Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

La Vergine Maria, dopo che il figlio suo Gesù fu deposto nel sepolcro, mai se ne allontanò, ma restò sempre lì a vegliare in lacrime, finché per prima lo vide risorgere: per questo i fedeli festeggiano in suo onore il giorno di sabato. (Sant'Antonio di Padova)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 26° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 13

1Prima della festa di Pasqua Gesù, sapendo che era giunta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, dopo aver amato i suoi che erano nel mondo, li amò sino alla fine.2Mentre cenavano, quando già il diavolo aveva messo in cuore a Giuda Iscariota, figlio di Simone, di tradirlo,3Gesù sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani e che era venuto da Dio e a Dio ritornava,4si alzò da tavola, depose le vesti e, preso un asciugatoio, se lo cinse attorno alla vita.5Poi versò dell'acqua nel catino e cominciò a lavare i piedi dei discepoli e ad asciugarli con l'asciugatoio di cui si era cinto.6Venne dunque da Simon Pietro e questi gli disse: "Signore, tu lavi i piedi a me?".7Rispose Gesù: "Quello che io faccio, tu ora non lo capisci, ma lo capirai dopo".8Gli disse Simon Pietro: "Non mi laverai mai i piedi!". Gli rispose Gesù: "Se non ti laverò, non avrai parte con me".9Gli disse Simon Pietro: "Signore, non solo i piedi, ma anche le mani e il capo!".10Soggiunse Gesù: "Chi ha fatto il bagno, non ha bisogno di lavarsi se non i piedi ed è tutto mondo; e voi siete mondi, ma non tutti".11Sapeva infatti chi lo tradiva; per questo disse: "Non tutti siete mondi".
12Quando dunque ebbe lavato loro i piedi e riprese le vesti, sedette di nuovo e disse loro: "Sapete ciò che vi ho fatto?13Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono.14Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i vostri piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri.15Vi ho dato infatti l'esempio, perché come ho fatto io, facciate anche voi.16In verità, in verità vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un apostolo è più grande di chi lo ha mandato.17Sapendo queste cose, sarete beati se le metterete in pratica.18Non parlo di tutti voi; io conosco quelli che ho scelto; ma si deve adempiere la Scrittura: 'Colui che mangia il pane con me, ha levato contro di me il suo calcagno'.19Ve lo dico fin d'ora, prima che accada, perché, quando sarà avvenuto, crediate che Io Sono.20In verità, in verità vi dico: Chi accoglie colui che io manderò, accoglie me; chi accoglie me, accoglie colui che mi ha mandato".
21Dette queste cose, Gesù si commosse profondamente e dichiarò: "In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà".22I discepoli si guardarono gli uni gli altri, non sapendo di chi parlasse.23Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola al fianco di Gesù.24Simon Pietro gli fece un cenno e gli disse: "Di', chi è colui a cui si riferisce?".25Ed egli reclinandosi così sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?".26Rispose allora Gesù: "È colui per il quale intingerò un boccone e glielo darò". E intinto il boccone, lo prese e lo diede a Giuda Iscariota, figlio di Simone.27E allora, dopo quel boccone, satana entrò in lui. Gesù quindi gli disse: "Quello che devi fare fallo al più presto".28Nessuno dei commensali capì perché gli aveva detto questo;29alcuni infatti pensavano che, tenendo Giuda la cassa, Gesù gli avesse detto: "Compra quello che ci occorre per la festa", oppure che dovesse dare qualche cosa ai poveri.30Preso il boccone, egli subito uscì. Ed era notte.

31Quand'egli fu uscito, Gesù disse: "Ora il Figlio dell'uomo è stato glorificato, e anche Dio è stato glorificato in lui.32Se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà da parte sua e lo glorificherà subito.33Figlioli, ancora per poco sono con voi; voi mi cercherete, ma come ho già detto ai Giudei, lo dico ora anche a voi: dove vado io voi non potete venire.34Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri; come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri.35Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri".
36Simon Pietro gli dice: "Signore, dove vai?". Gli rispose Gesù: "Dove io vado per ora tu non puoi seguirmi; mi seguirai più tardi".37Pietro disse: "Signore, perché non posso seguirti ora? Darò la mia vita per te!".38Rispose Gesù: "Darai la tua vita per me? In verità, in verità ti dico: non canterà il gallo, prima che tu non m'abbia rinnegato tre volte".


Genesi 32

1Alla mattina per tempo Làbano si alzò, baciò i figli e le figlie e li benedisse. Poi partì e ritornò a casa.
2Mentre Giacobbe continuava il viaggio, gli si fecero incontro gli angeli di Dio.3Giacobbe al vederli disse: "Questo è l'accampamento di Dio" e chiamò quel luogo Macanaim.
4Poi Giacobbe mandò avanti a sé alcuni messaggeri al fratello Esaù, nel paese di Seir, la campagna di Edom.5Diede loro questo comando: "Direte al mio signore Esaù: Dice il tuo servo Giacobbe: Sono stato forestiero presso Làbano e vi sono restato fino ad ora.6Sono venuto in possesso di buoi, asini e greggi, di schiavi e schiave. Ho mandato ad informarne il mio signore, per trovare grazia ai suoi occhi".7I messaggeri tornarono da Giacobbe, dicendo: "Siamo stati da tuo fratello Esaù; ora egli stesso sta venendoti incontro e ha con sé quattrocento uomini".8Giacobbe si spaventò molto e si sentì angosciato; allora divise in due accampamenti la gente che era con lui, il gregge, gli armenti e i cammelli.9Pensò infatti: "Se Esaù raggiunge un accampamento e lo batte, l'altro accampamento si salverà".10Poi Giacobbe disse: "Dio del mio padre Abramo e Dio del mio padre Isacco, Signore, che mi hai detto: Ritorna al tuo paese, nella tua patria e io ti farò del bene,11io sono indegno di tutta la benevolenza e di tutta la fedeltà che hai usato verso il tuo servo. Con il mio bastone soltanto avevo passato questo Giordano e ora sono divenuto tale da formare due accampamenti.12Salvami dalla mano del mio fratello Esaù, perché io ho paura di lui: egli non arrivi e colpisca me e tutti, madre e bambini!13Eppure tu hai detto: Ti farò del bene e renderò la tua discendenza come la sabbia del mare, tanto numerosa che non si può contare".14Giacobbe rimase in quel luogo a passare la notte. Poi prese, di ciò che gli capitava tra mano, di che fare un dono al fratello Esaù:15duecento capre e venti capri, duecento pecore e venti montoni,16trenta cammelle allattanti con i loro piccoli, quaranta giovenche e dieci torelli, venti asine e dieci asinelli.17Egli affidò ai suoi servi i singoli branchi separatamente e disse loro: "Passate davanti a me e lasciate un certo spazio tra un branco e l'altro".18Diede questo ordine al primo: "Quando ti incontrerà Esaù, mio fratello, e ti domanderà: Di chi sei tu? Dove vai? Di chi sono questi animali che ti camminano davanti?,19tu risponderai: Del tuo fratello Giacobbe: è un dono inviato al mio signore Esaù; ecco egli stesso ci segue".20Lo stesso ordine diede anche al secondo e anche al terzo e a quanti seguivano i branchi: "Queste parole voi rivolgerete ad Esaù quando lo troverete;21gli direte: Anche il tuo servo Giacobbe ci segue". Pensava infatti: "Lo placherò con il dono che mi precede e in seguito mi presenterò a lui; forse mi accoglierà con benevolenza".22Così il dono passò prima di lui, mentr'egli trascorse quella notte nell'accampamento.
23Durante quella notte egli si alzò, prese le due mogli, le due schiave, i suoi undici figli e passò il guado dello Iabbok.24Li prese, fece loro passare il torrente e fece passare anche tutti i suoi averi.25Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino allo spuntare dell'aurora.26Vedendo che non riusciva a vincerlo, lo colpì all'articolazione del femore e l'articolazione del femore di Giacobbe si slogò, mentre continuava a lottare con lui.27Quegli disse: "Lasciami andare, perché è spuntata l'aurora". Giacobbe rispose: "Non ti lascerò, se non mi avrai benedetto!".28Gli domandò: "Come ti chiami?". Rispose: "Giacobbe".29Riprese: "Non ti chiamerai più Giacobbe, ma Israele, perché hai combattuto con Dio e con gli uomini e hai vinto!".30Giacobbe allora gli chiese: "Dimmi il tuo nome". Gli rispose: "Perché mi chiedi il nome?". E qui lo benedisse.31Allora Giacobbe chiamò quel luogo Penuel "Perché - disse - ho visto Dio faccia a faccia, eppure la mia vita è rimasta salva".32Spuntava il sole, quando Giacobbe passò Penuel e zoppicava all'anca.33Per questo gli Israeliti, fino ad oggi, non mangiano il nervo sciatico, che è sopra l'articolazione del femore, perché quegli aveva colpito l'articolazione del femore di Giacobbe nel nervo sciatico.


Salmi 80

1'Al maestro del coro. Su "Giglio del precetto". Di Asaf. Salmo'.
2Tu, pastore d'Israele, ascolta,
tu che guidi Giuseppe come un gregge.
Assiso sui cherubini rifulgi
3davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse.
Risveglia la tua potenza
e vieni in nostro soccorso.

4Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

5Signore, Dio degli eserciti,
fino a quando fremerai di sdegno
contro le preghiere del tuo popolo?

6Tu ci nutri con pane di lacrime,
ci fai bere lacrime in abbondanza.
7Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini,
e i nostri nemici ridono di noi.

8Rialzaci, Dio degli eserciti,
fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi.

9Hai divelto una vite dall'Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
10Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
11La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
12Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.

13Perché hai abbattuto la sua cinta
e ogni viandante ne fa vendemmia?
14La devasta il cinghiale del bosco
e se ne pasce l'animale selvatico.

15Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
16proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato.
17Quelli che l'arsero col fuoco e la recisero,
periranno alla minaccia del tuo volto.
18Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
19Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome.

20Rialzaci, Signore, Dio degli eserciti,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.


Salmi 25

1'Di Davide'.

Alef. A te, Signore, elevo l'anima mia,
2Bet. Dio mio, in te confido: non sia confuso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
3Ghimel. Chiunque spera in te non resti deluso,
sia confuso chi tradisce per un nulla.

4Dalet. Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
5He. Guidami nella tua verità e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza,
Vau. in te ho sempre sperato.
6Zain. Ricordati, Signore, del tuo amore,
della tua fedeltà che è da sempre.
7Het. Non ricordare i peccati della mia giovinezza:
ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

8Tet. Buono e retto è il Signore,
la via giusta addita ai peccatori;
9Iod. guida gli umili secondo giustizia,
insegna ai poveri le sue vie.

10Caf. Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
11Lamed. Per il tuo nome, Signore,
perdona il mio peccato anche se grande.

12Mem. Chi è l'uomo che teme Dio?
Gli indica il cammino da seguire.
13Nun. Egli vivrà nella ricchezza,
la sua discendenza possederà la terra.

14Samech. Il Signore si rivela a chi lo teme,
gli fa conoscere la sua alleanza.
15Ain. Tengo i miei occhi rivolti al Signore,
perché libera dal laccio il mio piede.

16Pe. Volgiti a me e abbi misericordia,
perché sono solo ed infelice.
17Zade. Allevia le angosce del mio cuore,
liberami dagli affanni.

18Vedi la mia miseria e la mia pena
e perdona tutti i miei peccati.
19Res. Guarda i miei nemici: sono molti
e mi detestano con odio violento.

20Sin. Proteggimi, dammi salvezza;
al tuo riparo io non sia deluso.
21Tau. Mi proteggano integrità e rettitudine,
perché in te ho sperato.
22Pe. O Dio, libera Israele
da tutte le sue angosce.


Geremia 35

1Questa parola fu rivolta a Geremia dal Signore nei giorni di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda:2"Va' dai Recabiti e parla loro, conducili in una delle stanze nel tempio del Signore e offri loro vino da bere".3Io allora presi Iazanià figlio di Geremia, figlio di Cabassinià, i suoi fratelli e tutti i suoi figli, cioè tutta la famiglia dei Recabiti.4Li condussi nel tempio del Signore, nella stanza dei figli di Canàn figlio di Iegdalià, uomo di Dio, la quale si trova vicino alla stanza dei capi, sopra la stanza di Maasià figlio di Sallùm, custode di servizio alla soglia.5Posi davanti ai membri della famiglia dei Recabiti boccali pieni di vino e delle coppe e dissi loro: "Bevete il vino!".6Essi risposero: "Noi non beviamo vino, perché Ionadàb figlio di Recàb, nostro antenato, ci diede quest'ordine: Non berrete vino, né voi né i vostri figli, mai;7non costruirete case, non seminerete sementi, non pianterete vigne e non ne possederete alcuna, ma abiterete nelle tende tutti i vostri giorni, perché possiate vivere a lungo sulla terra, dove vivete come forestieri.8Noi abbiamo obbedito agli ordini di Ionadàb figlio di Recàb, nostro antenato, riguardo a quanto ci ha comandato, così che noi, le nostre mogli, i nostri figli e le nostre figlie, non beviamo vino per tutta la nostra vita;9non costruiamo case da abitare né possediamo vigne o campi o sementi.10Noi abitiamo nelle tende, obbediamo e facciamo quanto ci ha comandato Ionadàb nostro antenato.11Quando Nabucodònosor re di Babilonia è venuto contro il paese, ci siamo detti: Venite, entriamo in Gerusalemme per sfuggire all'esercito dei Caldei e all'esercito degli Aramei. Così siam venuti ad abitare in Gerusalemme".
12Allora questa parola del Signore fu rivolta a Geremia:13 "Così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Va' e riferisci agli uomini di Giuda e agli abitanti di Gerusalemme: Non accetterete la lezione, ascoltando le mie parole? Oracolo del Signore.14Sono state messe in pratica le parole di Ionadàb figlio di Recàb, il quale aveva comandato ai suoi figli di non bere vino. Essi infatti non lo hanno bevuto fino a oggi, perché hanno obbedito al comando del loro padre. Io vi ho parlato con continua premura, ma voi non mi avete ascoltato!15Vi ho inviato tutti i miei servi, i profeti, con viva sollecitudine per dirvi: Abbandonate ciascuno la vostra condotta perversa, emendate le vostre azioni e non seguite altri dèi per servirli, per poter abitare nel paese che ho concesso a voi e ai vostri padri, ma voi non avete prestato orecchio e non mi avete dato retta.16Così i figli di Ionadàb figlio di Recàb hanno eseguito il comando che il loro padre aveva dato loro; questo popolo, invece, non mi ha ascoltato.17Perciò dice il Signore, Dio degli eserciti e Dio di Israele: Ecco, io manderò su Giuda e su tutti gli abitanti di Gerusalemme tutto il male che ho annunziato contro di essi, perché ho parlato loro e non mi hanno ascoltato, li ho chiamati e non hanno risposto".
18Geremia riferì alla famiglia dei Recabiti: "Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Poiché avete ascoltato il comando di Ionadàb vostro padre e avete osservato tutti i suoi decreti e avete fatto quanto vi aveva ordinato,19per questo dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: a Ionadàb figlio di Recàb non verrà mai a mancare qualcuno che stia sempre alla mia presenza".


