano la corona vinta nelle gare poetiche, ma non come medico, poiché il guaritore di quella specie di malattie sei tu, che resisti ai superbi, mentre agli umili accordi favore. Eppure mancasti o cessasti forse, di medicare la mia anima anche per il tramite di quel vecchio? Entrato dunque in una certa dimestichezza con lui, ne ascoltavo assiduamente e attentamente i discorsi, piacevoli e austeri, poveri di vocaboli ricercati ma ricchi di pensieri vividi. Allorché da un nostro colloquio venne a conoscenza del mio interesse per i libri degli oroscopi, mi consigliò con amorevolezza paterna di buttarli e di non impiegare vanamente in futilità l’attenzione e la fatica necessaria per le cose utili. Egli stesso, mi disse, aveva studiato la materia, tanto che in gioventù avrebbe voluto farsene il proprio mestiere, di cui campare: se aveva capito Ippocrate, avrebbe ben potuto capire anche quei testi. Eppure più tardi li abbandonò per darsi alla medicina solo perché aveva scoperto la loro completa falsità e non avrebbe persona seria qual era, guadagnare il pane gabbando il prossimo."Tu, soggiunse, possiedi un’arte che ti offre una posizione sociale solida, la retorica, e coltivi questo imbroglio per libera passione, non per necessità economiche. A maggior ragione devi fidarti di me in questa materia, che ho cercato d’imparare compiutamente così come avevo deciso di farne il mio unico sostentamento".Io gli chiesi allora come mai avvenisse che molte predizioni si realizzano. Rispose come poteva, che è effetto del caso disseminato dovunque in natura. Consultando a casaccio, spiegava, le pagine di un qualsiasi poeta, che ben altro canta e pensa, spesso ne esce un verso, mirabilmente consono col fatto proprio; non è dunque strano se per un misterioso impulso, dall’alto l’anima umana, pur ignara di quanto avviene suo interno, non per abilità, ma per accidente, faccia echeggiare alcune parole, che si armonizzano con la situazione e le faccende dell’interrogante.

– 6. Questo ammaestramento tu mi facesti avere da quell’uomo o per mezzo di quell’uomo, tracciando nella mia memoria le linee di una ricerca, che poi avrei svolto. per conto mio. Al momento né lui né il mio carissimo Nebridio, giovane di grande bontà e accortezza, con i suoi dileggi verso ogni sorta dì presagi, poterono indurmi a respingerli. Aveva più influenza sul mio animo l’autorità dei miei autori, né avevo trovato ancora una prova sicura, quale cercavo, che mi mostrasse senza ambiguità come le predizioni degli astrologhi consultati predicessero il vero per fortuna o sorte, non per l’arte di osservare le stelle.

MORTE DI UN CARISSIMO AMICO


Storia di un’amicizia
4. 7. In quegli anni, all’inizio del mio insegnamento nella città natale, mi ero fatto un amico, che la comunanza dei gusti mi rendeva assai caro. Mio coetaneo, nel fiore dell’adolescenza come me, con me era cresciuto da ragazzo, insieme eravamo andati a scuola e insieme avevamo giocato; però prima di allora non era stato un mio amico, sebbene neppure allora lo fosse, secondo la vera amicizia. Infatti non c’è vera amicizia, se non quando l’annodi tu fra persone a te strette col vincolo dell’amore diffuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo che ci fu dato. Ma quanto era soave, maturata com’era al calore di gusti affini! Io lo avevo anche traviato dalla vera fede, sebbene, adolescente, non la professasse con schiettezza e convinzione, verso le funeste fandonie della superstizione, che erano causa delle lacrime versate per me da mia madre. Con me ormai la mente del giovane errava, e il mio cuore non poteva fare a meno di lui. Quando eccoti arrivare alle spalle dei tuoi fuggiaschi, Dio delle vendette e fonte insieme di misericordie, che ci rivolgi a te in modi straordinari, eccoti strapparlo a questa vita dopo un anno appena che mi era amico, a me dolce più di tutte le dolcezze della mia vita di allora.

Malattia e morte dell’amico
- 8. Chi può da solo enumerare i tuoi vanti, che in sé solo ha conosciuto? Che facesti tu allora, Dio mio? Imperscrutabile abisso delle tue decisioni! Tormentato dalle febbri egli giacque a lungo incosciente nel sudore della morte. Poiché si disperava di salvarlo, fu battezzato senza che ne avesse sentore. Io non mi preoccupai della cosa nella presunzione che il suo spirito avrebbe mantenuto le idee apprese da me, anziché accettare un’azione operata sul corpo di un incosciente. La realtà invece era ben diversa. Infatti migliorò e uscì di pericolo; e non appena potei parlargli, e fu molto presto, non appena poté parlare anch'egli, poiché non lo lasciavo mai, tanto eravamo legati l’uno all’altro, tentai di ridicolizzare ai suoi occhi, supponendo che avrebbe riso egli pure con me, il battesimo che aveva ricevuto mentre era del tutto assente col pensiero e i sensi, ma ormai sapeva di aver ricevuto. Egli invece mi guardò inorridito, come si guarda un nemico, e mi avvertì con straordinaria e subitanea franchezza che, se volevo essere suo amico, avrei dovuto smettere di parlare in quel modo con lui. Sbalordito e sconvolto, rinviai a più tardi tutte le mie reazioni, in attesa che prima si ristabilisse e acquistasse le forze convenienti per poter trattare con lui a mio modo. Senonché fu strappato alla mia demenza per essere presso di te serbato alla mia consolazione. Pochi giorni dopo, in mia assenza, è assalito nuovamente dalle febbri e spira.

Lo sconforto di Agostino
- 9. L’angoscia avviluppò di tenebre il mio cuore. Ogni oggetto su cui posavo lo sguardo era morte. Era per me un tormento la mia patria, la casa paterna un’infelicità straordinaria. Tutte le cose che avevo avuto in comune con lui, la sua assenza aveva trasformate in uno strazio immane. I miei occhi se lo aspettavano dovunque senza incontrarlo, odiavo il mondo intero perché non lo possedeva e non poteva più dirmi: "Ecco, verrà", come durante le sue assenze da vivo. Io stesso ero divenuto, per me un grande enigma. Chiedevo alla mia anima perché fosse triste e perché mi conturbasse tanto, ma non sapeva darmi alcuna risposta; e se le dicevo: "Spera in Dio", a ragione non mi ubbidiva, poiché l’uomo carissimo che aveva perduto era più reale e buono del fantasma in cui era sollecitata a sperare. Soltanto le lacrime mi erano dolci e presero il posto del mio amico tra i conforti del mio spirito.

Misterioso conforto del pianto
5. 10. Ed ora, Signore, tutto ciò è ormai passato e il tempo ha lenito la mia ferita. Potrei ascoltare da te, che sei la verità, avvicinare alla tua bocca l’orecchio del mio cuore, per farmi dire come il pianto possa riuscire dolce agli infelici o forse, sebbene ovunque presente, hai respinto lontano da te la nostra infelicità e, mentre tu sei stabile in te stesso, noi ci muoviamo in un seguito di prove. Eppure, se non potessimo piangere contro le tue orecchie, non rimarrebbe nulla della nostra speranza. Come può essere dunque che dall’amarezza della vita si coglie un soave frutto di gemiti, di pianto, di sospiri, di lamenti? La dolcezza nasce forse dalla speranza che tu li ascolti? Ciò accade giustamente nelle preghiere, perché sono animate dal desiderio di giungere fino a te: ma anche nella sofferenza per una perdita, in un lutto come quello che allora mi opprimeva? Io non speravo né invocavo con le mie lacrime il ritorno dell’amico alla vita, ma soffrivo e piangevo soltanto. Io ero infelice e la mia felicità più non era. O forse il pianto è una realtà amara e ci diletta per il disgusto delle realtà un tempo godute e ora aborrite?

Le ragioni della vita di fronte alla morte
6. 11. Ma perché parlo di queste cose? Non è tempo, questo, di porti domande, bensì di farti le mie confessioni. Sì, ero infelice, e infelice è ogni animo avvinto d’amore alle cose mortali. Solo quando la loro perdita lo strazia, avverte l’infelicità, di cui però era preda anche prima della loro perdita. Così avveniva allora per me. Piangevo amarissimamente, e riposavo nell’amarezza, mi sentivo infelicissimo, e avevo cara la stessa vita infelice più dell’amico perduto. Avrei voluto mutarla, ma non avrei voluto perderla in sua vece. Non so se avrei accettato di fare anche per lui come Oreste e Pilade, i quali, secondo la tradizione, se non è un’invenzione, avrebbero accettato di morire uno per l’altro o insieme, essendo per loro peggio di quella morte il vivere non insieme. In me era sorto un sentimento indefinibile decisamente contrario a questo, ove la noia, gravissima, della vita, in me si associava al timore della morte. Quanto più lo amavo, io credo, tanto più odiavo e temevo la morte, nemica crudelissima che me lo aveva tolto e si apprestava a divorare in breve tempo, nella mia immaginazione, tutti gli uomini, se aveva potuto divorare quello. Tale certamente era il mio stato d’animo, mi ricordo. Eccolo il mio cuore, mio Dio, eccolo nel suo intimo. Vedilo attraverso i miei ricordi, o speranza mia, tu che mi purifichi dall’impurità di questi sentimenti, dirigendo i miei occhi verso di te e strappando dal laccio i miei piedi. Mi stupivo che gli altri mortali vivessero, se egli, amato da me come non avesse mai a morire, era morto; e più ancora, che io vivessi se era morto colui, del quale ero un altro se stesso, mi stupivo. Bene fu definito da un tale il suo amico la metà dell’anima sua. Io sentii che la mia anima e la sua erano state un’anima sola in due corpi; perciò la vita mi faceva orrore, poiché non volevo vivere a mezzo, e perciò forse temevo di morire, per non far morire del tutto chi avevo molto amato.

Partenza per Cartagine in cerca di sollievo
7. 12. Oh follia, incapace di amare gli uomini quali uomini! Oh stoltezza dell’uomo, insofferente della condizione umana! Tali erano i miei sentimenti di allora, e di lì nascevano i miei furori, i miei sospiri, le mie lacrime, i miei turbamenti e l’irrequietudine e l’incertezza. Mi portavo dentro un’anima dilaniata e sanguinante, insofferente di essere portata da me; e non trovavo dove deporla. Non certo nei boschi ameni, nei giochi e nei canti, negli orti profumati, nei conviti sfarzosi, fra i piaceri dell’alcova e delle piume, sui libri infine e i poemi posava. Tutto per lei era orrore, persino la luce del giorno; e qualunque cosa non era ciò che lui era, era triste e odiosa, eccetto i gemiti e il pianto. Qui soltanto aveva un po’ di riposo; ma appena di li la, toglievo, la mia anima, mi opprimeva sotto un pesante fardello d’infelicità. Per guarirla avrei dovuto sollevarla verso di te, Signore, lo capivo, ma non volevo né valevo tanto, e ancora meno perché non eri per la mia mente un essere consistente e saldo, ossia non eri ciò che sei. Un vano fantasma e il mio errore erano il mio dio. Se tentavo di adagiarvi la mia anima per farla riposare, scivolava nel vuoto, ricadendo nuovamente su di me; e io ero rimasto per me stesso un luogo infelice, ove non potevo stare e donde non potevo allontanarmi. Dove poteva fuggire infatti il mio cuore via dal mio cuore, dove fuggire io da me stesso, senza inseguirmi? Dalla mia patria però fuggii, perché i miei occhi meno cercavano l’amico dove non erano avvezzi a vederlo. Cosi dal castello di Tagaste mi trasferii a Cartagine.

A CARTAGINE


Nuove amicizie consolatrici
8. 13. Il tempo non è inoperoso, non passa oziosamente sui nostri sentimenti. Agisce invece sul nostro animo in modo sorprendente. Ecco, veniva e trascorreva di giorno in giorno, e venendo e trascorrendo insinuava dentro di me nuove speranze, nuovi ricordi con paziente restauro ove alle antiche forme di piacere cedeva il recente dolore. Ma succedevano, se non nuovi dolori, motivi almeno di nuovi dolori. Perché, d’altronde, quel primo dolore era penetrato con grande facilità nel mio intimo, se non perché avevo versato la mia anima sulla sabbia, amando una creatura mortale come fosse immortale? Massimo ristoro e sollievo mi veniva dai conforti degli altri amici, con i quali avevo in comune l’amore di ciò che amavo in tua vece, dell’enorme finzione, della lunga impostura, corruttrice, con le sue carezze spurie, del nostro pensiero smanioso di udire. Per me quella finzione non moriva, se anche uno dei miei amici moriva. Altri legami poi avvincevano ulteriormente il mio animo: i colloqui, le risa in compagnia, lo scambio di cortesie affettuose, le comuni letture di libri ameni, i comuni passatempi ora frivoli ora decorosi, i dissensi occasionali, senza rancore, come di ogni uomo con se stesso, e i più frequenti consensi, insaporiti dai medesimi, rarissimi dissensi; l’essere ognuno dell’altro ora maestro, ora discepolo, la nostalgia impaziente di chi è lontano, le accoglienze festose di chi ritorna. Questi e altri simili segni di cuori innamorati l’uno dell’altro, espressi dalla bocca, dalla lingua, dagli occhi e da mille gesti gradevolissimi, sono l’esca, direi, della fiamma che fonde insieme le anime e di molte ne fa una sola.

Fortunati gli amici di Dio
9. 14. Tutto ciò si ama negli amici, e si ama in modo che la nostra coscienza di uomini si sente colpevole, se non risponde sempre con amore ad amore senza chiedere all’essere amato che prove di affetto. Vengono di qui il lutto alla morte degli amici, le tenebre del dolore, il mutarsi della dolcezza in amarezza, il cuore zuppo di pianto e la morte dei vivi per la perduta vita dei morti. Felice chi ama te, l’amico in te, il nemico per te. L’unico a non perdere mai un essere caro è colui che ha tutti cari in chi non è mai perduto. E chi è costui, se non il Dio nostro, il Dio che creò il cielo e la terra e li colma 44 perché colmandoli li ha fatti? Nessuno ti perde, se non chi ti lascia, e poiché ti lascia, ove va, ove fugge, se non dalla tua benevolenza alla tua collera? Dovunque troverà la tua legge nella sua pena, e la tua legge è verità, e la verità sei tu.

10. 15. Dio delle virtù, rivolgi noia te, mostra a noi il tuo viso, e saremo salvi. L’animo dell’uomo si volge or qua or là, ma dovunque fuori di te è affisso al dolore, anche se si affissa sulle bellezze esterne a te e a sé. Eppure non esisterebbero cose belle, se non derivassero da te. Nascono e svaniscono: nascendo cominciano, per così dire, a esistere, crescono per maturare, e appena maturate invecchiano fino a morire. Non tutte invecchiano, ma tutte muoiono. Nel nascere, dunque, e nel tendere all’esistenza, quanto più rapida è la loro crescita verso l’essere, tanto più frettolosa la loro corsa verso il non essere. Questa è la loro limitazione, non più di questo hai concesso loro, perché sono parte di altre entità che non esistono tutte simultaneamente, ma tutte formano con la loro scomparsa e comparsa l’universo, di cui sono parti. Così, ecco, anche i nostri discorsi si sviluppano fino alla loro conclusione attraverso una successione di suoni, e non si avrebbe un discorso completo, se ogni parola non sparisse per lasciare il posto a un altra dopo aver espresso la sua parte di suono. Ti lodi per quelle cose la mia anima, Dio creatore di tutto, ma senza lasciarsi in esse invischiare dall’amore, attraverso i sensi del corpo. Esse vanno ove andavano per cessare di esistere, e straziano l’anima con passioni pestilenziali, perché il suo desiderio è di esistere e di riposare fra le cose che ama. Ma lì non può trovare un punto fermo, perché le cose non sono stabili. Fuggono, e chi potrebbe raggiungerle con i sensi della carne, o afferrarle, anche quando sono vicine? I sensi della carne sono lenti, appunto perché sono della carne, e questa è la loro limitazione. Bastano ad altri scopi, per cui sono fatti, ma non bastano allo scopo di trattenere le cose che corrono dal debito inizio al debito fine. Nella tua parola, con cui sono create, si sentono dire: "Di qui e fin qui".

