Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Non si vive di solo pane. Non mi basta soddisfare i bisogni immediati. Nel mio cuore Dio ha creato un pozzo senza fondo che niente di questo mondo, niente di materiale, riesce a colmare. I desideri terreni stancano l'anima. Sono come bambini inquieti che chiedono continuamente alla mamma ora questo ora quello, e non si accontentano mai. È nel desiderio dell'infinito che intravedo Dio. Dio non Lo scopro perché sta da qualche parte: Lo sento dentro di me, nelle esigenze più profonde del mio essere. Dentro di me Dio ha lasciato una voragine perché non mi dimentichi di Lui ascoltando i canti delle sirene terrene. Il desiderio di Dio, la nostalgia che sento nel mio cuore, è la bussola sicura che indica la Sua costante presenza. Il desiderio esprime una mancanza. Questa mancanza non è una mia debolezza, ma la più grande forza: Colui che mi manca orienta il mio cammino. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 26° settimana del tempo ordinario (Santi Arcangeli)

Per questa Liturgia delle Ore è disponibile sia la versione del tempo corrente che quella dedicata alla memoria di un Santo. Per cambiare versione, clicca su questo collegamento.
Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 1

1Poiché molti han posto mano a stendere un racconto degli avvenimenti successi tra di noi,2come ce li hanno trasmessi coloro che ne furono testimoni fin da principio e divennero ministri della parola,3così ho deciso anch'io di fare ricerche accurate su ogni circostanza fin dagli inizi e di scriverne per te un resoconto ordinato, illustre Teòfilo,4perché ti possa rendere conto della solidità degli insegnamenti che hai ricevuto.

5Al tempo di Erode, re della Giudea, c'era un sacerdote chiamato Zaccaria, della classe di Abìa, e aveva in moglie una discendente di Aronne chiamata Elisabetta.6Erano giusti davanti a Dio, osservavano irreprensibili tutte le leggi e le prescrizioni del Signore.7Ma non avevano figli, perché Elisabetta era sterile e tutti e due erano avanti negli anni.
8Mentre Zaccaria officiava davanti al Signore nel turno della sua classe,9secondo l'usanza del servizio sacerdotale, gli toccò in sorte di entrare nel tempio per fare l'offerta dell'incenso.10Tutta l'assemblea del popolo pregava fuori nell'ora dell'incenso.11Allora gli apparve un angelo del Signore, ritto alla destra dell'altare dell'incenso.12Quando lo vide, Zaccaria si turbò e fu preso da timore.13Ma l'angelo gli disse: "Non temere, Zaccaria, la tua preghiera è stata esaudita e tua moglie Elisabetta ti darà un figlio, che chiamerai Giovanni.14Avrai gioia ed esultanza e molti si rallegreranno della sua nascita,15poiché egli sarà grande davanti al Signore; non berrà vino né bevande inebrianti, sarà pieno di Spirito Santo fin dal seno di sua madre16e ricondurrà molti figli d'Israele al Signore loro Dio.17Gli camminerà innanzi con lo spirito e la forza di Elia, 'per ricondurre i cuori dei padri verso i figli' e i ribelli alla saggezza dei giusti e preparare al Signore un popolo ben disposto".18Zaccaria disse all'angelo: "Come posso conoscere questo? Io sono vecchio e mia moglie è avanzata negli anni".19L'angelo gli rispose: "Io sono Gabriele che sto al cospetto di Dio e sono stato mandato a portarti questo lieto annunzio.20Ed ecco, sarai muto e non potrai parlare fino al giorno in cui queste cose avverranno, perché non hai creduto alle mie parole, le quali si adempiranno a loro tempo".
21Intanto il popolo stava in attesa di Zaccaria, e si meravigliava per il suo indugiare nel tempio.22Quando poi uscì e non poteva parlare loro, capirono che nel tempio aveva avuto una visione. Faceva loro dei cenni e restava muto.
23Compiuti i giorni del suo servizio, tornò a casa.24Dopo quei giorni Elisabetta, sua moglie, concepì e si tenne nascosta per cinque mesi e diceva:25"Ecco che cosa ha fatto per me il Signore, nei giorni in cui si è degnato di togliere la mia vergogna tra gli uomini".

26Nel sesto mese, l'angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nàzaret,27a una vergine, promessa sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria.28Entrando da lei, disse: "Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te".29A queste parole ella rimase turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto.30L'angelo le disse: "Non temere, Maria, perché hai trovato grazia presso Dio.31Ecco concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù.32Sarà grande e chiamato Figlio dell'Altissimo; il Signore Dio gli darà il trono di Davide suo padre33e regnerà per sempre sulla casa di Giacobbe e il suo regno non avrà fine".
34Allora Maria disse all'angelo: "Come è possibile? Non conosco uomo".35Le rispose l'angelo: "Lo Spirito Santo scenderà su di te, su te stenderà la sua ombra la potenza dell'Altissimo. Colui che nascerà sarà dunque santo e chiamato Figlio di Dio.36Vedi: anche Elisabetta, tua parente, nella sua vecchiaia, ha concepito un figlio e questo è il sesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:37'nulla è impossibile a Dio'".38Allora Maria disse: "Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto". E l'angelo partì da lei.

39In quei giorni Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda.40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta.41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino le sussultò nel grembo. Elisabetta fu piena di Spirito Santo42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo!43A che debbo che la madre del mio Signore venga a me?44Ecco, appena la voce del tuo saluto è giunta ai miei orecchi, il bambino ha esultato di gioia nel mio grembo.45E beata colei che ha creduto nell'adempimento delle parole del Signore".

46Allora Maria disse:

"'L'anima mia' magnifica 'il Signore'
47e il mio spirito 'esulta in Dio, mio salvatore,'
48perché 'ha guardato l'umiltà della' sua 'serva.'
D'ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata.
49Grandi cose ha fatto in me l'Onnipotente
e 'Santo è il suo nome:'
50'di generazione in generazione la sua misericordia
si stende su quelli che lo temono.'
51Ha spiegato la potenza del suo 'braccio,
ha disperso i superbi nei pensieri' del loro cuore;
52'ha rovesciato i potenti' dai troni,
'ha innalzato gli umili;'
53'ha ricolmato di beni gli affamati,
ha rimandato a mani vuote i ricchi.'
54'Ha soccorso Israele, suo servo,
ricordandosi della sua misericordia,'
55come aveva promesso 'ai nostri padri,
ad Abramo e alla' sua 'discendenza,'
per sempre".

56Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.

57Per Elisabetta intanto si compì il tempo del parto e diede alla luce un figlio.58I vicini e i parenti udirono che il Signore aveva esaltato in lei la sua misericordia, e si rallegravano con lei.

59All'ottavo giorno vennero per circoncidere il bambino e volevano chiamarlo col nome di suo padre, Zaccaria.60Ma sua madre intervenne: "No, si chiamerà Giovanni".61Le dissero: "Non c'è nessuno della tua parentela che si chiami con questo nome".62Allora domandavano con cenni a suo padre come voleva che si chiamasse.63Egli chiese una tavoletta, e scrisse: "Giovanni è il suo nome". Tutti furono meravigliati.64In quel medesimo istante gli si aprì la bocca e gli si sciolse la lingua, e parlava benedicendo Dio.65Tutti i loro vicini furono presi da timore, e per tutta la regione montuosa della Giudea si discorreva di tutte queste cose.66Coloro che le udivano, le serbavano in cuor loro: "Che sarà mai questo bambino?" si dicevano. Davvero la mano del Signore stava con lui.

67Zaccaria, suo padre, fu pieno di Spirito Santo, e profetò dicendo:

68"'Benedetto il Signore Dio d'Israele,'
perché ha visitato e redento il suo popolo,
69e ha suscitato per noi una salvezza potente
nella casa di Davide, suo servo,
70come aveva promesso
per bocca dei suoi santi profeti d'un tempo:
71salvezza 'dai' nostri 'nemici,'
'e dalle mani di quanti ci odiano.'
72'Così egli ha concesso misericordia ai nostri padri'
'e si è ricordato della sua' santa 'alleanza,'
73'del giuramento fatto ad Abramo', nostro padre,
74di concederci, liberati dalle mani dei nemici,
di servirlo senza timore,75in santità e giustizia
al suo cospetto, per tutti i nostri giorni.
76E tu, bambino, sarai chiamato profeta dell'Altissimo
perché andrai 'innanzi al Signore a preparargli le strade,'
77per dare al suo popolo la conoscenza della salvezza
nella remissione dei suoi peccati,
78grazie alla bontà misericordiosa del nostro Dio,
per cui verrà a visitarci dall'alto un sole che sorge
79'per rischiarare quelli che stanno nelle tenebre'
'e nell'ombra della morte'
e dirigere i nostri passi sulla via della pace".

80Il fanciullo cresceva e si fortificava nello spirito. Visse in regioni deserte fino al giorno della sua manifestazione a Israele.


Deuteronomio 9

1Ascolta, Israele! Oggi tu attraverserai il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo,2di un popolo grande e alto di statura, dei figli degli Anakiti che tu conosci e dei quali hai sentito dire: Chi mai può resistere ai figli di Anak?3Sappi dunque oggi che il Signore tuo Dio passerà davanti a te come fuoco divoratore, li distruggerà e li abbatterà davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in fretta, come il Signore ti ha detto.4Quando il Signore tuo Dio li avrà scacciati dinanzi a te, non pensare: A causa della mia giustizia, il Signore mi ha fatto entrare in possesso di questo paese; mentre per la malvagità di queste nazioni il Signore le scaccia dinanzi a te.5No, tu non entri in possesso del loro paese a causa della tua giustizia, né a causa della rettitudine del tuo cuore; ma il Signore tuo Dio scaccia quelle nazioni dinanzi a te per la loro malvagità e per mantenere la parola che il Signore ha giurato ai tuoi padri, ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe.6Sappi dunque che non a causa della tua giustizia il Signore tuo Dio ti dà il possesso di questo fertile paese; anzi tu sei un popolo di dura cervice.
7Ricordati, non dimenticare, come hai provocato all'ira il Signore tuo Dio nel deserto. Da quando usciste dal paese d'Egitto fino al vostro arrivo in questo luogo, siete stati ribelli al Signore.8Anche sull'Oreb provocaste all'ira il Signore; il Signore si adirò contro di voi fino a volere la vostra distruzione.9Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole dell'alleanza che il Signore aveva stabilita con voi, rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua;10il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva dette sul monte, in mezzo al fuoco, il giorno dell'assemblea.11Alla fine dei quaranta giorni e delle quaranta notti, il Signore mi diede le due tavole di pietra, le tavole dell'alleanza.12Poi il Signore mi disse: Scendi in fretta di qui, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dall'Egitto, si è traviato; presto si sono allontanati dalla via che io avevo loro indicata: si sono fatti un idolo di metallo fuso.13Il Signore mi aggiunse: Io ho visto questo popolo; ecco, è un popolo di dura cervice;14lasciami fare; io li distruggerò e cancellerò il loro nome sotto i cieli e farò di te una nazione più potente e più grande di loro.15Così io mi volsi e scesi dal monte, dal monte tutto in fiamme, tenendo nelle mani le due tavole dell'alleanza.16Guardai ed ecco, avevate peccato contro il Signore vostro Dio; vi eravate fatto un vitello di metallo fuso; avevate ben presto lasciato la via che il Signore vi aveva imposta.17Allora afferrai le due tavole, le gettai con le mie mani e le spezzai sotto i vostri occhi.18Poi mi prostrai davanti al Signore, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane né bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso, facendo ciò che è male agli occhi del Signore per provocarlo.19Io avevo paura di fronte all'ira e al furore di cui il Signore era acceso contro di voi, al punto di volervi distruggere. Ma il Signore mi esaudì anche quella volta.20Anche contro Aronne il Signore si era fortemente adirato, al punto di volerlo far perire; io pregai in quell'occasione anche per Aronne.21Poi presi l'oggetto del vostro peccato, il vitello che avevate fatto, lo bruciai nel fuoco, lo feci a pezzi, frantumandolo finché fosse ridotto in polvere, e buttai quella polvere nel torrente che scende dal monte.
22Anche a Tabera, a Massa e a Kibrot-Taava, voi provocaste il Signore.23Quando il Signore volle farvi partire da Kades-Barnea dicendo: Entrate e prendete in possesso il paese che vi dò, voi vi ribellaste all'ordine del Signore vostro Dio, non aveste fede in lui e non obbediste alla sua voce.24Siete stati ribelli al Signore da quando vi ho conosciuto.
25Io stetti prostrato davanti al Signore, quei quaranta giorni e quelle quaranta notti, perché il Signore aveva minacciato di distruggervi.26Pregai il Signore e dissi: Signore Dio, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai riscattato nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall'Egitto con mano potente.
27Ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo e alla sua malvagità e al suo peccato,28perché il paese da dove ci hai fatti uscire non dica: Poiché il Signore non era in grado di introdurli nella terra che aveva loro promessa e poiché li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto.29Al contrario essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu hai fatto uscire dall'Egitto con grande potenza e con braccio teso.


Siracide 39

1Differente è il caso di chi si applica
e medita la legge dell'Altissimo.
Egli indaga la sapienza di tutti gli antichi,
si dedica allo studio delle profezie.
2Conserva i detti degli uomini famosi,
penetra le sottigliezze delle parabole,
3indaga il senso recondito dei proverbi
e s'occupa degli enigmi delle parabole.
4Svolge il suo compito fra i grandi,
è presente alle riunioni dei capi,
viaggia fra genti straniere,
investigando il bene e il male in mezzo agli uomini.
5Di buon mattino rivolge il cuore
al Signore, che lo ha creato, prega davanti all'Altissimo,
apre la bocca alla preghiera, implora per i suoi peccati.
6Se questa è la volontà del Signore grande,
egli sarà ricolmato di spirito di intelligenza,
come pioggia effonderà parole di sapienza,
nella preghiera renderà lode al Signore.
7Egli dirigerà il suo consiglio e la sua scienza,
mediterà sui misteri di Dio.
8Farà brillare la dottrina del suo insegnamento,
si vanterà della legge dell'alleanza del Signore.
9Molti loderanno la sua intelligenza,
egli non sarà mai dimenticato,
non scomparirà il suo ricordo,
il suo nome vivrà di generazione in generazione.
10I popoli parleranno della sua sapienza,
l'assemblea proclamerà le sue lodi.
11Finché vive, lascerà un nome più noto di mille,
quando muore, avrà già fatto abbastanza per sé.

12Esporrò ancora le mie riflessioni,
ne sono pieno come la luna a metà mese.
13Ascoltatemi, figli santi, e crescete
come una pianta di rose su un torrente.
14Come incenso spandete un buon profumo,
fate fiorire fiori come il giglio,
spargete profumo e intonate un canto di lode;
benedite il Signore per tutte le opere sue.
15Magnificate il suo nome;
proclamate le sue lodi
con i vostri canti e le vostre cetre;
così direte nella vostra lode:
16"Quanto sono magnifiche tutte le opere del Signore!
Ogni sua disposizione avrà luogo a suo tempo!".
Non c'è da dire: "Che è questo? Perché quello?".
Tutte le cose saranno indagate a suo tempo.
17Alla sua parola l'acqua si ferma come un cumulo,
a un suo detto si aprono i serbatoi delle acque.
18A un suo comando si realizza quanto egli vuole;
nessuno può ostacolare il suo aiuto.
19Ogni azione umana è davanti a lui,
non è possibile nascondersi ai suoi occhi.
20Il suo sguardo passa da un'eternità all'altra,
nulla è straordinario davanti a lui.
21Non c'è da dire: "Che è questo? Perché quello?"
poiché tutte le cose sono state create per un fine.
22La sua benedizione si diffonde come un fiume
e irriga come un'inondazione la terra.
23Così le genti sperimenteranno la sua ira,
come trasformò le acque in deserto salato.
24Le sue vie sono diritte per i santi,
ma per gli empi piene di inciampi.
25I beni per i buoni furon creati sin da principio,
ma anche i mali per i peccatori.
26Le cose di prima necessità per la vita dell'uomo sono:
acqua, fuoco, ferro, sale,
farina di frumento, latte, miele,
succo di uva, olio e vestito.
27Tutte queste cose per i pii sono beni,
ma per i peccatori diventano mali.
28Ci sono venti creati per castigo,
e nella loro furia rafforzano i loro flagelli;
quando verrà la fine, scateneranno violenza,
e placheranno lo sdegno del loro creatore.
29Fuoco, grandine, fame e morte
son tutte cose create per il castigo.
30Denti delle fiere, scorpioni e vipere,
e spade vendicatrici sono per la rovina degli empi.
31Esulteranno al comando divino;
sono pronte sulla terra per tutti i bisogni.
A tempo opportuno non trasgrediranno la parola.
32Per questo ero convinto fin dal principio,
vi ho riflettuto e l'ho messo per iscritto:
33"Tutte le opere del Signore sono buone;
egli provvederà tutto a suo tempo".
34Non c'è da dire: "Questo è peggiore di quello",
a suo tempo ogni cosa sarà riconosciuta buona.
35Ora cantate inni con tutto il cuore e con la bocca
e benedite il nome del Signore.


Salmi 107

1Alleluia.

Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
2Lo dicano i riscattati del Signore,
che egli liberò dalla mano del nemico
3e radunò da tutti i paesi,
dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.

4Vagavano nel deserto, nella steppa,
non trovavano il cammino per una città dove abitare.
5Erano affamati e assetati,
veniva meno la loro vita.
6Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
7Li condusse sulla via retta,
perché camminassero verso una città dove abitare.
8Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
9poiché saziò il desiderio dell'assetato,
e l'affamato ricolmò di beni.

10Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
11perché si erano ribellati alla parola di Dio
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo.
12Egli piegò il loro cuore sotto le sventure;
cadevano e nessuno li aiutava.

13Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
14Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte
e spezzò le loro catene.
15Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
16perché ha infranto le porte di bronzo
e ha spezzato le barre di ferro.

17Stolti per la loro iniqua condotta,
soffrivano per i loro misfatti;
18rifiutavano ogni nutrimento
e già toccavano le soglie della morte.
19Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

20Mandò la sua parola e li fece guarire,
li salvò dalla distruzione.
21Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
22Offrano a lui sacrifici di lode,
narrino con giubilo le sue opere.

23Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
24videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
25Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
26Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
27Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
28Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

29Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
30Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato.

31Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
32Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
lo lodino nel consesso degli anziani.

33Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d'acqua
34e la terra fertile a palude
per la malizia dei suoi abitanti.
35Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.

36Là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare.
37Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
38Li benedisse e si moltiplicarono,
non lasciò diminuire il loro bestiame.
39Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti,
perché oppressi dalle sventure e dal dolore.
40Colui che getta il disprezzo sui potenti,
li fece vagare in un deserto senza strade.

41Ma risollevò il povero dalla miseria
e rese le famiglie numerose come greggi.
42Vedono i giusti e ne gioiscono
e ogni iniquo chiude la sua bocca.
43Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà la bontà del Signore.


Daniele 11

1 e io, nell'anno primo di Dario, mi tenni presso di lui per dargli rinforzo e sostegno.
2Ed ora io ti manifesterò la verità. Ecco, vi saranno ancora tre re in Persia: poi il quarto acquisterà ricchezze superiori a tutti gli altri e dopo essersi reso potente con le ricchezze, muoverà con tutti i suoi contro il regno di Grecia.3Sorgerà quindi un re potente e valoroso, il quale dominerà sopra un grande impero e farà ciò che vuole;4ma appena si sarà affermato, il suo regno verrà smembrato e diviso ai quattro venti del cielo, ma non fra i suoi discendenti né con la stessa forza che egli possedeva; il suo regno sarà infatti smembrato e dato ad altri anziché ai suoi discendenti.
5Il re del mezzogiorno diverrà potente e uno dei suoi capitani sarà più forte di lui e il suo impero sarà grande.6Dopo qualche anno faranno alleanza e la figlia del re del mezzogiorno verrà al re del settentrione per fare la pace, ma non potrà mantenere la forza del suo braccio e non resisterà né lei né la sua discendenza e sarà condannata a morte insieme con i suoi seguaci, il figlio e il marito.7In quel tempo, da un germoglio delle sue radici sorgerà uno, al posto di costui, e verrà con un esercito e avanzerà contro le fortezze del re del settentrione, le assalirà e se ne impadronirà.8Condurrà in Egitto i loro dèi con le loro immagini e i loro preziosi oggetti d'oro e d'argento, come preda di guerra, poi per qualche anno si asterrà dal contendere con il re del settentrione.9Questi muoverà contro il re del mezzogiorno, ma se ne ritornerà nel suo paese.
10Poi suo figlio si preparerà alla guerra, raccogliendo una moltitudine di grandi eserciti, con i quali avanzerà come una inondazione: attraverserà il paese per attaccare di nuovo battaglia e giungere sino alla sua fortezza.11Il re del mezzogiorno, inasprito, uscirà per combattere con il re del settentrione, che si muoverà con un grande esercito, ma questo cadrà in potere del re del mezzogiorno,12il quale dopo aver disfatto quell'esercito si gonfierà d'orgoglio, ma pur avendo abbattuto decine di migliaia, non per questo sarà più forte.13Il re del settentrione di nuovo metterà insieme un grande esercito, più grande di quello di prima, e dopo qualche anno avanzerà con un grande esercito e con grande apparato.14In quel tempo molti si alzeranno contro il re del mezzogiorno e uomini violenti del tuo popolo insorgeranno per adempiere la visione, ma cadranno.15Il re del settentrione verrà, costruirà terrapieni e occuperà una città ben fortificata. Le forze del mezzogiorno, con truppe scelte, non potranno resistere, mancherà loro la forza per opporre resistenza.16L'invasore farà ciò che vuole e nessuno gli si potrà opporre; si stabilirà in quella magnifica terra e la distruzione sarà nelle sue mani.17Quindi si proporrà di occupare tutto il regno del re del mezzogiorno, stipulerà un'alleanza con lui e gli darà sua figlia per rovinarlo, ma ciò non riuscirà e non raggiungerà il suo scopo.
18Poi volgerà le mire alle isole e ne prenderà molte, ma un comandante straniero farà cessare la sua arroganza, facendola ricadere sopra di lui.19Si volgerà poi verso le fortezze del proprio paese, ma inciamperà, cadrà, scomparirà.20Sorgerà quindi al suo posto uno che manderà esattori nella terra perla del suo regno, ma in pochi giorni sarà stroncato, non nel furore di una rivolta né in battaglia.

21Gli succederà poi un uomo abbietto, privo di dignità regale: verrà di nascosto e occuperà il regno con la frode.22Le forze armate saranno annientate davanti a lui e sarà stroncato anche il capo dell'alleanza.23Non appena sarà stata stipulata un'alleanza con lui, egli agirà con la frode, crescerà e si consoliderà con poca gente.24Entrerà di nascosto nei luoghi più fertili della provincia e farà cose che né i suoi padri né i padri dei suoi padri osarono fare; distribuirà alla sua gente preda, spoglie e ricchezze e ordirà progetti contro le fortezze, ma ciò fino ad un certo tempo.
25La sua potenza e il suo ardire lo spingeranno contro il re del mezzogiorno con un grande esercito e il re del mezzogiorno verrà a battaglia con un grande e potente esercito, ma non potrà resistere, perché si ordiranno congiure contro di lui:26i suoi stessi commensali saranno causa della sua rovina; il suo esercito sarà travolto e molti cadranno uccisi.27I due re non penseranno che a farsi del male a vicenda e seduti alla stessa tavola parleranno con finzione, ma senza riuscire nei reciproci intenti, perché li attenderà la fine, al tempo stabilito.28Egli ritornerà nel suo paese con grandi ricchezze e con in cuore l'avversione alla santa alleanza: agirà secondo i suoi piani e poi ritornerà nel suo paese.29Al tempo determinato verrà di nuovo contro il paese del mezzogiorno, ma quest'ultima impresa non riuscirà come la prima.30Verranno contro lui navi dei Kittìm ed egli si sentirà scoraggiato e tornerà indietro. Si volgerà infuriato e agirà contro la santa alleanza, e nel suo ritorno se la intenderà con coloro che avranno abbandonato la santa alleanza.31Forze da lui armate si muoveranno a profanare il santuario della cittadella, aboliranno il sacrificio quotidiano e vi metteranno l'abominio della desolazione.
32Con lusinghe egli sedurrà coloro che avranno apostatato dall'alleanza, ma quanti riconoscono il proprio Dio si fortificheranno e agiranno.33I più saggi tra il popolo ammaestreranno molti, ma cadranno di spada, saranno dati alle fiamme, condotti in schiavitù e saccheggiati per molti giorni.34Mentre così cadranno, riceveranno un po' di aiuto: molti però si uniranno a loro ma senza sincerità.35Alcuni saggi cadranno perché fra di loro ve ne siano di quelli purificati, lavati, resi candidi fino al tempo della fine, che dovrà venire al tempo stabilito.
36Il re dunque farà ciò che vuole, s'innalzerà, si magnificherà sopra ogni dio e proferirà cose inaudite contro il Dio degli dèi e avrà successo finché non sarà colma l'ira; poiché ciò che è stato determinato si compirà.37Egli non si curerà neppure delle divinità dei suoi padri né del dio amato dalle donne, né di altro dio, poiché egli si esalterà sopra tutti.38Onorerà invece il dio delle fortezze: onorerà, con oro e argento, con gemme e con cose preziose, un dio che i suoi padri non hanno mai conosciuto.39Nel nome di quel dio straniero attaccherà le fortezze e colmerà di onori coloro che lo riconosceranno: darà loro il potere su molti e distribuirà loro terre in ricompensa.

40Al tempo della fine il re del mezzogiorno si scontrerà con lui e il re del settentrione gli piomberà addosso, come turbine, con carri, con cavalieri e molte navi; entrerà nel suo territorio invadendolo.41Entrerà anche in quella magnifica terra e molti paesi soccomberanno. Questi però scamperanno dalla sua mano: Edom, Moab e gran parte degli Ammoniti.42Metterà così la mano su molti paesi; neppure l'Egitto scamperà.43S'impadronirà di tesori d'oro e d'argento e di tutte le cose preziose d'Egitto: i Libi e gli Etiopi saranno al suo seguito.44Ma notizie dall'oriente e dal settentrione lo turberanno: egli partirà con grande ira per distruggere e disperdere molti.45Pianterà le tende del suo palazzo fra il mare e il bel monte santo: poi giungerà alla fine e nessuno verrà in suo aiuto.


Prima lettera ai Corinzi 15

1Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi,2e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture,4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.9Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.10Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.11Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
12Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?13Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!14Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede.15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;17ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.18E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.19Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
20Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.21Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;22e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo.23Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo;24poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.25Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.26L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte,27perché 'ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi'. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa.28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
29Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?30E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente?31Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore!32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, 'mangiamo e beviamo, perché domani moriremo'.33Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi".34Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

35Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?".36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore;37e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere.38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo.39Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci.40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri.41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore.42Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile;43si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza;44si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che45il primo 'uomo', Adamo, 'divenne un essere vivente', ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.47Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo.48Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.49E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.50Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.
51Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati,52in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.

54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:

'La morte è stata ingoiata per la vittoria.'
55'Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione'?

56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.57Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.


Capitolo XXIII: La meditazione della morte

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 1. Ben presto la morte sarà qui, presso di te. Considera, del resto, la tua condizione: l'uomo oggi c'è e domani è scomparso; e quando è sottratto alla vista, rapidamente esce anche dalla memoria. Quanto grandi sono la stoltezza e la durezza di cuore dell'uomo: egli pensa soltanto alle cose di oggi e non piuttosto alle cose future. In ogni azione, in ogni pensiero, dovresti comportarti come se tu dovessi morire oggi stesso; ché, se avrai retta la coscienza, non avrai molta paura di morire. Sarebbe meglio star lontano dal peccato che sfuggire alla morte. Se oggi non sei preparato a morire, come lo sarai domani? Il domani è una cosa non sicura: che ne sai tu se avrai un domani? A che giova vivere a lungo, se correggiamo così poco noi stessi? Purtroppo, non sempre una vita lunga corregge i difetti; anzi spesso accresce maggiormente le colpe. Magari potessimo passare santamente anche una sola giornata in questo mondo. Molti fanno il conto degli anni trascorsi dalla loro conversione a Dio; ma scarso è sovente il frutto della loro emendazione. Certamente morire è cosa che mette paura; ma forse è più pericoloso vivere a lungo. Beato colui che ha sempre dinanzi agli occhi l'ora della sua morte ed è pronto ogni giorno a morire. Se qualche volta hai visto uno morire, pensa che anche tu dovrai passare per la stessa strada. La mattina, fa conto di non arrivare alla sera; e quando poi si farà sera non osare sperare nel domani. Sii dunque sempre pronto; e vivi in tal modo che, in qualunque momento, la morte non ti trovi impreparato.  

2. Sono molti coloro che muoiono in un istante, all'improvviso; giacché "il Figlio dell'uomo verrà nell'ora in cui non si pensa che possa venire" (Mt 24,44; Lc 12,40). Quando sarà giunto quel momento estremo, comincerai a giudicare ben diversamente tutta la tua vita passata, e molto ti dorrai di esser stato tanto negligente e tanto fiacco. Quanto é saggio e prudente l'uomo che, durante la vita, si sforza di essere quale desidera esser trovato al momento della morte! Ora, una piena fiducia di morire santamente la daranno il completo disprezzo del mondo, l'ardente desiderio di progredire nelle virtù, l'amore del sacrificio, il fervore nella penitenza, la rinuncia a se stesso e il saper sopportare ogni avversità per amore di Cristo. Mentre sei in buona salute, molto puoi lavorare nel bene; non so, invece, che cosa potrai fare quando sarai ammalato. Giacché sono pochi quelli che, per il fatto di essere malati, diventano più buoni; così come sono pochi quelli che, per il fatto di andare frequentemente in pellegrinaggio, diventano più santi. Non credere di poter rimandare a un tempo futuro la tua salvezza, facendo affidamento sui suffragi degli amici e dei parenti; tutti costoro ti dimenticheranno più presto di quanto tu non creda. Perciò, più che sperare nell'aiuto di altri, è bene provvedere ora, fin che si è in tempo, mettendo avanti un po' di bene. Ché, se non ti prendi cura di te stesso ora, chi poi si prenderà cura di te? Questo è il tempo veramente prezioso; sono questi i giorni della salvezza; è questo il tempo che il Signore gradisce (2Cor 6,2). Purtroppo, invece, questo tempo tu non lo spendi utilmente in cose meritorie per la vita eterna. Verrà il momento nel quale chiederai almeno un giorno o un'ora per emendarti; e non so se l'otterrai. Ecco, dunque, mio caro, di quale pericolo ti potrai liberare, a quale pericolo ti potrai sottrarre, se sarai stato sempre nel timore di Dio, in vista della morte. Procura di vivere ora in modo tale che, nell'ora della morte, tu possa avere letizia, anziché paura; impara a morire al mondo, affinché tu cominci allora a vivere con Cristo; impara ora a disprezzare ogni cosa, affinché tu possa allora andare liberamente a Cristo; mortifica ora il tuo corpo con la penitenza, affinché tu passa allora essere pieno di fiducia.  

3. Stolto, perché vai pensando di vivere a lungo, mentre non sei sicuro di avere neppure una giornata? Quante persone sono state ingannate, inaspettatamente tolte a questa vita! Quante volte hai sentito dire che uno è morto di ferite e un altro è annegato; che uno, cadendo dall'alto, si è rotto la testa; che uno si è soffocato mentre mangiava e un altro è morto mentre stava giocando? Chi muore per fuoco, chi per spada; chi per una pestilenza, chi per un assalto dei predoni. Insomma, comunque destino è la morte; e passa rapidamente come un'ombra la vita umana. Chi si ricorderà di te, dopo che sarai scomparso, e chi pregherà per te? Fai, o mio caro, fai ora tutto quello che sei in grado di fare, perché non conosci il giorno della tua morte; né sai che cosa sarà di te dopo. Accumula, ora, ricchezze eterne, mentre sei in tempo. Non pensare a nient'altro che alla tua salvezza; preoccupati soltanto delle cose di Dio. Fatti ora degli amici, venerando i santi di Dio e imitando le loro azioni, "affinché ti ricevano nei luoghi eterni, quando avrai lasciato questa vita" (Lc 16,9). Mantienti, su questa terra, come uno che è di passaggio; come un ospite, che non ha a che fare con le faccende di questo mondo. Mantieni libero il tuo cuore, e rivolto al cielo, perché non hai stabile dimora quaggiù (Eb 13,14). Al cielo rivolgi continue preghiere e sospiri e lacrime, affinché, dopo la morte, la tua anima sia degna di passare felicemente al Signore. Amen.


La Genesi alla lettera: Libro dodicesimo

La Genesi alla lettera - Sant'Agostino

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Tema del libro; il paradiso di cui parla San Paolo.

1. 1. Commentando il libro della sacra Scrittura intitolato La Genesi dal principio fino all'espulsione del primo uomo dal paradiso, abbiamo composto undici libri sia affermando e difendendo ciò che per noi è certo, sia ricercando ed esprimendo le nostre opinioni o esitazioni su ciò che è incerto. Quanto abbiamo potuto e come l'abbiamo potuto [spiegare], l'abbiamo esposto e messo per iscritto non tanto per prescrivere a ciascuno che cosa pensare sui punti oscuri, quanto per mostrare la necessità d'essere istruiti noi stessi su ciò di cui noi dubitavamo, e per distogliere il lettore dal fare affermazioni temerarie su problemi per i quali non siamo riusciti a presentare una dottrina sicura. In questo dodicesimo libro, al contrario, ormai liberi dalla preoccupazione, da cui eravamo impediti, di spiegare punto per punto il testo delle Sacre Scritture, tratteremo con maggior libertà ed ampiezza la questione del paradiso perché non si creda che abbiamo voluto evitare di chiarire ciò che pare insinuare l'Apostolo, che cioè il paradiso sia situato al terzo cielo, quando dice: So che quattordici anni fa un uomo in Cristo, non so se con il corpo o se fuori del corpo, lo sa Dio, fu rapito fino al terzo cielo. So inoltre che quest'uomo, non so se con il corpo o senza il corpo, solo Dio lo sa, fu rapito in paradiso e udì parole ineffabili che a un uomo non è possibile pronunciare 1.

Il terzo cielo è forse identico al paradiso?

1. 2. A proposito di queste parole il primo quesito che di solito ci si pone è che cosa intende dire l'Apostolo quando parla del "terzo cielo", e in secondo luogo se vuol farci intendere che lì è il paradiso oppure vuol dire che, dopo essere stato rapito al "terzo cielo", fu rapito anche nel paradiso dovunque questo si trovi; sicché essere rapito al "terzo cielo" non sarebbe la stessa cosa ch'essere rapito nel paradiso, ma prima sarebbe stato rapito al "terzo cielo" e poi di lì nel paradiso. È un problema tanto oscuro che, a mio avviso, non può essere risolto se uno - basandosi non [solo] sulle parole dell'Apostolo citate più sopra, ma anche su altri eventuali passi della sacra Scrittura o su ragioni evidenti - non riuscirà a trovare un argomento capace di provare che cosa è o non è il paradiso; se cioè è sito nel "terzo cielo", poiché non appare chiaro neppure se lo stesso "terzo cielo" è da considerarsi come un luogo materiale o forse come una condizione spirituale. Si potrebbe in realtà affermare che un uomo avrebbe potuto essere rapito con il suo corpo solo in un luogo materiale ma poiché [in questo passo] l'Apostolo afferma anche di non sapere se fu rapito nel corpo o fuori del corpo, chi oserebbe affermare di sapere ciò che l'Apostolo afferma di non sapere? Tuttavia se lo spirito senza il corpo non può essere rapito in luoghi materiali né un corpo in luoghi spirituali, la stessa incertezza dell'Apostolo - dal momento che nessuno dubita che fa quell'affermazione parlando di se stesso - ci costringe in un certo senso ad ammettere che il luogo ove fu rapito l'Apostolo era tale che non si potrebbe sapere né distinguere se fosse materiale o spirituale.

Le visioni nel sogno.

2. 3. Quando infatti nel sogno o nell'estasi si formano immagini corporee, queste non si distinguono affatto dai corpi se non quando, ripreso l'uso dei sensi del corpo, la persona riconosce d'essere stata tra quelle immagini ch'essa non percepiva per mezzo dei sensi del corpo. Chi, infatti, destatosi dal sonno, non si accorge subito che le cose viste in sogno erano [puramente] immaginarie, sebbene - quando le vedeva nel sogno - non fosse capace di distinguerle dalle visioni degli oggetti percepiti dagli individui che sono desti? Io tuttavia so che a me è capitato - e non dubito quindi che anche altri possa aver avuto o possa avere la stessa mia esperienza - di veder qualche cosa in sogno e d'essere conscio che la vedevo in sogno e che le immagini, che di solito c'ingannano ritenendole reali, non erano dei veri corpi, ma anche dormendo ero perfettamente sicuro e convinto che quelle immagini erano solo fantasie che mi venivano in sogno. Ciononostante io talvolta mi sono ingannato: come quando, vedendo ugualmente nel sogno un mio amico, mi sforzavo di persuaderlo di questa stessa verità, che cioè le cose che noi vedevamo, non erano corpi ma solo immagini di persone sognanti, sebbene m'apparisse anche lui certamente tra quelle immagini nella stessa loro forma. Cionondimeno io dicevo altresì che non era neppure vero che noi fossimo a conversare insieme e che anch'egli nel sonno vedeva allora qualche altra cosa e ignorava assolutamente se io vedevo quegli oggetti. Quando però mi sforzavo di convincerlo ch'egli non era lì in persona, d'altra parte ero anche propenso a pensare ch'egli era lì poiché non avrei certamente potuto conversare con lui se avessi avuto l'esatta impressione ch'egli in persona non era lì. Per conseguenza la mia anima, benché in modo misterioso fosse sveglia mentre io dormivo, poteva essere lo zimbello solo d'immagini corporee come se fossero dei veri corpi.

Visioni nell'estasi.