Apocalisse 17

1Allora uno dei sette angeli che hanno le sette coppe mi si avvicinò e parlò con me: "Vieni, ti farò vedere la condanna della grande prostituta che siede presso le grandi acque.2Con lei si sono prostituiti i re della terra e gli abitanti della terra si sono inebriati del vino della sua prostituzione".3L'angelo mi trasportò in spirito nel deserto. Là vidi una donna seduta sopra una bestia scarlatta, coperta di nomi blasfemi, con sette teste e dieci corna.4La donna era ammantata di porpora e di scarlatto, adorna d'oro, di pietre preziose e di perle, teneva in mano una coppa d'oro, colma degli abomini e delle immondezze della sua prostituzione.5Sulla fronte aveva scritto un nome misterioso: "Babilonia la grande, la madre delle prostitute e degli abomini della terra".
6E vidi che quella donna era ebbra del sangue dei santi e del sangue dei martiri di Gesù. Al vederla, fui preso da grande stupore.7Ma l'angelo mi disse: "Perché ti meravigli? Io ti spiegherò il mistero della donna e della bestia che la porta, con sette teste e dieci corna.

8La bestia che hai visto era ma non è più, salirà dall'Abisso, ma per andare in perdizione. E gli abitanti della terra, il cui nome non è scritto nel libro della vita fin dalla fondazione del mondo, stupiranno al vedere che la bestia era e non è più, ma riapparirà.9Qui ci vuole una mente che abbia saggezza. Le sette teste sono i sette colli sui quali è seduta la donna; e sono anche sette re.10I primi cinque sono caduti, ne resta uno ancora in vita, l'altro non è ancora venuto e quando sarà venuto, dovrà rimanere per poco.11Quanto alla bestia che era e non è più, è ad un tempo l'ottavo re e uno dei sette, ma va in perdizione.12Le dieci corna che hai viste sono dieci re, i quali non hanno ancora ricevuto un regno, ma riceveranno potere regale, per un'ora soltanto insieme con la bestia.13Questi hanno un unico intento: consegnare la loro forza e il loro potere alla bestia.14Essi combatteranno contro l'Agnello, ma l'Agnello li vincerà, perché è il Signore dei signori e il Re dei re e quelli con lui sono i chiamati, gli eletti e i fedeli".
15Poi l'angelo mi disse: "Le acque che hai viste, presso le quali siede la prostituta, simboleggiano popoli, moltitudini, genti e lingue.16Le dieci corna che hai viste e la bestia odieranno la prostituta, la spoglieranno e la lasceranno nuda, ne mangeranno le carni e la bruceranno col fuoco.17Dio infatti ha messo loro in cuore di realizzare il suo disegno e di accordarsi per affidare il loro regno alla bestia, finché si realizzino le parole di Dio.18La donna che hai vista simboleggia la città grande, che regna su tutti i re della terra".


Capitolo VI: gli sregolati moti dell'anima

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Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e, quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava, immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.


Il combattimento cristiano

Sant'Agostino - Sant'Agostino d'Ippona

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Il diavolo è il nostro avversario.

1. 1. La corona della vittoria non si promette se non a coloro che combattono. Nelle divine Scritture, inoltre, troviamo con frequenza che si promette a noi la corona, se vinceremo. Ma per non dilungarci a richiamare molti passi, presso l’apostolo Paolo si legge con molta chiarezza: Ho compiuto la mia opera, ho terminato la mia corsa, ho conservato la fede, ora mi resta la corona di giustizia 1. Dobbiamo dunque conoscere quale sia questo avversario, vinto il quale, saremo incoronati. È quello stesso che il Signore nostro vinse per primo, sicché anche noi, se perseveriamo in lui. E perciò la Potenza e la Sapienza di Dio 2 e il Verbo, per mezzo del quale furono fatte tutte le cose 3, che è il Figlio unigenito, rimane immutabile al di sopra di ogni creatura. E poiché sotto di Lui sta anche la creatura che non ha peccato, quanto più sta sotto di Lui ogni creatura peccatrice? E poiché sotto di Lui sono tutti gli angeli santi, molto più a Lui sono sottoposti gli angeli prevaricatori, di cui il diavolo è il capo. Ma poiché quest’ultimo aveva ingannato la nostra natura, l’unigenito Figlio di Dio si è degnato di assumere la nostra stessa natura, affinché da essa stessa fosse vinto il diavolo, e quello che il Figlio di Dio ha sottoposto a sé, fosse sottoposto anche a noi. È appunto quello che indica quando dice: Il principe di questo mondo è stato cacciato fuori 4. Non perché il diavolo è stato cacciato fuori dal mondo, come credono alcuni eretici, ma fuori dalle anime di coloro che aderiscono alla parola di Dio e non amano il mondo, di cui egli è il capo; infatti egli domina su quelli che amano le cose temporali, che sono contenute in questo mondo visibile, non perché egli sia padrone di questo mondo, ma perché è fonte di tutte quelle cupidige, per le quali si brama tutto ciò che è passeggero, cosicché a lui sono soggetti quelli che trascurano l’eterno Dio ed amano le cose caduche e mutevoli. La radice di tutti i mali è la cupidigia: seguendo la quale alcuni hanno deviato dalla fede e si sono da sé tormentati con molti dolori 5. Per mezzo di questa cupidigia il diavolo regna sull’uomo e occupa il suo cuore. Tali sono tutti quelli che amano questo mondo. Il diavolo poi è cacciato fuori, quando di tutto cuore si rinuncia a questo mondo. Così infatti si rinuncia al diavolo, che è principe di questo mondo, quando si rinuncia a ciò che è corrotto, alle pompe e ai suoi corifei. Ecco perché lo stesso Signore, avendo già assunto trionfalmente la natura dell’uomo, disse: Sappiate che io ho vinto il mondo 6.

Occorre vincere la cupidigia per vincere il diavolo.

2. 2. Molti poi dicono: come possiamo noi vincere il diavolo che non vediamo? Ma noi abbiamo un maestro il quale si è degnato di mostrarci in che modo si vincono i nemici invisibili. Di lui infatti dice l’Apostolo: Spogliandosi della carne, fu modello ai principati e alle potestà, trionfando con sicurezza su di loro in se stesso 7. Dunque si vincono le invisibili potenze a noi ostili là dove si vincono le invisibili cupidige. E perciò poiché in noi stessi vinciamo le brame delle cose temporali, è necessario che in noi stessi vinciamo anche colui che regna nell’uomo per mezzo delle stesse cupidige. Quando infatti fu detto al diavolo: Mangerai terra, fu detto al peccatore: Tu sei polvere e in polvere ritornerai 8. Il peccatore fu dunque dato in pasto al diavolo. Facciamo in modo di non essere terra, se non vogliamo essere divorati dal serpente. Come infatti ciò che mangiamo lo convertiamo nel nostro corpo, affinché lo stesso cibo si trasformi in ciò che noi siamo secondo il nostro corpo, così a causa dei cattivi costumi per mezzo della malvagità e della superbia e dell’empietà ciascuno diventa ciò che è il diavolo, cioè simile a lui, ed è sottoposto a lui, come il nostro corpo è soggetto a noi. E questo è ciò che si dice, essere mangiato dal serpente. Chiunque pertanto teme quel fuoco che fu preparato per il diavolo ed i suoi angeli 9, si sforzi di trionfare su di lui in se stesso. Infatti quelli che ci combattono all’esterno, noi li vinciamo internamente, col vincere le concupiscenze per mezzo delle quali essi ci dominano. E attirano con sé nelle pene quelli che troveranno simili a sé.

I cattivi demoni non abitano in cielo.

3. 3. Così dice anche l’Apostolo che in se stesso combatte le potenze esterne. Dice infatti: Non dobbiamo noi combattere contro la carne e il sangue, ma contro i principi e le potestà di questo mondo, contro coloro che governano queste tenebre, contro gli spiriti di malizia negli spazi celesti 10. Cielo infatti è chiamato anche questo spazio, dove i venti e le nubi e le tempeste e i turbini si avvicendano; come infatti anche la Scrittura dice in molti passi: E il Signore tuonò dal cielo 11; e gli uccelli del cielo 12 e i volatili del cielo 13; essendo chiaro che gli uccelli volano nell’aria. Anche noi abitualmente chiamiamo cielo quest’aria: infatti quando domandiamo intorno al tempo sereno o nuvoloso, talvolta diciamo: "com’è l’aria?", talvolta: "com’è il cielo?". Dico ciò affinché nessuno pensi che i cattivi demoni abitano là dove Dio dispose il sole, la luna e le stelle. Questi cattivi demoni perciò l’Apostolo chiama spirituali 14, perché anche gli angeli cattivi sono chiamati spiriti nelle divine Scritture. Perciò egli li chiama rettori di queste tenebre, perché chiama tenebre gli uomini peccatori, sui quali questi dominano. Perciò dice in un altro passo: Voi foste infatti una volta tenebre; ma ora siete luce nel Signore 15; perché da peccatori erano stati giustificati. Non pensiamo dunque che il diavolo con i suoi angeli abiti nelle sommità del cielo, donde crediamo che egli sia caduto.

Empia credenza dei manichei.


4. 4. Così infatti errano i manichei, i quali affermano che prima della creazione del mondo vi era stato un popolo di tenebre che si ribellò contro Dio. Quegli sventurati credono che in quella guerra Dio onnipotente non poté altrimenti aiutare se stesso se non inviando una parte di sé contro quella razza. I principi di quella razza, come essi dicono, divorarono la parte di Dio e si organizzarono in modo tale che il mondo potesse essere costruito da loro. Così affermano che Dio giunse alla vittoria con grandi disgrazie e tormenti e miserie delle sue membra; queste membra, dicono, essersi poi mescolate alle viscere tenebrose dei loro principi, per calmarli e frenarli dal loro furore. E non capiscono che la loro setta è tanto sacrilega da credere che Dio onnipotente abbia combattuto con le tenebre non per mezzo della creatura che egli aveva fatto, ma per mezzo della sua propria natura: credere ciò è un’empietà. Né affermano solo ciò, ma anche che quelli stessi che furono vinti divennero migliori per il fatto che il loro furore fu frenato e che la natura di Dio, che in realtà vinse, divenne miserrima. Dicono anche che essa per questa mescolanza abbia perduto l’intelletto e la sua felicità e si sia trovata implicata in gravi errori e rovine. Se dicessero che la natura di Dio si sia in parte completamente purificata, affermerebbero tuttavia una grande empietà contro Dio onnipotente, del quale una parte crederebbero essere stata esposta per tanto tempo ad errori e pene senza alcuna responsabilità di peccato. Ora quegli sventurati osano dire che non può purificarsi tutta completamente, e che quella stessa parte che non si è potuta purificare, è destinata alla necessità di essere avvolta e legata alla rovina del sepolcro; e così una parte di Dio che per niente ha peccato rimane sempre ivi misera, ed è punita in eterno col carcere delle tenebre. Questo essi dicono per ingannare le anime semplici. Ma chi è così semplice da non accorgersi che sono cose sacrileghe quando affermano che Dio onnipotente è stato oppresso dalla necessità, così da permettere che la sua parte buona e innocente fosse ricoperta da tante grandi rovine e macchiata da tanta immondezza e non potesse liberarla completamente, e legasse con vincoli eterni ciò che non ha potuto liberare? Chi dunque non rigetterebbe simili cose? Chi non capirebbe che queste cose sono empie e nefande? Ma essi quando ingannano gli uomini non parlano di questi argomenti per primo; se ne parlassero sarebbero derisi o sarebbero respinti da tutti; scelgono invece quei capitoli delle Scritture che gli uomini semplici non capiscono e per mezzo di quelli ingannano le anime inesperte, domandando loro donde provenga il male. Così fanno a proposito di un testo dell’Apostolo dov’è scritto: I principi di queste tenebre e gli spiriti del male nei cieli 16. Quegli ingannatori cercano l’uomo che non comprende le divine Scritture e gli dicono donde siano in cielo i principi delle tenebre; così non avendo egli potuto rispondere, possano trascinarlo attraverso la loro curiosità; poiché ogni anima ignorante è curiosa. Chi invece conosce bene la fede cattolica ed è munito di buoni costumi e vera pietà, sebbene ignori la loro eresia, tuttavia risponde loro. Né può essere ingannato colui che ormai conosce quello che appartiene alla fede cristiana, che è chiamata cattolica, diffusa nel mondo, protetta dalla Provvidenza divina contro tutti gli empi e i peccatori e quelli suoi che la trascurano.

La lotta cristiana non è esteriore ma interiore.

