Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 26° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 26
1Terminati tutti questi discorsi, Gesù disse ai suoi discepoli:2"Voi sapete che fra due giorni è Pasqua e che il Figlio dell'uomo sarà consegnato per essere crocifisso".
3Allora i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo si riunirono nel palazzo del sommo sacerdote, che si chiamava Caifa,4e tennero consiglio per arrestare con un inganno Gesù e farlo morire.5Ma dicevano: "Non durante la festa, perché non avvengano tumulti fra il popolo".
6Mentre Gesù si trovava a Betània, in casa di Simone il lebbroso,7gli si avvicinò una donna con un vaso di alabastro di olio profumato molto prezioso, e glielo versò sul capo mentre stava a mensa.8I discepoli vedendo ciò si sdegnarono e dissero: "Perché questo spreco?9Lo si poteva vendere a caro prezzo per darlo ai poveri!".10Ma Gesù, accortosene, disse loro: "Perché infastidite questa donna? Essa ha compiuto un'azione buona verso di me.11I poveri infatti li avete sempre con voi, me, invece, non sempre mi avete.12Versando questo olio sul mio corpo, lo ha fatto in vista della mia sepoltura.13In verità vi dico: dovunque sarà predicato questo vangelo, nel mondo intero, sarà detto anche ciò che essa ha fatto, in ricordo di lei".
14Allora uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai sommi sacerdoti15e disse: "Quanto mi volete dare perché io ve lo consegni?". E quelli gli 'fissarono trenta monete d'argento'.16Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnarlo.
17Il primo giorno degli Azzimi, i discepoli si avvicinarono a Gesù e gli dissero: "Dove vuoi che ti prepariamo, per mangiare la Pasqua?".18Ed egli rispose: "Andate in città, da un tale, e ditegli: Il Maestro ti manda a dire: Il mio tempo è vicino; farò la Pasqua da te con i miei discepoli".19I discepoli fecero come aveva loro ordinato Gesù, e prepararono la Pasqua.
20Venuta la sera, si mise a mensa con i Dodici.21Mentre mangiavano disse: "In verità io vi dico, uno di voi mi tradirà".22Ed essi, addolorati profondamente, incominciarono ciascuno a domandargli: "Sono forse io, Signore?".23Ed egli rispose: "Colui che ha intinto con me la mano nel piatto, quello mi tradirà.24Il Figlio dell'uomo se ne va, come è scritto di lui, ma guai a colui dal quale il Figlio dell'uomo viene tradito; sarebbe meglio per quell'uomo se non fosse mai nato!".25Giuda, il traditore, disse: "Rabbì, sono forse io?". Gli rispose: "Tu l'hai detto".
26Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo: "Prendete e mangiate; questo è il mio corpo".27Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro, dicendo: "Bevetene tutti,28perché questo è il mio sangue dell'alleanza, versato per molti, in remissione dei peccati.29Io vi dico che da ora non berrò più di questo frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo con voi nel regno del Padre mio".
30E dopo aver cantato l'inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.31Allora Gesù disse loro: "Voi tutti vi scandalizzerete per causa mia in questa notte. Sta scritto infatti:
'Percuoterò il pastore
e saranno disperse le pecore del gregge,'
32ma dopo la mia risurrezione, vi precederò in Galilea".33E Pietro gli disse: "Anche se tutti si scandalizzassero di te, io non mi scandalizzerò mai".34Gli disse Gesù: "In verità ti dico: questa notte stessa, prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte".35E Pietro gli rispose: "Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò". Lo stesso dissero tutti gli altri discepoli.
36Allora Gesù andò con loro in un podere, chiamato Getsèmani, e disse ai discepoli: "Sedetevi qui, mentre io vado là a pregare".37E presi con sé Pietro e i due figli di Zebedèo, cominciò a provare tristezza e angoscia.38Disse loro: "La mia anima è triste fino alla morte; restate qui e vegliate con me".39E avanzatosi un poco, si prostrò con la faccia a terra e pregava dicendo: "Padre mio, se è possibile, passi da me questo calice! Però non come voglio io, ma come vuoi tu!".40Poi tornò dai discepoli e li trovò che dormivano. E disse a Pietro: "Così non siete stati capaci di vegliare un'ora sola con me?41Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole".42E di nuovo, allontanatosi, pregava dicendo: "Padre mio, se questo calice non può passare da me senza che io lo beva, sia fatta la tua volontà".43E tornato di nuovo trovò i suoi che dormivano, perché gli occhi loro si erano appesantiti.44E lasciatili, si allontanò di nuovo e pregò per la terza volta, ripetendo le stesse parole.45Poi si avvicinò ai discepoli e disse loro: "Dormite ormai e riposate! Ecco, è giunta l'ora nella quale il Figlio dell'uomo sarà consegnato in mano ai peccatori.46Alzatevi, andiamo; ecco, colui che mi tradisce si avvicina".
47Mentre parlava ancora, ecco arrivare Giuda, uno dei Dodici, e con lui una gran folla con spade e bastoni, mandata dai sommi sacerdoti e dagli anziani del popolo.48Il traditore aveva dato loro questo segnale dicendo: "Quello che bacerò, è lui; arrestatelo!".49E subito si avvicinò a Gesù e disse: "Salve, Rabbì!". E lo baciò.50E Gesù gli disse: "Amico, per questo sei qui!". Allora si fecero avanti e misero le mani addosso a Gesù e lo arrestarono.51Ed ecco, uno di quelli che erano con Gesù, messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del sommo sacerdote staccandogli un orecchio.
52Allora Gesù gli disse: "Rimetti la spada nel fodero, perché tutti quelli che mettono mano alla spada periranno di spada.53Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici legioni di angeli?54Ma come allora si adempirebbero le Scritture, secondo le quali così deve avvenire?".55In quello stesso momento Gesù disse alla folla: "Siete usciti come contro un brigante, con spade e bastoni, per catturarmi. Ogni giorno stavo seduto nel tempio ad insegnare, e non mi avete arrestato.56Ma tutto questo è avvenuto perché si adempissero le Scritture dei profeti". Allora tutti i discepoli, abbandonatolo, fuggirono.
57Or quelli che avevano arrestato Gesù, lo condussero dal sommo sacerdote Caifa, presso il quale già si erano riuniti gli scribi e gli anziani.58Pietro intanto lo aveva seguito da lontano fino al palazzo del sommo sacerdote; ed entrato anche lui, si pose a sedere tra i servi, per vedere la conclusione.
59I sommi sacerdoti e tutto il sinedrio cercavano qualche falsa testimonianza contro Gesù, per condannarlo a morte;60ma non riuscirono a trovarne alcuna, pur essendosi fatti avanti molti falsi testimoni.61Finalmente se ne presentarono due, che affermarono: "Costui ha dichiarato: Posso distruggere il tempio di Dio e ricostruirlo in tre giorni".62Alzatosi il sommo sacerdote gli disse: "Non rispondi nulla? Che cosa testimoniano costoro contro di te?".63Ma Gesù taceva. Allora il sommo sacerdote gli disse: "Ti scongiuro, per il Dio vivente, perché ci dica se tu sei il Cristo, il Figlio di Dio".64"Tu l'hai detto, gli rispose Gesù, anzi io vi dico:
d'ora innanzi vedrete 'il Figlio dell'uomo
seduto alla destra di Dio,
e venire sulle nubi del cielo'".
65Allora il sommo sacerdote si stracciò le vesti dicendo: "Ha bestemmiato! Perché abbiamo ancora bisogno di testimoni? Ecco, ora avete udito la bestemmia;66che ve ne pare?". E quelli risposero: "È reo di morte!".67Allora gli sputarono in faccia e lo schiaffeggiarono; altri lo bastonavano,68dicendo: "Indovina, Cristo! Chi è che ti ha percosso?".
69Pietro intanto se ne stava seduto fuori, nel cortile. Una serva gli si avvicinò e disse: "Anche tu eri con Gesù, il Galileo!".70Ed egli negò davanti a tutti: "Non capisco che cosa tu voglia dire".71Mentre usciva verso l'atrio, lo vide un'altra serva e disse ai presenti: "Costui era con Gesù, il Nazareno".72Ma egli negò di nuovo giurando: "Non conosco quell'uomo".73Dopo un poco, i presenti gli si accostarono e dissero a Pietro: "Certo anche tu sei di quelli; la tua parlata ti tradisce!".74Allora egli cominciò a imprecare e a giurare: "Non conosco quell'uomo!". E subito un gallo cantò.75E Pietro si ricordò delle parole dette da Gesù: "Prima che il gallo canti, mi rinnegherai tre volte". E uscito all'aperto, pianse amaramente.
Primo libro dei Re 19
1Acab riferì a Gezabele ciò che Elia aveva fatto e che aveva ucciso di spada tutti i profeti.2Gezabele inviò un messaggero a Elia per dirgli: "Gli dèi mi facciano questo e anche di peggio, se domani a quest'ora non avrò reso te come uno di quelli".3Elia, impaurito, si alzò e se ne andò per salvarsi. Giunse a Bersabea di Giuda. Là fece sostare il suo ragazzo.4Egli si inoltrò nel deserto una giornata di cammino e andò a sedersi sotto un ginepro. Desideroso di morire, disse: "Ora basta, Signore! Prendi la mia vita, perché io non sono migliore dei miei padri".5Si coricò e si addormentò sotto il ginepro. Allora, ecco un angelo lo toccò e gli disse: "Alzati e mangia!".6Egli guardò e vide vicino alla sua testa una focaccia cotta su pietre roventi e un orcio d'acqua. Mangiò e bevve, quindi tornò a coricarsi.7Venne di nuovo l'angelo del Signore, lo toccò e gli disse: "Su mangia, perché è troppo lungo per te il cammino".8Si alzò, mangiò e bevve. Con la forza datagli da quel cibo, camminò per quaranta giorni e quaranta notti fino al monte di Dio, l'Oreb.
9Ivi entrò in una caverna per passarvi la notte, quand'ecco il Signore gli disse: "Che fai qui, Elia?".10Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il Signore degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita".11Gli fu detto: "Esci e fermati sul monte alla presenza del Signore". Ecco, il Signore passò. Ci fu un vento impetuoso e gagliardo da spaccare i monti e spezzare le rocce davanti al Signore, ma il Signore non era nel vento. Dopo il vento ci fu un terremoto, ma il Signore non era nel terremoto.12Dopo il terremoto ci fu un fuoco, ma il Signore non era nel fuoco. Dopo il fuoco ci fu il mormorio di un vento leggero.13Come l'udì, Elia si coprì il volto con il mantello, uscì e si fermò all'ingresso della caverna. Ed ecco, sentì una voce che gli diceva: "Che fai qui, Elia?".14Egli rispose: "Sono pieno di zelo per il Signore, Dio degli eserciti, poiché gli Israeliti hanno abbandonato la tua alleanza, hanno demolito i tuoi altari, hanno ucciso di spada i tuoi profeti. Sono rimasto solo ed essi tentano di togliermi la vita".
15Il Signore gli disse: "Su, ritorna sui tuoi passi verso il deserto di Damasco; giunto là, ungerai Hazaèl come re di Aram.16Poi ungerai Ieu, figlio di Nimsi, come re di Israele e ungerai Eliseo figlio di Safàt, di Abel-Mecola, come profeta al tuo posto.17Se uno scamperà dalla spada di Hazaèl, lo ucciderà Ieu; se uno scamperà dalla spada di Ieu, lo ucciderà Eliseo.18Io poi mi sono risparmiato in Israele settemila persone, quanti non hanno piegato le ginocchia a Baal e quanti non l'hanno baciato con la bocca.
19Partito di lì, Elia incontrò Eliseo figlio di Safàt. Costui arava con dodici paia di buoi davanti a sé, mentre egli stesso guidava il decimosecondo. Elia, passandogli vicino, gli gettò addosso il suo mantello.20Quegli lasciò i buoi e corse dietro a Elia, dicendogli: "Andrò a baciare mio padre e mia madre, poi ti seguirò". Elia disse: "Va' e torna, perché sai bene che cosa ho fatto di te".21Allontanatosi da lui, Eliseo prese un paio di buoi e li uccise; con gli attrezzi per arare ne fece cuocere la carne e la diede alla gente, perché la mangiasse. Quindi si alzò e seguì Elia, entrando al suo servizio.
Proverbi 24
1Non invidiare gli uomini malvagi,
non desiderare di stare con loro;
2poiché il loro cuore trama rovine
e le loro labbra non esprimono che malanni.
3Con la sapienza si costruisce la casa
e con la prudenza la si rende salda;
4con la scienza si riempiono le sue stanze
di tutti i beni preziosi e deliziosi.
5Un uomo saggio vale più di uno forte,
un uomo sapiente più di uno pieno di vigore,
6perché con le decisioni prudenti si fa la guerra
e la vittoria sta nel numero dei consiglieri.
7È troppo alta la sapienza per lo stolto,
alla porta della città egli non potrà aprir bocca.
8Chi trama per fare il male
si chiama mestatore.
9Il proposito dello stolto è il peccato
e lo spavaldo è l'abominio degli uomini.
10Se ti avvilisci nel giorno della sventura,
ben poca è la tua forza.
11Libera quelli che sono condotti alla morte
e salva quelli che sono trascinati al supplizio.
12Se dici: "Ecco, io non ne so nulla",
forse colui che pesa i cuori non lo comprende?
Colui che veglia sulla tua vita lo sa;
egli renderà a ciascuno secondo le sue opere.
13Mangia, figlio mio, il miele, perché è buono
e dolce sarà il favo al tuo palato.
14Sappi che tale è la sapienza per te:
se l'acquisti, avrai un avvenire
e la tua speranza non sarà stroncata.
15Non insidiare, o malvagio, la dimora del giusto,
non distruggere la sua abitazione,
16perché se il giusto cade sette volte, egli si rialza,
ma gli empi soccombono nella sventura.
17Non ti rallegrare per la caduta del tuo nemico
e non gioisca il tuo cuore, quando egli soccombe,
18perché il Signore non veda e se ne dispiaccia
e allontani da lui la collera.
19Non irritarti per i malvagi
e non invidiare gli empi,
20perché non ci sarà avvenire per il malvagio
e la lucerna degli empi si estinguerà.
21Temi il Signore, figlio mio, e il re;
non ribellarti né all'uno né all'altro,
22perché improvvisa sorgerà la loro vendetta
e chi sa quale scempio faranno l'uno e l'altro?
23Anche queste sono parole dei saggi.
Aver preferenze personali in giudizio non è bene.
24Se uno dice all'empio: "Tu sei innocente",
i popoli lo malediranno, le genti lo esecreranno,
25mentre tutto andrà bene a coloro che rendono giustizia,
su di loro si riverserà la benedizione.
26Dà un bacio sulle labbra
colui che risponde con parole rette.
27Sistema i tuoi affari di fuori
e fatti i lavori dei campi
e poi costruisciti la casa.
28Non testimoniare alla leggera contro il tuo prossimo
e non ingannare con le labbra.
29Non dire: "Come ha fatto a me così io farò a lui,
renderò a ciascuno come si merita".
30Sono passato vicino al campo di un pigro,
alla vigna di un uomo insensato:
31ecco, ovunque erano cresciute le erbacce,
il terreno era coperto di cardi
e il recinto di pietre era in rovina.
32Osservando, riflettevo
e, vedendo, ho tratto questa lezione:
33un po' dormire, un po' sonnecchiare,
un po' incrociare le braccia per riposare
34e intanto viene passeggiando la miseria
e l'indigenza come un accattone.
Salmi 119
1Alleluia.