2. 4. A proposito dell'estasi ho potuto sentire quanto dichiarava un tale, un campagnolo a mala pena capace d'esprimere ciò di cui aveva avuto esperienza: egli sapeva ch'era sveglio e vedeva qualcosa ma non con gli occhi del corpo. Per dirlo con le sue parole e per quanto io posso ricordarmele: "A veder lui - mi raccontava - era l'anima mia, non erano i miei occhi; io non sapevo tuttavia se fosse un corpo o l'immagine d'un corpo". Egli non era capace di discernere di che si trattasse ma era tanto semplice e sincero che lo ascoltavo come se fossi stato io stesso a vedere ciò che egli mi narrava d'aver visto.

Visioni riferite dalla Scrittura.

2. 5. Se perciò Paolo vide il paradiso così come a Pietro apparve il vassoio calato giù dal cielo 2, a Giovanni apparvero tutte le visioni descritte nell'Apocalisse 3, a Ezechiele apparve la pianura piena d'ossa di morti e la loro risurrezione 4, a Isaia apparve Dio assiso [sul suo trono] e davanti a lui i Serafini e l'altare da cui fu preso il carbone ardente che purificò le labbra del Profeta 5, è evidente che [Paolo] non poteva sapere se vedeva quelle cose nel corpo o fuori del corpo.

Di qual natura fu la visione dell'Apostolo.

3. 6. Ma se quelle realtà furono viste da San Paolo fuori del suo corpo e non erano corpi, possiamo chiederci ancora se fossero immagini di cose corporee oppure una sostanza che non ha alcuna somiglianza con i corpi, così com'è Dio, com'è lo spirito o l'intelligenza o la ragione dell'uomo, così come sono le virtù della prudenza, giustizia, castità, pietà e tutte le altre realtà di qualsiasi specie che noi enumeriamo, distinguiamo, definiamo con l'intelligenza o con il pensiero senza percepirne non solo i lineamenti o i colori ma neppure il suono, l'odore e il sapore, senza che il tatto ne abbia la sensazione di caldo o di freddo, di molle o di duro, di liscio o di ruvido, ma le percepiamo per mezzo di un'altra visione, di un'altra luce, di un'altra evidenza, di gran lunga più eccellente e più sicura di tutte le altre.

Perché l'Apostolo non dice come poté vedere quanto vide?

3. 7. Ritorniamo dunque alle medesime parole dell'Apostolo ed esaminiamole più attentamente fissando anzitutto nel nostro intelletto la inconcussa convinzione che il suo discernimento della natura corporea e incorporea era immensamente più perfetto di quel che noi riusciamo a conoscere per quanti sforzi facciamo. Se dunque egli sapeva che per mezzo del corpo non possono affatto vedersi le realtà spirituali né fuori del corpo possono vedersi quelle corporali, per qual motivo non precisò in qual modo poté vederle quando si riferisce proprio alle realtà vedute? Se infatti era sicuro ch'erano realtà spirituali, perché non era ugualmente sicuro d'averle viste fuori del corpo? Se invece sapeva ch'erano realtà corporali, come mai non sapeva anche che non avrebbe potuto vederle se non per mezzo del corpo? Perché dunque dubita se le vide con il corpo o fuori del corpo, se non forse perché dubita ugualmente se quelle realtà fossero corpi o somiglianze di corpi? Vediamo dunque prima, in tutto il contesto del passo che esaminiamo, di che cosa egli non dubita e così, quando resterà solo ciò di cui dubita, dalle sue certezze apparirà forse anche il motivo del suo dubbio.

Paolo assicura d'essere stato rapito realmente al terzo cielo.

3. 8. So - egli dice - che un uomo in Cristo quattordici anni fa, non so se con il corpo o fuori del corpo, solo Dio lo sa, fu rapito fino al terzo cielo 6. Egli dunque sa che quattordici anni prima un uomo in Cristo era stato rapito fino al terzo cielo. Di ciò egli non ha il minimo dubbio e quindi non dobbiamo dubitare neppure noi. Paolo però dubita d'essere stato rapito con il suo corpo o fuori del corpo; se perciò egli ne dubita, chi di noi oserà esserne certo? Ne verrà forse anche di conseguenza che possiamo dubitare dell'esistenza del terzo cielo, in cui dice che quell'uomo fu rapito? Se infatti gli fu mostrata [in un sogno ispirato] la realtà oggettiva, gli fu mostrato il terzo cielo; se invece gli fu mostrata solo un'immagine somigliante a realtà materiali, quello non era il terzo cielo, ma la visione si svolse secondo un determinato ordine in modo che a Paolo sembrò di salire al primo cielo e poi di vederne un altro al di sopra di quello e di salirvi e di nuovo gli parve di vederne un altro ancora più alto e giunto a quest'ultimo l'Apostolo poté dire di essere stato rapito al terzo cielo. Ma che quello ov'era stato rapito fosse il terzo cielo, Paolo non ebbe alcun dubbio e volle che neppure noi ne dubitassimo. Ecco perché inizia il suo racconto dicendo: Io so; data questa premessa ciò che egli dice di sapere non lo crede vero se non chi non crede all'Apostolo.

Il terzo cielo non è un simbolo, l'immagine di una realtà materiale.

4. 9. Paolo dunque sa che quell'uomo fu rapito fino al terzo cielo. Per conseguenza il luogo ove fu rapito è realmente il terzo cielo e non un simbolo materiale come quello mostrato a Mosè, il quale però era tanto consapevole della differenza esistente tra la sostanza di Dio e la creatura visibile, con cui Dio si faceva vedere ai sensi umani e corporali, da dire: Mostrati a me in persona 7; per di più non era neppure l'immagine d'una sostanza corporale come quella che vedeva Giovanni con lo spirito, a proposito della quale domandava cosa fosse e gli veniva risposto: "È una città", oppure: "Sono popoli", o qualcos'altro, quando vedeva la bestia o la donna o le acque o qualche altro oggetto. Paolo invece dice: So che un uomo fu rapito al terzo cielo 8.

Il terzo cielo non è un'immagine spirituale.

4. 10. Se invece con il termine "cielo" avesse voluto denotare un'immagine spirituale somigliante a una sostanza corporale, sarebbe potuta essere così anche un'immagine del suo corpo quella in cui fu rapito e salì al terzo cielo. Parlerebbe dunque in questi termini anche del proprio corpo, benché si trattasse solo di un'immagine del cielo, e non si sarebbe preoccupato di precisare che cosa sapeva e che cosa non sapeva; sapeva cioè che quell'uomo era stato rapito fino al terzo cielo ma non sapeva se con il corpo o fuori del corpo, ma avrebbe semplicemente narrato la visione chiamando gli oggetti da lui visti con i nomi di altri oggetti a cui quelli rassomigliavano. Anche noi, quando raccontiamo i nostri sogni o qualche rivelazione avuta in sogno, diciamo: "Ho visto un monte", "Ho visto un fiume", "Ho visto tre persone" o altre cose del genere dando alle immagini il nome degli oggetti a cui erano simili; l'Apostolo invece dice: "Questo lo so; quest'altro non lo so".

Né il terzo cielo né il corpo apparvero a Paolo come immagini.

4. 11. Ma se tutte e due le cose gli apparvero sotto forma di un'immagine, ambedue gli erano ugualmente note o ugualmente ignote; se tuttavia egli vide realmente il cielo - e perciò gli era noto - in qual modo il corpo di quell'uomo poté apparirgli solamente sotto forma di un'immagine?

Di che natura era il cielo ove fu rapito Paolo.

4. 12. Poiché, se Paolo vedeva il cielo materiale, per qual motivo non si rendeva conto se lo vedeva con gli occhi del corpo? Se invece era incerto se lo vedeva con gli occhi del corpo o dello spirito (e perciò dice: Se [ciò avvenne] con il corpo o fuori del corpo io non lo so 9), come mai non gli era incerto anche se vedeva realmente il cielo materiale o questo gli si mostrava solo sotto forma di una immagine? Così pure, se vedeva una sostanza incorporea non sotto l'aspetto d'una immagine corporea ma così come si vede la giustizia, la sapienza e altre cose della stessa specie, e di tal natura era il cielo, è anche evidente che nulla di tale specie può vedersi con gli occhi del corpo. Per conseguenza, se sapeva d'aver visto qualcosa di tal genere, non poteva dubitare d'averlo visto in modo diverso che mediante gli occhi del corpo. So - egli dice - che un uomo in Cristo, quattordici anni fa... Questo lo so, e non ne dubiti nessuno che mi crede. Ma se nel corpo o fuori del corpo io non lo so, Dio solo lo sa 10.

Si discute se il cielo fosse corpo o spirito.

5. 13. Cos'è dunque, [o Paolo] ciò che tu sai e distingui da ciò che ignori, affinché quanti a te credono non siano ingannati? So - dice - che quell'uomo fu rapito fino al terzo cielo 11. Ma quel cielo o era un corpo o era uno spirito. Se era un corpo e fu visto con gli occhi del corpo, perché mai allora Paolo sa che è quel cielo ma non sa d'averlo visto con il corpo? Se invece era spirito, o gli fu presentata l'immagine d'un corpo - e allora resta tanto l'incertezza se fosse un corpo, quanto l'incertezza se lo vedesse con il corpo - oppure fu visto come è vista con la mente la sapienza senza bisogno di nessuna immagine corporea e tuttavia [in tal caso] è certo che non si sarebbe potuto vedere per mezzo del corpo. Perciò tutte e due le cose o sono vere o sono incerte; oppure come mai può esser certo ciò che fu visto, incerto invece il mezzo con cui fu visto? È evidente che Paolo non poté vedere una natura incorporea per mezzo del corpo. I corpi, al contrario, anche se non possono vedersi senza le loro qualità corporee visibili, vengono visti di certo per mezzo del corpo ma in modo assolutamente diverso - se c'è una visione di tal sorta --. Per conseguenza sarebbe strano che quest'altra sorta di visione potesse assomigliare così perfettamente a una visione oculare da trarre in inganno l'Apostolo o costringerlo a dubitare fino al punto che, avendo visto il cielo corporeo in modo diverso da quello che si vede con gli occhi del corpo, potesse dire d'essere incerto se lo vide con il corpo o fuori del corpo.

Diversi modi di ratti estatici.

5. 14. Poiché dunque l'Apostolo che si preoccupò tanto di precisare che cosa sapeva e che cosa non sapeva, non avrebbe potuto mentire, non ci resta forse altro se non intendere che l'oggetto della sua ignoranza era il seguente: se cioè mentre era rapito al cielo egli era nel suo corpo - come l'anima dell'uomo è nel corpo quando si dice che il corpo è in vita ma l'anima è estraniata dai sensi del corpo mentre è sveglio o dorme o è in estasi - o se realmente era fuori del corpo in modo che questo restava nella morte finché - al termine di quella visione - l'anima si sarebbe riunita alle sue membra esanimi. In tal caso egli non si sarebbe svegliato come uno che si desta dal sonno né sarebbe tornato a [percepire con] i propri sensi come uno dopo essere stato rapito in estasi, ma sarebbe tornato veramente a vivere di nuovo dopo essere morto. Per conseguenza ciò che Paolo vide quando fu rapito al terzo cielo - e afferma anche di sapere - lo vide nella sua realtà e non sotto un'immagine. Egli però era incerto se il rapimento fuori del corpo lasciò il suo corpo veramente morto o se la sua anima vi restò sempre in qualche modo presente come essa si trova in un corpo vivente finché la sua mente sarebbe stata rapita per vedere e udire i segreti ineffabili della visione; ecco perché, forse, egli afferma: Se con il corpo o fuori del corpo non lo so, lo sa Dio 12.

Le tre specie di visioni indicate in un sol precetto.

6. 15. Ora, gli oggetti che sono visti non già in immagine ma nella realtà, anche se non sono visti per mezzo del corpo, sono visti con una visione superiore a tutte le altre. Per quanto Dio mi aiuterà, cercherò di spiegare queste differenti specie di visioni. Quando leggiamo quest'unico precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso 13, incontriamo tre specie di visioni: una per mezzo degli occhi con cui vediamo le lettere; la seconda per mezzo dello spirito umano con cui c'immaginiamo il prossimo anche quando è assente; la terza mediante un'intuizione intellettiva con cui si vede l'amore stesso mediante l'intelligenza. Di queste tre specie di visioni la prima è manifesta a tutti poiché per mezzo di essa vediamo il cielo e la terra e tutto ciò che in essi cade sotto i nostri occhi. Quanto alla seconda specie di visione con cui ci rappresentiamo realtà materiali assenti non è difficile far capire in che consista, poiché noi ci rappresentiamo il cielo e la terra e tutto ciò che in essi possiamo vedere anche stando nell'oscurità. In questo caso però noi non vediamo nulla con gli occhi del corpo e tuttavia con l'anima vediamo delle immagini corporee - siano esse vere immagini rappresentanti corpi da noi visti e che ancora riteniamo nella memoria, oppure immagini fittizie come può formarle l'immaginazione. L'immagine, che ho in mente, di Cartagine, che io conosco, è diversa da quella, che mi formo, di Alessandria, che io non conosco. La terza specie di visioni, per cui vediamo intellettivamente l'amore, comprende le realtà che non hanno immagini simili o identiche a se stesse. Per esempio un uomo, un albero, il sole e qualunque altro corpo celeste o terrestre, se sono presenti, sono visti nella forma loro propria; se invece sono assenti, vengono resi presenti allo spirito per mezzo d'immagini impresse nell'anima. Vi sono due modi di vedere realtà di tal genere: l'una per mezzo dei sensi del corpo, l'altra per mezzo dello spirito in cui sono contenute le immagini. L'amore, al contrario, è forse visto in un modo quando è presente nella sua forma specifica, e diversamente quando è assente in qualche immagine che gli rassomiglia? No, di certo. Ma per quanto l'amore può essere visto dall'anima intellettiva, uno lo vede più chiaramente e un altro meno; se invece noi ce lo rappresentiamo con una sorta d'immagine corporea, esso non è [affatto] l'amore che noi vediamo.

Visioni corporali (sensibili), spirituali, intellettive.

7. 16. Queste sono tre specie di visioni, di cui abbiamo detto qualcosa anche nei libri precedenti, a seconda che l'argomento pareva esigerlo, senza tuttavia menzionarne il numero. Ora, dopo averle spiegate brevemente, poiché la questione che trattiamo ne esige una discussione un po' più diffusa, dobbiamo denotarle ciascuna con un termine determinato e appropriato per non perdere tempo in continue circonlocuzioni. La prima dunque la chiameremo "visione corporea", poiché è percepita dal corpo ed è presentata ai sensi del corpo; la seconda la chiameremo "visione spirituale", poiché tutto ciò che non è corpo e tuttavia è qualcosa, si chiama appunto - e giustamente - spirito, e certamente l'immagine di un corpo assente, benché sia simile a un corpo, non è un corpo e non lo è più dell'atto della visione con cui è percepita. La terza la chiameremo "visione intellettuale", poiché proviene dall'intelletto e sarebbe illogico chiamarla - ricorrendo a un neologismo - "mentale" con il pretesto ch'è percepita dalla mente.

Una cosa può essere chiamata corporale o in senso proprio o in senso figurato.

7. 17. Se volessi dare una ragione più esatta di questi termini, sarebbe necessario un discorso più lungo e più intricato, mentre è poco o per nulla necessario. Basta dunque sapere che una cosa è detta "corporea" o nel senso proprio quando si tratta di corpi, o in senso figurato, come nell'espressione: Poiché in lui abita corporalmente tutta la pienezza della divinità 14. In effetti la divinità non è un corpo ma, poiché Paolo chiama ombra delle realtà future 15 le pratiche religiose dell'Antico Testamento, usando l'analogia delle ombre [del mondo fisico], dice che la pienezza della divinità abita "corporalmente" in Cristo, poiché in lui si compie tutto ciò ch'era prefigurato da quelle ombre e così, in un certo senso Cristo è l'incarnazione di quelle ombre, cioè la realtà di quelle figure e di quei simboli. Allo stesso modo quindi che quelle figure sono chiamate "ombre" con un termine preso in senso figurato anziché in senso proprio, così anche quando dice che la pienezza della divinità abita "corporalmente" in Cristo, usa un termine in senso figurato.

Diversi sensi del termine "spirituale".

7. 18. Il termine "spirituale" si usa in diversi sensi. Per esempio anche il nostro corpo, nello stato in cui sarà nella risurrezione dei santi è chiamato "spirituale" dall'Apostolo allorché dice: Si semina un corpo naturale, risorgerà un corpo spirituale 16, poiché in modo meraviglioso, per la sua completa speditezza e incorruttibilità, sarà sottomesso allo spirito e senza alcun bisogno di alimenti corporali sarà vivificato solo dallo spirito, ma non perché avrà una sostanza incorporea. Per di più il corpo, come l'abbiamo adesso, non ha l'essenza di un'anima e non può essere identificato con l'anima anche se viene chiamato "animale". Anche l'aria della nostra atmosfera o il vento - che è il moto dell'aria - si chiama ugualmente "spirito", com'è detto nel Salmo: Fuoco, grandine, neve, ghiaccio, spirito della bufera 17. Si chiama "spirito" anche lo spirito dell'uomo e delle bestie, come dice la sacra Scrittura: Chi sa se lo spirito dell'uomo sale in alto e quello della bestia scende in basso nella terra? 18 Si chiama "spirito" la stessa mente razionale, in cui c'è - per così dire - un occhio dell'anima, a cui spetta l'immagine e la conoscenza di Dio. Ecco perché l'Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo, quello creato secondo Dio 19, mentre in un altro passo parla dell'uomo interiore che si rinnova per la conoscenza di Dio a immagine del suo Creatore 20. Così pure, dopo aver detto: Io quindi con la mente servo la legge di Dio, con la carne invece servo la legge del peccato 21, in un altro passo, ripetendo questo stesso concetto, dice: La carne ha desideri contrari a quelli dello spirito, sicché voi non fate quel che vorreste 22; e così ciò, che chiama "mente", lo chiama anche "spirito". Vien chiamato "spirito" anche Dio, come afferma il Signore nel Vangelo: Dio è spirito e quelli che l'adorano devono adorarlo in spirito e verità 23.

La visione spirituale.

8. 19. Da nessuno di questi sensi summenzionati, in cui è usato il termine "spirito", abbiamo preso quello per denotare come "spirituale" la specie di visione di cui stiamo ora trattando, ma l'abbiamo preso dall'uso singolare del termine, che troviamo nella Lettera ai Corinti, ove lo "spirito" è distinto dalla "mente" in un testo chiaro quant'altri mai: Se infatti pregherò in una lingua - è detto - il mio spirito prega ma la mia intelligenza resta senza frutto 24. In questo passo il termine "lingua" dev'essere intesa nel senso che si riferisce a espressioni di significato oscuro e mistico che non edificano alcuno se si toglie loro la comprensione che ne ha la mente, poiché non si comprende ciò che si ode. Per conseguenza Paolo dice anche: Chi parla in una lingua, non parla agli uomini ma a Dio, poiché nessuno intende mentre lo spirito dice cose misteriose 25. Paolo dunque indica assai chiaramente che in questo passo parla d'una sorta di lingua in cui sono dei segni, cioè, per così dire, delle immagini e somiglianza delle cose, che per esser compresi hanno bisogno d'essere intuiti dalla mente, e quando non sono compresi, Paolo dice che questi segni sono nello spirito e non già nella mente. Egli quindi dice più chiaramente: Se tu benedirai Dio solo con lo spirito, colui che occupa il posto di uno che non è istruito in qual modo risponderà Amen alla tua benedizione, dal momento che non sa cosa dici 26? Poiché dunque con la lingua - il membro del corpo ch'è mosso nella bocca quando si parla - sono emessi di certo segni delle cose ma non sono proferite le cose stesse, Paolo, usando una metafora, chiama "lingua" qualunque emissione di segni prima che siano compresi; quando però l'intelligenza - che è l'attività caratteristica e propria della mente - ne afferra il senso, allora si ha la rivelazione o la conoscenza o la profezia o l'insegnamento. Di conseguenza Paolo dice: Se io venissi da voi parlando in lingue, a che cosa vi sarei utile, se non vi parlassi per rivelarvi o farvi conoscere o profetizzare o insegnarvi qualcosa? 27 Egli intenderebbe dire che [ciò accade] quando l'intelligenza afferra il senso dei segni o, in altre parole, la lingua, affinché ciò ch'è percepito lo sia non solo con lo spirito ma anche con la mente.

Differenza tra "spirito" e "anima intellettiva".

9. 20. Pertanto coloro ai quali i segni erano presentati nello spirito mediante immagini d'oggetti materiali senza che la mente compisse la sua funzione di renderli anche comprensibili, non avevano ancora la profezia; e colui, che interpretava ciò che un altro aveva visto, era più profeta di colui che aveva [solo] visto. È dunque chiaro che la profezia attiene più alla mente che allo spirito, prendendo questo in un senso proprio particolare in relazione al nostro argomento, nel senso cioè d'una potenza dell'anima inferiore alla mente in cui sono formate le sembianze d'oggetti materiali. Così Giuseppe, che comprese il significato delle sette spighe e delle sette vacche, era perciò più profeta che non il Faraone che le aveva viste in sogno 28, poiché il Faraone aveva visto solo delle forme prodotte nel suo spirito mentre Giuseppe comprese quelle immagini con l'intelligenza della luce concessa alla sua mente. Il primo quindi aveva il dono delle lingue, il secondo invece il dono della profezia perché in quello c'era la rappresentazione delle immagini di certe cose, in questo l'interpretazione delle [stesse] immagini. Meno profeta è dunque chi, mediante immagini di cose materiali, vede nello spirito i segni delle cose significate, ma più profeta chi è dotato solo della capacità di comprenderle, ma sommamente profeta è chi è superiore agli altri per il fatto di possedere entrambe le doti: cioè non solo quella di vedere nello spirito le immagini rappresentative degli oggetti materiali ma anche quella di comprenderle con la vivacità dell'intelligenza. Tale era Daniele: la sua superiorità fu messa alla prova e fu dimostrata dal fatto che non solo riferì al re il sogno che quello aveva avuto ma gliene rivelò anche il significato 29; poiché le stesse immagini di oggetti materiali erano state formate nel suo spirito e la loro interpretazione era stata rivelata nella sua mente. Noi perciò usiamo il termine "spirito" nel senso usato dall'Apostolo là dove lo distingue dalla mente quando dice: Io pregherò con lo spirito ma pregherò anche con la mente 30, indicando con ciò che i segni delle cose vengono formati nello spirito e la loro interpretazione rifulge nella mente. In base a questa distinzione - ripeto - chiamiamo ora "spirituale" questa specie di visione con cui ci rappresentiamo [nel pensiero] le immagini degli oggetti anche assenti.

La visione intellettiva.

10. 21. Invece la visione intellettuale, ch'è propria della mente, è superiore alle altre. Il termine "intelletto", per quanto io ricordo, non può essere usato in un'ampia gamma di sensi, come sappiamo invece che ne ha il termine "spirito", poiché sia che diciamo "intellettuale", sia che diciamo "intelligibile", noi significhiamo la stessa cosa. Senonché alcuni hanno pensato che [tra i due termini] ci sia una differenza: secondo loro "intelligibile" sarebbe una realtà che si può percepire solo dall'intelligenza, "intellettuale" invece sarebbe la mente che comprende; ma che ci sia un essere percepibile solo dell'intelligenza e non sia anche dotato d'intelligenza è un problema grosso e difficile. Io al contrario credo che non ci sia alcuno che pensi o affermi l'esistenza d'un essere che conosca mediante l'intelligenza e non possa essere conosciuto anche dall'intelligenza, poiché la mente non può essere vista che dalla mente. Perciò, dato ch'essa può essere vista, è anche intelligibile e, dato che può anche vedere, è intellettuale secondo la distinzione ricordata or ora da noi. Messo quindi da parte il difficile problema se ci sia qualcosa che possa essere solo intelligibile senz'essere intelligente, per adesso prendiamo nello stesso senso i termini "intellettuale" e "intelligibile".

Gerarchia delle tre specie di visioni.

11. 22. Queste tre specie di visioni - corporale, spirituale e intellettuale - devono perciò essere esaminate una per una in modo che la ragione ascenda dall'inferiore alla superiore. Un po' più sopra abbiamo già citato come esempio in qual modo in una sola frase possano vedersi tutt'e tre le specie di visioni. Quando infatti si legge: Amerai il prossimo tuo come te stesso 31, si vedono le lettere materialmente, ci si presenta il prossimo spiritualmente e si contempla l'amore intellettualmente. Noi però possiamo rappresentarci spiritualmente anche le lettere quando sono lontane dalla vista [fisica] e si può vedere corporalmente anche il prossimo ch'è davanti ai nostri occhi; l'amore al contrario non può essere né visto nella sua essenza con gli occhi del corpo né venir pensato con lo spirito mediante un'immagine che sia la sembianza d'un copro, ma può essere conosciuto e percepito solo dalla mente, cioè dall'intelligenza. La visione corporale non sovrintende di certo a nessuna delle due specie di visioni, ma ciò che è percepito per mezzo di essa viene annunciato alla visione spirituale che agisce in certo qual modo da sovrintendente ad essa. Mi spiego: quando un oggetto è visto dagli occhi, immediatamente se ne forma l'immagine nello spirito; ma quella rappresentazione non è percepita da noi se non quando, rimossi gli occhi dall'oggetto che stavamo vedendo, ne scopriamo l'immagine nell'anima nostra. Se poi lo spirito è quello d'un essere irrazionale, per esempio d'una bestia, l'annuncio fatto dagli occhi giunge solo fino allo spirito. Se, al contrario, l'anima è razionale, l'annuncio arriva anche all'intelletto che presiede allo spirito. In tal modo, se l'oggetto percepito dagli occhi è annunciato allo spirito perché se ne formi in esso un'immagine, è il simbolo di qualche realtà, o il suo significato è compreso immediatamente dall'intelletto oppure viene ricercato, poiché non si può comprendere un simbolo né cercare di comprenderlo se non mediante la mente.

La visione del re Baldassarre.

11. 23. Il re Baldassarre vide le dita d'una mano che scrivevano sulla parete, e immediatamente l'immagine di un oggetto materiale formatosi per mezzo d'una sensazione corporea fu impressa nel suo spirito e rimase impressa nella sua immaginazione anche dopo ch'era avvenuta la visione ed era svanita. Il re la vedeva nello spirito ma non la comprendeva; quel segno non l'aveva compreso neanche quando veniva tracciato materialmente e appariva a gli occhi del corpo sebbene anche allora egli comprendesse che si trattava d'un segno ed era in grado di saperlo grazie alla funzione della mente. E poiché ne indagava il significato, era senz'altro la mente a fare quell'indagine. Ma non essendo il re riuscito a scoprirne il significato, si fece avanti Daniele che, grazie alla mente illuminata dallo spirito profetico rivelò al re conturbato il significato profetico del segno 32. A motivo di questa visione, ch'è propria della mente, Daniele fu dunque più profeta del re che aveva visto con gli occhi del corpo un segno materiale e presente nello spirito vedeva l'immagine dell'oggetto dopo ch'era scomparso, ma per mezzo dell'intelletto poteva solo riconoscere ch'era un segno e ricercarne il significato.

La visione di San Pietro.

11. 24. Pietro, mentre era rapito in estasi, vide scendere dal cielo un recipiente, legato ai quattro capi d'un lenzuolo, pieno di vari animali, quando udì anche una voce che gli diceva: Uccidi e mangia 33. Dopo aver ripreso i sensi, Pietro si chiedeva perplesso che significasse quella visione, quand'ecco lo Spirito annunciargli l'arrivo degli uomini inviati da Cornelio e dirgli: Ecco, degli uomini ti cercano, alzati, scendi e va' con loro poiché li ho mandati io 34. Giunto in casa di Cornelio, spiegò lui stesso il significato delle parole udite nella visione: Ciò che Dio ha mondato, non devi più chiamarlo profano 35, e poi disse: Dio però mi ha mostrato che non si deve chiamare profano o impuro alcun uomo 36. Poiché dunque egli era rapito in estasi fuor dei sensi del corpo quando vide quel recipiente, fu mediante lo spirito che udì anche le parole: Uccidi e mangia, e: Ciò che Dio ha mondato, non devi più chiamarlo profano. Ripresi poi i sensi del corpo, tutto ciò che aveva visto e udito lo riteneva nella memoria e vedeva le immagini nel medesimo spirito che aveva visto la visione e le considerava nel suo pensiero. Tutti quegli oggetti non erano realtà materiali ma [solo] immagini d'oggetti materiali sia quando le aveva viste dapprima nell'atto del rapimento estatico, sia quando in seguito le ricordava e le aveva presenti nell'immaginazione. Quando invece era perplesso e si sforzava di comprendere il significato di quei segni, era la sua mente a sforzarsi d'intenderli ma senza risultato finché non gli fu annunciato l'arrivo degli inviati da parte di Cornelio. Orbene, con l'aggiungersi a questa visione percepita con gli occhi del corpo anche la voce dello Spirito Santo, che nello spirito gli diceva di nuovo: Va' con loro - visione in cui lo Spirito non solo gli aveva mostrato quel segno ma aveva anche impresso in lui quelle parole - la sua intelligenza con l'aiuto di Dio comprese il significato di tutti quei segni. Un attento esame di questi ed analoghi fatti dimostra assai chiaramente che la visione corporale è ordinata a quella spirituale e quest'ultima a quella intellettuale.

Visione corporale (sensibile) e visione spirituale.

12. 25. Ma quando, essendo noi svegli, la mente non è rapita fuori dei sensi corporali e abbiamo una visione corporale, la distinguiamo da quella spirituale in cui ci rappresentiamo con l'immaginazione oggetti assenti, sia ritenendo nella memoria cose a noi già note, sia formando in qualche modo nello spirito l'immagine di cose a noi ignote, ma che tuttavia esistono, sia immaginando con la nostra libera fantasia cose che non esistono affatto in nessun luogo. Da tutti questi oggetti noi distinguiamo quelli materiali - che noi vediamo e sono presenti ai sensi del corpo - al punto che non abbiamo alcun dubbio che siano corpi reali e che quegli altri sono immagini di corpi. Quando invece o per una eccessiva tensione mentale o per un attacco violento di malattia - come di solito accade ai frenetici nell'accesso della febbre - o per l'unione di qualche altro spirito buono o cattivo, le immagini degli oggetti materiali s'imprimono nello spirito come se gli oggetti fossero presenti ai sensi del corpo pur rimanendo tuttavia l'attenzione dell'anima nei sensi del corpo. In tal caso le immagini degli oggetti materiali, che si formano nello spirito, si vedono come gli oggetti reali sono presenti ai sensi del corpo. Ne risulta che nello stesso tempo una persona, che è presente, si vede con gli occhi, mentre un'altra, che è assente, è vista con lo spirito come la si vedesse con gli occhi [del corpo]. Noi abbiamo conosciuto persone che in questo stato morboso conversavano sia con altre persone presenti in quel luogo, sia con altre assenti, come se fossero presenti. Tornate poi in sé, alcune raccontavano ciò che avevano visto, altre invece non ci riuscivano; allo stesso modo alcune si dimenticano dei sogni, altre invece se ne ricordano. Quando al contrario l'attenzione della mente è del tutto stornata e rapita fuori dai sensi del corpo, allora si parla ordinariamente piuttosto di estasi. In questo caso, pur avendo gli occhi spalancati, una persona non vede affatto alcun oggetto presente, qualunque esso sia, né sente affatto alcuna parola: lo sguardo dell'anima è interamente concentrato o nelle immagini degli oggetti viste nello spirito o nelle realtà incorporee presenti senz'alcuna rappresentazione d'immagini d'oggetti materiali.

Due casi di visione spirituale.

12. 26. Quando però nella visione spirituale la mente, rapita del tutto fuor dai sensi del corpo, è occupata da immagini d'oggetti materiali - sia nel sogno che nell'estasi --- se gli oggetti che vede non significano nulla, sono immaginazioni dell'anima stessa; in questo modo anche persone deste, sane di mente e pienamente padrone di sé, contemplano nel proprio spirito immagini di molti oggetti materiali che non sono presenti ai sensi del loro corpo. C'è tuttavia questa differenza: tali persone sono sempre in condizione di distinguere quelle immagini dagli oggetti reali a esse presenti. Può darsi al contrario che quelle immagini abbiano un significato speciale, si presentino esse sia a persone che dormono sia a persone sveglie e che nello stesso tempo vedono con i loro occhi immagini d'oggetti presenti dinanzi a loro e nello spirito vedono immagini d'oggetti assenti come se fossero dinanzi ai loro occhi, sia a persone la cui mente è tutta rapita fuori dei sensi nello stato chiamato estasi; questo è un fenomeno straordinario: può accadere cioè che mediante l'unione con un altro spirito una cosa conosciuta da lui, quello spirito la manifesti - mediante quelle immagini - allo spirito con cui è unito, sia che lo spirito comprenda da se stesso le immagini che gli vengono mostrate, sia che vengano comprese da un altro spirito e da questo rivelate alla mente. Se infatti immagini di tal genere vengono rivelate - ed evidentemente non possono venir rivelate dal corpo - non ci resta da dire se non che sono rivelate da qualche spirito.

Si nega che l'anima abbia la facoltà divinatoria.

13. 27. Alcuni - è vero - sostengono che l'anima umana ha in se stessa una facoltà divinatoria. Ma se è così, come mai l'anima non è in grado di esercitarla ogni volta che lo vuole? Forse perché non ha l'aiuto necessario per poterla effettuare? E allora, quando riceve l'aiuto, può forse riceverlo da nessuno o dal corpo per mettere in atto quella facoltà? Non ci resta dunque altra ipotesi se non quella che l'anima venga aiutata da uno spirito. Inoltre in che modo viene aiutata? Accade forse nel corpo qualcosa per cui si liberi - per così dire - dal corpo e balzi fuori lo sforzo mentale dell'anima e arrivi fino al punto di vedere in se stessa le immagini simboliche delle cose ch'erano già in essa senza che fossero viste, allo stesso modo che riteniamo anche nella memoria molti oggetti che non sempre vediamo? O sono forse immagini formate nell'anima che prima non c'erano, o sono in qualche spirito in cui l'anima, penetrando e poi lanciandosi fuori può vederle? Ma se quelle immagini erano già nell'anima come sue proprie, perché mai non poteva anche comprenderle? Talvolta, infatti, anzi il più delle volte, essa non le comprende. O forse, allo stesso modo che il suo spirito è aiutato a vedere in sé le immagini, così anche la mente, senza ricevere un simile aiuto, non può capire le cose che sono nello spirito? O forse non si tratta d'allontanare o allentare gli impedimenti frapposti dal corpo perché l'anima di proprio impulso sia attratta verso ciò che deve contemplare, ma è l'anima stessa a esser trasportata verso quegli oggetti, sia per vederli con lo spirito, sia per conoscerli con l'intelletto? O forse l'anima vede quegli oggetti talora da se stessa e talora per mezzo di un altro spirito? Qualunque sia di queste ipotesi quella giusta, non si deve affermare alcunché avventatamente. Una cosa tuttavia non dev'essere messa in dubbio: le immagini corporali viste dallo spirito, sia di chi è sveglio, sia di chi dorme, sia di chi è malato, non sempre sono segni d'altre realtà; sarebbe però strano se potesse aver luogo un'estasi senza che somiglianze di realtà materiali abbiano un significato.

L'influsso del demonio e degli angeli buoni.

13. 28. Naturalmente non c'è da stupirsi che anche degli indemoniati dicano talvolta verità che sfuggono alla conoscenza dei presenti; il fatto è certamente dovuto a una non so quale misteriosa unione con lo spirito cattivo di modo che lo spirito dell'ossesso e quello del vessatore risulta in un certo senso un unico e medesimo spirito. Quando invece uno spirito buono afferra o rapisce lo spirito d'una persona per trasportarlo a visioni straordinarie, non può esserci alcun dubbio che quelle immagini sono segni d'altre cose utili a conoscersi, poiché questo è un dono di Dio. Senza dubbio è assai difficile distinguere quando lo spirito maligno agisce in un modo apparentemente pacifico e, senza vessare il corpo, prende possesso dello spirito umano e dice quello che può, dicendo finanche la verità e svelando utili conoscenze del futuro. Egli allora si maschera - come dice la Scrittura - da angelo di luce 37, affinché, una volta acquistatosi la fiducia [d'una persona] riguardo a cose evidentemente buone, con l'inganno nei suoi tranelli l'attragga. Questo spirito - a quanto io penso - non può riconoscersi che mediante il dono di cui parla l'Apostolo quando elenca i diversi doni di Dio: a un altro il discernimento degli spiriti 38.

14. 28. Non è difficile discernere lo spirito cattivo quando ha raggiunto il suo scopo, quello cioè di condurre uno a ciò ch'è contrario ai buoni costumi o alla norma della fede; poiché in tal caso sono molti i capaci di discernerlo. Il dono del discernimento invece, fin dall'inizio - quando lo spirito appare ancora a molti come uno spirito buono - di primo acchito mette uno in grado di giudicare immediatamente se uno spirito è cattivo.

La visione intellettiva non inganna.

14. 29. Tuttavia, sia mediante visioni corporali, sia mediante immagini d'oggetti materiali rivelate nello spirito, gli spiriti buoni istruiscono [le persone] mentre quelli cattivi le ingannano. La visione intellettuale al contrario non inganna poiché o non la comprende chi l'interpreta diversamente da quello che è oppure, se la comprende, ne scopre immediatamente la verità. Gli occhi infatti non sanno che fare quando vedono un oggetto somigliante a un altro oggetto e che non riescono a distinguere dall'altro; così pure l'attenzione dell'anima non può far nulla quando nello spirito si forma l'immagine d'un oggetto ch'essa non è in grado di distinguere dall'oggetto stesso. Allora però interviene l'attività dell'intelletto che ricerca il significato degli oggetti visti oppure l'utilità che vogliono insegnare; allora o scopre la verità e così raggiunge l'effetto [della sua ricerca] oppure non la scopre, e allora continua a riflettere per non cadere in un errore esiziale a causa d'una funesta temerità.

L'errore nelle visioni spirituali non sempre è nocivo.

