Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 26° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 8
1In quei giorni, essendoci di nuovo molta folla che non aveva da mangiare, chiamò a sé i discepoli e disse loro:2"Sento compassione di questa folla, perché già da tre giorni mi stanno dietro e non hanno da mangiare.3Se li rimando digiuni alle proprie case, verranno meno per via; e alcuni di loro vengono di lontano".4Gli risposero i discepoli: "E come si potrebbe sfamarli di pane qui, in un deserto?".5E domandò loro: "Quanti pani avete?". Gli dissero: "Sette".6Gesù ordinò alla folla di sedersi per terra. Presi allora quei sette pani, rese grazie, li spezzò e li diede ai discepoli perché li distribuissero; ed essi li distribuirono alla folla.7Avevano anche pochi pesciolini; dopo aver pronunziata la benedizione su di essi, disse di distribuire anche quelli.8Così essi mangiarono e si saziarono; e portarono via sette sporte di pezzi avanzati.9Erano circa quattromila. E li congedò.
10Salì poi sulla barca con i suoi discepoli e andò dalle parti di Dalmanùta.
11Allora vennero i farisei e incominciarono a discutere con lui, chiedendogli un segno dal cielo, per metterlo alla prova.12Ma egli, traendo un profondo sospiro, disse: "Perché questa generazione chiede un segno? In verità vi dico: non sarà dato alcun segno a questa generazione".13E lasciatili, risalì sulla barca e si avviò all'altra sponda.
14Ma i discepoli avevano dimenticato di prendere dei pani e non avevano con sé sulla barca che un pane solo.15Allora egli li ammoniva dicendo: "Fate attenzione, guardatevi dal lievito dei farisei e dal lievito di Erode!".16E quelli dicevano fra loro: "Non abbiamo pane".17Ma Gesù, accortosi di questo, disse loro: "Perché discutete che non avete pane? Non intendete e non capite ancora? Avete il cuore indurito?18'Avete occhi e non vedete, avete orecchi e non udite'? E non vi ricordate,19quando ho spezzato i cinque pani per i cinquemila, quante ceste colme di pezzi avete portato via?". Gli dissero: "Dodici".20"E quando ho spezzato i sette pani per i quattromila, quante sporte piene di pezzi avete portato via?". Gli dissero: "Sette".21E disse loro: "Non capite ancora?".
22Giunsero a Betsàida, dove gli condussero un cieco pregandolo di toccarlo.23Allora preso il cieco per mano, lo condusse fuori del villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani e gli chiese: "Vedi qualcosa?".24Quegli, alzando gli occhi, disse: "Vedo gli uomini, poiché vedo come degli alberi che camminano".25Allora gli impose di nuovo le mani sugli occhi ed egli ci vide chiaramente e fu sanato e vedeva a distanza ogni cosa.26E lo rimandò a casa dicendo: "Non entrare nemmeno nel villaggio".
27Poi Gesù partì con i suoi discepoli verso i villaggi intorno a Cesarèa di Filippo; e per via interrogava i suoi discepoli dicendo: "Chi dice la gente che io sia?".28Ed essi gli risposero: "Giovanni il Battista, altri poi Elia e altri uno dei profeti".29Ma egli replicò: "E voi chi dite che io sia?". Pietro gli rispose: "Tu sei il Cristo".30E impose loro severamente di non parlare di lui a nessuno.
31E cominciò a insegnar loro che il Figlio dell'uomo doveva molto soffrire, ed essere riprovato dagli anziani, dai sommi sacerdoti e dagli scribi, poi venire ucciso e, dopo tre giorni, risuscitare.32Gesù faceva questo discorso apertamente. Allora Pietro lo prese in disparte, e si mise a rimproverarlo.33Ma egli, voltatosi e guardando i discepoli, rimproverò Pietro e gli disse: "Lungi da me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
34Convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua.35Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del vangelo, la salverà.36Che giova infatti all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi perde la propria anima?37E che cosa potrebbe mai dare un uomo in cambio della propria anima?38Chi si vergognerà di me e delle mie parole davanti a questa generazione adultera e peccatrice, anche il Figlio dell'uomo si vergognerà di lui, quando verrà nella gloria del Padre suo con gli angeli santi".
Secondo libro dei Maccabei 15
1Nicànore, avendo saputo che gli uomini di Giuda si trovavano nella regione della Samaria, decise di assalirli a colpo sicuro nel giorno del riposo.2Poiché i Giudei che l'avevano seguito forzatamente gli dicevano: "Assolutamente non devi ucciderli in modo così crudele e barbaro; rendi onore al giorno che è stato già onorato rivestendolo di santità da colui che tutto vede",3quell'uomo tre volte scellerato chiese se c'era in cielo un Signore che aveva comandato di celebrare il giorno del sabato.4Essi risposero: "Vi è il Signore vivente; egli è il sovrano del cielo, che ha comandato di celebrare il settimo giorno".5L'altro ribatté: "E io sono sovrano sulla terra, che comando di prendere le armi e portare a termine le disposizioni del re". Tuttavia non riuscì a mandare ad effetto il suo crudele intento.
6Nicànore, dunque, alzata la testa con tutta la superbia, aveva decretato di erigere un pubblico trofeo per la vittoria sugli uomini di Giuda.7Il Maccabeo invece era costantemente convinto e pienamente fiducioso di trovare protezione da parte del Signore.8Esortava i suoi uomini a non temere l'attacco dei pagani, ma a tener fissi in mente gli aiuti che in passato erano venuti loro dal Cielo e ad aspettare ora la vittoria che sarebbe stata loro concessa dall'Onnipotente.9Confortandoli così con le parole della legge e dei profeti e ricordando loro le lotte che avevano già condotte a termine, li rese più coraggiosi.10Avendo così stimolato i loro sentimenti, espose e denunziò la malafede dei pagani e la violazione dei giuramenti.11Dopo aver armato ciascuno di loro non tanto con la sicurezza degli scudi e delle lance quanto con il conforto delle egregie parole, li riempì di gioia, narrando loro un sogno degno di fede, anzi una vera visione.12La sua visione era questa: Onia, che era stato sommo sacerdote, uomo eccellente, modesto nel portamento, mite nel contegno, dignitoso nel proferir parole, occupato dalla fanciullezza in quanto riguardava la virtù, con le mani protese pregava per tutta la nazione giudaica.13Gli era anche apparso un personaggio che si distingueva per la canizie e la dignità ed era rivestito di una maestà meravigliosa e piena di magnificenza.14Onia disse: "Questi è l'amico dei suoi fratelli, colui che innalza molte preghiere per il popolo e per la città santa, Geremia il profeta di Dio".15E Geremia stendendo la destra consegnò a Giuda una spada d'oro, pronunciando queste parole nel porgerla:16"Prendi la spada sacra come dono da parte di Dio; con questa abbatterai i nemici".