Alef. Beato l'uomo di integra condotta,
che cammina nella legge del Signore.
2Beato chi è fedele ai suoi insegnamenti
e lo cerca con tutto il cuore.
3Non commette ingiustizie,
cammina per le sue vie.
4Tu hai dato i tuoi precetti
perché siano osservati fedelmente.
5Siano diritte le mie vie,
nel custodire i tuoi decreti.
6Allora non dovrò arrossire
se avrò obbedito ai tuoi comandi.
7Ti loderò con cuore sincero
quando avrò appreso le tue giuste sentenze.
8Voglio osservare i tuoi decreti:
non abbandonarmi mai.
9Bet. Come potrà un giovane tenere pura la sua via?
Custodendo le tue parole.
10Con tutto il cuore ti cerco:
non farmi deviare dai tuoi precetti.
11Conservo nel cuore le tue parole
per non offenderti con il peccato.
12Benedetto sei tu, Signore;
mostrami il tuo volere.
13Con le mie labbra ho enumerato
tutti i giudizi della tua bocca.
14Nel seguire i tuoi ordini è la mia gioia
più che in ogni altro bene.
15Voglio meditare i tuoi comandamenti,
considerare le tue vie.
16Nella tua volontà è la mia gioia;
mai dimenticherò la tua parola.
17Ghimel. Sii buono con il tuo servo e avrò vita,
custodirò la tua parola.
18Aprimi gli occhi perché io veda
le meraviglie della tua legge.
19Io sono straniero sulla terra,
non nascondermi i tuoi comandi.
20Io mi consumo nel desiderio
dei tuoi precetti in ogni tempo.
21Tu minacci gli orgogliosi;
maledetto chi devìa dai tuoi decreti.
22Allontana da me vergogna e disprezzo,
perché ho osservato le tue leggi.
23Siedono i potenti, mi calunniano,
ma il tuo servo medita i tuoi decreti.
24Anche i tuoi ordini sono la mia gioia,
miei consiglieri i tuoi precetti.
25Dalet. Io sono prostrato nella polvere;
dammi vita secondo la tua parola.
26Ti ho manifestato le mie vie e mi hai risposto;
insegnami i tuoi voleri.
27Fammi conoscere la via dei tuoi precetti
e mediterò i tuoi prodigi.
28Io piango nella tristezza;
sollevami secondo la tua promessa.
29Tieni lontana da me la via della menzogna,
fammi dono della tua legge.
30Ho scelto la via della giustizia,
mi sono proposto i tuoi giudizi.
31Ho aderito ai tuoi insegnamenti, Signore,
che io non resti confuso.
32Corro per la via dei tuoi comandamenti,
perché hai dilatato il mio cuore.
33He. Indicami, Signore, la via dei tuoi decreti
e la seguirò sino alla fine.
34Dammi intelligenza, perché io osservi la tua legge
e la custodisca con tutto il cuore.
35Dirigimi sul sentiero dei tuoi comandi,
perché in esso è la mia gioia.
36Piega il mio cuore verso i tuoi insegnamenti
e non verso la sete del guadagno.
37Distogli i miei occhi dalle cose vane,
fammi vivere sulla tua via.
38Con il tuo servo sii fedele alla parola
che hai data, perché ti si tema.
39Allontana l'insulto che mi sgomenta,
poiché i tuoi giudizi sono buoni.
40Ecco, desidero i tuoi comandamenti;
per la tua giustizia fammi vivere.
41Vau. Venga a me, Signore, la tua grazia,
la tua salvezza secondo la tua promessa;
42a chi mi insulta darò una risposta,
perché ho fiducia nella tua parola.
43Non togliere mai dalla mia bocca la parola vera,
perché confido nei tuoi giudizi.
44Custodirò la tua legge per sempre,
nei secoli, in eterno.
45Sarò sicuro nel mio cammino,
perché ho ricercato i tuoi voleri.
46Davanti ai re parlerò della tua alleanza
senza temere la vergogna.
47Gioirò per i tuoi comandi
che ho amati.
48Alzerò le mani ai tuoi precetti che amo,
mediterò le tue leggi.
49Zain. Ricorda la promessa fatta al tuo servo,
con la quale mi hai dato speranza.
50Questo mi consola nella miseria:
la tua parola mi fa vivere.
51I superbi mi insultano aspramente,
ma non devìo dalla tua legge.
52Ricordo i tuoi giudizi di un tempo, Signore,
e ne sono consolato.
53M'ha preso lo sdegno contro gli empi
che abbandonano la tua legge.
54Sono canti per me i tuoi precetti,
nella terra del mio pellegrinaggio.
55Ricordo il tuo nome lungo la notte
e osservo la tua legge, Signore.
56Tutto questo mi accade
perché ho custodito i tuoi precetti.
57Het. La mia sorte, ho detto, Signore,
è custodire le tue parole.
58Con tutto il cuore ti ho supplicato,
fammi grazia secondo la tua promessa.
59Ho scrutato le mie vie,
ho rivolto i miei passi verso i tuoi comandamenti.
60Sono pronto e non voglio tardare
a custodire i tuoi decreti.
61I lacci degli empi mi hanno avvinto,
ma non ho dimenticato la tua legge.
62Nel cuore della notte mi alzo a renderti lode
per i tuoi giusti decreti.
63Sono amico di coloro che ti sono fedeli
e osservano i tuoi precetti.
64Del tuo amore, Signore, è piena la terra;
insegnami il tuo volere.
65Tet. Hai fatto il bene al tuo servo, Signore,
secondo la tua parola.
66Insegnami il senno e la saggezza,
perché ho fiducia nei tuoi comandamenti.
67Prima di essere umiliato andavo errando,
ma ora osservo la tua parola.
68Tu sei buono e fai il bene,
insegnami i tuoi decreti.
69Mi hanno calunniato gli insolenti,
ma io con tutto il cuore osservo i tuoi precetti.
70Torpido come il grasso è il loro cuore,
ma io mi diletto della tua legge.
71Bene per me se sono stato umiliato,
perché impari ad obbedirti.
72La legge della tua bocca mi è preziosa
più di mille pezzi d'oro e d'argento.
73Iod. Le tue mani mi hanno fatto e plasmato;
fammi capire e imparerò i tuoi comandi.
74I tuoi fedeli al vedermi avranno gioia,
perché ho sperato nella tua parola.
75Signore, so che giusti sono i tuoi giudizi
e con ragione mi hai umiliato.
76Mi consoli la tua grazia,
secondo la tua promessa al tuo servo.
77Venga su di me la tua misericordia e avrò vita,
poiché la tua legge è la mia gioia.
78Siano confusi i superbi che a torto mi opprimono;
io mediterò la tua legge.
79Si volgano a me i tuoi fedeli
e quelli che conoscono i tuoi insegnamenti.
80Sia il mio cuore integro nei tuoi precetti,
perché non resti confuso.
81Caf. Mi consumo nell'attesa della tua salvezza,
spero nella tua parola.
82Si consumano i miei occhi dietro la tua promessa,
mentre dico: "Quando mi darai conforto?".
83Io sono come un otre esposto al fumo,
ma non dimentico i tuoi insegnamenti.
84Quanti saranno i giorni del tuo servo?
Quando farai giustizia dei miei persecutori?
85Mi hanno scavato fosse gli insolenti
che non seguono la tua legge.
86Verità sono tutti i tuoi comandi;
a torto mi perseguitano: vieni in mio aiuto.
87Per poco non mi hanno bandito dalla terra,
ma io non ho abbandonato i tuoi precetti.
88Secondo il tuo amore fammi vivere
e osserverò le parole della tua bocca.
89Lamed. La tua parola, Signore,
è stabile come il cielo.
90La tua fedeltà dura per ogni generazione;
hai fondato la terra ed essa è salda.
91Per tuo decreto tutto sussiste fino ad oggi,
perché ogni cosa è al tuo servizio.
92Se la tua legge non fosse la mia gioia,
sarei perito nella mia miseria.
93Mai dimenticherò i tuoi precetti:
per essi mi fai vivere.
94Io sono tuo: salvami,
perché ho cercato il tuo volere.
95Gli empi mi insidiano per rovinarmi,
ma io medito i tuoi insegnamenti.
96Di ogni cosa perfetta ho visto il limite,
ma la tua legge non ha confini.
97Mem. Quanto amo la tua legge, Signore;
tutto il giorno la vado meditando.
98Il tuo precetto mi fa più saggio dei miei nemici,
perché sempre mi accompagna.
99Sono più saggio di tutti i miei maestri,
perché medito i tuoi insegnamenti.
100Ho più senno degli anziani,
perché osservo i tuoi precetti.
101Tengo lontano i miei passi da ogni via di male,
per custodire la tua parola.
102Non mi allontano dai tuoi giudizi,
perché sei tu ad istruirmi.
103Quanto sono dolci al mio palato le tue parole:
più del miele per la mia bocca.
104Dai tuoi decreti ricevo intelligenza,
per questo odio ogni via di menzogna.
105Nun. Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino.
106Ho giurato, e lo confermo,
di custodire i tuoi precetti di giustizia.
107Sono stanco di soffrire, Signore,
dammi vita secondo la tua parola.
108Signore, gradisci le offerte delle mie labbra,
insegnami i tuoi giudizi.
109La mia vita è sempre in pericolo,
ma non dimentico la tua legge.
110Gli empi mi hanno teso i loro lacci,
ma non ho deviato dai tuoi precetti.
111Mia eredità per sempre sono i tuoi insegnamenti,
sono essi la gioia del mio cuore.
112Ho piegato il mio cuore ai tuoi comandamenti,
in essi è la mia ricompensa per sempre.
113Samech. Detesto gli animi incostanti,
io amo la tua legge.
114Tu sei mio rifugio e mio scudo,
spero nella tua parola.
115Allontanatevi da me o malvagi,
osserverò i precetti del mio Dio.
116Sostienimi secondo la tua parola e avrò vita,
non deludermi nella mia speranza.
117Sii tu il mio aiuto e sarò salvo,
gioirò sempre nei tuoi precetti.
118Tu disprezzi chi abbandona i tuoi decreti,
perché la sua astuzia è fallace.
119Consideri scorie tutti gli empi della terra,
perciò amo i tuoi insegnamenti.
120Tu fai fremere di spavento la mia carne,
io temo i tuoi giudizi.
121Ain. Ho agito secondo diritto e giustizia;
non abbandonarmi ai miei oppressori.
122Assicura il bene al tuo servo;
non mi opprimano i superbi.
123I miei occhi si consumano nell'attesa della tua salvezza
e della tua parola di giustizia.
124Agisci con il tuo servo secondo il tuo amore
e insegnami i tuoi comandamenti.
125Io sono tuo servo, fammi comprendere
e conoscerò i tuoi insegnamenti.
126È tempo che tu agisca, Signore;
hanno violato la tua legge.
127Perciò amo i tuoi comandamenti
più dell'oro, più dell'oro fino.
128Per questo tengo cari i tuoi precetti
e odio ogni via di menzogna.
129Pe. Meravigliosa è la tua alleanza,
per questo le sono fedele.
130La tua parola nel rivelarsi illumina,
dona saggezza ai semplici.
131Apro anelante la bocca,
perché desidero i tuoi comandamenti.
132Volgiti a me e abbi misericordia,
tu che sei giusto per chi ama il tuo nome.
133Rendi saldi i miei passi secondo la tua parola
e su di me non prevalga il male.
134Salvami dall'oppressione dell'uomo
e obbedirò ai tuoi precetti.
135Fa' risplendere il volto sul tuo servo
e insegnami i tuoi comandamenti.
136Fiumi di lacrime mi scendono dagli occhi,
perché non osservano la tua legge.
137Sade. Tu sei giusto, Signore,
e retto nei tuoi giudizi.
138Con giustizia hai ordinato le tue leggi
e con fedeltà grande.
139Mi divora lo zelo della tua casa,
perché i miei nemici dimenticano le tue parole.
140Purissima è la tua parola,
il tuo servo la predilige.
141Io sono piccolo e disprezzato,
ma non trascuro i tuoi precetti.
142La tua giustizia è giustizia eterna
e verità è la tua legge.
143Angoscia e affanno mi hanno colto,
ma i tuoi comandi sono la mia gioia.
144Giusti sono i tuoi insegnamenti per sempre,
fammi comprendere e avrò la vita.
145Kof. T'invoco con tutto il cuore, Signore, rispondimi;
custodirò i tuoi precetti.
146Io ti chiamo, salvami,
e seguirò i tuoi insegnamenti.
147Precedo l'aurora e grido aiuto,
spero sulla tua parola.
148I miei occhi prevengono le veglie
per meditare sulle tue promesse.
149Ascolta la mia voce, secondo la tua grazia;
Signore, fammi vivere secondo il tuo giudizio.
150A tradimento mi assediano i miei persecutori,
sono lontani dalla tua legge.
151Ma tu, Signore, sei vicino,
tutti i tuoi precetti sono veri.
152Da tempo conosco le tue testimonianze
che hai stabilite per sempre.
153Res. Vedi la mia miseria, salvami,
perché non ho dimenticato la tua legge.
154Difendi la mia causa, riscattami,
secondo la tua parola fammi vivere.
155Lontano dagli empi è la salvezza,
perché non cercano il tuo volere.
156Le tue misericordie sono grandi, Signore,
secondo i tuoi giudizi fammi vivere.
157Sono molti i persecutori che mi assalgono,
ma io non abbandono le tue leggi.
158Ho visto i ribelli e ne ho provato ribrezzo,
perché non custodiscono la tua parola.
159Vedi che io amo i tuoi precetti,
Signore, secondo la tua grazia dammi vita.
160La verità è principio della tua parola,
resta per sempre ogni sentenza della tua giustizia.
161Sin. I potenti mi perseguitano senza motivo,
ma il mio cuore teme le tue parole.
162Io gioisco per la tua promessa,
come uno che trova grande tesoro.
163Odio il falso e lo detesto,
amo la tua legge.
164Sette volte al giorno io ti lodo
per le sentenze della tua giustizia.
165Grande pace per chi ama la tua legge,
nel suo cammino non trova inciampo.
166Aspetto da te la salvezza, Signore,
e obbedisco ai tuoi comandi.
167Io custodisco i tuoi insegnamenti
e li amo sopra ogni cosa.
168Osservo i tuoi decreti e i tuoi insegnamenti:
davanti a te sono tutte le mie vie.
169Tau. Giunga il mio grido fino a te, Signore,
fammi comprendere secondo la tua parola.
170Venga al tuo volto la mia supplica,
salvami secondo la tua promessa.
171Scaturisca dalle mie labbra la tua lode,
poiché mi insegni i tuoi voleri.
172La mia lingua canti le tue parole,
perché sono giusti tutti i tuoi comandamenti.
173Mi venga in aiuto la tua mano,
poiché ho scelto i tuoi precetti.
174Desidero la tua salvezza, Signore,
e la tua legge è tutta la mia gioia.
175Possa io vivere e darti lode,
mi aiutino i tuoi giudizi.
176Come pecora smarrita vado errando;
cerca il tuo servo,
perché non ho dimenticato i tuoi comandamenti.
Michea 6
1Ascoltate dunque ciò che dice il Signore:
"Su, fa' lite con i monti
e i colli ascoltino la tua voce!
2Ascoltate, o monti, il processo del Signore
e porgete l'orecchio, o perenni fondamenta della terra,
perché il Signore è in lite con il suo popolo,
intenta causa con Israele.
3Popolo mio, che cosa ti ho fatto?
In che cosa ti ho stancato? Rispondimi.
4Forse perché ti ho fatto uscire dall'Egitto,
ti ho ridi schiavitù
e ho mandato davanti a te
Mosè, Aronne e Maria?