14. 30. Un intelletto assennato sa giudicare, con l'aiuto di Dio, la natura e l'importanza delle cose, a proposito delle quali non è dannoso per l'anima giudicarle diversamente da quello che sono in realtà. Uno, per esempio, può essere giudicato buono dalle persone buone anche se nell'intimo è cattivo; ciò è piuttosto funesto per lui anziché pericoloso per coloro che lo giudicano, purché lo sbaglio non riguardi la vera realtà, cioè lo stesso Bene, grazie al quale uno diventa buono. Così non nuoce ad alcuno credere nel sonno che siano oggetti reali le immagini delle cose viste in sogno, come non fu un male per Pietro di credere, a causa della subitaneità del miracolo, d'avere una visione quando fu sciolto dalle catene e fu condotto [fuori della prigione] da un angelo 39, o quando nell'estasi rispose al Signore: Non sia mai, Signore, poiché non ho mangiato mai nulla di profano o d'impuro 40, credendo che fossero veri animali gli oggetti che gli erano stati fatti vedere nel vassoio 41. Quando noi scopriamo che tutte queste cose sono diverse da come le avevamo credute allorché le vedevamo, non sentiamo alcun rammarico che ci siano apparse in quel modo, purché non abbiamo da rimproverarci né un'infedeltà ostinata né un'interpretazione falsa o sacrilega. Perciò anche quando il diavolo c'inganna con visioni corporali, nessun danno ci viene arrecato per il fatto che gli occhi vengono illusi, se non sbagliano riguardo alle verità di fede e alla sana intelligenza, mediante la quale Dio insegna a coloro che sono a lui ubbidienti. Oppure se il diavolo ingannasse l'anima con una visione spirituale mediante immagini d'oggetti materiali, inducendola a pensare che sia corpo quello che non lo è, non reca alcun danno all'anima purché non consenta a una cattiva suggestione.

Come giudicare il consenso dato ad azioni viste in sogno.

15. 31. Talvolta perciò sorge la questione circa il consenso dato durante il sonno quando alcuni sognano perfino d'avere un rapporto carnale o contrariamente al loro ideale di vita religiosa o anche ai buoni costumi. Siffatti sogni avvengono solo perché ci vengono in sogno le cose che pensiamo anche da svegli - senza acconsentire al piacere che si prova per esse, ma immaginandole come quando, per qualche motivo, parliamo anche di tali argomenti - e durante il sonno quelle immagini tornano alla mente con tanto risalto da eccitare per via di un processo naturale la carne, e il liquido [seminale], raccolto nei suoi meati per cause naturali, lo emette attraverso gli organi genitali: così, neppure io potrei parlare di questo argomento. Orbene, se le immagini di queste cose corporali, alle quali non potevo non pensare per esporre queste idee, si presentassero in sogno con la stessa vividezza con cui i corpi si presentano agli occhi d'uno ch'è desto, potrebbe accadere ciò che invece non potrebbe fare senza peccato una persona sveglia. Chi infatti potrebbe non rappresentarsi ciò almeno quando parla di questo e la necessità dell'argomento esige ch'egli dica qualcosa dell'unione carnale ch'egli ha avuta? Inoltre, quando l'immagine che si forma nell'immaginazione di chi parla, si presenta nella visione di chi sogna, tanto vivida che non può distinguersi da un'effettiva visione carnale, la carne immediatamente si eccita e segue ciò che ordinariamente è l'effetto di tale eccitazione: ciò avviene senza peccato come senza peccato ne parla uno da sveglio e senza dubbio, per parlarne, non ha potuto non pensare al coito. Tuttavia, grazie alla buona disposizione, l'anima purificata dal desiderio d'un bene migliore, distrugge molte brame passionali che non hanno alcuna attinenza con gli stimoli naturali della carne; siffatti stimoli le persone caste li reprimono e frenano quando sono sveglie, mentre quando dormono non possono fare altrettanto poiché non sono in grado di controllare le rappresentazioni d'immagini corporee non distinguibili dai corpi reali. Grazie dunque a quella buona disposizione dell'anima anche nel sonno risultano evidenti certi suoi meriti. Anche Salomone, per esempio, preferì [in una visione] mentre dormiva, la sapienza a tutti gli altri beni e la chiese ai Signore, disprezzando tutte le altre cose, e - come attesta la Scrittura - il suo desiderio riuscì gradito al Signore che non tardò a dargli l'adeguata ricompensa per il suo eccellente desiderio 42.

I sensi e la visione corporale.

16. 32. Stando così le cose, le visioni corporali hanno attinenza con i sensi del corpo che fluiscono attraverso una specie di canaletti di capacità differente. Quel che nel corpo è l'elemento più sottile di tutti gli altri e perciò più simile all'anima è la luce; anzitutto essa è diffusa, allo stato puro, attraverso gli occhi e risplende con i raggi luminosi emessi dagli occhi per percepire gli oggetti visibili, inoltre essa, unendosi, mediante una sorta di mescolanza in primo luogo con l'aria pura, in secondo luogo con l'aria fosca e tenebrosa, in terzo luogo con il vapore acqueo più denso e in quarto luogo con sostanze terrene compatte dà origine ai cinque sensi - insieme a quello della vista in cui essa è più perfetta essendo allo stato puro --, come ricordo di avere spiegato nel quarto e anche nel settimo libro. Ora, il cielo visibile ai nostri occhi e da cui risplendono i luminari e gli altri astri è certamente superiore a tutti gli elementi materiali, come il senso della vista è superiore agli altri sensi del corpo. Ma poiché ogni spirito è senza dubbio superiore a ogni corpo, ne segue che la natura spirituale, compresa quella in cui sono prodotte le immagini d'oggetti materiali, è superiore a questo nostro cielo fisico non per il posto che occupa ma per l'eccellenza della sua natura.

In che modo si forma l'immagine nello spirito.

16. 33. A questo punto viene fuori una cosa straordinaria: sebbene lo spirito abbia la precedenza sul corpo e l'immagine d'un corpo viene dopo un corpo, tuttavia - poiché ciò ch'è posteriore nel tempo si forma in ciò ch'è anteriore nella natura - l'immagine d'un corpo in uno spirito è più eccellente del corpo stesso considerato nella sua propria sostanza. Inoltre non si deve credere neppure che un corpo produca qualcosa nello spirito, come se lo spirito fosse soggetto, al pari d'una materia, all'azione del corpo. Poiché chi produce qualche cosa è, sotto ogni rispetto, superiore alla cosa con la quale egli la produce. Ora, il corpo non è in alcun modo superiore allo spirito; al contrario è evidente ch'è lo spirito superiore al corpo. Sebbene dunque noi prima vediamo un corpo che non avevamo visto in precedenza e se ne formi allora un'immagine nel nostro spirito, per mezzo del quale ci ricordiamo dell'oggetto quando esso è assente, tuttavia non è il corpo a formar quell'immagine nello spirito ma è lo spirito a formarla in se stesso. Ciò avviene con una straordinaria rapidità ed è impossibile spiegare quanto essa sorpassi le azioni tanto lente del nostro corpo: appena gli occhi vedono un oggetto se ne forma l'immagine nello spirito di colui che lo vede senza neppure un attimo d'intervallo. Lo stesso avviene a proposito dell'udito: se lo spirito immediatamente non formasse in se stesso l'immagine della parola percepita dalle orecchie e non la serbasse nella memoria, uno non saprebbe se la seconda sillaba fosse proprio la seconda per il fatto che naturalmente non esisterebbe più la prima, dileguatasi dopo aver colpito l'orecchio. Così ogni vantaggio del discorrere, ogni dolcezza del canto, infine ogni movimento relativo alle azioni del corpo svanirebbe e cesserebbe e non acquisterebbe alcuno sviluppo, se lo spirito non serbasse il ricordo dei movimenti fisici passati per collegarli con altre azioni future; ma di certo non sarebbe il ricordo di quei movimenti futuri se non se ne fosse formata un'immagine in se stesso. In noi ci sono anche le immagini dei nostri movimenti futuri prima che abbiano inizio le azioni stesse. Quale azione infatti compiamo noi con il corpo che lo spirito non abbia formato in precedenza nel suo pensiero, vedendo prima in se stesso e in un certo modo ordinando le somiglianze di tutte le nostre azioni visibili?

Come le visioni spirituali sono conosciute dal demonio.

17. 34. È difficile scoprire e spiegare in qual modo gli spiriti - anche quelli immondi - vengano a conoscere quelle immagini d'oggetti materiali presenti nell'anima nostra, oppure quale ostacolo incontri l'anima nostra da parte del nostro corpo terrestre, che c'impedisce di vedere a nostra volta nel nostro spirito le immagini che hanno essi. Da sicurissime testimonianze mi risulta che i demoni hanno svelato i pensieri degli uomini; essi tuttavia, se potessero intuire nell'interno dell'uomo l'intima natura delle virtù, non li tenterebbero. Se, per esempio, il demonio avesse potuto intuire la notissima ed eroica pazienza di Giobbe, non avrebbe certamente desiderato d'essere sconfitto da colui ch'egli tentava. D'altronde non deve sorprenderci il fatto ch'essi annunciano eventi già passati ma accaduti in località lontane, della realtà dei quali si ha conferma solo dopo alcuni giorni. [Gli spiriti cattivi] sono in grado di fare ciò non solo grazie all'acume della loro vista incomparabilmente superiore alla nostra ma anche alla straordinaria agilità dei loro corpi, senza dubbio di gran lunga più sottili dei nostri.

Predizioni di un ossesso forse solo frenetico.

17. 35. Da sicure informazioni mi risulta pure che un tale posseduto da uno spirito immondo, e che viveva ritirato in casa sua, era solito indicare in qual momento un prete si metteva in cammino da una località distante dodici miglia per recarsi a visitarlo, tutti i luoghi ove si trovava lungo il tragitto, di quanto s'avvicinava, quando entrava nel suo podere, in casa sua e nella sua camera da letto fino a quando si trovava alla sua presenza. Tutti questi particolari, anche se l'ossesso non li vedeva con gli occhi, non li avrebbe tuttavia palesati con tanta veracità se non li avesse visti in qualche modo; ma l'uomo era in preda alla febbre e annunciava quelle cose come se fosse in uno stato di delirio frenetico. E forse era proprio un frenetico, ma a motivo di quei fenomeni lo si reputava un ossesso. Nessun alimento per ristorarsi accettava dai suoi, ma solo da quel prete; resisteva inoltre ai suoi con tutta la violenza che poteva e si calmava solo alla venuta del prete; a lui solo si mostrava ubbidiente, a lui solo rispondeva docilmente. Tuttavia quell'alienazione mentale od ossessione demoniaca non cedé neppure all'esorcismo del prete, se non quando guarì dalla febbre e in seguito non provò mai più nulla di simile.

Predizioni d'un tale veramente frenetico.

17. 36. Conosco anche un tale ch'è senza dubbio frenetico, il quale predisse la morte d'una donna, non come chi predice il futuro ma come chi ricorda un fatto già trascorso. Una volta infatti, mentre veniva menzionata quella donna in sua presenza, "È morta - esclamò - io l'ho vista che veniva portata al sepolcro e sono passati per questa strada con il cadavere". La donna però era ancora viva e in buona salute; ma pochi giorni dopo essa morì all'improvviso e fu condotta al sepolcro lungo la strada ch'egli aveva predetto.

Visioni di un ragazzo gravemente infermo.

17. 37. C'era, ugualmente, nel nostro monastero un ragazzo che all'inizio della pubertà soffriva dolori atroci negli organi genitali. I medici non riuscivano a diagnosticare che specie di malattia fosse quella; tutto quel che sapevano era che il membro virile era nascosto nella cavità del pube, in modo che non si sarebbe potuto vedere neppure qualora fosse stato asportato il prepuzio che, per la sua eccessiva lunghezza, penzolava in fuori, e solo allora si sarebbe potuto scoprire a stento. Stillava poi un umore viscoso e irritante che procurava dolori brucianti ai testicoli e all'inguine. Questi dolori acuti non li aveva però di continuo ma, quando li sentiva, prorompeva in alte e forti urla agitando scompostamente le membra, sebbene la sua intelligenza restasse interamente sana, come quando si è in preda a violenti dolori fisici. Poi in mezzo alle sue grida perdeva i sensi e rimaneva supino con gli occhi aperti ma senza vedere alcuno dei presenti, senza scuotersi quando gli davano dei pizzicotti. Poco dopo, svegliandosi come dal sonno, non sentiva più dolore e rivelava le cose che aveva viste. Passati però pochi giorni soleva ricadere nelle medesime crisi. Egli affermava che in tutte o in quasi tutte le sue visioni vedeva due persone di cui una era un anziano e l'altra un giovinetto: esse gli dicevano o mostravano ciò che raccontava d'aver udito o visto.

Visione dei beati e dei dannati avuta dallo stesso.

17. 38. Un giorno vide un coro di fedeli che cantavano inni con gioia, circonfusi di luce meravigliosa, e una schiera di empi immersi nelle tenebre, i quali soffrivano diversi e atroci tormenti, mentre l'anziano e il giovanetto l'accompagnavano glieli mostravano e gli spiegavano perché gli uni avevano meritato la felicità e gli altri l'infelicità. Questa visione egli l'ebbe la domenica di Pasqua, dopo aver trascorso tutta la Quaresima senza sentire alcuno di quei dolori che prima gli erano risparmiati appena per tre giorni di seguito. Proprio all'inizio della Quaresima aveva avuto una visione, in cui quelle due persone gli avevano promesso che durante quei quaranta giorni non avrebbe sentito alcun dolore. Quei due inoltre gli diedero una specie di prescrizione medica, quella cioè di farsi tagliare il prepuzio troppo lungo. Egli seguì il loro consiglio e per lungo tempo non sentì più alcun dolore. Allorché però cominciò a sentire di nuovo gli stessi dolori e ad avere le stesse visioni, ricevette da quei due di nuovo un consiglio, d'immergersi cioè nel mare fino al pube e uscirne solo dopo esserci rimasto per un certo tempo, promettendogli che per l'avvenire non avrebbe sentito più quell'atroce dolore ma solo il fastidio di quell'umore viscoso. In seguito non andò mai più soggetto alla perdita dei sensi né mai più ebbe visioni simili a quelle ch'era solito avere quando tra dolori e terribili urli restava completamente privo dei sensi e diventava muto. Più tardi tuttavia i medici con le loro cure riuscirono a guarirlo ma egli non perseverò nella vocazione religiosa.

Cause e modalità delle visioni spirituali.

18. 39. Se uno potesse investigare e comprendere con certezza le cause e le modalità di queste visioni e divinazioni, preferirei le sue spiegazioni anziché si aspettino altri da me la discussione delle mie opinioni. Tuttavia non nasconderò ciò che penso, in modo che i dotti non mi deridano prendendomi per uno che asserisce categoricamente, e gli ignoranti non mi prendano per un maestro che desidera insegnare, ma dagli uni e dagli altri sia considerato come uno che discute e ricerca piuttosto che come uno che sa. Io considero tutte queste visioni simili a quelle di chi sogna. Ora, anche i sogni sono talvolta falsi e talvolta veri, talora perturbati e talora tranquilli; i sogni veri poi sono alle volte del tutto simili agli eventi futuri o sono previsioni chiare, mentre altre volte sono previsioni annunciate con significati oscuri e - per così dire - espresse in modo figurato: la stessa cosa può dirsi di tutte quelle visioni. Ma gli uomini amano scoprire cose ignote con loro meraviglia e indagare le cause di fatti insoliti mentre non si curano di conoscere fatti quotidiani, per lo più simili a quelli, che hanno spesso un'origine anche più oscura. Così avviene per le parole, cioè per i segni, che usiamo nel parlare. All'udire una parola insolita si cerca di sapere anzitutto che cos'è, ossia che cosa significhi e, dopo averlo saputo, si cerca di sapere donde deriva quel termine mentre non ci si preoccupa affatto d'ignorare tante parole che usiamo nel linguaggio quotidiano. Allo stesso modo, quando accade qualcosa d'insolito, di natura corporale o spirituale, si cerca di scoprirne ansiosamente le cause e la natura e se ne esige la spiegazione dai dotti.

Qualunque sia la natura delle visioni, basta ritenere che non sono corpo.

18. 40. Quando, per esempio, uno mi domanda che significhi catus e rispondo: prudens (cioè "assennato") o acutus (cioè "d'ingegno acuto") e la risposta non lo soddisfa ma continua a domandare donde deriva la parola catus, sono solito replicare e domandare a mia volta donde derivi la parola acutus. Ciò tuttavia quel tale l'ignorava certamente ma, poiché quella era una parola corrente, si rassegnava ad ignorarne l'origine. Quando invece una risuona alle sue orecchie una parola strana, crede d'avere una nozione insufficiente del suo significato se non rintraccia anche la sua derivazione. Così dunque, se uno mi domanda donde derivano le immagini d'oggetti materiali che appaiono nell'estasi - cosa che raramente accade all'anima --, io domando a mia volta donde derivano le immagini che appaiono nel sogno e che l'anima percepisce ogni giorno, ma nessuno si cura di far l'indagine di questo fenomeno o non la si fa a sufficienza. Si pensa infatti che la natura di siffatte visioni sia meno meravigliosa perché avvengono ogni giorno, o che si debba prestar loro minore attenzione perché succedono a tutti, oppure si crede che, nell'ipotesi che facciano bene quanti non indagano su di esse, farebbero meglio a non essere curiosi neppure riguardo alle visioni straordinarie. Io, al contrario, mi meraviglio assai di più e rimango stupito maggiormente quando considero la rapidità e la facilità con cui l'anima forma in se stessa le immagini d'oggetti materiali percepite mediante gli occhi del corpo che non quando considero le visioni prodotte nel sogno o anche nell'estasi. Tuttavia quale che sia la natura di quelle immagini, essa non è certamente corporea. Colui, al quale non è sufficiente sapere ciò, cerchi di saperne da altri anche l'origine: io confesso di non saperla.

Origine delle visioni spirituali.

19. 41. Questa è la conclusione che si può trarre facilmente dai fatti di cui abbiamo esperienza e di cui ho portato degli esempi ). Così il pallore, il rossore, il tremore o anche una malattia del corpo hanno cause derivanti talvolta dal corpo, tal'altra dall'anima. Sono causate dal corpo quando all'interno di esso c'è un versamento di liquido o quando vi s'introduce dall'esterno un alimento o qualche altro elemento corporeo. Al contrario sono generate dall'anima quando essa è turbata dalla paura o confusa per la vergogna o è mossa dall'ira o dall'umore o da qualche altra emozione di tal genere; ciò accade non senza ragione se è vero che l'elemento spirituale, che anima e governa il corpo, quando è turbato più violentemente produce anche un turbamento più violento. Così avviene anche all'anima quando rivolge la sua attenzione agli oggetti che le sono presentati non per mezzo d'una sostanza incorporea e si rivolge a essi senza poter distinguere se siano corpi o immagini mentali di corpi; questa sua condizione dipende talora dal corpo, talora da uno spirito. Dipende dal corpo sia per un fenomeno naturale, come accade nelle visioni di chi sogna - poiché dormire è per l'uomo una funzione del corpo - sia per il turbamento dei sensi a causa di qualche malattia, come quando i frenetici vedono oggetti materiali e insieme immagini simili agli oggetti materiali, come se fossero anch'essi sotto i loro occhi oppure quando hanno perduto completamente i sensi come accade spesso a coloro che afflitti da lunghe e pericolose malattie e ben presenti con il corpo ma a lungo assenti con lo spirito e che più tardi, tornati alle normali relazioni con gli altri, raccontano d'aver visto molte cose. Questa condizione dell'anima dipende, al contrario, dallo spirito quando alcuni, pur essendo completamente validi e sani di corpo, sono rapiti in estasi fuori di sé e così anche mediante i sensi del corpo vedono veri corpo e mediante lo spirito cose simili ai corpi ma senza poterle distinguere dei corpo, oppure sono rapiti fuori dei sensi del corpo senza però percepire assolutamente nulla per mezzo di essi e così, per effetto di quella visione spirituale, si vengono a trovare tra immagini mentali di corpi. Ma quando a rapire [fuori dei sensi] delle persone per far avere a loro visioni di tal genere è uno spirito cattivo, ne fa o degli ossessi o dei frenetici o dei falsi profeti. Quando, al contrario, a rapire [fuori dei sensi] è uno spirito buono, ne fa dei fedeli che pronunciano parole misteriose oppure, se queste sono intelligibili, ne fa dei veri profeti o ne fa, secondo le circostanze, dei veggenti che raccontano la visione che dev'essere manifestata da essi.

Funzione del corpo nelle visioni spirituali.

20. 42. Quando però la causa di simili visioni dipende dal corpo, non è il corpo a presentarle, poiché il corpo non ha il potere di formare alcunché di spirituale, ma alle volte il processo dell'attenzione, che parte dal cervello e regola la sensazione, è assopito o turbato o anche bloccato. Allora, poiché il corpo non le permette affatto o solo in parte di percepire gli oggetti o dirigere verso di essi la forza della sua attenzione, l'anima stessa - la quale con un moto suo proprio non può tralasciare questa sua attività - forma da se stessa nello spirito immagini di oggetti materiali o contempla quelle che le sono presentate. Ma se essa le forma da se stessa, sono soltanto rappresentazioni immaginative; se invece contempla quelle che le vengono presentate, sono immagini mostrate in una visione. Infine, quando gli occhi soffrono di qualche disturbo oppure sono spenti - perché la causa non risiede nel cervello dal quale è guidata la forza intenzionale della sensazione - si formano siffatte visioni di oggetti materiali sebbene l'ostacolo a percepire gli oggetti derivi da parte del corpo. I ciechi infatti vedono oggetti nel sonno piuttosto che nella veglia. Nel sonno infatti il processo della sensazione che conduce lo sforzo dell'attenzione fino agli occhi è assopito nel cervello e perciò l'attenzione si distoglie [dalle vie dei sensi], si dirige altrove e percepisce le immagini che si presentano nel sogno come se fossero le forme degli oggetti presenti agli occhi: per conseguenza, sembrandogli d'essere desto, chi dorme s'immagina di vedere non immagini di oggetti ma oggetti veri e propri. Quando, al contrario, i ciechi sono svegli, l'attenzione è condotta attraverso le stesse vie ma, giunta alla sede degli occhi, non si spinge innanzi [verso gli oggetti] ma rimane lì e perciò i ciechi si accorgono d'essere svegli e d'essere nelle tenebre quando vegliano anche durante il giorno piuttosto che quando dormono sia di giorno che di notte. D'altra parte anche tra coloro che non sono ciechi, parecchi dormono a occhi aperti senza vedere nulla con i loro occhi, ma ciò non significa che non vedono proprio nulla, poiché vedono in spirito le immagini dei sogni; se al contrario sono svegli ma con gli occhi chiusi, non hanno né le visioni di coloro che dormono né quelle di coloro che sono desti. Tuttavia, poiché in costoro il processo della sensazione non è né assopito né turbato né bloccato ma va dal cervello fino agli occhi e conduce l'attenzione dell'anima fin proprio alle porte del corpo sebbene chiuse, ne segue che essi possono rappresentarsi immagini d'oggetti ma senz'affatto scambiarli per veri oggetti percepiti dagli occhi.

Connessione e correlazione dell'anima con il corpo.

20. 43. È molto importante sapere ove si produce l'ostacolo che impedisce di percepire gli oggetti, quando l'ostacolo dipende dal corpo. Se risulta che l'ostacolo si trova all'entrata stessa o, per così dire, alla porta dei sensi - come per esempio negli occhi, nelle orecchie e negli altri sensi del corpo - viene impedita soltanto la percezione degli oggetti materiali, mentre l'attenzione dell'anima non è distornata verso un altro oggetto in modo da scambiare le immagini degli oggetti per oggetti reali. Se, al contrario, la causa dell'impedimento è nell'interno del cervello da cui si dipartono le vie per arrivare a percepire gli oggetti esterni, allora sono assopiti o turbati o interrotti gli organi mediante i quali esplica le sue energie tese a vedere o percepire gli oggetti esterni. Ma poiché l'anima non perde questa sua tensione, ma forma immagini tanto vivide che non è in grado di distinguere le immagini degli oggetti dagli oggetti veri e propri e non sa se ha a che fare con le une o con gli altri e, quando lo sa, lo sa in modo di gran lunga diversa da quello ch'essa ha quando è consapevole delle immagini degli oggetti presenti nella sua fantasia o che si presentano alla sua immaginazione. Questo fenomeno non può essere compreso - sia pure solo in qualche modo - se non da coloro che l'hanno esperimentato. Da ciò deriva che, mentre io dormivo, mi rendevo conto di vedere qualcosa in sogno e tuttavia le immagini da me viste non le distinguevo dagli oggetti reali come di solito le distinguiamo quando ce le rappresentiamo anche ad occhi chiusi o quando siamo nelle tenebre. L'attenzione dell'anima ha un potere diverso secondo che arrivi agli organi sensori anche chiusi o che nello stesso cervello - da cui essa tende a percepire gli oggetti - esista una causa che la svia verso un altro oggetto; in tal caso, benché sappia talora di non vedere oggetti reali ma immagini d'oggetti, oppure, a causa della sua poca istruzione, pensi che siano anch'esse oggetti reali pur rendendosi conto di vederle non con gli occhi del corpo ma con lo spirito, cionondimeno questa disposizione è di gran lunga diversa dall'attività per cui la tensione dell'anima la rende presente al proprio corpo. Ecco perché anche i ciechi sanno d'essere svegli quando distinguono con sicurezza le immagini degli oggetti rappresentate nell'immaginazione dagli oggetti che non possono vedere.

Le visioni in cui interviene un agente estraneo.

21. 44. Quando invece in un corpo sano con i sensi non assopiti nel sonno l'anima è rapita da qualche arcana forza spirituale verso visioni di cose assomiglianti ad oggetti materiali, non ne segue che, poiché è diverso il modo della visione, sia diversa anche la natura delle cose viste, atteso che tra le cause d'origine fisica vi sono differenze che sono talvolta anche di natura contraria. Così, nel caso dei frenetici quando non dormono è piuttosto nel cervello che i canali della sensazione sono turbati e perciò essi vedono oggetti come li vedono i sognanti la cui attenzione durante il sonno è sviata dalle percezioni dello stato di veglia ed è portata ad avere quella sorta di visioni. Ora, benché il primo caso avvenga nello stato di veglia e l'altro nel sonno, tuttavia gli oggetti visti nell'uno e nell'altro non sono di specie diversa poiché procedono dallo spirito, dal quale e nel quale si formano le immagini degli oggetti materiali. Così, benché sia diversa la causa che distoglie l'attenzione, quando l'anima d'una persona sana di corpo e sveglia viene rapita da una misteriosa forza spirituale in modo da vedere, invece di un oggetto, immagini rappresentanti realtà materiali, la natura delle visioni è tuttavia la medesima. Infatti non può dirsi neppure che, quando la causa risiede nel corpo, l'anima produce con il suo proprio potere, senz'alcuna preveggenza del futuro, immagini d'oggetti materiali come fa di solito quando si rappresenta qualcosa, mentre al contrario, quando è rapita da uno spirito perché abbia siffatte visioni, queste le sono presentate da Dio; la sacra Scrittura infatti dice chiaramente: Io effonderò il mio Spirito su ogni uomo; i giovani avranno visioni e i vecchi faranno sogni 43, attribuendo entrambi i fenomeni all'azione di Dio. La Scrittura dice anche: A lui apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: Non aver paura di prendere con te la tua sposa Maria 44, e ancora: Prendi il bambino e va' in Egitto 45.

Lo spirito umano è rapito da uno spirito buono solo perché riveli qualcosa.

22. 45. Io pertanto non penso che lo spirito di una persona venga rapito da uno spirito buono per fargli vedere immagini di tal genere se non quando esse hanno un significato speciale; quando invece la causa delle visioni è nel corpo in modo che lo spirito umano s'indirizzi verso di esse per vederle più distintamente, non si deve credere che abbiano sempre un significato; tuttavia ne hanno uno quando sono ispirate da uno spirito che le rivela sia a uno che dorme sia a uno sofferente di qualche disturbo fisico da cui sia privato dell'uso dei sensi del corpo. Io conosco pure casi di persone sveglie e non afflitte assolutamente da alcuna malattia né tormentate dal delirio, nelle quali furono prodotte, mediante qualche misterioso impulso, certe rappresentazioni che, in seguito a spiegazioni date oralmente, si rivelarono essere delle profezie. Ciò è successo non solo a persone che avevano pronunciato frasi alle quali avevano dato un senso diverso; è questo il caso del gran sacerdote Caifa che fece una profezia senza l'intenzione di farla; ma è il caso anche di altre persone che avevano intenzione di fare una predizione riguardo ad eventi futuri.

Predizioni fatte per gioco dai giovani e avveratesi.

22. 46. Alcuni giovani, per esempio, in una località ove erano capitati durante un loro viaggio, volendosi divertire con una burla, si finsero astrologhi, pur ignorando assolutamente il nome dei dodici segni dello zodiaco. Vedendo che il loro ospite ascoltava sbalordito ciò che dicevano e asserivano ch'era perfettamente vero, continuarono il gioco con maggiore audacia. L'ospite restava tuttavia affascinato e approvava tutto ciò che quelli dicevano. Alla fine li interrogò sulla sorte del figlio di cui aspettava ansiosamente il ritorno poiché era lontano da lungo tempo e tardava in modo inconcepibile; egli quindi era angosciato pensando che gli fosse accaduta qualche disgrazia. Quei giovani però non si preoccupavano della verità che l'ospite avrebbe potuto conoscere dopo la loro partenza e, pur di renderlo tuttavia felice per il momento, sul punto di apprestarsi a partire gli risposero che il figlio stava bene, che si avvicinava e che sarebbe arrivato lo stesso giorno in cui gli facevano la predizione. Essi infatti non temevano che, una volta trascorso interamente quel giorno, il loro ospite si mettesse il giorno seguente sulle loro tracce per redarguirli. Ma, per venire subito alla conclusione, nel momento in cui si disponevano a partire, ecco che all'improvviso arrivò il figlio mentre essi erano ancora lì, in casa.

Predizione fatta da un altro giovane per scherzo e avveratasi.

22. 47. Così pure un'altra volta, durante una festa pagana, un giovane danzava accompagnato da un flautista in un luogo dov'erano molti idoli. Egli non era un frenetico posseduto da spirito alcuno ma, come sapevano i circostanti e gli spettatori, imitava per gioco gli ossessi. Era infatti usanza che prima di pranzo si offrissero sacrifici e gl'invasati dagli spiriti si abbandonassero ai loro atti furiosi e che dopopranzo a nessuno dei giovani, che l'avessero desiderato, fosse proibito d'imitarli per gioco. Fu così che quel giovane, mentre eseguiva la sua danza, chiese ed ottenne dalla folla circostante che se la rideva, di fare silenzio e allora predisse che durante la notte ormai imminente sarebbe stata uccisa da un leone nel bosco vicino una persona e che l'indomani sul far del giorno la folla avrebbe abbandonato il luogo della festa e si sarebbe recata a vedere il cadavere di quel malcapitato. La cosa andò proprio in quel modo, sebbene da tutte le sue buffonate apparisse a tutti gli spettatori assai chiaro ch'egli aveva fatto quella predizione per gioco e per scherzo, senza aver avuto mailo spirito turbato o essere stato mai fuor dei sensi. Egli stesso rimase tanto più stupito di ciò ch'era accaduto quanto più era conscio dello stato d'animo in cui si trovava e con quali espressioni aveva predetto quel fatto.

È assai difficile sapere come si formano nello spirito le visioni.

22. 48. In qual modo arrivano nello spirito queste visioni? Vi si formano forse originariamente o sono introdotte già formate e percepite grazie a una sorta d'unione [con il loro spirito]? In questo modo gli angeli mostrerebbero agli uomini i propri pensieri e le immagini degli oggetti materiali ch'essi formano in precedenza nel proprio spirito grazie alla loro conoscenza del futuro, allo stesso modo ch'essi vedono i nostri pensieri non certo con gli occhi - poiché non vedono con il corpo ma con lo spirito - con la differenza però che gli angeli conoscono i nostri pensieri anche se noi non lo vogliamo, mentre noi non possiamo conoscere i loro pensieri se non a condizione che ce li rivelino essi stessi. Gli angeli infatti - a mio avviso - hanno il potere di nascondere i loro pensieri con mezzi spirituali, allo stesso modo che noi nascondiamo il nostro corpo agli occhi altrui ponendo degli ostacoli tra noi e loro. E come mai avviene che nel nostro spirito si percepiscono talora solo immagini significative senza che si sappia se abbiano un significato, mentre altre volte si capisce che significano qualcosa ma il loro significato non risulta certo; altre volte, al contrario, l'anima umana, per una sorta di rivelazione, non solo vede nello spirito queste immagini, ma con la mente conosce anche il loro significato? Ciò è assai difficile saperlo e, ammesso che lo sapessimo, è assai arduo discuterlo e spiegarlo.

Ricapitolazione: v'è in noi una natura spirituale dove si formano le immagini degli oggetti.

23. 49. Per ora tuttavia credo sia sufficiente mostrare che certamente esiste in noi una natura spirituale in cui si formano le immagini degli oggetti materiali. Essa agisce sia quando con i sensi fisici percepiamo un oggetto e subito si forma nello spirito e vien conservata nella memoria l'immagine dell'oggetto, sia quando rimuginiamo nella mente immagini di oggetti assenti ma già conosciuti, per formare una certa visione spirituale mediante le immagini già esistenti nello spirito anche prima che ce le rimuginassimo nella mente; sia quando gli oggetti, che noi non conosciamo ma della cui esistenza non dubitiamo, ci rappresentiamo immagini non corrispondenti a quel che sono realmente ma come ci si presentano all'immaginazione; oppure quando, secondo il nostro arbitrio o la nostra immaginazione, ci rappresentiamo altri oggetti inesistenti o dei quali ignoriamo l'esistenza; oppure quando diverse forme di immagini di corpi si presentano all'anima senza il nostro concorso o contro la nostra volontà. La natura spirituale inoltre agisce in noi quando, avendo intenzione di compiere un'azione fisica, disponiamo nei particolari il progetto da realizzarsi in quell'azione e li anticipiamo tutti nel pensiero; oppure nel corso dell'azione, quando parliamo o facciamo qualcos'altro, anticipiamo tutti i movimenti del corpo rappresentandoceli nell'intimo dello spirito mediante le loro immagini per poterli eseguire - poiché nessuna sillaba, per breve che sia, è pronunciata al suo giusto posto senza che prima sia prevista e risuoni [nella fantasia] --; così pure agisce quando nel sonno si vedono sogni che hanno o non hanno un significato, o quando, essendo turbati i canali interni delle sensazioni a causa d'una malattia, lo spirito confonde le immagini degli oggetti con gli oggetti reali al punto che è quasi affatto impossibile distinguerli - e ciò può accadere sia quando essi abbiano un significato che quando si presentino senza avere alcun significato - oppure si ha l'azione della natura spirituale quando, per l'aggravarsi d'una malattia o per un dolore che ostruisce i canali interni attraverso i quali l'attenzione dell'anima si spinge fuori e, mediante gli organi del corpo, si sforza di percepire il proprio oggetto, nascono o si presentano casualmente nello spirito, con forza maggiore di quando esso è stornato dai sensi nel sonno, immagini delle realtà materiali che hanno un significato o che appaiono senza alcun significato. La natura spirituale agisce infine quando, senz'alcuna causa proveniente dal corpo, sotto l'azione d'uno spirito che se ne impossessa e la rapisce fuori dei sensi, l'anima è trasportata alla visione di immagini di realtà corporee di tal genere e, pur confondendo le immagini con gli oggetti dei sensi, conserva anche l'uso dei sensi del corpo; o quando, rapita da uno spirito, l'anima è distolta dall'uso di tutti i sensi del corpo in modo da essere interamente assorta nella visione spirituale di sole immagini di oggetti materiali,nel qual caso io non vedo come possa esserci visione di qualcosa priva di significato.

Visione spirituale e visione intellettiva.

24. 50. Per conseguenza la natura spirituale in cui non sono prodotti oggetti materiali ma immagini d'oggetti, ha visioni di una specie inferiore a quelle che mediante la sua luce ha la mente e l'intelligenza. Da questa facoltà vengono infatti giudicate le conoscenze inferiori e vengono viste le realtà che non sono né corpi né cose non aventi alcuna forma simile ai corpi: tali sono la stessa mente e ogni retto sentimento dell'anima - a cui sono contrari i suoi vizi riprovati e condannati giustamente negli uomini --. In qual altro modo infatti si vede l'intelletto se non con un atto dello stesso intelletto? Allo stesso modo [noi vediamo] la carità, la gioia, la pace, la longanimità, la cordialità, la bontà, la fedeltà, la mitezza, il dominio di sé 46, e tutte le altre virtù somiglianti, per mezzo delle quali ci avviciniamo a Dio, e [infine] Dio stesso, dal quale, per mezzo del quale e nel quale esistono tutte le cose 47.

L'ordine gerarchico delle tre specie di visioni.

