Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

"Se non diventerete come bambini..." Più si va avanti nella vita, più c'è il pericolo di non essere più bambini. La fede, la fede matura, ha bisogno dell'infanzia spirituale. Qui sta il pericolo per la nostra fede: diventare grandi, autosufficienti, non dipendere da Dio, non avere più bisogno della Sua grazia. Il capolavoro dell'uomo di fede è questo: il vecchio che si fa bambino. Tutto ciò non è facile e ci vorrà  forse tutta la vita per giungere a questa vittoria del bambino sull'uomo vecchio che è in noi. La nostra piccolezza ci invoglia a chiedere, a pregare, a vivere nella fiducia. La fiducia genera confidenza fino al l'intimità  più profonda. Questo è il punto più alto nel cammino di fede: placare la propria anima e abbandonarsi in Dio come bimbo sul seno della mamma. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 26° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 15

1In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero:2"Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!".3Ed egli rispose loro: "Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?4Dio ha detto:

'Onora il padre e la madre'

e inoltre:

'Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.'

5Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio,6non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione.7Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:

8'Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.'
9'Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini'".

10Poi riunita la folla disse: "Ascoltate e intendete!11Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!".
12Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: "Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?".13Ed egli rispose: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.14Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!".15Pietro allora gli disse: "Spiegaci questa parabola".16Ed egli rispose: "Anche voi siete ancora senza intelletto?17Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?18Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo.19Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultéri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.20Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo".

21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone.22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio".23Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro".24Ma egli rispose: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele".25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: "Signore, aiutami!".26Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".27"È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".28Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.

29Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là.30Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì.31E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.

32Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada".33E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?".34Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini".35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra,36Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla.37Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene.38Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.39Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.