Stabilità di Dio
11. 16. Non essere vana, anima mia, non assordare l’orecchio del cuore col tumulto delle tue vanità. Ascolta tu pure: è il Verbo stesso che ti grida di tornare; il luogo della quiete imperturbabile è dove l’amore non conosce abbandoni, se lui per primo non abbandona. Qui invece, lo vedi, ogni cosa dilegua per far posto ad altre e costituire l’universo inferiore nella sua interezza. "Ma io, dice il Verbo divino, mi dileguo forse da qualche parte?". Fissa dunque in lui la tua dimora, affida a lui quanto tieni da lui, anima mia finalmente stanca d’inganni; affida alla verità quanto ti viene dalla verità, e nulla perderai. Rifioriranno le tue putredini, tutte le tue debolezze saranno guarite, le tue parti caduche riparate, rinnovate, fissate strettamente a te stessa; anziché travolgerti nel loro abisso, rimarranno stabili e durevoli con te accanto a Dio eternamente stabile e durevole.

- 17. Perché segui, pervertita, la tua carne? Essa piuttosto segua te, convertita. Attraverso le sue sensazioni tu hai conoscenze parziali, ma ignoranza del tutto, di cui pure le parti ti dànno diletto. Se i sensi della tua carne fossero capaci di abbracciare la totalità e non fossero stati giustamente limitati, per tuo castigo, a una parte del complesso, vorresti che le cose ora esistenti passassero, per gustarle maggiormente tutte insieme. Tu odi quanto diciamo, mediante la stessa sensibilità della carne, e certo non vuoi mai che le sillabe si arrestino, bensì che trascorrano a volo per far posto ad altre, in modo da udire l’intero discorso. Così sempre per tutte le parti che costituiscono un’unica sostanza e non esistono tutte simultaneamente per costituirla: si gustano maggiormente tutte, che ognuna per sé, qualora si possano percepire tutte. Molto migliore delle cose è però colui che le fece tutte, e questi è il Dio nostro, che mai si ritrae, poiché nulla gli sottentra.

Esortazione a cercare la felicità in Dio
12. 18. Se ti piacciono i corpi loda Dio per essi, rivolgi il tuo amore al loro artefice per evitare di spiacere a lui per il piacere delle cose. Se ti piacciono le anime, in Dio amale, poiché sono mutevoli anch’esse, ma in lui si fissano stabilmente, mentre altrove passerebbero e perirebbero. In lui amale dunque, rapisci a lui con te quante altre anime puoi e di’ loro: "Amiamolo: lui è il creatore di queste cose e non ne è lontano, perché non le abbandonò dopo averle create, ma, venute da lui, in lui sono. Dov’è? dove si assapora la verità? È nell’intimo del cuore, ma il cuore errò lontano da lui. Rientrate nel vostro cuore, prevaricatori, e unitevi a colui che vi ha creati. Restate con lui, e resterete saldi; riposate in lui, e avrete riposo. Dove andate, alle tribolazioni? Dove andate? Il bene che amate deriva da lui, ma solo in quanto tende a lui è buono e soave; sarà invece giustamente amaro, perché ingiustamente si ama, lasciando lui, ciò che deriva da lui. Quale vantaggio ricavate dal vostro lungo e continuo camminare per vie aspre e penose? Non vi è quiete dove voi la cercate. Cercate ciò che cercate, ma non è lì, dove voi cercate. Voi cercate una vita felice in un paese di morte: non è lì. Come potrebbe essere una vita felice ove manca la vita?

- 19. Discese nel mondo la nostra vita, la vera, si prese sulle sue spalle la nostra morte e l’uccise con la sovrabbondanza della sua vita, ci gridò tuonando di tornare dal mondo a lui, nel sacrario onde venne a noi dapprima entrando nel seno di una vergine, ove gli si unì come sposa la creatura umana, la nostra carne mortale, per non rimanere definitivamente mortale; poi di là, come sposo che esce dal talamo, uscì con balzo di gigante per correre la sua via, e senza mai attardarsi corse gridando a parole e a fatti, con la morte e la vita, con la discesa e l’ascesa, gridando affinché tornassimo a lui; e si dipartì dagli occhi affinché tornassimo al cuore, ove trovarlo. Partì infatti, ed eccolo, è qui. Non volle rimanere a lungo con noi, e non ci ha lasciati. Partì verso un luogo da cui non si era mai dipartito, perché il mondo fu fatto per mezzo suo, e in questo mondo era e venne in questo mondo a salvare i peccatori. La mia anima si confessa a lui, e lui la guarisce, perché ha peccato contro di lui. "Figli degli uomini fino a quando questo peso nel cuore? Anche dopo che la vita discese a voi, non volete ascendere a vivere? Dove ascendete, se siete già in alto e avete posto la bocca nel cielo? Discendete, per ascendere, e ascendere a Dio, poiché cadeste nell’ascendere contro Dio". Di’ loro queste parole, anima mia, affinché piangano nella valle del pianto, e così rapiscili via con te fino a Dio. Lo spirito di Dio t’ispira queste parole, se nel parlare ardi col fuoco della carità.

Agostino Autore di un trattato sulla bellezza
13. 20. Ignaro di tutto ciò, e innamorato delle bellezze terrene, io allora camminavo verso l’abisso e dicevo ai miei amici: "Noi non amiamo che il bello. Cos’è il bello? e cos’è la bellezza? Cosa ci attrae e ci avvince agli oggetti del nostro amore? La convenienza e la grazia, perché se ne fossero privi non ci attirerebbero affatto". Avvertivo cioè e notavo che nei corpi altra cosa è la bellezza, per così dire, complessiva, in quanto sono un complesso, e altra la convenienza, ossia l’armonia con altri corpi, come una parte del nostro corpo si armonizza col tutto, o un calzare col piede e così via. Questa considerazione scaturì nella mia mente dall’intimo del mio cuore, per cui scrissi alcuni libri sulla bellezza e la convenienza, credo due o tre: tu sai, Dio, io ne ho perso il ricordo, né più li possiedo. Per noi sono smarriti, chissà come.

Dedica del trattato all’oratore Gerio
14. 2l Cosa mi spinse, Signore Dio mio, a dedicare quei libri a un oratore romano, Gerio, che non conoscevo personalmente? Avevo preso ad amarlo per la chiara fama della sua erudizione e per alcune parole che di lui mi erano state riferite e mi erano piaciute. Ma soprattutto mi piaceva perché piaceva agli altri, ne era esaltato e lodato. La gente stupiva che da un siriano, già dotto nell’oratoria greca, fosse uscito anche un dicitore mirabile nella latina, versatissimo per di più negli studi relativi alla filosofia. Accade dunque di lodare un uomo e di amarlo anche da lungi, ma questo amore entra forse nel cuore di chi ascolta dalla bocca di chi loda? Lungi da me! È invece dall’amore dell’uno che si accende l’amore dell’altro. Nasce l’amore della lode quando si crede alla sincerità degli elogi di chi loda, cioè quando costui ami chi loda.

- 22. Così appunto io allora amavo gli uomini, seguendo il giudizio degli uomini e non il tuo, Dio mio, in cui nessuno s’inganna. Perché tuttavia la mia lode non era qual è per un auriga celebre o un cacciatore esaltato dalla fama popolare, bensì molto differente, e seria e quale avrei voluto ricevere anch’io? Io non avrei voluto ricevere la lode e l’amore degli istrioni, per quanto li lodassi e amassi poi anch’io. Avrei preferito l’oscurità a una nomea di quel genere, l’odio addirittura a un simile amore. Come si distribuiscono in una medesima anima le forze di amori tanto vari e diversi? Come mi avviene di amare in altri ciò che invece non detesterei né respingerei da me, se non l’odiassi? Eppure siamo uomini entrambi. Sì, chi ama un buon cavallo, non vorrebbe esserlo, anche potendo, ma non si può dire altrettanto per un istrione, il quale partecipa della nostra natura. Io amerei dunque in un uomo ciò che non vorrei essere, pur essendo un uomo? Quale abisso l’uomo medesimo, di cui tu, Signore, conosci persino il numero dei capelli senza che nessuno manchi al tuo conto! Eppure è più facile contarne i capelli che i sentimenti e i moti del cuore.

- 23. Quel retore comunque apparteneva al genere d’uomini che io amavo al punto di voler essere come loro. La vanità mi portava fuori strada, ogni vento mi spingeva or qua or là, ma tu nell’ombra mi pilotavi. Da dove riconosco, da dove traggo la certezza nel confessarti che l’amai più per l’amore di chi lo lodava, che per le ragioni di tante lodi? Se, anziché lodarlo, le medesime persone lo avessero biasimato, avessero narrato di lui i medesimi fatti con accenti di biasimo e sprezzo, io non mi sarei acceso né esaltato per lui; eppure i fatti non sarebbero stati certamente diversi, egli medesimo un uomo diverso; soltanto i sentimenti di chi ne parlava lo sarebbero stati. Ecco qual è la condizione di un’anima inferma, non ancora aderente alle solide basi della verità. Secondo che spira l’aura delle parole dal petto di chi sentenzia, essa è trasportata e spinta, è torta e ritorta, le si offusca la luce, non scorge la verità che, ecco, ci sta davanti. Per me era poi molto importante che quel personaggio venisse a conoscere il mio stile e i miei studi. Una sua approvazione avrebbe accresciuto il mio ardore, una riprovazione avrebbe pugnalato il mio cuore vano e privo della tua fermezza. Intanto la Bellezza e convenienza, il trattato che gli avevo dedicato, io passavo e ripassavo nella mente, davanti allo sguardo compiaciuto della mia contemplazione, e l’ammiravo senza che avesse l’approvazione di nessuno.

Argomenti del trattato
15. 24. Non vedevo però ancora nella tua arte, onnipotente e unico autore di meraviglie, il cardine di una realtà così grande. Il mio spirito percorreva le forme corporee e io definivo bello ciò che è armonioso in sé, conveniente ciò che è armonioso in rapporto con altri oggetti, suffragando questa distinzione con esempi concreti. Poi mi volsi a considerare la natura dell’anima. Ma l’idea falsa che avevo delle sostanze spirituali m’impediva di scorgere il vero. Per quanto la verità mi balzasse agli occhi con tutta la sua forza, io non distoglievo la mente ansiosa dalla realtà incorporea verso le linee, i colori e le masse turgide; e giacché non potevo ritrovarne nell’anima, pensavo che non avrei potuto ritrovare l’anima stessa; e poiché nella virtù mi attraeva la pace, nel vizio mi ripugnava la discordia, scorgevo nella prima una specie di unità, nel secondo una specie di divisione. In quell’unità poi mi pareva risiedere l’anima razionale, l’essenza della verità e del bene supremo; nella divisione invece misero scorgevo una sostanza indefinibile di vita irrazionale e l’essenza del male supremo, che per me era non solo sostanza, ma vera vita, sebbene non provenisse da te, Dio mio, da cui provengono tutte le cose. Delle due, alla prima davo il nome di monade in quanto intelligenza asessuale, alla seconda di diade, ed è la collera nei delitti, la libidine nei vizi. Non sapevo cosa dicessi. Infatti ignoravo e non avevo imparato che il male non è una sostanza, e neppure la nostra intelligenza è il bene supremo e immutabile

Orgoglio di un uomo corrotto
- 25. Come si commettono delitti quando l’impulso spirituale che muove le nostre azioni è corrotto e si scatena con torbida arroganza; come si cade nel vizio quando l’anima non modera le inclinazioni di cui si alimentano i piaceri fisici, così gli errori e le opinioni false guastano la vita, se anche l’anima razionale è corrotta. Corrotta era la mia allora, poiché ignoravo che un’altra luce doveva illuminarla, se voleva godere della verità, poiché non era essa per sé l’essenza della verità. Tu infatti illuminerai la mia lucerna, Signore; tu, Dio mio, illuminerai le mie tenebre. Tutti abbiamo attinto dalla tua pienezza; tu sei il vero lume, il quale illumina ogni uomo che viene in questo inondo; perché non sei soggetto ad alterazione né ad ombra di mutamento.

- 26. Io tendevo però verso di te, e tu mi respingevi via da per farmi assaporare la morte, poiché resisti ai superbi: e può esservi atto più superbo del mio, quando affermavo con demenza inaudita di essere per natura ciò che sei tu? Ero mutevole, e ben lo capivo dal desiderio appunto di sapere per divenire da peggiore migliore; eppure preferivo credere mutevole anche te, piuttosto che me diverso da ciò che tu sei. Di qui le tue ripulse, la tua resistenza di fronte alla mia tronfia testardaggine. Fissavo la mia immaginazione su forme corporee, ero carne e accusavo la carne, ero un soffio passeggero e ancora non tornavo a te, passavo passeggero fra cose inesistenti in te, in me, nella materia, non create per me dalla tua verità, ma dalla mia vanità immaginate secondo la materia. E dicevo ai tuoi piccoli, ai tuoi fedeli, ai miei concittadini, da cui ero a mia insaputa in lontano esilio, dicevo loro con sciocca petulanza: "Perché dunque dovrebbe ingannarsi lo spirito, se creato da Dio?", e non volevo sentirmi rispondere: "Perché dunque dovrebbe ingannarsi Dio". Preferivo sostenere che la tua sostanza immutabile è costretta ad errare, anziché riconoscere che la mia mutabile aveva deviato spontaneamente e per castigo errava.

- 27. Avevo forse ventisei o ventisette anni quando scrissi quei volumi, rivolgendo dentro di me le elucubrazioni materialistiche che rumoreggiavano alle orecchie del mio cuore. Pure tendevo queste orecchie, o dolce verità, alla tua melodia interiore nell’atto stesso di meditare sulla bellezza e la convenienza. Il mio desiderio era di stare ritto innanzi a te, di udirti, di sentirmi preso dalla gioia alla voce dello sposo; e non potevo realizzarlo poiché le voci del mio errore mi trascinavano fuori di me e il peso del mio orgoglio mi faceva cadere verso il basso. Non davi infatti gioia e letizia al mio udito, né esultavano le ossa, che non erano state ancora umiliate.