5Popolo mio, ricorda le trame
di Balàk re di Moab,
e quello che gli rispose
Bàlaam, figlio di Beor.
Ricordati di quello che è avvenuto
da Sittìm a Gàlgala,
per riconoscere
i benefici del Signore".
6Con che cosa mi presenterò al Signore,
mi prostrerò al Dio altissimo?
Mi presenterò a lui con olocausti,con vitelli di un anno?
7Gradirà il Signore
le migliaia di montoni
e torrenti di olio a miriadi?
Gli offrirò forse il mio primogenito
per la mia colpa,
il frutto delle mie viscere
per il mio peccato?
8Uomo, ti è stato insegnato ciò che è buono
e ciò che richiede il Signore da te:
praticare la giustizia,
amare la pietà,
camminare umilmente con il tuo Dio.
9La voce del Signore grida alla città!
Ascoltate tribù
e convenuti della città:
10Ci sono ancora nella casa dell'empio
i tesori ingiustamente acquistati
e le misure scarse, detestabili?
11Potrò io giustificare
le false bilance
e il sacchetto di pesi falsi?
12I ricchi della città sono pieni di violenza
e i suoi abitanti dicono menzogna.
13Anch'io ho cominciato a colpirti,
a devastarti per i tuoi peccati.
14Mangerai, ma non ti sazierai,
e la tua fame rimarrà in te;
metterai da parte, ma nulla salverai
e se qualcuno salverai io lo consegnerò alla spada.
15Seminerai, ma non mieterai,
frangerai le olive, ma non ti ungerai d'olio;
produrrai mosto, ma non berrai il vino.
16Tu osservi gli statuti di Omri
e tutte le pratiche della casa di Acab,
e segui i loro propositi,
perciò io farò di te una desolazione,
i tuoi abitanti oggetto di scherno
e subirai l'obbrobrio dei popoli.
Seconda lettera ai Tessalonicesi 2
1Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui,2di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare, né da pretese ispirazioni, né da parole, né da qualche lettera fatta passare come nostra, quasi che il giorno del Signore sia imminente.3Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l'apostasia e dovrà esser rivelato l'uomo iniquo, il figlio della perdizione,4colui che si contrappone 'e s'innalza sopra ogni' essere che viene detto 'Dio' o è oggetto di culto, 'fino a sedere' nel tempio di 'Dio', additando se stesso come 'Dio'.
5Non ricordate che, quando ancora ero tra voi, venivo dicendo queste cose?6E ora sapete ciò che impedisce la sua manifestazione, che avverrà nella sua ora.7Il mistero dell'iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene.8Solo allora sarà rivelato 'l'empio' e il Signore Gesù lo 'distruggerà con il soffio della sua bocca' e lo annienterà all'apparire della sua venuta, l'iniquo,9la cui venuta avverrà nella potenza di satana, con ogni specie di portenti, di segni e prodigi menzogneri,10e con ogni sorta di empio inganno per quelli che vanno in rovina perché non hanno accolto l'amore della verità per essere salvi.11E per questo Dio invia loro una potenza d'inganno perché essi credano alla menzogna12e così siano condannati tutti quelli che non hanno creduto alla verità, ma hanno acconsentito all'iniquità.
13Noi però dobbiamo rendere sempre grazie a Dio per voi, fratelli amati dal Signore, perché Dio vi ha scelti come primizia per la salvezza, attraverso l'opera santificatrice dello Spirito e la fede nella verità,14chiamandovi a questo con il nostro vangelo, per il possesso della gloria del Signore nostro Gesù Cristo.
15Perciò, fratelli, state saldi e mantenete le tradizioni che avete apprese così dalla nostra parola come dalla nostra lettera.16E lo stesso Signore nostro Gesù Cristo e Dio Padre nostro, che ci ha amati e ci ha dato, per sua grazia, una consolazione eterna e una buona speranza,17conforti i vostri cuori e li confermi in ogni opera e parola di bene.
Capitolo XX: Riconoscere la propria debolezza e la miseria di questa nostra vita
Leggilo nella Biblioteca1. "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa miserabile vita.
2. Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una tentazione, una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne sopraggiungono molte altre, e insospettate. Ora, come si può amare una vita così soggetta a disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa, se da essa procedono tante morti e calamità? E invece la si ama e molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo viene facilmente abbandonato, perché troppo prevalgono le brame terrene. Altro è ciò che induce ad amare il mondo; altro è ciò che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio dell'uomo carnale, "il desiderio degli occhi e la superbia della vita" (1 Gv 2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne disgustato le pene e le sofferenze che giustamente conseguono a quei desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e "considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono, di vedere e di gustare la soavità di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che disprezzano totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa disciplina, conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa davvero rinunciare; essi comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli inganni del mondo.
LETTERE 36: Agostino scrivendo al prete Casulano, confuta la poco seria dissertazione di un certo romano intorno al digiuno in giorno di sabato
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta dopo l'aprile del 397.
Agostino scrivendo al prete Casulano, confuta la poco seria dissertazione di un certo romano intorno al digiuno in giorno di sabato (n. 1-9). Mostra poi l'assurdità della posizione del suddetto romano a proposito del digiuno e dei cibi da usarsi in giorno di domenica (n. 10-15). Passati poi a trattare del digiuno di Elia e Daniele, della dottrina di Paolo, dei vari modi di digiunare e della carità (n. 16-26), passati in rassegna gli errori dei Manichei e dei Priscillianisti, espone il pensiero del Vescovo di Milano, Ambrogio, intorno ai vari costumi di digiunare (n. 30-32).
AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE CASULANO, FRATELLO E COLLEGA DI SACERDOZIO, DILETTISSIMO E DEGNISSIMO DI AFFETTO
False asserzioni in contrasto con tutta la Chiesa.
1. 1. Non so come sia accaduto che non ho risposto alla tua prima lettera; sono sicuro però che non l'ho fatto per disprezzo verso di te, poiché godo dei tuoi studi e della tua conversazione, come pure desidero e t'esorto a progredire mentre sei ancora giovane, nella parola di Dio per l'edificazione spirituale della Chiesa. Ora, però, ho ricevuto una seconda tua lettera, nella quale mi preghi, in forza del fraterno e giustissimo diritto della carità, per cui siamo una sola cosa, di risponderti una buona volta; ho ritenuto perciò doveroso non differire oltre di appagare il tuo desiderio, e, nonostante le mie pressantissime occupazioni, mi sono deciso di liberarmi da quest'obbligo contratto verso di te.
Nessuna legge divina stabilisce i giorni del digiuno.
1. 2. Quanto alla domanda se sia lecito digiunare il sabato, ti rispondo: "Se ciò non fosse assolutamente lecito, certamente non avrebbero digiunato per quaranta giorni continui né Mosè, né Elia, né lo stesso Signore". Veramente in forza di questa ragione si conclude che non sarebbe illecito il digiuno neppure la domenica. Eppure, chi pensasse di consacrare questo giorno al digiuno come alcuni che, pur praticando il digiuno, se ne astengono il sabato, arrecherebbe - giustamente - non lieve scandalo alla Chiesa. Riguardo a cose intorno alle quali la Sacra Scrittura non fissa alcuna regola certa, sono da osservarsi come leggi l'usanza del popolo di Dio o le consuetudini degli avi. Se volessimo discutere le usanze in modo da condannare gli uni in base alle consuetudini degli altri, ne nascerebbe una diatriba interminabile e piena di chiacchiere, mancando alla verità ogni argomento apodittico, e si dovrebbe quindi badare che la foga della polemica non offuschi la serena atmosfera della carità. Non s'è curato d'evitare un simile pericolo quel tale, di cui hai creduto bene inviarmi una prolissa dissertazione nella tua prima lettera, perché io gli rispondessi.
Asserire l'obbligo di digiunare il sabato è contro l'usanza della Chiesa.
2. 3. Io però, per confutare tutte le sue opinioni, non dispongo di tanti ritagli di tempo, essendomi essi necessari a sbrigare altre faccende più urgenti. Tu, comunque, coll'ingegno che mostri nelle tue lettere, che io amo in te come dono di Dio, considera un po' attentamente la medesima dissertazione di quel tale urbico - come tu scrivi - ossia oriundo di Roma, e ti accorgerai ch'egli non ha esitato a denigrare coi termini più ingiuriosi quasi tutta la Chiesa di Cristo dall'Oriente all'Occidente. Che dico: "quasi tutta"? "Addirittura tutta quanta la Chiesa", dovrei dire! Poiché si può constatare che non ha risparmiato neppure i Romani, di cui crede difendere le usanze, mentre non sa (poiché non s'accorge) che la foga delle sue insolenze dilaga fino a colpire anch'essi. Così, quando si trova a corto di argomenti per dimostrare l'obbligo del digiuno il sabato, inveisce insolentemente contro il lusso dei pranzi, contro i banchetti di gente avvinazzata, contro le dissolutezza degli ubriaconi, come se non digiunare equivalesse a ubriacarsi. Se è così, cosa giova ai Romani digiunare il sabato, dal momento che negli altri giorni, in cui non digiunano, necessariamente devono essere giudicati - secondo il ragionamento di costui - ubriaconi e adoratori del ventre? Inoltre, se una cosa è appesantire il cuore nella crapula e nell'ubriachezza 1, il che è sempre illecito, altra cosa è mitigare il digiuno conservando la moderazione e la temperanza; e se ciò si fa la domenica, senza poter essere criticato da un Cristiano, costui distingua anzitutto fra il pasto dei santi e l'abuso nel mangiare e nel bere proprio degli adoratori del ventre, per non mettere tra gli adoratori del ventre gli stessi Romani quando non digiunano. Solo allora potrà indagare non già se è lecito ubriacarsi il sabato (cosa illecita pure la domenica) ma se non ci sia l'obbligo di digiunare neppure il sabato, come non si è soliti digiunare la domenica.
I buoni cristiani, pur non digiunando il sabato, sono temperanti.
2. 4. Dio volesse che indagasse e proclamasse le sue condizioni in modo da non bestemmiare così apertamente la Chiesa diffusa in tutto il mondo, tranne i Romani e, almeno finora, un esiguo numero di popoli occidentali. Orbene, chi potrebbe sopportare che di tanti servi e serve di Cristo viventi tra tutti i popoli cristiani d'oriente e tra molti pure d'occidente, si dica ciò che afferma costui per il fatto che il sabato consumano un pranzo sobrio e moderato, si dica cioè che vivono nella carne e non possono piacere a Dio 2; che di essi sta scritto: Lontani da me gli iniqui; non voglio conoscere la loro via 3, che sono adoratori del ventre, che antepongono la Giudea e i figli della schiava alla Chiesa; che seguono non la legge della giustizia, ma del piacere 4, preoccupati solo del ventre, non volendo essere assoggettati alla disciplina; che sono carne e hanno il gusto per ciò che dà la morte 5 e altre simili espressioni? Anche se dicesse ciò di un solo servo di Dio, chi mai dovrebbe ascoltarlo? Chi non dovrebbe evitarlo? ma poiché ingiuria e insulta la Chiesa che porta frutti e cresce in tutto il mondo 6 e che ha l'usanza quasi universale di non digiunare il sabato, lo esorto, chiunque egli sia, a reprimere il suo zelo. Dato però che non hai voluto che io conoscessi il suo nome, certamente non hai voluto che pronunciassi un giudizio sul suo conto.
Riposo del sabato e digiuno.
3. 5. Il Figlio dell'uomo, dice costui, è padrone del sabato, in cui è lecito fare quanto più possibile del bene 7 anziché il male. Se dunque si fa male a mangiare in quel giorno, non c'è nessuna domenica in cui si vive bene. Costui sostiene poi che gli Apostoli il sabato mangiarono, perché - dice - allora non era tempo in cui si doveva digiunare, secondo l'espressione del Signore: Verranno i giorni in cui sarà loro tolto lo Sposo e allora i figli dello Sposo digiuneranno 8, poiché v'è il tempo di godere e il tempo di piangere 9. Costui però avrebbe dovuto prima considerare che il Signore in quella circostanza parlava non già del digiuno del sabato, ma solo del digiuno in genere. In secondo luogo, quando egli vuol dare a intendere che il digiuno deve essere considerato come pianto e il mangiare come godimento, perché mai non pensa (qualunque cosa volesse Dio significare con esso) al passo della Sacra Scrittura, ove è scritto che il settimo giorno Dio si riposò da tutte le sue opere 10? Certo in queste parole non è indicato il pianto, ma la gioia! Salvo che costui voglia farci intendere che nel fatto che Dio si riposò e consacrò il sabato, si sia voluto indicare gioia per i Giudei e pianto per i Cristiani. Tuttavia neppure quando Dio dichiarò santo il settimo giorno perché in esso si era riposato da tutte le sue opere, fece alcun cenno al digiuno o al pasto del sabato; neppure in seguito, quando diede al popolo ebraico le disposizioni sul modo di rispettare quel medesimo giorno 11, non parlò affatto dei cibi che in esso fosse lecito o illecito mangiare; fu solo comandato a tutti di astenersi dal lavorare in proprio e dalle opere servili. Il popolo ebraico, accettando questo precetto in quanto ombra delle cose future 12, si astenne dal lavoro nella stessa guisa che vediamo astenersi anche oggi i Giudei, non però con la mentalità dei Giudei carnali che non capiscono bene ciò che invece intendono bene i Cristiani. In realtà però noi non comprendiamo queste cose meglio dei Profeti i quali, ciò nonostante, nel tempo in cui quel riposo era obbligatorio, osservarono l'astensione dal lavoro il sabato, che i Giudei considerano obbligatoria anche oggi. Ecco perché Dio comandò di lapidare quel tale che aveva raccolto legna nel giorno di sabato 13, ma in nessun luogo della Sacra Scrittura leggiamo che alcuno sia stato lapidato o giudicato degno di qualsiasi altro supplizio per il fatto che avesse digiunato o mangiato il sabato. Quale poi di queste due azioni si addica al riposo e quale al lavoro, se la veda costui, che ha attribuito la gioia a quelli che mangiano e il pianto a quelli che digiunano o ha creduto di capire ch'è attribuito dal Signore nel passo ove, rispondendo a proposito del digiuno, dice: Non possono piangere i figli dello Sposo finché lo Sposo si trova in mezzo a loro 14.
Perché gli Apostoli mangiarono di sabato.
3. 6. Gli Apostoli - dice ancora costui - mangiarono il sabato, poiché non era ancora il tempo che il sabato si dovesse digiunare, cosa che appunto la tradizione degli antenati proibiva; ma io mi domando: era forse già arrivato il tempo di non astenersi dal lavorare il sabato? Non era forse anche ciò proibito dalla tradizione degli antenati, la quale invece costringeva ad astenersi dal lavoro? Eppure proprio quel giorno di sabato, in cui si legge che i discepoli di Cristo mangiarono, non colsero forse delle spighe 15, cosa illecita il sabato perché proibita dalla tradizione degli antenati? Veda dunque costui se non sia più ragionevole della sua la risposta che gli diamo noi, che cioè fu proprio il Signore a volere che fossero compiute dai discepoli quelle due azioni, di cogliere le spighe e di mangiare, per confutare con la prima coloro che pretendono che il sabato non si debba lavorare, e con la seconda coloro che quel giorno obbligano a digiunare. Così il Signore ha voluto far capire come col mutare dei tempi la prima pratica era ormai superstiziosa, mentre ha voluto che l'altra, prima e dopo la sua venuta, fosse libera. Non dico ciò come una cosa che io osi determinare con certezza, ma per mostrare cosa possa rispondersi a costui di molto più ragionevole che non quel che ci racconta lui.