5. 5. Abbiamo dunque detto che l’apostolo Paolo ha affermato che noi lottiamo contro i capi delle tenebre e le potenze spirituali del male che abitano nei cieli, e abbiamo anche provato che questo spazio aereo prossimo alla terra si chiama cielo; bisogna credere che noi combattiamo contro il diavolo e i suoi angeli, i quali godono dei nostri turbamenti. Lo stesso Apostolo infatti in un altro passo chiama il diavolo principe della potenza dell’aria 17. Sebbene il passo dove dice: Gli spiriti del male che occupano gli spazi celesti 18, si possa intendere diversamente, di modo che egli non ha detto che sono gli stessi angeli prevaricatori negli spazi celesti, ma piuttosto noi, dei quali in altro passo dice: La nostra dimora è nei cieli 19, affinché noi stabiliti negli spazi celesti, cioè camminando nei precetti spirituali di Dio, combattiamo contro gli spiriti del male che tentano di distrarci di là. Perciò bisogna cercare di più in che modo possiamo combattere e vincere contro quelli che non vediamo, affinché gli stolti non pensino che noi dobbiamo combattere contro l’aria.

È necessario domare il proprio corpo.

6. 6. Pertanto lo stesso Apostolo insegna dicendo: Io non combatto per così dire battendo l’aria, ma castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, affinché predicando agli altri, per caso non sia io riprovato 20. Quindi aggiunge: Siate miei imitatori come anch’io lo sono di Cristo 21. Perciò bisogna intendere che anche lo stesso Apostolo abbia trionfato in se stesso delle potenze di questo mondo 22, come aveva detto del Signore di cui si professa imitatore 23. Imitiamo dunque anche noi lui, come ci esorta e castighiamo il nostro corpo e riduciamolo in schiavitù, se vogliamo vincere il mondo. Poiché questo mondo ci può dominare per mezzo dei piaceri illeciti e le vanità e la pericolosa curiosità, cioè quelle cose che allettano gli amanti dei piaceri temporali con dannoso piacere in questo mondo e li costringono a servire al diavolo ed ai suoi angeli: se abbiamo rinunziato a tutte queste cose, riduciamo il nostro corpo in schiavitù.

Anzitutto sottomettersi a Dio "con buona volontà e sincera carità".

7. 7. Ma affinché nessuno chieda in che modo dobbiamo sottomettere il nostro corpo a schiavitù, si può facilmente capire e può avvenire se sottomettiamo a Dio per prima noi stessi con buona volontà e sincera carità. Infatti ogni creatura voglia o non voglia è soggetta a un solo Dio e suo Signore. Ma di ciò siamo ammoniti, a servire al Signore Dio nostro con tutta la volontà. Poiché il giusto serve liberamente, l’ingiusto invece serve in catene. Tutti però servono alla divina Provvidenza; ma alcuni obbediscono come figli e con essa fanno ciò che è bene, altri poi sono legati come schiavi e di essi avviene ciò che è giusto. Così Dio onnipotente, Signore di tutte le creature, il quale creò tutte le cose, com’è scritto, assai buone 24 le ha ordinate in modo che riesca del bene dalle cose buone e dalle cose cattive. Ciò che si fa con giustizia è fatto bene. Giustamente i buoni sono beati e giustamente i cattivi pagano le pene. Dio dunque ricava il bene e dai buoni e dai cattivi, poiché fa tutto con giustizia. Buoni sono coloro che con tutta la loro volontà servono a Dio; i cattivi servono per necessità: nessuno sfugge infatti alle leggi dell’Onnipotente. Ma altro è fare ciò che la legge comanda, altro è sopportare ciò che la legge comanda. E quindi i buoni agiscono secondo le leggi, i cattivi soffrono secondo le leggi.

Perché in questa vita i giusti sopportano molti mali gravosi e difficili.

7. 8. E non ci sconvolga il fatto che in questa vita secondo la carne che essi portano, i giusti sopportino molti mali gravosi e difficili. Infatti, non soffrono alcun male coloro che ormai possono dire ciò che quell’uomo spirituale, l’Apostolo, canta con esultanza e predica dicendo: Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce la pazienza, la pazienza la virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 25. Se dunque in questa vita, dove vi sono tanti grandi travagli, gli uomini buoni e giusti, quando sopportano tali sofferenze, possono non solo tollerarle con animo sereno, ma anche gloriarsi nell’amore di Dio, che cosa pensare di quella vita che ci è promessa, dove nessuna molestia sentiremo da parte del corpo? In effetti il corpo dei giusti non risorgerà per lo stesso scopo per cui risorgerà il corpo degli empi. Come sta scritto: Tutti risorgeremo, ma non tutti saremo trasformati 26. E affinché nessuno creda che questa trasformazione non è promessa ai giusti, ma piuttosto agli ingiusti, e non consideri che essa procuri pena, l’Apostolo prosegue e dice: E i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati 27. Tutti i cattivi dunque sono ordinati in modo tale che ciascuno nuoce a se stesso e tutti si danneggiano vicendevolmente. Infatti desiderano ciò che è amato in modo pernicioso e ciò che ad essi può essere facilmente portato via; e queste cose portano via a se stessi a vicenda quando si perseguitano. E così sono angustiati coloro ai quali vengono tolti i beni temporali, perché li amano; al contrario coloro che se ne impossessano, godono. Ma una siffatta gioia è cecità e somma miseria: infatti coinvolge ancor più l’anima conducendola a tormenti sempre più grandi. Anche il pesce è contento, quando, non vedendo l’amo, divora l’esca. Ma appena il pescatore comincia a tirarlo, per primo vengono attorcigliate le sue viscere, in seguito, da tutto quel piacere per mezzo di quella stessa esca dalla quale era stato attratto, è trascinato alla morte. Similmente accade di tutti coloro che si reputano felici per i beni terreni. Abboccano, infatti, all’amo, e con quello vanno errando. Verrà il tempo quando sentiranno quanti tormenti avranno divorato con l’avidità. E ai buoni non arrecano danno per nulla, perché viene tolto loro ciò che essi non amano. Infatti, nessuno può loro sottrarre ciò che essi amano, e per cui sono felici. Il tormento del corpo affligge miseramente le anime malvagie, invece purifica fortemente quelle buone. Così avviene che l’uomo cattivo e l’angelo cattivo combattono per disposizione della divina Provvidenza, ma ignorano quale bene Dio trae da loro. E quindi vengono ricompensati non per i meriti del loro servizio, ma per i meriti della loro malizia.

L’onnipotenza di Dio governa non solo le anime ma l’intero universo.

8. 9. Ma come queste anime che hanno la volontà di nuocere e la facoltà di pensare sono ordinate sotto le leggi divine affinché nessuno soffra alcunché di ingiusto, così tutte le cose sia animate sia corporee sono, nel loro genere ed ordine, sottomesse alle leggi della divina Provvidenza e amministrate da esse. Perciò dice il Signore: Forse che due passeri non si vendono per un denaro ed uno di essi non cade in terra senza la volontà del Padre vostro? 28 Questo infatti disse volendo dimostrare che qualunque cosa che gli uomini stimano di pochissimo conto è governata dall’onnipotenza di Dio. Gli uccelli del cielo sono nutriti da Lui e i gigli del campo sono vestiti da Lui 29, così parla la Verità, e aggiunge che anche i nostri capelli sono contati 30. Ma poiché Dio cura da se stesso le anime razionali che sono pure, sia negli ottimi e grandi angeli, sia negli uomini che servono a Lui con tutta la volontà, governa poi le altre cose mediante questi stessi e poté anche in modo verissimo affermarsi dall’Apostolo quel detto: Non spetta a Dio prendersi cura dei buoi 31. Nelle sante Scritture Dio insegna agli uomini come debbono agire con gli altri uomini ed essi stessi servire Dio. Essi sanno già come agire con le loro bestie, cioè come governare la salute del loro bestiame con la pratica e la perizia e la ragione naturale: tutte cose queste che essi ricevettero dai grandi doni del loro Creatore. Chi dunque può capire come Dio creatore della natura universale la governa per mezzo delle anime sante che sono sue ministre in cielo e in terra; perché anche le stesse anime sante furono da Lui fatte e nella sua creazione tengono il primato: chi dunque può capire capisca ed entri nella gioia del suo Signore 32.

Finché siamo nel corpo gustiamo quanto è soave il Signore.

9. 10. Se poi non possiamo fare ciò, finché siamo nel corpo e siamo lontani dal Signore 33, almeno gustiamo quanto è soave il Signore 34; poiché ha dato a noi lo Spirito come pegno 35, nel quale sentiamo la sua dolcezza e desideriamo la stessa fonte della vita, dove con sobria estasi saremo inondati e irrigati, come l’albero che è piantato lungo il corso delle acque e dà il frutto a suo tempo e le sue foglie non cadranno 36. Dice infatti lo Spirito Santo: I figli degli uomini spereranno all’ombra delle tue ali, saranno inebriati dalla ubertà della tua casa e li abbevererai col torrente del tuo amore. Poiché presso di te è la fonte della vita 37. Tale ebrietà non sconvolge la mente, ma tuttavia la rapisce in alto, e dà la dimenticanza di tutte le cose terrene. E possiamo già dire con tutto il nostro affetto: Come il cervo desidera le fonti delle acque, così l’anima mia desidera te, o Dio 38.

Egli ha avuto pietà della nostra debolezza.

10. 11. Che se per caso ancora per le malattie dell’anima, che essa ha contratto per l’amore del secolo, noi non siamo idonei a gustare quanto è dolce il Signore, crediamo almeno alla divina autorità che ha voluto manifestare nelle sante Scritture circa il Figlio suo, il quale fu fatto a lui dalla discendenza di Davide secondo la carne, come dice l’Apostolo 39. Tutte le cose, infatti, sono state fatte per mezzo di lui, com’è scritto nell’Evangelo, e senza di lui nulla è stato fatto 40. Egli ha avuto pietà della nostra debolezza che noi abbiamo meritato non per opera sua ma per nostra volontà. Infatti Dio ha creato l’uomo per l’immortalità 41 e gli ha dato il libero arbitrio della volontà. Non sarebbe infatti molto felice se dovesse servire ai comandamenti di Dio per necessità e non per volontà. È facile, a mio avviso, tutto questo: la qual cosa non vogliono capire quelli che hanno abbandonato la fede cattolica, eppure vogliono essere chiamati cristiani. Infatti, se ammettono con noi che la natura umana non può essere guarita se non facendo il bene, confessino pure che la stessa natura non si può ammalare se non peccando. E perciò non bisogna credere che l’anima nostra sia ciò che Dio è, perché se ciò fosse né per sua volontà né per qualche altra necessità si cambierebbe in peggio; poiché in ogni modo capiamo che Dio è immutabile, lo si comprende non da quelli che in spirito di contesa e vanità e per desiderio di vana gloria amano parlare di ciò che non sanno, ma da quelli che con cristiana umiltà "sentono la bontà di Dio e lo cercano nella semplicità del cuore" 42. Il Figlio di Dio perciò si è degnato di assumere la nostra debolezza: E il Verbo si fece carne e abitò fra noi43. Non perché quell’eternità si sia cambiata, ma perché ha mostrato agli occhi mutabili degli uomini la creatura mutabile che Egli assunse con immutabile maestà.

Innalzi la sua speranza il genere umano: il Figlio di Dio ha assunto l’uomo.

11. 12. Vi sono degli stolti che dicono: non poteva la Sapienza di Dio liberare gli uomini in modo diverso senza assumere l’umanità, senza nascere da una donna e patire tutte quelle sofferenze da parte dei peccatori? A costoro rispondiamo: lo poteva certamente; ma se avesse fatto diversamente, sarebbe dispiaciuto ugualmente alla vostra stoltezza. Se non apparisse agli occhi dei peccatori, certamente la sua luce eterna, che si vede con gli occhi interiori, non potrebbe essere vista dalle menti inquinate. Ora dal momento che si è degnato di istruirci visibilmente per prepararci alle cose invisibili, dispiace agli avari, perché non ha assunto un corpo tutto d’oro; dispiace agli impudichi, perché è nato da una donna (infatti, non hanno molto piacere gli impudichi che le donne concepiscano e partoriscano); dispiace ai superbi, perché ha sopportato con infinita pazienza le offese; dispiace ai delicati, perché è stato crocifisso; dispiace ai timidi, perché è morto. E perché non sembri che difendono i loro vizi, dicono che si dispiacciono che ciò sia accaduto non in un uomo, ma nel Figlio di Dio. Non capiscono infatti cosa sia l’eternità di Dio che ha assunto umana natura e che cosa sia la stessa umana creatura, che era riportata dalle sue mutazioni all’antica stabilità, affinché imparassimo, come insegna lo stesso Signore, che le infermità che abbiamo acquistato col peccare, possono essere sanate col bene operare. Si mostrava a noi, infatti, a quale fragilità l’uomo era giunto con la sua colpa, e da quale fragilità era liberato con l’aiuto divino. Perciò il Figlio assunse umana natura ed in essa ha sofferto da uomo. Questo rimedio a favore degli uomini è così grande che più non si può immaginare. Quale superbia si può sanare, se non si sana con l’umiltà del Figlio di Dio? Quale avarizia si può sanare, se non si sana con la povertà del Figlio di Dio? Quale iracondia si può sanare, se non si sana con la pazienza del Figlio di Dio? Quale empietà si può sanare, se non si sana con la carità del Figlio di Dio? Infine, quale timidezza si può sanare, se non si sana con la risurrezione del corpo di Cristo Signore? Innalzi la sua speranza il genere umano e riconosca la sua natura, veda quanto posto ha nelle opere di Dio. Non disprezzate voi stessi, o uomini: il Figlio di Dio si è fatto uomo. Non disprezzate voi stesse, o donne: il Figlio di Dio è nato da una donna. Non amate però le cose carnali: perché nel Figlio di Dio non siamo né maschio né femmina. Non amate le cose temporali: perché se si amassero come un bene, le amerebbe l’uomo che il Figlio di Dio ha assunto. Non temete gli oltraggi e le croci e la morte, perché se nuocessero agli uomini non le avrebbe sofferte l’uomo che il Figlio di Dio ha assunto. Questa fede che ormai dovunque si predica, dovunque si venera, che sana ogni anima obbediente, non esisterebbe nella società umana, se non fossero state realizzate tutte quelle cose che dispiacciono ai più stolti. Chi si degnerà di imitare la stolta presunzione per poter essere spinto a praticare la virtù, se arrossisce di imitare colui del quale fu detto, prima che nascesse, che sarà chiamato Figlio dell’Altissimo 44 e già in tutte le nazioni, cosa che nessuno può negare, lo si chiama Figlio dell’Altissimo? Se abbiamo una grande opinione di noi, degniamoci di imitare colui che è chiamato Figlio dell’Altissimo. Se invece ci stimiamo poco, osiamo imitare i pescatori e i pubblicani che lo hanno imitato. O medicina provvida per tutti, che reprime tutti i tumori, che ravviva tutto ciò che è debole, che toglie tutte le escrescenze, custodisce tutto ciò che è vitale, ripara tutte le perdite, corregge tutte le depravazioni! Chi ormai può elevarsi contro il Figlio di Dio? Chi può disperare di sé, se per lui il Figlio di Dio ha voluto essere tanto umile? Chi può stimare beata la vita per quelle cose che il Figlio di Dio ha insegnato doversi disprezzare? A quali avversità potrà cedere colui il quale crede che la natura dell’uomo è custodita da tante persecuzioni nel Figlio di Dio? Chi potrà pensare che il regno dei cieli gli è chiuso, se conosce che i pubblicani e le meretrici hanno imitato il Figlio di Dio? 45 Da quale malvagità non sarà preservato chi osserva e ama le opere e le parole di quest’uomo, nel quale il Figlio di Dio si è offerto a noi quale esempio di vita?