Lettura delle Dieci categorie di Aristotele
16. 28. E a che mi giovava l’aver letto e capito da solo, sui vent’anni, un’opera aristotelica venutami fra mano, che chiamano Le dieci categorie? A pronunciarne soltanto il nome le gote del mio maestro cartaginese di retorica, e di altre persone che passavano per erudite, si gonfiavano fino a scoppiare; perciò io restavo là con la bocca aperta come davanti a cosa straordinaria e divina. Ne discussi poi con persone che dicevano di averla capita a fatica, pur sotto la guida di maestri coltissimi e con l’ausilio non solo delle loro parole, ma anche di molte figure tracciate sulla polvere; ma non riuscii a saperne più di quanto avevo imparato da me solo, leggendola per mio conto. Mi sembrava che l’opera parlasse abbastanza chiaramente delle sostanze, quale l’uomo, e delle loro proprietà, quale l’aspetto dell’uomo, come sia; la statura, di quanti piedi sia; la relazione, di chi sia fratello; oppure dove sia stabilito, quando nato, se stia ritto o seduto, se abbia i piedi calzati e armi indosso, se compia o subisca qualche azione, e insomma tutte le innumerevoli qualità comprese nelle nove categorie di cui ho dato qualche esempio e nella categoria stessa di sostanza.

- 29. A che mi giovava ciò? Anzi, mi nuoceva addirittura. Convinto che quei dieci attributi comprendono perfettamente tutto ciò che esiste, mi sforzavo di capire anche te, Dio mio, essere mirabilmente semplice e immutabile, come condizionato dalla tua grandezza e bellezza. Queste qualità mi parevano sussistere in te come in un essere condizionato, come in un corpo, mentre tu medesimo sei la tua grandezza e bellezza, invece i corpi non sono grandi e belli per loro natura. Potrebbero infatti essere meno grandi e meno belli senza perdere per ciò la loro natura. Ogni mio concetto di te era falso, non vero; vana immaginazione della mia miseria, non solida visione della tua beatitudine. L’avevi voluto, e così accadeva in me che la terra producesse per me spine e triboli, e io ottenessi il pane a prezzo di fatiche.

Lettura di varie opere letterarie e scientifiche
- 30. E a che mi giovava l’aver letto e capito da me tutti i trattati che potei delle arti cosiddette liberali, se allora ero schiavo disonestissimo delle male passioni? Trovavo diletto nella loro lettura senza conoscere la provenienza delle sicure verità in essi contenute, poiché volgevo il dorso al lume, il viso agli oggetti illuminati: così il mio viso, se li vedeva illuminati, non era però illuminato. Quante nozioni di eloquenza e dialettica, di geometria e musica e aritmetica intesi senza grande fatica e alcun ammaestramento umano lo sai tu, Signore Dio mio, poiché la prontezza dell’intelletto e l’acume del discernimento sono dono tuo. Ma non ne facevo offerta a te, quindi erano per me un potere più nocivo che utile. Infatti m’industriai di rivendicare a me la parte migliore della mia sostanza; anziché preservare la mia forza presso di te, mi allontanai da te verso un paese lontano, ove dissiparla fra le meretrici passioni. A che mi giovava invero l’uso non buono di una cosa buona? Non mi rendevo conto delle grandi difficoltà che la comprensione di quelle dottrine presenta anche a studiosi d’ingegno, se non quando mi sforzavo di spiegarle a loro, e il più eccellente fra loro era il meno tardo a capire la mia spiegazione.

Inutilità dell’ingegno e della cultura separati da Dio
- 3 l. A che mi giovava ciò, se, Signore Dio e verità, pensavo che tu fossi un corpo luminoso e immenso, e io un frammento di quel corpo? Smisurata perversione! Eppure era il mio stato e non arrossisco, Dio mio, di confessarti gli atti della tua misericordia verso di me e invocarti, come non arrossii allora di professare davanti agli uomini le mie bestemmie latrando contro di te. A che mi giovava allora l’abile destreggiarsi del mio ingegno attraverso le scienze, l’aver districato senza l’ausilio di maestri umani tanti libri intricatissimi, se poi erravo con mostruosa e sacrilega infamia nella dottrina della tua pietà? Oppure, perché tanto nuoceva ai tuoi piccoli un’intelligenza di gran lunga più tarda della mia, quando non si ritiravano lungi da te, e dunque mettevano sicuri le piume nel nido della tua Chiesa e sviluppavano le ali della carità con l’alimento di una fede sana? O Signore Dio nostro, noi si speri nella copertura delle tue ali, e tu proteggi noi, sorreggi noi. Tu ci sorreggerai, ci sorreggerai da piccoli, e ancora canuti ci sorreggerai. La nostra fermezza, quando è in te, allora è fermezza; quando è in noi, è infermità. Il nostro bene vive sempre accanto a te, e nell’avversione a te è la nostra perversione. Volgiamoci tosto indietro, Signore, per non essere sconvolti. Il nostro bene vive indefettibilmente accanto a te, perché tu medesimo lo sei, e non temiamo di non trovare al nostro ritorno il nido da cui siamo precipitati. La nostra casa non precipita durante la nostra assenza: è la tua eternità.


Cenni storici sulla vita del chierico Luigi Comollo morto nel seminario di Chieri ammirato da tutti per le sue singolari virtù

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Ai signori seminaristi di Chieri

 

            Siccome l'esempio delle azioni virtuose vale assai più di un qualunque elegante discorso, così non sarà fuor di ragione, che a voi si presenti un cenno storico sulla vita di colui, il quale essendo visuto nello stesso luogo, e sotto la medesima disciplina che voi vivete, vi può servire di vero modello perché possiate rendervi degni del fine sublime a cui aspirate, e riuscire poi un dì ottimi leviti nella vigna del Signore.

            È vero che a questo scritto mancano due cose molto notevoli quali sono uno stile forbito, un'elegante dicitura; perciò ho indugiato finora, perché penna migliore che la mia non è, volesse assumersi un tale incarico; ma scorgendo vana la mia dilazione, mi son determinato di farlo io stesso nel miglior modo a me possibile, indotto dalle replicate instanze fattemi da diversi miei colleghi, e da altre persone ragguardevoli, persuaso che la tenerezza che verso questo degnissimo compagno vostro mostraste, e la distinta vostra pietà sapranno {3[3]} condonare, anzi suppliranno alla pochezza del mio ingegno.

            Benché però non possa allettarvi colla bellezza del dire, mi consola assai il potervi con tutta sincerità promettere che scrivo cose vere, le quali tutte ho io stesso vedute; o udite, o apprese da persone degne di fede, del che ne potrete giudicare anche voi che pur ne foste in parte testimonii oculari.

            Che se scorrendo questo scritto vi sentirete animati a seguire qualcheduna delle accennate virtù, rendetene gloria a Dio, al quale, mentre lo prego vi sia ognor propizio, questa mia fatica unicamente consacro. {4[4]}

 

 

Capo primo. Fanciullezza di Luigi Comollo

 

            Nacque Luigi Comollo il 7 aprile 1817, nel territorio di Cinzano, in una borgata detta la Pra, da Carlo e Gioanna Comollo, i quali sebbene di non molto distinta condizione, hanno però quei beni assai più delle ricchezze pregievoli i veri caratteri di pietà, e di timor di Dio. Sortì il nostro Luigi dalla natura un'anima buona, cuore arrendevole, indole docile, e mansueta. Giunto appena all'uso di ragione tosto si videro allignare in lui quei primi semi di pietà, e divozione che mirabilmente spiegò in tutto il corso del viver suo. Come potè apprendere a pronunziare i SS. nomi di Gesù e di Maria, gli furono ognor l'oggetto di sua tenerezza, e riverenza; non mostrava già quella nausea, o svogliatezza nel pregare che {5[5]} è propria dei ragazzi; anzi quanto più erano prolungate le preghiere, tanto più erane allegro, e contento. Apprese con facilità a leggere e scrivere, e se ne servì ben tosto a proprio, e altrui spirituale vantaggio, giacché nei giorni festivi, principalmente, che quelli di sua età andavano qua e là a trastullarsi, egli raccoltine alcuni insieme si tratteneva coi medesimi leggendo, e spiegando loro quel tanto che sapeva, oppure raccontando un qualche edificante esempio. Questo gli procurò la stima, e la venerazione dei coetanei in guisa, che, lui presente, niuno ardiva prorompere in parole sconcie, o men che oneste, il che se inavvedutamente avveniva, tosto l’un l'altro avvertiva: «zitto che c'è Luigi che sente » sopraggiungendo egli, ogni discorso men buono era interrotto. All'udire parole disdicevoli ai buoni costumi, o alle cose di religione «non parlar così, tosto» colla ammirabile sua affabilità diceva, «questo non istà bene nella bocca di un giovane Cristiano.» Secondochè esigeva la condizione sua, conduceva bestiami al pascolo, ma sempre lontano da persone {6[6]} di diverso sesso, e con libretti spirituali tra le mani che leggeva da se solo, o con altri. Con questo tenor di vita mentre edificava i suoi compagni, era l'ammirazione delle persone provette, le quali stupivano a tanta virtù in un giovanetto di prima età.

            « Io aveva un figlio, afferma un padre, di cui non sapeva più che farmene, l'aveva trattato con dolcezza, e con rigore, e tutto indarno; mi venne in mente mandarlo con Luigi, se mai gli fosse riuscito di renderlo alquanto docile, e più non mi fosse cagione di amaro disgusto. Il mio monello da prima mostravasi ritroso nel dover frequentare chi sì poco secondava le sue mire, ma ben presto allettato dalle attrattive di Luigi gli divenne amico, e compagno delle sue virtù, in guisa, che al presente dimostra ancor la morigeratezza e la docilità che ebbe da quell'anima buona succhiata. »

            Singolare era l'obbedienza verso i suoi genitori; sempre pronto, e attento a quanto veniva da loro ordinato, da ogni lor cenno pendeva anzioso, studiandosi con tutta {7[7]} sollecitudine di prevenire anzi i comandi che gli dovevano imporre. Qualora al sopravvenire di qualche siccità, grandine, o perdita di bestiami i suoi parenti mostravansi afflitti, Luigi era colui che li confortava a prendere come favor del Signore quanto accadeva; «anche di questo avevamo bisogno, egli diceva, ogni qualvolta la mano del Signore ci tocchi son sempre tratti di sua bontà, è segno che si ricorda di noi, e vuole che noi pure ci ricordiamo di lui.» Non era mai che si allontanasse da' suoi genitori senza l'espressa loro licenza, di cui ne era tanto geloso osservatore, che una volta essendo andato a visitare certi parenti con limitata licenza, essi, (allettati dall'amabilità del suo edificante parlare) non permettendogli di partirsene per tempo, si ritirò in disparte a piangere nel vedersi a disubbidienza costretto, e come giunse a casa, tosto dimandò perdono della disubbidienza suo malgrado commessa. Si assentava alle volte dalla presenza altrui, e questo affine di ritirarsi in qualche cantuccio a pregare, o far meditazione. Più {8[8]} volte il vidi, mi afferma una persona che fu con lui allevata, mangiare in fretta, sbrigarsi di alcune occupazioni impostegli, e mentre altri godevano un pò di ricreazione, sotto qualche pretesto andarsi a nascondere in fosso da vite se era in campagna, sul fenile se era in casa, per ivi trattenersi in preghiere vocali, o leggere libretti di meditazione. Tanto è vero che anche fra le glebe Iddio sa guidare i rozzi, e gli indotti per le sublimi vie della virtù.

            A questi bei semi di virtù andavano strettamente uniti i veri caratteri di divozione, e grande tenerezza per le cose di religione. Il che dimostrò fin da che fece la sua prima confessione. Fatto un accurato esame di sua coscienza, si presentò al Confessore, innanzi a cui, tra per la confusione, congiunta colla riverenza a quel Sacramento, e l’apprensione che per le sue colpe provava, (se pur colpa aveva) sì grave dolore lo assalì, che proruppe in un profluvio di lagrime, ed ebbe bisogno di conforto a dar principio, e continuare la dichiarazione di sue colpe. Con pari edificazione {9[9]} degli astanti partecipò la prima volta del Corpo di Cristo. Dal qual tempo in poi tanto si affezionò a questi due Sacramenti, che nello accostarvisi provava la più grande consolazione; nè mai lasciava sfuggire occasione senza che ne approfittasse; ma siccome per quantunque frequente gli si permettesse l'uso della Comunione non bastava a saziare l'amore onde tutto ardeva per Gesù, trovò modo di provvedervi bellamente colla Comunione Spirituale, al quale proposito anche quando già Chierico trovavasi nel Seminario udivasi più volte a dire: fu per l'insigne opera di s. Alfonso che ha per titolo: visite al SS. Sacramento, che imparai a fare la Comunione spirituale, la quale posso dire essere stato il mio sostegno in tutti i pericoli, cui andava soggetto finché fui vestito da secolare.

            Alla Comunione spirituale, e Sacramentale univa frequenti visite a Gesù sacramentato, dell'amore di cui talmente sentivasi penetrato che ben sovente giungeva a passare ore intiere sfogando i suoi fervorosi e teneri affetti coll'amato suo Gesù. {10[10]} Spesso era mandato in Chiesa a far quelle cose di cui suo zio Prevosto gli dava incumbenza, spesso egli medesimo visi recava sotto pretesto avervi che fare, ma non ne usciva mai senza prima trattenersi alquanto col suo Gesù, e raccomandarsi alla cara sua madre Maria. Non correva solennità, non si faceva catechismo, o predica, non si dava benedizione, nè altra funzione facevasi in Chiesa a cui egli non intervenisse con animo allegro, e contento a prestar quei servizi di cui era capace.

            L'essere il Comollo alieno affatto dalle bambolinaggini che son proprie di quell'età, sofferente, e tranquillo a cheecchè potessegli accadere, affabile cogli uguali, modesto, e rispettoso con chiunque gli fosse superiore, ubbidiente, tutto dato alla divozione, prontissimo nel prestare quei servigi che in Chiesa gli erano permessi; tutto questo insieme era bel presagio che il Signore lo voleva a stato di maggior perfezione. Su di che già più volte aveva consultato il suo direttore spirituale, e avutane risposta per quanto potevasi conoscere, averlo Iddio chiamato allo stato Ecclesiastico {11[11]} ne rimase al sommo contento, essendo pur tale la sua determinazione. Il suo zio Rettore di Cinzano (di cui Luigi ne andava ognor copiando le virtù) al vedere rampollo sì vigoroso, e che prometteva sì bei frutti, volle pure secondarlo nelle sue risoluzioni. Chiamatolo pertanto a sè un giorno: hai dunque, gli disse, vera volontà di farti prete? È appunto questo che io desidero e null'altro, rispose. E perchè? Perchè essendo i preti quelli che aprono il paradiso agli altri, spero che lo potrò poi anche aprire per me.

            A tal fine fu mandato a fare il corso di Grammatica in Caselle presso Ciriè, dove perfezionando sempre più le accennate virtù, fu della più grande ammirazione a tutti quelli che in qualche modo ebbero occasione di conoscerlo; quivi spiegò particolarmente uno spirito di mortificazione. Già da piccolino soleva far fioretti alla Madonna coll'astinenza di qualche porzione di cibo, o di frutta che gli si donava per companatico; questo diceva, bisogna regalarlo a Maria. Quivi in Caselle andò più avanti; oltrecchè offriva ogni settimana digiuni {12[12]} a Maria, nei pranzi stessi, e nelle cene, sovente sotto specioso pretesto si toglieva da tavola nel meglio del mangiare; bastava portare a tavola qualche pietanza che fosse di special suo gusto, perché non ne mangiasse, e questo sempre per amor di Maria.