24. 51. Differenti sono quindi le visioni che si formano nella medesima anima, sia quelle percepite mediante il corpo - come il cielo fisico e la terra e tutto ciò che in essi può essere conosciuto nella misura che può essere conosciuto [dall'uomo] - sia quelle percepite dallo spirito, ossia le immagini dei corpi, delle quali abbiamo già parlato a lungo --, sia quelle che sono comprese dalla mente e che non sono né corpi né immagini di corpi. In queste visioni però c'è naturalmente un ordine gerarchico, e una è più eccellente di un'altra. Ora, la visione spirituale è superiore a quella corporale; a sua volta la visione intellettuale è superiore a quella spirituale. Infatti non può esserci visione corporale senza quella spirituale, dal momento che nel medesimo istante in cui un oggetto materiale è percepito da un senso del corpo, si produce anche nell'anima qualcosa non identico all'oggetto percepito ma qualcosa di simile a esso. Se ciò non accadesse, non ci sarebbe neppure la sensazione per mezzo della quale si percepiscono gli oggetti esterni. Non è infatti il corpo ad avere le percezioni ma è l'anima per mezzo del corpo, del quale si serve come d'un messaggero per formare in se stessa [l'immagine] dell'oggetto esterno che viene richiamato alla sua attenzione dal mondo esterno. Non può, dunque, esserci una visione corporale se non c'è allo stesso tempo anche una visione spirituale; ma tra le due visioni non può esserci distinzione finché non sia passata quella corporale e l'oggetto percepito mediante i sensi del corpo non si trovi nello spirito. D'altro canto non può esserci una visione spirituale senza che ci sia anche quella corporale, quando appaiono nello spirito immagini d'oggetti assenti o quando ne formiamo molte con la libera attività dell'anima o si presentano allo spirito contro il nostro volere. Così pure la visione spirituale ha bisogno di quella intellettuale quando dev'essere giudicato il suo contenuto, mentre quello intellettuale non ha bisogno della visione spirituale la quale è inferiore a quella. La visione corporale è quindi inferiore a quella spirituale ma tutt'e due sono inferiori a quella intellettuale. Quando perciò noi leggiamo: L'uomo spirituale giudica ogni cosa, egli invece non è giudicato da nessuno 48, non dobbiamo intenderlo nel senso dello "spirito" in quanto distinto dall'anima intellettuale - come nella frase dell'Apostolo: Pregherò con lo spirito, ma pregherò pure con l'intelligenza 49 - ma nel senso inteso da San Paolo in quest'altro passo: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente 50. Abbiamo infatti già spiegato, più sopra, che in un altro senso è detta "spirito" anche la stessa mente, cioè la facoltà mediante la quale l'uomo spirituale giudica ogni cosa. Io perciò penso possa dirsi logicamente e naturalmente che la visione spirituale occupa, diciamo così, un posto intermedio tra la visione intellettuale e quella corporale. Non è quindi illogico - a mio parere - dire che una cosa, la quale per verità non è un corpo ma è immagine d'un corpo, è intermedia tra ciò che è realmente un corpo e ciò che non è né un corpo né immagine d'un corpo.

In quali visioni l'anima può ingannarsi.

25. 52. L'anima viene però ingannata dalle immagini delle cose non a causa di un loro difetto, ma della supposizione in base alla quale le giudica, allorché, per difetto d'intelligenza, scambia le apparenze con la realtà di cui quelle sono immagini. L'anima dunque s'inganna nella visione corporale quando si figura che avvenga negli oggetti ciò che si presenta ai sensi del corpo, - come a coloro che viaggiano su una nave pare che si muovano gli oggetti che stanno fermi sulla terra, e a coloro che guardano il cielo sembra che siano fisse le stelle che invece si muovono. Così quando i raggi emessi dagli occhi sono divergenti, ci pare di vedere due immagini d'una stessa lampada; e un remo nell'acqua appare spezzato, e così dicasi di molti altri fenomeni di tal genere - oppure quando l'anima scambia un oggetto per un altro oggetto perché gli somiglia nel colore o nel suono o nel sapore o nel tatto; ecco perché anche un medicamento mescolato con la cera cotto in una pentola è scambiato per un legume, e il rombo d'un carro che passa è preso per un tuono, e l'erba aromatica chiamata cedrina, se non è esaminata da nessun altro senso, la si prende per un limone, o una vivanda condita con una salsa dolciastra sembra confezionata con il miele, e se al buio si tocca un anello mai visto prima, lo si crede d'oro mentre è di rame o d'argento; oppure l'anima s'inganna quando, nel vedere all'improvviso e di punto in bianco certi oggetti, si turba e crede di vederli in sogno o di avere una visione spirituale di tal genere. In tutti i casi di visioni corporali si ricorre quindi all'attestazione degli altri sensi e soprattutto a quella della mente e della ragione in modo da scoprire, per quanto è possibile, che cosa c'è di vero in siffatta specie di visioni. Nella visione spirituale invece, vale a dire nelle immagini dei corpi viste dallo spirito, l'anima s'inganna quando siffatte immagini le prende per oggetti reali o quando, formandosi delle immagini basate su una ipotesi o una falsa congettura, corrispondono anche a oggetti che si figura esistenti senza averli mai visti. Nelle intuizioni dell'intelletto, al contrario, l'anima non s'inganna. Poiché o essa comprende [ciò che vede] e allora possiede la verità, oppure, se non possiede la verità, l'anima non riesce a comprenderlo. Per conseguenza una cosa è, per l'anima, sbagliare riguardo agli oggetti ch'essa vede, un'altra è sbagliare perché non li vede.

Visioni spirituali causate da Dio.

26. 53. Succede alle volte che l'anima sia rapita [fuori dei sensi] per avere visioni in cui lo spirito contempla immagini somiglianti agli oggetti in modo da essere completamente estraniata dai sensi del corpo - più di quanto non lo sia ordinariamente nel sonno, ma meno di quanto lo è nella morte --; allora appunto avviene che l'anima, mediante l'ispirazione e l'aiuto di Dio, si rende conto di vedere nello spirito non oggetti materiali ma immagini di oggetti, come succede a coloro i quali sono consci di vedere in sogno anche prima di svegliarsi. Può darsi inoltre che nelle visioni spirituali si vedano eventi futuri - che si vedono attraverso le immagini presentate all'anima - in modo da essere riconosciuti come futuri con assoluta chiarezza sia perché l'intelligenza umana è aiutata da Dio, sia per il fatto che ne spiega il significato qualcuno presente in siffatte visioni, come veniva spiegato a Giovanni nell' Apocalisse 51. In questo caso si tratta d'una rivelazione importante anche se per caso colui, al quale sono rivelati quegli eventi, ignora se sia uscito fuori del corpo o si trovi ancora nel corpo; se infatti questa conoscenza non è rivelata a chi è rapito in estasi, è possibile ch'egli ignori questo suo stato se non gli viene rivelato.

Perfezione e felicità della visione intellettiva.

26. 54. Inoltre se uno, allo stesso modo ch'è stato rapito fuori dei sensi del corpo per essere tra le immagini dei corpo che vengono contemplate dallo spirito, viene anche rapito fuori delle stesse immagini per essere trasportato nella regione - diciamo così - delle realtà intellettuali e degl'intelligibili ove la verità appare trasparente senz'alcuna immagine corporale e la sua visione non è offuscata da nessuna nube di false opinioni, lì le virtù dell'anima non sono più penose né fastidiose; lì la concupiscenza non è più frenata con lo sforzo della temperanza, l'avversità non è più tollerata con la fortezza, l'iniquità non è più punita con la giustizia, il male non è più evitato con la prudenza. Lì l'unica e perfetta virtù è amare ciò che si ama. Lì infatti la felicità si beve alla sua stessa sorgente dalla quale si sparge per la nostra vita qualche spruzzo al fine di vivere con temperanza, con fortezza, con giustizia e prudenza tra le prove di questo mondo. Per raggiungere questa mèta, ove sarà il riposo sicuro e l'ineffabile visione della verità, noi ci sottoponiamo allo sforzo di trattenerci dai piaceri e sopportare le avversità, aiutare gli indigenti e opporci ai menzogneri. Lì si vede la gloria del Signore, non mediante una visione simbolica o corporale, come fu vista [da Mosè] sul monte Sinai 52, né mediante una visione spirituale come la vide Isaia 53 o Giovanni nell' Apocalisse 54, ma per mezzo d'una visione diretta, nella misura ch'è capace di percepirla l'anima umana mediante la grazia di Dio che la eleva a sé, per parlare da bocca a bocca a colui ch'egli ha reso degno d'un siffatto colloquio parlandogli non con la bocca del corpo ma con la bocca della mente.

La visione che Mosè ebbe da Dio.

27. 54. Così - penso io - deve intendersi ciò che la Scrittura dice di Mosè 55.

27. 55. Egli infatti - come leggiamo nell' Esodo - aveva desiderato di vedere Dio non certo come l'aveva visto sul monte [Sinai] né come lo vedeva dentro la tenda, ma nella sua essenza divina, per quanto può percepirla una creatura razionale e intellettuale allorché viene rapita fuori da ogni specie di simboli enigmatici dello spirito. La Scrittura infatti dice così: Se dunque ho trovato la grazia ai tuoi occhi, mostra a me te stesso; fa' che io ti possa vedere chiaramente 56, sebbene qualche riga prima si legga che Dio parlava a Mosè faccia a faccia come uno parla a un suo amico 57. Mosè dunque capiva ciò che vedeva ma desiderava di vedere ciò che non vedeva. Infatti - come si legge qualche riga dopo - avendogli Dio detto: Tu hai trovato grazia ai miei occhi e io ti conosco meglio di tutti gli altri, Mosè rispose: Lasciami vedere la tua gloria 58. Mosè allora, per la verità, ricevette dal Signore una risposta espressa sotto figura e che sarebbe troppo lungo spiegare adesso: Tu non potrai vedere il mio volto e restare in vita, poiché nessuno potrà vedere il mio volto e restare in vita 59. Dio poi soggiunse dicendogli: Ecco un luogo vicino a me: tu starai sulla roccia. Appena passerà la mia gloria, io ti porrò sulla sommità della roccia e ti coprirò con la mia mano e tu mi vedrai di spalle, ma il mio volto tu non lo vedrai 60. La Scrittura però nei passi seguenti non racconta che quella visione sia avvenuta anche in modo che Mosè vedesse Dio in persona e ciò dimostra assai chiaramente che le espressioni della Scrittura sono soltanto figurate per simboleggiare la Chiesa. È infatti la Chiesa "il luogo vicino al Signore" poiché è il suo tempio ed è costruita sulla roccia; inoltre tutte le altre espressioni di questo passo concordano con questa interpretazione. Se tuttavia Mosè non avesse meritato di vederla gloria di Dio ch'egli aveva desiderato ardentemente di contemplare, nel libro dei Numeri Dio non direbbe ad Aronne e Maria, suoi fratelli: Ascoltate le mie parole. Se ci sarà un vostro profeta, io, il Signore, mi farò conoscere da lui in visione e gli parlerò per mezzo di sogni. Non così farò con il mio servo Mosè, che è l'uomo di fiducia in tutta la mia casa: io parlerò con lui da bocca a bocca in visione diretta e non per enigmi ed egli ha visto la gloria del Signore 61. Ma non si deve pensare che queste espressioni indichino una sostanza corporale resa presente ai sensi del corpo, poiché certamente in questo modo parlava Dio con Mosè faccia a faccia, a tu per tu; quando tuttavia Mosè gli disse: Mostra a me te stesso 62, e anche adesso, rivolgendosi a coloro che egli rimproverava e al di sopra dei quali esaltava i meriti di Mosè, Dio parlava in questo modo per mezzo d'una creatura corporea resa pesante ai sensi del loro corpo. In quella maniera dunque e nella sua essenza divina parlava Dio in modo di gran lunga più intimo e misterioso in un colloquio ineffabile in cui nessuno potrà vederlo mentre vive in questa vita mortale nei sensi del corpo, ma è concesso solo a chi in certo qual modo muore a questa vita dopo aver abbandonato interamente il corpo oppure quando si estrania e viene rapito fuori dei sensi del corpo al punto di non sapere più, con ragione, come dice l'Apostolo, se si trova ancora nel suo corpo o fuori del corpo, quando viene rapito e trasportato a questa visione.

Intellettiva fu la visione di San Paolo.

28. 56. Se perciò questa terza specie di visione, ch'è superiore non solo a ogni visione corporale con cui, per mezzo dei sensi del corpo, si percepiscono gli oggetti materiali, ma è superiore anche ad ogni visione spirituale con cui le immagini degli oggetti sono viste dallo spirito e non dall'intelletto è ciò che l'Apostolo chiama "terzo cielo", con essa la gloria di Dio è vista da coloro i cuori dei quali vengono purificati affinché possano vederla. Ecco perché la Scrittura dice: Beati i puri di cuore perché vedranno Dio 63, non per mezzo di qualche simbolo reso presente sotto forma corporea o spirituale come in uno specchio oscuramente, ma faccia a faccia 64, o - come dice la Scrittura a proposito di Mosè - "da bocca a bocca", cioè mediante una visione dell'essenza di Dio sia pur nella misura quanto si voglia limitata di cui è capace di percepirla l'anima umana, che ha una natura diversa da quella di Dio, anche se purificata da ogni sozzura terrestre ed estraniata da tutti i sensi del corpo e rapita fuori d'ogni immaginazione corporale. Lontani da Dio noi siamo in esilio, appesantiti dal peso [del corpo] mortale e corruttibile per tutto il tempo in cui camminiamo nella fede e non ancora nella visione 65, anche quando in questo mondo noi viviamo santamente. Perché allora non dovremmo credere che Dio al grande Apostolo, maestro dei pagani, rapito fino a quella sublime visione, volle mostrare la vita in cui dovremo vivere in eterno dopo questa vita terrena? E perché non dovrebbe chiamarsi "paradiso" quello, senza confonderlo con quello in cui visse corporalmente Adamo tra alberi fronzuti e carichi di frutti? Poiché anche la Chiesa che ci raduna nel seno della carità è chiamata paradiso con alberi carichi di frutti 66. Ma questa espressione [della sacra Scrittura] ha un senso figurato per il fatto che il paradiso, ove visse realmente Adamo, era simbolo della Chiesa mediante una figura di ciò che doveva venire. Se però consideriamo la cosa più attentamente potremo forse pensare che il paradiso materiale, in cui visse Adamo con il suo corpo, era il simbolo non solo della vita che i fedeli servi di Dio trascorrono quaggiù nella Chiesa, ma anche della vita che dopo questa durerà in eterno. Così Gerusalemme, che significa visione di pace, sebbene sia evidentemente una città di questa terra, è simbolo della Gerusalemme celeste, che è la nostra madre eterna nei cieli. Quest'ultimo senso può applicarsi a coloro che sono salvati nella speranza e, sperando ciò che ancora non vedono, lo aspettano con costanza 67, tra i quali i figli della donna abbandonata sono numerosi, più numerosi di quelli di colei che ha avuto marito 68, ma può applicarsi anche agli stessi angeli santi mediante la Chiesa della multiforme sapienza di Dio 69, con i quali dopo questo pellegrinaggio terrestre dobbiamo vivere senza alcuna pena e senza fine.

Agostino ignora se ci siano altri cieli oltre il terzo e altre specie di visioni.

29. 57. Ma il terzo cielo al quale fu rapito l'Apostolo potremmo concepirlo pensando che ne esista anche un quarto e altri ancora più in alto, al di sotto dei quali si troverebbe quel "terzo cielo". Così alcuni sostengono l'esistenza di sette cieli, altri di otto, altri di nove o anche di dieci cieli, molti dei quali - affermano - sarebbero disposti a gradini nel solo cielo chiamato firmamento e perciò argomentano o pensano che siano corporei; ma ora sarebbe troppo lungo discutere quelle argomentazioni e opinioni. Può anche darsi che qualcuno sostenga o dimostri, se ne è capace, che anche nelle visioni spirituali o intellettuali vi siano molti gradi e questi siano disposti secondo una progressione in rapporto alle rivelazioni più o meno luminose. Ora, comunque stiano le cose e vengano interpretate e qualunque sia, tra le diverse opinioni, quella che a ciascuno piacerà adottare, io fino a questo momento non posso conoscere o mostrare se non queste tre specie di rappresentazioni di oggetti visti in sogno o di visioni e cioè: quelle percepite dal corpo, dallo spirito e dalla intelligenza. Ma stabilire quale sia il numero e i gradi di differenza di ciascuna specie di visioni e determinare il relativo grado di superiorità di ciascuna di esse rispetto alle altre confesso d'ignorarlo.

La visione spirituale e l'intervento degli angeli nel mostrare le immagini e altre visioni consuete nella veglia e nel sonno.

30. 58. Ma allo stesso modo che nella luce fisica di questo mondo si trova il cielo che vediamo al di sopra della terra e dove brillano il sole, la luna e le stelle, corpi di gran lunga più eccellenti di quelli terrestri, così nelle visioni di natura spirituale - ove noi vediamo le immagini di oggetti materiali in una specie di luce incorporea ch'è loro propria - ci sono oggetti straordinari e davvero divini mostrati dagli angeli in modo meraviglioso. Sia che grazie a una specie di facile ed efficace congiunzione o mescolanza facciano sì che le loro visioni divengano anche nostre, sia che sappiano - io non so come - formare la nostra visione nel nostro spirito, è una cosa difficile a comprendersi e più difficile a dirsi. Vi sono poi altre visioni [in sogno] più frequenti e umane che traggono origine dal nostro spirito in molte maniere o sono in qualche modo fornite allo spirito dal corpo a seconda che siano disposti nel corpo o nella mente. Poiché gli uomini non solo quando sono svegli rimuginano nel loro spirito immagini d'oggetti materiali, le quali sono il riflesso delle loro preoccupazioni, ma anche quando dormono sognano spesso ciò di cui sentono il bisogno: ciò si spiega perché trattano i loro affari spinti dalla cupidigia dell'anima e, se per caso si sono addormentati con la fame e con la sete, se ne stanno bramosi a bocca aperta davanti a vivande e bevande. Ora, a mio avviso, tutte queste visioni, paragonate alle rivelazioni fatteci dagli angeli, devono essere valutate con il criterio con cui, riguardo alla nostra natura corporale, paragoniamo le realtà terrestri con quelle celesti.

Diverse specie di visioni intellettuali.

31. 59. Così nelle visioni intellettuali alcune cose sono viste nella stessa anima, come, per esempio, le virtù - alle quali sono opposti i vizi - sia quelle destinate a rimanere [anche nella vita futura] come la pietà, sia quelle utili in questa vita ma destinate a cessare, come la fede, grazie alla quale crediamo le realtà che ancora non vediamo, come anche la speranza per cui aspettiamo con pazienza i beni futuri, e come la pazienza con cui sopportiamo tutte le avversità finché non arriveremo alla mèta dei nostri desideri. Sì, queste virtù e le altre della stessa specie che sono necessarie per condurre a termine il pellegrinaggio terreno, non esisteranno più nella vita futura, per ottenere la quale sono necessarie; anch'esse tuttavia sono viste con l'intelletto, poiché non sono dei corpi né hanno forme somiglianti a quelle dei corpi. Una cosa diversa è però la Luce, dalla quale è illuminata l'anima perché possa vedere, comprendendole conforme alla verità, le cose sia in se stessa sia in questa Luce. Questa Luce infatti è Dio stesso, mentre l'anima è una creatura la quale, benché razionale e intellettuale, fatta a immagine di lui, quando si sforza di contemplare quella Luce, batte le palpebre a causa della sua debolezza e non riesce a vederla interamente. Eppure è per mezzo della Luce ch'essa comprende ogni cosa per quanto ne è capace. Quando dunque l'anima è rapita là e, per essere stata sottratta ai sensi carnali, è resa presente in modo più distinto di fronte a quella visione - non per il fatto d'esserle più vicina nello spazio fisico, ma per un certo modo che è proprio della sua natura - e al di sopra di sé vede la Luce, mediante la cui illuminazione vede tutto ciò che vede anche in sé con l'intelletto.

Dove mai va l'anima all'uscire dal corpo e come può godere e soffrire.

32. 60. Ora, se mi si chiede se l'anima nel dipartirsi dal corpo vien trasportata in qualche luogo materiale oppure in uno spazio immateriale ma simile a luoghi materiali, o se, al contrario, in nessuno di essi ma in un luogo più eccellente non solo dei corpi ma anche delle immagini dei corpi, risponderò senz'altro ch'essa non può essere portata in un luogo materiale se non con un "corpo" oppure non è portata in nessun luogo materiale. Orbene, se l'anima può avere un "corpo" quando si partirà dal corpo, lo dimostri chi ne è capace; io non lo credo. L'anima, al contrario, è portata, a seconda dei meriti, in un soggiorno spirituale o in luoghi di pena la cui natura è simile a quella dei corpi, luoghi come quelli mostrati a coloro che, rapiti fuori dei sensi, giacendo come se fossero morti, videro le pene dell'inferno. Costoro portavano con sé una certa somiglianza del loro corpo con cui potevano essere portati là e sperimentare con la somiglianza dei loro sensi. Io infatti non capisco perché l'anima avrebbe una somiglianza del proprio corpo quando, mentre il corpo resta privo di sensi pur non essendo totalmente morto, vede oggetti come quelli [delle visioni] raccontate da molte persone una volta tornate tra i vivi appena usciti da quel rapimento, e non l'avrebbe quando, a causa della morte effettiva esce totalmente dal suo corpo. Ne segue dunque che l'anima è portata o verso luoghi di pena oppure verso altri luoghi somiglianti a quelli materiali, non tuttavia di pena, ma di pace e di gioia.

Realtà delle pene e della felicità dell'aldilà.

32. 61. Ora, non si può dire che quelle pene o quella pace e quella gioia siano false, poiché le cose sono false quando si scambia una cosa per un'altra a causa di un giudizio erroneo. Così, per esempio, s'ingannava certamente Pietro quando vedeva quel vassoio e immaginava che in esso fossero non immagini di corpi, ma corpi reali 70. Egli errava anche in un'altra occasione quando, avendolo sciolto dalle catene un angelo, uscì dal carcere camminando con il proprio corpo a contatto con oggetti materiali e tuttavia credeva d'avere ancora una visione 71. Ciò si spiega poiché da una parte gli animali contenuti in quel vassoio erano immagini spirituali somiglianti a quelle corporali e d'altra parte la visione d'un uomo sciolto dalle catene per un miracolo aveva l'apparenza di un'immagine spirituale. In entrambi i casi l'anima s'ingannava ma solo perché scambiava una cosa per un'altra. Gli oggetti dunque, da cui le anime, una volta uscite dal corpo, provano il bene o il male, non sono materiali ma solo somiglianti ad essi, dal momento che anche le anime appaiono a se stesse sotto forme simili ai loro corpi; ciononostante quegli oggetti sono reali e sono reali la gioia o la pena prodotte da una sostanza spirituale. Anche nel sonno infatti c'è una gran differenza tra l'aver sogni di gioia o incubi di sofferenza. Ecco perché alcuni si rattristano svegliandosi da sogni in cui avevano goduto dei beni che avevano bramato mentre in altre occasioni, svegliandosi da sogni in cui erano stati in preda a terrori e tormenti, ebbero paura di dormire per non ricadere nei medesimi incubi. Ora, certamente non si deve dubitare che quelle che si chiamano pene dell'inferno sono più intense e perciò sono percepite con dolore più vivo. Coloro, infatti, che sono stati rapiti fuori dei sensi del corpo, hanno raccontato in seguito d'essersi trovati in esperienza più forte di quella d'un sogno benché naturalmente fosse meno intensa di quanto sarebbe stata se fossero morti del tutto. L'inferno dunque esiste, ma io penso che la sua natura sia spirituale, non materiale.

Realtà e natura dell'inferno.

33. 62. Non si devono ascoltare nemmeno coloro i quali affermano che l'inferno corrisponde allo svolgersi della vita presente e che non esiste dopo la morte; ma se la vedano essi in qual senso interpretare le finzioni poetiche. Noi non dobbiamo allontanarci dall'autorità delle Sacre Scritture, alle quali solo dobbiamo prestare fede a proposito di questo problema. Potremmo d'altronde dimostrare che i sapienti pagani non dubitarono affatto della realtà dell'inferno che dopo la vita presente riceve le anime die morti. Con ragione però ci si pone in quesito perché mai si dice che l'inferno è sottoterra, se non è un luogo materiale, o perché si chiama inferno, se non è sotterra. Al contrario, che l'anima non è materiale non è solo una mia opinione ma oso anzi proclamare apertamente di saperlo con certezza. Chi però afferma che l'anima non può avere la somiglianza d'un corpo o addirittura delle membra d'un corpo, dovrebbe dire che non è l'anima quella che in sogno vede se stessa camminare o star seduta, andare e tornare qua e là a piedi o volando, ma nulla di ciò può avvenire senza ch'essa abbia una certa somiglianza d'un corpo. Per conseguenza, se essa porta anche nell'inferno siffatta somiglianza - che non è corporea ma qualcosa di simile a un corpo - sembra che si trovi ugualmente anche in luoghi non fisici ma simili a quelli fisici, sia nel riposo che nei tormenti.

Il soggiorno delle anime giuste: il seno di Abramo.

33. 63. Ciononostante debbo confessare altresì di non aver trovato un testo [della sacra Scrittura] ove sia chiamato "inferno" il soggiorno ove riposano le anime dei giusti. Noi inoltre, per la verità, non senza ragione crediamo che l'anima di Cristo andò fino ai luoghi ove sono tormentati i peccatori per liberare dai loro tormenti coloro che, per la sua inscrutabile giustizia, aveva deciso dover liberare. In qual altro senso infatti si può intendere ciò che dice la Scrittura: Dio lo risuscitò dai morti dopo aver abolito le sofferenze degli inferi, poiché non era possibile ch'egli fosse tenuto in loro potere? 72. Io non vedo che si possa intendere [questa frase] se non nel senso ch'egli liberò alcuni dalle pene dell'inferno in virtù del potere per cui è il Signore, poiché ognuno piega a lui le ginocchia nei cieli, sulla terra e sottoterra 73; a causa del suo potere egli non poteva neppure essere tenuto nei lacci delle pene ch'egli aveva sciolti. Ma né Abramo né quel povero ch'era nel suo seno - cioè nel soggiorno misterioso del suo riposo - si trovavano in mezzo alle sofferenze, poiché [nella sacra Scrittura] leggiamo che tra il loro riposo e i tormenti dell'inferno è stabilito un grande abisso; d'altronde la Scrittura non dice neppure ch'essi fossero nell'inferno, poiché [Cristo] dice: Ora avvenne che quel povero morì e fu portato dagli angeli nel seno di Abramo. Morì anche il ricco e fu sepolto. Stando [questi] nell'inferno tra i tormenti, ecc. 74. Vediamo quindi che l'inferno è menzionato non a proposito del riposo del povero ma a proposito del castigo del ricco.

La tristezza è un male non piccolo dell'anima.

33. 64. Quanto a ciò che Giacobbe dice ai suoi figli: Voi farete scendere con dolore la mia vecchiaia nell'inferno 75, sembra piuttosto indicare che egli temeva di restare sconvolto a causa d'una tristezza sì grande da andare non al riposo dei beati ma nell'inferno dei peccatori. La tristezza infatti è un male non lieve per l'anima, dal momento che anche l'Apostolo era tanto ansioso per un fedele nel timore che fosse oppresso da una tristezza più grave 76. Come dunque ho detto, non ho ancora trovato e cerco ancora un passo delle Scritture - parlo solo di quelle canoniche - in cui il termine "inferno" sia preso in senso buono. Quanto poi al "seno di Abramo" e al riposo in cui quel povero fu portato dagli angeli non so se alcuno possa intenderli se non in senso buono. Non vedo, per conseguenza, come potremmo credere che quel riposo sia nell'inferno.

Si discute ove sia il paradiso e se possa essere il seno di Abramo.

34. 65. Ma mentre stiamo cercando di dare una risposta al quesito che ci siamo proposti - e sia che la troviamo, sia che non la troviamo --, la lunghezza di questo libro ci spinge a concluderlo una buona volta. Noi abbiamo cominciato la discussione sul paradiso a proposito d'un passo dell'Apostolo, in cui dice di conoscere un uomo, ch'era stato rapito fino al terzo cielo, ma d'ignorare se con il corpo o senza il corpo, e d'essere stato rapito in paradiso e d'aver udito parole arcane che nessuno può ripetere. Noi perciò non determiniamo alla leggera se il paradiso è sito nel terzo cielo oppure se [l'Apostolo] fu rapito anche al terzo cielo e poi di lì nel paradiso. Poiché, se può chiamarsi con ragione "paradiso", nel senso proprio della parola, un luogo ricco di alberi e, in senso figurato, anche una regione - diciamo così - spirituale, ove si gode la felicità, è "paradiso" non solo il terzo cielo, qualunque cosa esso sia - che in realtà è una cosa meravigliosa e sommamente bella --, ma anche la gioia derivante dalla buona coscienza nell'uomo. Ecco perché anche la Chiesa, per i fedeli servi di Dio che vivono nella temperanza, nella giustizia e nell'amore verso Dio, è chiamata giustamente "paradiso" 77, ricca com'è di grazie abbondanti e di caste delizie 78, poiché anche nelle tribolazioni si gloria della propria pazienza ed è ricolma di grande gioia poiché le consolazioni di Dio rallegrano la sua anima in proporzione della moltitudine delle sofferenze che prova nel suo cuore 79. Con quanta maggior ragione può dunque chiamarsi "paradiso" dopo questa vita anche il seno di Abramo in cui non ci sarà più alcuna tentazione ma un meraviglioso riposo dopo tutte le sofferenze di questa vita! Poiché anche lì c'è una luce sua propria e tutta speciale di natura certamente straordinaria. Tale era la luce che vide quel ricco tra i tormenti e nelle tenebre dell'inferno; sebbene ci fosse di mezzo un grande abisso, tuttavia anche da tanto lontano la vide così chiara da riconoscervi il povero ch'egli una volta aveva disprezzato.

Gli inferi sono "un luogo spirituale".

34. 66. Se le cose stanno così, si dice o si crede che l'inferno è situato sotterra perché nello spirito è presentata un'appropriata somiglianza delle cose corporali; in tal modo, poiché le anime die defunti, che hanno meritato l'inferno, hanno peccato per l'amore della carne, mediante immagini delle realtà corporee, è procurato loro ciò che suole essere procurato a un cadavere che ordinariamente è sepolto sotterra. L'inferno perciò in latino si chiama inferi poiché è situtato al di sotto [della terra]. Allo stesso modo poi che nell'ambito dei corpi, se si attengono alla legge di gravità, quelli pesanti sono più in basso, così nell'ambito degli spiriti si trovano più in basso tutti quelli che sono più tristi. Ecco perché si dice che anche nella lingua greca l'etimologia del nome con cui è denotato l'inferno esprime il significato di "ciò che non ha nulla di piacevole". Tuttavia il nostro Salvatore, dopo essere morto per noi, non disdegnò di visitare anche quella parte del mondo per liberare di lì coloro ch'egli non poteva ignorare dover essere liberati conforme alla sua divina, occulta giustizia. Ecco perché all'anima del buon ladrone, al quale aveva detto: Oggi sarai con me in paradiso 80, promise non l'inferno ove sono puniti i peccatori, ma il seno di Abramo - poiché Cristo non può non essere dappertutto, essendo lui la Sapienza di Dio che penetra in ogni cosa a causa della sua purezza 81 - oppure promise il paradiso, sia ch'esso si trovi nel terzo cielo o in qualsiasi altro luogo in cui fu rapito l'Apostolo dopo essere stato al terzo cielo, se pur è vero che l'unica dimora, in cui sono le anime dei beati, non è l'unica e medesima cosa denominata con nomi diversi.

I tre cieli spiegati in rapporto alle tre specie di visioni.

34. 67. Pare dunque che per "primo cielo" sia giusto intendere - con un termine generico - tutto questo cielo materiale che si trova al di sopra delle acque e della terra, per secondo cielo invece quello visto dallo spirito, sotto immagini corporali - come quello dal quale a Pietro rapito in estasi fu fatto scendere quel vassoio pieno di animali 82-- e per "terzo cielo" ciò che la mente contempla dopo essere stata separata, allontanata e rapita completamente fuori dei sensi del corpo e talmente purificata da essere capace di vedere e udire in modo ineffabile - grazie alla carità dello Spirito Santo - le realtà che si trovano in quel cielo e la stessa essenza di Dio come anche il Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa 83. Non senza ragione noi crediamo non solo che l'Apostolo fu rapito fin lassù 84, ma altresì che forse è lì il paradiso più eminente e - se così può dirsi - il paradiso dei paradisi. Se infatti l'anima buona trova la gioia nel bene che si trova in ogni creatura, quanto più eccellente è la gioia ch'essa trova nel Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa?

La risurrezione dei corpi necessaria per la beatitudine dell'anima.

35. 68. Ma che bisogno hanno gli spiriti dei defunti di riprendere il proprio corpo nella risurrezione, se possono avere la suprema felicità senza il loro corpo? È un'obiezione che potrebbe turbare qualcuno ma per verità è un problema troppo difficile a essere trattato completamente in questo libro. Non si deve tuttavia dubitare affatto che la mente dell'uomo, anche allorché è rapita fuori dei sensi del corpo o quando, dopo la morte, avendo abbandonato il corpo, non è più soggetta alle immagini dei corpi, non è in grado di vedere l'essenza immutabile di Dio, come la vedono gli angeli santi. Ciò può avvenire per qualche altra causa misteriosa o perché è innata nell'anima una specie di brama naturale di governare il corpo. Questa brama raffrena in qualche modo l'anima dal tendere con tutte le sue forze verso quel sommo cielo fino a quando non sarà riunita al corpo in modo che quella sua brama rimanga soddisfatta nel governare il corpo. Se, al contrario, il corpo è di tal natura che è difficile e gravoso governarlo come lo è questa carne che si corrompe e appesantisce l'anima 85 - derivando esso da una discendenza corrotta dal peccato - maggiormente distoglie la mente dalla visione del sommo cielo. Era dunque necessario che l'anima fosse strappata ai sensi della medesima carne perché le fosse mostrato come potesse raggiungere quella visione. Quando perciò l'anima, fatta uguale agli angeli riprenderà questo corpo non più quale corpo naturale ma, a causa della futura trasformazione, divenuto corpo spirituale, raggiungerà la perfezione della sua natura, obbediente e dirigente, vivificata e vivificante con una facilità tanto ineffabile che tornerà a sua gloria il corpo che le era di peso.

In qual modo avranno luogo nei beati le tre specie di visioni.

36. 69. Poiché anche allora ci saranno ovviamente le tre specie di visioni che abbiamo spiegato ma non ci sarà alcun errore che ci farà scambiare una cosa per un'altra né a proposito delle cose corporali, né di quelle spirituali e molto meno a proposito di quelle intellettuali. L'anima godrà perfettamente [nella visione] di queste realtà percepite dall'intelletto ed esse saranno talmente presenti ed evidenti che in confronto ci sono molto meno chiare le forme corporee di questo mondo che noi percepiamo adesso con i sensi del corpo: in quest'ultime forme sono assorte molte persone al punto di pensare che non ve ne siano altre e immaginare che tutto ciò che non è di tal genere non esista affatto. I sapienti invece, a proposito di queste forme [d'oggetti] si comportano diversamente: benché quelle appaiano più ovvie o più eccellenti, essi tuttavia si attengono con maggior sicurezza alle cose di cui si rendono conto, secondo il grado della loro intelligenza, oltrepassando le forme corporali, benché non siano capaci di contemplare le realtà intelligibili con la mente in modo così chiaro come vedono le realtà sensibili con i sensi del corpo. Gli angeli santi al contrario, se da una parte svolgono il compito di giudicare e governare le realtà del mondo materiale, d'altra parte non sono attaccati a esse in modo più intimo; essi inoltre discernono con lo spirito le immagini simboliche di quelle realtà e le trattano, per così dire, con tanta efficacia da poterle comunicare anche allo spirito degli uomini mediante una rivelazione. Per di più essi contemplano l'immutabile essenza del Creatore così chiaramente che, poiché la vedono e l'amano, la preferiscono a tutte le altre cose e giudicano ogni cosa alla luce di essa e si dirigono verso di essa per essere mossi da essa nell'agire e regolano [così] ogni loro azione in conformità con essa. Infine all'Apostolo, sebbene rapito fuori dei sensi del corpo fino al terzo cielo e al paradiso, mancò certamente una cosa per avere una piena e perfetta conoscenza delle cose, poiché non sapeva s'egli c'era con il corpo o senza il corpo. Questa conoscenza [a noi] non mancherà certamente quando, dopo che avremo ripreso il corpo nella riusrrezione dei morti, questo corpo corruttibile si rivestirà d'incorruttibilità e questo corpo mortale si rivestirà d'immortalità 86. Poiché ogni cosa sarà evidente senza errore e senza ignoranza, occupando ciascuna di esse il proprio posto, sia le corporali che le spirituali e le intellettuali, nella propria natura integra e nella perfetta felicità.

Secondo alcuni interpreti il terzo cielo indica la distinzione tra l'uomo corporale, l'uomo animale e quello spirituale.

37. 70. Io so tuttavia che alcuni dei più stimati commentatori delle Sacre Scritture in conformità con la fede cattolica, che mi hanno preceduto, hanno dato un'interpretazione diversa di quello che l'Apostolo chiama "terzo cielo"; essi cioè vorrebbero sostenere che vi sia una distinzione tra l'uomo corporale, l'uomo naturale e l'uomo spirituale; l'Apostolo inoltre sarebbe stato rapito per contemplare in una visione di straordinaria evidenza il regno delle realtà incorporee che le persone spirituali anche in questa vita amano e desiderano godere al di sopra di ogni altra cosa. La ragione per cui io invece ho preferito chiamare spirituale e intellettuale ciò che quelli chiamano forse naturale e spirituale, usando solo termini differenti per indicare cose identiche, credo d'averla spiegata a sufficienza nella prima parte di quest' [ultimo] libro.

 

1 - 2 Cor 12, 2-4.

2 - Cf. At 10, 11.

3 - Cf. Ap 1, 13-20.

4 - Cf. Ez 37, 1-10.

5 - Cf. Is 6, 1-7.

6 - 2 Cor 12, 2.

7 - Es 33, 13.

8 - Cf. Ap 13, 1; 17, 15. 18.

9 - 2 Cor 12, 2.

10 - 2 Cor 12, 2.

11 - 2 Cor 12, 2.

12 - 2 Cor 12, 2.

13 - Mt 22, 39.

14 - Col 2, 9.

15 - Col 2, 17.

16 - 1 Cor 15, 44.

17 - Sal 148, 8.

18 - Qo 3, 21.

19 - Ef 4, 23-24.

20 - Col 3, 10.

21 - Rm 7, 25.

22 - Gal 5, 17.

23 - Gv 4, 24.

24 - 1 Cor 14, 14.

25 - 1 Cor 14, 2.

26 - 1 Cor 14, 16.

27 - 1 Cor 14, 16.

28 - Cf. Gn 41, 1-32.

29 - Cf. Dn 2, 27-45; 4, 16-24.

30 - 1 Cor 14, 15.

31 - Mt 22, 39.

32 - Cf. Dn 5, 5-28.

33 - At 10, 11-13.

34 - At 10, 17-20.

35 - At 10, 15.