17Esortati dalle bellissime parole di Giuda, capaci di spingere all'eroismo e di rendere virile anche l'animo dei giovani, decisero di non restare in campo, ma di intervenire coraggiosamente e decidere la sorte attaccando battaglia con tutto il coraggio, perché la città e le cose sante e il tempio erano in pericolo.18Minore era il loro timore per le donne e i figli come pure per i fratelli e i parenti, poiché la prima e principale preoccupazione era per il tempio consacrato.19Anche per quelli rimasti in città non era piccola l'angoscia, essendo tutti turbati per l'ansia del combattimento in campo aperto.20Mentre tutti erano in attesa della prova imminente e i nemici già avevano cominciato ad attaccare e l'esercito era in ordine di battaglia e gli elefanti erano piazzati in posizione opportuna e la cavalleria schierata ai lati,21il Maccabeo dopo aver osservato le moltitudini presenti e la svariata attrezzatura delle armi e la ferocia delle bestie, alzò le mani al cielo e invocò il Signore che compie prodigi, convinto che non è possibile vincere con le armi, ma che egli concede la vittoria a coloro che ne sono degni, secondo il suo giudizio.22Invocando il Signore, si esprimeva in questo modo: "Tu, Signore, inviasti il tuo angelo al tempo di Ezechia re della Giudea ed egli fece perire nel campo di Sennàcherib centottantacinquemila uomini.23Anche ora, sovrano del cielo, manda un angelo buono davanti a noi per incutere paura e tremore.24Siano atterriti dalla potenza del tuo braccio coloro che bestemmiando sono venuti qui contro il tuo santo tempio". Con queste parole egli terminò.
25Gli uomini di Nicànore avanzavano al suono delle trombe e degli inni di guerra.26Invece gli uomini di Giuda con invocazioni e preghiere si gettarono nella mischia contro i nemici.27In tal modo combattendo con le mani e pregando Dio con il cuore, travolsero non meno di trentacinquemila uomini, rallegrandosi grandemente per la manifesta presenza di Dio.28Terminata la battaglia, mentre facevano ritorno pieni di gioia, riconobbero Nicànore caduto con tutte le sue armi.29Levarono alte grida dandosi all'entusiasmo, mentre benedicevano l'Onnipotente nella lingua paterna.30Quindi colui che era stato sempre il primo a combattere per i suoi concittadini con anima e corpo, colui che aveva conservato l'affetto della prima età verso i suoi connazionali, comandò che tagliassero la testa di Nicànore e la sua mano con il braccio e li portassero a Gerusalemme.31Quando vi giunse, chiamò a raccolta tutti i connazionali e i sacerdoti davanti all'altare: sostando in mezzo a loro mandò a chiamare quelli dell'Acra32e mostrò loro la testa dell'empio Nicànore e la mano che quel bestemmiatore aveva steso contro la sacra dimora dell'Onnipotente pronunciando parole orgogliose.33Tagliata poi la lingua del sacrilego Nicànore, la fece gettare a pezzi agli uccelli e ordinò di appendere davanti al tempio la mercede della sua follia.
34Tutti allora, rivolti verso il cielo, benedissero il Signore glorioso dicendo: "Benedetto colui che ha conservato la sua dimora inviolata".35Fece poi appendere la testa di Nicànore all'Acra alla vista di tutti, perché fosse segno manifesto dell'aiuto di Dio.36Quindi decretarono unanimemente con voto pubblico di non lasciar passare inosservato quel giorno, ma di commemorarlo il tredici del decimosecondo mese - che in lingua siriaca si chiama Adar - il giorno precedente la festa di Mardocheo.
37Così andarono le cose riguardo a Nicànore e, poiché da quel tempo la città è rimasta in mano agli Ebrei, anch'io chiudo qui la mia narrazione.38Se la disposizione dei fatti è riuscita scritta bene e ben composta, era quello che volevo; se invece è riuscita di poco valore e mediocre, questo solo ho potuto fare.39Come il bere solo vino e anche il bere solo acqua è dannoso e viceversa come il vino mescolato con acqua è amabile e procura un delizioso piacere, così l'arte di ben disporre l'argomento delizia gli orecchi di coloro a cui capita di leggere la composizione. E qui sia la fine.
Siracide 9
1Non essere geloso della sposa amata,
per non inculcarle malizia a tuo danno.
2Non dare l'anima tua alla tua donna,
sì che essa s'imponga sulla tua forza.
3Non incontrarti con una donna cortigiana,
che non abbia a cadere nei suoi lacci.
4Non frequentare una cantante,
per non esser preso dalle sue moine.
5Non fissare il tuo sguardo su una vergine,
per non essere coinvolto nei suoi castighi.
6Non dare l'anima tua alle prostitute,
per non perderci il patrimonio.
7Non curiosare nelle vie della città,
non aggirarti nei suoi luoghi solitari.
8Distogli l'occhio da una donna bella,
non fissare una bellezza che non ti appartiene.
Per la bellezza di una donna molti sono periti;
per essa l'amore brucia come fuoco.
9Non sederti mai accanto a una donna sposata,
non frequentarla per bere insieme con lei
perché il tuo cuore non si innamori di lei
e per la tua passione tu non scivoli nella rovina.
10Non abbandonare un vecchio amico,
perché quello recente non è uguale a lui.
Vino nuovo, amico nuovo;
quando sarà invecchiato, lo berrai con piacere.
11Non invidiare la gloria del peccatore,
perché non sai quale sarà la sua fine.
12Non compiacerti del benessere degli empi,
ricòrdati che non giungeranno agli inferi impuniti.
13Tieniti lontano dall'uomo che ha il potere di uccidere
e non sperimenterai il timore della morte.
Se l'avvicini, sta' attento a non sbagliare
perché egli non ti tolga la vita;
sappi che cammini in mezzo ai lacci
e ti muovi sull'orlo delle mura cittadine.
14Rispondi come puoi al prossimo
e consìgliati con i saggi.
15Conversa con uomini assennati
e ogni tuo colloquio sia sulle leggi dell'Altissimo.
16Tuoi commensali siano gli uomini giusti,
il tuo vanto sia nel timore del Signore.
17Un lavoro per mano di esperti viene lodato,
ma il capo del popolo è saggio per il parlare.
18Un uomo linguacciuto è il terrore della sua città,
chi non sa controllar le parole sarà detestato.
Salmi 136
1Alleluia.
Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.
2Lodate il Dio degli dèi:
perché eterna è la sua misericordia.
3Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.
4Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.
5Ha creato i cieli con sapienza:
perché eterna è la sua misericordia.
6Ha stabilito la terra sulle acque:
perché eterna è la sua misericordia.
7Ha fatto i grandi luminari:
perché eterna è la sua misericordia.
8Il sole per regolare il giorno:
perché eterna è la sua misericordia;
9la luna e le stelle per regolare la notte:
perché eterna è la sua misericordia.
10Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:
perché eterna è la sua misericordia.
11Da loro liberò Israele:
perché eterna è la sua misericordia;
12con mano potente e braccio teso:
perché eterna è la sua misericordia.
13Divise il mar Rosso in due parti:
perché eterna è la sua misericordia.
14In mezzo fece passare Israele:
perché eterna è la sua misericordia.
15Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso:
perché eterna è la sua misericordia.
16Guidò il suo popolo nel deserto:
perché eterna è la sua misericordia.
17Percosse grandi sovrani
perché eterna è la sua misericordia;
18uccise re potenti:
perché eterna è la sua misericordia.
19Seon, re degli Amorrei:
perché eterna è la sua misericordia.
20Og, re di Basan:
perché eterna è la sua misericordia.