 

 

Capo secondo. Va a studiare in Chieri

 

            Sul cominciare dell'anno scolastico 1835 trovatomi in una casa di pensione in Chieri, udii il padrone a dire: «mi fu detto, che a casa del tale vi deve andare uno studente santo ». Io feci un sorriso prendendo la cosa per facezia. «È appunto così, soggiunse, ei deve essere il nipote del Prevosto di Cinzano, giovine di segnalata virtù ». Non feci gran caso allora di queste parole, ma un fatto assai rimarchevole me le fece assai bene ricordare. Erano già più giorni che io vedeva uno studente (senza saperne il nome) che tanta compostezza, e modestia dimostrava camminando per le contrade, tanto affabile, e cortese con chi gli parlava, che io ne {13[13]} era del tutto maravigliato. Crebbe poi questa meraviglia allorchè osservava l'esattezza colla quale interveniva alla scuola, dove appena giunto si metteva al suo posto, nè più mai si muoveva, se non per fare cosa, che il proprio dovere gli prescrivesse. Egli è consueto costume degli studenti di passare il tempo d'ingresso in ischerzi, giuochi, e salti, alle volte anche pericolosi; a ciò pure era invitato il Comollo; ma esso sempre si scusava col dire che non era pratico, non aveva destrezza; nulla meno un giorno un suo compagno gli si avvicinò, e colle parole, e con importuni scuotimenti voleva costringerlo a prender parte di quei salti smoderati che nella scuola si facevano; «no, mio caro, dolcemente rispondeva Luigi, non sono esperto, mi espongo a far topica. » Indispettito l'impertinente compagno, quando vide che non voleva arrendersi, con insolenza intollerabile gli diede un gagliardo schiaffo sul volto. Io raccapricciai a tal vista, e siccome l'oltraggiatore era d'età, e di forze inferiore all'oltraggiato, attendeva che gli fosse resa la pariglia; ma fu ben altro lo {14[14]} spirito del Comollo; egli rivolto a chi l'avea percosso si contentò di dirgli «se sei pago di questo, vattene pure in pace che io ne son contento ». Questo mi fece ricordare di quanto aveva udito, che vi doveva venire un giovane santo alle scuole, e chiestane la patria, e il nome, conobbi essere appunto quello di cui aveva sì lodevolmente inteso a parlare.

            Come poi nel rimanente si diportasse in fatto di studio e di diligenza, io nol saprei meglio esprimere che colle parole stesse dell'ottimo suo Professore, il quale si degnò scrivermi del seguente tenore:

            « Benchè il carattere, e l'indole dell'ottimo giovane Comollo possano essere meglio conosciuti a V. S. che l'ebbe per condiscepolo, e potè più da vicino osservarlo, di quello che non lo siano a me stesso, tuttavia assai di buon grado le mando in questa lettera il giudicio che io me n' era formato infin d'allora quando l'ebbi a scolare pel corso de' due anni 1835, e 1836 nello studio dell'Umanità, e della Rettorica nel Collegio di Chieri. Esso fu giovine d'ingegno, e fregiato dalla {15[15]} natura di un'indole dolcissima. Coltivò con ammirabile diligenza lo studio, e la pietà, e sempre si mostrò attentissimo ad ogni insegnamento, ed era così scrupoloso, e vigilante nell'adempimento del suo dovere, che non mi ricordo di averlo mai avuto a rimproverare della benché menoma negligenza. Egli poteva essere proposto ad esemplare ad ogni giovane per la intemerata sua condotta, per l'ubbidienza, per la docilità; onde io meco stesso m'aveva fatto un ottimo augurio allorchè seppi che era entrato nella carriera Ecclesiastica. Nol vidi mai altercare con alcuno dei suoi compagni, il vidi bensì alle ingiurie, ed alle derisioni rispondere coli' affabilità, e colla pazienza. Io lo guardava come destinato a confortare la vecchiaia del venerando suo zio, il degno Prevosto di Cinzano, che lo amava teneramente, ed aveva così di buon ora saputo seminare nel cuore di lui tante rare, e singolari virtù. Mi giunse perciò oltremodo dolorosa la notizia della sua morte, e solo mi confortai nel pensiero che in breve tempo aveva con le sue virtù compiuta anticipatamente una {16[16]} lunga carriera, mentre Iddio forse lo volle a se chiamare con immatura morte, perché lo vedeva oltre la sua età provveduto di buoni meriti, e noi dobbiamo, in ciò venerare la divina volontà. Ella mi chiede che io le dica qualche singolarità in lui osservata, ma quale cosa potrò io dirle che sia più singolare della sua uniformità, e costanza in una età che è tanto leggiera, e vaga di novità e mutazioni? Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino all'ultimo pel corso di due anni egli fu sempre a se stesso uguale, sempre buono, e sempre intento ad esercitare la sua virtù, la sua pietà, la sua diligenza »... Così il suo Professore.

            Nè queste belle doti erano meno esercitate fuori di scuola. «Io conobbi, dice il padrone di sua pensione, nel giovane Comollo il complesso di tutte le virtù proprie non solo dell'età sua, ma di persona lungo tempo nelle medesime esercitata. D'umore sempre uguale, ed allegro, imperturbabile ad ogni avvenimento, non dava mai a conoscere quello che fosse di special suo gusto, sempre contento di {17[17]} quanto se gli offriva, non mai si sentì da lui profferire, questo è troppo salso, o troppo insipido, oppure fa molto caldo, o molto freddo; non mai si udì dalla sua bocca una parola meno che onesta, o moderata; parlava volentieri delle cose di religione, e se qualcheduno metteva fuori discorso, o racconto spettante alla religione pretendeva sempre che si parlasse con massima riverenza e rispetto dei sacri ministri. Amantissimo del ritiro, non mai usciva senza licenza, dicendo il tempo, il luogo, e il motivo per cui si assentava. In tutto il tempo che dimorò in questa casa, fu di grande stimolo per gli altri a vivere da virtuoso, e riuscì a tutti di gran dispiacere allorchè dovette cangiare luogo per vestire l'abito chiericale, e recarsi nel Seminario, privandoci colla sua persona di un raro modello di virtù. »

            Io pure posso dire lo stesso, giacchè in varie occasioni, che gli parlai, o trattai insieme, non l'udii mai querelarsi delle vicende del tempo, o delle stagioni, del troppo lavoro, o del troppo studio; anzi qualora avesse avuto qualche tempo vacante, {18[18]} tosto recavasi da qualche compagno per farsi rischiarire alcune difficoltà, o conferire qualche cosa spettante allo studio, o alla pietà.

            Non minore era l'impegno per le osservanze religiose, e per la vigilanza in tutto ciò che riguardava alle cose di pietà: ecco quanto scrive il signor Direttore spirituale delle scuole, che di certo potè intimamente conoscerlo. «Mi ha fatta inchiesta la S. V. di darle notizie di un figliuolo del quale mi è carissima la memoria, e dolcissima cosa il risponderle. Non è il giovane Comollo Luigi un di quelli, in riguardo di cui io debba usare espressioni evasive, oppure che io tema di esaggerare nel rendergliene la più lodevole testimonianza. Ella ben sa che appartenne ad una classe fra le altre distinta di studenti dati alla pietà, ed allo studio, ma tra questi brillava, e primeggiava il nostro Comollo; mi rincresce che ci tocchi già lamentare la morte del Prefetto delle scuole, il quale e dello studio, e della regolarissima sua condotta anche fuori di collegio potrebbe farne le più belle testimonianze. {19[19]} Quanto a me oltre il poterla rassicurare di non avere mai avuto motivo di rimproverare alcuna mancanza nemmeno leggiera, posso asserirle, che assiduo alle congregazioni, compostissimo, sempre attento alla divina parola, divotissimo nell'assistere alla santa messa, ed ai divini uffizi, frequente ai santi sacramenti della Confessione, e Comunione, veramente diligentissimo ad ogni dovere di pietà, esemplarissimo in ogni atto di virtù, l'avrei di buon grado proposto a tutti gli altri studenti qual luminoso specchio, e raro modello di virtù. Per quanto lo comportava la sua classe, l'anno di Rettorica fu nominato a carica, quale si concede solamente a' studenti più distinti per pietà, e studio; si desiderava allora, e si desidera ancora al presente un giovane studente, d'indole, e costumi simile al Comollo Luigi. Il nostro s. Luigi ricordava nel suo nome, e pareva che molte sue virtù volesse ricopiare nei fatti. Non mi si dimandò mai notizia di altro studente, che più volentieri io abbia reso di questa; posso dirle tutto il bene possibile in un giovine. {20[20]} Raptus est ne malitia mutaret intellectum eius. Spero che ora in Cielo preghi per me. » Sin qui il suo Direttore spirituale.

            Io non saprei più che aggiungervi alle sovra esposte dichiarazioni, se non quel tanto che nella sua condotta esterna ho osservato. Terminati appena gli esercizi di pietà che nei giorni festivi nella capella della congregazione si facevano, ben lungi dall'andarsene al passeggio, o a qualche altro lecito divertimento, egli tosto portavasi al catechismo dei fanciulli solito a farsi nella Chiesa dei PP. Gesuiti, al quale, come pure a tutte le altre sacre funzioni, divotamente assisteva. Quella stessa curiosità, ed anzietà di vedere, e sentire generalmente comune a tutti quelli che da paesi vengono nelle città, il che d'altronde è proprio di quell'età, o fosse benefizio dell'indole felice sortita dalla natura, o merito di virtù, pareva che in lui fosse affatto estinta. Quindi il suo andare, e venire dalla scuola era tutto raccoglimento, e modestia, nè mai andava qua, e là vagando o collo sguardo, o colla persona; eccettochè per prestare il debito rispetto {21[21]} ai Superiori, alle Chiese, a qualche immagine, o pittura della B. V., dinanzi cui non fu mai che passasse, senzachè con rispetto non si traesse il capello.

            A tal proposito più volte nell'accompagnarlo mi avvenne che il vedeva scoprirsi il capo senza saperne il perchè; ma guardando poscia attento scorgeva quinci, o quindi in qualche muro dipinta l'immagine della Madonna. Era ormai sul finir del corso di Rettorica, che io l'interrogava sulle cose più curiose, o sui monumenti più ragguardevoli della Città, ed egli rispondeva di non ne essere punto informato, come se fosse stato del tutto forestiero. Quanto più poi era alieno dalle vicende, e occupazioni temporali, tanto più era informato, e instrutto delle cose di Chiesa. Non facevasi esposizione delle Quarantore, o di altra funzione di Chiesa che egli nol sapesse, e se il tempo gliel permetteva non v'intervenisse. Aveva il suo orario per la preghiera, lettura spirituale, visita a Gesù sacramentato, e ciò era scrupolosamente osservato. Alcune mie circostanze vollero che per più mesi ad {22[22]} ora determinata mi recassi al Duomo, e questa era appunto l'ora che il Comollo andava a trattenersi col suo Gesù. Piacemi pertanto descriverne l'atteggiamento; ponevasi in qualche canto presso l'altare quanto poteva, ginocchione colle mani giunte, e incrocicchiate alquanto prostese, col capo mediocremente inclinato, cogli occhi bassi, e tutto immobile della persona; insensibile a qualsivoglia voce, e rumore. Non di rado mi occorreva che compiuto quello che toccavami fare, voleva invitarlo che meco venisse per essere da lui accompagnato a casa; pel che aveva bel far cenno col capo, passandogli vicino, o tossire perchè egli si movesse, ma era sempre lo stesso, finché io non mi accostava toccandolo; e allora quasi si risvegliasse dal sonno tutto si scuoteva, e sebbene a mal in cuore aderiva al mio invito. Serviva molto volentieri alla santa Messa anche ne'giorni di scuola quanto poteva, ma nei giorni di vacanza servirne quattro o cinque era cosa ordinaria.

            Benché poi fosse cosi concentrato nelle cose di spirito, non vedevasi mai rannuvolato {23[23]} in volto, o tristo, ma sempre ilare, e contento rallegrava colla dolcezza del suo parlare, e suoleva dire che gli piacevano grandemente quelle parole del profeta David: Servile Domino in laetitia; parlava volentieri di storia, di poesia, delle difficoltà della lingua latina o italiana, e questo in maniera docile, e gioviale, sì, che mentre profferiva il proprio sentimento, mostrava sempre di sottometterlo all'altrui.

            Aveva un compagno di special confidenza per conferire di cose spirituali, il trattare, e parlare delle quali gli era di grande consolazione. Parlava con trasporto dell'immenso amor di Gesù nel darsi a noi in cibo nella santa Comunione: quando discorreva della Madonna, tutto si vedeva compreso di tenerezza, e dopo d'avere raccontato, o udito raccontare qualche grazia concessa dalla Madonna a favore del corpo, egli sul finir tutto rosseggiava in volto, e alle volte rompendo anche in lagrime esclamava: se Maria cotanto favorisce questo miserabile corpo, quanti non saranno i favori che sarà per concedere a pro delle anime di chi la invoca? {24[24]}         Tanta era la stima che aveva delle cose di religione, che non solo non poteva patire se ne parlasse con disprezzo, ma nemmeno con indifferenza; a me stesso una volta accadde che scherzando, mi servii di parole della sacra scrittura, e ne fui vivamente ripreso, dicendomi non doversi faceziare colle parole del Signore.

            Quando alcuno voleva raccontare qualche cosa riguardante i Sacerdoti, tosto premetteva o doversene parlar bene, o tacere affatto, perché erano Ministri di Dio. In simil guisa andava il nostro Luigi preparandosi alla vestizione Chiericale, e quando ne parlava mostravasi tutta gioia, e contento. «Possibile suoleva dire, che io miserabile guardiano di buoi, abbia a diventare Prete pastore delle anime? eppure a niun'altra cosa mi sento inclinazione, questo mi dice il Confessore, mel dice la volontà, solo i miei peccati mi dicono il contrario; n'andrò a subire l'esame, l'esito del quale mi sarà qual arbitro della volontà Divina sulla mia vocazione ». Si raccomandava anche spesso ad alcuni suoi colleghi che pregassero, perché il Signore {25[25]} lo illuminasse, e gli facesse conoscere se fosse, o no chiamato allo stato Ecclesiastico. Così fra la stima dei compagni, fra l'amore dei superiori, onorato, e tenuto da tutti qual vero modello d'ogni virtù compiva il corso di Rettorica l'anno 1836.

 

 

Capo terzo. Veste l’abito Chiericale va nel Seminario di Chieri

 

            Come ebbe subito l'esame suddetto, e sortitone favorevole esito, si preparava per la vestizione. Qui io non saprei come chiaramente esprimere tutti gli affetti di tenerezza che ebbe a provare in tal circostanza. Pregava egli, faceva pregare altri per lui, digiunava, prorompeva sovente in lagrime, si tratteneva molto in Chiesa, sinchè giunto il giorno di sua festa (così chiamava il giorno di sua vestizione chiericale) fece la sua confessione, e comunione, e contento assai più che se fosse sublimato a qualunque più onorevole carica, tutto compreso di santa apprensione, tutto concentrato {26[26]} in sentimenti di religione, raccolto, e modesto che pareva un angioletto, fu insignito del tanto rispettato, e desiderato abito ecclesiastico. Tal giorno fu sempre mai per lui memorando, e suoleva dire essersi il suo cuore totalmente cangiato, di pensoso, e rannuvolato, divenuto tutto ilare, e gioviale, e che ogni qual volta rammentava un tal giorno sentivasi di tenera gioia innondare il cuore.