La speranza della vita eterna solleva il mondo.

12. 13. Ormai sia gli uomini, sia le donne, sia ogni età e grado di questo secolo sono mosse alla speranza della vita eterna. Alcuni lasciano i beni temporali e accorrono alle cose divine; altri si lasciano avvincere dalle virtù di quelli che fanno ciò e lodano quello che non osano imitare. Pochi però mormorano sino ad ora e sono tormentati da vano livore e sono o quelli che cercano il loro interesse nella Chiesa, sebbene sembrino cattolici, o gli eretici che vogliono trovare gloria dallo stesso nome di Gesù Cristo, o i giudei che desiderano difendere il loro peccato di empietà, o i pagani che temono di perdere la loro curiosità di vana licenza. Ma la Chiesa cattolica sparsa in lungo e in largo per tutto il mondo, rompendo i loro attacchi fin dai primi tempi, si è fortificata sempre di più, non col resistere ma col sopportare. Ora Essa con la fede irride alle loro insidiose questioni, con la ragione le discute, e con l’intelligenza le distrugge. Non si cura dei calunniatori delle sue pagliuzze, perché distingue il tempo della messe, il tempo dell’aia e il tempo dei granai con prudenza e diligenza. Corregge i calunniatori del suo frumento o gli erranti e relega gli invidiosi tra le spine e la zizzania.

Come nella conoscenza bisogna guardarsi dall’errore, così nell’azione bisogna guardarsi dal peccato.

13. 14. Sottoponiamo dunque l’anima a Dio, se vogliamo sottoporre il nostro corpo a schiavitù e trionfare del diavolo. La fede è la prima che sottopone l’anima a Dio; poi i precetti del vivere, con l’osservanza dei quali la nostra speranza si rafforza, e la carità si alimenta e comincia a risplendere quello che prima solo si credeva. Poiché la conoscenza e l’azione rendono beato l’uomo, come nella conoscenza bisogna guardarsi dall’errore, così nell’azione bisogna guardarsi dal peccato. Erra invece chiunque crede di poter conoscere la verità vivendo ancora nell’iniquità. È iniquità amare questo mondo e avere in grande considerazione le cose che nascono e passano, bramarle e affannarsi per esse per conquistarle; rallegrarsi quando abbondano e temere di perderle; contristarsi quando si perdono. Tale vita non può contemplare quella pura, sincera e immutabile verità e attaccarsi ad essa, né staccarsene più per l’eternità. Pertanto prima di purificare la nostra mente dobbiamo credere quello che non possiamo ancora comprendere; poiché in tutta verità fu detto per mezzo del profeta: Se non crederete, non comprenderete 46.

Crediamo in Dio Trinità.

13. 15. La fede nella Chiesa si esprime con somma brevità; in essa sono comprese le verità eterne che non possono ancora essere comprese dagli uomini carnali e le cose temporali passate e future che l’eterna divina Provvidenza ha fatto e farà per la salvezza degli uomini. Crediamo dunque nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo. Queste sono (Persone) eterne e immutabili, cioè un solo Dio, la Trinità eterna di una sola sostanza, Dio, dal quale è tutto, per il quale è tutto, nel quale è tutto 47.

Dio in tre Persone.

14. 16. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che solamente il Padre esiste, che non ha il Figlio, né che è con Lui lo Spirito Santo; ma che lo stesso Padre talora si chiama Figlio e talvolta Spirito Santo. Ignorano il Principio dal quale sono tutte le cose, la sua Immagine per la quale tutte le cose sono formate e la sua santità nella quale tutte le cose sono ordinate.

Le tre Persone divine sono un solo Dio.

15. 17. Neppure dobbiamo ascoltare coloro che si indignano e si infastidiscono perché noi diciamo che non bisogna adorare tre dèi. Ignorano infatti che cosa significhi una sola e medesima sostanza; e si illudono dei loro fantasmi, perché sogliono vedere materialmente o tre esseri animati o tre corpi qualunque stare separati nei loro posti. Così credono che bisogna intendere la sostanza di Dio, e sono in grave errore perché sono superbi; e non possono imparare, perché non vogliono credere.

Uguaglianza delle tre Persone divine.

16. 18. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che solo il Padre è il vero e sempiterno Dio; che il Figlio non è generato dal Padre, ma da Lui stesso fatto dal nulla e che ci fu un tempo quando non esisteva, ma che tuttavia tiene il primo posto fra tutte le creature; e (dicono anche) che lo Spirito Santo è di minore maestà rispetto al Figlio; e che le sostanze di questi tre sono diverse, come l’oro, l’argento e il bronzo. Non sanno quello che dicono e da queste realtà che sogliono guardare con gli occhi della carne, trasferiscono le vane immagini nelle loro discussioni. In realtà è arduo rendersi conto con la mente circa la generazione che non avviene nel tempo, ma è eterna; e la stessa Carità e Santità, per cui chi genera e chi è generato sono uniti reciprocamente in modo ineffabile. È arduo e difficile comprendere questa verità con la nostra mente, sebbene sia serena e tranquilla. Non è possibile che capiscano ciò quelli che guardano troppo le umane generazioni e a queste tenebre aggiungono ancora fumo, che essi non cessano di fomentare tra loro con le contese e le lotte quotidiane, con l’animo impelagato negli affetti carnali, come legni saturi di acqua, nei quali il fuoco vomita solo fumo e non può emanare splendide fiamme. E questo lo si può affermare benissimo per tutti gli eretici.

Gesù Cristo è il Figlio di Dio.

17. 19. Credendo nell’immutabile Trinità noi crediamo anche alla sua economia temporale per la salvezza del genere umano. Non ascoltiamo coloro che dicono che il Figlio di Dio, Gesù Cristo altro non è che un uomo, sebbene così giusto da essere degno di essere chiamato Figlio di Dio. E infatti la dottrina cattolica li ha cacciati fuori, poiché ingannati dalla brama di vana gloria vollero disputare contenziosamente, prima di capire cosa sia la Virtù di Dio e la Sapienza di Dio 48 e che in principio esisteva il Verbo, per cui sono state fatte tutte le cose e in che modo il Verbo si è fatto carne e ha abitato tra noi 49.

Gesù Cristo è vero uomo.

18. 20. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che il Figlio di Dio non ha assunto un vero uomo, né che è nato da una donna, ma ha voluto mostrare a quelli che lo vedevano una falsa carne e un’immagine simulata del corpo umano. Non sanno come la sostanza di Dio che amministra tutta la creazione non può assolutamente corrompersi. E tuttavia predicano che questo sole visibile sparge i suoi raggi attraverso tutte le brutture e le immondizie dei corpi e pure li conserva dovunque mondi e puri. Se dunque le cose pure visibili possono venire a contatto con le cose visibili immonde e non si corrompono, quanto più l’invisibile e immutabile Verità, assumendo l’anima per mezzo dello spirito e il corpo per mezzo dell’anima, avendo preso l’uomo completo, lo ha liberato da tutte le infermità senza alcuna contaminazione! Perciò provano maggiori difficoltà e, temendo che la Verità si inquini di carne umana, ciò che non può avvenire, affermano che la Verità ha mentito. E, avendo Egli detto col suo precetto: Sia nella vostra bocca: Sì, sì, e no, no 50 e gridando l’Apostolo: Non era in lui sì e no; in lui era sì 51, costoro sostengono che tutto il suo corpo sia stato una falsa carne, di modo che a loro non sembra di imitare il Cristo, se non mentendo ai loro uditori.

Gesù Cristo ha non solo il corpo e l’anima dell’uomo, ma anche lo spirito.

19. 21. Non dobbiamo ascoltare coloro che professano la Trinità in una sostanza eterna, ma che osano dire che l’uomo stesso, assunto nel tempo, non aveva la mente di uomo, ma solamente l’anima e il corpo. Come se dicessero: non fu uomo ma aveva le membra di corpo umano. Anche le bestie hanno l’anima e il corpo, ma non hanno la ragione, che è propria della mente. Se pertanto bisogna riprovare coloro che negano che egli abbia avuto un corpo umano, la qual cosa nell’uomo è parte secondaria, mi meraviglio che costoro non arrossiscano quando negano che Cristo abbia avuto quello che nell’uomo è il massimo. Molto è da deplorare la mente umana, se è vinta dal suo corpo, se poi in quell’uomo la mente umana non è stata resa alla forma primiera, in lui il corpo stesso umano ha ricevuto già la dignità della forma celeste. Ma sia lontano da noi credere ciò che la temeraria cecità e la superba loquacità ha immaginato.

L’unione dell’uomo con Dio in Gesù Cristo non è solo morale ma reale.

20. 22. Non dobbiamo dare ascolto a coloro che affermano che da quella eterna Sapienza è stato assunto l’uomo, che è nato da una vergine, allo stesso modo come anche da essa diventano sapienti altri uomini, che sono perfettamente saggi. Ignorano infatti il mistero proprio di quell’uomo e credono che ciò che egli ha avuto di più rispetto agli altri tanto beati consiste nell’essere nato da una vergine. Questo stesso privilegio, se essi lo considerassero attentamente, forse crederebbero ch’egli lo abbia meritato più che gli altri, precisamente per il carattere unico di tale unione. Altro è divenire sapiente solamente per la Sapienza di Dio ed altro è portare la Persona stessa della Sapienza di Dio. Sebbene la natura del corpo della Chiesa sia la stessa, tuttavia chi non capisce che c’è molta differenza tra il Capo e le altre membra? Se infatti il Capo della Chiesa è quell’uomo, per la cui assunzione il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi 52; le altre membra sono tutti i santi, per mezzo dei quali si compagina e si completa la Chiesa. Come infatti l’anima dà vita a tutto il nostro corpo e lo vivifica, ma sente nel capo vedendo, udendo, odorando, gustando e toccando, nelle altre membra invece solamente toccando; e perciò al capo tutte le membra sono soggette per operare, esso poi è collocato sopra per provvedere a tutto, poiché l’anima, la quale provvede al corpo, in certo modo sostiene tutta la persona, ivi infatti si manifesta ogni sentimento: così per tutto il popolo dei santi, come un solo corpo, il capo è il Mediatore di Dio e degli uomini l’uomo Cristo Gesù 53. E perciò la Sapienza di Dio, e il Verbo in principio per il quale tutto è stato fatto 54, non assunse quell’uomo come gli altri santi, ma in modo molto più eccellente e sublime: come fu necessario che fosse assunto solo colui nel quale la Sapienza doveva mostrarsi agli uomini, così conveniva che quella si mostrasse in maniera visibile. Perciò altra è la sapienza del resto degli uomini, quali che siano, o poterono essere, o lo potranno; e altro quell’unico Mediatore di Dio e degli uomini l’uomo Cristo Gesù, che della stessa Sapienza per la quale divengono sapienti tutti gli altri uomini, non solo ha il beneficio, ma porta anche la persona. Degli altri spiriti sapienti e spirituali rettamente si può dire che abbiano in sé il Verbo di Dio per il quale tutte le cose sono state create. Ma in nessuno di essi rettamente si può dire che il Verbo si è fatto carne ed ha abitato fra noi, cosa che molto rettamente si dice solo del Signore nostro Gesù Cristo.

Il Verbo si è fatto carne significa: il Verbo si è fatto uomo.

21. 23. Meno ancora sono da ascoltare coloro che dicono che il solo corpo umano è stato assunto dal Verbo di Dio e così interpretano ciò che fu detto: E il Verbo si fece carne 55, così che dicono che quell’uomo non ha avuto o l’anima o alcunché di umano se non la sola carne. Errano molto, né intendono che è stata nominata la sola carne proprio in ciò che è stato detto: Il Verbo si fece carne, perché agli occhi degli uomini, per i quali è avvenuta tale assunzione, poté apparire la sola carne. Infatti, se è assurdo e particolarmente indegno che quell’uomo non abbia avuto uno spirito umano come prima abbiamo dimostrato, quanto più assurdo e indegno che egli non abbia avuto né spirito né anima ed abbia avuto soltanto ciò che anche nelle bestie è più vile e più basso, cioè il corpo. Dalla nostra fede dunque si escluda questa empietà, e crediamo che l’uomo intero e perfetto sia stato assunto dal Verbo di Dio.