21Diede in eredità il loro paese;
perché eterna è la sua misericordia;
22in eredità a Israele suo servo:
perché eterna è la sua misericordia.
23Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:
perché eterna è la sua misericordia;
24ci ha liberati dai nostri nemici:
perché eterna è la sua misericordia.
25Egli dà il cibo ad ogni vivente:
perché eterna è la sua misericordia.
26Lodate il Dio del cielo:
perché eterna è la sua misericordia.
Daniele 2
1Nel secondo anno del suo regno, Nabucodònosor fece un sogno e il suo animo ne fu tanto agitato da non poter più dormire.2Allora il re ordinò che fossero chiamati i maghi, gli astrologi, gli incantatori e i caldei a spiegargli i sogni. Questi vennero e si presentarono al re.3Egli disse loro: "Ho fatto un sogno e il mio animo si è tormentato per trovarne la spiegazione".4I caldei risposero al re: "Re, vivi per sempre. Racconta il sogno ai tuoi servi e noi te ne daremo la spiegazione".5Rispose il re ai caldei: "Questa è la mia decisione: se voi non mi rivelate il sogno e la sua spiegazione sarete fatti a pezzi e le vostre case saranno ridotte in letamai.6Se invece mi rivelerete il sogno e me ne darete la spiegazione, riceverete da me doni, regali e grandi onori. Ditemi dunque il sogno e la sua spiegazione".7Essi replicarono: "Esponga il re il sogno ai suoi servi e noi ne daremo la spiegazione".8Rispose il re: "Comprendo bene che voi volete guadagnar tempo, perché avete inteso la mia decisione.9Se non mi dite qual era il mio sogno, una sola sarà la vostra sorte. Vi siete messi d'accordo per darmi risposte astute e false in attesa che le circostanze si mutino. Perciò ditemi il sogno e io saprò che voi siete in grado di darmene anche la spiegazione".10I caldei risposero davanti al re: "Non c'è nessuno al mondo che possa soddisfare la richiesta del re: difatti nessun re, per quanto potente e grande, ha mai domandato una cosa simile ad un mago, indovino o caldeo.11La richiesta del re è tanto difficile, che nessuno ne può dare al re la risposta, se non gli dèi la cui dimora è lontano dagli uomini".
12Allora il re, acceso di furore, ordinò che tutti i saggi di Babilonia fossero messi a morte.13Il decreto fu pubblicato e già i saggi venivano uccisi; anche Daniele e i suoi compagni erano ricercati per essere messi a morte.
14Ma Daniele rivolse parole piene di saggezza e di prudenza ad Ariòch, capo delle guardie del re, che stava per uccidere i saggi di Babilonia,15e disse ad Ariòch, ufficiale del re: "Perché il re ha emanato un decreto così severo?". Ariòch ne spiegò il motivo a Daniele.16Egli allora entrò dal re e pregò che gli si concedesse tempo: egli avrebbe dato la spiegazione dei sogni al re.17Poi Daniele andò a casa e narrò la cosa ai suoi compagni, Anania, Misaele e Azaria,18ed essi implorarono misericordia dal Dio del cielo riguardo a questo mistero, perché Daniele e i suoi compagni non fossero messi a morte insieme con tutti gli altri saggi di Babilonia.
19Allora il mistero fu svelato a Daniele in una visione notturna; perciò Daniele benedisse il Dio del cielo:
20"Sia benedetto il nome di Dio di secolo in secolo,
perché a lui appartengono la sapienza e la potenza.
21Egli alterna tempi e stagioni, depone i re e li innalza,
concede la sapienza ai saggi,
agli intelligenti il sapere.
22Svela cose profonde e occulte
e sa quel che è celato nelle tenebre
e presso di lui è la luce.
23Gloria e lode a te, Dio dei miei padri,
che mi hai concesso la sapienza e la forza,
mi hai manifestato ciò che ti abbiamo domandato
e ci hai illustrato la richiesta del re".
24Allora Daniele si recò da Ariòch, al quale il re aveva affidato l'incarico di uccidere i saggi di Babilonia, e presentatosi gli disse: "Non uccidere i saggi di Babilonia, ma conducimi dal re e io gli farò conoscere la spiegazione del sogno".25Ariòch condusse in fretta Daniele alla presenza del re e gli disse: "Ho trovato un uomo fra i Giudei deportati, il quale farà conoscere al re la spiegazione del sogno".26Il re disse allora a Daniele, chiamato Baltazzàr: "Puoi tu davvero rivelarmi il sogno che ho fatto e darmene la spiegazione?".27Daniele, davanti al re, rispose: "Il mistero di cui il re chiede la spiegazione non può essere spiegato né da saggi, né da astrologi, né da maghi, né da indovini;28ma c'è un Dio nel cielo che svela i misteri ed egli ha rivelato al re Nabucodònosor quel che avverrà al finire dei giorni. Ecco dunque qual era il tuo sogno e le visioni che sono passate per la tua mente, mentre dormivi nel tuo letto.29O re, i pensieri che ti sono venuti mentre eri a letto riguardano il futuro; colui che svela i misteri ha voluto svelarti ciò che dovrà avvenire.30Se a me è stato svelato questo mistero, non è perché io possieda una sapienza superiore a tutti i viventi, ma perché ne sia data la spiegazione al re e tu possa conoscere i pensieri del tuo cuore.31Tu stavi osservando, o re, ed ecco una statua, una statua enorme, di straordinario splendore, si ergeva davanti a te con terribile aspetto.32Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo,33le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte di creta.34Mentre stavi guardando, una pietra si staccò dal monte, ma non per mano di uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e di argilla, e li frantumò.35Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciar traccia, mentre la pietra, che aveva colpito la statua, divenne una grande montagna che riempì tutta quella regione.
36Questo è il sogno: ora ne daremo la spiegazione al re.37Tu o re, sei il re dei re; a te il Dio del cielo ha concesso il regno, la potenza, la forza e la gloria.38A te ha concesso il dominio sui figli dell'uomo, sugli animali selvatici, sugli uccelli del cielo; tu li domini tutti: tu sei la testa d'oro.39Dopo di te sorgerà un altro regno, inferiore al tuo; poi un terzo regno, quello di bronzo, che dominerà su tutta la terra.40Vi sarà poi un quarto regno, duro come il ferro. Come il ferro spezza e frantuma tutto, così quel regno spezzerà e frantumerà tutto.41Come hai visto, i piedi e le dita erano in parte di argilla da vasaio e in parte di ferro: ciò significa che il regno sarà diviso, ma avrà la durezza del ferro unito all'argilla.42Se le dita dei piedi erano in parte di ferro e in parte di argilla, ciò significa che una parte del regno sarà forte e l'altra fragile.43Il fatto d'aver visto il ferro mescolato all'argilla significa che le due parti si uniranno per via di matrimoni, ma non potranno diventare una cosa sola, come il ferro non si amalgama con l'argilla.44Al tempo di questi re, il Dio del cielo farà sorgere un regno che non sarà mai distrutto e non sarà trasmesso ad altro popolo: stritolerà e annienterà tutti gli altri regni, mentre esso durerà per sempre.45Questo significa quella pietra che tu hai visto staccarsi dal monte, non per mano di uomo, e che ha stritolato il ferro, il bronzo, l'argilla, l'argento e l'oro. Il Dio grande ha rivelato al re quello che avverrà da questo tempo in poi. Il sogno è vero e degna di fede ne è la spiegazione".