            Venne intanto il giorno dell'apertura del Seminario, dove egli puntualmente recandosi fece campeggiare le sue non istraordinarie, ma compiute virtù. Quello poi che in ispecial modo lo distinse, fu un esatto adempimento de' suoi doveri di pietà, e studio, un ardente spirito di mortificazione. Aveva letto nella vita di sant' Alfonso, come esso aveva fatto quel gran voto di non perdere mai tempo, la qual cosa era al Comodo motivo di alta ammirazione, e studiavasi con tutto l’impegno d' imitarlo; perciò fin dal suo primo entrare nel Seminario, s' appigliò con tal diligenza alle cose di studio, e di pietà, che di tutte le occasioni, e di tutti i mezzi {27[27]} approffittava, che al suo scopo tendessero, all'esatta occupazione del tempo. Suonato il campanello subito interrompeva checchè facesse per rispondere alla voce di Dio (così chiamava il suono del campanello) che lo chiamava al suo dovere, e m'accertò più volte, che dato un tocco il campanello gli era impossibile il continuare ciò che aveva fra le mani, perchè rimaneva tutto confuso, e non sapeva più che si facesse. Tanto radicata era in lui la virtù dell'ubbidienza. Non parlo dei Superiori, ai quali ubbidiva ciecamente senza mai dimandar conto, o ragione di ciò che gli era ingiunto; ma agli stessi colleghi assistenti, anche agli uguali mostravasi attento, docile ad ogni loro ordine, e consiglio non altrimenti che ai Superiori medesimi. Dato il segno di studio puntualissimo v' interveniva, e in raccolto atteggiamento composto si applicava in maniera che a qualunque rumore, chiacchera, leggerezza, che da altri si facesse; pareva fosse insensibile, nè punto più della persona si moveva, se non al segno del campanello. Un dì, che {28[28]} un compagno passandogli dietro gettogli a terra il mantello; esso si contentò di fargli un semplice motto, acciocchè meglio si guardasse altra volta, il compagno indispettito rispose con viso alterato, e con parole offensive; allora il Comollo s'appoggiò di nuovo sulla tavola, e tutto tranquillo si pose a studiare, come se nulla a lui fosse stato detto o fatto.

            Nella ricreazione, nei circoli, nei tempi di passeggiata desiderava sempre discorrere di cose scientifiche, anzi suoleva in tempo di studio formarsi nella mente una serie delle cose che meno intendeva per quindi tosto comunicarle in tempo libero ad un compagno, con cui aveva special confidenza, onde averne nel miglior modo possibile, la dichiarazione.

            Nel mentre che animava le conversazioni con varie utili ricerche, e racconti, osservava tuttora in pratica quel non mai abbastanza encomiato tratto di civiltà: di tacere quando taluno parlava: pel che non di rado avvenivagli di troncare a mezzo la parola, onde dar campo che altri liberamente parlasse. {29[29]}

            Abborriva grandemente lo spirito di critica, o di censura sulle persone altrui, parlava dei Superiori, ma sempre con riverenza, e rispetto; parlava dei compagni, ma sempre con carità, e moderazione; parlava dell'orario delle costituzioni, o regolamenti del Seminario, degli apprestamenti di tavola, ma sempre con espressioni di soddisfazione, e di contento; di modo che io posso con tutta schiettezza affermare, che nei due anni e mezzo che lo frequentai nel Seminario, non lo intesi mai a proferire parola, che fosse contraria a quel principio che fisso teneva nella sua mente: degli altri o parlarne bene o tacerne affatto. Qualora poi fosse stato costretto a dare il proprio giudizio sui fatti altrui, procurava sempre interpretarli nel senso migliore, dicendo avere imparato dal suo zio, che un'azione di cento aspetti, novantanove cattivi, uno buono, si doveva prendere sotto l'aspetto buono e giudicare bene di tale azione. Per l'opposto parlando di se stesso, taceva tutto quello che poteva tornare in sua lode, non faceva mai parola di carica, onore, o premio {30[30]} a lui compartito, che anzi avvenendo che taluno il lodasse, mettevane la lode in facezia, abbassando così se stesso mentre altri l'esaltava.

            Quei bei fiori di tenera divozione onde noi l'abbiamo veduto adorno tra le glebe, e i pascoli; negli studi, ben lungi dall'appassire cogli anni, pervennero a mostrarsi in tutta loro bellezza, e compiuta perfezione. Dato il segno della preghiera, o di qualunque altra sacra funzione, accorreva immantinente colla più esatta diligenza, e composto nella persona, col massimo edificante raccoglimento di tutti i suoi sensi, si faceva a favellare col Signore, nè mai si ravvisò nel Comollo il menomo rincrescimento a portarsi in Capella, o altro luogo ad assistere a cose di divozione. Bensì il mattino al primo tocco del campanello tosto si alzava da letto, e aggiustato quanto era di dovere, recavasi un quarto d'ora prima degli altri in Chiesa a preparare l'anima sua per l'orazione.

            I seminaristi nei giorni festivi, o anche feriali in cui assistessero alle solenni funzioni di Chiesa, solevano essere dispensati {31[31]} dal recitare la corona della B. V.: il Comollo non seppe mai astenersi da siffatta special divozione, ma terminate le funzioni di Chiesa, mentre che ognuno passava il tempo nella permessa ricreazione, egli con un altro compagno si ritirava in Capella a pagare, come suoleva dire, i debiti alla sua buona Madre colla recita del SS. Rosario. Ne' giorni di vacanza e particolarmente nelle ferie del SS. Natale, di carnovale, delle solennità Pasquali, egli anche più volte al giorno lontano dai suoi comuni divertimenti andava col solito compagno a recitare, quando i salmi penitenziali, quando l’ufficio dei defunti, o quello della B. V., e questo in suffraggio delle anime del purgatorio.

            Sempre amante e devoto di Gesù sacramentato oltre il fargli frequenti visite, e comunicarsi spiritualmente, approffittava pure di tutte le occasioni per comunicarsi sacramentalmente, il che faceva con grande edificazione dei circostanti. Premetteva alla Comunione un giorno di rigoroso digiuno in onore di Maria SS.; dopo la confessione non voleva più parlare d'altro, che {32[32]} di cose concernenti alla grandezza, alla bontà, all'amore del suo Gesù che si preparava a ricevere nel dì seguente, e giunta l'ora d'accostarsi alla sacra mensa, io lo scorgeva assorto nei più alti, e divoti pensieri, e composta la persona nel più divoto atteggiamento, a passo grave cogli occhi bassi dando in frequenti scuotimenti di santa commossione avvicinavasi a ricevere il Santo dei Santi. Ritiratosi poscia a suo posto pareva fosse fuor di se, tanto vivamente vedevasi commosso, e da viva divozione penetrato. Pregava, ma ne era interrotto da singhiozzi, interni gemiti, e lagrime, nè poteva acquetare i trasporti di tenera commozione, se non quando terminata la Messa si cominciava il canto del mattutino. Avvertito da me più volte a frenare quegli atti di esterna divozione, come quelli che potevano dare nell'occhio altrui, mi sento, rispondevami, mi sento una piena di tal contento nel cuore, cui se non permetto qualche sfogo pare mi voglia togliere il respiro. Nel giorno della comunione diceva altre volte, mi sento sì ripieno di dolcezza, e di contento, che {33[33]} nè so capire, nè spiegare. Da ciò ognun vede chiaramente come il Comollo fosse avvanzato nella via della perfezione, giacché quei movimenti di tenera commozione, di dolcezza, di contento per le cose spirituali sono un effetto di quella fede viva, e carità infiammata, che altamente gli era radicata nel cuore, e costantemente lo guidava in tutte le sue azioni.

            A questa divozione interna andava strettamente congiunta un'esemplare mortificazione di tutti i suoi sensi esteriori. Modesto qual era negli occhi spesso gli avveniva di far passeggiate in giardini, o ville, senza che egli avesse menomamente veduto quello di più rimarchevole che tutti gli altri aveano osservato; non vagava mai qua e là collo sguardo, ma cominciato col suo compagno qualche buon discorso, attento il continuava, non mai badando a checché occorresse, e tal volta accadde, che dopo il passeggio interrogato dal compagno se avesse veduto suo padre, che pur gli era passato vicino, e l'aveva salutato, rispose di non averlo veduto. Sovente era visitato da alcune sue cugine di Chieri, e questo {34[34]} gli era un grave cruccio, dovendo trattare con persone di diverso sesso, onde appena detto quello che la stretta convenienza, e il bisogno voleva, raccomandando loro con bella maniera di venirlo a trovare il meno possibile, tosto da loro si licenziava. Richiesto alcune volte se quelle sue parenti (colle quali trattava con tanto riserbo) fossero grandi, o piccole, o di straordinaria avvenenza, rispondea che all'ombra gli parevano grandi, che più oltre nulla sapeva non avendole mai rimirate in faccia. Bell'esempio degno di essere imitato da chiunque aspira o trovasi nello stato ecclesiastico!

            Era assueffatto d'incroccicchiar l'una coll'altra le gambe e di appoggiarsi col gomito quando gli veniva bene fosse a tavola, nello studio, o in iscuola. Per amor di virtù anche di questo si volle correggere, e per riuscirvi pregò instantemente un compagno, il quale ogni volta l'avesse veduto nelle succitate posizioni, acremente il dovesse ammonire, e rampognare, dandogli special penitenza. Ecco onde procedeva quell'esteriore compostezza per cui in Chiesa, nello {35[35]} studio, in iscuola o in refettorio innamorava ed edificava chiunque il rimirasse.

            Le mortificazioni circa il cibo erano quotidiane: d'ordinario quando più sentivasi bisogno di far colezione era appunto allora che se ne asteneva. A tavola era parco al sommo, beveva poco vino, e quel poco adacquato. Talvolta lasciava pietanza, e vino contentandosi di mangiare pane inzuppato nell'acqua sotto lo specioso pretesto che gli tornava meglio per la corporal sanità, ma in realtà per ispirito di mortificazione; giacchè avvertito che un simile cibo poteva cagionargli male di capo, o di stomaco, rispondeva: a me basta che non possa nuocere all'anima. Nel sabbato d'ogni settimana digiunava per amor della B. V. nelle altre vigilie, nel tempo quaresimale, anche prima che fosse per età tenuto, digiunava con tal rigore, principalmente nella piccola refezione della sera, che un compagno, il quale eragli accanto a mensa, disse più volte che il Comollo voleva uccidersi. Tali sono i precipui atti di penitenza esterna che mi sono noti, dai quali lieve cosa sarà argomentare quello che ei {36[36]} nudrisse in cuore, giacchè se le azioni esteriori derivano sempre dall'abbondanza di cuore, bisogna pur dire che l'animo del Comollo fosse di continuo occupato in teneri affetti d'amor di Dio, di viva carità verso il prossimo, e di ardente desiderio di patire per amor di Gesù Cristo.

            La vita che il Comollo tenne nel Seminario diede sempre (così si esprime un suo Superiore) ottima e santa idea di lui, mostrandosi in ogni occorrenza esattissimo nei suoi doveri sì di studio che di pietà, esemplare affatto nella sua moral condotta, così che tutto il suo contegno dimostrava un' indole la più docile, ubbidiente, rispettosa, e religiosa. Egli era gradevole nel parlare, epperciò chiunque fosse in tristezza, conversando con lui ne rimaneva consolato; modesto, edificante nelle parole, e nei tratti sì che anche i più indiscreti erano obbligati riconoscere in lui uno specchio di modestia, e di virtù, e un suo compagno ebbe a dire, che il Comollo era per lui una continua predica; che era un mele che raddolciva i cuori, e gli umori anche i più bizzarri. Un altro {37[37]} compagno disse più volte che voleva adoperarsi a tutta possa per farsi santo, e per riuscirvi non erasi fissato altro che seguire le traccie del Comollo; e benchè si vedesse di gran lunga indietro da lui, nulla meno essere assai contento di quel tanto che veniva in lui ricopiando.

            Il tempo di vacanza per lui in quanto alla morale sua condotta era quello stesso del Seminario. Assiduo nella frequenza dei Ss. Sacramenti, nell'esercizio delle sacre funzioni, nel fare il Catechismo ai ragazzi in Chiesa, (il che faceva già sin da quando era ancora vestito da laico) ed anche per le vie quando gli avveniva d' incontrarne.

Ecco come egli stesso esprime il suo orario in una lettera diretta ad un amico. «Ho già passati circa due mesi di vacanze, i quali anche con questo caldo eccessivo m' hanno fatto assai bene per la corporale sanità. Ho già studiato quegli avvanzi di logica e d'etica che si sono ommessi nel decorso dell'anno; leggerei volentieri la storia sacra di Giuseppe Flavio che mi suggerisci, ma ho già incominciata la storia delle eresie, onde verrà a mancarmi il {38[38]} tempo. Del resto la mia stanza, è tuttora l’ameno paradiso terrestre; quivi entro, salto, rido, studio, leggo, canto, e non vi vorrebbe altro che tu per far la battuta; a tavola, in ricreazione, a passeggio sempre mi godo la compagnia del caro mio zio, il quale sebbene cadente pegl’anni è sempre giulivo, e lepido, e mi racconta ognor cose una più bella dell'altra locchè mi contenta all'estremo.

            Ti attendo pel tempo stabilito, stammi allegro; e se mi vuoi bene prega il Signore per me etc. »

            Affezionatissimo qual era a tutte quelle cose che riguardavano l'ecclesiastico ministero, godeva molto quando vi si poteva occupare, sicuro segno che il Signore lo chiamava allo stato a cui aspirava. Suo zio Prevosto per coltivare sì prezioso terreno, e secondare l'ottima inclinazione del nipote l'impegnò a fare un discorso in onore di Maria SS., ed ecco come egli esprime i suoi sentimenti in un'altra lettera scritta allo stesso succitato suo compagno.

            « Debbo significarti un affare, che da un canto mi consola, dall'altro mi confonde. {39[39]} Il mio zio mi diede incumbenza di fare un discorso sulla gloriosa assunzione di M. V. L'essere eccitato a parlare di questa mia cara Madre tutto mi riempie di gioia il cuore. Dall'altro canto conoscendo la mia insufficienza, veggo pur chiaro quanto io sia lungi dal saperne tessere condegnamente gli encomii. Checchè ne sia, appoggiato all’aiuto di colei di cui debbo favellare mi dispongo ad ubbidire; l'ho già scritto, e mediocremente studiato; lunedì sarò da te onde l'ascolti recitare, e mi facci le osservazioni che stimerai a proposito sia riguardo al gesto, come riguardo alla materia.

            Raccomandami all'Angelo Custode pel buon viaggio:... addio »

            Io tengo presso di me questo discorso, nel quale quantunque siasi servito di alcuni autori, nulla meno la composizione è sua; e vi si scorgono espressi tutti quei vivi affetti onde ardeva il suo cuore verso la gran Madre di Dio. Nello esporlo poi vi riuscì mirabilmente. « Sul punto di comparire alla presenza del popolo, scriveva egli, io mi sentii mancare la forza, la {40[40]} voce, e le ginocchia non mi volean più reggere; ma tostochè Maria mi porse la mano divenni all'istante vigoroso e forte; di maniera ehe lo cominciai, lo proseguii sino alla fine senza il menomo intoppo; questo lo fece Maria, io non già, sia lode a lei. » Di lì a qualche mese essendomi recato in Cinzano, richiesi ad alcune persone che loro paresse della predica del Chierico Comollo, al che tutti mi risposero lodevolmente. Il suo zio disse che vedeva l'opera di Dio manifestata nel suo nipote: predica da santo, mi diceva taluno; oh, diceva un'altro pareva un angelo da quel pulpito, tanto era modesto, e franco nel ragionare! altri: che bella maniera di predicare... ciò dicendo ripetevano alcuni sentimenti e per fino le stesse parole che fisse ancora avevano nella memoria.