Gesù Cristo è nato da una donna.

22. 24. Non dobbiamo prestare ascolto a coloro che dicono che nostro Signore ha avuto un corpo tale e quale apparve nella colomba, che Giovanni Battista vide discendere dal cielo e fermarsi su di Lui come segno dello Spirito Santo. Così infatti tentano di persuadere che il Figlio di Dio non è nato da una donna, perché se bisognava mostrarsi agli occhi degli uomini, dicono, poté assumere un corpo così come lo Spirito Santo. Infatti anche quella colomba non nacque da un uovo, dicono, e tuttavia poté apparire agli occhi degli uomini. A costoro bisogna rispondere, prima di tutto, ciò che ivi leggiamo che lo Spirito Santo apparve in forma di colomba a Giovanni 56, dove leggiamo che Cristo nacque da una donna 57. E non bisogna in parte credere al Vangelo e in parte non credere. Donde infatti credi che lo Spirito Santo sia apparso in forma di colomba, se non perché lo hai letto nel Vangelo? Dunque anch’io credo che Cristo sia nato da una vergine perché l’ho letto nel Vangelo. Il motivo per cui lo Spirito Santo non è nato da una colomba, come Cristo da una donna, dimostra che lo Spirito Santo non era venuto a liberare i colombi, ma a significare agli uomini l’innocenza e l’amore spirituale, che visibilmente è stato raffigurato sotto l’apparenza di colomba. Invece, nostro Signore Gesù Cristo che era venuto a liberare il genere umano e procurare la salvezza e agli uomini e alle donne, non disprezzò i primi, perché assunse il sesso maschile, né le seconde, perché nacque da una donna. A ciò poi si aggiunge un grande mistero, che, poiché per mezzo di una donna la morte era caduta su di noi, per mezzo di una donna la vita risorgesse in noi, in modo che il diavolo vinto fosse sconfitto riguardo all’una e all’altra natura, cioè femminile e maschile, poiché esso (il diavolo) si rallegrava della rovina di entrambi i sessi. Minor pena sarebbe stata per il diavolo, se ambedue i sessi fossero stati liberati in noi, senza essere stati liberati anche per mezzo di ambedue i sessi. Non vogliamo però dire che solamente Gesù Cristo abbia avuto un vero corpo, e che lo Spirito Santo sia apparso ingannevolmente agli occhi degli uomini, ma crediamo ambedue quei corpi veri corpi. Come non era necessario che il Figlio di Dio ingannasse gli uomini, così non conveniva che li ingannasse lo Spirito Santo; ma a Dio onnipotente, che creò dal nulla la creatura universale, non era difficile formare un vero corpo di colomba senza l’aiuto di altri colombi, come a Lui non fu difficile formare un vero corpo nel grembo di Maria senza seme virile: in quanto la natura corporea obbedisce al comando e alla volontà del Signore e per formare un uomo nelle viscere di una donna e per formare una colomba nello stesso mondo. Ma gli uomini stolti e gretti non credono che si possa fare da parte di Dio onnipotente quello che essi non possono fare, o che giammai videro nella loro vita.

Il Figlio di Dio ha patito per noi.

23. 25. Non dobbiamo ascoltare coloro che pertanto vogliono obbligarci ad annoverare il Figlio di Dio tra le creature, per il fatto che ha patito. Dicono infatti: se ha patito, è mutevole, e, se è mutevole, è una creatura, in quanto la sostanza divina non può essere mutevole. Anche noi conveniamo con costoro e che la sostanza divina è immutabile e che la creatura è mutevole. Ma altro è essere creatura, altro è assumere la creatura. L’Unigenito Figlio di Dio che è la Potenza e la Sapienza di Dio 58 e il Verbo per cui tutto è stato fatto59, perché non può assolutamente mutare, assunse l’umana creatura che, caduta, si degnò sollevare e, invecchiata, rinnovare. Né per la sua passione Egli è stato cambiato in peggio, ma piuttosto, mediante la risurrezione, l’ha cambiata in meglio. Né per questo si deve negare che il Verbo del Padre, cioè l’Unigenito Figlio di Dio, per cui tutto è stato fatto, sia nato ed abbia patito per noi. Infatti diciamo pure che i martiri hanno patito e sono morti per il regno dei cieli, né tuttavia le loro anime sono state uccise nella loro passione e morte. Dice infatti il Signore: Non temete quelli che uccidono il corpo ma non possono far nulla all’anima 60. Come dunque diciamo che i martiri hanno patito e sono morti nel corpo che portavano senza uccisione o morte dell’anima, così diciamo che il Figlio di Dio ha patito ed è morto nell’umanità che portava senza alcun cambiamento o morte della divinità.

Il corpo del Signore è risuscitato.

24. 26. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che il corpo del Signore non è risuscitato, tale e quale fu deposto nel sepolcro. Se non fosse stato il medesimo, Egli non avrebbe detto dopo la sua risurrezione ai discepoli: Palpate e vedete, poiché lo spirito non ha ossa e carne, come vedete che io ho 61. È infatti sacrilego credere che il Signore nostro, essendo Egli stesso la Verità, abbia mentito in qualche cosa. Né ci turbi ciò che è scritto, che a porte chiuse improvvisamente apparve ai discepoli 62 e in modo da negare che quello sia stato un corpo umano, perché vediamo che l’entrare a porte chiuse sia contro la natura di questo corpo. Tutto è possibile a Dio 63. È chiaro che camminare sulle acque 64 è contro la natura di questo corpo. E tuttavia non solo lo stesso Signore vi camminò prima della passione, ma vi fece camminare anche Pietro 65. Così dunque anche dopo la sua risurrezione fece quello che volle del suo corpo. Se poté prima della passione glorificarlo come lo splendore del sole 66, perché non avrebbe potuto anche dopo la passione portarlo a tanta sottigliezza da Lui voluta in un istante, così da poter entrare attraverso le porte chiuse?

Gesù Cristo è asceso al cielo.

25. 27. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che nostro Signore non abbia portato con sé in cielo quello stesso corpo e ricordano ciò che è scritto nell’Evangelo: Nessuno sale in cielo, se non colui che è disceso dal cielo 67, e dicono che il corpo, poiché non è disceso dal cielo, non è potuto salire in cielo. Non si rendono conto perché il corpo non è salito in cielo. Il Signore è salito; il suo corpo non è salito, ma è stato elevato in cielo, elevandolo Colui che è salito. Se, per esempio, qualcuno discende nudo da una montagna, e disceso si riveste e rivestito sale nuovamente, giustamente diciamo: nessuno sale se non chi è disceso; e non consideriamo la veste che egli ha sollevato con sé, ma noi diciamo solamente che lo stesso che si è rivestito è salito.

Gesù Cristo è assiso alla destra del Padre.

26. 28. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che il Figlio non siede alla destra del Padre. Dicono: forse che Dio Padre ha il lato destro e sinistro come i corpi? Neppure noi pensiamo questo di Dio Padre. Dio infatti non è circoscritto o limitato da alcuna forma di corpo. Ma la destra del Padre è la perpetua felicità che è promessa ai santi, come la sinistra di Lui assai giustamente è detta la miseria perpetua che è inflitta agli empi, in modo che si capisce che in Dio stesso non c’è la destra e la sinistra, ma nelle creature, nel modo come abbiamo detto. Così anche il corpo di Cristo, che è la Chiesa, dovrà essere nella stessa destra cioè nella stessa beatitudine, come dice l’Apostolo, in quanto Egli risuscitò anche noi e ci fece sedere insieme con Lui nei cieli 68. Sebbene il nostro corpo non sia ancora lì, tuttavia la nostra speranza è già di là. Perciò anche lo stesso Signore dopo la risurrezione comandò ai discepoli, che trovò mentre pescavano, di gettare le reti nella parte destra 69. Fatto ciò, presero pesci che erano tutti grandi, significando così i giusti, ai quali è promessa la destra (la felicità). Ciò significa quello che anche disse nel giudizio, che gli agnelli li avrebbe posti alla sua destra, i capretti invece alla sua sinistra 70.

Il giorno del giudizio.

27. 29. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che non verrà il giorno del giudizio e ricordano quello che nel Vangelo è scritto: "Colui che crede in Cristo non sarà giudicato; chi invece non crede in Lui è già stato giudicato" 71. Dicono: se anche colui che crede non verrà in giudizio e colui che non crede è già stato giudicato, dove sono quelli che Egli giudicherà nel giorno del giudizio? Non si rendono conto che le Scritture si esprimono in tal modo da introdurre il tempo passato al posto del futuro. Ciò che l’Apostolo disse di noi, come sopra dicemmo, non è ancora accaduto, che cioè ci ha fatto sedere insieme con Lui negli spazi celesti 72, ma poiché certissimamente avverrà, così ci è stato detto come se già sia accaduto. Così anche lo stesso Signore disse ai discepoli: Tutte le cose che ho udito dal Padre mio, le ho fatte conoscere a voi 73, e poco dopo dice: Io ho molte cose da dirvi, ma per adesso voi non le potete comprendere 74. Quale la ragione dunque per cui aveva detto: Tutte le cose che ho udito dal Padre mio le ho fatte conoscere a voi, se non perché quello che avrebbe fatto certissimamente per mezzo dello Spirito Santo, lo disse come se lo avesse già fatto? Così dunque quando sentiamo: Chi crede in Cristo non verrà in giudizio intendiamo che non verrà alla dannazione. Si dice infatti giudizio invece di dannazione, come dice l’Apostolo: Chi non mangia non giudichi colui che mangia 75, cioè non pensi male di lui. Anche il Signore dice: Non giudicate affinché non siate giudicati 76. Non infatti egli ci toglie l’intelligenza del giudizio, allorquando anche il Profeta dice: Se veramente amate la giustizia, giudicate rettamente, o figli degli uomini 77, e lo stesso Signore dice: Non giudicate secondo il vostro modo di vedere, ma giudicate con giusto giudizio 78. Ma in quel passo in cui proibisce di giudicare, ci ammonisce di non condannare alcuno il cui pensiero non ci è chiaro o non sappiamo quale sarà in futuro. Così dunque quando disse: Non verrà a giudizio, disse cioè che non verrà a condanna. Chi poi non crede, è già giudicato, volle dire che è già condannato per la prescienza di Dio, il quale sa quello che attende i non credenti.

Lo Spirito Santo.

28. 30. Non dobbiamo ascoltare quelli che dicono che lo Spirito Santo, che nel Vangelo il Signore promise ai discepoli, sia entrato o nell’apostolo Paolo o in Montano e Priscilla, come dicono i Catafrigi o in non so qual Manete o Manicheo, come affermano i Manichei. Costoro sono così ciechi che non capiscono le Scritture così manifeste; oppure tanto dimentichi della loro salvezza che non le leggono assolutamente. Chi, dopo averle lette, non capirebbe particolarmente nel Vangelo ciò che, dopo la resurrezione del Signore, è stato scritto per insegnamento del Signore: Io mando il dono promesso dal Padre mio a voi; voi dunque rimanete qui in Gerusalemme finché non sarete rivestiti di potenza dall’alto 79. E negli Atti degli Apostoli, dopo che il Signore si fu allontanato in cielo dagli occhi degli Apostoli, trascorsi dieci giorni, nel dì della Pentecoste, essi non si accorgono molto chiaramente che era venuto lo Spirito Santo; ed essendo loro a Gerusalemme, come prima li aveva esortati, li riempì, così che parlavano in più lingue. Infatti le diverse genti che erano presenti, ciascuna di quelle, che li ascoltavano, li capivano nella propria lingua 80. Ma codesti uomini ingannano quelli che, trascurando la fede cattolica e la stessa propria fede che è manifesta nelle Scritture, non vogliono imparare, e, ciò che è più grave e doloroso, vivendo con negligenza nella Chiesa cattolica, prestano attentamente l’orecchio agli eretici.

La Chiesa è universale.