Primo libro dei Maccabei 12

1Giònata, vedendo che le circostanze gli erano propizie, scelse uomini adatti e li inviò a Roma per ristabilire e rinnovare l'amicizia con quel popolo.2Anche presso gli Spartani e in altre località inviò lettere sullo stesso argomento.3Partirono dunque per Roma e là entrarono nel consiglio e dissero: "Giònata sommo sacerdote e il popolo dei Giudei ci hanno inviati a rinnovare la comune amicizia e l'alleanza come la prima volta".4E i Romani diedero loro lettere di raccomandazione per le autorità dei vari luoghi, perché favorissero il loro ritorno pacifico in Giudea.
5Questa è invece la copia della lettera che Giònata scrisse agli Spartani:
6"Giònata sommo sacerdote e il consiglio degli anziani del popolo e i sacerdoti e tutto il resto del popolo giudaico, agli Spartani loro fratelli salute.7Già in passato era stata spedita una lettera ad Onia sommo sacerdote da parte di Areo, che regnava fra di voi, con l'attestazione che siete nostri fratelli, come risulta dalla copia annessa.8Onia aveva accolto con onore l'inviato e aveva accettato la lettera nella quale vi erano le dichiarazioni di alleanza e di amicizia.9Noi dunque, pur non avendone bisogno, avendo a conforto le scritture sacre che sono nelle nostre mani,10ci siamo indotti a questa missione per rinnovare la fraternità e l'amicizia con voi in modo da non diventare per voi degli estranei; molti anni infatti sono passati da quando mandaste messaggeri a noi.11Noi dunque fedelmente in tutte le feste e negli altri giorni prescritti ci ricordiamo di voi nei sacrifici che offriamo e nelle nostre invocazioni, com'è doveroso e conveniente ricordarsi dei fratelli.12Ci rallegriamo della vostra gloria.13Noi invece siamo stati circondati da tante oppressioni e molte guerre: ci hanno combattuti i re dei paesi vicini,14ma non abbiamo voluto disturbare né voi né gli altri nostri alleati e amici in queste lotte:15abbiamo infatti dal cielo un valido aiuto per il quale noi siamo stati liberati dai nostri nemici ed essi sono stati umiliati.16Ora abbiamo designato Numenio figlio di Antioco e Antìpatro figlio di Giàsone e li abbiamo inviati presso i Romani a rinnovare la precedente amicizia e alleanza con loro.17Abbiamo quindi dato loro disposizioni di passare anche da voi, per salutarvi e consegnarvi la nostra lettera, riguardante la ripresa dei nostri rapporti e la nostra fraternità.18Voi dunque farete cosa ottima comunicandoci una risposta su queste cose".
19Segue ora copia della lettera che essi avevano inviato ad Onia:
20"Areo, re degli Spartani, a Onia sommo sacerdote salute.21Si è trovato in una scrittura, riguardante gli Spartani e i Giudei, che essi sono fratelli e che discendono dalla stirpe di Abramo.22Ora, dal momento che siamo venuti a conoscenza di questa cosa, ci farete cosa gradita scrivendoci sui vostri sentimenti di amicizia.23Noi intanto vi rispondiamo: I vostri armenti e i vostri averi ci appartengono e i nostri appartengono a voi. Abbiamo quindi disposto perché vi sia riferito in questo senso".
24Giònata ebbe notizia che i generali di Demetrio erano ritornati con forze più numerose di prima per ritentare la guerra contro di lui.25Egli si mosse da Gerusalemme e andò loro incontro nella regione di Amat, perché non volle dar loro il tempo di entrare nel suo paese.26Mandò nel loro campo delle spie, le quali tornarono annunciando che essi stavano disponendosi per dar loro l'assalto di notte.27Quando fu il tramonto, Giònata comandò ai suoi di vegliare tutta la notte e di stare con le armi pronte per la battaglia e dispose sentinelle intorno al campo.28Ma anche gli avversari seppero che Giònata e i suoi uomini stavano pronti per la battaglia e furon presi da timore ed esitazione d'animo e allora accesero fuochi nel loro campo.29Giònata e i suoi uomini non si accorsero di nulla fino al mattino, perché continuavano a vedere il bagliore dei fuochi.30Allora si diede a inseguire le loro tracce, ma non poté raggiungerli, perché avevano passato il fiume Elèutero.31Giònata piegò sugli Arabi chiamati Zabadei, li assalì e si impadronì delle loro spoglie.32Poi ripartì e andò a Damasco e si diede a percorrere tutto il paese.33Anche Simone fece una spedizione, marciando fino ad Ascalòna e ai vicini posti di guarnigione, poi piegò su Giaffa e se ne impadronì;34aveva sentito infatti che avevano intenzione di consegnare la fortezza ai partigiani di Demetrio; perciò vi pose una guarnigione per presidiarla.
35Quando Giònata fu di ritorno, radunò in assemblea gli anziani del popolo e deliberò con loro di costruire fortezze in Giudea,36di sopraelevare le mura di Gerusalemme e di alzare una grande barriera tra la città e l'Acra per separare questa dalla città affinché fosse isolata, così che non potessero più né comperare né vendere.37Si organizzarono dunque per ricostruire la città e poiché era rovinato parte del muro sul torrente dal lato orientale, Giònata allestì il cosiddetto Kafenata.38Simone a sua volta ricostruì Adida nella Sefela fortificandola e applicandovi porte e sbarre.
39Intanto Trifone cercava di diventare re dell'Asia, cingere la corona e stendere la mano contro il re Antioco,40ma sospettava che Giònata glielo impedisse e, nel caso, gli muovesse guerra. Perciò cercava di averlo nelle mani e di eliminarlo; si mosse dunque e venne a Beisan.41Giònata gli uscì incontro con quarantamila uomini scelti e inquadrati e venne a Beisan.42Trifone, vedendo che era venuto con numeroso esercito, si guardò bene dal mettergli le mani addosso.43Anzi lo ricevette con molti onori, lo presentò a tutti i suoi amici, gli offrì doni e ordinò ai suoi amici e alle sue truppe di obbedirgli come a lui stesso.44Disse a Giònata: "Perché mai hai disturbato tutta questa gente, non essendoci guerra tra di noi?45Su, dovresti rimandarli alle loro case; tu scegli per te pochi uomini che ti accompagnino e vieni con me a Tolemàide e io la consegnerò a te insieme con le altre fortezze e il resto dell'esercito e tutti i funzionari, poi tornerò indietro e partirò: sono venuto appunto per questo".46Giònata, fidatosi di lui, fece quanto aveva detto e rimandò le truppe che tornarono nella Giudea.47Fece rimanere tremila uomini, di cui duemila lasciò in Galilea e gli altri mille andarono con lui.48Ma quando Giònata fu entrato in Tolemàide, i cittadini chiusero le porte e si impadronirono di lui e passarono a fil di spada quanti erano entrati con lui.49Trifone mandò poi fanti e cavalli in Galilea e nella grande pianura per liquidare tutti gli uomini di Giònata.50Ma essi avevano sentito dire che Giònata era stato catturato e che era finita per lui e per quelli che erano con lui e, incoraggiatisi l'un l'altro, si presentarono inquadrati, pronti alla battaglia.51Gli inseguitori li videro decisi a difendere la loro vita e se ne tornarono.52Così tutti giunsero senza molestie in Giudea; fecero lutto per Giònata e per quelli della sua scorta e furono presi da grande timore. Tutto Israele si immerse in un lutto profondo.53Tutti i popoli intorno a loro cercarono subito di sterminarli, dicendo appunto: "Non hanno più né capo né sostegno: scendiamo ora in guerra contro di loro e cancelleremo anche il loro ricordo dagli uomini".