36 - At 10, 28.

37 - 2 Cor 11, 14.

38 - 1 Cor 12, 10.

39 - Cf. At 12, 7-9.

40 - At 10, 14.

41 - Cf. At 10, 11-14.

42 - Cf. 1 Re 3, 5-15.

43 - Gi 2, 28.

44 - Mt 1, 20.

45 - Mt 2, 13.

46 - Gal 5, 22-23.

47 - Cf. Rm 1, 36.

48 - 1 Cor 2, 15.

49 - 1 Cor 14, 15.

50 - Ef 4, 23.

51 - Ap 1, 10 ss.

52 - Cf. Es 19, 18.

53 - Cf. Is 6, 1.

54 - Cf. Ap 1, 10 ss.

55 - Cf. Nm 12, 8.

56 - Es 33, 13.

57 - Es 11, 17.

58 - Es 33, 12-13.

59 - Es 33, 20.

60 - Es 33, 21-23.

61 - Nm 12, 6-8.

62 - Es 13, 18.

63 - Mt 5, 8.

64 - Cf. 1 Cor 13, 12.

65 - Cf. 2 Cor 5, 6-7.

66 - Ct 4, 13.

67 - Cf. Gal 4, 26-27.

68 - Cf. Ef 3, 10.

69 - Cf. Ef 3, 10.

70 - Cf. At 10, 11-12.

71 - Cf. At 12, 7-9.

72 - At 2, 24.

73 - Cf. Fil 2, 10.

74 - Lc 16, 22-26.

75 - Gn 44, 29.

76 - Cf. 2 Cor 2, 7.

77 - Cf. Sir 40, 27.

78 - Cf. Ct 8, 5.

79 - Cf. Sal 93, 19.

80 - Lc 23, 43.

81 - Cf. Sap. 7, 24.

82 - Cf. At 10, 10-12.

83 - Gv 1, 3.

84 - Cf. 2 Cor 12, 2-4.

85 - Cf. Sap 9, 15.

86 - Cf. 1 Cor 15, 53.


Vita del giovanetto Savio Domenico allievo dell'oratorio di San Francesco di Sales

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Estratto di lettera pastorale di mons. Gioanni Antonio Gianotti Arcivescovo e Vescovo di Saluzzo

Ai venerandi paroci della sua diocesi in favore delle Letture Cattoliche.

 

Prima di chiudere questa nostra Lettera, non possiamo a meno di eccitare il vostro zelo per la propagazione di un libretto periodico, la cui lettura, attese le circostanze dei tempi, crediamo sommamente utile alle famiglie cristiane.

            Voi lo sapete, Ven. Fr., che alcuni anni sono, con apposita Lettera pastorale, diretta ai fedeli di Nostra Diocesi abbiamo loro dimostrato i {3 [153]} gravissimi danni che cagionano alla fede ed al buon costume tanti libri e fogli empi e licenziosi, di cui sono inondate le nostre contrade. Ora vedendo che questi danni si hanno pur troppo tuttavia a deplorare, vi suggeriamo a voler unire la vostra alla nostra sollecitudine, e vegliare non solo per impedire che il nemico delle anime semini di nascosto la zizzania nel campo evangelico, ma adoperarvi colla più industriosa carità per ispargere dovunque la buona semenza della parola di Dio e delle cattoliche dottrine. La qual cosa si potrà da voi eseguire non solo colle apposite istruzioni che farete in Chiesa, ma ancora col disseminare nelle famiglie l'accennato libretto intitolato Letture Cattoliche, che già altra volta vi abbiamo raccomandato. Sia per la scelta degli {4 [154]} argomenti, sia per la chiarezza dell'esposizione e dello stile, sia finalmente per la modicità della spesa[1], ci parve il più adattato all'intelligenza, come ai bisogni del popolo. E tanto più caldamente potrete raccomandarne la lettura, in quanto che il medesimo supremo Gerarca della Chiesa Pio IX degnavasi d'incoraggiare i collaboratori della pia impresa a continuarvi, e di più, per mezzo di Circolare di S. Em. il Cardinale Vicario, eccitava tutti gli Arcivescovi e Vescovi dello Stato Pontificio a diffondere il più che fosse possibile queste Letture Cattoliche per tutte le città e castelli soggetti alla spirituale loro giurisdizione. {5 [155]} Preghiamo, Ven. Fr., il Dio delle misericordie, affinchè riguardi con occhio pietoso le afflizioni della sua Chiesa, e faccia risplendere sopra la nostra cara patria giorni più sereni e tranquilli per la santa nostra cattolica Religione, e che intanto ci accordi la pazienza, il coraggio e lo zelo di cui, come suoi fedeli Ministri, abbisogniamo per combattere le sue guerre, trionfare de' suoi nemici, e condurre le anime affidate alla nostra cura spirituale al sospirato porto della beata eternità.

 

            Saluzzo il 9 ottobre 1858.

 

GIOANNI ARCIV. VESCOVO.

 

G. GARNERI Segretario. {6 [156]}

 

 

Giovani carissimi:

 

Voi mi avete più volte dimandato, Giovani carissimi, di scrivervi qualche cosa intorno al vostro compagno Savio Domenico: ed io ho fatto quello che ho potuto per appagare questo vostro pio desiderio. Eccovi la vita di lui descritta con quella brevità e semplicità che so tornare a voi di gradimento.

            Due difficoltà si opponevano alla pubblicazione di questo lavoro; la prima è la critica cui per lo più va soggetto chi scrive cose delle quali avvi moltitudine di testimonii viventi. Questa difficoltà credo di aver superato col farmi uno studio di narrare unicamente le cose che da voi o da me {7 [157]} furono vedute, e che quasi tutte conservo scritte e segnate di vostra mano medesima.

            Altro ostacolo era il dover più volte parlare di me, perciocchè essendo questo giovane vissuto circa tre anni in questa casa mi tocca sovente riferire cose, di cui ho avuto parte. Questo ostacolo credo pur di aver superato tenendomi al dovere dello storico, che e di scrivere la verità dei fatti, senza badare alle persone. Tuttavia se troverete qualche fatto, ove io parli di me con qualche compiacenza, attribuitela al grande affetto che io portava all'amico defunto e che porto a tutti voi; il quale affetto mi fa aprire a voi l'intimo del mio cuore, come farebbe un padre che parla a' suoi amati figliuoli.

            Taluno di voi dimanderà, perchè io abbia scritto la vita di Savio Domenico e non quella di altri giovani che vissero tra di noi con fama di specchiata, virtù. È vero, miei cari, la {8 [158]} Divina Provvidenza si degnò di mandarci parecchi modelli di virtù; tali furono Fascio Gabriele, Rua Luigi, Gavio Camillo, Massaglia Giovanni ed altri; ma le azioni di costoro non sono state egualmente note e speciose come quelle del Savio, il cui tenor di vita fu notoriamente maraviglioso. Però, se Dio mi darà sanità e grazia, ho in animo di raccogliere le azioni di questi vostri virtuosi compagni, per essere in grado di appagar i vostri e i miei desiderii col darvele a leggere e ad imitare in quello che è compatibile col vostro stato.

            Intanto cominciate a trar profitto di quanto qui vi verrò descrivendo; e dite in cuor vostro quanto diceva S. Agostino: Si ille, cur non ego? Se un mio compagno, della stessa mia età, nel medesimo luogo, esposto ai medesimi e forse maggiori pericoli, tuttavia trovò tempo e modo di mantenersi fedele seguace di Gesù Cristo, perchè non posso fare anche io lo {9 [159]} stesso? Ricordatevi però bene che la religione vera non consiste in sole parole; bisogna venir alle opere; quindi, trovando qualche cosa degna di ammirazione, non contentatevi di dire: questo è bello, questo mi piace: dite piuttosto: voglio adoperarmi per fare quelle cose che, lette di altri, mi eccitano alla maraviglia.

            Dio doni a voi e a tutti i lettori di questo libretto sanità e grazia per trar profitto di quanto ivi andranno leggendo, e la Vergine Santissima, di cui il giovane Savio era fervoroso divoto, ci ottenga di poter fare un cuor solo ed un'anima sola per amare il nostro Creatore, che è il solo degno di essere amato sopra ogni cosa, e fedelmente servito in tutti i giorni di nostra vita. {10 [160]}

 

 

Capo Primo. Patria - indole di questo giovine suoi primi atti di virtù.

 

            I genitori del giovane, di cui intraprendiamo a scrivere la vita, furono Savio Carlo e Brigida di lui consorte, poveri, ma onesti contadini di Castelnuovo d'Asti, paese distante dieci miglia da Torino. L'anno 1841 il Carlo Savio, trovandosi in gravi strettezze e privo di lavoro, andò con sua moglie a dimorare in Riva, paese distante due miglia da Chieri, e si diede a fare il fabbro-ferraio, mestiere in cui erasi nella sua giovinezza esercitato. Mentre dimoravano in questo paese Dio benedisse il loro matrimonio concedendo un figliuolo che doveva essere la loro consolazione. La nascita di lui avvenne il 2 di aprile 1842. Quando lo portarono ad essere rigenerato nelle acque battesimali, gl'imposero il nome {11 [161]} di Domenico, la qual cosa, sebben per se sia indifferente, tuttavia fu soggetto di alta considerazione pel nostro fanciullo, siccome vedremo.

            Compieva Domenico il secondo anno di sua età, quando, per alcune convenienze di famiglia, i suoi genitori deliberarono di ritornare in patria, e andarono a fissare la loro dimora in Murialdo, borgata di Castelnuovo d'Asti.

            Le sollecitudini de' buoni genitori erano tutte rivolte a dare una cristiana educazione al loro fanciullo, che fin d' allora formava l'oggetto delle loro compiacenze. Egli aveva sortito dalla natura un'indole buona, un cuore propriamente nato per la pietà. Apprese con maravigliosa facilità le preghiere del mattino e della sera ed all' età di soli quattro anni già recitavate da sè. Anche in quell'età di naturale divagazione egli dipendeva in tutto e per tutto dalla sua genitrice: e se qualche volta da lei si allontanava era solamente per mettersi in qualche cantuccio della casa e fare con maggior libertà preghiere lungo il giorno.

            «Fin dalla più tenera età, affermano i suoi genitori, nella quale per mancanza di {12 [162]} riflessione i ragazzi sono un disturbo ed un cruccio continuo per le madri; età in cui tutto vogliono vedere, toccare e per lo più guastare, il nostro Domenico non ci diede mai il minimo dispiacere. Non solo era ubbidiente, pronto a qualsiasi nostro comando, ma studiava di prevenire le cose, che egli scorgeva tornar a noi di gradimento.» Erano poi curiose e nel tempo stesso piacevoli le accoglienze che faceva al padre quando il vedeva giungere a casa, dopo i suoi ordinari lavori. Correva ad incontrarlo e presolo per mano e talor saltandogli al collo, caro papà, gli diceva, quanto siete stanco! non è vero? voi lavorate tanto per me ed io non sono buono ad altro che a darvi fastidio; io pregherò il buon Dio che doni a voi la sanità, e che mi faccia buono. Così dicendo lo accompagnava in casa, gli presentava la sedia o lo scanno perchè vi si sedesse; gli teneva compagnia e gli faceva mille carezze. Questo, dice il padre, era per me un dolce conforto nelle mie fatiche, ed io era come impaziente di giungere a casa per imprimere un tenero bacio al mio Domenico, che possedeva tutti gli affetti del mio cuore.

            La sua divozione cresceva più dell'età, {13 [163]} ed a' soli quattro anni non occorreva più di avvisarlo di recitare le preghiere del mattino e della sera, prima e dopo il cibo, dell'angelus; che anzi era egli che invitava gli altri di casa a recitarle qualora se ne fossero dimenticati.

 

 

Capo II. Morale condotta tenuta in Murialdo - Bei tratti di virtù - Frequenza della scuola di quella borgata.

 

            Qui ci sono cose che appena si crederebbero se chi le asserisce non escludesse i nostri dubbi. Io mi tengo alla relazione che il Cappellano di quella Borgata[2] ebbe la cortesia di farmi intorno a quel suo caro alunno.

            «Nei primi giorni, egli dice, che io sono venuto a questa borgata di Murialdo, vedeva spesse volte un ragazzino di forse cinque anni venire alla chiesa in compagnia di sua madre. La serenità del suo {14 [164]} sembiante, la compostezza della persona, l' atteggiamento divolo trassero sopra di lui gli sguardi miei e gli sguardi degli altri. Che se giunto alla chiesa l'avesse trovata chiusa, allor succedeva un ameno spettacolo. Ben lungi dallo scorrazzare o schiamazzare da se o con altri, come sogliono fare i ragazzi di tale età, egli recavasi sul limitare della porta, si metteva in ginocchio e col capolino chinato e colle innocenti manine giunte dinanzi al petto fervorosamente pregava finchè venisse aperta la chiesa. Si noti che talvolta il terreno era coperto di tango, oppure cadeva neve o pioggia, ma egli a nulla badava e mettevasi colà per pregare. Maravigliato e mosso da pia curiosità ho voluto sapere chi fosse quel fanciullo, che era divenuto l'oggetto della mia ammirazione, e seppi essere il figliuolo del ferraio Carlo Savio.

            Quando poi m'incontrava per la strada cominciava di lontano a dar segni di compiacenza, e con un'aria veramente angelica preveniva rispettosamente il mio saluto. Cominciò egli pure a venire alla scuola, e poichè era fornito d'ingegno ed era assai diligente nell' adempimento de' suoi doveri {15 [165]} fece in breve tempo notevole progresso nello studio. Egli era costretto a conversare con giovani discoli e divagali, ma non mi è mai accaduto di vederlo in contesa. Che se fosse avvenuto qualche alterco, egli, sopportando con pazienza gl' insulti dei compagni, tosto da loro si allontanava. Nè mi ricordo di averlo veduto a prendere parte a divertimenti pericolosi, a dare il minimo disturbo nella scuola. Anzi molti compagni lo invitavano ad andare seco loro a far delle burle a persone di età avanzata, a scagliar sassi, a rubar frutta altrui o a cagionar guasti nelle campagne; ma egli destramente sapeva disapprovare la loro condotta e rifiutavasi dal prendervi parte.

            La pietà già dimostrata pregando sul limitare della Chiesa non venne meno col crescere degli anni. Di cinque anni egli aveva già imparato a servire la santa Messa e la serviva divotissimamente. Ogni giorno vi andava, e se altri voleva servirla, egli la sentiva, altrimenti vi si prestava con un contegno il più edificante. Siccome era giovane di età e piccolo di statura, non poteva trasportare il messale; ed era cosa curiosa il vederlo avvicinarsi ansioso all'altare, levarsi sulla punta dei piedi, {16 [166]} tendere quanto poteva le piccole braccia, fare ogni sforzo per toccare il leggìo. Se il sacerdote od altri avesse voluto fargli la cosa più cara del mondo, doveva, non già trasportare il messale, ma solo avvicinargli il leggìo tanto che lo potesse raggiungere, ed allora egli con gioia lo portava all'altro lato dell'altare.

            Si confessava con frequenza e come fu capace di distinguere il pane celeste dal pane terreno venne ammesso alla santa Comunione, che egli riceveva con una divozione veramente ammirabile. Alla vista di que' belli lavori, che la grazia Divina compieva in quell' anima innocente ho più volte detto tra me: ecco un giovanetto di ottime speranze. Dio voglia che gli si apra una strada per condurre a maturità frutti cosi preziosi.» Fin qui il Cappellano di Murialdo.

 

 

Capo III. È ammesso alla prima comunione - Apparecchio - Raccoglimento e ricordi di quel giorno.

 

            Nulla mancava a Domenico per essere ammesso alla prima comunione. Sapeva a {17 [167]} memoria tutto il piccolo catechismo; aveva chiara cognizione di questo augusto sacramento, e ardeva del desiderio di accostarvisi; soltanto l'età se gli opponeva, perciocchè ne' villaggi ordinariamente non si ammettono fanciulli a fare la prima comunione se non agli undici o dodici anni compiuti. Il Savio correva solo il settimo anno di sua età. Oltre la fanciullesca età aveva un corpicciuolo che lo faceva parere ancor più giovane; sicchè il Cappellano esitava a promuoverlo. Ne dimandò anche consiglio ad altri sacerdoti, e ponderata bene la cognizione precoce, l'istruzione ed i vivi desiderii di Domenico, si lasciarono da parte tutte le difficoltà e fu ammesso a partecipare per la prima volta del cibo degli Angeli.

            È assai difficile esprimere gli affetti di santa gioia, di cui gli riempi il cuore un tale annunzio. Corse a casa, lo disse con trasporto alla madre; ora pregava, ora leggeva, passava molto tempo in chiesa prima e dopo la messa, e pareva che l'anima sua abitasse già cogli angeli del Cielo. La vigilia del giorno fissato per la comunione chiamò la sua genitrice: mamma, le disse, domani vo a fare la mia {18 [168]} comunione; perdonatemi tutti i dispiaceri che vi diedi pel passato: per l'avvenire vi prometto di essere molto più buono; sarò attento alla scuola, ubbidiente, docile rispettoso a quanto sarete per comandarmi. Ciò detto fu commosso e si mise a piangere. La madre che non aveva ricevuto da lui altro che consolazioni ne fu ella pure commossa e rattenendo a stento le lagrime lo consolò dicendogli: va pure tranquillo, caro Domenico, tutto è perdonato: prega Iddio che ti conservi sempre buono, pregalo anche per me e per tuo padre. -

            Al mattino di quel memorando giorno si levò per tempo e, vestitosi de' suoi abiti più belli, andò alla chiesa, che trovò ancor chiusa. S'inginocchiò, come già aveva fatto altre volte, sul limitare di quella e pregò finchè giungendo altri fanciulli ne fu aperta la porta. Tra le confessioni, preparazione e ringraziamento della comunione la funzione durò cinque ore. Domenico entrò il primo in chiesa e ne uscì l'ultimo. In tutto quel tempo egli non sapeva più se fosse in cielo o in terra.

            Quel giorno fu per lui sempre memorabile e si può chiamare vero principio o piuttosto continuazione di una vita, che {19 [169]} può servire di modello a qualsiasi fedel cristiano. Parecchi anni dopo facendolo parlare della sua prima comunione gli si vedeva ancora trasparire la più viva gioia sul volto: oh! quello, soleva dire, fu per me un bel giorno ed un gran giorno. Si scrisse alcuni ricordi che conservava gelosamente in un libro di divozione e che spesso leggeva. Io ho potuto averli tra le mani e li inserisco qui nella sua originale semplicità. Erano di questo tenore: «Ricordi fatti da me Savio Domenico l'anno 1849 quando ho fatta la prima comunione essendo di 7 anni.-

            1° Mi confesserò molto sovente e farò la comunione tutte le volte che il confessore mi dà licenza. -

            2° Voglio santificare i giorni festivi. -

            3° I miei amici saranno Gesù e Maria. -

            4° La morte ma non peccati.» -

            Questi ricordi, che spesso andava ripetendo, furono come la guida delle sue azioni sino alla fine della vita.

            Se tra quelli che leggeranno questo libretto vi fosse mai chi avesse ancora da fare la prima comunione, io vorrei caldamente raccomandargli di farsi modello il giovane Savio. Ma raccomando poi quanto {20 [170]} e posso ai padri, alle madri di famiglia e a tutti quelli che esercitano qualche autorità sulla gioventù, di dare la più granile importanza a questo atto religioso. Siate persuasi, che la prima comunione è l'elemento di tutta la vita; e sarà cosa strana che si trovi alcuno che abbia compiuto bene quel solenne dovere, e non ne sia succeduta una vita buona e virtuosa. Al contrario si accennano a migliaia i giovani discoli, che sono la desolazione dei genitori e di chi si occupa di loro; ma se si va alla radice del male si conosce, che la loro condotta cominciò ad apparire tale nella poca o nessuna preparazione alla prima comunione. È meglio differirla, anzi è meglio non farla che farla male.

 

 

Capo IV. Scuola di Castelnuovo d'Asti, - Episodio edificante. - Savia risposta ad un cattivo consiglio.-

 

            Compiute le prime scuole, Domenico avrebbe già dovuto molto prima essere inviato altrove per proseguire i suoi studi, il che non polea fare in una cappellania di campagna. Ciò desiderava Domenico, ciò pure {21 [171]} stava molto a cuore a' genitori di lui. Ma come effettuarlo mancando affatto i mezzi pecuniari? Iddio, padrone supremo di tutte le cose, provvedera i mezzi necessari affinchè questo fanciullo possa camminare per quella carriera a cui lo chiama.

            Se io fossi un uccello, diceva talvolta Domenico, vorrei volare mattina e sera a Castelnuovo e cosi continuare le mie scuole.

            Il suo vivo desiderio di studiare gli fece superare ogni difficoltà e si risolse di recarsi alla scuola municipale del paese, sebbene vi fosse la distanza di quasi due miglia. Ed ecco un fanciullo appena di dieci anni intraprendere un cammino di sei miglia al dì tra andata e ritorno dalla scuola. Talvolta vi è un vento molesto, un sole che cuoce, un fango, una pioggia che opprimono; non importa, si tollerano tutti i disagi e si superano tutte le difficoltà; egli vi trova l'ubbidienza a' suoi genitori, un mezzo per imparare la scienza della salute, e questo basta per fargli tollerare con piacere ogni incomodo. Una persona alquanto attempata vedendo un giorno Domenico solo andare a scuola alle due pomeridiane, mentre sferzava un cocente sole, quasi per sollevarlo gli si avvicinò e gli tenne questo discorso: {22 [172]}

            - Caro mio, non temi di camminar tutto solo per queste strade?

            - Io non sono solo, ho l'angelo custode che mi accompagra in tutti i passi.

            - Almeno ti sarà penosa la strada per questo caldo dovendola fare quattro volte al giorno!

            - Niente è penoso, niente è fatica quando si lavora per un padrone che paga molto bene.

            - Chi è questo padrone?

            - E Dio creatore, che paga un bicchier d'acqua dato per amor suo.

            Quella medesima persona raccontò tale episodio ad alcuni suoi amici, e finiva sempre il tuo discorso dicendo: un giovinetto di così tenera età che già nutrisce tali pensieri farà certamente parlare molto di sè in quella, carriera che sara per intraprendere.

            Nell'andare e venire da scuola egli corse un grave pericolo per l'anima a motivo di alcuni compagni.

            Sogliono molti giovanetti nei caldi estivi andarsi a bagnare ora nei fossi, ora nei ruscelli, ora negli stagni e simili. Il trovarsi più fanciulli insieme, svestiti e talvolta in luoghi pubblici a bagnarsi, riesce cosa pericolosa {23 [173]} pel corpo, e noi pur troppo in tale stagione dobbiamo tristamente spesse volle lamentare annegamenti di ragazzi e di altre persone che terminano la loro vita affogati nell'acqua; ma il pericolo è assai maggiore per l' anima. Quanti giovanetti deplorano la perdita della loro innocenza ripetendone la cagione dall'essere andati a' bagni con que' compagni in que' luoghi malaugurati!

            Parecchi condiscepoli del Savio avevano l'abitudine di andarvi; e non paghi di andarvi eglino stessi volevano condurre secoloro anch'esso. Due dei più disinvolti e ciarlieri un giorno gli dissero:

            - Domenico, vuoi venire con noi a fare una partita?

            - Che partita?

            - Una partita a nuotare. -

            - Oh no! io non ci vado, non sono pratico, temo di morire nell' acqua.

            - Vieni, fa molto piacere. Quelli che vanno a nuotare non sentono più il caldo, hanno molto buon appetito, ed acquistano molta sanità. -

            - Ma io temo di morire nell'acqua. -

            - Oibò, non temere: noi ti insegneremo quanto è necessario; comincierai a vedere, {24 [174]} come facciamo noi e poi farai tu altrettanto. Tu ci vedrai a camminare nell'acqua come pesci, e faremo salti da gigante.

            - Ma non è peccato l'andare in quei luoghi?

            - Niente affatto; anzi ci vanno tutti. -

            - L'andarvi tutti non dimostra che non sia peccato.

            - Se non vuoi tuffarti nell' acqua, comincerai a vedere gli altri.

            - Se è male andare, credo che sia anche male il vedere gli altri. - Basta; io sono imbrogliato, e non so che dire.

            - Vieni, vieni: sta sulla nostra parola; non c' è male e noi ti libereremo da ogni pericolo.

            - Prima di fare quanto mi dite, voglio dimandar licenza a mia madre: se ella mi dice di si, ci andrò; altrimenti non ci vado.

            - Sta zitto, minchione, por carità non dirlo a tua madre; essa non ti lascierà certamente venire, anzi lo dirà ai nostri genitori e saremo tutti castigati.

            - Oh! se mia madre non mi lascia andare, è segno, che è cosa malfatta; perciò non ci vado, nè statemi più a parlare {25 [175]} di nuoto, poichè se tal cosa dispiace ai vrostri genitori, voi non dovreste più farla; perchè il Signore castiga quei figliuoli che fanno cose contrarie ai voleri del padre e della madre. -

            Così il nostro Domenico dando una savia risposta a quei cattivi consiglieri evitava pure un gran pericolo, in cui, se si fosse precipitato, avrebbe forse perduto l'inestimabile tesoro dell'innocenza a cui tengono dietro mille triste conseguenze.

 

 

Capo V. Sua condotta nella scuola di Castelnuovo d'Asti. - Parole del suo maestro.

 

            Nel frequentare questa scuola egli cominciò ad imparare il modo di regolarsi co' suoi compagni. Se egli vedeva un compagno attento nella scuola, docile, rispettoso, che sapesse bene le lezioni, che facesse i suoi lavori, e che fosse lodato dal maestro, questi diveniva tosto l'amico di Domenico. Eravi un discolo, un insolente, che trascurasse i suoi doveri, e parlasse male o bestemmiasse? Domenico lo fuggiva come la peste. Quelli poi che erano {26 [176]} un po' indolenti ei li salutava, loro rendeva qualche servizio, qualora ne fosse il caso, ma non contraeva seco loro alcuna famigliarità.

            La condotta tenuta nella scuola di Castelnuovo d'Asti può servire di modello a qualsiasi giovane studente, che desideri progredire nella scienza e nella pietà. Su tal proposito io trascrivo la giudiciosa relazione scritta dal proprio maestro, D. Allora sac. Alessandro, tuttora maestro comunale di questo capo luogo di mandamento. - Eccone il tenore: -

            «Molto mi compiaccio di esporre il mio giudicio intorno al giovinetto Savio Domenico, che in breve tempo seppe acquistarsi tutta la mia benevolenza, sicchè io l' ho amato colla tenerezza di padre. Aderisco di buon grado a questo invito perchè conservo ancora viva, distinta è piena memoria del suo studio, della sua condotta e delle sue virtù.

            Non posso dire molte cose della sua condotta religiosa, perchè dimorando assai distante dal paese era dispensato dalla congregazione, a cui se fosse intervenuto avrebbe certamente fatto risplendere la sua pietà e divozione. {27 [177]}

            Compiuti gli studi di 1a elementare in Murialdo questo buon fanciullo chiese ed ottenne distintamente l'ammissione alla mia scuola di 2a elementare, propriamente il 21 di giugno 1852; giorno dagli scolari dedicato a S. Luigi protettore della gioventù. Egli era di una complessione alquanto debole e gracile, di aspetto grave misto al dolce con un non so che di grande e piacevole. Era d'indole mitissima e dolcissima, di un umore sempre uguale. Aveva costantemente tale contegno nella scuola e fuori, in chiesa ed ovunque, che quando l'occhio, il pensiero od il parlare del maestro volgevasi a lui, vi lasciava la più bella e gioconda impressione. La qual cosa per un maestro si può chiamare uno de' cari compensi delle dure fatiche, che spesso gli tocca di sostenere indarno nella coltura di aridi e mal disposti animi di certi allievi. Laonde posso dire che egli fu Savio di nome e tale pur sempre si mostrò col fatto, vale a dire nello studio, nella pietà, nel conversare co' suoi compagni ed in ogni sua azione. Dal primo giorno che entrò nella mia scuola sino al fine di quell' anno scolastico e ne' quattro mesi dell'anno successivo ei progredì nello studio {28 [178]} in modo straordinario. Egli si meritò costantemente il primo posto di suo periodo e le altre onorificenze della scuola e quasi sempre tutti i voti in ciascuna materia, che di mano in mano si andava insegnando. Tal felice risultato del suo avanzamento nella scienza non è solo da attribuirsi all'ingegno non comune, di cui egli era fornito; ma eziandio al grandissimo suo amore allo studio ed alla sua virtù.

            «E poi degna di speciale ammirazione la diligenza con cui procurava di adempiere i più minuti doveri di scolaro-cristiano e segnatamente l' assiduità e la costanza mirabile nella frequenza della scuola. Di modo che, debole quale egli fu sempre di salute, percorreva ogni giorno oltre 4 chilometri di strada il che ripeteva pur quattro fiate tra l'andata ed il ritorno. E ciò faceva con maravigliosa tranquillità d'animo e serenità di aspetto anche sotto l'intemperie della stagione invernale, per crudo freddo, per pioggia o neve; il che non poteva a meno di essere riconosciuto dal proprio maestro per prova ed esempio di raro merito. Ammalando frattanto sì degno alunno nel corso dello stesso anno 1852-53 ed i parenti di {29 [179]} lui mutando successivamente domicilio fa cagione che con mio vero rincrescimento non ho più potuto continuare l'insegnamento ad un sì caro allievo, le cui grandi e bellissime speranze andavano scemando col crescer de' timori, ch'io aveva che non potesse più proseguire gli studii per mancanza di salute o di mezzi di fortuna.

            Mi riusci poi di grande consolazione quando seppi che egli era stato accolto fra i giovani dell'Oratorio di S. Francesco di Sales; essendogli così aperta la via alla coltura del raro suo ingegno e della sua luminosa pietà.»

            Fin qui il mentovato suo maestro, il quale continua esprimendo il dolore grande da lui provato quando ricevette la notizia dell'immatura sua morte.

 

 

Capo VI. Scuola di Mondonio Sopporta una grave calunnia.

 

            Pare che la divina Provvidenza abbia voluto far vedere a questo giovanetto che questo mondo è un vero esilio ove andiamo di luogo in luogo pellegrinando; o {30 [180]} meglio abbia voluto che questo maraviglioso giovinetto andasse a farsi conoscere in diversi paesi e cosi mostrarsi in più luoghi esimio specchio di virtù.

            Sul finir dell'anno 1852 i genitori di Domenico da Murialdo andarono a fissar la loro dimora in Mondonio che è un piccolo paese confinante con Castelnuovo. Egli continuò colà nel tenor di vita tenuta in Murialdo ed a Castelnuovo, perciò dovrei ripetere le cose che di lui scrissero gli antecedenti suoi maestri; giacchè il signor D. Cugliero[3] che l'ebbe a scolaro, fa una relazione quasi simile. Io trascelgo da essa solamente alcuni fatti speciali ommettendo il rimanente per non fare ripetizioni.

            «Io posso dire, egli scrive, che in venti anni da che attendo ad istruire ragazzi non ne ebbi mai alcuno che abbia pareggiato il Savio nella pietà. Egli era giovane di età, ma assennato al pari di un uomo perfetto. La sua diligenza, assiduità allo studio, e l'affabilità si cattivavano l'affetto del maestro e lo rendevano la delizia dei {31 [181]} compagni. Quando lo rimirava in chiesa, io era compreso da alla maraviglia al vedere tanto raccoglimento in un giovanetto di cosi tenera età. Più volte ho detto tra me stesso: ecco un'anima innocente cui si aprono le delizie del paradiso, e che co' suoi affetti va ad abitare cogli angeli del cielo.»

            Tra i fatti speciali il suo maestro annovera il seguente:

            «Un giorno fu fatta una mancanza tra i miei allievi e la cosa era tale che il colpevole meritava l'espulsione dalla scuola: I delinquenti prevengono il colpo e portandosi dal maestro si accordano di gettare tutta la colpa sopra il buon Domenico. Io non poteva risolvermi a crederlo capace di tale mancanza; ma gli accusatori seppero dare tale colore di verità alla calunnia, che vi dovetti credere. Entro adunque nella scuola giustamente sdegnato pel disordine avvenuto; parlo del colpevole in genere; poi mi volgo al Savio, e tal fallo, gli dico, bisognava che fosse commesso da te? non meriteresti di essere sull' istante cacciato dalla scuola? Buon per te che è la prima che mi fai di questo genere, altrimenti ... fa che sia pur {32 [182]} l'ultima.» Domenico avrebbe potuto dire una sola parola in discolpa, e la sua innocenza sarebbe stata conosciuta. Ma egli si tacque: chinò il capo, e a guisa di chi è con ragione rimproverato, più non alzo gli occhi.

            Ma Dio protegge gli innocenti; e il dì seguente furono scoperti i veri colpevoli e così palesata l'innocenza di Domenico. Pieno di rincrescimento pei rimproveri fatti al supposto colpevole il presi da parte, e, Domenico, gli dissi, perchè non mi hai subito detto che tu eri innocente? Domenico rispose: perchè quel tale essendo già colpevole di altri falli sarebbe forse stato cacciato di scuola, dal canto mio sperava di essere perdonato essendo la prima mancanza di cui era accusato nella scuola; d'altronde pensava anche al nostro Divin Salvatore, il quale fu ingiustamente calunniato.

            Tacqui allora, ma tutti ammirarono la pazienza del Savio, che aveva saputo render bene per male, disposto a tollerare anche un grave castigo a favore del medesimo calunniatore.» {33 [183]}

 

 

Capo VII. Prima conoscenza fatta di lui - Curiosi episodi in questa congiuntura.

 

            Le cose, che sono per raccontare, posso esporle con maggior corredo di circostanze, perchè sono quasi tutte avvenute sotto gli occhi miei e per lo più alla presenza di una moltitudine di giovani che tutti vanno d'accordo nell' asserirle. Era l'anno 1854 quando il nominato D. Cugliero venne a parlarmi di un suo allievo per ingegno e per pietà degno di particolare riguardo. Qui in sua casa, egli diceva, può aver giovani uguali, ma difficilmente avrà chi lo superi in talento e virtù. Ne faccia la prova e troverà un S. Luigi. Fummo intesi che me lo avrebbe mandato a Murialdo all'occasione che sono solito di trovarmi colà coi giovani di questa casa a fine di far loro godere un po' di campagna e nel tempo stesso fare la novena e celebrare la solennità del Rosario di Maria Santissima.

 Il primo lunedi d'ottobre di buon mattino vedo un fanciullo accompagnato da suo padre che si avvicina per parlarmi. - Il {34 [184]} volto suo ilare, l'aria ridente, ma rispettosa, trassero verso di lui i miei sguardi.

            Chi sei, gli dissi, onde vieni?

            Io sono, rispose, Savio Domenico, di cui le ha parlato D. Cugliero mio maestro, e veniamo da Mondonio.

            Allora lo chiamai da parte, e messici a ragionare dello studio fatto, del tenor di vita fino allora praticato, siamo tosto entrati in piena confidenza egli con me, io con lui.

            Conobbi in lui un animo tutto secondo lo spirito del Signore, e rimasi non poco stupito considerando i lavori che la Grazia divina aveva già operato in quel tenero cuore.

            Dopo un ragionamento alquanto prolungato, prima che io chiamassi il padre, mi disse queste precise parole: ebbene che glie ne pare? mi condurrà a Torino per istudiare?

            - Eh! mi pare che ci sia buona stoffa.

            - A che può servire questa stoffa?

            - A fare un bell'abito da regalare al Signore.

            - Dunque io sono la stoffa: ella ne sia il sarto; dunque mi prenda con lei e farà un bell'abito pel Signore.

            - Io temo che la tua gracilità non regga per lo studio. {35 [185]}

            - Non tema questo; quel Signore che mi ha dato finora sanità e grazia, mi aiuterà anche per l'avvenire.

            - Ma quando tu abbia terminato lo studio del latino, che cosa vorrai fare?

            - Se il Signore mi concederà tanta grazia, desidero ardentemente di abbracciare lo stato ecclesiastico.

            Bene: ora voglio provare se hai bastante capacità per lo studio: prendi questo libretto (era un fascicolo delle letture cattoliche), di quest'oggi studia questa pagina, domani ritornerai per recitarmela.

            Ciò detto lo lasciai in libertà perchè andasse a trastullarsi con altri giovani, indi mi posi a parlare col padre. Passarono non più di otto minuti quando ridendo si avanza Domenico e mi dice: se vuole, recito adesso la mia pagina. Presi il libro e con mia sorpresa conobbi che non solo aveva letteralmente studiato la pagina assegnata, ma che comprendeva benissimo il senso delle cose in essa contenute.

            Bravo, gli dissi, tu hai anticipato lo studio della tua lezione ed io anticipo la risposta. Si; ti condurrò a Torino e fin d'ora sei annoverato tra i miei cari figliuoli; comincia anche tu fin d'ora a pregare Iddio {36 [186]} affinchè aiuti me e te a fare la sua santa volontà.

            Non sapendo egli come esprimere meglio la sua contentezza e la sua gratitudine mi prese la mano, la strinse, la baciò più volte e infine disse: l'assicuro che non avrà a lagnarsi della mia condotta.

 

 

Capo VIII. Viene all'Oratorio di S. Francesco di Sales. Suo primo tenore di vita ivi cominciato.

 

            Egli è proprio dell'età volubile della gioventù di cangiar sovente proposito intorno a ciò che si vuole; perciò non di rado avviene che oggi si delibera una cosa, dimani un'altra; oggi una virtù praticata in grado eminente, domani l'opposto, e qui se non avvi chi attento vigili, spesso va a terminare con mal esito un'educazione che forse poteva riuscire delle più fortunate. Del nostro Domenico non fu così. Tutte quelle virtù, che noi abbiamo veduto nascere e crescere ne vari stadi di sua età, crebbero ognora maravigliosamente e crebberò insieme senza che una fosse di nocumento all'altra. {37 [187]}

            Venuto nella casa dell' oratorio si recò in mia camera, per darsi, come egli diceva, intieramente nelle mani de' suoi, superiori. Il suo sguardo si portò subito su di un cartello sopra cui a grossi caratteri sono scritte le seguenti parole che soleva ripetere S. Francesco di Sales: da mihi animas, caetera tolle. Fecesi a leggerle attentamente; ed io desiderava che ne capisse il significato; perciò l'invitai, anzi l'aiutai a tradurle e cavar questo senso: O Signore, datemi anime e prendetevi tutte le altre cose. Egli pensò un momento e poi soggiunse: ho capito: qui non avvi negozio di danaro, ma negozio di anime: ho capito: spero che l'anima mia farà anche parte di questo commercio.