29. 31. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che la santa Chiesa cattolica non è diffusa nel mondo, ma pensano cioè che fiorisce nella sola Africa, nella parte di Donato. In questo modo si dimostrano sordi contro il Profeta che dice: Tu sei mio Figlio, io oggi ti ho generato: chiedilo a me e ti darò tutte le genti come tua eredità, e i confini della terra come tuo possesso 81. E molti altri passi che sono stati scritti e nei libri dell’Antico e in quelli del Nuovo Testamento, affinché molto apertamente dichiarino che la Chiesa di Cristo è diffusa su tutta la terra. Se obiettiamo loro ciò, dicono che queste cose si erano già compiute tutte prima che ci fosse la parte di Donato, ma che poi tutta la Chiesa è perita, e pretendono che sono rimasti i resti di essa nella parte di Donato. O lingua superba e nefanda! Falso, ma vivessero in modo da custodire in seguito almeno la pace fra loro! Ora essi non si accorgono che già nello stesso Donato si è compiuto ciò che è stato detto: Con la stessa misura con cui voi misurerete, a voi sarà misurato 82. Come infatti ha tentato di dividere Cristo, così egli stesso dai suoi è diviso con scissione quotidiana. A ciò si riferisce quello che disse Cristo: Chi di spada ferirà, di spada perirà 83. La spada, che in quel passo è presa in senso peggiorativo, significa la lingua malefica e causa di discordie, con cui allora quell’infelice ha percosso ma non ucciso la Chiesa. Infatti il Signore non disse: chi ucciderà con la spada, morirà di spada; ma chi si servirà della spada, morirà di spada. Dunque egli ha percosso la Chiesa con la sua lingua litigiosa, dalla quale ora egli stesso è colpito, affinché del tutto vada in rovina e muoia. E tuttavia l’apostolo Pietro aveva pure fatto ciò non per superbia, ma per amore del Signore, sebbene per amore naturale. Pertanto, ammonito, ripose la spada. Donato, invece, neppure vinto l’ha fatto. Come quando col vescovo Ceciliano egli discusse la sua causa alla presenza dei vescovi, che egli stesso aveva richiesto, nulla poté provare di quelle cose che aveva proposto; e rimase nel suo scisma così che morì della sua stessa spada. Il popolo di lui, quando non ascolta i Profeti e l’Evangelo, in cui con somma chiarezza è scritto che la Chiesa di Cristo è diffusa tra tutte le genti, e ascolta invece gli scismatici che non cercano la gloria di Dio ma la propria, abbastanza chiaramente dimostra che è schiavo e non libero e porta tagliato l’orecchio destro. Pietro infatti, sbagliando per amore del Signore, tagliò l’orecchio destro ad un servo, non già ad un uomo libero. Da ciò è chiaro che coloro che sono feriti dalla spada dello scisma sono servi dei loro carnali desideri e non sono ancora portati nella libertà dello Spirito Santo, tanto che ormai non confidano nell’uomo e non ascoltano ciò che è destro, cioè che la gloria del Signore si è divulgata dappertutto per mezzo della Chiesa cattolica, ma ascoltano l’errore sinistro dell’umana superbia. Ma tuttavia, poiché il Signore dice nel Vangelo che, quando sarà predicato il Vangelo fra tutte le genti, verrà la fine 84; in che modo costoro dicono che ormai tutte le altre genti hanno perduto la fede e la Chiesa è rimasta nella sola parte di Donato, mentre è chiaro che, da quando questa parte è stata tagliata dall’unità, alcune genti hanno creduto e che ancora ve ne sono altre che non hanno creduto, alle quali non si cessa ogni giorno di predicare il Vangelo? Chi non si meraviglia che vi può essere qualcuno che vuol essere detto cristiano e si scaglia contro la gloria di Cristo con tanta empietà, da osare dire che tutti i popoli, i quali ancora accedono alla Chiesa di Dio e credono subito nel Figlio di Dio, vanamente agiscono perché non li battezza qualche donatista? Senza dubbio gli uomini rigetterebbero ciò e senza aspettare li abbandonerebbero, se veramente cercassero Cristo, se amassero la Chiesa, se fossero liberi, se conservassero integro il loro orecchio destro.

Nel riconciliare i peccatori la Chiesa cattolica si mostra vera madre.

30. 32. Non dobbiamo ascoltare coloro i quali, sebbene non ribattezzino alcuno, tuttavia si sono tagliati fuori dall’unità e hanno preferito piuttosto chiamarsi Luciferiani anziché Cattolici. Essi agiscono rettamente per il fatto che capiscono che il battesimo di Cristo non si deve ripetere. Si accorgono che il Sacramento della santa purificazione non trae la sua origine da nessun luogo se non dalla Chiesa cattolica; ma i tralci tagliati conservano quella forma che essi avevano ricevuto sulla stessa vigna prima di essere tagliati. Questi infatti sono coloro di cui l’Apostolo dice: Essi hanno l’apparenza della pietà, ma rinnegano la virtù di essa 85. Infatti la grande virtù della pietà è la pace e l’unità, perché Dio è uno solo. Questa virtù essi non posseggono, perché furono tagliati fuori dall’unità. Pertanto se alcuni di loro ritornano alla Chiesa cattolica, non ripetono la forma della pietà che già hanno, ma ricevono la virtù della pietà che non hanno. Con molta chiarezza l’Apostolo insegna che i rami tagliati possono di nuovo inserirsi, se non hanno perseverato nell’incredulità 86. Noi non riproviamo che i Luciferiani capiscano ciò e non ribattezzino: ma il fatto che essi stessi abbiano voluto recidersi dalla radice chi non riconosce essere una cosa detestabile? E ciò che è più grave è che quel che ad essi è dispiaciuto nella Chiesa cattolica fa parte veramente della santità cattolica. In nessun luogo infatti debbono mettersi tanto in evidenza le viscere di misericordia quanto nella Chiesa cattolica, in modo che come vera madre non insulti con la superbia i figli peccatori, né le sia difficile perdonare a quelli già corretti. Infatti non senza ragione tra tutti gli Apostoli, Pietro personifica la Chiesa cattolica: infatti a questa Chiesa sono state date le chiavi del regno dei cieli, quando furono date a Pietro 87. E quando a lui si dice, a tutti si dice: Mi ami tu? Pasci le mie pecore 88. La Chiesa cattolica dunque deve perdonare volentieri ai figli una volta corretti e confermati nella pietà; poiché vediamo che allo stesso Pietro, che la impersonava, venne concesso il perdono, e quando aveva dubitato nel mare 89, e quando per debolezza umana aveva richiamato il Signore dalla sua passione 90, e quando aveva tagliato l’orecchio del servo con la spada 91, e quando aveva negato tre volte lo stesso Signore 92, e quando infine era caduto nella simulazione superstiziosa 93; e vediamo poi che egli corretto e confermato era giunto alla gloria della passione del Signore. Pertanto dopo la persecuzione che era avvenuta per opera degli eretici ariani, dopo che la pace che la Chiesa cattolica possiede nel Signore, fu ridata dai principi secolari, molti vescovi che in quella persecuzione avevano dato il loro consenso alla perfidia degli Ariani, corretti, decisero di ritornare alla Chiesa cattolica, condannando sia ciò che avevano creduto, sia ciò che avevano finto di credere. La Chiesa cattolica ricevette costoro nel suo seno materno, come Pietro ammonito per mezzo del canto del gallo dopo il pianto della negazione, oppure come lo stesso Pietro dopo la stolta simulazione, corretto per mezzo della voce di Paolo. I Luciferiani, accogliendo con superbia la carità della madre e criticandola con empietà, poiché non si rallegrarono che Pietro si era pentito dopo il canto del gallo 94, meritarono di cadere insieme con Lucifero 95, che sorgeva insieme con l’aurora.

Il potere della Chiesa di rimettere tutti i peccati. La legittimità delle seconde nozze.

31. 33. Non dobbiamo ascoltare coloro che dicono che la Chiesa di Dio non possa rimettere tutti i peccati. Pertanto quei miseri, mentre non comprendono che la pietra è in Pietro, e non vogliono credere che le chiavi del regno dei cieli 96 furono date alla Chiesa, essi stessi le hanno perdute di mano. Costoro sono quelli che condannano come adultere le vedove, se passano a nuove nozze, e vanno dicendo che essi sono più puri della dottrina apostolica 97. Se costoro volessero conoscere il loro vero nome si chiamerebbero mondani, anziché mondi. Non volendo correggersi, infatti, se hanno peccato, nient’altro hanno scelto che dannarsi con questo mondo. A coloro ai quali negano il perdono dei peccati, essi non custodiscono quel po’ di salute, ma sottraggono la medicina agli ammalati, e costringono le loro vedove ad essere bruciate dalle passioni, non permettendo loro di risposarsi. Non si debbono ritenere più prudenti di Paolo apostolo, il quale volle piuttosto che esse si sposassero, anziché essere bruciate dalle passioni 98.

La risurrezione della carne.

32. 34. Non dobbiamo ascoltare coloro che negano la futura risurrezione della carne e si appellano a ciò che dice l’apostolo Paolo: La carne e il sangue non possederanno il regno di Dio 99, non comprendendo ciò che dice lo stesso Apostolo: È necessario che questo corpo corruttibile si rivesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si rivesta di immortalità 100. Quando ciò avverrà, non sarà più carne e sangue, ma corpo celeste. Anche il Signore promette ciò quando dice: Non si mariteranno, né prenderanno moglie, ma saranno uguali agli angeli di Dio 101. Non vivranno infatti per gli uomini ma per Iddio, quando saranno diventati uguali agli angeli. La carne e il sangue saranno cambiati e diventeranno corpo celeste e angelico. E i morti risusciteranno incorruttibili e anche noi saremo cambiati 102, in modo che è vero il fatto che la carne risorgerà, ed è anche vero il fatto che la carne e il sangue non possederanno il regno di Dio 103.

Amiamo il Cristo e sconfiggeremo il diavolo.

33. 35. Nutriti con il latte di questa semplicità e sincerità di fede, noi ci nutriamo in Cristo e quando siamo ancora piccoli non desideriamo gli alimenti dei grandi, ma cresciamo con nutrimenti molto salubri in Cristo, mentre progrediscono i buoni costumi e la giustizia cristiana, nella quale la carità di Dio e del prossimo è perfetta e ben salda; in modo che ciascuno di noi trionfi, in se stesso, nel Cristo di cui si è rivestito, sul diavolo nemico e i suoi angeli 104. La perfetta carità non ha né la cupidigia del secolo, né il timore del secolo, cioè né la cupidigia per accaparrarsi le cose temporali, né il timore di perderle. Attraverso queste due porte entra e regna il nemico, il quale deve essere cacciato prima col timore di Dio e poi con la carità. Dobbiamo pertanto desiderare una chiarissima ed evidentissima conoscenza della verità tanto più ardentemente, quanto più ci accorgiamo di progredire nella carità e avere il cuore purificato dalla sua semplicità, in quanto proprio attraverso l’occhio interiore si vede la verità: Beati i puri di cuore, dice il Signore, perché essi vedranno Dio 105. In questo modo radicati e fondati nella carità possiamo comprendere con tutti i santi quale sia la larghezza e la lunghezza e l’altezza e la profondità; sapere l’altissima scienza della carità di Cristo, per essere riempiti di tutta la pienezza di Dio 106, e dopo queste battaglie col nemico invisibile, poiché per quelli che vogliono e amano il giogo di Cristo è soave e il suo fardello è leggero 107, possiamo meritare la corona della vittoria.

Note:



1 - 2 Tm 4, 7-8.

2 - Cf. 1 Cor 1, 24.

3 - Cf. Gv 1, 1. 3.

4 - Gv 12, 31.

5 - 1 Tm 6, 10.

6 - Gv 16, 33.

7 - Col 2, 15.

8 - Gn 3, 14. 19.

9 - Mt 25, 41.

10 - Ef 6, 12.

11 - Sal 17, 14.

12 - Sal 8, 9.

13 - Mt 6, 26.

14 - Ef 6, 12.

15 - Ef 5, 8.

16 - Ef 6, 12.

17 - Ef 2, 2.

18 - Ef 6, 12.

19 - Fil 3, 20.

20 - 1 Cor 9, 26-27.

21 - 1 Cor 11, 1.

22 - 2 Cor 2, 14.

23 - Cf. Col 2, 15.

24 - Gn 1, 31.

25 - Rm 5, 3-5.

26 - 1 Cor 15, 51.

27 - 1 Cor 15, 52.

28 - Mt 10, 29.

29 - Mt 6, 26. 28.

30 - Mt 10, 30.

31 - 1 Cor 9, 9.

32 - Mt 25, 21.

33 - 2 Cor 5, 6.

34 - Cf. Sal 33, 9.

35 - Cf. 2 Cor 1, 22; 5, 5.

36 - Sal 1, 3.

37 - Sal 35, 8-10.

38 - Sal 41, 2.

39 - Rm 1, 3.

40 - Gv 1, 3.

41 - Sap 2, 23.

42 - Cf. Sap 1, 1.

43 - Gv 1, l 4.

44 - Lc 1, 32.

45 - Cf. Mt 21, 31.

46 - Is 7, 9.

47 - Cf. Rm 11, 36.

48 - Cf. 1 Cor 1, 24.

49 - Gv 1, 1. 3. 14.

50 - Mt 5, 37.

51 - 2 Cor 1, 19.

52 - Gv 1, 14.

53 - 1 Tm 2, 5.

54 - Gv 1, 1. 3.

55 - Gv 1, 14.

56 - Cf. Mt 3, 16.

57 - Cf. Mt 1, 20.

58 - 1 Cor 1, 24.

59 - Gv 1, 3.

60 - Mt 10, 28.

61 - Lc 24, 39.

62 - Cf. Gv 20, 26.

63 - Cf. Mt 9, 28.

64 - Cf. Mt 14, 25.

65 - Cf. Mt 14, 29.

66 - Cf. Mt 17, 2.

67 - Gv 3, 13.

68 - Ef 2, 6.

69 - Cf. Gv 21, 6-11.

70 - Cf. Mt 25, 33.

71 - Cf. Gv 3, 18.

72 - Ef 2, 6.

73 - Gv 15, 15.

74 - Gv 16, 12.

75 - Rm 14, 3.

76 - Mt 7, 1.

77 - Sal 57, 2.

78 - Gv 7, 24.

79 - Lc 24, 49.

80 - Cf. At 2, 1-11.

81 - Sal 2, 7-8.

82 - Mt 7, 2.

83 - Mt 26, 52.

84 - Cf. Mt 24, 14.

85 - 2 Tm 3, 5.

86 - Cf. Rm 11, 23.

87 - Cf. Mt 16, 19.

88 - Gv 21, 15.

89 - Cf. Mt 14, 30.

90 - Cf. Mt 16, 22.

91 - Cf. Mt 26, 51.

92 - Cf. Mt 26, 70-74.

93 - Cf. Gal 2, 12.

94 - Cf. Mt 26, 75.

95 - Cf. Is 14, 12.

96 - Cf. Mt 16, 19.

97 - Cf. 1 Tm 5, 14.

98 - Cf. 1 Cor 7, 9.

99 - 1 Cor 15, 50.

100 - 1 Cor 15, 53.

101 - Mt 22, 30.

102 - 1 Cor 15, 52.

103 - Cf.1 Cor 15, 50.

104 - Cf. Col 2, 15.

105 - Mt 5, 8.

106 - Ef 3, 17-19.

107 - Cf. Mt 11, 30.