            Senza dubbio sarebbe stato grande il bene che avrebbe fatto nella vigna del Signore un coltivatore di così buona volontà. Tale appunto era l'aspettazione del vecchio suo zio, tale la speranza dei genitori, tale pure il desiderio di tutti i suoi compatriotti, de'suoi superiori, de'suoi {41[41]} compagni; se non che Iddio già lo vedeva abbastanza maturo per lui, e perchè la malizia del mondo non venisse a cangiare il suo intelletto, volle compensare la sua buona volontà e chiamarlo a godere il frutto dei meriti già acquistati, e di quelli che vieppiù bramava di acquistare.

 

 

Capo quarto. Circostanze che precedono la sua Malattia

 

            Non è mio scopo di esporre cose a cui io attribuisca del soprannaturale; io dirò solo i fatti nella maniera che sono avvenuti colla più scrupolosa esattezza, lasciando ognuno in libertà di farne quel giudizio che gli paia migliore.

            Correva l'anno 1838, lorchè nelle vacanze autunnali trovatomi con lui sur un colle, ed osservando la scarsezza dei raccolti, che si vedeva in campagna: l'anno venturo, presi io a dirgli, il Signore ci donerà più abbondante vendemmia, e faremo miglior vino; lo beverai tu, rispose. Perchè? ripigliai: perchè, ei soggiunse, {42[42]} io spero di berne del migliore; strettolo a parlar più chiaro, terminò con dire che sentivasi tutto ardere di desiderio di andare a gustar l' ambrosia dei beati.

            Sul finire delle stesse vacanze, recossi in Torino e dimorò più giorni in casa di una persona di molto buon giudizio, da cui rilevo, e trascrivo le seguenti parole: «Noi fummo tutti grandemente edificati dalla modestia di quel buon Luigi; cortese, affabile, semplice inspirava pietà in ogni sua azione, ma specialmente quando pregava, pareva un san Luigi. Era nostro piacere grande che si fosse trattenuto ancora qualche tempo con noi, ma ei se ne volle assolutamente partire. Nell'atto che si licenziava, addio, gli dissi, forse non ci vedrem più; no... no, rispose egli, non ci vedrem più; non è però a tuo riguardo che parlo così, io replicai, ma per la mia età già di molto avanzata, che anzi voglio, e te lo auguro che tu venga a dir Messa nuova. Allora egli con parole franche, e risolute, oh rispose, io non dirò Messa nuova; l'anno venturo Ella vi sarà ancora, e io non vi sarò più. Preghi {43[43]} intanto il Signore per me, addio. Queste ultime parole pronunziate con tanta franchezza da persona cotanto amata, ci lasciò tutti vivamente commossi, e sovente andavamo dicendo: chi sa? che quel buon Luigi sappia di dover morire? e poichè ci venne partecipata la nuova di sua morte: troppo bene ei la previde, esclamammo! »

            A questo racconto io vi presto tutta credenza, essendomi stato riferito da più persone colla stessa precisione.

Finite queste ultime sue vacanze, e messosi in via per recarsi in Seminario, era giunto a tal luogo, ove progredendo perdeva di vista il suo paese. Ivi soffermatosi, disse a suo padre: non posso togliere lo sguardo da Cinzano, e interrogato che guardasse, se forse provasse rincrescimento a recarsi in Seminario; anzi, disse, desidero di arrivarvi, presto in quel luogo di pace; quel che guardo è il nostro Cinzano che lo rimiro per l'ultima volta; richiesto di nuovo se non istesse bene in salute, se volesse ritornare a casa: niente, niente, rispose, sto benissimo, andiamo allegri, il Signore ci aspetta. Queste parole, {44[44]} dice suo padre, le abbiamo più volte in casa ripetute ed ogni qual volta passo in quel luogo, anche presentemente, a stento posso trattener le lagrime. Il presente ragguaglio fu pure a me riferito prima della morte del Comollo.

            Non ostante tutti questi presentimenti del fine del suo viver mortale, che il Comollo aveva in più circostanze esternati, con la solita sua tranquillità, e pacatezza con aria sempre uguale, e imperturbata continuò seriamente ad applicarsi a tutti i suoi doveri di studio, e di pietà, talchè all'esame solito a subirsi alla metà dell’anno conseguì (come l'anno antecedente) il premio che si suole compartire a quelli del corso che in modo speciale per scienza, e virtù si distinguono. Io però che osservava tutti i suoi andamenti, lo vedeva oltre l'usato attento nella preghiera, e in tutto il resto delle cose di pietà; voleva sovente discorrere dei martiri del Tonchino; «quelli, diceva, sono veramente pastori del gregge di G. C., i quali danno la loro vita per la salvezza delle pecore smarrite; quanta gloria sarà loro compartita {45[45]} in paradiso. » Altre volte diceva: «oh potessi almeno, quando sarò per partire da questo mondo, sentirmi, sebben senza merito, dal Signore un consolante euge serve bone.

            Discorreva con grande trasporto di gioia del Paradiso; e fra le belle cose che suoleva dire una fu questa; «sovente m'avviene di essere solo, e disoccupato, o di non potermi addormentare lungo la notte, ed è appunto in quel tempo che io faccio le amene, e deliziose mie passeggiate. Suppongo trovarmi sur un'alta montagna, dalla cima di cui mi sia dato scoprire tutte le bellezze della natura, contemplo il mare, la terra, paesi, città, con quanto di più magnifico in essi si trova; levo quindi lo sguardo pel sereno cielo, miro il firmamento, che tutto di stelle tempestato forma il più maraviglioso spettacolo; a questo vi aggiungo ancora l'idea di una soave musica, che a voce, e a suono faccia eccheggiare di lieti evviva valli, e monti, e così deliziando la mente con questa mia immaginazione, mi volgo in altra parte, {46[46]} alzo gli occhi, ed eccomi innanzi la Città di Dio; la miro all'esterno, poscia mi avvicino, e penetro dentro, qui pensa tu alle cose, che senza numero io faccio passare a rassegna »; e proseguendo nella sua passeggiata raccontava cose le più curiose, ed edificanti che egli fingevasi di vedere nelle varie sessioni del Paradiso.

            Fu pure in quest'anno che gli cavai il secreto come egli facesse lunghe preghiere senza veruna distrazione; «vuoi che io ti dica, dicevami, come io mi metta a pregare, ella è un'immagine tutta materiale che ti farà ridere: «chiudo gli occhi, col pensiero mi porto entro una grande sala adornata nella maniera la piu squisita, in fondo alla quale si erge un maestoso trono su cui siede l'Onnipotente, dopo di lui tutti i cori dei beati comprensori, quivi mi prostro, e con tutto il rispetto a me possibile faccio la mia preghiera».

            Questo dimostra secondo le regole dei maestri di spirito quanto la mente del Comollo fosse staccata dalle cose sensibili, e {47[47]} quanto ei fosse padrone di raccogliere a beneplacito le intellettuali sue facoltà.

            Suoleva leggere in tempo di Messa nei giorni feriali le meditazioni sull'inferno del P. Pinamonti, intorno a che l'udii più volte a dire «nel decorso di quest' anno lessi sempre in Capella meditazioni sull'inferno, le ho già lette, e le leggo di nuovo, e benché trista e spaventosa ne sia la materia, pure vi voglio persistere, affinché considerando mentre vivo l'intensità di quelle pene, non le abbia ad esperimentare sensibilmente dopo morte.»

Coi sentimenti della più viva penetrazione nel corso della quaresima di quest'anno fece altresì i santi spirituali esercizi; finiti i quali, quasi più nulla si dovesse aspettare in questo mondo, dimostrava che il più grande di tutti i favori che il Signore gli potesse concedere era quello degli esercizi spirituali. Ella è grazia la più grande, diceva con trasporto ai suoi compagni, che Dio possa fare ad un cristiano accordandogli un tal mezzo onde trattare, e disporre delle cose dell'anima sua con piena cognizione, con tutto l'agio, e con soccorso di circostanze {48[48]} sì favorevoli, quali sono meditazioni, istruzioni, letture, buoni esempi. Oh quanto siete buono Signore verso di noi; che ingratitudine non sarebbe mai per chi non corrispondesse a tanta bontà di un Dio»!

            Così mentre egli s'andava perfezionando nella virtù, e arrichiva l'anima sua di meriti dinanzi al suo Signore, s'approssimava il tempo in cui doveva riceverne la ricompensa come pare egli abbia in più guise antiveduto.

 

 

Capo quinto. Diviene infermo, muore

 

            Un'anima sì pura, e di sì belle virtù adorna qual era quella del Comollo, direbbesi nulla dover paventare, alt' avvicinarsi l'ora della morte. Eppure ne provò pur egli grande apprensione. Ahi che sarà del peccatore se anche le anime buone temono pur cotanto al doversi presentare al cospetto del divin Giudice a rendere conto dell'operato! Era il mattino del 25 marzo 1839, {49[49]} giorno della SS. Annunziata, che io nell'andare in Capella lo[1] incontrai pei corridoi che mi stava aspettando, e come l'ebbi interrogato del buon riposo, mi rispose francamente essere per lui spedita. Ne fui molto sorpreso, stante che il giorno avanti avevamo passeggiato buon tempo insieme, e sentivasi in perfetto essere di salute; onde chiesta la cagione di un tal parlare «Sento, rispose egli, sento un freddo che m'occupa tutte le membra, mi duole alquanto il capo, lo stomaco è impedito, del male però poco mi do pena, quello che mi atterrisce (ciò diceva con voce seria) si è il dovermi presentare al grande Giudizio di Dio » Esortandolo io a non volersi così affannare, essere queste certamente cose remote, e avere tutto il tempo a prepararsi, entrammo in Chiesa. Ascoltò ancora la santa Messa, dopo la quale venne sorpreso da uno sfinimento di forze, per cui dovette tosto mettersi a letto. Terminate che furono le funzioni di Capella mi recai a visitarlo nella propria {50[50]} camerata, dove appena mi vide tra gli astanti, fece segno che gli m'approssimassi e fattomi chinare il capo, come se avesse a manifestarmi cosa di grande importanza, così prese a dire «Mi diceste; che era cosa remota e che eravi ancor tempo a prepararmi prima d'andarmene, ma non è così; so certo che debbo presentarmi presto al cospetto di Dio; poco tempo mi resta a dispormi; vuoi che ti dica di più? Abbiamo da lasciarci » Io lo esortava tuttavia a non inquietarsi, e non affannarsi con tali idee; non m'inquieto, interrompendomi disse, nè m'affanno, solo penso che debbo andare al gran Giudizio, e Giudizio inappellabile, e questo agita tutto il mio interno. Tali parole mi colpirono al vivo, e mi resero assai inquieto; perciò ogni momento desiderava sapere delle sue nuove, e ogni volta che io lo visitava mi ripeteva sempre le stesse parole. S' avvicina il tempo che debbo presentarmi al divin Giudizio, dobbiamo lasciarci » talmente che nel decorso di sua malattia mi furono non una, ma più di quindici volte ripetute. Locchè sin dal primo giorno di malattia manifestò anche a {51[51]} più altri suoi colleghi nell'occasione che da loro era stato visitato. Disse pure che il suo male sarebbe inteso al rovescio dai medici, che operazioni, e medicine non gli avrebbero prodotto verun giovamento; Il che tutto avvenne. Queste cose che dapprima io attribuiva a mero timore dei Giudizi divini, al vedere poi che s'andavano avverando di tratto in tratto, le palesai ad alcuni compagni, quindi allo stesso nostro signor Direttore Spirituale, il quale benchè sulle prime ne facesse poco conto, rimase poi molto maravigliato dacché ne vide gli effetti.

            Frattanto il Comollo si stette il lunedì febbricitante in letto, il martedì, e mercoledì passolli fuori di letto, però sempre tristo, e melanconico assorto nel pensiero dei Giudizi divini. Alla sera del mercoledì si pose di nuovo a letto come infermo per non levarsi più. Fra il giovedì, venerdì, sabbato della stessa settimana (santa) gli furon fatti tre salassi, prese vari medicinali, ruppe in copioso sudore, il che non gli recò alcun giovamento. Il sabbato a sera, vigilia di Pasqua, andatolo a visitare, « poichè, mi {52[52]} disse, dobbiamo lasciarci, e fra poco io debbo presentarmi al Giudizio, avrei caro che tu vegliassi meco questa notte, perciò dimanderò licenza, e spero mi sarà concesso ». Come ebbe parlato col signor Direttore, il quale tosto conobbe alcuni sintomi del peggio di sua malattia, mi diede licenza di passare coll'infermo la notte del 30 marzo precedente al solenne giorno di Pasqua. Verso le otto mi accorsi che la febbre facevasi più violenta, alle otto e un quarto l’assali un accesso di febbre convulsiva si gagliardo, che gli tolse l'uso della ragione. Sulle prime faceva un lamento clamoroso, come se fosse stato atterrito da qualche spaventevole oggetto; da li a mezza' ora tornato alquanto in se, e guardando fisso gli astanti, proruppe in tale esclamazione, ahi Giudizio! Quindi cominciò a dibattersi con forze tali, che cinque, o sei che eravamo astanti appena lo potevamo trattenere in letto.

            Tali dibattimenti durarono per ben tre ore, dopo i quali ritornò in piena cognizione di se stesso. Stette lunga pezza pensieroso, come occupato in seria riflessione, {53[53]} quindi deposta quell'aria di mestizia, e terrore che da più giorni dimostrava pei Giudizi Divini, comparve tutto tranquillo, e placido, parlava, rideva, rispondeva a tutte le interrogazioni, che gli venivano fatte. Gli fu chiesto da che provenisse un tale cangiamento, poc'anzi sì tristo poscia sì gioviale, e affabile. A tale dimanda mostrossi dapprima imbrogliato a rispondere, poscia rivolto qua, e là lo sguardo se da nissuno fosse udito, prese a parlare sotto voce con uno degli astanti: « fin ora paventai di morire pel timore dei Giudizi Divini; questo tutto m' atterriva, ma ora sono tranquillo, e nulla più temo per le seguenti cose, che in amichevole confidenza ti racconto; mentre era estremamente agitato pel timore del giudizio divino, parvemi in un istante essere stato trasportato in una profonda, ed ampia valle, in cui lo squilibrio dell’aria, e le bufere del vento furioso toglievano ogni forza, e vigore a chiunque colà capitava. Nel centro di questa valle v'era un profondo abisso a guisa di fornace, onde uscivano fiamme avvampanti.... A {54[54]} tal vista spaventato mi posi a gridare per timore di dovere in quella voragine precipitare. Quindi mi voltai all'indietro per fuggire, ed ecco un'innumerevole turba di mostri di forma spaventevole, e diversa, che tentava urtarmi in quell'abisso.... Allora gridai più forte, e tutto confuso, senza sapere che mi fare, feci il segno della santa Croce, alla qual vista quei mostri volevano chinare il capo, ma non potevano, perciò si contorcevano scostandosi alquanto da me. Tuttavia non poteva ancora fuggire, e liberarmi da quel mal'augurato luogo; allorchè vidi una mano di forti guerrieri venire in mio soccorso. Essi assalirono vigorosamente quei mostri, alcuni dei quali rimasero sbranati, altri stesi a terra, altri si diedero a vergognosa fuga. Liberato da tale frangente presi a camminare per quella spaziosa valle, finché giunsi ai piedi di un' alta montagna, su cui solo si poteva salire per una scala i cui scaglioni erano occupati da tanti serpenti, pronti a divorare chiunque vi ascendesse. Non v'era altro passaggio che salire su quella scala, a salire la quale non osava inoltrarmi, temendo essere da {55[55]} que'serpenti divorato; quivi abbattuto dalle angustie, e dagli affanni, privo di forze già veniva meno, quando una donna che io giudico essere la comune nostra Madre, vestita nella più gran pompa, mi prese per mano, fecemi rizzare in piedi e dicendomi di andare con lei s'incamminava qual guida su per quella scala. Come essa pose il piede sugli scaglioni tutti quei serpenti voltavano altrove la mortifera loro testa, nè si volgevano verso di noi sinchè non fummo alquanto da loro lontani. Giunti in cima a quella scala mi trovai in un deliziosissimo giardino, dove io vidi cose che non mi sono giammai immaginato che esistessero. Questo appagò talmente il mio cuore, e mi rese sì tranquillo, che ben lungi dal temere la morte, io la desidero che venga presto, affine di potermi unire col mio Signore.» Sin qui l'infermo.