46Allora il re Nabucodònosor piegò la faccia a terra, si prostrò davanti a Daniele e ordinò che gli si offrissero sacrifici e incensi.47Quindi rivolto a Daniele gli disse: "Certo, il vostro Dio è il Dio degli dèi, il Signore dei re e il rivelatore dei misteri, poiché tu hai potuto svelare questo mistero".48Il re esaltò Daniele e gli fece molti preziosi regali, lo costituì governatore di tutta la provincia di Babilonia e capo di tutti i saggi di Babilonia;49su richiesta di Daniele, il re fece amministratori della provincia di Babilonia, Sadràch, Mesàch e Abdènego. Daniele rimase alla corte del re.
Lettera di Giacomo 4
1Da che cosa derivano le guerre e le liti che sono in mezzo a voi? Non vengono forse dalle vostre passioni che combattono nelle vostre membra?2Bramate e non riuscite a possedere e uccidete; invidiate e non riuscite ad ottenere, combattete e fate guerra! Non avete perché non chiedete;3chiedete e non ottenete perché chiedete male, per spendere per i vostri piaceri.4Gente infedele! Non sapete che amare il mondo è odiare Dio?
Chi dunque vuole essere amico del mondo si rende nemico di Dio.5O forse pensate che la Scrittura dichiari invano: fino alla gelosia ci ama lo Spirito che egli ha fatto abitare in noi?6Ci dà anzi una grazia più grande; per questo dice:
'Dio resiste ai superbi;
agli umili invece dà la sua grazia'.
7Sottomettetevi dunque a Dio; resistete al diavolo, ed egli fuggirà da voi.8Avvicinatevi a Dio ed egli si avvicinerà a voi. Purificate le vostre mani, o peccatori, e santificate i vostri cuori, o irresoluti.9Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete; il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza.10Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà.
11Non sparlate gli uni degli altri, fratelli. Chi sparla del fratello o giudica il fratello, parla contro la legge e giudica la legge. E se tu giudichi la legge non sei più uno che osserva la legge, ma uno che la giudica.12Ora, uno solo è legislatore e giudice, Colui che può salvare e rovinare; ma chi sei tu che ti fai giudice del tuo prossimo?
13E ora a voi, che dite: "Oggi o domani andremo nella tal città e vi passeremo un anno e faremo affari e guadagni",14mentre non sapete cosa sarà domani!
Ma che è mai la vostra vita? Siete come vapore che appare per un istante e poi scompare.15Dovreste dire invece: Se il Signore vorrà, vivremo e faremo questo o quello.16Ora invece vi vantate nella vostra arroganza; ogni vanto di questo genere è iniquo.17Chi dunque sa fare il bene e non lo compie, commette peccato.
Capitolo VIII: L'intima amicizia con Gesù
Leggilo nella Biblioteca1. Quando è presente Gesù, tutto è per il bene, e nulla pare difficile. Invece, quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non è presente, tutto è difficile. Quando Gesù non parla nell'intimo, ogni consolazione vale assai poco. Invece, se Gesù dice anche soltanto una parola, sentiamo una grande consolazione. Forse che Maria Maddalena non balzò subitamente dal luogo in cui stava in pianto, quando Marta le disse: "C'è qui il maestro, ti chiama?" (Gv 11,28). Momento felice, quello in cui Gesù ci invita dal pianto al gaudio spirituale. Come sei arido e aspro, lontano da Gesù; come sei sciocco e vuoto se vai dietro a qualcosa d'altro, che non sia Gesù. Non è, questo, per te, un danno più grande che perdere il mondo intero? Che cosa ti può mai dare il mondo se non possiedi Gesù? Essere senza Gesù è un duro inferno; essere con Gesù è un dolce paradiso. Non ci sarà nemico che possa farti del male, se avrai Gesù presso di te. Chi trova Gesù trova un grande tesoro prezioso; anzi, trova un bene più grande di ogni altro bene. Chi perde Gesù perde più che non si possa dire; perde più che se perdesse tutto quanto il mondo. Colui che vive senza Gesù è privo di tutto; colui che vive saldamente con lui è ricco di tutto.
2. Grande avvedutezza è saper stare vicino a Gesù; grande sapienza sapersi tenere stretti a lui. Abbi umiltà e pace, e Gesù sarà con te; abbi devozione e tranquillità di spirito, e Gesù starà con te. Che se comincerai a deviare verso le cose esteriori, potrai subitamente allontanare da te Gesù, perdendo la sua grazia; e se avrai cacciato lui, e l'avrai perduto, a chi correrai per rifugio, a chi ti volgerai come ad amico? Senza un amico non puoi vivere pienamente; e se non hai come amico, al di sopra di ogni altro, Gesù, sarai estremamente triste e desolato.
3. E' da stolto, dunque, quello che fai, ponendo la tua fiducia e la tua gioia in altri che in Gesù. E' preferibile avere il mondo intero contro di te che avere Gesù disgustato di te. Sicché, tra tutte le persone care, caro, per sé, sia il solo Gesù; tutti gli altri si devono amare a causa di Lui; Lui, invece, per se stesso. Gesù Cristo, il solo che troviamo buono e fedele più di ogni altro amico, lui solo dobbiamo amare, di amore particolare. Per lui e in lui ti saranno cari sia gli amici che i nemici; e lo pregherai per gli uni e per gli altri, affinché tutti lo conoscano e lo amino. Non desiderare di essere apprezzato od amato per te stesso, poiché questo spetta soltanto a Dio, che non ha alcuno che gli somigli. Non volere che uno si lasci prendere, nel suo cuore, tutto da te, né lasciarti tutto prendere tu dall'amore di chicchessia. Gesù soltanto deve essere in te, come in ognuno che ami il bene. Sii puro interiormente e libero, senza legami con le creature. Se vuoi essere pienamente aperto a gustare "com'è soave il Signore" (Sal 33,9), devi essere del tutto spoglio e offrire a Dio un cuore semplice e puro.
4. Ma, in verità, a tanto non giungerai, se prima non sarà venuta a te la sua grazia trascinandoti, cosicché, scacciata e gettata via ogni cosa, tu possa unirti con Lui, da solo a solo. Quando la grazia di Dio scende sull'uomo, allora egli diventa capace di ogni impresa; quando invece la grazia viene meno, l'uomo diventa misero e debole, quasi abbandonato al castigo. Ma anche così non ci si deve lasciare abbattere; né si deve disperare. Occorre piuttosto stare fermamente alla volontà di Dio e, qualunque cosa accada, sopportarla sempre a lode di Gesù Cristo; giacché dopo l'inverno viene l'estate, dopo la tempesta una grande quiete.
LETTERA 29: Agostino, semplice prete di Ippona, scrive all'amico Alipio, vescovo di Tagaste, ragguagliandolo con quali esortazioni riuscì a distogliere i fedeli dalla inveterata e indecente usanza di celebrare le feste dei santi con crapule
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta verso la fine del 395.