Capitolo XXX: Chiedere l’aiuto di Dio, nella fiducia di ricevere la sua grazia

Libro III: Dell'interna consolazione - Tommaso da Kempis

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1. O figlio, io sono "il Signore, che consola nel giorno della tribolazione" (Na 1,7). Vieni a me, quando sei in pena. Quello che pone maggiore ostacolo alla celeste consolazione è proprio questo, che troppo tardi tu ti volgi alla preghiera. Infatti, prima di rivolgere a me intense orazioni, tu vai cercando vari sollievi e ti conforti in cose esteriori. Avviene così che nulla ti è di qualche giovamento, fino a che tu non comprenda che sono io la salvezza di chi spera in me, e che, fuori di me, non c'è aiuto efficace, utile consiglio, rimedio durevole.

Ora, dunque, ripreso animo dopo la burrasca, devi trovare nuovo vigore nella luce della mia misericordia. Giacché ti sono accanto, dice il Signore, per restaurare ogni cosa, con misura, non solo piena, ma colma.

C'è forse qualcosa che per me sia difficile; oppure somiglierò io ad uno che dice e non fa? Dov'è la tua fede? Sta saldo nella perseveranza; abbi animo grande e virilmente forte. Verrà a te la consolazione, al tempo suo. Aspetta me; aspetta: verrò e ti risanerò.

E' una tentazione quella che ti tormenta; è una vana paura quella che ti atterrisce. A che serve la preoccupazione di quel che può avvenire in futuro, se non a far sì che tu aggiunga tristezza a tristezza? "Ad ogni giorno basta la sua pena" (Mt 6,34). Vano e inutile è turbarsi o rallegrarsi per cose future, che forse non accadranno mai.

2. Tuttavia, è umano lasciarsi ingannare da queste fantasie; ed è segno della nostra pochezza d'animo lasciarsi attrarre tanto facilmente verso le suggestioni del nemico. Il quale non bada se ti illuda o ti adeschi con cose vere o false; non badare se ti abbatta con l'attaccamento alle cose presenti o con il timore delle cose future.

"Non si turbi dunque il tuo cuore, e non abbia timore" (Gv 14,27). Credi in me e abbi fiducia nella mia misericordia. Spesso, quando credi di esserti allontanato da me, io ti sono accanto; spesso, quando credi che tutto, o quasi, sia perduto, allora è vicina la possibilità di un merito più grande. Non tutto è perduto quando accade una cosa contraria. Non giudicare secondo il sentire umano. Non restare così schiacciato da alcuna difficoltà, da qualunque parte essa venga; non subirla come se ti fosse tolta ogni speranza di riemergere.

Non crederti abbandonato del tutto, anche se io ti ho mandato, a suo tempo, qualche tribolazione o se ti ho privato della sospirata consolazione. Così, infatti, si passa nel regno dei cieli. Senza dubbio, per te e per gli altri miei servi, essere provati dalle avversità è più utile che avere tutto a comando. Io conosco i pensieri nascosti; so che, per la tua salvezza, è molto bene che tu sia lasciato talvolta privo di soddisfazione, perché tu non abbia a gonfiarti del successo e a compiacerti di ciò che non sei. Quel che ho dato posso riprenderlo e poi restituirlo, quando mi piacerà. Quando avrò dato, avrò dato cosa mia; quando avrò tolto, non avrò tolto cosa tua; poiché mio è "tutto il bene che viene dato"; mio è "ogni dono perfetto" (Gc 1,17).

3.  Non indignarti se ti avrò mandato una gravezza o qualche contrarietà; né si prostri l'animo tuo: io ti posso subitamente risollevare, mutando tutta la tristezza in gaudio. Io sono giusto veramente, e degno di molta lode, anche quando opero in tal modo con te.

Se senti rettamente, se guardi alla luce della verità, non devi mai abbatterti così, e rattristarti, a causa delle avversità, ma devi piuttosto rallegrarti e rendere grazie; devi anzi considerare gaudio supremo questo, che io non ti risparmi e che ti affligga delle sofferenze.

"Come il padre ha amato me, così anch'io amo voi" (Gv 15,9), dissi ai miei discepoli diletti. E, per vero, non li ho mandati alle gioie di questo mondo, ma a grandi lotte; non li ho mandati agli onori, ma al disprezzo; non all'ozio, ma alla fatica, non a godere tranquillità, ma a dare molto frutto nella sofferenza.

Ricordati, figlio mio, di queste parole.


20 gennaio 1944

Maria Valtorta

Dice Gesù:
   «Ti voglio spiegare l’epistola e il vangelo della Messa di ieri. Ieri sera eri troppo stanca perché Io lo facessi.

   “Chi avrà perseverato sino alla fine sarà salvo” è detto[85] nel brano evangelico. E nell’epistola si dice: “Non vogliate dunque gettare la vostra fiducia, alla quale è serbata grande ricompensa. Or vi è necessaria la pazienza, affinché facendo la volontà di Dio possiate conseguire ciò che vi è stato promesso; poiché ancora un tantino, e chi ha da venire verrà e non tarderà; ma il giusto vive di fede, se però indietreggia non sarà più gradito all’anima mia”.

   Ecco, figlia. Abbi presente sempre, in questo e nei molti accasciamenti futuri, frutto tutti della anticarità che ti circonda, queste luminose parole. Sono quelle che hanno fatto la forza dei martiri dei tiranni e dei martiri dei familiari o dei superiori.

   Occorre perseverare sino alla fine, nonostante scherni, urti, pressioni, pene. Io sono il premio dato ai perseveranti. Pensa, Maria: Io, il tuo Gesù. Ma che ti saranno, allora, queste spine che ti trafiggono ora e ti fanno tanto soffrire? Un nulla, anzi più che un nulla: una gioia. Le guarderai con amore, le bacerai con riconoscenza, perché proprio per esse avrai Me sempre più potentemente.

   Ogni pena superata senza flettere è aumento di fusione in Cielo. Ricòrdatelo. Là tutto è visto in una nuova luce. Anche quelli che ora ami unicamente per amor mio, perché il loro modo di agire spingerebbe la tua umanità a non amarli, là li amerai di tuo, perché li vedrai come mezzi che ti han dato quell’infinito Tesoro che Io sono.

   L’ultima preghiera dei martiri era per i loro carnefici: perché giungessero alla Luce. L’ultima preghiera dei santi, per i loro oppressori: perché giungessero alla Carità.

   Non sai, tu non lo sai, ma Io te lo dico. Molti superiori conventuali, che un’umanità, vivente in essi nonostante la loro veste di rinuncia alla carne, portava alla superbia e perciò all’anticarità verso i loro soggetti, sono giunti al pentimento e da questo ad una rinascita spirituale, origine di una nascita al Cielo, proprio per le preghiere di un “santo” del loro dominio, il quale ricambiò le loro durezze e le loro ingiustizie con atti di soprannaturale amore, pregando e soffrendo per la redenzione di quel cuore che era per loro così poco benigno. Ora in Cielo i miei angeli mirano vicini e l’oppresso e l’oppressore, e non è l’oppressore il superiore ora, è l’oppresso, il quale come padre amoroso guarda con gioia il suo salvato, entrato nella vita eterna in grazia del suo vero amore.

   La luce di questi spiriti che hanno salvato i loro tormentatori è luce speciale e viene dal raggio del mio costato aperto[86], del mio cuore che pregò sulla croce per i suoi crocifissori, poiché quelli che pregano per chi li fa soffrire sono simili a Me che pregai per i miei carnefici.

   Fiducia in Me che vedo e pazienza verso gli altri, verso le cose che vi si accaniscono contro. La ricompensa è tale che merita ogni sacrificio. E non tarderà a venire.

   Non ti accasciare. Lascia che gli altri siano ciò che vogliono essere. Tu sii mia, e basta. Anzi prega – è la carità più grande – perché gli altri siano ciò che Io voglio che siano. E sii sempre più mia. Va’ in pace, ti benedico.»
   Qui va inserita la descrizione della visione che ha lei.

   20-1-44, alle 16

   A conforto della mia tristezza, il buon Gesù mi concede la seguente visione che mi affretto a descriverle pensando le possa far piacere.
   Assisto alla deposizione di Agnese.[87]
   Vedo un giardino di una casa patrizia. Non so se sia la casa paterna di Agnese o di altra famiglia cristiana. Del resto, ciò non ha molta importanza. Vedo, insomma, questo amplissimo giardino con viali e vialetti, aiuole, peschiere e piante d’alto fusto.
   È sera, potrei dire notte perché le ombre sono già folte. Il luogo è rischiarato da un bel chiaro di luna e da rade fiaccole o lumi che siano. Vedo le fiamme piegarsi ogni tanto al lieve vento della sera. La luna è al suo primo quarto e perciò penso siano le 20 o anche meno delle venti, perché essa si è appena alzata all’orizzonte e in gennaio essa si alza presto, specie quando è nella sua fase iniziale.
   In principio non vedo altro. Poi la scena si anima. Entrano nel giardino molte persone con lumi e torce, e la luce cresce. Sono certo cristiani e cristiane, condotti dai loro sacerdoti e diaconi al seppellimento di Agnese.
   Ad un certo momento si apre una porta della casa e appare un peristilio vivamente illuminato, certo in corrispondenza con la via, perché di fronte a questa porta – dirò così: verso l’interno – ve ne è un’altra, che pure si apre come se qualcuno avesse bussato dal di fuori, ed entra un gruppo di persone portando su una lettiga una forma avvolta in un sudario.
   Deposta la lettiga in mezzo a questo peristilio e chiusa la porta che dà sulla via, la forma viene scoperta, alzata piamente e deposta su un’altra specie di barella simile ad un lettuccio senza sponde, ricoperto di una stoffa rosso cupo ricchissima, direi trapunta a ricamo.
   Vedo che la martire è già stata lavata e composta. Non è più sangue sul suo volto e nella sua chioma, non più sulla sua veste. Devono averle messo una tunica pulita perché nessuna macchia è su essa.
   La giovinetta martire pare una statua marmorea, tanto è pallida in volto. Ma è tanto in pace. Sorride. Ha i capelli sciolti sotto il velo candido che la copre tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi lunghi capelli biondi. Un vero manto d’oro che la avvolge sino alle ginocchia. Ha le mani congiunte sul petto ed una palma fra esse. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno coperta pietosamente colle ciocche d’oro e il candido velo.
   Intorno a lei si affollano i parenti che piangono senza strepito e la baciano sulle manine ceree e sulla fronte marmorea, i familiari, i compagni di fede, i sacerdoti.
   Entra un vecchio venerando fiancheggiato da due altri. Sono tutti vestiti da romani dell’epoca. Da quanto avviene comprendo che il vegliardo è il Pontefice o un suo vicario. Ma direi il Pontefice, perché tutti si inginocchiano mentre egli entra e benedice. Anche egli si accosta alla martire e prega su lei. Poi si mette i paramenti sacerdotali e ugual cosa fanno i due diaconi che lo accompagnano e così molti dei sacerdoti sparsi fra i cristiani, e il corteo si ordina.
   Un gruppo di vergini, fra cui Emerenziana, si stringono alla barellina e la sollevano. Per quanto, vista distesa, Agnese sembri più alta di quando era viva, non deve essere soverchio il peso: è una bambina e non molto formosa. Le vergini sono tutte biancovestite e bianco velate: una siepe di gigli intorno al giglio spento coricato sulla porpora del drappo funebre. Davanti il Pontefice e i sacerdoti, preceduti e fiancheggiati da famigli con fiaccole, dietro le vergini con la martire, poi i genitori, i parenti, i cristiani, tutti con lumi, vanno per i viali del giardino, verso il luogo dove questo confina con una campagna (mi pare). Certo non vi sono altre case dopo, ma altre piante e prati.
   La scena è placida e solenne. La luna bacia la candida forma e il vento la carezza. Vedo una ciocca bionda ondeggiare lievemente sotto il soffio del vento leggero.
   I cristiani cantano a bassa voce. In principio stento a capire, forse perché sono distratta nel guardare tante cose. Poi afferro le parole della santa melodia latina e ricordo di conoscerla, non mi è nuova. Penso dove l’ho udita o letta.
   Intanto si è giunti ad una specie di pozzo, molto largo di bocca, nel quale si scende per una scaletta tagliata nel tufo o arenaria che dir si voglia. Piano piano scendono i principali personaggi e nella cavità sotterranea, che è fatta in forma circolare con molti cunicoli che sembrano appena iniziati in diverse direzioni, le voci si fanno più forti e solenni.
   Ora ricordo bene. Sono le parole[88] dell’Apocalisse, nel punto dove parlano di quel “canto” che solo potranno dire coloro che non si contaminarono sulla Terra. Ma non è detto tutto. È detto così. Lo dicevano così lentamente, quell’inno, che ho potuto trascriverlo, e poi ho guardato se la mia asineria aveva fatto molti errori latini.
   “Et vidi supra montem Sion Agnum stantem” cantavano gli uomini.
   “Et audivi vocem de caelo, tamquam vocem aquarum multarum” rispondevano le donne.
   “Sicut citharoedorum citharizantium in citharis suis”.
   “Et cantabant quasi canticum novum”.
   “Et nemo poterat dicere canticum, nisi illa 144.000 qui em­pti sunt de terra”.
   “Hi sunt qui cum mulieribus non sunt coinquinati: virgines enim sunt”.
   “Hi sequuntur Agnum, quocumque ierit”.
   “Hi empti sunt ex hominibus primitiae Deo et Agno”.
   “Sine macula enim sunt ante thronum Dei” cantavano alternativamente, un versetto gli uomini, uno le donne.
   Un’armonia celeste! Avevo le lacrime agli occhi e tuttora è in me come un fiume di dolcezza che placa tutto. La sento sopra tutti i rumori che ho attorno...
   Un ultimo saluto dei parenti e poi la salma viene sollevata e portata verso il loculo lungo e stretto scavato nell’arenaria, scavato di fianco, non per il lungo. Il Pontefice segue la deposizione con queste parole: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant [Requiescat?] in pace”.
   Una pietra viene ribattuta e fissata sull’apertura.
   La visione si cristallizza lì.
   Io mi sento in pace come fossi io pure coricata in quel piccolo loculo a fianco della dolce creatura, in attesa di risorgere con lei in Cristo dopo il martirio. Come se fossi, come lei, già uscita dai tormenti e dalle cattiverie del mondo e cantassi al suo fianco il cantico che cantano solo coloro che sono stati riscattati dalla terra.
   È pur bello morire per Gesù! È pur bello potersi dire: “Il mio dolore mi ottiene il Paradiso!”.
   Ora mi raccolgo in attesa che lei venga. Mi raccolgo nell’eco di quel dolce canto così pieno di promesse per chi ha dato se stesso al servizio dell’Agnello e lo segue in ogni sua volontà.