            Checchè se ne voglia dire dell'esposizione del sovraesposto racconto, il fatto fu che quanto grande era prima lo spavento, e il timore di comparire innanzi a Dio, altrettanto più allegro mostravasi di poi, e desideroso che giugnesse un tal momento; {56[56]} non più tristezza, o malinconia in volto, ma un aspetto tutto ridente, e gioviale, in guisa che sempre voleva cantare salmi inni, o laudi spirituali. Intanto avvertito l'infermo essere cosa buona che in quel giorno ricevesse i ss. Sacramenti, occorrendo appunto la solennità di Pasqua, « volontieri ripigliò, e poichè dicono che il Signore risuscitò dal sepolcro in circa quest'ora (erano le quattro, e mezzo del mattino) vorrei che risuscitasse anche nel mio cuore coll'abbondanza della sua grazia. Non ho alcuna cosa di presente che m'inquieti la coscienza, nullameno atteso lo stato in cui mi trovo, ho piacere di parlare col mio confessore prima di ricevere la santa comunione ». La è pur questa cosa degna d' osservazione; un figlio vissuto nel secolo, sul vigore di sua età, persuaso doversi fra poco presentare al giudizio, dire francamente nulla fargli pena alla coscienza... essere tranquillo. Forza è pur dire che ben regolata sia stata la sua vita, puro il cuore, e pura l'anima sua

            Spettacolo poi veramente edificante, e maraviglioso fu la sua comunione. Terminata {57[57]} la confessione, fatta la preparazione per ricevere il SS. Viatico, già il signor Direttore, che ne era il ministro, seguito dai Seminaristi entrava nella camera d'infermeria; al suo primo comparire, l'infermo tutto turbato, cangia colore, muta d'aspetto, e pieno di santo trasporto esclama: «oh bella vista... giocondo vedere...! Mira come risplende quel sole! Quante belle stelle gli fanno corona! Quanti prostrati a terra l’adorano e non osano alzar la chinata fronte, deh! lascia che io vada inginocchiarmi con loro, e adori anch'io quel non mai veduto sole». Mentre tali cose diceva, voleva rizzarsi, e con forti slanci tentava portarsi verso il SS. Sacramento; io mi sforzava onde trattenerlo in letto; mi cadevan le lagrime dagli occhi per tenerezza, e stupore, non sapeva che dire, nè che rispondergli; ed egli vieppiù si dibatteva onde portarsi verso il SS. Viatico; nè s'acquetò finché non l'ebbe ricevuto. Dopo la Comunione tutto nei più affettuosi sentimenti concentrato verso il suo Gesù, stette alcun tempo immobile, quindi ripieno di meraviglia « oh.... portento {58[58]} d'amore, esclamava! Chi mai son io per essere fatto degno di tesoro sì prezioso! oh! esultino pure gli Angeli del cielo, ma ben con più di ragione ho io di che allegrarmi, giacchè colui che gli Angeli prostrati mirano rispettosamente in Cielo svelato, io lo custodisco nel seno: quem Coeli capere non possunt meo gremio confero: magnificavit Deus facere nobiscum; oprò il Signore con me le sue meraviglie, e ne fui di celeste gioia, e di divina consolazione ripieno, et facti sumus laetantes ». Queste, ed altre simili giaculatorie andò pronunziando per buon tratto di tempo. In fine sommessa la voce chiamommi a se, e mi pregò a non parlargli più d'altro che di cose spirituali, dicendo essere troppo preziosi quegli ultimi momenti che gli restavano ancor di vita, doverli tutti impiegare a glorificare il suo Dio; perciò non darebbe più alcuna risposta, qualora fosse intorno ad altre cose interrogato.

            Difatti in tutto il tempo de' suoi convulsivi dibattimenti se veniva interrogato intorno a cose temporali vaneggiava, se intorno {59[59]} alle cose spirituali dava le più sode risposte.

            Il male intanto andava ognora più crescendo, si fece consulto, si proposero medicinali, s'eseguirono varie operazioni, insomma si operò quanto l’arte dei medici, e dei chirurghi poteva, ma tutto senza effetto, avverandosi cosi ogni cosa nel modo, e nelle circostanze dall'infermo prenunziate.

            In questo mentre trovandosi in libertà onde poter ragionare confidenzialmente con un suo amico (giacché gli altri seminaristi erano andati tutti al Duomo) tenne un ragionamento, che per essere tutto pieno di tenerezza e di religiosi sentimenti io trascrivo alla lettera tale quale mi viene presentato «Con voce che indicava particolarità così prese parlare: Eccoci, diceva al suo amico, eccoci adunque prossimi al momento in cui noi dobbiamo per alcun tempo lasciarci, ascolta pertanto i ricordi che un amico può lasciare ad un altro amico. Non è solo dovere dell'amico, far quello che l'amico richiede mentre ambi vivono, ma eseguire altresì quanto a vicenda raccomandasi da effettuarsi dopo la morte. Perciò a seconda {60[60]} del patto che abbiamo fatto colle più obbliganti promesse, cioè oremus ad invicem ut salvemur, non solo voglio che si estenda sino alla morte dell'uno, o dell'altro, ma di ambidue; onde finché tu condurrai i tuoi giorni quaggiù, prometti, e giura di pregar per me. Benchè in udir tali parole, asserisce l'amico, mi sentimi forzato a piangere, pure frenai le lacrime, e promisi nel modo richiesto quanto voleva. Or bene l'infermo proseguiva, ecco quello che io posso dire a tuo riguardo: Non sai ancora se brevi, o lunghi saranno i giorni di tua vita; ma checchè ne sia sull' incertezza dell'ora, n' è certa la venuta; perciò fa in maniera che tutto il tuo vivere altro non sia che una preparazione alla morte al Giudizio.... Gli uomini pensano di quando in quando alla morte, credono che verrà quella non voluta ora, ma non vi si dispongono, epperciò allorchè s' appressa il momento rimangono confusi, e chi muore in confusione per lo più va eternamente confuso! Felici quelli che passando i loro giorni in opere sante, e pie si trovano apparecchiati per quel momento. Se poi sarai chiamato dal {61[61]} Signore a divenir guida delle anime altrui, inculca mai sempre il pensiero della morte, del Giudizio, rispetto alle Chiese; poiché si vedono pur troppo anche persone d'abito distinto che hanno poca riverenza alla casa di Dio, perciò alle volte avviene che un uomo della plebe, una vil donniciuola stia colle più sante disposizioni, mentre il ministro del Santuario vi sta svagato senza riflettere che si trova nella casa del Dio vivente!

            Siccome poi per tutto il tempo che militiamo in questo mondo di lacrime, non abbiamo patrocinio più possente che quello di Maria SS., devi perciò averle una special divozione. Oh! se gli uomini potessero essere persuasi qual contento arrechi in punto di morte essere stati divoti di Maria, tutti a gara cercherebbero nuovi modi con cui offrirle speciali onori. Sarà pur dessa, che col suo figlio tra le braccia formerà la nostra difesa contro il nemico dell'anima nostra all'ora estrema; s'armi pur tutto contro di noi l’inferno, con Maria in nostra difesa, nostra sarà la vittoria. Guardati però bene dall'essere di quei tali, che per recitare a {62[62]} Maria qualche preghiera, per offrirle qualche mortificazione credono essere da lei protetti, mentre conducono una vita tutta libera, e scostumata. A vece di essere di tali divoti, è meglio non esserlo, perché se si mostrano tali, è puro effetto d'ipocrisia per essere favoriti nei loro cattivi disegni, e quello che è più, se fosse possibile, farle approvare la loro vita sregolata. Sii tu sempre dei veri divoti di Maria coll’imitare le di lei virtù e proverai i dolci effetti di sua bontà, ed amore.

            Aggiungi a questo la frequenza dei sacramenti della confessione, e Comunione, che sono i due istrumenti ossia le due armi colle quali si superano tutti gli assalti del comun nemico, e tutti gli scogli di questo borrascoso mare del mondo. Avverti finalmente con chi tratti,parli,e chi tu frequenti. Non parlo già delle persone di sesso diverso od altre persone secolari, che siano per noi d'evidente pericolo, le quali si devono affatto fuggire; ma parlo degli stessi compagni chierici, e anche seminaristi; alcuni di essi sono cattivi, altri non sono cattivi, ma non molto buoni, altri poi sono veramente buoni. {63[63]} I primi si devono assolutamente fuggire, coi secondi solo trattare qualora si dia il bisogno, ma non formare alcuna famigliarità, gli ultimi poi si devono frequentare, e questi sono quelli da cui si riporta l'utilità spirituale, e temporale. Egli è vero, questi compagni sono pochi, ed è appunto per questo che devesi usare la più guardinga cautela, e trovatine alcuni frequentarli, e formare quella spirituale famigliarità dalla quale si ricava tanto profitto. Coi buoni sarai buono coi cattivi sarai cattivo.

            Una cosa ho ancora da dimandarti, di cui ti prego cordialmente, cioè quando andrai al passeggio, passando presso il luogo di mia tomba udrai i compagni dire qui sta sepolto il nostro collega Comollo; allora tu suggerisci in prudente maniera a ciascheduno da parte mia che mi recitino un pater ed un requiem; In tal guisa io sarò dalle pene del purgatorio liberato. Molte cose ti direi ancora, ma m' accorgo che il male prende forza, e m' opprime, perciò raccomandami alle preghiere degli amici, prega il Signore per me, Iddio ti accompagni e ti benedica, e ci rivedremo quando egli vorrà. {64[64]} Questi sentimenti, esternati in quei momenti in cui si manifesta tutto l'intrinseco del cuore formano il vero ritratto dell'animo suo. Il pensiero delle massime eterne, frequenza dei sacramenti, tenera divozione verso la Madonna, fuggire i compagni pericolosi, cercare quelli da cui sperava ricavare qualche giovamento per le cose di studio, e di pietà formavano lo scopo di tutte le sue azioni.

            Sorpreso verso la sera del giorno di Pasqua da violento accesso di febbre accompagnato dalle più dolorose convulzioni, a stento si poteva trattenere; se non che trovossi uno spediente efficacissimo per acquetarlo. Comunque fuori di se, e agitato dalla gagliardia del male: dettogli appena: Comollo: per chi bisogna soffrire? Egli subito ritornava in se, e tutto gioviale, e ridente, quasi tali parole gli alleviassero il male: per Gesù Crocifisso, rispondeva. In simile stato senza mai profferire un lamento per l’intensità del male, passò la notte, e quasi intiero il giorno susseguente. In questo frattempo fu visitato da suoi genitori, i quali conobbe appieno, e raccomandò loro a rassegnarsi {65[65]} alla divina volontà, e non dimenticarsi di lui nelle loro preghiere. Di quando in quando si metteva a cantare con voce ordinaria, e così sostenuta, che l’avresti detto nel perfetto suo essere di salute; il suo canto era il Miserere, le litanie della Madonna, l'Ave Maris Stella, laudi spirituali. Ma siccome il cantare di troppo lo stancava e gli aumentava il male, si cercò anche un mezzo per farlo tacere, che fu di suggerirgli la recita di qualche preghiera, e così egli cessava di cantare, e diceva quello che gli veniva suggerito.

            Alle sette di sera 1. aprile andando le cose ognor in peggio, il signor Direttore spirituale stimò bene amministrargli l'Olio Santo, nel qual tempo pareva perfettamente guarito; rispondeva opportunamente a quanto abbisognava, talchè il Sacerdote ebbe a dire essere cosa del tutto singolare, che mentre pochi momenti prima pareva in agonia potesse con tanta precisione far l'assistente al ministro, rispondendo a tutte le preci e responsori che in tale amministrazione occorrono. Lo stesso avvenne alle undici, e mezzo quando il signor Rettore al {66[66]} vedere che un freddo sudore cominciava coprirgli il pallido volto gli comparti la papale benedizione.

            Amministrati così tutti i santi sacramenti non pareva più un infermo, ma uno che stesse in letto per riposo; era del tutto consapevole di se stesso con animo pacato, e tranquillo, tutto allegro, altro non faceva che fervorose giaculatorie a Gesù Crocifisso, a Maria Santissima, ai Santi; perlocchè il signor Rettore ebbe a dire che non abbisognava che altri gli raccomandasse l'anima essendo sufficiente per se medesimo. Un' ora dopo la mezzanotte del 2 aprile, dimandò ad uno degli astanti, quanto tempo v' era ancora: gli fu risposto: v'è ancor mezz'ora. C'è ancora di più soggiunse l’infermo. Sì, ripigliò l'altro credendo che vaneggiasse; ancor mezz'ora, poi andremo alla ripetizione. Eh, ripigliò l'infermo sorridendo, bella ripetizione!... v'è altro che ripetizione. Richiesto da un compagno, se sarebbesi ricordato di lui quando fosse in paradiso, rispose: mi ricorderò dì tutti, ma in modo particolare di quelli {67[67]} che m'aiuteranno ad uscir presto dal purgatorio. Ad un tocco e mezzo benchè conservasse sempre la solita serenità nel volto, apparve talmente estenuato di forze, che sembrava mancargli il respiro; rinvenuto poscia un tantino, raccolto quanto di vigor aveva, con voce franca, con gli occhi elevati in alto proruppe in tali accenti: «Vergine santa Madre Benigna, cara madre del mio amato Gesù, Voi che fra tutte le creature sola foste degna di portarlo nel Vergineo ed immacolato Seno, Deh per quel amore con cui l'allattaste lo stringeste amorosamente fra le vostre braccia, per quel che soffriste allorchè gli foste compagna nella sua, povertà, allorchè lo vedeste fra gli strapazzi, sputi, flagelli, e finalmente spasimare morendo in Croce; Deh per tutto questo ottenetemi il dono della fortezza, viva fede, ferma speranza, infiammata Carità, con sincero dolore dei miei peccati, ed ai favori che mi avete ottenuti in tutto il tempo di mia vita, aggiungete la grazia che io possa fare una santa morte. Sì cara Madre pietosa {68[68]} assistetemi in questo punto che stò per presentare l'anima mia al Divin giudizio, presentatela Voi medesima nelle braccia del Vostro Divin Figlio; che se tanto mi promettete, ecco io con animo ardito, e franco appoggiato alla vostra clemenza, e bontà, presento per mezzo delle vostre mani, quest'anima mia a quella Maestà Suprema, la cui misericordia conseguire spero». Tali furono le precise parole da lui pronunciate con tanta enfasi, e penetrazione, che commossero tutti gli astanti, sino a trarre le lacrime.