            Il suo tenor di vita per qualche tempo fu tutto ordinario. Nè altro in esso ammiravasi, che un' esatta osservanza delle regole della casa. Si applicò con impegno allo studio. Attendeva con ardore a tutti i suoi doveri. Ascoltava con delizia le prediche. Aveva radicato nel cuore che la parola di Dio è la guida dell'uomo per la strada del cielo; perciò ogni massima udita in una predica era per lui un ricordo invariabile cui più non dimenticava. {38 [188]}

            Ogni discorso morale, ogni catechismo, ogni predica, quantunque prolungata, era sempre per lui una delizia. Udendo qualche cosa che non avesse ben intesa tosto facevasi a dimandarne la spiegazione. Di qui ebbe cominciamento quell' esemplare tenore di vita, quel continuo progredire di virtù in virtù, quell' esattezza nell'adempimento de' suoi doveri, oltre cui non si può andare.

            Avvicinandosi la festa dell' Immacolata Concezione di Maria il direttore diceva tutte le sere qualche parola d'incoraggiamento ai giovani della casa, affinchè ciascuno si desse sollecitudine a celebrarla in modo degno della gran madre di Dio, ma insistette specialmente a voler chiedere a questa celeste protettrice quelle grazie di cui ciascuno avesse conosciuto maggior bisogno. Era l'anno 1854 in cui i cristiani di tutto il mondo erano in una specie di spirituale agitazione perchè trattatasi a Roma della definizione dogmatica dell'Immacolato concepimento di Maria. Anche tra di noi si faceva quanto la nostra condizione comportava per celebrare quella solennità con decoro e con frutto spirituale de' nostri giovani. {39 [189]}

            Il Savio era uno di quelli che sentivansi ardere dal desiderio di celebrarla santamente. Scrisse egli nove fioretti ovvero nove atti di virtù da praticarsi estraendone a sorte uno per giorno. Si preparò e fece con gran piacere dell'animo suo la confessione generale, e si accostò ai santi sacramenti col massimo raccoglimento.

            La sera di quel giorno, 8 dicembre, compiute le sacre funzioni di chiesa, col consiglio del confessore, Domenico andò avanti l'altare di Maria, rinnovò le promesse fatte nella prima comunione, di poi disse più e più volte queste precise parole: Maria, vi dono il mio cuore; fate che sia sempre vostro. Gesù e Maria siate voi sempre gli amici miei; ma per pietà fatemi morir piuttosto che mi accada la disgrazia di commettere un solo peccato.

            Presa così Maria per sostegno della sua divozione, la morale di lui condotta apparve cosi edificante e congiunta a tali atti di virtù, che ho cominciato fin d'allora a notarli per non dimenticarmene.

            Giunto a questo punto a descrivere le azioni del giovine Savio, io mi veggo davanti un complesso di fatti e di virtù che meritano speciale attenzione e in chi scrive {40 [190]} ed in chi legge. Onde per maggior chiarezza giudico bene di esporre le cose non secondo l'ordine dei tempi, ma secondo l'analogia dei fatti che hanno tra di loro special relazione od hanno rapporto colla medesima materia. Dividerò pertanto le cose in altrettanti capitoli cominciando dallo studio del latino, che fu motivo principale per cui venne e fu accolto in questa casa.

 

 

Capo IX. Studio di latinità. - Curiosi incidenti. - Contegno nella scuola. - Impedisce una rissa.

 

            Egli aveva studiato i principii di latinità a Mondonio; e perciò colla sua grande assiduità nello studio e colla non ordinaria sua capacità ottenne in breve di essere classificato nella quarta o come dicono oggidì nella seconda gramatica latina. Fece egli questo corso presso il professore Bonzanino Giuseppe. Io dovrei anche qui esprimere il suo contegno, e profitto e la sua esemplarità colle stesse parole degli antecedenti suoi maestri. Laonde noterò solamente {41 [191]} alcune cose che in quest'anno di latinità e ne' due susseguenti trassero l'ammirazione di coloro che lo conobbero. Il professore Bonzanino ebbe più volte a dire che non ricordavasi di aver avuto alunno più attento, più docile, più rispettoso, quale era il giovane Savio. Egli compariva modello in tutte le cose. Nel vestito e nella capigliatura non era punto ricercato; ma in quella modestia di abiti e nella umile sua condizione egli appariva pulito, ben educato, cortese, in guisa che i suoi compagni di civile ed anche nobile condizione, i quali in buon numero intervenivano alla detta scuola, godevano assai di potersi trattener con Domenico non solo per la sua scienza e pietà, ma anche per le sue civili e piacevoli maniere di trattare. Se poi fosse avvenuto al Professore di ravvisare qualche scolaro un po' ciarliero, mettevagli Domenico a' fianchi, ed egli con destrezza studiavasi di indurlo al silenzio, allo studio, all' adempimento de' suoi doveri.

            Egli è nel decorso di quest'anno, che la vita di Domenico ci somministra un fatto che ha dell' eroismo, e che è appena credibile in quella giovanile sua età. Esso {42 [192]} riguarda a due suoi compagni di scuola che vennero tra di loro ad una rissa pericolosa. Il litigio cominciò da alcune parole dettesi scambievolmente in dispregio della loro famiglia. Dopo alcuni insulti si dissero villanie e si sfidarono a far valere le loro ragioni a colpi di pietra. Domenico giunse a scoprire tale discordia: ma come impedirla essendo i due rivali maggiori di forze e di età? Si provò di persuaderli a desistere da quel progetto facendo ad ambidue osservare che la vendetta è contraria alla ragione ed alla santa legge di Dio; scrisse lettere all'uno e all'altro; li minacciò di riferire la cosa al Professore, ed anche ai loro parenti; ma tutto invano, i loro animi erano così inaspriti, che tornava inutile ogni parola. Oltre il pericolo di farsi grave male nella persona commettevasi grande offesa contro Dio. Domenico era oltremodo cruciato; desiderava di opporsi, e non sapeva come. Dio lo inspirò di fare cosi. Li attese dopo la scuola e come potè parlare ad ambidue da parte, disse: poichè voi persistete nel bestiale vostro divisamento, vi prego almeno di voler accettare una condizione. L'accettiamo, risposero, purchè non impedisca la nostra {43 [193]} sfida. Egli è un birbante, replicò tosto un di loro; ed io non sarò in pace con lui, soggiungeva l'altro, finchè egli od io non abbiamo rotta la testa. Savio tremava a quel brutale diverbio, tuttavia nel desiderio d'impedire maggior male si frenò e disse: la condizione che sono per mettervi non impedisce la sfida.

            Comp. Qual è questa condizione?

            Sav. Vorrei soltanto dirvela al luogo dove volete misurarvi a sassate.

            Comp. Tu ci minchioni o studierai di metterci qualche incaglio.

            Sav. Sarò con voi, e non vi minchionerò: state tranquilli.

            Comp. Forse tu vorrai andare a chiamare qualcheduno.

            Sav. Dovrei farlo, ma nol farò: andiamo io sarò con voi. Mantenetemi soltanto la parola. Glielo promisero. Andarono nei così delti prati della Cittadella fuori di Porta Susa.

            Tanto era l'odio dei due contendenti che a stento il Savio potè impedire che non venissero alle mani nel breve tratto di strada che era a farsi.

            Giunti al luogo stabilito, il Savio fece una cosa che certamente niuno sarebbesi immaginato. {44 [194]} Lasciò che si ponessero in una tale distanza; già avevano le pietre in mano, cinque caduno, quando Domenico parlò così: prima di effettuare la vostra sfida voglio che adempiate la condizione accettata. Ciò dicendo trasse fuori il piccolo Crocifisso, che aveva al collo, e tenendolo alto in una mano, voglio, disse, che ciascheduno fissi lo sguardo in questo Crocifisso, di poi gettando una pietra contro di me, pronunzi a chiara voce queste parole: Gesù Cristo innocente morì perdonando i suoi crocifissori, io peccatore voglio offenderlo e fare solenne vendetta.

            Ciò detto andò ad inginocchiarsi davanti a colui che mostravasi più infuriato dicendo: fa il primo colpo sopra di me; tira una forte sassata sul mio capo. Costui, che non si aspettava simile proposta, comincio a tremare. No, disse, e mai no. Io non ho alcuna cosa contro di te e vorrei difenderti se qualcheduno ti volesse oltraggiare.

            Domenico, ciò udito, corse dall'altro dicendo le stesse parole. Egli pure ne fu sconcertato e tremando diceva, che essendo egli suo amico, non gli avrebbe mai fatto alcun male. {45 [195]}

            Allora Domenico si rizzò in piedi, e prendendo un aspetto severo e commosso: come, loro disse, voi siete ambidue disposti ad affrontare anche un grave pericolo per difendere me, che sono una miserabile creatura, e non siete capaci di perdonarvi un insulto ed una derisione fattavi nella scuola per salvare l'anima vostra, che costò il sangue del Salvatore, e che voi andate a perdere con questo peccato? Ciò detto si tacque tenendo sempre il Crocifisso alto colla mano.

            A tale spettacolo di carità e di coraggio i compagni furono vinti. «In quel momento, asserisce uno di loro, io fui intenerito, un freddo mi corse per le membra, e mi sentii pieno di vergogna per aver costretto un amico si buono, come era Savio, ad usare misure estreme per impedire l'empio nostro divisamento. Volendogli almeno dare un segno dì compiacenza perdonai di cuore chi mi aveva offeso, e pregai Domenico di suggerirmi qualche paziente e caritatevole Sacerdote per andarmi a confessare. Egli mi appagò ed alcuni giorni dopo andai col mio rivale a fare la confessione. In questa guisa dopo di essermi novellamente fatto suo amico {46 [196]} fui riconciliato col Signore che coll' odio e col desiderio di vendetta aveva di certo gravemente offeso.»

            Esempio è questo ben degno di essere imitato da ogni giovane cristiano qualora gli avvenga di vedere il suo simile in atto di far vendetta od essere da altri in qualche maniera offeso od ingiuriato.

            Quello poi che in questo fatto onora singolarmente la condotta e la carità del Savio si è il silenzio in cui seppe tenere quanto era accaduto. Ed ogni cosa sarebbe stata totalmente ignorata se coloro stessi, che vi ebbero parte, non l'avessero ripetutamente raccontata.

            L'andata poi ed il ritorno da scuola, che è tanto pericoloso pei giovanetti che da' villaggi vengono nelle grandi città, pel nostro Domenico fu un vero esercizio di virtù. Costante nell'eseguire gli ordini de' suoi superiori, andava a scuola, ritornava a casa, senza neppure dare un' occhiata o porre ascolto a cosa che ad un giovane cristiano non convenisse. Se avesse veduto alcuno a fermarsi, correre, saltellare, tirar pietre, o andar a passare in luoghi non permessi; egli tosto da costui si allontanava. Che anzi un giorno fu invitato ad andare a far {47 [197]} una passeggiata senza permesso; un'altra volta venne consigliato ad ommettere la scuola per andarsi a divertire, ma egli seppe sempre rispondere con un rifiuto. Il mio divertimento più bello, loro rispondeva, è l'adempimento de' miei doveri: e se voi siete veri amici, dovete consigliarmi ad adempirli con esattezza e non mai a trasgredirli. Nulladimeno ebbe la sventura di aver alcuni compagni che lo molestarono a segno, che il Savio si trovò sul punto di cadere nei loro lacci. E già risolvevasi di andare con loro e così per quel giorno lasciare la scuola. Ma fatto breve tratto di cammino si accorse che seguiva un cattivo consiglio, ne provò gran rimorso, chiamò i tristi consiglieri, e loro disse: miei cari, il dovere mi comanda di andare a scuola ed io vi voglio andare: noi facciamo cosa che dispiace a Dio ed ai nostri superiori. Sono pentito di quello che ho fatto; se mi darete altra volta simiglianti consigli, voi cesserete di essere miei amici.

            Quei giovani accolsero l'avviso del loro vero amico: andarono seco lui a scuola, e per l'avvenire non cercarono più distoglierlo da' suoi doveri. Nel fine dell'anno, {48 [198]} mediante la sua buona condotta, e la sua costante sollecitudine allo studio, meritò di essere promòsso fra gli ottimi alla classe superiore. Ma sul principio del terzo anno di gramatica la sanità di Domenico apparendo alquanto deteriorata si giudicò bene di lasciargli fare il corso privato qui nella casa dell'oratorio a fine di potergli usare i dovuti riguardi nel riposo, nello studio e nella ricreazione,

            L'anno di umanità o di 1a Retorica sembrando meglio in salute fu mandato dal signor Professore D. Picco Matteo. Esso aveva già più volte udito a parlare delle belle doti che adornavano il Savio, sicchè di buon grado l'accolse gratuitamente nella sua scuola che passa fra le migliori approvate in questa nostra capitale.

            Molte sono le cose edificanti o dette o fatte dal Savio nell'anno di terza grammatica e di prima Retorica; ma noi le andremo esponendo di mano in mano che racconteremo i fatti che con quelle sono collegati. {49 [199]}

 

 

Capo X. Sua deliberazione di farsi santo.

 

            Dato così un cenno sullo studio fatto nelle classi di latinità, parleremo ora della grande sua deliberazione di farsi santo.

            Erano sei mesi che il Savio dimorava all'Oratorio quando fu ivi fatta una predica sul modo facile di farsi santo. Il predicatore si fermò specialmente a sviluppare tre pensieri che fecero profonda impressione sull'animo di Domenico, vale a dire: è volontà di Dio che ci facciamo tutti santi; è assai facile di riuscirvi; è un gran premio preparato in cielo a chi si fa santo. Quella predica per Domenico fu come una scintilla che gl' infiammò tutto il cuore d'amor di Dio. Per qualche giorno disse nulla, ma era meno allegro del solito, sicchè se ne accorsero i compagni e me ne accorsi anch'io. Giudicando che tal cosa provenisse da novello incomodo di sanità gli chiesi se pativa qualche male. Anzi, mi rispose, patisco qualche bene. - Che vorresti dire? Voglio dire che mi sento un desiderio ed un bisogno di farmi santo; io non pensava {50 [200]} di potermi far santo con tanta facilità; ma ora che ho capito potersi ciò effettuare anche stando allegro, io voglio assolutamente, ed ho assolutamente bisogno di farmi santo. Mi dica adunque come debbo regolarmi per incominciare tale impresa.

            Io lodai il proposito, ma lo esortai a non inquietarsi, perchè nelle commozioni dell'animo non si conosce la voce del Signore; che anzi io voleva per prima cosa una costante e moderata allegria, e consigliandolo ad essere perseverante nell' adempimento de' suoi doveri di pietà e di studio, gli raccomandai che non mancasse di prendere sempre parte alla ricreazione coi suoi compagni.

            Un giorno gli dissi di volergli fare un regalo di suo gusto; ma esser mio volere che la scelta fosse fatta da lui. Il regalo che dimando, prontamente egli soggiunse, è che mi faccia santo. Io mi sento un bisogno di farmi santo, e se non mi fo santo io fo niente. Iddio mi vuole santo ed io debbo farmi tale.

            In una congiuntura il direttore voleva dare un segno di speciale affetto ai giovani della casa e fece loro facoltà di chiedere con un biglietto qualunque cosa fosse {51 [201]} a lui possibile, promettendo che l'avrebbe concessa. Quivi può ognuno facilmente immaginarsi le ridicole e le stravaganti dimande fatte dagli uni e dagli altri. Il Savio, preso un pezzetto di carta, scrisse queste sole parole: Dimando che mi faccia santo.

            Un giorno si andavano spiegando alcune parole secondo la etimologia. E Domenico, egli disse, che cosa vuol dire? Fu risposto: Domenico vuol dire del Signore. Veda, tosto soggiunse, se non ho ragione di chiedergli che mi faccia santo: fino il nome dice che io sono del Signore. Dunque io debbo e voglio essere tutto del Signore e voglio farmi santo e sarò infelice finchè non sarò santo.

            La smania che egli dimostrava di volersi far santo non derivava dal non tenere una vita veramente da santo, ma ciò diceva, perchè egli voleva far rigide penitenze, passar lunghe ore nella preghiera, le quali cose erangli dal direttore proibite, perchè non compatibili colla sua età e sanità e colle sue occupazioni. {52 [202]}

 

 

Capo XI. Suo zelo per la salute delle anime.

 

            La prima cosa che gli venne consigliata per farsi santo fu di adoprarsi per guadagnar anime a Dio; perciocchè non avvi cosa più santa al mondo, che cooperare al bene delle anime, per la cui salvezza Gesù Cristo sparse fin l'ultima goccia del prezioso suo sangue. Egli conobbe tosto l' importanza di tale pratica, e fu più volte sentito a dire: Se io potessi guadagnare a Dio tutti i miei compagni, quanto sarei felice! Intanto non lasciava sfuggire alcuna occasione per dare buoni consigli, avvisar chi avesse detto o fatto cosa contraria alla santa legge di Dio.

            Un giorno avvenne che un fanciullo di forse nove anni si pose ad altercare con un compagno in vicinanza della porta della casa, e nella rissa proferi l'adoràbile nome di Gesù Cristo. Domenico a tal parola, sebbene sentisse un giusto sdegno in cuor suo, tuttavia con animo pacato si intromise tra i due contendenti e li acquetò; poi disse a chi aveva nominato il nome di {53 [203]} Dio invano: vieni meco e sarai contento. I suoi bei modi indussero il fanciullo ad accondiscendere. Lo prese per mano, lo condusse in chiesa avanti all'altare, di poi lo fece inginocchiare vicino a lui dicendogli: dimanda al Signore perdono dell'offesa che gli hai fatta col nominarlo invano. E poichè il ragazzo non sapeva l'atto di contrizione, lo recitò egli seco lui. Dopo soggiunse: Di con me queste parole per riparare l'ingiuria fatta a Gesù Cristo: sia lodato Gesù Cristo, e il suo santo e adorabile nome sia sempre lodato.

            Leggeva di preferenza la vita di quei santi che avevano lavorato in modo speciale per la salute delle anime. Parlava volentieri dei missionari che faticano tanto in lontani paesi pel bene delle anime e non potendo mandar loro soccorsi materiali offeriva ogni giorno al Signore qualche preghiera, e almeno una volta alla settimana faceva per loro la santa comunione.

            Più volte l'ho udito esclamare: quante anime aspettano il nostro aiuto nell' Inghilterra; oh se avessi forza e virtù vorrei andarvi sul momento, e colle prediche e col buon esempio vorrei guadagnarle tutte al Signore. Si lagnava spesso con se medesimo, {54 [204]} e spesso ne parlava ai compagni del poco zelo che molti hanno per istruire i fanciulli nelle verità della fede. Appena sarò chierico, diceva, voglio andare a Mondonio, e voglio radunare tutti i ragazzi sotto di una tettoia e voglio far loro il catechismo, raccontare tanti esempi e farli tutti santi. Quanti poveri fanciulli forse andranno alla perdizione per mancanza di chi li istruisca nella fede! Ciò che diceva con parole lo confermava coi fatti, poichè per quanto comportava la sua età ed istruzione faceva con piacere il catechismo nella chiesa dell' Oratorio, e se qualcheduno avesse avuto bisogno gli faceva scuola e lo ammaestrava nel catechismo a qualunque ora del giorno ed in qualunque giorno della settimana, ad unico scopo di poter parlare di cose spirituali e far loro conoscere l'importanza di salvar l'anima.

            Un giorno un compagno indiscreto voleva interromperlo mentre raccontava un esempio in tempo di ricreazione; che te ne fa di queste cose? gli disse. Che me ne fa? rispose; me ne fa perchè l'anima de' miei compagni è redenta col sangue di Gesù Cristo; me ne fa perchè siamo tutti fratelli, e come tali dobbiamo amare vicendevolmente {55 [205]} l'anima nostra; me ne fa perchè Iddio raccomanda di aiutarci l'un altro a salvarci; me ne fa perchè se riesco a salvare un'anima metterò anche in sicuro la salvezza della mia.

            Nè questa sollecitudine pel bene delle anime in Domenico si rallentava nel breve tempo di vacanza che passava nella casa paterna. Oltre l'esattezza nell'adempimento di ogni più minuto suo dovere egli prendevasi cura di due fratellini, cui insegnava a leggere, scrivere, recitare il catechismo e li assisteva nella preghiera del mattino e della sera. Li conduceva in chiesa, porgeva loro l'acqua benedetta, mostrava loro il vero modo di far il segno della santa croce. Il medesimo tempo che altri avrebbe passato qua e là trastullandosi egli passava raccontando esempi ai parenti, o ad altri compagni che l'avessero voluto ascoltare. Anche in patria era solito a fare ogni giorno una visita al Santissimo Sacramento, ed era per lui un vero guadagno quando poteva indurre qualche compagno ad andargli a tenere compagnia. Onde si può dire che non presentavasi a lui occassione di far opera buona, di dare un buon consiglio, che tendesse al bene dell'anima, che egli la lasciasse sfuggire. {56 [206]}

 

 

Capo XII. Episodii e belle maniere di conversare coi compagni.

 

            Il pensiero di guadagnar anime a Dio lo accompagnava ovunque. In tempo libero era l'anima della ricreazione; ma quanto diceva o faceva tendeva sempre al bene morale o di sè o d'altri. Aveva ognor presenti que' bei principii di educazione di non interrompere gli altri quando parlano: se però i compagni facevano silenzio egli tosto metteva fuori questioni di scuola, di storia, di aritmetica, ed aveva sempre alla mano mille storielle, che rendevano amabile la sua compagnia. Se mai taluno avesse rivolto il discorso intorno a cose che fossero mormorazioni o simili, egli lo interrompeva e metteva fuori qualche facezia od anche una favola o altra cosa per far ridere, e intanto distoglieva il discorso dalla mormorazione ed impediva l'offesa di Dio tra' suoi compagni.

            La sua aria allegra, l'indole vivace lo rendevano caro anche ai compagni meno amanti della pietà, per modo che ognuno {57 [207]} godeva di potersi trattenere con lui, e prendevano in buona parte quegli avvisi che di quando in quando suggeriva.

            Un suo compagno desiderava andarsi a mascherare ed egli non voleva. Saresti contento, gli diceva, di venir realmente quale vuoi vestirti, con due corna sulla fronte, con un naso lungo un palmo, con un abito da ciarlatano? Mai no, rispose l'altro. Dunque, soggiunse Domenico, se non desideri avere questo sembiante, perchè vuoi comparir tale e deturpare le belle fattezze che Dìo ti ha donato?

            Un'altra volta alcuni volevano andarsi a bagnare, la qual cosa, se è altrove pericolosa, lo è assai più nel circondario di Torino, ove, senza parlare dei pericoli d'immoralità, trovansi spesso de' giovani che restano vittima infelice del nuoto. Se ne accorse Domenico e cercava di trattenersi con loro raccontando or questa or quell'altra favoletta. Ma quando li vide decisi di volersene assolutamente andare, allora si pose a parlare risoluto: no, disse, io non voglio che andiate.

            - Noi non facciamo alcun male.

            - Voi disubbidite, voi vi esponete al pericolo di dare o ricevere scandalo e di {58 [208]} rimaner morti nell'acqua, e questo non è male?

            - Ma noi abbiamo un caldo che non ne possiamo più.

            - Se non potete più tollerare il caldo di questo mondo, potrete poi tollerare il caldo terribile dell'inferno che voi vi andate a meritare?

            Mossi da tali parole cangiarono divisamento e si posero secolui a fare ricreazione, e all'ora dovuta andarono in chiesa ad assistere alle sacre funzioni.

            Alcuni altri giovani dell'Oratorio amanti del bene de' loro compagni si unirono in una specie di società per darsi alla coltura de' più discoli. Savio vi apparteneva ed era de' più zelanti: se avesse avuto un confetto, un frutto, una croce, una medaglia, un'immagine o simili, le riserbava per questo scopo. Chi lo vuole, chi lo vuole, andava dicendo. Io, io, andavasi da tutti gridando e correndo verso di lui. Adagio, egli diceva, voglio darlo a chi meglio mi risponderà ad una dimanda di catechismo. Intanto egli interrogava solo i più discoli ed appena essi davano risposta alquanto soddisfacente faceva loro quel piccolo regalo. {59 [209]}

            Altri poi erano guadagnati in altre maniere: li prendeva, li invitava a passeggiargli insieme, li faceva discorrere, e sè occorreva giocava con loro. Fu talvolta veduto con un grosso bastone sulle spalle, che sembrava Ercole colla clava, giuocare alla rana, volgarmente cirimella, e mostrarsi perdutamente affezionato a quel giuoco. Ma ad un tratto sospendeva la partita e diceva al compagno: vuoi che sabato ci andiamo a confessare? L'altro e per la distanza del tempo e per ripigliare presto la partita e anche per compiacerlo rispondeva di si. Domenico ne aveva abbastanza e continuava il giuoco. Ma nol perdeva più di vista: ogni giorno o per un motivo o per l'altro gli richiamava sempre quel si alla memoria, e gli andava insinuando il modo di confessarsi bene. Venuto il sabato, qual cacciatore che ha colto buona preda, l'accompagnava in chiesa, lo precedeva nel confessarsi, per lo più preveniva il confessore, si tratteneva seco dopo a fare il ringraziamento. Questi fatti, che pur erano frequenti, erano per lui della più grande consolazione, e di grande vantaggio ai compagni, perciocchè spesso avveniva che taluno non riportasse alcun frutto da una {60 [210]} predica udita in chiesa, e che poi arrendevasi alle pie insinuazioni di Domenico.

            Avveniva qualche volta che alcuno il lusingava tutta la settimana e poi al sabato non lasciavasi più vedere per l'ora di confessarsi. Come poi lo vedeva di nuovo quasi scherzandogli dicea; eh! biricchino! me l'hai fatta. Ma vedi, diceva l'altro, non era disposto, non mi sentiva... Poverino, soggiungeva Domenico, hai ceduto al demonio che era assai ben disposto a riceverti; ma ora ancor più sei indisposto, anzi ti vedo tutto di mal umore. Orsù fa la prova di andarti a confessare, fa uno sforzo e procura di confessarti bene e vedrai di quanta gioia sarà ripieno il tuo cuore. Per lo più dopo che quel tale erasi confessato andava poi da Domenico col cuore pieno di contentezza: è vero, diceva, sono veramente contento; per l'avvenire voglio andarmi a confessare più sovente.

            Nelle comunità di giovani sogliono esservene alcuni che o per essere alquanto rozzi, ignoranti, meno educati, o cruciati da qualche dispiacere, sono per lo più lasciati da parte dai loro compagni. Costoro soffrono il peso dell' abbandono quando avrebbero maggior bisogno del conforto di un amico.

            Questi tali erano gli amici di Domenico. {61 [211]} Loro si avvicinava, li ricreava con qualche buon discorso, loro dava buoni consigli, e spesso è avvenuto che giovani decisi di darsi in preda al disordine, animati dalle caritatevoli parole del Savio, ritornarono a buoni sentimenti.

            Questo era il motivo che tutti quelli che avevano qualche incomodo di salute dimandavano Domenico per infermiere, e quelli che avevano delle pene provavano conforto esponendole a lui. In questa guisa egli aveva la strada aperta ad esercitare continuamente la carità verso il prossimo e accrescersi il merito davanti a Dio.

 

 

Capo XIII. Suo spirito di preghiera. - Divozione verso la Madre di Dio. - Il mese di Maria.

 

            Fra i doni, di cui Dio lo arricchì, era eminente quello del fervore nella preghiera. Il suo spirito era cosi abituato a conversare con Dio che in qualsiasi luogo, anche in mezzo ai più clamorosi trambusti, raccoglieva i suoi pensieri e con pii affetti sollevava il cuore a Dio. {62 [212]}

            Quando poi si metteva a pregare in comune pareva veramente un angioletto: immobile e composto a divozione in tutta la persona, senza appoggiarsi altrove, fuorchè sopra le ginocchia, colla faccia ridente, col capo alquanto chino, cogli occhi bassi; l'avresti detto un altro S. Luigi.

            Bastava vederlo per esserne edificati. L'anno 1854 fu eletto il signor Conte Cays priore della compagnia di S. Luigi eretta in quest'Oratorio. La prima volta che prese parte alle nostre funzioni vide egli un giovanetto che pregava con tale atteggiamento, che ne fu pieno di stupore. Terminate le sacre funzioni volle informarsi e sapere chi fosse quel fanciullo che era stato il soggetto della sua ammirazione: quel fanciullo era Domenico Savio.

            La stessa sua ricreazione era quasi sempre dimezzata; una parte per lo più era passata in pia lettura o in qualche preghiera che egli andava a fare in chiesa con alcuni compagni in suffragio delle anime del purgatorio o in onore di Maria Santissima.

            La divozione verso la Madre di Dio in Domenico era grande assai. In onore di lei faceva ogni giorno qualche mortificazione. {63 [213]} Non rimirava mai in faccia persone di sesso diverso: andando a scuola non alzava mai gli occhi. Talvolta passava vicino a pubblici spettacoli, che dai compagni rimiravansi con tale ansietà da non saper più dove passassero. Interrogato il Savio se tali spettacoli gli fossero piaciuti, rispondeva, che nulla aveva veduto. Di che quasi indispettito un compagno lo rimproverò dicendo: che vuoi dunque fare degli occhi se non te ne servi a rimirare tali cose? Io servirmene, rispondeva, per rimirare la faccia della nostra celeste Madre Maria, quando, se coll'aiuto di Dio ne sarò degno, andrò a trovarla in paradiso.

            Aveva una special divozione all' immacolato cuore di Maria. Tutte le volte che portavasi in chiesa andava avanti all'altare di lei per pregarla ad ottenergli la grazia di conservare il suo cuore sempre lontano da ogni affetto impuro. Maria, diceva, io voglio essere sempre vostro figliuolo: ottenetemi di morire prima che io commetta un peccato contrario alla virtù della modestia.

            Ogni venerdì poi sceglieva un tempo di ricreazione, si portava in chiesa con altri compagni e con essi recitava la corona {64 [214]} de' sette dolori di Maria o almeno le litanie di Maria addolorata.

            Non solo era egli divoto di Maria SS., ma godeva assai, quando poteva condurre un compagno a prestarle pratiche di pietà. Un giorno di sabato aveva invitato un compagno a recarsi con lui in chiesa per recitare il vespro della B. Vergine. Questi si arrendeva di mala voglia, adducendo aver freddo alle mani. Domenico si levò i guanti dalle mani, e glieli diede e cosi andarono ambidue in chiesa. Altra volta si tolse il mantelletto dalle proprie spalle per imprestarlo ad un altro affinchè andasse volentieri con lui in chiesa a pregare. Chi non sentesi compreso d'ammirazione a tali alti di generosa pietà?

            In nessun tempo Domenico appariva maggiormente infervorato verso la celeste nostra protettrice Maria quanto nel mese di Maggio. Si accordava con altri per fare ogni giorno di tal mese qualche pràtica particolare oltre a quanto facevasi in pubblico nella chiesa. Preparavasì una serie d'esempi edificanti, che egli andava con gran piacere raccontando per animare altri ad essere divoti di Maria. Ne parlava spesso in ricreazione; animava tutti a confessarsi {65 [215]} e frequentare la santa comunione specialmente in tal mese. Egli ne dava l'esempio accostandosi ogni giorno alla mensa eucaristica con tale raccoglimento che maggiore non si può desiderare.

            Un curioso episodio fa vedere la tenerezza del suo cuore per la divozione di Maria. Gli alunni della camera, ove egli dormiva, deliberarono di fare a spese proprie un elegante altarino, che servisse a solennizzare la chiusa del mese di Maria. Domenico era tutto in faccende per questo affare; ma venendosi alla quota che ciascuno avrebbe dovuto sborsare: ohimè! esclamò, sì che stiamo bene; per questi affari ci vogliono danari, ed io non ho un quattrino in tasca. Pure voglio fare qualche cosa a qualunque costo. Andò, prese un libro, che eragli stato donato in premio, e chiestone il permesso dal superiore ritornò pien di gioia dicendo: compagni, eccomi in grado di concorrere anch'io per onorar Maria: prendete questo libro, cavatene quell'utilità che potete; questa è la mia oblazione.

            Alla vista di tale atto spontaneo e così generoso s'intenerirono i compagni, e vollero essi pure offerir libri ed altri oggetti: {66 [216]} con essi fu fatta una piccola lotteria, il cui prodotto fu abbondante per sopperire alle spese che occorrevano.

            Terminato l'altare i giovani desideravano di celebrare la loro festa colla massima sontuosità. Ognuno se ne dava grande sollecitudine, ma non essendosi potuto totalmente terminare l'apparato era mestieri lavorare la notte precedente alla festa. Io, disse il Savio, io passerò volentieri la notte lavorando. Ma i suoi compagni, perchè aveva poco prima fatto una malattia, l'obbligarono di andarsi a coricare. Non voleva arrendersi, e solo andò a letto per ubbidienza. Almeno, disse ad uno de' compagni, appena sia tutto terminato vienmi tosto a risvegliare, affinchè io possa essere de' primi a rimirare l'altare addobbato in onore della cara nostra madre.

 

 

Capo XIV. Sua frequenza ai santi sacramenti della confessione e comunione.

 

            Egli è comprovato dall'esperienza che i più validi sostegni della gioventù sono il sacramento della confessione e della comunione. {67 [217]} Datemi un giovanetto, che frequenti questi sacramenti, voi lo vedrete crescere nella giovanile, giungere alla virile età e arrivare, se cosi piace a Dio, fino alla più tarda vecchiaia con una condotta, che è l'esempio di tutti quelli che lo conoscono. Questa massima la comprendano i giovanetti per praticarla; la comprendano tutti quelli che si occupano dell'educazione dei medesimi per insinuarla.

            Prima che il Savio venisse a dimorare all'Oratorio frequentava questi due sacramenti una volta al mese secondo l'uso delle scuole. Di poi li frequentò con assai maggior assiduità. Un giorno udì dal pulpito questa massima: giovani, se volete perseverare nella via del cielo, vi si raccomandano tre cose: accostatevi spesso al sacramento della confessione, frequentate la santa comunione, sceglietevi un confessore cui osiate aprire il vostro cuore, ma non cangiatelo senza necessità. Comprese Domenico l'importanza di questi consigli. Cominciò egli a scegliersi un confessore che tenne regolarmente tutto il tempo che dimorò tra noi. Affinchè questi potesse poi formarsi un giusto giudicio di sua coscienza volle, come si disse, fare la confessione {68 [218]} generale. Cominciò a confessarsi ogni quindici giorni, poi ogni otto giorni, comunicandosi colla medesima frequenza. Il confessore osservando il grande profitto, che faceva nelle cose di spirito, lo consigliò a comunicarsi tre volte per settimana, e nel termine di un anno gli permise la comunione quotidiana.

            Il Savio godeva di sè medesimo. Se ho qualche pena in cuore, egli diceva, vo dal confessore, che mi consiglia secondo la volontà di Dio; giacchè Gesù Cristo ha detto che la voce del confessore per noi è come la voce di Dio. Se poi voglio qualche cosa di grande, vo a ricevere l'Ostia santa in cui trovasi corpus quod prò nobis traditum est, cioè quello stesso corpo, sangue anima e divinità, che Gesù Cristo offerse a Dio per noi sopra la croce. Che cosa mi manca per essere felice? nulla in questo mondo: mi manca solo il poter godere svelato in cielo colui che ora con occhio di fede miro e adoro sull'altare.

            Con questi pensieri Domenico traeva i suoi giorni veramente felici. Di qui nasceva quella ilarità, quella gioia celeste che traspariva in tutte le sue azioni. Nè pensiamoci che egli non comprendesse l'importanza {69 [219]} di quanto faceva e non avesse un tenor di vita cristiana, quale si conviene a chi desidera di far la comunione quotidiana. Perciocchè la sua condotta era per ogni lato irreprensibile. Io ho invitato i suoi compagni a dirmi se ne' tre anni, che dimorò fra noi, avevano notato nel Savio qualche difetto da correggere o qualche virtù da suggerire; ma tutti furono d'accordo che in lui non trovarono mai cosa che meritasse correzione; nè avrebbero saputo quale virtù aggiungere in lui.

            Il suo apparecchio alla comunione era il più edificante. La sera che precedeva la comunione prima di coricarsi egli faceva una preghiera a questo scopo, e conchiudeva sempre cosi: Sia lodato e ringraziato ogni momento il santissimo e divinissimo Sacramento. Al mattino poi faceva una sufficiente preparazione; ma il ringraziamento era senza limite. Per lo più, se non era chiamato, dimenticava la colezione, la ricreazione, e talvolta fino la scuola, standosi in orazione, o meglio in contemplazione della divina bontà che in modo ineffabile comunica agli uomini i tesori della sua infinita misericordia. {70 [220]}

            Era per lui una vera delizia il poter passare qualche ora dinanzi a Gesù sacramentato. Almeno una volta al giorno andava invariabilmente a fargli visita, invitando altri a fargli compagnia. La sua preghiera prediletta era una coroncina al sacro cuore di Gesù per compensare le ingiurie che riceve dagli eretici, dagli infedeli e dai cattivi cristiani.

            Affinchè le sue comunioni fossero più fruttuose e nel tempo stesso avessero ogni giorno novello eccitamento a farle con fervore egli si era prefisso ogni giorno uno scopo speciale.

            Ècco come distribuiva le comunioni in ciascun giorno della settimana.

            Domenica. In onore della Santissima Trinità.

            Lunedì. Pe' miei benefattori spirituali e temporali.

            Martedì. In onore di S. Domenico e del mio Angelo custode.

            Mercoledì. Per la conversione dei peccatori.

            Giovedì. In suffragio delle anime del purgatorio.