Il fariseo digiunante due volte la settimana.
4. 7. Costui però obietta: "In che modo non saremo condannati col fariseo, se digiuneremo solo due volte la settimana?". Come se il fariseo sia condannato perché digiunasse solo due volte la settimana e non, invece, perché si esaltava, tronfio di orgoglio, sul pubblicano 16. Egli potrebbe pure affermare che anche quelli che dànno ai poveri le decime di tutti i loro raccolti, son condannati col fariseo, perché tra le altre azioni di cui si vantava c'era anche questa, che brameremmo fosse praticata da molti Cristiani, mentre invece se ne trovano sì pochi! Oppure se uno non sarà ingiusto, adultero, ladro, sarà forse condannato col fariseo, perché si vantava di non essere tale? Chi la pensasse così, sarebbe certo un pazzo! Inoltre anche se tutte le qualità, di cui il fariseo si vantava, sono senza dubbio buone, non si debbono possedere con la superba ostentazione che appariva in lui, ma coll'umile riconoscenza verso Dio, che in quello mancava. Così pure il digiunare due volte la settimana è privo di merito per una persona come il fariseo, mentre è un atto religioso per una persona umilmente fedele o fedelmente umile, sebbene il Vangelo non parli di condanna per il fariseo ma piuttosto di giustificazione per il pubblicano.
La giustizia de farisei e dei cristiani.
4. 8. Costui peraltro pensa che l'espressione del Signore: Se la vostra virtù non sarà superiore a quella degli Scribi e dei Farisei, non entrerete nel regno dei cieli 17 si debba intendere in modo che, se non digiuniamo più di due volte la settimana, non possiamo adempiere questo precetto. In tale ipotesi è bene vi siano sette giorni che nel volgere dei tempi tornano sulle proprie orme. Se dunque si tolgono alla settimana i due giorni del sabato e della domenica, in cui non si digiuna, ne rimangono cinque, coi quali si possa superare il fariseo che digiunava solo due volte alla settimana. Penso infatti che, se uno digiuna tre volte alla settimana, supera il fariseo, che digiunava solo due volte la settimana. Se poi uno digiunasse quattro o cinque volte, tralasciando solo il sabato e la domenica, come fanno per tutta la vita molti Cristiani, specialmente coloro che vivono in monastero, in tal caso non rimarrà superato solo il fariseo, che digiunava solo due volte, ma qualunque cristiano solito a praticare il digiuno il mercoledì, venerdì e sabato, come generalmente usa il popolo Romano. Tuttavia questo non so qual pensatore oriundo di Roma - come tu lo chiami - osa qualificare schiavo della carne uno che praticasse il digiuno anche per cinque giorni di seguito, eccetto il sabato e la domenica, senza rifocillarsi affatto in nessuno di quei cinque giorni, come se mangiare e bere negli altri giorni fosse in rapporto col corpo, e gli affibbia pure il titolo di adoratore del ventre, come se soltanto il pasto del sabato scendesse nel ventre.
Ridicolo imporre il digiuno per sei giorni della settimana.
5. 9. Per costui non basta certamente quanto è sufficiente per superare il fariseo, cioè il digiunare tre volte la settimana ma, con l'eccezione della sola domenica, obbliga ad osservare il digiuno tutti gli altri sei giorni, fino ad affermare: "Cancellata l'antica macchia, come due sposi in una sola carne, coloro che si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i sensuali pranzi del sabato con gli uomini senza legge e coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra 18, ma devono praticare coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa. In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina e poi, nutriti dell'alogia domenicale, potremo tutti con ugual sentimento e degnamente cantare: Hai saziato, o Signore, l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 19". Ora, con simili affermazioni e coll'eccettuare dal digiuno soltanto la domenica, costui, imprudente e incauto, accusa non solo le popolazioni dell'Oriente e dell'Occidente, tra le quali nessuno digiuna il sabato, ma la stessa Chiesa di Roma. Proprio così egli dice: "Quanti si trovano sotto la legge cristiana non devono consumare i pranzi sensuali con gli uomini senza legge, coi prìncipi di Sodoma e col popolo di Gomorra, ma devono praticare insieme coi santi e con quanti sono consacrati a Dio, e con sempre maggior rispetto della legge, il digiuno stabilito solennemente dalle leggi della Chiesa". Stabilendo poi in che consista il digiunare secondo le leggi, egli soggiunge: "In tal modo il più lieve fallo commesso nei sei giorni verrà lavato alle fonti del digiuno, della preghiera e dell'elemosina"; così dicendo, costui pensa di certo che coloro, i quali praticano il digiuno meno di sei giorni la settimana, non praticano il digiuno conforme alle leggi né sono consacrati a Dio né lavano le macchie dei falli che si contraggono con la nostra natura mortale. Badino perciò i Romani a quel che fanno, perché anch'essi in questa dissertazione vengono trattati assai oltraggiosamente per il fatto che presso di loro, eccettuati pochissimi chierici o monaci, quanti se ne trovano che pratichino il digiuno tutti i giorni? Tanto più che a Roma non pare si debba digiunare il giovedì!
Occorre forse digiunare la domenica per lavare le mancanze della domenica.
5. 10. Io poi mi domando: se il più lieve fallo di ogni giorno vien cancellato o lavato dal digiuno del medesimo giorno, poiché egli dice: "In tal modo anche il più lieve fallo dei sei giorni sarà lavato anche alle fonti del digiuno", come ci purificheremo delle mancanze in cui scivoliamo la domenica, quando sarebbe scandaloso digiunare? Oppure, se in questo medesimo giorno al cristiano non può capitare di incorrere in qualche fallo, veda costui (che accusa gli altri quali adoratori del ventre, come s'egli fosse un eroe del digiuno) quanto onore e importanza attribuisce al ventre, se non si pecca quando si mangia. Dunque, attribuisce egli forse al digiuno del sabato tale virtù che basta da solo a cancellare anche il più lieve fallo degli altri sei giorni della settimana, cioè anche della stessa domenica - com'egli dice - e non si pecca solo nello stesso giorno dedicato interamente al digiuno? Ma, allora, perché mai in virtù delle disposizioni della legge cristiana dà la preferenza alla domenica rispetto al sabato? Ecco: secondo lui si viene a scoprire che il sabato è molto più santo, perché quel giorno non si pecca quando lo si consacra tutto intero al digiuno; anzi col medesimo digiuno si cancellano i peccati degli altri sei giorni e perciò della stessa domenica. Credo però che tu non approvi codesta sua opinione.
I pasti moderati del sabato e quelli smodati della domenica.
5. 11. E anzi, mentre costui vuol apparire persona spirituale e accusa come carnali coloro che mangiano il sabato, tu considera bene in qual modo la domenica si ristora non con un pasto frugale, ma ha bisogno dell'alogia per rallegrarsi. Ma che cos'è poi quest'alogia? È una parola presa dalla lingua greca, ed esprime l'abbandonarsi alla crapula fino a perdere il controllo della ragione. Per questo si dicono àlogi gli animali irragionevoli, ai quali rassomigliano le persone dedite al ventre; per questo vien chiamata alogia un banchetto smodato in cui, col rimpinzarsi di cibo e di vino, viene per così dire affogata la mente, di cui la ragione è la facoltà principale. Costui inoltre arriva ad affermare che, a causa del cibo e del bere, cioè per causa dell'alogia (o bestialità) non della mente ma del ventre, nella domenica si deve cantare: O Signore, tu hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima assetata 20. Toh, vedi che persona spirituale, che censore delle persone carnali, che gran digiunatore e per nulla adoratore del ventre è costui! Ecco chi ci ammonisce a non guastare con la legge del ventre la legge del Signore, a non barattare il pane del cielo col cibo della terra e soggiunge: "A causa del cibo Adamo perse il paradiso, come pure a causa del cibo Esaù perse il diritto di primogenitura". Ecco chi dice: "Poiché il solito trabocchetto di Satana è la tentazione del ventre: lo persuade a prendere poco per rapire tutto. E la spiegazione di questi precetti - soggiunge - non arriva a piegare gli adoratori del ventre".
Illogica interpretazione del digiuno.
5. 12. Non sembra forse che con queste sue parole costui voglia concludere che si debba digiunare anche la domenica? In caso diverso il sabato, durante il quale il Signore riposò nel sepolcro, sarebbe più sacro della domenica, in cui risuscitò dai morti. E sarebbe indubbiamente più sacro il sabato se, a quanto afferma costui, col digiuno di quel giorno si potesse evitare ogni specie di peccato e cancellare le macchie procurate negli altri giorni, mentre la domenica, a causa del cibo, non si eviterebbe la tentazione del ventre e si offrirebbe l'occasione all'insidia del diavolo, si perderebbe il paradiso e il diritto di primogenitura. Ma allora, perché mai costui, contraddicendosi ancora una volta, esorta che nella domenica ci ristoriamo non con un cibo moderato, sobrio, degno di Cristiani, ma nella pazza gioia dell'alogia, esultando e cantando: O Signore, hai saziato l'anima digiuna e hai dissetato l'anima sitibonda? È naturale: se non si pecca quando si digiuna e col digiuno del sabato si lavano tutti i peccati commessi negli altri sei giorni, non vi sarà nessun giorno peggiore della domenica, nessuno migliore del sabato! Credimi, fratello carissimo: nessuno intende la legge come costui, tranne chi non l'intende affatto. In realtà se non fu il cibo in sé, ma il cibo proibito a rovinare Adamo 21, né fu il piatto di lenticchie a far riprovare Esaù 22, nipote del santo Abramo, ma l'averlo desiderato fino al disprezzo del piano misterioso simboleggiato nella primogenitura, ne segue che dai santi e dai fedeli si mangia con spirito di ossequio alla legge di Dio, come dai sacrileghi e dagli increduli si digiuna con spirito contrario alla legge di Dio. La domenica poi dev'essere considerata superiore al sabato per il mistero della risurrezione, non per l'usanza della refezione oppure per la dissolutezza delle canzoni da ubriaconi.
Il digiuno quadragesimale di Mosè.
6. 13. "Mosè - dice costui - rimase quaranta giorni senza mangiar pane né bere acqua 23". E per spiegare il motivo di questa sua affermazione, soggiunge dicendo: "Ecco Mosè, questo amico di Dio, questo abitante nella nube, questo legislatore e condottiero del popolo, praticando il digiuno per sei sabati, non solo non arrecò offesa a Dio, ma si acquistò meriti". Ma considera forse costui che cosa gli si può convenientemente opporre? Se egli ci pone sotto gli occhi l'esempio di Mosè digiunante poiché in quei quaranta giorni digiunò - com'egli dice - sei sabati, dimostrando così che si deve digiunare il sabato, perché con lo stesso esempio non ci persuade a digiunare pure la domenica, poiché in quei quaranta giorni Mosè digiunò ugualmente sei domeniche? Costui però soggiunge: "Ma la domenica era da Dio ancora riserbata con Cristo alla Chiesa che si sarebbe presto stabilita". Non capisco il perché di questa affermazione; se è stata fatta per il motivo che si deve digiunare molto di più dopo che è arrivata con Cristo la domenica, si dovrebbe dunque digiunare anche la stessa domenica, che Dio non voglia! Forse però si espresse così per evitare che, a proposito del digiuno di quaranta giorni, gli si obbiettasse che si deve digiunare pure la domenica: perciò soggiunse che la domenica era riservata con Cristo alla Chiesa, che si sarebbe stabilita più tardi, onde farci comprendere pure che Mosè digiunò anche nel giorno successivo al sabato, in quanto non era ancora venuto Cristo, dal quale fu istituita la domenica, in cui perciò non si addice digiunare. Ma perché allora Cristo digiunò ugualmente quaranta giorni 24? E perché mai durante quei quaranta giorni non interruppe il digiuno nei giorni successivi al sabato per raccomandare fin d'allora il pasto della domenica anche prima della sua risurrezione, allo stesso modo che diede a bere il proprio sangue prima della sua passione? Tu comprendi bene che il digiuno di quaranta giorni, da costui ricordato, non prova per nulla che uno sia obbligato a digiunare il sabato, come non prova per nulla che si debba digiunare la domenica.
Contraddizioni riguardo al pasto del sabato e della domenica.
6. 14. Costui però non considera affatto ciò che gli si può opporre riguardo alla domenica, dal momento che, allo stesso modo che sono da riprovarsi i banchetti senza sobrietà e ogni eccesso nel mangiare e nel bere, così egli accusa i pasti del sabato, pur potendo questi essere propri di persone moderate e sobrie. Per questo motivo è inutile rispondergli punto per punto, poiché biasimando i vizi della lussuria riguardo ai pasti del sabato, ripete sempre le stesse cose, non trovando altro da dire se non cose futili e per nulla attinenti alla questione. Ora tutta la questione è sapere se il sabato ci si debba astenere dal digiuno e non già se il sabato ci si debba astenere dalla crapula, dalla quale si astengono le persone timorate di Dio anche la domenica, ancorché quel giorno non digiunino. Ma chi mai oserebbe fare l'affermazione fatta da costui? "In qual modo - dice - possono essere meritorie per noi e accette o gradite a Dio azioni che in un giorno consacrato ci inducono al peccato"? Ammette che il sabato è giorno consacrato e poi dice che si costringono le persone al peccato solo perché si mangia. Per conseguenza, secondo costui, o la domenica non è un giorno consacrato, e in questo caso il sabato è preferibile alla domenica, oppure, se anche la domenica è un giorno santificato, siamo spinti al peccato per il solo fatto che in quel giorno mangiamo.
Non comparabili idolatria, fornicazione, col non digiunare di sabato.
7. 15. Costui inoltre si sforza di dimostrare con prove tratte dalla Sacra Scrittura l'obbligo di digiunare il sabato. Ma non riesce affatto a trovare alcuna prova. "Giacobbe - dice costui - mangiò e bevve vino a sazietà e s'allontanò da Dio, suo Salvatore, e in un sol giorno caddero ventitremila persone 25". Come se la Sacra Scrittura dicesse: "Giacobbe mangiò di sabato e s'allontanò da Dio, suo Salvatore". Allo stesso modo l'Apostolo nel ricordare ch'erano cadute tante migliaia di persone non dice: "Non mangiamo di sabato come fecero costoro", ma: E non fornichiamo come fecero alcuni di loro e ne caddero in un sol giorno ventitremila 26. E che vuol dire anche l'espressione biblica: E sedette il popolo a mangiare e bere e si alzò per sollazzarsi 27? Questo passo è stato bensì citato pure dall'Apostolo, ma per allontanarci dal culto degli idoli e non dal mangiare il sabato. Costui invece non prova affatto che quel fatto avvenisse di sabato ma è una sua congettura capricciosa. Ma come si può digiunare e inebriarsi quando si scioglie il digiuno, se si è ubriaconi, così pure può accadere che uno digiuni e, se è temperante, mangi assai parcamente. Perché dunque, per convincere che il sabato c'è l'obbligo del digiuno, chiama a testimonio l'Apostolo, che dice: Non v'inebriate di vino ch'è causa di dissolutezza 28, come se dicesse: "Non mangiate di sabato, perché è causa di dissolutezza"? Ma allo stesso modo che questo precetto dell'Apostolo di non inebriarsi di vino ch'è causa di dissolutezza, è messo in pratica dal Cristiani timorati di Dio quando consumano i pasti di domenica, così viene praticato quando si consumano i pasti il sabato.
Il digiuno del profeta Elia e di Daniele coi tre compagni.