Agostino, semplice prete di Ippona, scrive all'amico Alipio, vescovo di Tagaste, ragguagliandolo con quali esortazioni riuscì a distogliere i fedeli dalla inveterata e indecente usanza di celebrare le feste dei santi con crapule, indegne sempre dei Cristiani (n. 1-11) e lo esorta a pregare per il buon esito d'una causa coi Circoncellioni (n. 12).
LETTERA DI UN PRETE DI IPPONA AD ALIPIO VESCOVO DI TAGASTE SULL'ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI LEONZIO, UN TEMPO VESCOVO DI IPPONA
Una grande grazia ottenuta per le preghiere anche di Alipio.
1. Data l'assenza del fratello Macario non ho potuto per il momento scriverti nulla di sicuro sull'affare che non posso non avere a cuore: si dice però che tornerà presto, e allora si farà ciò che con l'aiuto di Dio potrà farsi. Quanto poi alla sollecitudine che noi abbiamo per loro, sebbene i concittadini nostri fratelli che erano presenti potessero rassicurarne i loro cari, tuttavia ci è stato offerto dal Signore un avvenimento degno del colloquio epistolare con cui ci consoliamo a vicenda, e nel meritarlo crediamo d'essere stati assai aiutati dalla vostra stessa sollecitudine che certamente non ha potuto non essere accompagnata da preghiere per noi.
Predica contro l'indecenza della festa detta della "Allegrezza".
2. Non possiamo perciò omettere di narrare alla vostra Carità quello che è accaduto, affinché Voi, che con noi avete profuso preghiere per ottenerlo, con noi rendiate grazie a Dio per l'ottenuto beneficio. Dopo la tua partenza ci era stato annunciato che il popolo tumultuava e diceva di non poter tollerare che fosse proibita quella festa che chiama "Allegrezza", sforzandosi invano di mascherare il nome dell'ubriachezza (come già si annunziava quando tu eri ancora presente); ma nel quarto giorno della settimana, continuando la lettura del Vangelo, avemmo, per occulto disegno di Dio onnipotente, l'opportunità di commentare il passo: Non date ciò che è santo ai cani e non gettate le vostre perle innanzi ai porci 1. Si trattò dunque dei cani e dei porci in modo da far arrossire quelli che protestavano contro i precetti di Dio latrando ostinatamente e quelli che erano dediti alle sozzure dei piaceri carnali, e si concluse in modo che vedessero quale nefandezza fosse fare entro le pareti della chiesa, col pretesto della religione, quello per cui se si fossero ostinati a farlo in casa loro, sarebbe stato doveroso escluderli dal Santo e dalle Perle della Chiesa.
Nefandezza della crapula nella casa di Dio.
3. Ma, per quanto queste considerazioni fossero state accolte di buon grado, tuttavia, poiché pochi erano i convenuti, non si era fatto abbastanza per un affare così importante. Inoltre questa predica divulgata fuori da coloro che vi avevano assistito secondo la capacità e l'inclinazione di ciascuno, trovò molti oppositori. Quando però fu spuntato il giorno dell'Ascensione ed una folla numerosa si raccolse all'ora della predica, si lesse il passo evangelico in cui il Signore, cacciati dal tempio i mercanti di bestiame e rovesciati i banchi dei cambiavalute, disse che la casa del Padre suo era stata trasformata da casa di preghiera in una spelonca di briganti 2. E, dopo aver suscitato la loro attenzione proponendo la questione dell'ubriachezza, recitai io stesso quel capitolo ed aggiunsi un commento per mostrare con quanto maggior sdegno e violenza nostro Signore avrebbe bandito i conviti degli ubriaconi (che sono vergognosi in qualsiasi luogo) dal tempio, donde bandì in questo modo i commerci leciti giacché si vendevano le cose necessarie per dei sacrifici a quel tempo leciti, e chiesi loro a chi ritenessero più simile la spelonca dei ladri, se a quelli che vendevano delle cose necessarie o a quelli che bevevano in maniera smodata.
Neppure nell'A. T. si riscontrano tal indecenze.
4. E poiché mi si tenevano pronti i passi della Scrittura da sottoporre loro, aggiunsi poi che lo stesso popolo giudaico, che viveva secondo la carne, in quel tempio in cui non si offriva ancora il corpo e il sangue del Signore, non solo non aveva mai celebrato conviti accompagnati dall'ubriachezza, ma neppure sobri; e che mai nella Storia Sacra si trova ch'esso si fosse ubriacato col pretesto della religione se non quando celebrò le feste dopo aver fabbricato l'idolo 3. E mentre dicevo questo, presi anche il volume e recitai tutto quel passo. Aggiunsi ancora con tutto il dolore di cui fui capace (poiché l'Apostolo per distinguere il popolo cristiano dall'insensibilità dei Giudei dice che la sua lettera è stata scritta non su tavole di pietra ma sulle tavole di carne del cuore 4) come non avremmo potuto, mentre il servo di Dio Mosè aveva spezzato a causa di quei principi le due tavole di pietra 5, spezzare i cuori di quei tali che, uomini del Nuovo Testamento, volevano, per celebrare le feste dei santi, offrire solennemente quegli spettacoli che il popolo del Vecchio Testamento celebrò una volta sola e per un idolo.
Come Paolo bolla le intemperanze dell'Agape cristiana.
5. Allora, restituito il volume dell'Esodo, sottolineando (per quanto il tempo lo permetteva) la gravità della colpa dell'ubriachezza, presi le lettere dell'apostolo Paolo e mostrai tra quali peccati fosse stata posta, leggendo il passo: Se si chiama "fratello" un impudico o un idolatra o un avaro o un diffamatore o un ubriacone o un ladro, con un simile individuo non mangiare neppure 6...; e gemendo ricordai loro con quanto pericolo noi banchettassimo con coloro che si abbandonavano all'ubriachezza anche solo nelle loro case. Lessi inoltre ciò che segue non molto dopo: Non illudetevi: né gli impudichi, né gli idolatri, né gli adulteri, né gli effeminati, né i sodomiti, né i ladri, né gli avari, né gli ubriaconi, né gli ingiuriatori, né i rapinatori avranno l'eredità del regno di Dio. Appunto questo siete stati; ma vi siete mondati, ma siete stati giustificati nel nome del Signor nostro Gesù Cristo e dallo Spirito del nostro Dio 7. Letto questo dissi di considerare come potessero udire le parole ma vi siete mondati quei fedeli i quali tolleravano che vi fossero nel loro cuore, cioè nel tempio interiore di Dio, le sozzure d'una tale concupiscenza alle quali è precluso il regno dei cieli. Si giunse poi al capitolo: Quando dunque voi vi radunate insieme, il vostro non è affatto un celebrare la cena del Signore: ciascuno infatti, nel mangiare, si mette innanzi il suo proprio pasto, sicché l'uno ha fame, l'altro è ubriaco: non avete dunque voi case per mangiare e bere? O non tenete in alcun conto la chiesa di Dio? 8 E dopo averlo recitato sottolineai con maggior diligenza che in chiesa non si debbono celebrare neppure dei conviti onesti e sobri, giacché l'Apostolo non ha detto: "non avete forse le case per ubriacarvi?" come se unicamente non fosse lecito ubriacarsi in chiesa, ma per mangiare e per bere: il che può farsi onestamente, ma fuori della chiesa, da coloro che hanno le case in cui potersi ristorare con gli alimenti necessari; eppure noi siamo ridotti in tali angustie per la corruzione dei tempi e il rilassamento dei costumi da non desiderare ancora conviti modesti, ma almeno che il regno dell'ubriachezza sia ridotto entro le pareti domestiche.