   Scritta nuovamente la mattina del 23, per paura di smarrimento di quei fogli staccati.[89]

   Vedo un giardino di casa patrizia. Vi sono viali, aiuole, peschiere, praticelli, piante d’alto fusto. Pare molto vasto e deve confinare con la campagna o con altri vasti giardini, come vedo poi, perché là dove finisce non vi sono case ma altri prati e piante.
   Il giardino all’inizio della visione è vuoto di persone. Lo vedo al chiarore di rade luci date da lucerne a olio o da torce messe qua e là. Vedo le fiamme rossastre che si piegano ogni tanto al vento leggero della sera. Vi è anche un chiaro di luna. Essa è alla sua fase iniziale perché lo spicchio è sottile e volto a ponente. Giudico, data la stagione e la posizione della luna, che è appena alta al limite del cielo, che siano le prime ore della notte, che di questa stagione è molto precoce.
   In un secondo tempo noto presso la casa, che pare tutta chiusa come fosse vuota, molti gruppi di uomini e donne vestiti come a quel tempo, accompagnati da altri uomini che sembrano rivestiti di speciale incarico e dignità, ai quali tutti ubbidiscono con rispetto. Comprendo che sono cristiani venuti ai funerali di Agnese.
   Molti hanno delle lucernette a olio, cosa che mi permette di vedere che ce ne sono alcuni, fra gli uomini, con capelli corti, direi rasati, e vesti corte e bigiognole, altri con chiome più curate ma sempre corte e vesti lunghe e chiare con manto di cui un lembo passa sulla testa come un cappuccio. Nelle donne pure alcune vestite dimesse e di scuro, altre in chiaro e meglio vestite; un folto gruppo è vestito di bianco, con velo bianco sul capo.
   Mentre osservo tutti questi particolari, si apre una vasta porta nella casa, nella facciata che dà sul giardino, e ne esce viva luce. Questa proviene da un peristilio vivamente illuminato. Di fronte a questa porta ve ne è un’altra, certamente sulla facciata che dà sulla via, la quale ad un certo punto viene aperta come se dal di fuori qualcuno avesse bussato.
   Entra un gruppo di persone che circondano una lettiga portata da quattro robusti uomini vestiti di color scuro (color lana bigia), i quali depongono il loro carico in mezzo al peristilio mentre la porta di casa è subito rinchiusa con cura. Quando vengono sollevate le cortine della lettiga, vedo che essa contiene un corpo steso, tutto avvolto in un sudario. Questo corpo viene pietosamente sollevato e adagiato, senza il sudario che resta nella lettiga, su una specie di barellina ricoperta di un prezioso drappo porpureo che pare ricamato a bordure come fosse un damasco. Essa era certo già preparata a ricevere il suo carico.
   Vedo la martire Agnese, irrigidita nella morte. Pare una statua di marmo candido tanto è esangue nel volto, nelle mani piccine, nei piccoli piedi calzati da sandali. È tutta vestita di bianco e con un velo candido che l’avvolge tutta. Ma il primo velo glielo fanno i suoi splendidi capelli biondi, lunghi sino al ginocchio, ora tutti sciolti come un manto d’oro. Non sono ricci, sono morbidi e appena ondati, ma tanti, tanti e bellissimi. Ella sorride come davanti ad una visione di pace. Ha le mani congiunte sul grembo e con una palma, unico ornamento, fra le dita irrigidite.
   È tutta monda. Si capisce che l’hanno detersa dal sangue e rivestita di veste pulita prima di trasportarla qui, perché non ha più sangue sul volto, fra i capelli e sulla veste. La ferita al collo non si vede. Gliel’hanno pietosamente coperta coi capelli e col velo.
   Si avvicinano a lei i parenti che la baciano piangendo sulle manine ceree e sulla fronte gelata. Ma il loro dolore è composto e dignitoso. Nessuna di quelle manifestazioni isteriche solite in quei casi. Un dolore cristiano. Dopo i parenti si affollano gli amici e fratelli di fede. Vedo Emerenziana piangente e sorridente insieme alla sorellina di latte che l’ha preceduta nella gloria. Tutti salutano la martire e pregano.
   Ho qui l’impressione, che ho dimenticato di scrivere nella prima versione, limitandomi di dirla a lei a voce, di un grande amore fra i cristiani, la sensazione di quello che sia la “comunione dei santi” così come era intesa dai primi cristiani, dai quali tanto avremmo da imparare. Essi erano venuti, sfidando ogni pericolo, a rendere onore alla martire di Cristo, a raccomandarsi a lei, già assurta al Cielo, di esser per tutti loro fonte di intercessione presso Dio nei prossimi combattimenti per la Fede, e lei mi pareva planasse già col suo spirito sui presenti, trasfondendo in essi i suoi sentimenti eroici e la sua protezione. Il Cielo e la Terra erano in comunicazione.
   In questo mentre[90] si riapre la porta esterna ed entra un vegliardo accompagnato da due uomini dai 25 ai 35 anni. Il vecchio ha un aspetto dolcemerite serio, è molto magro, direi sofferente, e pallidissimo. Deve essere persona molto influente presso i cristiani, perché al suo apparire tutti si inginocchiano ed egli passa fra due file di teste chine, benedicendo. Ho l’impressione sia un vescovo o lo stesso Pontefice.
   Si avvicina alla barella e benedice la morta e prega su lei. Poi si veste degli abiti sacerdotali (vedo il pallio,[91] non so se si dice così: è una striscia bianca che forma come un cerchio sulle spalle e sul petto e scende poi dietro e davanti in due strisce. Il tutto è ornato di piccole croci scure). Anche gli altri suoi accompagnatori si vestono mettendo le vesti dei diaconi (tunica sino al ginocchio e maniche sino a poco più su del gomito).
   Poi il corteo si ordina. Davanti il clero, ossia il vegliardo, i due diaconi e gli altri sacerdoti che prima erano sparsi fra la folla dei cristiani e che hanno messo pure loro le stole sacerdotali. Intorno ad essi si pongono uomini portanti fiaccole accese. Hanno la veste corta e scura. Direi che sono servi cristiani, perché ho l’impressione che nella casa tutti siano seguaci di Gesù. Anche intorno alla barella si fa una fila di lumi portati dalle vergini bianco-vestite e bianco-velate, una vera siepe di gigli intorno al giglio reciso. La barella viene sollevata facilmente da quattro vergini, fra cui Emerenziana. Non deve pesare molto perché, per quanto Agnese, stesa come è, sembri più alta che da viva, è sempre un’adolescente e per di più poco formosa.
   Il corteo si avvia verso la tomba per i viali del giardino. Tutti portano fiaccole o lucerne accese. E cantano. Sottovoce. Un inno pieno di dolcezza e speranza che sulle prime non riconosco. Mi pare di avere già udito quelle parole, ma non so dove. Il vento serale piega le fiamme che poi si drizzano più belle. Vedo distintamente una ciocca di capelli di Agnese, uscita da sotto al velo, che si muove sotto il sospiro della brezza. Il corteo è molto composto e pio.
   Si giunge al limite del giardino. Lì vi è una specie di pozzo dall’apertura molto larga. Una scaletta, intagliata nell’arenaria o nel tufo, porta in basso. Si scende in molti. Chi non può, resta intorno all’orlo del pozzo e canta ancora, rispondendo ai canti del basso. Nella cavità del pozzo le voci acquistano risonanza e comprendo bene di che si tratti. Sono versetti dell’Apocalisse nel punto dove parla dei vergini che seguono l’Agnello. Un versetto è cantato dagli uomini, l’altro dalle donne alternativamente e come le ho scritto nel primo racconto.
   Vedo che il pozzo è semicircolare, anzi a ferro di cavallo, e dei cunicoli partono da esso a raggiera. Così:
     


   Dove ho fatto la crocetta vi è un loculo scavato nell’arenaria. Preparato per Agnese. Il primo di questo sepolcro, futura tomba di molti martiri e catacomba. Dei cunicoli, il primo a destra dalla croce (rispetto a chi guarda, quello che io segno con un V) è il più fondo. Si addentra nella terra per un 5 o 6 metri. Mentre gli altri sono meno fondi e uno, il primo a sinistra di chi guar­da, presso la scala è appena appena iniziato.Ho l’impressione che sia un ipogeo che è appena incominciato, quasi che la morte di Agnese l’abbia trovato impreparato.
   I parenti e i più prossimi si accostano per un ultimo saluto. Poi il drappo porpureo su cui è appoggiata la martire viene alzato ai lati sulla stessa ed ella viene avvolta in questa stoffa preziosa dalla testa ai piedi.
   Il Pontefice le dà l’ultimo saluto: “Veni, sponsa Christi. Veni, Agne sanctissima. Requiescant in pace!” come se a nome della Chiesa la prendesse in consegna. E il corpo viene sollevato con devozione e deposto nel loculo, sul quale viene ribattuta una pietra che lo chiude.
   E la visione si cristallizza così.
   In me rimane la dolcezza del canto e la religiosità di tutta la scena, nei suoi particolari più minuti, in cui è palese l’unione degli antichi cristiani e il loro fervore.
   Ho scritto nuovamente questa visione per ordine di Gesù, il quale mi dice: «Questa è un’altra ragione probatoria. Solo chi ha visto una scena che lo ha fortemente colpito può, a distanza di giorni, ripeterne con esattezza il racconto.»
   Questo me lo dice questa sera, 23-1, alle 24, quando cioè io ho scritto per la causa dettami all’inizio.

   Sempre il 20-1-44, alle 23,30 da scriversi dopo la narrazione della visione.

   Dice la vergine Agnese:
   «Non guardare unicamente alla mia spoglia. Guarda piuttosto allo spirito mio, beato là dove suona quel cantico che tanto ti piace.
   Ivi sono felice. Niente più di quanto mi fu momentaneo dolore sulla Terra venne meco nella dimora dello Sposo. Ma soltanto trovai ineffabile gaudio.
   Ivi, nella luce emanante da Dio, nostra gioia, viviamo nella pace. Le armonie dei beati si intrecciano a quelle degli angeli. Tutto è luce e armonia. In alto splende la Trinità santissima e sorride la Madre di Dio.
   Ciò che sia il Paradiso non lo puoi pensare, anche se di esso hai avuto un baleno.[92] Conoscerlo in tutto il suo gaudio sarebbe morire, perché è beatitudine non sopportabile alla carne che ne muore. Dio te ne fa conoscere un saggio per incuorarti alla prova. Come a noi che soffrimmo per Lui.
   Vieni. Il dolore cessa e la gioia dura eterna. Il dolore, visto da questo luogo, è un attimo di tempo; la gloria che il dolore ci dà è eterna. Qui è Colui che ci ama e che amando non commettiamo colpa ma meritiamo premio.
   Gesù ti ha riscattata col suo amore. Amalo del tuo amore per meritare di unirti al coro che empie il beato Paradiso.»
   Dopo che lei se ne è andato, alle 18, io rimasi nella gioia di quell’armonia e di quella visione.
   Ma poi si mutò nella presenza del corpo glorificato[93] di Agnese, bellissima, bianco-vestita e dallo sguardo rapito. E mi pareva sentire due piccole mani carezzarmi dolcemente, manine di bambina. Così sono andata in sopore. Un affannoso sopore, perché i dolori tremendi (è notte fra il giovedì e venerdì) non mi dànno tregua.
   Tornata in me, mentre i miei dolori si fanno sempre più acuti, e mentre penso per sollevarli a quanto vidi, la martire giovinetta mi dice queste parole.
   Ora mi stendo sentendomela vicina a consolare il mio martirio di carne e di cuore. Soltanto lo spirito è beato. Ma suona la mezzanotte ed ha inizio il venerdì. Penso al mio Signore nel suo tragico venerdì di passione e non mi lamento di soffrire. Gli chiedo solo di sapermi far ben soffrire: per Lui e per le anime.


[85] è detto in Matteo 10, 22; 24, 13; si dice in Ebrei 10, 35-38.
[86] costato aperto, in Giovanni 19, 33-34; pregò sulla croce, in Luca 23, 34.
[87] deposizione di Agnese, il cui martirio è stato descritto il 13 gennaio.
[88] parole che sono in Apocalisse 14, 1-5. Non vi sono errori nella trascrizione del testo latino, dove il numero 144.000 va letto in lettere: centum quadragintaquattuor millia
[89] fogli staccati, consegnati a Padre Migliorini - come si legge prima della data: Qui va inserita la descrizione della visione che ha lei - ma poi inclusi nel quaderno. Sotto la stessa data del 20 gennaio riportiamo la “visione” come è stata riscritta il giorno 23, mettendo in corsivo le frasi che la scrittrice sottolinea annotando in margine: I punti sottolineati corrispondono a quelli detti a lei a voce e che, dovendo tornare a descrivere la visione, ho, secondo il suo desiderio, inseriti nel racconto.
[90] mentre è qui nel significato di momento.
[91] il pallio (nostra correzione da palio, che conferma la dichiarata incertezza della scrittrice) è una stola dalla forma particolare, che ancora oggi esprime la potestà del Pontefice. La veste dei diaconi, che la scrittrice chiama tunica, è detta più propriamente “dalmatica".
[92] hai avuto un baleno, nella visione del 10 gennaio.
[93] corpo glorificato deve intendersi spirito, come è all’inizio del “dettato” della vergine Agnese.