7. 16. "E per replicare - dice - più esplicitamente agli erranti, col digiuno nessuno offende Iddio, anche se non acquista meriti; ora non offenderlo è già meritare". Chi mai direbbe ciò tranne chi parlasse senza riflettere che cosa dice? Così dunque quando i pagani digiunano, solo per questo non offendono maggiormente Dio? Oppure se ha voluto che la sua affermazione si dovesse intendere dei Cristiani, chi mai non offenderà Dio se vorrà digiunare la domenica con scandalo di tutta la Chiesa diffusa in ogni parte del mondo? Continua poi con l'addurre altre prove tratte dalla Sacra Scrittura ma di nessun valore per il suo assunto. "In grazia del digiuno - dice - Elia ha ottenuto in dono il paradiso e vi regna col suo corpo mortale 29", come se non raccomandassero il digiuno coloro che tuttavia la domenica non digiunano! Orbene, ciò che ho risposto a proposito dei quaranta giorni di digiuno fatto da Mosè, ritengo si debba rispondere pure a proposito dei quaranta giorni di Elia. "In grazia del digiuno - dice ancora - Daniele uscì illeso dalle fauci dei leoni, secche per la rabbia 30", come se nella Sacra Scrittura avesse letto che digiunò il sabato o che comunque fosse di sabato rimasto fra i leoni, mentre vi leggiamo che consumò pure il pranzo 31. "In grazia del digiuno - dice ancora - i tre giovani uniti tra loro da vincoli fraterni trionfarono nel carcere balenante di fiamme e adorarono il Signore accolto in quella dimora ardente 32". Neppure questi esempi di santi valgono a dimostrare l'obbligo del digiuno di qualsiasi giorno; quanto meno di sabato. Poiché non solo non si legge nella Sacra Scrittura che i tre giovani fossero gettati nella fornace col fuoco acceso in giorno di sabato, ma neppure che vi rimanessero tanto che si possa affermare vi digiunassero. Essi, al contrario, vi rimasero per lo spazio appena di un'ora in cui si può cantare il loro inno di lode e il loro cantico. Essi tra quelle fiamme innocue non passeggiarono più di quanto occorresse a portare a termine quel cantico, salvo che pure da costui non si assegni al digiuno lo spazio di un'ora sola. Se fosse così, non avrebbe alcun motivo di sdegnarsi contro coloro che il sabato mangiano, poiché il digiuno che si pratica fino all'ora di pranzo è molto più lungo di quello durato nella fornace.
Cosa dice san Paolo del mangiare e del bere.
7. 17. Costui cita pure come prova quel passo dell'Apostolo in cui dice: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere, ma nella giustizia, nella pace e nella gioia provenienti dallo Spirito Santo 33. E pretende che qui regno di Dio significhi la Chiesa, perché in essa Dio ha stabilito il suo regno. Ora io ti domando: forse che l'Apostolo parlando così voleva imporre ai Cristiani l'obbligo di digiunare il sabato? Ma no; dicendo così non intendeva parlare neppure del digiuno d'alcun altro giorno. L'espressione paolina era diretta contro coloro che, secondo l'uso dei Giudei ligi all'antica Legge, reputavano che la purezza consistesse nell'astenersi da determinati cibi; ed inoltre intendeva ammonire quei fedeli che, mangiando e bevendo senza distinguere cibi e bevande, scandalizzavano i deboli. Ecco perché l'Apostolo, dopo aver detto: Non far sì che per causa del tuo cibo si perda quel tale per cui è morto Cristo, e: Non fate dunque che il nostro bene sia oggetto di biasimo 34, aggiunse: Il regno di Dio non consiste nel mangiare e nel bere ecc. Poiché, se dovessimo intendere come vuole costui queste parole dell'Apostolo, che cioè il regno di Dio, ossia la Chiesa, non consista nel mangiare e bere ma nel digiuno, non dico che dovremmo digiunare il sabato, ma non prendere assolutamente mai cibo e bevanda, per non rimanere fuori dal regno di Dio. Penso allora - come egli stesso ammette - che se c'è un giorno in cui apparteniamo alla Chiesa con sentimenti di maggiore pietà, esso è la domenica quando tuttavia, ancora col suo permesso, noi mangiamo!
Il sacrificio della lode e del digiuno.
8. 18. "Perché mai - dice ancora costui - ricusiamo d'offrire un sacrificio caro al Signore principale, un sacrificio desiderato dallo Spirito e lodato dall'Angelo"? Come prova adduce poi quella dell'Angelo che dice: Buona cosa è la preghiera col digiuno e con l'elemosina 35. Non so cosa abbia voluto dire con l'espressione "preferito dal Signore", salvo che non sia un errore del copista e ti sia sfuggito di correggerlo nella copia che mi hai inviata da leggere. Per sacrificio caro a Dio vuole dunque che si intenda il digiuno, come se la questione verta sul digiuno e non sul digiuno del sabato. Ma la stessa domenica trascorre forse senza sacrificio, caro a Dio, per il fatto che non si digiuna? Costui però continua ad accumulare prove del tutto estranee alla causa da lui presa a difendere. Offri - dice - a Dio il sacrificio di lode 36 e volendo ricollegare, non so come, quest'espressione del salmo divino all'argomento trattato: "Certo - dice - non il banchetto del sangue e dell'ubriachezza, con cui si moltiplicano non già le lodi dovute a Dio, ma le bestemmie col favore del diavolo". Oh cieca presunzione! La domenica dunque non s'offre il sacrificio di lode, perché non si digiuna, ma si compie "un banchetto da ebbri" e "col favore del diavolo si moltiplicano le bestemmie"! Se però è illecito affermare ciò, comprenda costui che con l'espressione della Sacra Scrittura: Offri a Dio il sacrificio di lode non si intende il digiuno, il quale non viene praticato in giorni determinati, soprattutto festivi, mentre ogni giorno il Sacrificio di lode è offerto dalla Chiesa diffusa in ogni parte della terra. Altrimenti (cosa che nessuno, non dico cristiano, ma neppure pazzo, oserebbe dire) i cinquanta giorni decorrenti da Pasqua a Pentecoste, in cui non si digiuna, sarebbero - secondo costui - privi del sacrificio di lode, quando l'Alleluia si canta in molte chiese solo in quei giorni e in tutte le altre in quelli soprattutto; e nessun cristiano, per quanto si voglia ignorante, ignora che cosa è una esclamazione di lode.
Cosa mai impedisce di mangiare il sabato?
8. 19. Costui però ammette che anche il pasto della domenica può consumarsi non nell'ubriachezza ma nella gioia, quando afferma che noi, Cristiani in gran numero solo di nome ma pochi eletti, discendenti dai Giudei e dai pagani, la sera del sabato dobbiamo offrire, invece di vittime di animali, il digiuno gradito a Dio mediante il canto dei salmi col quale, come distrutte dal fuoco, scompaiono le azioni peccaminose. "E al mattino - soggiunge costui - il Signore soddisfatto della nostra obbedienza ci esaudirà e avremo le case per mangiare e bere, non nell'ubriachezza, ma nella gioia, una volta terminata la festa del Signore". Allora, dunque, si celebra l'eulogia e non come affermava prima, l'alogia. Ma non so proprio in che cosa lo urti il sabato, santificato dal Signore, per cui non crede si possa in quel giorno mangiare con gioia senza trasmodare in una sbornia, potendo noi digiunare prima del sabato allo stesso modo che, secondo lui, dovremmo digiunare il sabato prima della domenica: crede forse che sia una cosa empia mangiare per due giorni di seguito? Comprenda dunque quale offesa arrechi anche alla stessa Chiesa Romana, nella quale anche in quelle settimane in cui si digiuna il mercoledì, il venerdì e il sabato, tuttavia si mangia in tre giorni di seguito, cioè la domenica, il lunedì e il martedì.
Offesa alla Chiesa di Roma.
8. 20. "È certo - afferma pure - che la vita delle pecore dipende dalla volontà dei pastori: ma guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro 37". Non comprendo bene cosa vogliano dire queste sue parole. Se infatti quel tale oriundo di Roma dice così come tu scrivi, a Roma il popolo, sottomesso all'arbitrio del suo pastore, digiuna il sabato col suo vescovo. Se invece ti scrisse così perché nella tua lettera anche tu avevi scritto qualcosa di simile, non lasciarti indurre a lodare una città cristiana che digiuna il sabato, per non essere poi costretto a condannare il mondo cristiano che mangia. Quando infatti dice: Guai a coloro che chiamano bene il male e tenebre la luce e luce le tenebre e amaro il dolce e dolce l'amaro, volendo darci a intendere ch'è bene e luce e dolce il digiuno del sabato e al contrario è male e tenebre e amaro il mangiare, chi potrebbe dubitare ch'egli, a proposito dei Cristiani che mangiano il sabato, condanna il mondo intero? Ma egli non riflette né s'accorge di quel che dice, se non si può trattenere dallo scrivere tali arrischiate e precipitose espressioni. Poiché subito soggiunge con l'Apostolo: Nessuno dunque vi condanni per causa di cibi o di bevande 38, cosa che fa proprio lui condannando coloro che il sabato prendono cibo e bevande. Quanto meglio sarebbe stato se gli fosse venuto in mente anche ciò che lo stesso Apostolo dice in un altro passo: Chi mangia, non disprezzi colui che non mangia, e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 39! Avrebbe così mantenuto, tra coloro che digiunano e quelli che mangiano al sabato, la giusta e prudente misura per evitare scandali in modo che colui il quale mangia in quel giorno non disprezzasse colui che non mangia, e colui che non mangia non si facesse giudice di chi mangia.
Diversi modi e tempi di praticare il digiuno.
9. 21. "Anche Pietro - dice costui - il capo degli Apostoli, il portinaio del cielo, il fondamento della Chiesa, dopo aver sbaragliato Simone, ch'era figura simbolica del diavolo, il quale si vince solo col digiuno, insegnò questa medesima pratica ai Romani, la cui fede viene annunciata al mondo intero". Forse che, dunque, gli altri Apostoli insegnarono a tutti i Cristiani sparsi nel mondo intero a mangiare contro l'insegnamento di Pietro? Al contrario, come vissero concordi tra loro Pietro e gli altri Apostoli, così vivevano concordi tra loro digiunando di sabato quelli stabiliti nella fede da Pietro e mangiando di sabato quelli stabiliti nella fede dagli altri Apostoli. È bensì opinione di moltissimi, sebbene parecchi Romani affermino ch'è falsa, che l'apostolo Pietro per prepararsi a ingaggiare un dibattito con Simon Mago una domenica, proprio a causa del pericolo della grande prova, il giorno precedente digiunasse con tutti i fedeli della stessa Roma: avendo poi conseguito una vittoria così felice e gloriosa, continuasse poi a conservare quell'usanza imitata da alcune Chiese dell'Occidente. Ma se - come costui afferma - Simon Mago era figura simbolica del diavolo, questo non fa il tentatore certamente solo il sabato o la domenica, ma tutti i giorni; eppure non tutti i giorni si digiuna per difendersi da lui, dal momento che si mangia in tutte le domeniche e nei cinquanta giorni dopo la Pasqua e, in diverse località, nelle ricorrenze solenni dei Martiri e in tutte le feste senza eccezione. Ciononostante il diavolo si vince se i nostri occhi sono rivolti sempre al Signore, affinché estragga dal laccio i nostri piedi 40; e o mangiamo o beviamo o qualsiasi altra cosa facciamo, facciamo tutto a gloria di Dio e, per quanto sta in noi, non siamo d'inciampo né ai Giudei, né ai Greci, né alla Chiesa di Dio 41. Ma a questo ammonimento non pensano sia quelli che mangiano, sia quelli che digiunano, offrendo occasione di scandalo con l'eccedere nell'una e nell'altra azione; in tal modo il diavolo non ne esce sconfitto ma baldanzoso.
Identico argomento, provato dalla Bibbia.
9. 22. Si potrebbe forse rispondere che Giacomo a Gerusalemme, Giovanni ad Efeso e tutti gli altri Apostoli negli altri luoghi insegnarono, come insegnò Pietro a Roma, l'obbligo di digiunare il sabato, ma che, da questo insegnamento tutte le altre terre tralignarono, mentre Roma vi rimase fedele; ma si potrebbe pure, al contrario, replicare che piuttosto non conservarono l'insegnamento degli Apostoli alcune località dell'Occidente, tra cui Roma, mentre le terre dell'Oriente, donde lo stesso Vangelo cominciò ad esser predicato, rimasero, senza cambiar nulla, fedeli alla tradizione insegnata da tutti gli Apostoli insieme con Pietro, di non digiunare cioè il sabato. Ma si avrebbe allora una controversia interminabile, atta a generare litigi ma non a terminare le questioni. Sia dunque una sola la fede di tutta la Chiesa sparsa in ogni parte della terra, interna per così dire nelle membra, ancorché la stessa unità della fede si manifesti esternamente con pratiche diverse le quali non recano impaccio alla verità della fede; poiché tutta la bellezza della figlia del Re è interiore, mentre tutte le pratiche che si osservano in forma diversa sono simboleggiate nella sua veste, per cui nello stesso salmo si dice: Con frange d'oro rivestita d'una veste variopinta 42. Orbene la veste sia pure screziata per pratiche diverse, ma non venga lacerata da dispute avverse.
Unità di fede e varietà di pratiche.
10. 23. "Infine - dice - se il Giudeo celebrando come festivo il sabato rifiuta di celebrare la domenica, come mai il Cristiano celebra il sabato? O siamo Cristiani e celebriamo la domenica oppure siamo Giudei e celebriamo il sabato: poiché nessuno può servire a due padroni 43". Non parla forse come se uno fosse il padrone del sabato e un altro quello della domenica 44? Non ascolta neppure quello ch'egli stesso ha già citato: Padrone del sabato è infatti il Figlio dell'uomo. Quando poi vuole che siamo contrari al sabato come i Giudei lo sono della domenica, non sbaglia forse fino al punto che potrebbe dire pure che non dovremmo accogliere né la Legge né i Profeti, come i Giudei non accolgono il Vangelo né gli Apostoli? Chi sa capire ciò, capisce pure quanto quell'asserzione puzza d'eresia! Ma tutte le cose vecchie - dice - sono passate e sono state rinnovate in Cristo 45. È vero. Per questo infatti non ci riposiamo il sabato, come fanno i Giudei, anche se, per indicare il riposo simboleggiato in quel giorno, interrompiamo l'obbligo del digiuno, pur osservando la cristiana sobrietà e frugalità. E anche se alcuni nostri confratelli non ritengono necessario indicare il riposo del sabato interrompendo il digiuno, noi non stiamo a litigare sulla varietà della veste regia, per non lacerare le membra interne della regina stessa, quando conserviamo l'unica stessa fede anche riguardo allo stesso riposo. Sì, è vero: dal momento che le cose antiche sono passate, con esse è passato pure il riposo materiale del sabato; non per questo però noi serviamo a due padroni per il fatto che prendiamo i pasti il sabato e la domenica senza astenerci per superstizione dal lavoro, poiché tanto del sabato che della domenica è uno solo il padrone.
Il riposo temporale e quello eterno.