Frutti della carne e frutti dello spirito.
6. Ricordai ancora il capitolo del Vangelo che avevo trattato il giorno precedente, dove è detto dei falsi profeti: Li riconoscerete dai loro frutti 9. Quindi rammentai che in quel passo col nome di frutti non si indica altro che le opere: allora esaminai tra quali frutti fosse ricordata l'ubriachezza e recitai il passo della lettera ai Galati: Sono ben note le opere della carne, che sono fornicazioni, impurità, dissolutezza, idolatria, magie, inimicizie, risse, gelosie, rivalità, discordie, fazioni, invidie, ubriachezze, orge e cose simili a queste; riguardo alle quali vi predico, come vi ho già predetto, che coloro i quali commettono tali azioni non entreranno in possesso del regno di Dio 10. Dopo queste parole domandai come, dal frutto dell'ubriachezza, noi avremmo potuto essere riconosciuti come cristiani dal momento che il Signore comandò che si riconoscessero dai frutti. Aggiunsi ancora di leggere quel che segue: I frutti dello spirito, al contrario, sono: carità, gioia, pace, longanimità, benignità, bontà, fedeltà, mitezza, temperanza 11, e feci loro considerare quanto fosse vergognoso e lacrimevole che coi frutti della carne bramassero non solo di vivere in privato ma anche di rendere onore alla Chiesa e che, se fosse loro data la possibilità, avrebbero riempito tutto lo spazio di una così ampia basilica di turbe di banchettanti e di ubriaconi, mentre coi frutti dello spirito, ai quali erano esortati sia dall'autorità delle Scritture divine che dai nostri gemiti, non volevano offrire doni a Dio e con questi soprattutto celebrare le feste dei Santi.
Una perorazione particolarmente efficace.
7. Fatto questo restituii il volume e, dopo aver ordinato di pregare, per quanto fui capace e conforme all'urgenza stessa del pericolo e alle forze che il Signore si degnava di concedermi, posi davanti ai loro occhi il comune pericolo, sia di loro stessi, sia di noi, che di essi avremmo dovuto rendere conto al Principe dei pastori. Per l'umiliazione, le straordinarie contumelie, gli schiaffi, gli sputi in viso, le percosse, la corona di spine, la croce e il sangue di Lui, li supplicai che, se per conto loro essi avevano mancato in qualche modo, almeno avessero misericordia di noi e considerassero l'ineffabile carità dimostrata nei miei confronti dal vecchio Valerio, il quale non aveva esitato per causa loro ad impormi l'onere così pericoloso di spiegare le parole della Verità, e sovente aveva detto loro che le sue preghiere erano state esaudite per la nostra venuta e non si era certo rallegrato che noi fossimo venuti da lui per morire insieme a loro o per assistere alla loro morte ma perché insieme ci sforzassimo per conseguire la vita eterna. Infine dissi anche di avere sicura la fede in Colui che non sa mentire, il quale per bocca del suo profeta, promise parlando di nostro Signore Gesù Cristo: Se i suoi figli abbandoneranno la mia legge e non cammineranno secondo i miei precetti; se violeranno le mie giuste disposizioni, visiterò con la verga le loro iniquità e con la sferza i loro misfatti, ma non toglierò loro la mia misericordia 12; di avere pertanto fede in Lui che, se disprezzavano queste così gravi ammonizioni che erano state loro lette e rivolte oralmente, li avrebbe visitati con la verga e col flagello e non avrebbe permesso che fossero dannati insieme a questo mondo. E nel levare tali doglianze agii conforme ai sentimenti ed alle facoltà che mi offriva il nostro protettore e reggitore in rapporto alla grandezza dell'impresa e del pericolo. Non fui io a suscitare le loro lacrime con le mie lacrime, ma, nel dire tali cose (lo confesso), prevenuto dal loro pianto, non potei trattenere il mio. E dopo che già avevamo pianto insieme, posi fine al mio discorso con pienissima speranza nella loro correzione.
A. vince le ultime resistenze degli oppositori.
8. Ma all'indomani, spuntato il giorno per cui solevano prepararsi le gole e i ventri, mi si riferisce che alcuni di coloro che avevano assistito alla predica, non avevano ancora smesso di mormorare, e tanta forza esercitava su di essi la pessima abitudine che seguivano unicamente la sua voce e dicevano: "Perché adesso? Giacché non è che non fossero Cristiani coloro che in passato non proibirono queste cose". Udito questo, non sapevo assolutamente quali astuzie escogitare come più efficaci per commuoverli; mi disponevo tuttavia, se pensavano che si dovesse perseverare, a scuotere le mie vesti e andarmene dopo aver letto quel passo del profeta Ezechiele: L'esploratore si assolve se ha denunziato il pericolo, anche nel caso che quelli cui viene denunziato non abbiano voluto guardarsene 13. Ma allora il Signore dimostrò che non ci abbandona e in quali modi ci esorti ad aver fiducia in Lui: infatti prima dell'ora di salire sul pulpito, entrarono da me quegli stessi che avevo sentito essersi lagnati per l'opposizione fatta all'antica consuetudine. Accoltili cortesemente, con poche parole li indussi al partito che era ragionevole. E quando si giunse al momento della discussione, tralasciata la lettura che avevo preparata, perché non pareva più necessaria, feci alcune brevi considerazioni su questo stesso problema, dicendo non poter noi addurre niente di più conciso né di più vero contro coloro che dicono: "Perché adesso?", se non dire anche noi: "Almeno adesso".
Perché nella Chiesa primitiva furono tollerate certe usanze profane.
9. Tuttavia, perché non si avesse l'impressione che si facesse da noi ingiuria a coloro che prima di noi o permisero o non osarono proibire crimini così manifesti della folla ignorante, esposi loro per quale necessità pareva che usanze di tal genere fossero sorte nella Chiesa. Dato che, fatta la pace dopo così numerose e violente persecuzioni, le turbe dei gentili che desideravano diventare cristiane ne venivano distolte dal fatto che usavano consumare i giorni di festa coi loro idoli in copiosi banchetti e nella ubriachezza e non potevano facilmente astenersi da questi piaceri perniciosissimi eppure tanto inveterati, parve opportuno ai nostri antenati che si tollerasse per il momento questa parte di debolezza e che, dopo quelle che abbandonavano, celebrassero altre feste in onore dei santi Martiri almeno con un non simile sacrilegio, anche se con simile dissipazione. A coloro invece che erano già legati insieme dal nome di Cristo e sottoposti al giogo di così grande autorità, [parve opportuno che] s'impartissero salutari precetti di sobrietà, ai quali non potessero più resistere per rispetto e timore di chi li impartiva. Esser quindi ormai tempo - [concludevo] - che coloro che non osano negare la loro qualità di Cristiani comincino a vivere secondo la volontà di Cristo in maniera che vengano rigettate, adesso che sono Cristiani, quelle concessioni ch'erano state fatte affinché diventassero Cristiani.