            Terminata questa fervorosa preghiera pareva venir sorpreso da un letargo mortale, onde per tenerlo in sentimento gli dimandai se sapeva qual età avesse San Luigi, quando morì, alla qual domanda scossosi, « S. Luigi, rispose, aveva ventitre anni compiuti, io muoio che non ne ho ancora nemmen ventidue » Vedendolo intanto estremamente sfinito di forze, venirgli meno il polso, m'accorsi appressarsi il momento che egli doveva dare l'ultimo abbandono al mondo, ed ai compagni; perciò presi a suggerirgli quel tanto {69[69]} che venivami a proposito in simili circostanze, ed egli tutto attento a ciò che gli si diceva, col volto, e colle labbra ridenti, conservando l'inalterabile sua tranquillità fissi gli occhi nel Crocifisso che stretto teneva tra le mani giunte innanzi al petto, si sforzava di ripettere ogni parola che gli veniva suggerita. Circa dieci minuti prima del suo spirare chiamò uno degli astanti, se vuoi gli disse, qualchè cosa per l'eternità, io.... addio me ne parto. Queste furono le ultime sue parole. Quindi per la durezza delle labbra e lo spessore della lingua, non potendo più colla voce pronunziare le giaculatorie suggerite le componeva, e articolava colle labbra. Eranvi altresì due Diaconi che gli leggevano il proficiscere, il quale terminato, mentre l'anima sua si raccomandava alla Vergine Santissima, agli Angeli onde fosse da loro offerta nel cospetto dell'Altissimo, nell’atto che si pronunciavano i nomi di Gesù, e di Maria, sempre sereno, e ridente in volto, movendo egli un dolce sorriso a guisa di chi resta sorpreso alla vista di un maraviglioso, e giocondo {70[70]} oggetto, senza far alcun movimento l'anima sua bella si separò dal corpo volando, come piamente si spera, a riposare nella pace del Signore; le due pomezzanotte prima che sorgesse l’aurora del due aprile 1839 in età d'anni 22 meno 5 giorni. Così morì il giovine chierico Comollo Luigi, il quale seppe gettare nel suo cuore i semi della virtù nelle più rozze occupazioni, coltivarli in mezzo alle lusinghe del mondo, perfezionarli con due anni, e mezzo circa di chiericato, facendoli venire a tutta maturazione con una penosa malattia, e mentre che ognuno si stimava contento di averlo chi per modello, chi per guida nei consigli, altri per amico leale, egli tutti lasciò nel mondo per andarci a proteggere, come fondatamente si spera, in Cielo.

            Parrebbe sulle prime che un' anima buona, sì cristianamente vissuta qual si era quella del Comollo, non avrebbe dovuto paventare tanto i giudizi divini; ma se ben si osserva, questa è la condotta ordinaria ehe tiene Iddio co'suoi eletti, i quali all'idea di doversi presentare al rigoroso {71[71]} Tribunale ne rimangono pieni di timore, e spavento; ma esso corre in loro soccorso, e in vece che lo spavento del peccatore continua in agitazioni rimorsi, e disperazione, quello dei giusti si cangia in coraggio, confidenza, e rassegnazione che produce nel loro cuore la più dolce allegrezza; e questo è veramente il punto in cui Iddio comincia a far gustare al giusto il centuplicato compenso delle opere buone che egli ha fatto secondo la promessa del Vangelo, con raddolcire le amarezze della morte per via di una pacatezza, e tranquillità d'animo, di un contento, e gaudio interno che ravviva la loro fede, conferma la speranza, infiamma la carità, a segno che il male per dir così, rallenta il suo rigore, e vi sottentra un saggio anticipato del godimento di quel bene che Iddio sta per compartir loro in eterno; il che solo, parmi dovrebbe stimarsi guiderdone sufficiente pei travagli di tutta la vita, confortarci a tollerarli con rassegnazione e regolare tutte le azioni nostre a seconda dei divini precetti. {72[72]}

 

 

Capo sesto. Suoi Funerali

 

            Fattosi giorno, e sparsasi la voce della morte del Comollo tutto il seminario rimase nella più mesta costernazione; diceva taluno: in quest'ora Comollo è già in paradiso a pregare per noi; un altro: quanto bene previde la sua morte! Questi: visse da giusto, morì da santo; quell'altro: se dagli uomini si può giudicare che un'anima partendo dal mondo voli al paradiso, certamente si può affermare di quella del Comollo. Quindi ognuno andava a gara onde avere qualche cosa che fosse stata di sua pertinenza. Taluno fece il possibile per avere il suo Crocifisso, altri per avere devote immagini; altri poi si stimavano grandemente contenti di poter avere qualche suo librettino, e fuvvi persino chi, non potendo avere altro, prese il suo collare onde conservarsi stabile memoria di tanto amato, e venerato collega.

            Il signor Rettore del seminario, mosso pur egli dalle singolari circostanze che accompagnarono {73[73]} la di lui morte, comportando a mal in cuore, che il di lui cadavere fosse portato al cimiterio comune, appena giorno si recò a Torino dalle autorità civili, ed ecclesiastiche, da cui ottenne ehe fosse sepolto nella chiesa di san Filippo aderente al Seminario medesimo. Il professore della conferenza del mattino, cominciò la scuola all'ora solita, ma venuto il tempo di spiegare, rimirando la mestizia che tutti gli uditori avevano dipinta in fronte, fu egli pure talmente commosso, che prorompendo in lacrime, e singhiozzi dovette intralasciare la scuola, non avendo più forza di proferir parola.

            L'altro professore la sera venne pure in iscuola ma invece della solita spiegazione fece un patetico discorso sulla morte del Comollo, nel qual discorso, diceva essere ben giusto il dolore che ognuno esternava per la perdita di sì prezioso compagno, ma doversi dall'altro canto ognuno di noi rallegrare nella dolce speranza, che una vita sì edificante, una morte sì preziosa dovesse averci procurato un protettore in Cielo. Esortò tutti a proporselo per modello di {74[74]} virtuosa, e costumata chiericale condotta. Definì inoltre in varie maniere la sua morte; morte di un giusto, morte preziosa negli occhi del Signore, e finì con raccomandarci che ne serbassimo sempre cara memoria, e procurassimo imitarne le virtù.

            Il mattino del 3 aprile coll'intervento di tutti i seminaristi, di tutti i superiori, del signor Canonico Curato colla sua comitiva fu il suo cadavere processionalmente portato per la città di Chieri, e dopo lungo giro accompagnato con funerei cantici, e pie preghiere fu portato alla suddetta Chiesa di San Filippo. Quivi giunti con lugubre musica, con nero, e pomposo apparato si cantò Messa dal signor Direttore presente cadavere; terminata la quale venne deposto in una tomba preparatagli vicino allo steccato che ne tramezza la balaustrata. Quasi che quel Gesù sacramentato, verso cui mostrò tanto amore, e sì volontieri con lui si tratteneva, vicino pure lo volesse anche dopo la morte.

            Sette giorni dopo fecesi pure un solenne funerale con tutto il possibile apparato di addobbamenti, e di lumi. {75[75]} Questi furono gli ultimi onori resigli dai suoi colleghi, i quali oltremodo dolenti niente risparmiarono a favor di un compagno a tutti carissimo.

 

 

Capo settimo. Conseguenze di sua morte

 

            Ella è verità veramente innegabile che la memoria delle anime buone non finisce colla loro morte, ma viene tramandata a posteri con loro utilità. Una malattia, e morte accompagnata da tanti belli esempi, e sentimenti di virtù e di pietà, risvegliò pure in molti seminaristi il desiderio di volernelo imitare. Perciò non pochi s'impegnarono a seguitare gli avvisi, e consigli loro dati mentre ancora viveva altri a tener dietro a' suoi esempi, e virtù, di modo che alcuni seminaristi che prima non mostravano gran fatto di vocazione allo stato cui dicevano aspirare, dopo la morte del Comollo si videro con le più ferme risoluzioni divenire modelli di virtù.

            «Egli fu appunto alla morte del Comollo, {76[76]} dice un suo compagno, che mi sono risoluto di menare una vita da bravo Chierico per divenire santo ecclesiastico, e quantunque tale determinazione sia stata finora inefficace, ciò nulla meno non mi rimango, anzi voglio addoppiare vieppiù ogni giorno l'impegno.» Nè queste furono solamente determinazioni di primo movimento, ma continua ancora oggidì farsi sentire il buon odore delle virtù del Comollo. Onde il Rettore del Seminario alcuni mesi sono, m' ebbe a dire che «il cangiamento di moralità avvenuto nei nostri Seminaristi alla morte del Comollo, continua ad essere tuttodi permanente.»

            Qui sarebbe opportuno osservare che tutto questo avvenne principalmente dietro a due apparizioni del Comollo seguite dopo la di lui morte; una delle quali viene testificata da un'intiera camerata d'individui; come pure sarebbe conveniente parlare di alcuni favori celesti che all'intercessione del medesimo furono ottenuti.

            Io però tutto questo tralascio, contentandomi solo di chiudere questo comunque siasi ragguaglio, con due fatti, ai quali {77[77]} atteso il carattere, e la dignità delle persone che li affermano parmi potersi prestare tutta la credenza.

            Una persona molto impegnata pel servizio di Dio era da lungo tempo tentata: quando con un mezzo, quando con un altro aveva sempre riuscito a vincere la tentazione; un giorno poi fu sì gagliarda, che pareva omai essere sgraziatamente vinta, e quanto più cercava d'allontanare le cattive idee dalla sua fantasia, tanto più vi correvano. Secco, arido, non poteva muoversi a pregare; allorchè volgendo lo sguardo sopra un tavolino, vide un oggetto che apparteneva al Comollo che conservava qual grata memoria di lui; « allora mi posi a gridare, afferma la persona medesima, se tu sei in paradiso, e mi puoi favorire presso il Signore pregalo che mi liberi da questo terribile frangente. Gran cosa! dette appena tali parole quasi fosse mutato in un altro cessò del tutto la non voluta tentazione e mi trovai tranquillo. D' allora in poi non tralasciai più d'invocare in mio soccorso quell'Angioletto {78[7]} di costumi ne' miei bisogni, e ne fui ognor favorito».

            L'altro fatto io lo scrivo tal quale mi viene esposto da chi ne fu l’attore, e testimonio oculato. « Un mattino fui chiamato a tutta fretta a raccomandare al Signore l’anima di un mio amico il quale pativa l'ultima agonia. Là giunto lo trovai veramente qual erami stato detto; era privo dell'uso dei sensi, e della ragione, aveva gli occhi acquosi, le labbra dure, e bagnate di freddo sudore, le arterie sfinite, e mancanti sì, che avresti detto a minuto dovesse mandare l'ultimo respiro; lo dimandai più volte, ma senza pro. Non sapendo più che mi fare, dirotte mi cadevano le lacrime; e in tal frangente venutomi in mente il chierico Comollo, di cui eranmi state riferite tante belle virtù, volli a sfogo del mio dolore invocarlo. Orsù, dissi, se tu puoi qualche cosa presso il Signore, pregalo che sollevi quest'anima addolorata, e sia liberata dalle angosce di morte. Questo dissi, e l'infermo tosto lasciato andare l'estremo del lenzuolo che stretto teneva tra denti, si riscosse, {79[79]} e cominciò parlare quasi non fosse stato ammalato, e il suo miglioramento fu tale, che passati otto giorni l’infermo si trovò totalmente guarito da una malattia che esigeva più mesi di convalescenza, e potè ripigliare le primiere sue occupazioni.

            Nel decorso di questo ragguaglio poco si parlò della virtù della modestia che era appunto quella, che in modo particolare caratterizzava il Comollo. Un esterno così regolato, una condotta tanto esatta, una compostezza sì edificante, una mortificazione sì compita di tutti i sensi e principalmente degli occhi fanno arguire che egli abbia una tale virtù in grado eminente posseduta: e a me pare non dire di troppo se affermo, e nutro costante opinione che egli abbia portata all' altra vita la bella stola dell'innocenza battesimale. Questo io argomento non solo dalla scrupolosa riserbatezza nel trattare, o parlare con persone di sesso diverso; ma molto più da certe materie teologiche che egli niente affatto comprendeva, da certe interrogazioni ridicole che talvolta faceva, il che mostrava la sua semplicità, e purezza. {80[80]} Mi conferma in questa opinione ciò che rilevai dal suo Direttore di spirito, il quale dopo lungo discorso meco fatto sul Comollo, conchiuse che aveva egli conosciuto in lui un Angioletto di costumi, che fervoroso, e divoto di s. Luigi sempre si studiava d'imitarne le virtù; difatti tuttavolta che di questo santo faceva parola, (oltrecchè gli offriva mattina, e sera special preghiera) parlavane sempre con trasporto di contento, e di gioia; anzi gloriavasi perchè ne portava il nome. Son Luigi di nome, diceva, ah potessi pure un giorno essere Luigi di fatti: che se studiavasi di seguire le virtù di S. Luigi gli avrà certamente tenuto dietro in quella che di tal santo è la caratteristica il candore, e purità di costumi.

            Dal fin qui esposto ognun facilmente comprende come le virtù del Comollo quantunque non siano straordinarie, sono però nel loro genere singolari, e compite, di modo che parmi si possa proporre per esemplare a qualunqué persona sia secolare, che religiosa: avendo per certo che chi sarà seguace del Comollo, {81[81]} diventerà giovine virtuoso Chierico esemplare, vero, e degno ministro del Santuario.

            Ecco quel tanto che mi riesci di scrivere intorno al giovane Comollo Luigi, accertando ognuno avere ciò fatto con animo di esporre niente altro che la pura verità, e appagare le varie richieste fattemi da'Colleghi, e da altre persone. Contento d' altro canto, se penna miglior della mia, servendosi di queste stesse memorie, che meschinamente ho esposte, aggiungendo, o togliendo ciò che più le torna a grado tesserà un più grazioso, compito, e ordinato racconto.

 

L'autore di questi cenni non intende di dare ad essi altro peso, se non quello della fede puramente umana. {82[82]}


24 luglio 1947

Maria Valtorta

Le parole dell'Amore sono sempre un invito all'Amore, sia che siano dolci e premianti, sia che siano severe. Perché l'Amore tende a congiungersi con i suoi creati e perciò sempre, anche quando rimprovera, invita ad avvicinarsi, per essere perdonati, o a fondersi, per essere beati.

   Colui che dice che Dio è terribile non conosce Dio – e se così è, è ancor perdonabile – o mente conoscendolo, e allora è imperdonabile perché sacrilegamente leva a Dio il suo più divino serto: quello della Carità che comprende e perdona; è imperdonabile perché leva al suo prossimo la forza che lo salva: quella della fiducia nella misericordiosissima Carità.

   Quando Io sento uno, sia pur sacerdote, che tuona su un'anima: "Dio non è contento di te. Dio ti condanna" e così via, riprovo il dolore di quando, in Palestina, ero denegato per ciò che ero dai miei nemici, e devo fare uno sforzo di misericordia per non condannare colui che condanna il suo prossimo e denega la mia infinita e paziente Misericordia.

   Sta' in pace. Sono sempre il tuo Dio d'amore.»