10. 24. Costui poi, il quale dice che le cose antiche sono passate, affinché "in Cristo l'ara lasciasse il posto all'altare, la spada al digiuno, il fuoco alle preghiere, gli animali al pane, il sangue al calice", non sa che il termine "altare" è più usato nei libri della Legge e dei Profeti e che l'altare fu collocato dapprima nel tabernacolo costruito da Mosè 46; e inoltre che il termine "ara" si trova negli scritti degli Apostoli, dove si dice che i Martiri gridano a gran voce sotto l'"ara" di Dio 47. Dice che la spada ha lasciato il posto al digiuno, dimenticando quella a doppio taglio, di cui sono armati i soldati del Vangelo, consistente nell'Antico e nel Nuovo Testamento 48. Dice che il fuoco ha lasciato il posto alle preghiere, come se allora le preghiere non fossero presentate nel tempio e come se ora il fuoco non fosse stato portato nel mondo da Cristo 49. Dice che gli animali hanno lasciato il posto al pane, fingendo d'ignorare che pure allora sulla mensa del Signore si solevano porre i pani di proposizione 50 e che ora anch'egli prende una parte del corpo dell'Agnello immacolato. Dice che il sangue ha lasciato il posto al calice, senza pensare che anche adesso egli riceve il sangue nel calice 51. Quanto meglio dunque e più convenientemente avrebbe detto che le cose antiche son passate e che sono state rinnovate in Cristo, dicendo che un altare ha lasciato il posto a un altro altare, una spada a un'altra, un fuoco a un altro, una vittima a un'altra, un sangue a un altro. Poiché in tutte queste cose vediamo che le cose antiche di natura carnale, hanno lasciato il posto alle nuove, di natura spirituale. Sia dunque che si mangi sia che si digiuni da alcuni nella ricorrenza del settimo giorno, tuttavia deve intendersi che il sabato carnale ha lasciato il posto a quello spirituale, poiché in questo si brama il vero ed eterno riposo, mentre il riposo temporale che si osserva in quell'altro è ormai rigettato come superstizioso.
Il digiuno è comandato nel Nuovo Testamento.
11. 25. Tutti gli altri argomenti con cui costui conclude la sua dissertazione, come pure alcuni altri punti che non ho ritenuto opportuno ricordare, sono molto meno attinenti alla questione se il sabato si debba digiunare o mangiare. Io li lascio considerare e giudicare da te stesso soprattutto se trovi un qualche aiuto in ciò che ho detto. Credo di aver risposto a costui sufficientemente pur nei limiti delle mie possibilità: se quindi chiedi la mia opinione su questo argomento, io ripercorrendo la questione con l'animo vedo che il digiuno è comandato nei sacri testi del Vangelo e degli Apostoli e in tutto l'insegnamento divino che si chiama il Nuovo Testamento, ma non trovo fissato con un precetto del Signore o degli Apostoli in quali giorni si debba o non si debba digiunare. Penso quindi che sia più conveniente essere larghi che stretti in fatto di digiuno, non già per ottenere, ma per esprimere simbolicamente il riposo eterno, in cui consiste il vero sabato e che si ottiene con la fede e la virtù, in cui sta la bellezza interiore della figlia del re 52.
Digiuno e doveri di carità verso gli altri.
11. 26. Però, si digiuni o si mangi di sabato, l'avvertimento che mi pare più sicuro e più rasserenante è il seguente: chi mangia non disprezzi colui che non mangia e chi non mangia non si faccia giudice di chi mangia 53, perché non trarremo alcun profitto se mangeremo, né patiremo alcun scapito se non mangeremo 54: in tal modo non daremo scandalo a coloro tra i quali e coi quali viviamo uniti a Dio, ma rimarremo anzi in buona armonia con essi. Poiché, com'è vero quanto afferma l'Apostolo, che fa male chi mangia causando scandalo 55, così pure fa male chi digiuna causando scandalo. Badiamo quindi di non essere come quelli che, vedendo Giovanni astenersi dal mangiare e dal bere, dicevano: È posseduto dal demonio 56, ma nemmeno come quelli che, vedendo Cristo mangiare e bere, dicevano: Ecco qua un mangione e un beone, amico di pubblicani e di peccatori 57. Poiché a queste affermazioni il Signore replicò con un'affermazione molto stringente e recisa, dicendo: Alla Sapienza è stata resa giustizia dai suoi figli 58. Se poi domandi chi siano questi figli, leggi quanto sta scritto: I figli della Sapienza sono la Chiesa dei giusti 59: sono cioè quelli che, quando mangiano, non disprezzano gli altri che non mangiano e, quando non mangiano, non si fanno giudici di quelli che mangiano, ma disprezzano o giudicano quelli che non mangiano o mangiano provocando scandalo.
Errore dei Manichei riguardo al digiuno.
12. 27. Riguardo al sabato la questione è più semplice, poiché in quel giorno digiuna non solo la Chiesa di Roma, ma anche alcune altre, anche se in piccolo numero, più o meno lontane da essa. Digiunare invece di domenica è grave scandalo, soprattutto da quando è ormai ben conosciuta la detestabile eresia dei Manichei, apertamente contraria in ogni aspetto alla fede cattolica e alla Sacra Scrittura. I Manichei stabilirono per i loro uditori questo giorno come quello legittimamente prescritto per il digiuno, e per conseguenza il digiuno della domenica è reputato più abominevole. Salvo che ci sia qualcuno capace di protrarre il digiuno oltre una settimana senza prendere nel frattempo alcun ristoro in modo da avvicinarsi il più possibile al digiuno dei quaranta giorni, come sappiamo che fecero taluni. Poiché ci è stato assicurato da fratelli assai degni di fede che un tale arrivò proprio a digiunare per quaranta giorni ininterrotti. Come infatti, ai tempi degli antichi Patriarchi, Mosè ed Elia non commisero alcuna trasgressione contro il pasto del sabato allorché digiunarono per quaranta giorni, così colui che riuscirà a trascorrere sette giorni digiunando, non sceglie di propria iniziativa la domenica per digiunare, ma la incontra nei moltissimi giorni durante i quali ha fatto voto di digiunare. Tuttavia un digiuno anche continuato, se per caso deve interrompersi durante la settimana, non c'è nulla di più conveniente che interromperlo la domenica. Se però uno ristora il corpo solo dopo una settimana, non sceglie la domenica a bella posta per digiunare, ma trova quel giorno tra quelli da lui fissati per voto.
Errore dei Priscillianisti circa il digiuno.
12. 28. Non deve neppure farci impressione che i Priscillianisti, molto simili ai Manichei, per provare l'obbligo di digiunare la domenica, adducono il fatto narrato negli Atti degli Apostoli e capitato all'apostolo Paolo mentr'era a Troade. Ecco il racconto della Sacra Scrittura: Nel primo giorno, essendoci radunati a spezzare il pane, Paolo ragionava con essi, avendo intenzione di partire il giorno dopo, e protrasse il discorso fino a mezzanotte. Poi, sceso dalla stanza superiore, dov'erano adunati, per risuscitare un giovanetto che, sopraffatto dal sonno, era caduto dalla finestra e veniva trasportato morto, la Sacra Scrittura così dice dello stesso Apostolo: Poi risalito, spezzato il pane e mangiatone, avendo parlato a lungo fino all'alba, se ne partì 60. Dio ne guardi dall'intendere questo nel senso che gli Apostoli fossero soliti digiunare la domenica, poiché quello ch'era chiamato nel passato il primo giorno della settimana è ora chiamato domenica, com'è indicato più esplicitamente nei Vangeli. Infatti il giorno della risurrezione del Signore, chiamato da Matteo prima sabbati, cioè il primo giorno della settimana 61, dagli altri tre [evangelisti] è chiamato una sabbati, cioè sempre il primo giorno della settimana 62. Ora l'adunanza poté aver luogo alla fine del giorno di sabato, ossia al principio della notte appartenente già alla domenica, cioè al primo giorno della settimana: in tal caso Paolo, venuto per spezzare il pane nella stessa notte, come si spezza nel sacramento del corpo di Cristo, protrasse il suo discorso fino a mezzanotte e, dopo la celebrazione del mistero Eucaristico, riprese a parlare ai fedeli riuniti nell'assemblea fino all'alba, per poter partire allo spuntar della domenica, poiché aveva molta fretta. Forse però l'adunanza poté aver luogo il primo giorno della settimana, non già durante la notte ma durante il giorno in un'ora della domenica; in tal caso coll'espressione della S. Scrittura: Paolo ragionava con essi, essendo in procinto di partire il giorno appresso 63, fu chiaramente indicato il motivo per cui protrasse il discorso, e cioè perché doveva partire e desiderava dar loro un'istruzione sufficiente. Essi dunque non erano là per digiunare solennemente la domenica, ma Paolo non stimò opportuno interrompere, per ristorarsi, quel discorso indispensabile, che era pure ascoltato con l'ardore del più infiammato desiderio; l'Apostolo inoltre doveva partire e, per causa delle sue peregrinazioni da compiere nelle più disparate località, non avrebbe altrimenti visitato mai, o solo rarissimamente, quei fedeli; ma soprattutto, come provano i fatti avvenuti successivamente, doveva allontanarsi da quelle terre senza poterli più vedere durante la vita terrena. Da ciò si dimostra che non erano soliti digiunare la domenica, poiché per evitare che i lettori potessero pensare una simile cosa, lo scrittore sacro si preoccupò di esporre il motivo per cui fu protratto il discorso: volle così pure farci capire che, qualora sorga qualche necessità, non si deve dare al pasto la precedenza su quanto urge fare; e pertanto la brama straordinaria con cui i discepoli lo ascoltavano e il pensiero che stava per allontanarsi la sorgente stessa, facevano attingere, con ardente sete non già d'acqua ma della parola, tutto ciò che sgorgava da essa, e fecero dimenticare loro non solo il pranzo ma anche la cena corporale.
Divieto del digiuno domenicale ed eccezioni.
12. 29. Ma sebbene allora i fedeli non fossero soliti digiunare la domenica, non s'arrecava alla Chiesa uno scandalo così grave se, per qualche necessità come quella avuta dall'apostolo Paolo, non si curavano di ristorare il corpo durante tutta la domenica fino a mezzanotte o anche fino all'alba. Adesso però che gli eretici e soprattutto i più empi tra essi, i Manichei, han cominciato non solo a praticare senza alcun necessità il digiuno nelle domeniche ma pure a insegnarlo come verità religiosa e a farne un obbligo sacro, facendone propaganda tra i Cristiani, io penso che nemmeno per una necessità simile a quella capitata a Paolo si deve imitare il suo modo di fare in quell'occasione, per non incorrere con lo scandalo in un male più grande dei bene che si può ricavare dalla predicazione. Qualunque però sia la causa per cui il cristiano è costretto a digiunare di domenica, come quella narrata negli Atti degli Apostoli 64, durante i quattordici giorni di navigazione con pericolo di naufragio (nei quali pertanto si digiunò due domeniche), non dobbiamo avere il minimo dubbio che non si deve annoverare tra i giorni di digiuno la domenica, a meno che non si faccia voto di continuare a stare per più giorni senza mangiare.
Origine del digiuno del mercoledì e del venerdì.
13. 30. Perché poi la Chiesa pratichi il digiuno il mercoledì e soprattutto il venerdì, sembra che si possa spiegare col fatto che, esaminando attentamente il Vangelo, si trova che i Giudei presero la decisione d'uccidere il Signore proprio il quarto giorno della settimana detto comunemente feria quarta [cioè mercoledì] 65. Il Signore poi mangiò la Pasqua coi discepoli la sera del giorno seguente, ossia al termine del giorno chiamato da noi il quinto giorno della settimana [cioè giovedì]. Egli poi fu tradito nella notte che faceva già parte del sesto giorno della settimana [cioè venerdì], ossia - com'è chiaro - del giorno della sua passione. Questo giorno, a cominciar dalla sera, era il primo giorno degli azzimi. Ma l'evangelista Matteo dice che il primo giorno degli azzimi fu il quinto giorno della settimana [= il giovedì] poiché nella sera che sopravveniva quello stesso giorno ci sarebbe stata la cena pasquale, con cui si cominciava a mangiare il pane azzimo e l'agnello immolato. Da ciò si comprende ch'era il quarto giorno della settimana, allorché il Signore disse: Voi sapete che fra due giorni sarà la Pasqua e il Figlio dell'uomo sarà consegnato per esser crocifisso 66; ecco perché lo stesso giorno fu consacrato al digiuno, poiché, come l'Evangelista prosegue: Allora si radunarono i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo nella casa del sommo sacerdote, detto Caifa, e tennero consiglio per prendere Gesù con inganno e ucciderlo 67. Trascorso poi il giorno seguente, a proposito del quale l'Evangelista narra: Il primo giorno degli azzimi i discepoli s'avvicinarono a Gesù per domandargli: Dove vuoi che ti prepariamo da mangiare la pasqua? 68, trascorso - ripeto - questo giorno, il Signore patì la sua passione nel sesto giorno della settimana [= venerdì] come nessuno mette in dubbio; perciò il medesimo sesto giorno è consacrato giustamente al digiuno, poiché i digiuni esprimono l'umiliazione conforme a quanto dice la Sacra Scrittura: E umiliavo nel digiuno l'anima mia 69.
Perché il digiuno del sabato.
13. 31. Segue il sabato, in cui il corpo di Cristo riposò nel sepolcro come nella creazione del mondo Dio si riposò da tutte le sue opere 70 in quel giorno. Di qui ha avuto origine questa varietà di colori nella veste della regina, per cui alcuni popoli, soprattutto dell'Oriente, preferiscono interrompere il digiuno per indicare il riposo, altri invece preferiscono digiunare per indicare l'umiliazione della morte del Signore, come la Chiesa di Roma e alcune altre dell'Occidente. Per la verità unicamente durante le celebrazioni pasquali, per rinnovare il ricordo dell'avvenimento, in cui i discepoli si rattristarono come uomini per la morte del Signore, si digiuna da tutti in uno stesso giorno [appunto il sabato], per cui praticano con grandissimo spirito di pietà il digiuno del sabato anche quelli che in tutti gli altri sabati dell'intero anno non si astengono dai pasti: in tal modo vengono a indicare entrambi gli avvenimenti, cioè nell'unico anniversario della morte di Cristo il lutto dei discepoli e in tutti gli altri sabati il pregio del riposo. In realtà due sono le cose che c'inducono a sperare la felicità dei giusti e il termine d'ogni miseria: la morte e la risurrezione dei morti. Nella morte infatti c'è il riposo, di cui la Sacra Scrittura dice per mezzo del Profeta: Entra, o mio popolo, nelle tue stanze e nasconditi un po' fin tanto che passi l'ira del Signore 71. Nella risurrezione invece ci sarà la perfetta felicità dell'uomo nella sua integrità, cioè nel corpo e nello spirito. Di qui è avvenuto che si pensò che non si dovessero indicare ambedue queste realtà con la sofferenza del digiuno ma piuttosto con la gioia della refezione, eccetto nel sabato di Pasqua, in cui, come abbiam detto, mediante un digiuno più prolungato doveva indicarsi il lutto dei discepoli a ricordo dell'avvenimento.
Risposta di S. Ambrogio circa la pratica del digiuno.