L'ammonimento di S. Pietro contro gli intemperanti.
10. Esortai poi affinché volessimo essere imitatori delle Chiese transmarine in cui siffatte consuetudini in parte non furono mai accolte, in parte furono già corrette ad opera di buoni reggitori con l'ottemperanza del popolo. E poiché si adducevano esempi di quotidiana ubriachezza provenienti dalla basilica del beato apostolo Pietro, dissi in primo luogo aver noi udito che lo si era proibito sovente; ma, essendo la località lontana dalla residenza del vescovo e grande, in una città così vasta, la moltitudine delle persone che vivono secondo la carne (conservando soprattutto i pellegrini che giungono continuamente nuovi quella consuetudine e con tanta più forza quanto maggiore è la loro ignoranza), non si era ancora potuto frenare e stroncare una così orrenda calamità. Tuttavia, se onoravamo l'apostolo Pietro, dovevamo ascoltare i suoi precetti e tenere presente con molto maggiore devozione l'Epistola in cui si manifesta la sua volontà che non la basilica in cui non si manifesta; e subito, preso il volume, recitai il passo in cui dice: Avendo infatti Cristo sofferto nella carne per noi, armatevi anche voi della stessa convinzione, che Colui che ha sofferto nella carne si è staccato dalla carne per vivere il tempo che gli rimane da vivere nel corpo non più secondo le passioni umane ma secondo il volere di Dio. Giacché è già eccessivo per voi aver consumato il tempo trascorso secondo la volontà degli uomini, vivendo in dissolutezza, cupidigia, ubriachezza, orge e nefande idolatrie 14. Fatto questo, vedendo che tutti unanimemente, deplorando la cattiva abitudine, erano inclini alla buona volontà, li esortai a partecipare nelle ore pomeridiane alle divine letture ed al canto dei salmi; così pensavo che quel giorno si dovesse celebrare molto più puramente e sinceramente, e certo dalla folla dei convenuti si sarebbe potuto facilmente vedere chi seguisse la ragione e chi il ventre. Così, eseguite tutte le letture, il sermone ebbe termine.
Predica conclusiva nell'assemblea pomeridiana.
11. Nel pomeriggio poi accorse una folla maggiore che prima di mezzogiorno e fino all'ora della nostra uscita col vescovo si leggeva e si cantava alternativamente, e quando noi fummo usciti furono letti due salmi. Poi il Vecchio, ordinandomelo, costrinse mio malgrado me (che avrei già voluto che una giornata così pericolosa fosse giunta al termine), a dir loro qualcosa. Tenni un breve sermone per rendere grazie a Dio. E siccome sentivamo dire che nella basilica degli eretici erano stati da loro celebrati i soliti conviti, poiché proprio in quel tempo in cui da noi venivano fatte queste cose essi continuavano ancora a darsi al vino, io dissi che la bellezza del giorno è adornata dal paragone con la notte e il colore bianco diventa più gradito per la vicinanza di quello nero: similmente il nostro convegno per una celebrazione spirituale sarebbe stato forse meno lieto se non vi si fosse contrapposta la crapula carnale dell'altra parte. Li esortai inoltre perché, se avevano gustato quanto è soave il Signore, ricercassero insistentemente tali banchetti, invece devono temere coloro che ricercano come la cosa più importante quello che un giorno sarà distrutto, giacché ciascuno diviene compagno di quello che ama, e l'Apostolo inveì contro siffatte persone dicendo: Loro dio è il ventre 15, avendo inoltre detto in un altro passo: I cibi sono per il ventre e il ventre per i cibi, ma Dio distruggerà quello e questi 16. Perciò noi abbiamo il dovere di perseguire ciò che non viene meno, ciò che, remotissimo dall'affetto carnale, si conserva mediante la santificazione dello spirito. E, dette in tal senso, come la circostanza richiedeva, le parole che Dio si compiacque di suggerire, si celebrarono i soliti riti vespertini di ogni giorno e, ritirandoci noi col vescovo, i fratelli nello stesso luogo cantarono un inno mentre una non piccola moltitudine dell'uno e dell'altro sesso si trattenne a salmodiare finché il giorno si fu oscurato.
Pregare per il buon esito della causa contro i Circoncellioni
12. Vi ho esposto con la maggior brevità possibile quello che senza alcun dubbio voi avreste desiderato di conoscere. Pregate che Dio si degni tener lontani dai nostri sforzi ogni scandalo e ogni cosa incresciosa. Noi certamente, pur continuando a lavorare con fervore, facciamo grande affidamento su di voi, giacché tanto frequentemente ci si annunziano i doni (da Dio) concessi alla Chiesa spirituale di Tagaste. La nave coi fratelli non è ancora arrivata. Ad Asna, dove è prete il fratello Argenzio, i Circoncellioni invadendo la nostra basilica hanno fatto a pezzi l'altare. La causa viene discussa attualmente e vi supplichiamo molto di pregare affinché essa venga discussa pacificamente come si addice alla Chiesa Cattolica per schiacciare le lingue degli eretici senza pace. Abbiamo mandato una lettera all'Asiarca. Continuate a vivere beatissimi nel Signore memori di noi. Amen.
1 - Mt 7, 6.
2 - Mt 21, 12 s.
3 - Es 32, 6.
4 - 2 Cor 3, 3.
5 - Es 32, 19.
6 - 1 Cor 5, 11.
7 - 1 Cor 6, 9-11.
8 - 2 Cor 11, 20, 22.
9 - Mt 7, 16.
10 - Gal 5, 19-21.
11 - Gal 5, 22-23.
12 - Sal 88, 31-34.
13 - Cf. Ez 33, 9 (citazione a senso o secondo una versione diversa dalla Volgata).
14 - 1 Pt 4, 1-3.
15 - Fil 3, 19.
16 - 1 Cor 6, 13.
Capitolo XVII: L’ardente amore e l’intenso desiderio di ricevere Cristo
Libro IV: Libro del sacramento del corpo di Cristo - Tommaso da Kempis
Leggilo nella BibliotecaParola del discepolo
1. Con devozione grandissima e con ardente amore, con tutto lo slancio di un cuore appassionato, io desidero riceverti, o Signore, come ti desiderarono, nella Comunione, molti santi e molti devoti, a te massimamente graditi per la santità della loro vita e per la loro infiammata pietà. O mio Dio, amore eterno che sei tutto il mio bene, la mia felicità senza fine, io bramo riceverti con intenso desiderio e con venerazione grandissima, quale mai poté avere o sentire santo alcuno. Anche se non sono degno di sentire tutta quella devozione, tuttavia ti offro tutto lo slancio del mio cuore, come se io solo avessi tutti quegli accesi desideri, che tanto ti sono graditi. Ché anzi, tutto quel che un animo devoto può concepire e desiderare, tutto questo io lo porgo e lo offro a te, con estrema venerazione in pio raccoglimento. Nulla voglio tenere per me, ma voglio immolarti me stesso e tutto quello che ho, con scelta libera e altamente gioiosa.