            Venerdì. In onore della passione di Gesù Cristo. {71 [221]}

            Sabato. Ad onore di Maria SS. per ottenere la sua protezione in vita ed in morte.

            Prendeva parte con trasporto di gioia a tutte le pratiche, le quali riguardassero al santissimo Sacramento. Se gli fosse capitato d'incontrare il Viatico portato a qualche infermo, egli s'inginocchiava tosto ovunque fosse; e se il tempo glielo permetteva, l'accompagnava finchè fosse terminata la funzione.

            Alla festa del Corpus Domini fu vestito da cherico, e mandato alla processione della parrochia. Egli vi andò con sommo piacere, ed ebbe tal cosa come prezioso regalo, che maggiore niuno gli avrebbe potuto fare.

 

 

Capo XV. Sue penitente.

 

            La sua età, la sanità cagionevole, l'innocenza di sua vita l'avrebbero certamente dispensato da ogni sorta di penitenza; ma egli sapeva che difficilmente un giovane può conservare l'innocenza senza la penitenza, e questo pensiero faceva si che la {72 [222]} via dei patimenti per lui sembrava coperta di rose. Per penitenza non parlo del sopportare pazientemente le ingiurie e i dispiaceri, non parlo della continua mortificazione e compostezza di tutti i suoi sensi nel pregare, nella scuola, nello studio, nella ricreazione. Queste penitenze in lui erano continue.

            Io parto solamente delle penitenze afflittive del corpo. Nel suo fervore aveva stabilito di digiunare ogni sabato a pane ed acqua in onore della Beata Vergine, ma il confessore glielo proibì; voleva digiunare la quaresima, ma dopo una settimana venne tale cosa a notizia del Direttore della casa, e tosto gli fu vietata. Voleva almeno lasciar la colezione, ed anche tal cosa gli venne proibita. La ragione per cui non gli si permettevano tali penitenze era per impedire che la sua cagionevole sanità non venisse rovinata intieramente. Che fare adunque? Proibito di fare astinenza nel cibo, prese ad affliggere il corpo in altre maniere. Cominciò a mettersi scheggie di legno e pezzi dì mattone in letto per rendersi molesto il medesimo riposo; voleva portare una specie di cilicio; le quali cose gli vennero tutte proibite. {73 [223]} Egli si appigliò ad un novello mezzo. In tempo di autunno e d'inverno lascio inoltrare la stagione senza accrescere coperte al letto, sicchè eravamo a gennaio, ed egli era tuttora coperto da estate. Un mattino rimasto a letto per qualche incomodo, il Direttore l'andò a visitare. Al vederlo tutto aggomitolato gli si avvicinò, e si accorse che non aveva altro addosso che una sottile copertura. Perchè hai fatto questo, gli disse? Vuoi morire di freddo? No, rispose, non morrò di freddo. Gesù nella capanna di Betlemme e quando era in croce, era meno coperto di me.

            Allora gli fu assolutamente proibito d'intraprendere penitenze di qualsiasi genere, senza prima dimandarne espressa licenza; al quale comando, sebbene con pena, si sottomise. Una volta lo incontrai tutto afflitto, che andava esclamando: povero me, io sono veramente imbrogliato. Il Salvatore dice, che se non fo penitenza, non andrò in paradiso; ed a me è proibito di farne; quale adunque sarà il mio paradiso?

            La penitenza, che il Signore vuole da te, gli dissi, è l'ubbidienza. Ubbidisci, e a te basta. {74 [224]}

            - Non potrebbe permettermi qualche altra penitenza?

            - Si: ti si permettono le penitenze di sopportare pazientemente le ingiurie qualora te ne venissero fatte; tollerare con rassegnazione il caldo, il freddo, il vento, la pioggia, la stanchezza, e tutti gli incomodi di salute che a Dio piacerà di mandarti.

            - Ma questo si soffre per necessità?

            - Ciò che dovresti soffrire per necessità offrilo a Dio, e diventa virtù e merito per l'anima tua.

            Contento e rassegnato a questi consigli se ne andò tranquillo.

 

 

Capo XVI. La Compagnia dell Immacolata Concezione.

 

            Tutta la vita di Domenico si può dire essere un esercizio di divozione verso Maria Santissima. Nè lasciava sfuggire occasione alcuna affine di tributarla qualche omaggio. L'anno 1854 il supremo Gerarca della Chiesa definiva dogma di fede l'immacolato concepimento di Maria. Il Savio desiderava ardentemente di rendere tra di noi vivo e {75 [225]} durevole il pensiero di questo augusto titolo dalla Chiesa dato alla regina del cielo. Io desidererei, soleva dire, di fare qualche cosa in onore di Maria, ma di farlo presto, perchè temo che mi manchi il tempo.

            Guidato egli adunque dalla solita industriosa sua carità scelse alcuni de' suoi fidi compagni, e li invitò ad unirsi insieme con lui per formare una compagnia detta dell'Immacolata Concezione.

            Lo scopo era di assicurarsi la protezione della gran Madre di Dio in vita e specialmente in punto di morte. Due mezzi proponeva il Savio a tal fine: esercitare e promuovere pratiche di pietà in onore di Maria Immacolata, e la frequente Comunione. D'accordo co' suoi più fidi amici compilò un regolamento, e dopo molte sollecitudini nel giorno 8 di giugno 1856, nove mesi prima di sua morte, leggevate con loro dinanzi all'altare di Maria SS. Io lo trascrivo di buon grado nel pensiero che possa servire ad altri di norma a fare altrettanto. Eccone adunque il tenore:

            Noi Savio Domenico, ecc., (segue il nome di altri compagni) per assicurarci in vita ed in morte il patrocinio della Beatissima Vergine Immacolata, e per dedicarci {76 [226]} intieramente al suo santo servizio, nel giorno 8 del mese di giugno, muniti tutti dei Ss. Sacramenti della confessione e comunione, e risoluti di professar verso la Madre nostra una filiale e costante divozione, protestiamo davanti all' altare di Lei e col consenso del nostro Spiritual Direttore, di voler imitare per quanto lo pernotteranno le nostre forze LUIGI COMOLLO[4]. Onde ci obblighiamo

            1° Di osservare rigorosamente le regole della casa:

            2° Di edificare i compagni ammonendoli caritatevolmente, ed eccitandoli al bene colle parole, ma molto più col buon esempio;

            3° Di occupare esattamente il tempo. A fine poi di assicurarci della perseveranza nel tenor di vita cui intendiamo di obbligarci, sottomettiamo il seguente regolamento al nostro Direttore. {77 [227]}

            N. 1. A regola primaria adotteremo una rigorosa obbedienza ai nostri superiori cui ci sottomettiamo con una illimitata confidenza.

            N. 2. L'adempimento dei proprii doveri sia la nostra prima e speciale occupazione.

            N. 3. Carità reciproca unirà i nostri animi, ci farà amare indistintamente i nostri fratelli, i quali con dolcezza ammoniremo, quando apparisse utile una correzione.

            N. 4. Si sceglierà una mezz' ora nella settimana per convocarci, e dopo l'invocazione del S. Spirito, fatta breve spiritual lettura, si tratteranno i progressi della Compagnia nella divozione e nelle virtù.

            N. 5. Separatamente però ci ammoniremo di quei difetti di cui dobbiamo emendarci.

            N. 6. Procureremo di evitare fra noi qualunque minimo dispiacere, sopportando con pazienza i compagni, e le altre persone moleste.

            N.7. Non è fissata alcuna preghiera, giacchè il tempo, che rimane dopo compiuto il dover nostro, sarà consacrato a quello scopo che parrà più utile all'anima nostra.

            N. 8. Ammettiamo però queste poche pratiche: {78 [228]}

                        § 1° La frequenza ai Ss.mi Sacramenti, quanto più sovente ci verrà permesso.

                        § 2º Ci accosteremo alla mensa Eucaristica tutte le domeniche, le feste di precetto, tutte le novene e solennità di Maria SS. e dei Ss. Protettori dell'Oratorio.

                        § 3° Nella settimana procureremo di aceostarvici al giovedì, eccetto che ne siamo distolti da qualche grave occupazione.

            N. 9. Ogni giorno, specialmente nella recita del Rosario, raccomanderemo a Maria la nostra società, pregandola di ottenerci la grazia della perseveranza.

            N. 10. Procureremo di consacrare ogni sabato in onor di Maria qualche pratica speciale od atto di cristiana pietà in onor dell'Immacolato suo concepimento.

            N. 11. Useremo quindi un contegno vie maggiormente edificante nella preghiera, nelle divote letture, durante i divini uffizi, nello studio e nella scuola.

            N. 12. Custodiremo colla massima gelosia la santa parola di Dio, e ne rianderemo le verità ascoltate.

            N. 13. Eviteremo qualunque perdita di tempo per assicurar l'animo nostro dalle tentazioni che sogliono fortemente assalirci nell'ozio; epperciò {79 [229]}

            N. 14. Dopo aver soddisfatto agli obblighi che incombono a ciascuno di noi, consacreremo le ore rimaste libere in utili occupazioni come in divote ed istruttive letture o nella preghiera.

            N. 15. La ricreazione è voluta o almeno permessa dopo il cibo, dopo la scuola e dopo lo studio.

            N. 16. Procureremo di manifestare ai nostri superiori qualunque cosa possa riguardare la nostra morale condotta.

            N. 17. Procureremo eziandio di fare gran risparmio di quei permessi che ci vengono largiti dalla bontà dei nostri superiori, imperciocchè una delle nostre mire speciali è certamente un'esatta osservanza delle regole della casa, troppo spesso offesa dall'abuso di tali permessi.

            N. 18. Accetteremo dai nostri superiori quello che verrà destinato a nostro alimento senza mai movere lagnanza intorno agli apprestamenti di tavola, e distoglieremo anche gli altri dal farlo.

            N. 19. Chi bramerà far parte di questa società, dovrà anzi tutto purgarsi la coscienza col Sacramento della Confessione, e cibarsi alla mensa Eucaristica, dar quindi saggio di sua condotta con una settimana {80 [230]} di prova, leggere attentamente queste regole e prometterne esatta osservanza a Dio ed a Maria SS. Immacolata.

            N. 20. Nel giorno di sua ammessione i fratelli si accosteranno alla santa comunione, pregando Sua Divina Maestà di accordare al compagno le virtù della perseveranza, dell'ubbidienza, il vero amore di Dio.

            N. 21. La società è posta sotto gli auspizii dell' Immacolata Concezione, di cui avremo il titolo, e porteremo una divota medaglia. Una sincera, filiale, illimitata fiducia in Maria, una tenerezza singolare verso di lei; una devozione costante ci renderanno superiori ad ogni ostacolo, tenaci nelle risoluzioni, rigidi verso di noi, amorevoli col nostro prossimo, ed esatti in tutto.

            Consigliamo inoltre i fratelli a scrivere i SS. nomi di Gesù e di Maria prima nel cuore e nella mente, poi sui libri e sopra gli oggetti che ci possono cadere sott'occhio.

            Il nostro Direttore è pregato di esaminare queste regole, e di manifestarci intorno ad esse il suo giudizio assicurandolo che noi tutti intieramente dipendiamo dalla sua volontà. Egli potrà far subire a questo regolamento quelle modificazioni, che gli parranno convenienti. {81 [231]}

            E Maria? Benedica essa i nostri sforzi, giacchè l'inspirazione di dar vita a questa pia società fu tutta sua. Ella arrida alle nostre speranze, esaudisca i nostri voti, e noi coperti dal suo manto, forti del suo patrocinio, sfideremo le procelle di questo mare infido, supereremo gli assalti del nemico infernale. In simil guisa da lei confortati speriamo d'essere l'edificazione dei compagni, la consolazione dei superiori, diletti figliuoli di Lei. E se Dio ci concederà grazia e vita per servirlo nel sacerdotal Ministero, noi ci adopreremo con tutte le nostre forze per farlo col massimo zelo, e diffidando di nostre forze, illimitatamente fidando nel divino soccorso, potremo sperare che dopo questa valle di pianto consolati dalla presenza di Maria, raggiungeremo sicuri in quell'ultima ora quel guiderdone eterno, che Iddio tien serbato a chi lo serve in ispirito e verità.

            Il Direttore dell' Oratorio lesse di fatto il sopra esposto regolamento di vita e dopo di averlo attentamente esaminato, lo approvò colle seguenti condizioni:

            1. Le mentovate promesse non hanno forza di voto.

            2. Nemmeno obbligano sotto pena di colpa alcuna. {82 [232]}

            3. Nelle conferenze si stabilisca qualche opera di carità esterna, come la nettezza della Chiesa, l'assistenza od il catechismo di qualche fanciullo più ignorante.

            4. Si dividano i giorni della settimana in modo che in ciascun giorno vi siano alcune comunioni.

            5. Non si aggiunga alcuna pratica religiosa senza speciale permesso dei superiori.

            6. Si proponga per iscopo fondamentale di promuovere la divozióne verso Maria SS. Immacolata, e verso il SS. Sacramento.

            7. Prima di accettare qualcheduno, gli si faccia leggere la vita di Luigi Comollo.

 

 

Capo XVII. Sue amicizie particolari - Sue relazioni col giovane Gavio Camillo.

 

            Ognuno era amico con Domenico; chi non lo amava lo rispettava per le sue virtù. Egli sapeva poi passarsela bene con tutti. Era cosi rassodato nella virtù che fu consigliato di trattenersi anche con alcuni {83 [233]} giovani alquanto discoli per far prova di guadagnarli al Signore. Ed egli approffittava della ricreazione, dei trastulli, dei discorsi anche indifferenti per trarne vantaggio spirituale. Tuttavia aveva i suoi amici particolari, coi quali, come si è detto, si radunava ora in conferenze spirituali, ora per compiere esercizi di cristiana pietà. Queste conferenze tenevansi con licenza dei superiori; ma erano assistite e regolate dagli stessi giovani. In esse trattavano del modo di celebrare le novene delle maggiori solennità, si ripartivano le comunioni, che ciascuno avrebbe avuto cura di fare in giorni determinati della settimana, si assegnavano a vicenda quei giovani che avevano maggior bisogno di assistenza morale e ciascuno lo faceva suo cliente, ovvero protetto, ed adoperavano tutti i mezzi che suggerisce la carità cristiana per avviarlo alla virtù.

            Il Savio era dei più animati, e si può dire che in queste conferenze la faceva da dottore.

            Si potrebbe parlare di parecchi compagni del Savio che prendevano parte a queste conferenze, e che trattarono molto con lui, ma essendo essi ancor tra' vivi, pare {84 [234]} prudenza non parlarne. Ne accennerò solamente due, che sono già stati da Dio chiamati alla patria celeste. Questi sono Gavio Camillo di Tortona, e Massaglia Giovanni di Marmorito. Il Gavio dimorò solamente due mesi tra noi, e questo tempo bastò per lasciare santa rimembranza di sè presso i suoi compagni. La sua luminosa pietà e il suo gran genio per la pittura e scultura, avevano risolto il municipio di quella città ad aiutarlo affinchè potesse venire a Torino a proseguire gli studii per l'arte sua. Egli aveva fatto una grave malattia in patria; e come venne all'Oratorio sia per essere convalescente, sia per trovarsi lontano dalla patria e dai parenti, sia anche per la compagnia di giovanetti tutti sconosciuti, se ne stava osservando gli altri a trastullarsi, ma assorto in gravi pensieri. Lo vide il Savio, e tosto si avvicinò per confortarlo, e tenne secolui questo preciso discorso:

            Il Savio cominciò: ebbene, mio caro, non conosci ancora alcuno, non è vero?

            Gavio: è vero, ma mi ricreo rimirando gli altri a trastullarsi.

            - Come ti chiami?

            - Gavio Camillo di Tortona. {85 [235]}

            - Quanti anni hai?

            - Ne ho quindici compiuti.

            - Da che deriva quella malinconia che ti traspira in volto, sei forse stato ammalato?

            - Si, sono veramente stato ammalato: ho fatto una malattia di palpitazione, che mi portò sull'orlo della tomba, ed ora non ne sono ancora ben guarito.

            - Desideri di guarire, non è vero?

            - Non tanto; desidero di fare la volontà di Dio.

            Queste ultime parole fecero conoscere il Gavio per un giovane di non ordinaria pietà, e cagionarono nel cuore del Savio una vera consolazione; sicchè con tutta confidenza continuò così: chi desidera di fare la volontà di Dio, desidera di santificare se stesso; hai dunque volontà di farti santo?

            - Questa volontà in me è grande.

            - Bene: accresceremo il numero dei nostri amici, e tu sarai uno di quelli che prenderai parte a quanto facciamo noi per farci santi. Ma sappi che noi qui facciamo consistere la santità nello star molto allegri. Noi procureremo soltanto di evitare il peccato, come un gran nemico che ci ruba la grazia di Dio e la pace del cuore, {86 [236]} di adempiere esattamente i nostri doveri, e frequentare le cose di pietà. Comincia fin d'oggi a scriverti per ricordo: servite Domino in laetitia, serviamo il Signore in santa allegria.

            Questo discorso fu come un balsamo alle afflizioni del Gavio, che ne provò un vero conforto. Che anzi da quel giorno in poi egli divenne fido amico del Savio, e costante seguace delle sue virtù. Ma la malattia che lo aveva portato sull'orlo della tomba, e che non era stata sradicata, in capo a due mesi ricomparve, e malgrado le sollecitudini dei medici e degli amici, non le si potè più trovare rimedio. Dopo alcuni giorni di peggioramento, dopo di aver con grande edificazione ricevuti gli ultimi sacramenti mandava l'anima al Creatore il 30 dicembre 1856.

            Domenico andò più volte a visitarlo nel corso della malattia e si offeriva di passare le notti vegliando presso di lui, sebbene non siagli stato permesso. Quando seppe, che era spirato, volle andarlo a vedere per l'ultima volta, e mirandolo estinto, commosso gli diceva: addio, o Gavio, tu sei volato al cielo; prepara anche un posto per me. Io ti sarò sempre amico, e finchè il {87 [237]} Signore mi lascerà in vita, pregherò pel riposo dell'anima tua.

            Dopo andò con altri compagni a recitare l'uffizio dei morti nella camera del defunto, si fecero altre preghiere lungo il giorno; quindi invitò alcuni dei più buoni compagni a fare la santa comunione, ed egli stesso la fece più volte in suffragio dell'anima dell'amico defunto.

            Fra le altre cose egli disse a' suoi amici: miei cari, non dimentichiamo l'anima del nostro amico, tutto quello che ora facciamo per lui, Dio disporrà che altri lo faccia un giorno per noi.

 

 

Capo XVIII. Sue relazioni col giovane Massaglia Giovanni.

 

            Più lunghe e più intime furono le relazioni del Savio con Massaglia di Marmorito, paese poco distante da Mondonio.

            Vennero ambidue contemporaneamente nella casa dell'Oratorio, erano confinanti di patria; avevano ambidue la stessa volontà di abbracciare lo stato ecclesiastico, con vero desiderio di farsi santi. {88 [238]}

            - Non basta, un giorno Domenico diceva al suo amico, non basta il dire che vogliamo farci ecclesiastici, ma bisogna che ci adoperiamo per acquistare le virtù che a tale stato sono necessarie.

            - È vero, rispondeva l'amico, ma, se facciamo quello che possiamo dal canto nostro, Dio non mancherà di darci grazia e forza per meritarci un favore così grande quale si è diventar ministri di Gesù Cristo.

            Venuto il tempo pasquale fecero cogli altri giovani gli spirituali esercizi con molta esemplarità. Terminati gli esercizi, Domenico disse al compagno: voglio che noi siamo veri amici; veri amici per le cose dell'anima, perciò vorrei che d'ora in avanti fossimo l'uno monitore dell'altro in tutto ciò che può contribuire al bene spirituale. Quindi se tu scorgerai in me qualche difetto, dimmelo tosto, affinchè me ne possa emendare, oppure se vedrai qualche cosa di bene che io possa fare, non mancare di suggerirmelo.

            - Lo farò volentieri per te, sebbene non ne abbisogni; ma tu lo devi fare assai più verso di me, che, come ben sai, per la mia età mi trovo esposto a maggiori pericoli. {89 [239]}

            - Lasciamo i complimenti da parte ed aiutiamoci vicendevolmente a farci del bene per l'anima.

            Da quel tempo il Savio, ed il Massaglia divennero veri amici, e la loro amicizia fu durevole, perchè fondata sulla virtù; giacchè andavano a gara coll'esempio e coi consigli per aiutarsi a fuggire il male, e praticare il bene.

            Alla fine dell'anno scolastico subiti gli esami fu a ciascun giovane della casa data licenza di andar a passare le vacanze o coi genitori o con qualche altro parente.

            Alcuni preferirono rimanere all'oratorio, e tra questi furono Savio e Massaglia. Sapendo io quanto fossero ansiosamente aspettati dai parenti, e quanto essi medesimi avessero bisogno di ristorare la loro stanchezza, dissi ad ambidue: perchè non andate a passar qualche giorno in vacanza? Essi invece di rispondere si misero a ridere. - Che cosa volete dirmi con questo ridere?

            Domenico rispose: noi sappiamo che i nostri parenti ci attendono con piacere; noi pure li amiamo e ci andremmo volentieri; ma sappiamo che l'uccello finchè trovasi in gabbia non gode libertà, è vero, {90 [240]} però è sicuro dal falcone. Al contrario se è fuori di gabbia, vola dove vuole, ma da un momento all'altro può cadere negli artigli di quell'uccello di rapina. La nostra gabbia è l'Oratorio; qui stiamo sicuri; se usciamo di qui temiamo di cadere negli artigli del falcone infernale.

            Io però ho giudicato bene di mandarli qualche tempo a casa pel bene della loro sanità, e si arresero alla mia volontà soltanto per ubbidienza, restandovi quei soli giorni che erano stati strettamente loro comandati.

            Se volessi scrivere i bei tratti di virtù del giovane Massaglia, dovrei ripetere in gran parte le cose dette del Savio, di cui fu fedele seguace finchè visse. Egli godeva buona salute, e dava ottima speranza di sè nella carriera degli studii. Compiuto il corso di Retorica subì con esito felice l'esame per la vestizione chericale. Ma questo abito da lui tanto amato e tanto rispettato, potè soltanto portarlo alcuni mesi. Colpito da una costipazione, che aveva aspetto di semplice raffreddore, non voleva nemmeno interrompere i suoi studii. Pel desiderio di fargli fare una cura radicale, e per toglierlo dall'occasione di studiare i {91 [241]} genitori lo condussero a casa. La malattia sembrava leggiera; più volte parve perfettamente vinta, più volte ricadde, finchè quasi inaspettatamente venne all'estremo della vita.

            «Egli ebbe tempo, scrive il suo paroco, di ricevere colla massima esemplarità tutti i conforti di nostra santa religione; moriva della morte del giusto che lascia il mondo per volare al cielo.»

            Alla perdita di tale amico il Savio fu profondamente addolorato, e sebbene rassegnato ai divini voleri lo pianse per più giorni, e questa è la prima volta che vidi quel volto angelico a rattristarsi e piangere di dolore. L'unico conforto fu di pregare e far pregare per l'amico defunto. Fu udito talvolta ad esclamare: caro Massaglia, tu sei morto, e spero che sarai gia in compagnia di Gavio in paradiso, ed io quando andrò a raggiungervi nell'immensa felicità del cielo?

            Per tutto il tempo che Domenico sopravvisse al suo amico l'ebbe ognor presente nelle pratiche di pietà, e soleva dire, che non poteva andar ad ascoltar la santa messa, od assistere a qualche esercizio divoto senza raccomandare a Dio l'anima di {92 [242]} colui che in vita erasi cotanto adoperato pel suo bene. Questa perdita fu assai dolorosa al tenero cuore di Domenico, e la medesima sanità di lui fu notevolmente alterata.

 

 

Capo XIX. Grazie speciali e fatti particolari.

 

            Finora ho raccontato cose che presentano nulla di straordinario, se non vogliamo chiamare straordinaria una condotta costantemente buona, che si andò sempre perfezionando coll'innocenza della vita, con le opere di penitenza e coll’esercizio della pietà. Potrebbesi pur chiamare cosa straordinaria la vivezza di sua fede, la ferma sua speranza e l'infiammata sua carità e la perseveranza nel bene fino all' ultimo respiro. Qui però io voglio esporre grazie speciali ed alcuni fatti non comuni, che forse andranno soggetti a qualche critica. Per la qual cosa io stimo bene di avvisarne il lettore, che quanto ivi riferisco, ha piena somiglianza con fatti registrati nella Bibbia e nella vita dei santi; riferisco cose che ho vedute cogli occhi miei, assicuro {93 [243]} che scrivo scrupolosamente la verità, rimettendomi però interamente ai riflessi del discreto lettore: eccone il racconto.

            Avvenne più volte, che andando in chiesa, specialmente nel giorno che Domenico faceva la santa comunione, oppure vi era esposto il santissimo Sacramento egli restava come rapito dai sensi, sicchè lasciava passare tempo anche troppo lungo, se non era chiamato per compiere i suoi ordinarii doveri. Accadde un giorno che mancò dalla colezione, dalla scuola, e dal medesimo pranzo, e niuno sapeva dove fosse; nello studio non c'era, a letto nemmeno. Riferita al Direttore tal cosa, gli nacque sospetto di quello che era realmente, che fosse in chiesa, siccome già altre volte era accaduto. Entra in chiesa, va in coro e io vede là fermo come un sasso. Egli teneva un piede sull'altro, una mano appoggiata sul leggìo dell'antifonario, l'altra sul petto colla faccia fissa e rivolta verso il tabernacolo. Non moveva palpebra. Lo chiama, nulla risponde. Lo scuote, e allora gli volge lo sguardo, e dice: oh è già finita la messa? Vedi, soggiunse il Direttore mostrandogli l'orologio, sono le due. Egli dimandò {94 [244]} umile perdono della trasgressione delle regole di casa, ed il direttore lo mandò a pranzo, dicendogli: se taluno ti dirà: onde vieni? Risponderai che vieni dall'eseguire un mio comando. Fu detto questo per evitare le dimande inopportune, che forse i compagni gli avrebbero fatte.

            Un altro giorno terminato l'ordinario ringraziamento della messa io era per uscire dalla sacrestia, quando sento in coro una voce come di una persona che disputava. Vado a vedere e trovo il Savio che parlava e poi si arrestava, come chi dà campo alla risposta. Fra le altre cose intesi chiaramente queste parole: Sì, mio Dio, ve l'ho già detto e ve lo dico di nuovo, io vi amo e vi voglio amare fino alla morte. Se voi vedete che io sia per offendervi, mandatemi la morte: sì, prima la morte, ma non peccare.

            Gli ho talvolta dimandato che cosa facesse in quei suoi ritardi, ed egli con tutta semplicità rispondeva: povero me, mi salta una distrazione, e in quel momento perdo il filo delle mie preghiere, e parmi di vedere cose tanto belle, che le ore fuggono come un momento.

            Un giorno entrò nella mia camera dicendo: {95 [245]} presto, venga con me, c'è una bell'opera da fere. Dove vuoi condurmi? gli chiesi. Faccia presto, soggiunse, faccia presto. Io esitava tuttora, ma instando egli, ed avendo già provato altre volte l'importanza di tali inviti, accondiscesi. Lo seguo. Esce di casa, passa una contrada poi un'altra, ed un'altra ancora, ma non si arresta nè fa parola; prende infine un' altra contrada, io lo accompagno di porta in porta, finchè si ferma, sale una scala, monta al terzo piano e suona una forte scampanellata. E qua, che deve entrare, egli dice, e tosto se ne parte.

            Mi si apre; oh presto, mi vien detto, presto, altrimenti non è più a tempo. Mio marito ebbe la disgrazia di farsi protestante; adesso è in punto di morte e dimanda per pietà di poter morire da buon cattolico.

            Io mi recai tosto al letto di quell'infermo, che mostrava viva ansietà di dar sesto alle cose della sua coscienza. Aggiustate colla massima prestezza le cose di quell'anima, giunge il Curato, che già prima si era fatto chiamare. Esso potè appena amministrargli il sacramento dell'Olio Santo con una sola unzione, che l'ammalato era già cadavere. {96 [246]}

            Un giorno ho voluto chiedere al Savio come egli avesse potuto sapere che colà eravi un ammalato, ed egli mi guardò con aria di dolore, di poi si mise a piangere. Io non gli ho più fatto ulteriore dimanda.

            L'innocenza della vita, l'amor verso Dio, il desiderio delle cose celesti avevano portato la mente di Domenico a tale stato che si poteva dire abitualmente assorto in Dio. Talvolta sospendeva la ricreazione, voltava altrove lo sguardo e si metteva a passeggiare da solo. Interrogato perchè lasciasse cosi i compagni, rispondeva: mi assalgono le solite distrazioni, e mi pare che il paradiso mi si apra sopra del capo, ed io debbo allontanarmi dai compagni per non dir loro cose che forse essi metterebbero in ridicolo. Tal cosa gli succedeva nello studio, nell'andata e ritorno da scuola, e nella scuola medesima.

            Parlava assai volentieri del Romano Pontefice, ed esprimeva il suo vivo desiderio di poterlo vedere prima di morire, asserendo ripetutamente che aveva cosa di grande importanza da dirgli.

            Ripetendo spesso le medesime cose, volli chiedergli qual fosse quella gran cosa che avrebbe voluto dire al Papa. {97 [247]}

            - Se potessi parlare al Papa, vorrei dirgli che si occupi assai dell'Inghilterra; Dio prepara un gran trionfo al cattolicismo in quel Regno.

            - Sopra quali cose appoggi tu queste tue parole?

            - Lo dico, ma non vorrei che ne facesse parola con altri, per non espormi forse allo burle. Se però andrà a Roma, lo dica a Pio IX. Ecco adunque. Un mattino mentre faceva il ringraziamento della comunione, fui sorpreso da una forte distrazione, e mi parve di vedere una vastissima pianura piena di gente avvolta in densa nebbia. Camminavano, ma come uomini, che smarrita la via non vedono più ove mettano il piede. Questo paese, mi disse uno che mi era vicino, è l'Inghilterra. Mentre voleva dimandare altre cose vedo il sommo Pontefice Pio IX, tale quale aveva veduto dipinto in alcuni quadri. Egli maestosamente vestito, portando una luminosissima fiaccola tra le mani, si avanzava verso quella immensa turba di gente. Di mano in mano che si avvicinava, al chiarore di questa fiaccola, scompariva la nebbia, e gli uomini restavano nella luce come di mezzogiorno. Quella fiaccola, mi {98 [248]} disse l'amico, è la religione cattolica che deve illuminare gl'Inglesi.

            L'anno scorso (1858) essendo andato a Roma, ho voluto raccontare tale cosa al Sommo Pontefice, che la sentì con bontà e con piacere. Questo, disse il Papa, mi conferma nel mio proposito di lavorare energicamente a favore dell' Inghilterra, a cui ho già rivolto le mie più grandi sollecitudini. Tal racconto, se non altro, mi' è come un consiglio di un'anima buona.

            Ommetto molti altri fatti simiglianti, contento di scriverli, lasciando che altri li pubblichi, quando si giudicherà che possano tornare a maggior gloria di Dio.

 

 

Capo XX. Suoi pensieri sopra la morte, e sua preparazione a morir santamente.

 

            Chi ha letto quanto abbiamo fin' ora scritto intorno al giovane Savio Domenico, conoscerà di leggieri che la vita di lui fu una continua preparazione alla morte. Ma egli reputava la compagnia dell'Immacolata Concezione come un mezzo efficace per assicurarsi la protezione di Maria in punto {99 [249]} di morte, che ognuno presagiva non essergli lontana.

            Malgrado tutti i riguardi che gli si usavano per moderarlo nelle cose di studio e di pietà; tuttavia e per la naturale sua gracilità, e per alcuni incomodi personali ed anche per la continua tensione di spirito, gli si andavano ogni giorno diminuendo le forze. Egli stesso se ne accorgeva, e talvolta andava dicendo: bisogna che io corra, altrimenti la notte mi sorprende per istrada. Volendo dire che gli restava poco tempo di vita, e che doveva essere sollecito in fare opere buone prima che giungesse la morte.

            Avvi l'uso in questa casa che i nostri giovani facciano l'esercizio della buona morte una volta al mese. Consiste questo esercizio nel prepararci a fare una confessione e comunione come se fosse l'ultima della vita. Il regnante Pio IX nella sua grande bontà arricchì questo esercizio di pietà di varie indulgenze. Domenico lo faceva con un raccoglimento che non si può dire maggiore. In fine della sacra funzione si suole recitare un Pater ed Ave per colui che tra gli astanti sarà il primo a morire. Un giorno scherzando egli disse: in luogo di dire per {100 [250]} colui che sarà il primo a morire dica così: un Pater ed Ave per Savio Domenico che di noi sarà il primo a morire. Questo disse più volte.

            Sul finire di aprile del 1856, egli si presentò al Direttore e gli dimandò come avrebbe dovuto fare per celebrare santamente il mese di Maria.

            - Lo celebrerai, rispose, coll'esalto adempimento de' tuoi doveri. raccontando ogni dì un esempio in onore di Maria, e procurando di regolarti in modo da poter fare in ciascun giorno la santa comunione.

            - Ciò procurerò di fare puntualmente; ma qual grazia dovrò dimandare?

            - Dimanderai alla santa Vergine che ti ottenga da Dio sanità e grazia, per farti santo.

            - Che mi aiuti a farmi santo, che mi aiuti a fare una santa morte, e che negli ultimi momenti di mia vita mi assista e mi conduca al cielo.

            Per usare tutti i mezzi atti a fargli riacquistare la sanità, ho fatto fare un consulto di medici. Tutti ammirarono la giovialità, la prontezza di spirito, e l'assennatezza delle risposte di Domenico. Il dottor Vallauri, di felice memoria, che era uno {101 [251]} dei benemeriti consulenti, pieno di ammirazione: che perla preziosa, disse, è mai questo giovinetto!

            - Qual è l'origine del malore che gli fa diminuire la sanità ogni giorno più, gli dimandai?

            - La sua gracile complessione, la cognizione precoce, la continua tensione di spirito, sono come lime che gli rodono insensibilmente le forze vitali.

            - Qual rimedio potrebbe tornargli maggiormente utile?

            - Il rimedio più utile sarebbe lasciarlo andare al paradiso, per cui mi pare assai preparato. L'unica cosa che potrebbe protrargli la vita, si è l'allontanarlo intieramente qualche tempo dallo studio e trattenerlo in occupazioni materiali adattate alle sue forze.

 

 

Capo XXI. Sua sollecitudine per gli ammalati - Lascia l'Oratorio- Sue parole in tale occasione.

 

            Lo sfinimento di forze in cui si trovava non era tale da tenerlo a letto continuamente; {102 [252]} perciò talvolta andava a scuola, allo studio; oppure si occupava in cose di casa. Fra le cose in cui si occupava con gran piacere era il servire i compagni infermi qualora ve ne fossero stati nella casa.

            Io non ho alcun merito avanti a Dio, diceva, nell'assistere o visitare gli infermi perchè lo fo con troppo gusto; anzi mi è un caro divertimento.

            Mentre poi loro faceva de' servizi temporali, era accortissimo nel suggerire sempre qualche cosa di spirituale. Questa carcassa, diceva ad un compagno incomodato, non vuol durare in eterno, non è vero? Bisogna lasciare che si logori poco per volta, finchè vada alla tomba; ma allora, caro mio, l'anima nostra sciolta dagli impacci del corpo volerà gloriosa al cielo e godrà una sanità ed una felicità interminabile.

            Avvenne che un compagno rifiutavasi di bere una medicina perchè amara. Caro mio, dicevagli Domenico, noi dobbiamo prendere qualsiasi rimedio, perchè cosi, facendo obbediamo a Dio, che ha stabilito medici e medicine, perchè sono necessarii a riacquistare la perduta sanità: che se proviamo qualche ripugnanza pel gusto, sarà un mezzo per guadagnare maggior merito {103 [253]} per l'anima. Del resto credi che questa tua bevanda sia tanto amara ed aspra quanto era amaro il fiele misto con aceto di cui fu abbeverato l'innocentissimo Gesù sopra la croce? Queste parole dette colla maravigliosa sua schiettezza facevano si che niuno osava più opporre difficoltà.

            Sebbene la sanità del Savio fosse divenuta assai cagionevole, tuttavia l'andare a casa era cosa per lui la più disgustosa, perciocchè gli rincresceva interrompere gli studii e le solite sue pratiche di pietà. Alcuni mesi prima io ve l'aveva già mandato, ed egli vi dimorò solo pochi giorni e tosto mel vidi ricomparire all'Oratorio. Io debbo dirlo; il rincrescimento era reciproco: io l'avrei tenuto in questa casa a qualunque costo, il mio affetto per lui era quello di un padre verso di un figliuolo il più degno di sua affezione. Pure il consiglio de' medici era tale ed io voleva eseguirlo; tanto più che da alcuni giorni erasi in lui manifestata una ostinata tosse.

            Si previene adunque il padre, e si stabilisce la partenza pel primo di marzo 1857.

            Si arrese Domenico a tale deliberazione, ma solo per farne un sacrifizio a Dio. Perchè, gli si domandò, vai a casa cosi di {104 [254]} mal animo; mentre dovresti andarvi con gioia per godervi la compagnia de' tuoi amati genitori? Perchè, rispose, desidero di terminare i miei giorni all'Oratorio.

            - Andrai a casa, e, dopo che ti sarai alquanto ristabilito in salute, ritornerai.

            - Oh! questo poi no, no, io ci vo e non ritornerò più.

            La sera precedente alla partenza non poteva levarmelo d'attorno, sempre aveva cose da dimandare. Fra le altre diceva: Qual è la cosa migliore che possa fare un ammalato per acquistar merito davanti a Dio?

            - Offerire spesso a Dio quanto soffre.

            - Quale altra cosa potrebbe ancor fare?

            - Offrire la sua vita al Signore.

            - Posso essere certo che i miei peccati mi siano stati perdonati?

            - Ti assicuro a nome di Dio che i tuoi peccati ti sono stati tutti perdonati.

            - Posso essere certo di essere salvo?

            - Sì, mediante la divina misericordia, la quale non ti manca, tu sei certo di salvarti.