14. 32. Ma, come più sopra ho ricordato, nei Vangeli e negli scritti degli Apostoli, che fanno precisamente parte del Nuovo Testamento, non troviamo prescritto in quali determinati giorni si debba osservare il digiuno; perciò anche questa pratica trova il suo posto nella varietà di colori della veste della figlia del re, cioè della Chiesa, come pure moltissime altre che sarebbe troppo difficile enumerare; per questo motivo ti voglio narrare che cosa il venerato vescovo di Milano, Ambrogio, da cui sono stato battezzato, mi rispose quando gli rivolsi una domanda su questa faccenda. Si trovava con me nella stessa città mia madre e siccome io, ancora catecumeno, non mi davo molto pensiero per queste cose, essa era preoccupata se dovesse digiunare il sabato secondo l'usanza della nostra città o mangiare secondo l'usanza della Chiesa Milanese. Per liberarla da quello stato d'ansia, interrogai in proposito il suddetto uomo di Dio. "Cosa potrei insegnare agli altri - rispose - più di quanto io stesso faccio"? Io pensavo che con questa risposta egli non aveva espresso nessun altro obbligo, tranne quello di mangiare il sabato, come sapevo ch'egli soleva fare. Ma egli soggiunse dicendo: "Quando son qui, di sabato non digiuno; quando invece sono a Roma, digiuno di sabato; e in qualunque Chiesa capiterete - disse - osservatene l'usanza, se non volete subire o provocare uno scandalo". Riferii a mia madre la risposta: ne rimase soddisfatta e non esitò ad ubbidire; io pure presi a seguire quella norma. Ma siccome capita, soprattutto in Africa, che una stessa Chiesa o Chiese di una stessa regione abbiano fedeli che il sabato mangiano e altri che digiunano, mi pare sia da seguirsi l'usanza dei vescovi ai quali è affidato il governo dei medesimi fedeli. Se perciò vuoi acconsentire al mio consiglio relativo alla presente questione (sulla quale ho parlato forse più di quanto era sufficiente), non contrastare il tuo vescovo in questa materia e seguine, senza scrupoli e senza discussioni, l'esempio pratico.
1 - Lc 21, 34.
2 - Rm 8, 8.
3 - Fil 3, 19.
4 - Gal 4, 31.
5 - Rm 8, 5.
6 - Col 1, 6.
7 - Mt 12, 8 12.
8 - Mt 9, 15.
9 - Sir 3, 4.
10 - Gn 2, 2.
11 - Dt 5, 12-15.
12 - Col 2, 17.
13 - Nm 15, 35.
14 - Mt 9, 15.
15 - Mt 12, 1.
16 - Lc 18, 11 s.
17 - Mt 5, 21.
18 - Is 1, 4 10.
19 - Sal 106, 9.
20 - Sal 106, 9; Ger 31, 25.
21 - Gn 2, 17; 3, 6.
22 - Gn 25, 29-34.
23 - Es 24, 18.
24 - Mt 4, 2; Lc 4, 2.
25 - Es 32, 1-8 28.
26 - 1 Cor 10, 8.
27 - Es 32, 6; 1 Cor 10, 7.
28 - Ef 5, 18.
29 - 1 Re 19, 8; 2 Re 2, 11.
30 - Dn 6, 17-23.
31 - Dn 14, 32-38: portatogli dal profeta Habacuc.
32 - Rm 14, 17.
33 - Rm 14, 17.
34 - Rm 14, 15 s.
35 - Tb 12, 8.
36 - Sal 49, 14.
37 - Is 5, 20.
38 - Col 2, 16.
39 - Rm 14, 3.
40 - Sal 24, 15.
41 - 1 Cor 10, 31 s.
42 - Sal 44, 14 s.
43 - Mt 6, 24.
44 - Lc 6, 5.
45 - 2 Cor 5, 17.
46 - Es 40, 24.
47 - Ap 6, 9 s.
48 - Ef 6, 17; Eb 4, 12.
49 - Lc 12, 49.
50 - Es 25, 30: erano i 12 pani posti davanti al tabernacolo del tempio e rinnovati ogni settimana.
51 - Cf. 1 Pt 1, 19; Mt 26, 26-28; Mc 14, 22-24; Lc 22, 17-20; 1 Cor 11, 23-25.
52 - Sal 44, 14.
53 - Rm 14, 3.
54 - 1 Cor 8, 8.
55 - Rm 14, 20.
56 - Mt 11, 18 s; Lc 7, 33-35.
57 - Ibid.
58 - Mt 11, 19; Lc 7, 35.
59 - Qo 3, 1.
60 - At 20, 7.
61 - Mt 18, 1 (prima sabbati).
62 - Mc 16, 2; Lc 24, 1; Gv 20, 1.
63 - At 20, 7.
64 - At 27, 33.
65 - Mc 14, 1; Mt 26, 1-5; Lc 22, 1-2.
66 - Mt 26, 2.
67 - Mt 26, 31.
68 - Mt 26, 17.
69 - Sal 34, 13.
70 - Gn 2, 2 s.
71 - Is 26, 20.
13 - Si spiega lo stato in cui Maria santissima restò dopo l'incarnazione del Verbo nel suo grembo verginale
La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca158. Quanto più vado scoprendo i divini effetti e le qualità che risultarono nella Regina del cielo dopo che ebbe concepito il Verbo eterno, tanto maggiori difficoltà mi si presentano per la continuazione di quest'Opera. Mi trovo sommersa in alti e profondi misteri e sfornita di termini adeguati per esprimere ciò che di essi intendo. Eppure, la mia anima sente una tale soavità e dolcezza in questo stesso limite che non mi lascia pentire di quanto ho intrapreso. Inoltre, l'ubbidienza mi spinge, anzi mi costringe, a superare ciò che per un animo debole e di donna sarebbe assai duro, se mi mancassero la sicurezza e la forza di questo appoggio. E ciò tanto più in questo capitolo per scrivere il quale mi sono state mostrate le doti di gloria che godono in cielo i beati, con l'esempio dei quali manifesterò ciò che intendo circa lo stato della beatissima imperatrice Maria dopo che fu divenuta madre di Dio.
159. Due cose considero per il mio intento nei beati, l'una da parte loro e l'altra da parte di Dio. Da parte del Signore vi è la divinità chiara e manifesta con tutte le sue perfezioni e con tutti i suoi attributi, che si denomina oggetto beatifico, gloria, felicità oggettiva ed ultimo fine, dove termina e riposa ogni creatura. Da parte dei santi, poi, si trovano le attività beatifiche della visione e dell'amore ed altre che le seguono in quello stato felicissimo che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo. Tra i doni e gli effetti di questa gloria dei santi, ve ne sono alcuni che si chiamano doti. Sono dati loro, come alla sposa, per il matrimonio spirituale che devono consumare nel godimento dell'eterna felicità. Come la sposa temporale acquista la proprietà della sua dote, mentre l'usufrutto ne è comune a lei ed allo sposo, così anche nella gloria queste doti vengono date ai santi come loro proprie, mentre l'uso ne è comune a Dio, in quanto si glorifica nei suoi santi, ed a loro, in quanto godono di questi stessi ineffabili doni che, secondo i meriti e la dignità di ciascuno, sono più o meno eccellenti. Queste doti, però, non le ricevono se non i santi che sono della natura dello sposo, Cristo nostro bene. Tali sono gli uomini e non gli angeli, perché il Verbo incarnato non celebrò le nozze con gli angeli, ma con la natura umana, unendosi ad essa in quel grande mistero di cui parlò l'Apostolo, in Cristo e nella Chiesa. E poiché lo sposo Cristo, in quanto uomo, è formato come tutti gli altri da anima e corpo e tutto si deve glorificare alla sua presenza, le doti di gloria appartengono all'anima ed al corpo. Tre spettano all'anima e si denominano visione, comprensione e fruizione; e quattro al corpo, cioè chiarezza, impassibilità, sottigliezza ed agilità. Questi propriamente sono effetti della gloria che l'anima possiede.
160. Di tutte queste doti la nostra regina Maria ebbe qualche partecipazione in questa vita, specialmente dopo l'incarnazione del Verbo eterno nel suo grembo verginale. È vero che ai beati le doti sono date, come a comprensori, in pegno e caparra dell'eterna felicità che non può essere persa e come conferma di quello stato che non si deve mai più mutare, per cui non sono concesse ai viatori; tuttavia, furono in qualche modo accordate a Maria santissima, non come a comprensora, ma come a viatrice, non stabilmente, ma come a tratti e di passaggio, e con la differenza che diremo. Perché, poi, s'intenda meglio la convenienza di questo raro beneficio elargito alla celeste Regina, si consideri ciò che si è detto nel capitolo settimo e negli altri sino a quello sull'incarnazione; in essi si spiegano la disposizione e lo sposalizio con cui l'Altissimo preparò la sua Madre santissima per sublimarla a questa dignità. Tale matrimonio spirituale per questa Signora si consumò in qualche modo nel giorno in cui il Verbo divino prese carne umana nel suo grembo verginale mediante quella tanto eccellente e sublime visione beatifica che le venne concessa, come si è detto, mentre per tutti gli altri fedeli avviene come semplice sposalizio, che sarà consumato a suo tempo nella patria celeste.
161. La nostra grande Regina e signora aveva un'altra qualità per godere di questi privilegi, cioè quella di essere esente da ogni colpa sia attuale sia originale e confermata in grazia con l'incapacità di peccare. Poteva così celebrare questo matrimonio a nome della Chiesa militante ed impegnare, in sé, tutti, affinché nello stesso momento in cui divenne Madre del Riparatore, per i meriti previsti di lui, con quella gloria e visione transeunte di Dio divenisse garante che il medesimo premio non sarebbe stato negato ad alcuno dei figli di Adamo, se si fossero disposti a meritarlo con la grazia del loro redentore. Era inoltre motivo di molto compiacimento per il Verbo incarnato che subito il suo ardentissimo amore ed i suoi meriti infiniti fossero goduti da colei che era allo stesso tempo sua madre, sua prima sposa e talamo della divinità e che il premio accompagnasse il merito dove non si trovava impedimento. Con questi privilegi e favori che Cristo nostro bene faceva alla sua Madre santissima, soddisfaceva e saziava in parte l'amore che portava a lei e, con lei, a tutti i mortali. Per l'amore divino, infatti, era un indugio troppo lungo aspettare trentatré anni per manifestarsi alla Madre. E sebbene altre volte le avesse fatto questo beneficio, in questa occasione dell'incarnazione ciò avvenne con differenti condizioni, come ad imitazione ed in corrispondenza della gloria che ricevette l'anima santissima di suo Figlio, anche se non stabilmente, ma di passaggio in quanto era compatibile con lo stato comune di viatrice.
162. Conforme a questo, nel giorno in cui Maria santissima divenne realmente madre del Verbo eterno concependolo nel suo grembo, Dio, nello sposalizio che celebrò con la nostra natura, ci donò il diritto alla redenzione; nella consumazione di questo matrimonio spirituale, poi, beatificando la sua madre santissima e dandole le doti della gloria, promise a noi lo stesso come premio dei nostri me-riti, in virtù di quelli del suo Figlio santissimo nostro redentore. Nel beneficio fattole in questo giorno, il Signore innalzò sua Madre sopra la gloria di tutti i santi in maniera tale che tutti gli angeli e gli uomini non poterono giungere nel più alto grado della loro visione e del loro amore beatifico a quello che ebbe questa purissima signora. Lo stesso fu delle doti che ridondano dalla gloria dell'anima al corpo, perché tutto corrispondeva all'innocenza, alla santità ed ai meriti che aveva; e questi corrispondevano alla suprema dignità fra le creature, cioè a quella di madre del suo Creatore.
163. Per venire alle doti in particolare, la prima tra quelle dell'anima è la chiara visione beatifica, che corrisponde alla conoscenza oscura della fede nei viatori. Questa visione fu accordata a Maria santissima quelle volte ed in quei gradi che ho sopra spiegato e che dirò in seguito. Oltre a questa visione intuitiva ne ebbe molte altre astrattive della Divinità. Sebbene tutte avvenissero di passaggio, le loro immagini restavano nel suo intelletto così chiare, benché differenti, che con esse godeva di una conoscenza e luce di Dio tanto sublime da non trovare termini per spiegarla, perché in ciò questa Signora fu singolare tra le creature; in tal modo, l'effetto di questa dote rimaneva in lei compatibile con lo stato di viatrice. Quando, poi, talvolta il Signore le si nascondeva, sospendendo queste immagini per suoi alti fini, ella ricorreva alla sola fede infusa, che in lei era oltremodo eccellente ed efficace. Così, in un modo o nell'altro, non perse mai di vista quell'oggetto divino e sommo bene, né allontanò da lui gli occhi dell'anima per un solo istante. Nei nove mesi durante i quali portò nel suo grembo il Verbo incarnato, però, godette in misura molto maggiore della visione e dei regali di Dio.
164. La seconda dote è detta comprensione o possesso; consiste nell'avere ottenuto il fine corrispondente alla speranza, per mezzo della quale lo cerchiamo per giungere a possederlo senza possibilità di perderlo. Maria santissima ebbe questa dote nei modi che corrispondono alle visioni riferite, perché, come vedeva Dio, così lo possedeva. Quando, poi, restava nella fede sola e dura, era in lei la speranza più ferma e sicura che mai non sia stata o sarà in alcun'altra semplice creatura, come anche era maggiore la sua fede. Inoltre, poiché la fermezza del possesso si fonda molto, da parte della creatura, sulla santità e sul non poter peccare, la nostra purissima Signora veniva ad essere tanto privilegiata che la sua sicurezza nel possedere Dio poteva competere in qualche modo, mentre era viatrice, con quella dei beati. Per l'impeccabile santità aveva la sicurezza di non potere mai perdere Dio, sebbene la causa di questa certezza in lei che era viatrice non fosse la medesima che in loro che sono gloriosi. Nei mesi della sua gravidanza ebbe questo possesso di Dio mediante diverse grazie speciali con cui l'Altissimo le si manifestava e si univa alla sua anima purissima.
165. La terza dote è la fruizione e corrisponde alla carità, che non si perde, ma si perfeziona nella gloria; essa, infatti, consiste nell'amare il sommo Bene posseduto e questo lo fa la carità nella patria dei beati dove, come lo conosce e lo possiede qual è in se stesso, così pure lo ama per se stesso. Benché anche al presente, mentre siamo viatori, lo amiamo, c'è grande differenza. Adesso lo amiamo con il desiderio e lo conosciamo non come è in sé, ma come ci viene rappresentato in immagini o per mezzo di enigmi; questo non porta a perfezione il nostro amore, né ci acquieta, né ci dona la pienezza del godimento, anche se ne abbiamo molto nell'amarlo. Quando, invece, lo vedremo così come egli è 7 in se stesso e non più per mezzo di enigmi, lo ameremo come deve essere amato e quanto possiamo amarlo, ed egli perfezionerà il nostro amore rendendoci pienamente paghi nella sua fruizione, senza lasciarci altro da desiderare.
166. Maria santissima ebbe questa dote con maggiori qualità che tutte le altre, perché il suo amore ardentissimo, posto che in qualche condizione fosse inferiore a quello dei beati quando ella stava senza la visione chiara di Dio, fu però superiore ad esso in molte altre qualità, anche nello stato comune della nostra regina. Nessuno ebbe una conoscenza di Dio pari alla sua. Ella conobbe come egli doveva essere amato per se stesso, aiutata in questo dalle immagini e dalla memoria di Dio, che aveva visto e goduto in più alto grado che gli angeli. Siccome il suo amore era a misura di questa sua conoscenza di Dio, ne conseguiva che in esso doveva superare i beati in tutto ciò che non era l'immediato possesso e stare entro il limite in modo da non potere più crescere né aumentare. Per la sua profondissima umiltà, il Signore permetteva che, operando come viatrice, temesse con riverenza e si affaticasse per non disgustare il suo amato; tuttavia, questo timido amore era perfetto ed era per Dio, e causava in lei incomparabile gaudio ad esso proporzionato.