2. Signore, mio Dio, mio creatore e redentore, io desidero riceverti oggi con quella amorosa venerazione, con quei sentimenti di lode e di onore, di giusta gratitudine e d'amore, con quella fede e speranza e purità di cuore, con i quali ti desiderò e ti ricevette la santissima Madre tua, la gloriosa Vergine Maria, quando, all'Angelo che le annunciava il mistero dell'Incarnazione, rispose, in devota umiltà: "Ecco la schiava del Signore; sia fatto a me secondo la tua parola" (Lc 1,38). E come il tuo precursore Giovanni Battista, il più grande tra tutti i santi, alla tua presenza, sobbalzò di gioia, nel gaudio dello Spirito Santo, mentre era ancora nel grembo della madre; e come di poi, scorgendo Gesù camminare tra la gente, disse con slancio devoto, abbassando grandemente se stesso: "l'amico dello sposo, che gli sta accanto e lo ascolta, gioisce profondamente alla sua voce" (Gv 3,29), così anch'io bramo di essere acceso di santo e grande desiderio e di darmi a te con tutto il mio cuore. Per questo ti presento e ti offro i sentimenti di giubilo, gli ardenti moti del cuore, gli alti pensieri, le luci superne e le visioni celesti di tutte le anime devote; e mi unisco - per me stesso e per coloro che a me si raccomandano nella preghiera - alle lodi perfette che tutte le creature ti rendono e ti renderanno, in cielo e in terra, affinché da tutti tu sia giustamente celebrato e glorificato per sempre. Accetta, o Signore Dio mio, i miei voti e il mio desiderio di darti infinite lodi e copiose benedizioni, quali giustamente a te si debbono, per la grandezza della tua ineffabile potenza. Tutto questo io ti dono ora, e voglio donarti ogni giorno e in ogni tempo, invocando con caloroso preghiera tutti gli spiriti celesti e tutti i tuoi fedeli a unirsi a me nel renderti grazie e nel darti lode. Tutti i "popoli, le stirpi e le nazioni" diano lode a te (Dn 7,14), esaltino il nome tuo, santo e soave, con sommo giubilo ed ardente devozione. E quanti celebrano il tuo altissimo Sacramento con venerazione e pietà, e lo ricevono con pienezza di fede, possano trovare grazia e misericordia presso di te. Che essi si degnino di ricordarsi di questo poveretto, quando, raggiunta la desiderata devozione e nutriti della salutare unione con te, lasciano la sacra mensa celeste, piene di consolazione e mirabilmente ristorati.
33-39 Maggio 31, 1935 Come la Potenza Divina non ha limiti. Certezza che deve venire il regno della Divina Volontà. Come la Redenzione ed il suo regno sono inseparabili.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Sono tra le braccia del mio amabile Gesù, il quale mi circonda tanto del suo Santo Volere, che non saprei vivere senza di Esso, me lo sento dentro di me, che col suo dolce impero domina su tutto il mio interno, e con un amore indicibile si fa vita del mio pensiero, del mio palpito e respiro, e pensa, palpita, respira insieme con me, e pare che mi dice: “Come sono felice che tu senta, conosca che la vita del tuo pensiero, del tuo palpito, di tutto te sono Io, tu senti Me in te, ed Io sento te in Me, siamo felici ambedue di fare una sol cosa tutti e due; questa è la mia Volontà, che la creatura senta, conosca che sto insieme con essa, mi abbasso a tutti gli atti suoi e li faccio insieme con essa per darle la similitudine della mia Vita e degli atti miei divini; quanto mi duole quando mi mettono da parte e non riconoscono il mio dominio, e che sono Io proprio Colui che forma la loro vita”. In questo mentre pensavo tra me: “Mi sembra impossibile che possa venire il Regno della Divina Volontà, come può venire se i mali abbondano in modo raccapricciante? ” Ed il mio dolce Gesù dispiacendosi mi ha detto:
(2) “Figlia mia benedetta, se tu dubiti di ciò, non credi né riconosci la mia Potenza che non ha limiti e quando voglio tutto posso. Tu devi sapere che nel creare l’uomo fu messa la nostra Vita in lui, e lui era la nostra abitazione, ora se non mettiamo in salvo questa nostra Vita, col suo decoro, col suo dominio, col pieno nostro trionfo facendoci conoscere che stiamo in questa abitazione, e che essa si sente onorata d’essere dominata e abitata da un Dio; se ciò non facciamo significa che la nostra Potenza è limitata, non è il suo potere infinito, chi non ha potenza di salvare sé stesso, molto meno può salvare gli altri, anzi il vero bene, la potenza che non ha limiti, prima serve e mette in salvo sé stesso e poi si riversa negli altri. Ora, col venire sulla terra, patire e morire, venni a mettere in salvo l’uomo, cioè la mia abitazione, non ti parrebbe strano anche a te, se mentre mettevo in salvo l’abitazione, il Padrone, l’abitatore di essa senza i suoi diritti, senza dominio e senza potere di mettersi in salvo? Ah! no, no, figlia mia, sarebbe stato assurdo e senza l’ordine della nostra sapienza infinita. La Redenzione ed il regno della mia Volontà sono tutt’uno, inseparabili tra loro. La mia venuta sulla terra venne a formare la Redenzione dell’uomo e nel medesimo tempo venne a formare il regno della mia Volontà per salvare Me stesso, per riprendermi i miei diritti che di giustizia mi sono dovuti come Creatore. E come nella Redenzione mi esibii a tante umiliazioni, a pene inaudite, fino a morire crocifisso, mi sottoposi a tutto per mettere in salvo la mia abitazione e restituirle tutta la sontuosità, la bellezza, la magnificenza con cui l’avevo formata, perché di nuovo fosse degna di Me. Ora, quando parve che tutto fosse finito ed i miei nemici soddisfatti che mi avevano tolto la Vita, la mia Potenza che non ha limiti richiamò a vita la mia Umanità, e col risorgere tutto risorgeva insieme con Me, le creature, le mie pene, i beni per loro acquistati, e come la mia Umanità trionfò sulla morte, così la mia Volontà risorgeva e trionfava nelle creature aspettando il suo regno. Se la mia Umanità non fosse risorta, se non avesse avuto questa Potenza, la Redenzione sarebbe fallita e si potrebbe dubitare che non fosse opera d’un Dio, fu la mia Risurrezione che mi fece conoscere chi Io ero, e mise il suggello a tutti i beni che venni a portare sulla terra. Così la mia Divina Volontà sarà il doppio suggello, la trasmissione nelle creature del suo regno che possedeva la mia Umanità, molto più che per le creature formai questo regno della mia Volontà Divina nella mia Umanità, perché dunque non devo darlo? Al più sarà questione di tempo, e per Noi i tempi sono un punto solo, la nostra Potenza farà tali prodigi, abbonderà l’uomo di nuove grazie, nuovo amore, nuova luce, che le nostre abitazioni ci riconosceranno e loro stessi di volontà spontanea ci daranno il dominio, e la nostra Vita sarà al sicuro, coi suoi pieni diritti nella creatura. Col tempo vedrai ciò che sa fare e può fare la mia Potenza, come sa conquistare tutto e atterrare i più ostinati ribelli, chi mai può resistere alla mia Potenza, che con un sol fiato atterro, distruggo e rifaccio tutto, come più mi piace. Perciò tu prega e sia il tuo continuo grido: “Venga il regno del tuo Fiat e la tua Volontà si faccia come in Cielo così in terra”.