            - Se il demonio venisse a tentarmi, che cosa gli dovrei rispondere?

            - Gli risponderai che hai venduta l'anima {105 [255]} a Gesù Cristo, e che egli l'ha comperata col prezzo del suo sangue; se il demonio ti facesse ancora altra difficoltà gli chiederai qual cosa abbia egli fatto per l'anima tua. Al contrario Gesù Cristo ha sparso tutto il suo sangue per liberarla dall'inferno e condurla seco lui al paradiso.

            - Dal paradiso potrò vedere i miei compagni dell'Oratorio, ed i miei genitori?

            - Si dal paradiso vedrai tutte le vicende dell' Oratorio, vedrai i tuoi genitori, le cose che li riguardano, ed altre cose mille volte più belle.

            - Potrò venire a far loro qualche visita?

            - Potrai venire purchè tal cosa torni a maggior gloria di Dio.

            Queste e moltissime dimande andava facendo e sembrava una persona che avesse già un piede sulle porte del paradiso, e che prima di entrarvi volesse bene informarsi delle cose che entro vi erano.

 

 

Capo XXII. Dà l' addio a' suoi compagni.

 

            Il mattino di sua partenza fece co' suoi compagni l'esercizio della buona morte con tale trasporto di divozione nel confessarsi {106 [256]} e nel comunicarsi, che io che ne fui testimonio, non so come esprimerlo. Bisogna, egli diceva, che faccia bene questo esercizio perchè spero che sarà per me veramente quello della mia buona morte. Che se mi accadesse di morire per la strada sono già comunicato. Il rimanente della mattinata lo impiegò tutto per mettere in sesto le cose sue. Aggiustò il baule mettendo ogni oggetto come se non dovesse toccarlo mai più. Dopo andava visitando un per uno i suoi compagni, a chi dava un consiglio, avvisava questo ad emendarsi di un difetto, incoraggiva quell' altro a perseverare nel bene. Ad uno cui doveva rimettere due soldi, il chiamò e gli disse: Vien qua, aggiustiamo i nostri conti, altrimenti tal cosa mi cagionerà imbrogli nell' aggiustamento de' conti col Signore. Parlò ai confratelli della società dell' Immacolata Concezione e colle più animate espressioni li incoraggiva ad essere costanti nell'osservanza delle promesse fatte a Maria SS., ed a riporre in lei la più viva confidenza. Al momento di partire mi chiamò e dissemi queste precise parole: Ella adunque non vuole questa mia carcassa (carcame ovvero scheletro) ed io sono costretto a portarlo a Mondonio. {107 [257]} Il disturbo sarebbe di pochi giorni ... poi sarebbe tutto finito, tuttavia sia fatta la volontà di Dio. Se va a Roma, si ricordi della commissione dell'Inghilterra presso il Papa, preghi affinchè io possa fare una buona morte e a rivederci in paradiso. Addio, amati compagni, loro disse, addio tutti: pregate per me e a rivederci colà dove saremo sempre col Signore. Era già sulla porta del cortile quando lo vedo tornare indietro per dirmi:

            - Mi faccia un regalo da conservare per sua memoria.

            - Dimmi che regalo ti aggrada e te lo farò sull'istante. Vuoi un libro?

            - No: qualche cosa di meglio.

            - Vuoi danaro pel viaggio?

            - Si appunto: danaro pel viaggio dell'eternità; ella ha detto che ha ottenuto dal Papa alcune indulgenze plenarie in articolo di morte, metta anche me nel numero di quelli che ne possono partecipare.

            - Si, mio figlio, tu puoi ancora essere compreso in quel numero e vo subito a scrivere il tuo nome in quella carta.

            Dopo di che egli lasciava l'Oratorio dove era stato circa tre anni con tanto piacere {108 [258]} per sè, con tanta edificazione de' suoi compagni e de' medesimi suoi superiori e lo lasciava per non ritornarvi mai più.

            Noi eravamo tutti maravigliati di quei suoi insoliti saluti. Sapevamo che egli pativa molti incomodi di salute, ma poichè si teneva quasi sempre fuori di letto non facevamo gran caso della sua malattia. Di più avendo un'aria costantemente allegra, niuno dal volto poteva scorgere, che egli patisse malori di corpo o di spirito. Onde sebbene quegli insoliti saluti ci avessero posti in afflizione, avevamo però speranza di vederlo presto a ritornare fra noi. Ma non era così, egli era maturo pel cielo; nel breve corso di vita erasì già guadagnata la mercede dei giusti, come se fosse vissuto a molto avanzata età, ed il Signore lo voleva sul fiore degli anni chiamare a se per liberarlo da' pericoli in cui spesso fanno naufragio anche le anime più buone. {109 [259]}

 

 

Capo XXIII. Andamento di sua malattia. - Ultima confessione, riceve il Viatico. - Fatti edificanti.

 

            Partiva il nostro Domenico da Torino il primo di marzo alle due pomeridiane in compagnia di suo padre, e il suo viaggio fu buono, anzi pareva che la vettura, la varietà de' paesi, la compagnia de' parenti gli avessero fatto del bene. Onde giunto a casa per quattro giorni non si pose a letto. Ma veduto che gli si diminuivano le forze e l'appetito, e che la tosse si mostrava ognor più forte fu giudicato bene di mandarlo a farsi visitare dal medico. Questi trovò il male assai più grave che non appariva. Comandò che andasse a casa e si mettesse tosto a letto e giudicando che fosse malattia d'infiammazione fece uso dei salassi.

            È proprio dell' età giovanile il provar grande apprensione pei salassi. Perciò il chirurgo nell'atto di cominciare l'operazione esortava Domenico alla pazienza ed al coraggio. Egli si pose a ridere e disse: {110 [260]} che è mai una piccola puntura in confronto dei chiodi piantati nelle mani e nei piedi dell'innocentissimo nostro Salvatore? Quindi con tutta pacatezza d'animo faceziando e senza dar segno del minimo turbamento mirava il sangue ad uscire dalle vene in tutto il tempo dell' operazione. Fatti alcuni salassi, la malattia sembrava volgere in meglio, cosi assicuravi il medico, cosi credevano i parenti: ma Domenico giudicava altrimenti. Guidate dal pensiero che e meglio prevenire i sacramenti, che perdere i sacramenti, chiamò suo padre: papà! gli disse, è bene che facciamo un consulto col Medico Celeste. Io desidero di confessarmi e di ricevere la santa comunione.

            I genitori che eziandio giudicavano la malattia in istato di miglioramento sentirono con pena tale proposta, e solo per compiacerlo fu mandato a chiamare il Prevosto, che lo venisse a confessare. Venne questi prontamente per la confessione, poscia, sempre per compiacerlo, gli portò il Santo Viatico. Ognuno può immaginarsi con quale divozione e raccoglimento siasi comunicato. Tutte le volte che nel corso della vita si accostava ai santi sacramenti {111 [261]} sembrava sempre un S. Luigi. Ora che egli giudicava essere realmente quella l'ultima comunione della sua vita, chi potrebbe esprimere il fervore, gli slanci di teneri affetti che da quell'innocente cuore uscirono verso l'amato suo Gesù!

            Richiamò allora alla memoria le promesse fatte nella prima comunione. Disse più volte: si, sì, o Gesù, o Maria, voi sarete ora e sempre gli amici dell'anima mia. Ripeto e lo dico mille volle: morire, ma non peccati. Terminato il ringraziamento, tutto tranquillo disse: Ora sono contento, è vero che debbo fare il lungo viaggio dell' eternità, ma con Gesù in mia compagnia ho nulla a temere. Oh! dite pur sempre, ditelo a tutti: chi ha Gesù per suo amico e compagno non teme più alcun male, nemmeno la morte.

            La sua pazienza fu esemplare in tutti gl'incomodi sofferti nel corso della vita; ma in questa ultima malattia egli apparve un vero modello di santità.

            Non voleva che alcuno lo aiutasse negli ordinarii bisogni. Finchè potrò, diceva, voglio diminuire il disturbo a' miei cari genitori; essi hanno già tollerati tanti incomodi e tante fatiche per me, potessi almeno in {112 [262]} qualche modo ricompensarli! Prendeva con indifferenza i rimedi anche i più disgustosi; si sottomise a dieci salassi senza dimostrare il minimo risentimento.

            Dopo quattro giorni di malattia il medico si rallegrò coll'infermo, e disse ai parenti: ringraziamo la divina Provvidenza, siamo a buon punto, il male è vinto, abbiamo soltanto bisogno di fare una giudiziosa convalescenza. Godevano di tali parole i buoni genitori. Domenico però si pose a ridere e soggiunse: il mondo e vinto, ho soltanto bisogno di fare una giudiziosa comparsa davanti a Dio. Partito il medico, senza lusingarsi di quanto eragli stato detto, chiese che gli fosse amministrato il sacramento dell'Olio Santo. Anche quivi i parenti accondiscesero per compiacerlo, perciocchè nè essi nè il prevosto scorgevano in lui alcun pericolo prossimo di morte, anzi la serenità del sembiante e la giovialità delle parole il facevano realmente giudicare in istato di miglioramento. Ma egli o fosse mosso da sentimenti di devozione, oppure fosse così inspirato da voce divina che gli parlasse al cuore, fatto sta che contava i giorni e le ore di vita come si calcolano colle operazioni dell' aritmetica, {113 [263]} ed ogni momento era da lui impiegato a prepararsi a comparire dinanzi a Dio. Prima di ricevere l'Olio Santo fece questa preghiera: Oh Signore, perdonate i miei peccati, io vi amo, vi voglio amare in eterno. Questo sacramento, che nella vostra infinita misericordia permettete che io riceva, scancelli dall'anima mia tutti i peccati commessi coll'udito, colla vista, colla bocca, colle mani o co' piedi, sia il mio corpo e l'anima mia santificata dai meriti della vostra passione: cosi sia.

            Egli rispondeva a ciascuna occorrenza, ma con tale chiarezza di voce e giustezza di concetti, che noi 1' avremmo detto in perfetto stato di salute.

            Eravamo al 9 di marzo, quarto di sua malattia, ultimo di sua vita. Gli erano già stati praticati dieci salassi con altri rimedii e le sue forze erano intieramente prostrate, perciò gli fu data la benedizione papale. Disse egli stesso il confìteor, rispondeva a quanto diceva il sacerdote. Quando senti a dirsi che con quell'alto religioso il Papa gli compartiva la benedizione apostolica coll'indulgenza plenaria, provò la più grande consolazione. Deo gratias andava dicendo, et semper Deo gratias. Quindi si volse al {114 [264]} crocifisso e recitò questi versi che gli erano molto famigliari nel corso della vita.

 

            Signor, la libertà tutta vi dono,

            Ecco le mie potenze, il corpo mio,

            Tutto vi do, che tutto è vostro, o Dio;

            E nel vostro voler io m' abbandono.

 

 

Capo XXIV. Suoi ultimi momenti e sua preziosa morte.

 

            È verità di fede che l'uomo raccoglie in punto di morte il frutto delle opere sue. Quae seminaverit homo, haec et metet. Se in vita sua ha seminato opere buone, egli raccoglierà in quegli ultimi momenti frutti di consolazione; se ha seminato opere cattive, allora raccoglierà desolazione sopra desolazione. Avviene però talvolta che anime buone dopo una santa vita provino terrore e spavento all'avvicinarsi l'ora della morte. Questo accade secondo gli adorabili decreti di Dio, che vuole purgare quelle anime dalle piccole macchie che forse hanno contratto in vita e così assicurare e rendere loro più bella la corona di gloria in cielo. Del nostro Savio non fu così. Io credo che {115 [265]} Iddio abbia voluto dargli tutto quel centuplo che alle anime dei giusti egli fa precedere alla gloria del paradiso. Difatto l'innocenza conservata fino all' ultimo momento di vita, la sua viva fede, le continue preghiere, le lunghe sue penitenze e la vita tutta seminata di tribolazioni gli meritarono certamente tal conforto in punto di morte.

            Egli adunque vedeva appressarsi la morte colla tranquillità dell'anima innocente, anzi sembrava che nemmeno il suo corpo provasse gli affanni e le oppressioni che sono inseparabili dagli sforzi che naturalmente l'anima deve fare nel rompere i legami del corpo. Insomma la morte del Savio si può chiamare piuttosto riposo, che morte.

            Era la sera del nove marzo, egli aveva già ricevuto tutti i conforti di nostra santa cattolica religione. Chi l'udiva soltanto a parlare e mirava la serenità del volto avrebbe in lui ravvisato chi giace a letto per riposo. L'aria allegra, gli sguardi tuttora vivaci, piena cognizione di se stesso, erano cose che facevano tutti maravigliare e ninno fuori di lui poteva persuadersi che egli si trovasse in punto di morte.

            Un'ora e mezzo prima che tramandasse {116 [266]} l'ultimo respiro il prevosto l'andò a visitare, e al vederne la tranquillità lo stava con istupore ascoltando a raccomandarsi l'anima. Egli faceva frequenti e prolungate giaculatorie, che tendevano tutte a manifestare il vivo di lui desiderio di andare presto al cielo. Quale cosa suggerire per raccomandar l'anima ad agonizzanti di questa fatta? Dopo aver recitato con lui alcune preghiere il parroco era per uscire, quando Savio lo chiamò dicendo: Signor prevosto, prima di partire mi lasci qualche ricordo. - Per me, rispose, non saprei più che ricordo lasciarti. - Qualche ricordo, che mi conforti. - Non saprei dirti altro se non che ti ricordi della passione del Signore. Deogratias, rispose, la passione di nostro Signor Gesù Cristo sia sempre nella mia mente, nella mia bocca, nel mio cuore. Gesù, Giuseppe e Maria assistetemi in questa ultima agonìa; Gesù Giuseppe e Maria spiri in pace con voi l'anima mia. Dopo tali parole si addormentò e prese mezz' ora di riposo. Indi svegliatosi volse uno sguardo a' suoi parenti: papà, disse, ci siamo.

            - Eccomi, figliuol mio, che ti abbisogna?

            - Mio caro papà, è tempo; prendete {117 [267]} il mio Giovine provveduto[5] e leggetemi le preghiere della buona morte.

            A queste parole la madre ruppe in pianto e si allontanò dalla camera dell'infermo. Al padre pure scoppiava il cuore di dolore, e le lagrime gli soffocavano le parole; tuttavia si fece coraggio e si mise a leggere quella preghiera. Egli ripeteva attentamente e distintamente ogni parola, ma in fine di ciascuna parte voleva dire da solo: Misericordioso Gesù, abbiate pietà di me. Giunto alle parole: Quando finalmente l'anima mia comparirà davanti a voi, e vedrà per la prima volta lo splendore immortale della vostra maestà; non la rigettate dal vostro cospetto; ma degnatevi di ricevermi nel seno amoroso della vostra misericordia, affinchè io canti eternamente le vostre lodi. Ebbene, soggiunse, questo è appunto quello che io desidero. Oh caro papà, cantare eternamente le lodi del Signore! Poscia parve prendere di nuovo {118 [268]} un po' di sonno a guisa di chi riflette profondamente a cosa di grande importanza. Di li a poco si risvegliò e con voce chiara e ridente: addio, caro papà, addio: il prevosto voleva ancora dirmi altro, ed io non posso più ricordarmi ... Oh! che bella cosa io vedo mai ... Così dicendo e ridendo con aria di paradiso spirò colle mani giunte innanzi al petto in forma di croce senza fare il minimo movimento. Va pure, anima fedele al tuo Creatore. Il cielo ti è aperto, gli angioli ed i santi ti hanno preparata una gran festa; quel Gesù che tanto amasti t' invita e ti chiama dicendo: Vieni, servo buono e fedele, vieni, tu hai combattuto, hai riportato vittoria, ora vieni al possesso di un gaudio che non ti mancherà mai più: intra in gaudium Domini tui.

 

 

Capo XXV. Annunzio di sua morte. Parole del prof. D. Picco a' suoi allievi.

 

            Quando il padre di Domenico il vide proferir parole nel modo che abbiamo riferito, e poi piegare il capo come per riposare, {119 [269]} pensavasi realmente che avesse di nuovo preso sonno. Lo lasciò alcuni istanti in quella posizione, ma testo volle chiamarlo, e si accorse ch'egli era già fatto cadavere. Lascio ad ognuno immaginare la desolazione de' genitori per la perdita di un figliuolo sì caro, di un figliuolo che alla innocenza, alla pietà univa i modi più graziosi e più atti a farsi amare!

            Noi pure quivi nella casa dell'Oratorio eravamo ansiosi di avere notizie di questo venerato amico e compagno, quando ricevo dal padre di lui una lettera che incominciava così: Colle lacrime agli occhi le annunzio la più trista novella: il mio caro figliuolo Domenico, di lei discepolo, qual candido giglio, qual Luigi Gonzaga, rese l'anima al Signore ieri sera 9 del corrente mese di marzo dopo di aver nel modo più consolante ricevuto i santi sacramenti e la benedizione papale.

            Tal notizia pose in costernazione i suoi compagni. Chi piangeva in lui la perdita di un amico, di un consigliere fedele; chi sospirava d'aver perduto un modello di vera pietà. Alcuni si radunarono a pregare pel riposo dell'anima di lui. Ma il maggior numero andavano dicendo: egli era {120 [270]} santo, ora è già in paradiso. Altri cominciarono a raccomandarsi a lui come ad un protettore presso Dio. Tutti poi andarono a gara per avere qualche oggetto che avesse appartenuto a lui.

            Recata tale notizia al prof. D. Picco, ne fu profondamente addolorato. Come furono radunati i suoi alunni tutto commosso partecipava loro tale tristo annunzio con queste parole:

            «Non è molto tempo, o giovani carissimi, che parlandovi a caso della caducità della vita umana, vi faceva osservare come la morte non risparmia talvolta anche la vostra florida età, e per esempio vi adduceva, come or sono due anni, in questi medesimi giorni frequentava questa medesima scuola, sedeva qui presente ad ascoltarmi un giovane pieno di vita e di vigore, il quale dopo l'assenza di pochi giorni passava da questa vita dai parenti e dagli amici compianto[6]. Quando tal deplorabile caso io vi rammentava era ben lungi dal pensare che il presente anno {121 [271]} avesse ad essere funestato da un somigliante duolo, e che tale esempio si avesse a rinnovare si presto in uno di quelli stessi che mi ascoltavano. Sì, miei cari; io debbo amareggiarvi con una dolorosa nuova. La falce della morte mieteva ieri l' altro la vita di uno tra i più virtuosi vostri compagni, del buon giovinetto Domenico Savio. Voi forse vi ricorderete, come negli ultimi giorni, in cui frequentò la scuola, si mostrasse tormentato da una tosse maligna, che già mi faceva presagire una seria malattia, onde nessuno di noi si stupì quando udimmo, che era stato da quella obbligato ad assentarsi dalla scuola. Per meglio curare il suo morbo, e già prevedendo, come replicatamente disse ad alcuni, il suo prossimo fine, egli secondò il consiglio de' medici e de' suoi superiori e andò in seno della famiglia. Quivi la violenza del male si sviluppò oltremodo e dopo soli quattro giorni di malattia reso l'innocente suo spirito al Creatore.

            Io lessi ieri la lettera, con cui il desolato genitore dava la dolorosa nuova, e questa nella sua semplicità faceva tale pittura della santa morte di quell' angolo, che mi commosse fino alle lacrime. Egli {122 [272]} non trova espressioni più acconcie a lodare l'amato suo figliuolo che col chiamarlo un altro S. Luigi Gonzaga, sì nella santità della vita come nella beata rassegnazione della morte. Io vi assicuro che assai mi duole, che egli abbia frequentato si poco la mia scuola, e che in questo breve tempo la sua poca sanità non mi abbia permesso di conoscerlo e praticarlo più che si può fare in una scuola alquanto numerosa. Perciò io lascio a' suoi superiori il dirvi quale fosse la santità dei suoi sentimenti, quale il suo fervore nella divozione e nella pietà, lascio a' suoi compagni ed amici, che quotidianamente lo avevano seco e con lui domesticamente conversavano, il dirvi la modestia de' suoi costumi e di ogni suo portamento, la severità de' suoi discorsi; lascio a' suoi parenti il dirvi quale fosse la sua obbedienza, il suo rispetto, la sua docilità. E che potrò io ricordarvi che a tutti voi non sia già noto? Io altro non dirò se non che sempre si rese commendevole pel suo contegno e per la sua tranquillità nella scuola, per la sua diligenza ed esattezza nell'adempimento di ogni suo dovere, e per la sua continua attenzione a' miei insegnamenti, che io sarei {123 [273]} beato se ognuno di voi si proponesse di seguirne il santo esempio.

            Prima ancora che l'età e gli stadi gli permettessero di frequentare la nostra scuola, essendo egli da tre anni annoverato tra quelli che hanno ricetto ed istruzione presso l'Oratorio di S. Francesco di Sales, io ne aveva più volte udito a fare parola dal direttore di quell'Oratorio, e lo aveva udito ad encomiare come uno tra i più studiosi e virtuosi giovani di quella casa; tale era il suo ardore nello studio, tale il rapido progresso che aveva fatto nelle primo scuole di latinità; onde sommo era il mio desiderio di porlo nel numero de' miei allievi e grande era l'aspettazione che io aveva della felicità del suo ingegno. E prima di averlo in iscuola già l'aveva annunziato ad alcuno de' miei allievi come un emulo con cui bello sarebbe il gareggiare non meno nello studio che nella virtù. E nelle frequenti mie visite all'Oratorio scorgendo in lui una fisonomia sì dolce, quale voi sapete essere stata la sua, scorgendo quel suo sguardo sì innocenta, mai nol vedeva che non mi sentissi tratto ad amarlo e ad ammirarlo. Alle belle speranze, che io ne aveva concepite, certamente egli non {124 [274]} venne meno allorchè nel presente anno scolastico prese a frequentare la mia scuola. A voi mi appello, giovani dilettissimi, che siete stati testimonii del suo raccoglimento e della sua applicazione non solamente nel tempo che il dovere lo chiamava ad ascoltarmi, ma in quello eziandio, il quale per lo più non si fanno scrupolo di perdere molti giovanetti che non sono privi di docilità e diligenza. A voi mi appello, che gli eravate compagni non solo nella scuola, ma pur anche negli usi domestici della vita, se mai lo avete veduto a far cosa che lo mostrasse dimentico di alcuno de' suoi doveri.

            Parmi ancora di vederlo, quando con quella modestia, che era tutta sua propria, entrava nella scuola, prendeva il suo luogo e in tutto il tempo dell'ingresso lungi dal vano cicaleccio consueto dei giovani della sua età, ripeteva la sua lezione, scriveva annotazioni, oppure si tratteneva in qualche utile lettura; e quindi cominciata la scuola con quale applicazione io vedeva quel suo angelico volto pendere dalle mie parole! Eppercio non fa maraviglia se non ostante la sua tenera età e la sua poca salute fosse grandissimo il profitto {125 [275]} che col suo ingegno dagli studi ricavava. E prova ne sia che in un considerevole numero di giovani, la maggior parte di più che mediocre ingegno, benchè già covasse in seno la malattia, che alfine lo trasse alla tomba, e fosse perciò obbligato a frequenti assenze, tuttavia egli tenne quasi sempre i primi posti della sua classe. Ma una cosa destava in modo affatto particolare la mia attenzione, e traeva a sè la mia ammirazione, ed era il vedere, come quella giovanetta sua mente si mostrasse unita con Dio, ed affettuosa e fervida nelle preghiere. Ella è cosa consueta anche nei giovani meno dissipati, che tratti dalla naturale vivacità e dalle distrazioni, a cui va soggetta questa fervida vostra età, pochissima riflessione facciano al senso delle orazioni, cui sono invitati a recitare e quasi con nessuno affetto del cuore li accompagnino. Onde avviene che in gran parte di essi niente altro vi ha che le labbra e la voce. Ora se così abituale è la distrazione della gioventù anche nelle preghiere che indirizzano al Signore nel silenzio e nella tranquillità delle chiese, oppure nella solitudine delle proprie celle, nelle quotidiane orazioni, voi, o giovani, {126 [276]} lo sapete quanto questo avvenga più facilmente in quelle brevissime preghiere che sogliono dirsi prima e dopo le lezioni della scuola. Ed è appunto in queste che mi fu dato di ammirare il fervore del nostro Domenico alla pietà, e 1' unione dell' anima sua con Dio. Quante volte io l'osservai con quel suo sguardo rivolto al cielo, al cielo che sì presto doveva essere la sua dimora, raccogliere tutti i suoi sentimenti, e con quell'atto offrirli al Signore ed alla Beatissima sua madre, con quella pienezza di affetti, che appunto richiedono le recitate preghiere! E questi sentimenti, o amatissimi giovani, erano poi quelli, che animavano i suoi pensieri nel compiere ogni suo dovere, erano quelli, che ogni suo atto, ogni sua parola santificavano, che tutta la sua vita interamente dirigevano alla gloria di Dio. O beati quei giovani che a tali concetti s'inspirano! Faranno la loro felicità in questa vita e nell'altra, e beati renderanno i parenti, che li educano, i maestri, che li istruiscono, tutte le persone che si occupano del loro bene.

            Dilettissimi giovani, la vita è un dono preziosissimo, che Iddio ci fece, per darci il mezzo di acquistarci dei meriti pel cielo, {127 [277]} e cosi sarà se tutto quello che noi facciamo è tale, che offerirsi possa a quel supremo Donatore, come appunto faceva il nostro Domenico. Ma che direm noi di quel giovane, che passa tutta intera la vita dimentico affatto del fine a cui Dio lo ha destinato, che mai non trova un momento, in cui pensi a dedicare i suoi affetti al Creatore, che pel suo cuore non dà mai luogo ad alcuna aspirazione che lo sollevi verso il suo Dio? Inoltre che diremo di quel giovane che fa quanto sta in lui per tenere da sè lontani simili sentimenti, o per combatterli e soffocarli, se li sente vicini a penetrare nel suo cuore? Deh riflettete alquanto sulla santa vita e sul santo fine del carissimo vostro compagno sulla invidiabile sorte, di cui possiamo avere fiducia che egli goda; e quindi ritornando col pensiero su di voi stessi esaminate che cosa ancora vi manchi per somigliargli e quali voi essere vorreste, se al par di lui vi trovaste sul punto di dovervi presentare a quel tribunale ove Dio chiederà a tutti stretto conto di ogni più leggiero mancamento. Quindi se a tale confronto voi ritrovate che grande sia la differenza, proponetevelo per esempio, imitatene le cristiane virtù, disponete l'anima vostra ad essere come {128 [278]} la sua, pura e monda agli occhi di Dio, acciocchè all'improvvisa chiamata, la quale immancabilmente o tosto o tardi dovrà udirsi da tutti noi, le possiamo rispondere coll'ilarità sul volto, col sorriso sulle labbra, come fece l'angelico vostro condiscepolo. Ascoltate ancora un mio voto, con cui io conchiudo queste mie parole. Se io mi accorgerò che i miei allievi diano luogo nella loro condotta ad un notevole miglioramento, se li vedrò d'or innanzi più esalti nei loro doveri, e più compresi dell'importanza di una vera pietà, lo crederò effetto del santo esempio del nostro Domenico e lo riguarderò quale grazia di lassù impetrata dalle sue preghiere in premio di essergli stati per breve tempo voi compagni ed io maestro.»

            Così il professore D. Picco esponeva ai suoi allievi la profonda e dolorosa sensazione provata all'annunzio della morte del caro suo alunno Savio Domenico. {129 [279]}

 

 

Capo XXVI. Emulazione per le virtù del Savio - Molti si raccomandano a lui per ottenere celesti fàvori e ne sono esauditi - Un ricordo per tutti.

 

            Chiunque ha letto le cose che abbiamo scritto intorno al giovinetto Savio Domenico, non si maraviglierà che Dio siasi degnato di favorirlo di doni speciali, facendo risplendere le virtù di lui in molte guise. Mentre egli ancora viveva, molti si davano sollecitudine per seguirne i consigli, gli esempì ed imitarne le virtù; molti anche mossi dalla specchiata condotta, dalla santità della vita, dall'innocenza de' suoi costumi, si raccomandavano alle sue preghiere. E si raccontano non poche grazie ottenute per le preghiere fatte a Dio dal giovane Savio mentre egli era ancora nella vita mortale. Ma dopo morte crebbe assai verso di lui la confidenza e la venerazione.

            Appena giunse tra di noi la notizia di sua morte, parecchi suoi compagni lo andavano proclamando per santo. Si radunarono {130 [280]} essi per recitare le Litanie per un defunto; ma invece di rispondere ora prò eo, cioè Santa Maria, pregate pel riposo dell'anima di lui, non pochi rispondeano: ora pro nobis: Santa Maria, pregate per noi. Perchè, dicevano, a quest'ora Savio gode già la gloria del Paradiso, e non ha più bisogno delle nostre preghiere.

            Altri poi soggiungevano; se non è andato direttamente al Paradiso Domenico Savio che tenne una vita così pura e cosi santa, chi potrà mai dirsi che ci possa andare? Laonde fin d'allora diversi amici e compagni, che ammirarono le sue virtù in vita, studiavano di farselo modello nel bene operare e cominciarono a raccomandarsi a lui come a celeste protettore.

            Quivi ogni giorno si raccontavano grazie ricevute ora pel corpo ora per l'anima. Io ho veduto un giovane che pativa un mal di dente che lo faceva smaniare. Raccomandatosi al suo compagno Savio con breve preghiera, ebbe calma sull'istante, e finora non andò più soggetto a questo desolante malore. Molti si raccomandarono per essere liberati dalle febbri e ne furono esauditi. Io fui testimonio di uno che istantaneamente ottenne la grazia di essere {131 [281]} liberato di gagliarda febbre[7]. Ho sott'occhio molte relazioni di persone che espongono celesti favori da Dio ottenuti per intercessione del Savio. Ma sebbene il carattere e l'autorità delle persone che depongono tali fatti siano per ogni lato {132 [282]} degne di fede, tuttavia essendo esse ancora viventi, stimo meglio di ommetterli per ora e contentarmi di riferire, una grazia speciale ottenuta pochi giorni sono da uno studente di filosofia, compagno di scuola di Domenico. L'anno passato questo giovane incontrò gravi incomodi di salute. La sua sanità fu così alterata che dovette interrompere il corso di filosofia, soggettarsi a molte cure, e in fine dell'anno non gli fu più possibile di subire l'esame. Stavagli molto a cuore di potersi almeno preparare per l'esame di Tutti i Santi, perciocchè in tal guisa avrebbe impedito la perdita di un anno di studio. Ma, aumentandosi i suoi incomodi, le sue speranze andavano ognor più scemande. Andò a passare il tempo autunnale ora coi parenti in patria, ora {133 [283]} con amici in campagna, e già parevagli di avere alquanto migliorato nella sanità. Ma giunto in Torino e postosi per poco tempo a studiare egli ricadde peggio di prima. «Io era vicino agli esami, egli depone, e la mia salute trovavasi in deplorabile stato. I malori di stomaco e di capo mi toglievano ogni speranza di poter subire il desiderato esame, che per me era cosa della massima importanza. Animato da quanto udiva raccontare del mio amato compagno Domenico, volli anch'io a lui raccomandarmi facendo a Dio una novena in onore di questo mio collega. Fra le preghiere che mi era prefisso di fare era questa: Caro compagno, tu che a somma mia consolazione e fortuna mi fosti condiscepolo più di un anno, tu che santamente meco gareggiavi per primeggiare nella nostra classe, tu sai quanto io abbia bisogno di subire il mio esame. Impetrami adunque, ti prego, dal Signore un po' di salute, affinchè io mi possa preparare.

            Non era ancora compiuto il quinto giorno della novena, quando la mia salute cominciò a fare così notevole e rapido miglioramento, che tosto potei mettermi a studiare e con insolita facilità imparare le materie {134 [284]} prescritte e prendere benissimo il desiderato esame. La grazia poi non fu di un momento: imperciocchè attualmente io mi trovo in uno stato regolare di salute, che da oltre un anno non ho più goduto. Riconosco questa grazia ottenuta da Dio per intercessione di questo mio compagno, mio familiare in vita, mio aiuto e conforto ora che gode la gloria del cielo. Sono oltre due mesi che tale grazie fu ottenuta, e la mia sanità continua ad essere la medesima con grande mia consolazione e vantaggio.»

            Con questo fatto io pongo termine alla vita del giovane Savio, riservandomi a stampare altri fatti quando il tempo farà conoscere che possano tornare a maggior gloria di Dio e vantaggio delle anime. Ora, o amico lettore, giacchè fosti benevolo di leggero quanto fu scritto di questo virtuoso giovanetto, vorrei che venissi meco ad una conclusione che possa apportar vera utilità a me, a te e a tutti quelli cui accadrà di leggere questo libretto; vorrei cioè che ci adoperassimo con animo risoluto ad imitare il giovane Savio in quelle virtù che sono compatibili col nostro stato. Nella povera sua condizione egli visse una vita la più lieta, virtuosa ed innocente, cui fu {135 [285]} corona una santa morte. Imitiamolo nel modo di vivere ed avremo non dubbia caparra di essergli simile nella preziosa morte.

            Ma non manchiamo d'imitare il Savio nella frequenza del Sacramento della confessione che fu il suo sostegno nella pratica costante della virtù, e fu guida sicura che lo condusse ad un termine di vita cotanto glorioso. Accostiamoci con frequenza e colle dovute disposizioni a questo bagno di salute nel corso della vita; ma tutte le volte che ci accosteremo al medesimo non manchiamo di volger un pensiero sulle confessioni passate per assicurarci che siano state ben fatte, e se ne scorgiam il bisogno, rimediamo ai difetti che per avventura ci fossero occorsi. A me sembra che questo sia il mezzo più sicuro per vivere giorni felici in mezzo alle afflizioni della vita, in fine della quale vedremo anche noi con calma avvicinarsi il momento della morte. E allora colla ilarità sul volto, colla pace nel cuore andremo incontro al nostro Signore Gesù Cristo, che benigno ci accoglierà per giudicarci secondo la sua grande misericordia e condurci siccome spero per me e per te, o lettore, dalle tribolazioni della vita alla beata eternità per lodarlo e benedirlo per tutti i secoli. Cosi sia. {136 [286]}

 

 

Protestatio auctoris.

 

            Cum SS. D. N. Urbanus VIII. l'ontifex die 13 martii 1625 decretum ediderit, illudque die 15 julii 1634 confirmaverit, quo prohibuit imprimi libros hominum, qui sanctitatis vel martyrii fama celebres e vita migraverint, gesta, miracula, revelationes, seu quæumque beneficia, tanquam eorum intercessionibus a Deo accepia continentes, sine recognitione atque approbatione Ordinarii, et quae hactenus sine ea impressa sunt, nullo modo vult censeri approbata; et cum idem SS. D. N. Urbanus Papa VIII {137 [287]} die 5 junii anno 1641 ila explicaverit, ut nimirum non admittantur elogia Sancti, vel Beati absolute, et quæ ad viros spectant tantummodo; sed ea, quæ ad mores et opiniones spectant cum protestatione, iis nullam adesse auctoritatem ab Ecclesia Romana; sed fidem tantum esse penes Auctorem: huic decreto, eiusque confìrmationi et declarationi observantia ed reverentia, qua par est, insistendo, profiteor me haud alio sensu, quidquid in hoc parvo volumine refero, accipere aut accipi ab ullo velle, quam quo ea solent, quæ humana dumtaxat auctoritate, non autem divina catholicæ Romana; Ecclesiæ, aut Sanctæ Sedis Apostolicæ nituntur. {138 [288]}


14-8 Marzo 1, 1922 Come Gesù resta incatenato dall’anima che fa la sua Volontà, e l’anima da Gesù.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo molto afflitta per la privazione del mio dolce Gesù; onde, dopo molto stentare è venuto, e dalle sue piaghe faceva scorrere il suo sangue sul mio petto, intorno al mio collo, e come cadevano su di me quelle gocce di sangue, si formavano come tanti rubini fulgidissimi, che formavano il più bello degli ornamenti, e Gesù mi guardava e mi ha detto:

(2) “Figlia mia, come ti sta bene la collana del mio sangue, come ti abbellisce, guarda, guarda tu stessa come ti fa parer bella”.

(3) Ed io, un po’ corrucciata perché mi aveva fatto tanto aspettare nel venire, ho detto:

(4) “Amor mio e vita mia, oh! quanto amerei per collana un tuo braccio stretto al mio collo; questo sì mi farebbe piacere, perché sentirei la vita e mi attaccherei tanto, che non ti farei più fuggire. Le cose tue, è vero, sono belle, ma quando le distacchi da Te, io non trovo Te, non trovo la vita, e ad onta delle cose tue il mio cuore delira, smania, sanguina per dolore, perché Tu non sei con me. Ah! se sapessi in che tortura mi metti quando non vieni, ti guarderesti bene di farmi tanto aspettare”.

(5) E Gesù tutto intenerito ha circondato il mio collo col suo braccio, prendendomi una mano nella sua, ed ha soggiunto:

(6) “Lo so, lo so quanto soffri, ed a contentarti ecco il mio braccio come collana intorno al tuo collo, non ne sei ora contenta? Sappi che chi fa la mia Volontà, non posso farne a meno di contentarla, perché come respira così forma l’aria del mio Volere intorno a Me, in modo che non solo mi cinge il collo, ma tutta la vita, Io resto come incatenato ed inceppato dall’anima nella stessa fortezza della mia Volontà, ma questo lungi dal dispiacermi, anzi per il gran contento che ne provo, inceppo ed incateno lei, e se tu non sai stare senza di Me, sono le mie catene, i miei ceppi che ti tengono tanto stretta, che basta un momento senza di Me che ti danno un martirio dei più dolorosi, che non c’è l’eguale. Povera figlia, povera figlia, hai ragione; Io terrò conto di tutto, ma non ti lascio, anzi mi chiudo in te per godermi l’aria del mio Volere che mi formi tu stessa, perché, aria della mia Volontà è il tuo palpito, il tuo pensiero, il tuo desiderio, il tuo moto, ed Io in quest’aria troverò il mio poggio, la mia difesa ed il più bel riposo sul tuo petto”.