167. Quanto alle doti del corpo, che ridondano ad esso dall'anima e fanno parte della gloria accidentale dei beati, dico che servono per la perfezione dei corpi gloriosi nei sensi e nel movimento, perché assomiglino alle anime e senza l'impedimento della loro terrena materialità possano ubbidire alla volontà dei santi, che in tale stato felicissimo non può essere imperfetta né contraria a quella divina. Ai sensi sono necessarie due doti: una che li disponga a ricevere le immagini sensibili, e questo lo fa la chiarezza; l'altra che liberi il corpo dal subire le azioni o passioni nocive, e a questo serve l'impassibilità. Ne occorrono altre due per il movimento: una per vincere la resistenza o lentezza causata dal peso del corpo, e per questo gli viene concessa l'agilità; l'altra per vincere esternamente la resistenza degli altri corpi, e a questo serve la sottigliezza. Così, con queste doti i corpi gloriosi divengono chiari, incorruttibili, agili e sottili.
168. Di tutti questi privilegi fu partecipe in questa vita la nostra grande Regina e signora. La dote della chiarezza rende il corpo glorioso capace di ricevere la luce e di trasmetteila, togliendogli quella sua densa ed impura oscurità e lasciandolo trasparente più che un cristallo chiarissimo. Quando Maria santissima godeva della visione chiara e beatifica, il suo corpo verginale partecipava di questo privilegio, oltre quanto arriva a comprendere l'intelletto umano. Dopo questa visione, poi, le restava una traccia di questa chiarezza e purezza tale che sarebbe stata rara e singolare meraviglia, se si fosse potuta percepire con i sensi. Qualcosa ne appariva sul suo bellissimo viso, come si dirà più innanzi, specialmente nella terza parte, anche se non tutti la conobbero e la videro, perché il Signore la celava con un velo affinché non si comunicasse sempre nè indifferentemente. In molti effetti, però, ella stessa sentiva il privilegio di questa dote, che per gli altri era come coperto, sospeso e nascosto, e non provava come noi l'impedimento dell'opacità terrena.
169. Santa Elisabetta conobbe qualcosa di questa chiarezza, quando, vedendo Maria santissima, esclamò con ammirazione: A che debbo che la madre del mio Signore venga a me? Il mondo non era capace di conoscere questo segreto del re, né era tempo opportuno di manifestarlo. Tuttavia, aveva sempre il viso alquanto più chiaro e luminoso delle altre creature e nel resto del corpo aveva una disposizione superiore all'ordine naturale degli altri corpi, la quale causava in lei una specie di costituzione delicatissima e spiritualizzata, come se fosse stato un corpo di cristallo liscio e morbido come seta molto leggera e fine; non trovo altri esempi per farmi intendere. Non deve parere grande cosa questa nella Madre di Dio, poiché lo portava nel suo grembo e l'aveva visto tante volte, e molte faccia a faccia, mentre per la comunicazione che Mosè aveva avuto sul monte di Dio, molto inferiore a quella di Maria santissima, gli ebrei non potevano fissare su di lui lo sguardo nè sopportare il suo splendore alla sua discesa dal monte. Non vi è dubbio che, se il Signore non avesse nascosto con speciale provvidenza la luminosità della faccia e del corpo della sua purissima Madre, il mondo ne sarebbe stato illuminato più che da mille soli uniti. Nessuno dei mortali avrebbe potuto naturalmente sopportare i suoi rifulgenti splendori, poiché questi, stando ancora celati e trattenuti, tra-sparivano dal suo viso divino quanto bastava per causare in tutti quelli che la guardavano l'effetto prodotto in san Dionigi areopagita quando questi la vide.
170. L'impassibilità causa nel corpo glorioso una certa disposizione per la quale nessun agente, tranne lo stesso Dio, lo può alterare nè mutare, per quanto potente sia la sua virtù attiva. La nostra Regina partecipò di questo privilegio in due maniere: da una parte non poteva contrarre nè patire infermità o altri disturbi, dall'altra aveva un dominio assoluto sopra tutte le creature, come già si è detto, perché nessuna l'avrebbe offesa senza il suo consenso. Possiamo aggiungere una terza partecipazione dell'impassibilità, cioè l'assistenza della virtù divina corrispondente alla sua innocenza. I nostri progenitori nel paradiso, qualora avessero perseverato nella giustizia originale, non avrebbero patito morte violenta ed avrebbero goduto di questo privilegio non per virtù intrinseca, perché se li avesse feriti una lancia sarebbero potuti morire, ma per l'assistenza del Signore che li avrebbe custoditi affinché non fossero feriti; a maggior ragione questa protezione era dovuta all'innocenza della sovrana Maria. Così, ella ne godeva come signora, mentre i nostri progenitori ne avrebbero goduto come servi e vassalli, e allo stesso modo i loro discendenti.
171. La nostra umile Regina non fece uso di questi privilegi, perché vi rinunciò per imitare il suo Figlio santissimo e per accrescere i propri meriti e cooperare alla nostra redenzione; per tutto questo volle patire e patì più dei martiri. Con giudizio umano non si può ponderare quante furono le sue tribolazioni, delle quali parleremo in tutta questa divina Storia, lasciando molto più di quello che sarebbe da dire, perché i termini umani sono inadeguati. Segnalo, piuttosto, due cose. L'una è che la sofferenza della nostra Regina non aveva relazione con delle colpe, perché in lei non ve ne erano; così, pativa senza quell'amarezza e quell'asprezza che si trova nelle pene che patiamo ricordando i nostri peccati, come capita a coloro che li hanno commessi. L'altra è che Maria santissima fu confortata divinamente in misura proporzionata al suo ardentissimo amore, perché altrimenti non avrebbe potuto resistere naturalmente nel soffrire tanto quanto richiedeva il suo amore e quanto, per il medesimo amore, l'Altissimo le concedeva.
172. La sottigliezza è un privilegio che separa dal corpo glorioso la densità, cioè quell'impedimento che ha a compenetrarsi con un altro corpo simile ed a stare con esso in un medesimo luogo. Così, il corpo del beato rimane con qualità di spirito, poiché può senza difficoltà penetrare un altro corpo e collocarsi nello stesso luogo senza dividerlo né separarlo, come fece il corpo di Cristo Signore nostro uscendo dal sepolcro ed entrando dove stavano gli Apostoli, a porte chiuse, attraverso i corpi che chiudevano quei luoghi. Maria santissima partecipò di questa dote non solo mentre godeva delle visioni beatifiche, ma anche dopo, usandola molte volte secondo la sua volontà. Ciò avvenne in alcune apparizioni che fece corporalmente durante la sua vita, come in seguito diremo, perché in tutte queste si servì della sottigliezza penetrando altri corpi.
173. L'ultima dote, l'agilità, dà al corpo glorioso virtù così potente per muoversi da un luogo ad un altro che senza l'impedimento della gravità terrestre si porterà istantaneamente in luoghi differenti, come gli spiriti, i quali non hanno corpo e si spostano per la loro stessa volontà. Maria santissima ebbe un'ammirabile e continua partecipazione di questa agilità, che le derivò specialmente dalle visioni divine, poiché non sentiva come gli altri nel suo corpo la gravità terrestre e così camminava senza la lentezza loro propria ed avrebbe potuto senza difficoltà muoversi molto velocemente senza provare spossatezza o fatica. Tutto questo proveniva dallo stato e dalle qualità del suo corpo tanto spiritualizzato e ben formato. Durante i nove mesi della sua gravidanza, poi, senù meno il peso del corpo, anche se, per patire quanto conveniva, lasciava che i disturbi operassero in lei e l'affaticassero. Aveva tutti questi privilegi e ne usava in modo tanto ammirabile e perfetto che mi trovo senza parole per spiegare ciò che mi è stato manifestato, essendo molto più di quanto ho detto e posso dire.
174. Regina del cielo e signora mia, quando vi siete degnata di adottarmi come figlia, vi siete impegnata ad essere mia guida e maestra. Con questa fede, ardisco esporvi un mio dubbio. Come avvenne, o Madre e signora mia, che la vostra anima santissima, essendo giunta a vedere e godere Dio, quando sua Maestà altissima così dispose, tuttavia non restò sempre beata? Come, poi, non diciamo che sempre lo foste, dal momento che non vi era in voi colpa alcuna nè altro ostacolo ad esserlo, secondo la luce che della vostra eccellente dignità e santità mi è stata data?
Risposta e insegnamento della nostra Regina e signora
175. Figlia mia carissima, questo tuo dubbio nasce dall'amore che mi porti, come viene dalla tua ignoranza la relativa domanda. Considera, dunque, che la durata eterna è una caratteristica della beatitudine destinata ai santi, perché questa vuole essere piena e, se durasse solo per qualche tempo, non potrebbe essere somma e perfetta. Neppure è compatibile per legge comune ed ordinaria che la creatura sia gloriosa e soggetta a patire, benché non abbia peccati. Se per il mio Figlio santissimo non si segui questa norma, ciò fu perché, essendo egli uomo e Dio vero, la sua anima santissima unita ipostaticamente alla Divinità non doveva essere priva della visione beatifica e, essendo nel tempo stesso redentore del genere umano, non avrebbe potuto patire nè pagare il debito del peccato - che è la pena - se non fosse stato passibile nel corpo. Io, invece, ero semplice creatura e non dovevo godere sempre della visione dovuta a chi era Dio. Neppure mi potevo chiamare sempre beata, perché lo ero solo di passaggio. Stando così le cose, era ben disposto che io patissi in certi tempi e godessi in altri e che fosse più continuo il patire e l'accrescere i miei meriti che non quel modo di godere, perché ero viatrice e non beata.
176. Con giusta legge l'Altissimo dispose che le condizioni della vita eterna non fossero godute in quella mortale, che il giungere all'immortalità si ottenesse passando per la morte corporale e che venissero prima i meriti nello stato passibile, quale è quello della vita presente degli uomini. Sebbene la morte in tutti i figli di Adamo fosse salario e castigo del peccato e io non avessi niente a che fare con essa né con gli altri effetti e castighi del peccato, l'Altissimo ordinò che anche io entrassi nella vita e felicità eterna per mezzo della morte corporale, come fece il mio Figlio santissimo. In questo, infatti, non avevo alcuno svantaggio ed era piuttosto molto conveniente per me seguire il cammino battuto da tutti ed acquistare grandi frutti di meriti e di gloria per mezzo del soffrire e del morire. Ciò fu vantaggioso anche per gli uomini, affinché conoscessero che il mio Figlio santissimo ed io sua Madre eravamo di vera natura umana come gli altri, vedendo che eravamo mortali come loro. Con questa conoscenza veniva ad essere più efficace l'esempio che lasciavamo agli uomini, affinché imitassero nella loro carne passibile le opere che nella nostra noi avevamo fatto; ciò risultava a maggiore gloria ed esaltazione del mio figlio e Signore e mia. Tutto questo sarebbe riuscito vano in molta parte, se fossero state continue in me le visioni di Dio. Però, dopo che ebbi concepito il Verbo eterno, furono più frequenti e maggiori i benefici ed i favori elargitimi come a colei che lo aveva più suo e più vicino. Questa è la risposta ai tuoi dubbi. Tuttavia, per quanto tu abbia compreso e faticato per manifestare i privilegi che io godetti nella vita mortale, non sarà possibile che tu penetri tutto quello che in me operava il braccio onnipotente dell'Altissimo. Molto meno, poi, di quello che tu intendi potrai spiegare con parole.
177. Fai bene attenzione, ora, a ciò che deriva da quello che ti ho insegnato nei capitoli precedenti. Io fui per te esempio nel ricevere la venuta di Dio con la riverenza, il culto, l'umiltà, la gratitudine e l'amore che gli sono dovuti; ne consegue che, se mi imiterai, l'Altissimo verrà anche a te per comunicarti ed operare effetti divini, benché inferiori e meno efficaci. Lo stesso vale per le altre anime. Se, infatti, la creatura appena ha l'uso della ragione cominciasse a camminare verso il Signore, come deve, indirizzando i suoi passi sul diritto sentiero della salvezza e della vita, è certo che sua Maestà altissima, che tanto ama le sue creature, le andrebbe incontro anticipando i suoi favori e la sua comunicazione, perché a lui pare molto lungo aspettare fino alla fine del loro pellegrinaggio per manifestarsi ai suoi amici.
178. Da questo nasce che, per mezzo della fede, della speranza, della carità e dell'uso dei sacramenti degnamente ricevuti, vengono comunicati alle anime molti effetti divini, che la sua benignità dispensa loro: alcuni mediante la grazia comune ed altri mediante un ordine più soprannaturale e straordinario, ciascuno più o meno, conforme alla loro disposizione ed ai fini del Signore, che non si conoscono tanto presto. Se le anime non mettessero ostacolo, l'amore divino sarebbe anche con tutte loro tanto liberale quanto lo è con alcune che si dispongono, alle quali dà maggiore luce e conoscenza del suo essere immutabile, trasformandole in se stesso con un influsso divino e dolcissimo e comunicando loro molti effetti della beatitudine. Egli, infatti, si lascia possedere e godere con quel misterioso amplesso che provò la sposa quando, avendolo trovato, disse: Lo strinsi fortemente e non lo lascerò. Di questa presenza e di questo possesso il Signore dà all'anima molti pegni, affinché lo possieda in amore quieto come i santi, benché per un tempo limitato. Tanto liberale è Dio, nostro padrone e Signore, nel rimunerare l'amore e le sofferenze che la creatura sopporta per vincolarlo a sé, trattenerlo e non perderlo!
179. Per questa violenza soave dell'amore la creatura languisce e muore a tutto ciò che è terreno; così, tale amore è detto forte come la morte. Da questa morte essa risuscita a nuova vita spirituale, in cui si rende capace di ricevere una rinnovata partecipazione della beatitudine e delle sue doti, perché gode più frequentemente dell'ombra e dei dolci frutti del sommo Bene, che ama. Questi arcani misteri comunicano alla parte inferiore una certa luce, che la purifica dagli effetti delle tenebre spirituali e la rende forte e come impassibile per patire quanto vi è di contrario alla natura della carne, per cui, anzi, con una sete sottilissima essa brama tutte le difficoltà e le violenze che soffre il Regno dei cieli. Resta agile e senza il peso terreno, in maniera tale che molte volte sente questo privilegio il medesimo corpo, il quale per se stesso è pesante; con questo gli divengono leggere le tribolazioni, che prima non gli parevano tali. Di tutti questi effetti, figlia mia, tu hai conoscenza ed esperienza. Se te li ho spiegati e descritti, l'ho fatto perché tu meglio ti prepari ed affatichi, comportandoti in modo tale che l'Altissimo, come agente divino ed onnipotente, ti trovi disposta e senza resistenza nè ostacolo, per operare in te la sua volontà.
4-140 Agosto 2, 1902 Gesù in tutto il corso della sua vita, rifaceva per tutti in generale, e per ciascuno distintamente.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Questa mattina, il mio adorabile Gesù dopo avermi fatto molto stentare, tutto all’improvviso è venuto spandendo raggi di luce, ed io sono stato investita da quella luce, e non so come mi sono trovata dentro di Gesù Cristo. Chi può dire quante cose comprendevo dentro di quella Umanità Santissima? Solo so dire che la Divinità dirigeva in tutto l’Umanità; e siccome la Divinità in un medesimo istante può fare tanti atti quanti ciascuno di noi può farne in tutto il periodo della vita, e quanti atti vuol farne, ora, essendo che nell’Umanità di Gesù Cristo operava la Divinità, comprendevo con chiarezza che Gesù benedetto in tutto il corso della vita rifaceva per tutti in generale, e per ciascuno distintamente tutto ciò che ognuno è obbligato di fare verso Dio, in modo che adorava Iddio per ciascuno in particolare, ringraziava, riparava, glorificava per ciascuno, lodava, soffriva, pregava per ciascuno, onde comprendevo che tutto ciò che ciascuno deve fare, è stato già fatto prima nel cuore di Gesù Cristo.