Sapienza 17

1I tuoi giudizi sono grandi e difficili da spiegare,
per questo le anime grossolane furono tratte in errore.
2Gli iniqui credendo di dominare il popolo santo,
incatenati nelle tenebre e prigionieri di una lunga notte,
chiusi nelle case,
giacevano esclusi dalla provvidenza eterna.
3Credendo di restar nascosti con i loro peccati segreti,
sotto il velo opaco dell'oblio,
furono dispersi, colpiti da spavento terribile
e tutti agitati da fantasmi.
4Neppure il nascondiglio in cui si trovavano
li preservò dal timore,
ma suoni spaventosi rimbombavano intorno a loro,
fantasmi lugubri dai volti tristi apparivano.
5Nessun fuoco, per quanto intenso riusciva a far luce,
neppure le luci splendenti degli astri
riuscivano a rischiarare quella cupa notte.
6Appariva loro solo una massa di fuoco,
improvvisa, spaventosa;
atterriti da quella fugace visione,
credevano ancora peggiori le cose viste.
7Fallivano i ritrovati della magia,
e la loro baldanzosa pretesa di sapienza.
8Promettevano di cacciare timori e inquietudini
dall'anima malata,
e cadevano malati per uno spavento ridicolo.
9Anche se nulla di spaventoso li atterriva,
spaventati al passare delle bestiole
e ai sibili dei rettili,
morivano di tremore,
rifiutando persino di guardare l'aria,
a cui nessuno può sottrarsi.
10La malvagità condannata dalla propria testimonianza
è qualcosa di vile
e oppressa dalla coscienza presume sempre il peggio.
11Il timore infatti
non è altro che rinunzia agli aiuti della ragione;
12quanto meno nell'intimo ci si aspetta da essi,
tanto più grave si stima l'ignoranza
della causa che produce il tormento.
13Ma essi durante tale notte davvero impotente,
uscita dai recessi impenetrabili degli inferi senza potere,
intorpiditi da un medesimo sonno,
14ora erano agitati da fantasmi mostruosi,
ora paralizzati per l'abbattimento dell'anima;
poiché un terrore improvviso e inaspettato
si era riversato su di loro.
15Così chiunque, cadendo là dove si trovava,
era custodito chiuso in un carcere senza serrami,
16fosse un agricoltore o un pastore
o un operaio impegnato in lavori in luoghi solitari,
sorpreso cadeva sotto la necessità ineluttabile,
perché tutti eran legati dalla stessa catena di tenebre.
17Il sibilare del vento,
il canto melodioso di uccelli tra folti rami,
il mormorio di impetuosa acqua corrente,
il cupo fragore di rocce cadenti,
18la corsa invisibile di animali imbizzarriti,
le urla di crudelissime belve ruggenti,
l'eco ripercossa delle cavità dei monti,
tutto li paralizzava e li riempiva di terrore.
19Tutto il mondo era illuminato di luce splendente
ed ognuno era dedito ai suoi lavori senza impedimento.
20Soltanto su di essi si stendeva una notte profonda,
immagine della tenebra che li avrebbe avvolti;
ma erano a se stessi più gravosi della tenebra.


Salmi 107

1Alleluia.

Celebrate il Signore perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
2Lo dicano i riscattati del Signore,
che egli liberò dalla mano del nemico
3e radunò da tutti i paesi,
dall'oriente e dall'occidente,
dal settentrione e dal mezzogiorno.

4Vagavano nel deserto, nella steppa,
non trovavano il cammino per una città dove abitare.
5Erano affamati e assetati,
veniva meno la loro vita.
6Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
7Li condusse sulla via retta,
perché camminassero verso una città dove abitare.
8Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
9poiché saziò il desiderio dell'assetato,
e l'affamato ricolmò di beni.

10Abitavano nelle tenebre e nell'ombra di morte,
prigionieri della miseria e dei ceppi,
11perché si erano ribellati alla parola di Dio
e avevano disprezzato il disegno dell'Altissimo.
12Egli piegò il loro cuore sotto le sventure;
cadevano e nessuno li aiutava.

13Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.
14Li fece uscire dalle tenebre e dall'ombra di morte
e spezzò le loro catene.
15Ringrazino il Signore per la sua misericordia,
per i suoi prodigi a favore degli uomini;
16perché ha infranto le porte di bronzo
e ha spezzato le barre di ferro.

17Stolti per la loro iniqua condotta,
soffrivano per i loro misfatti;
18rifiutavano ogni nutrimento
e già toccavano le soglie della morte.
19Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

20Mandò la sua parola e li fece guarire,
li salvò dalla distruzione.
21Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
22Offrano a lui sacrifici di lode,
narrino con giubilo le sue opere.

23Coloro che solcavano il mare sulle navi
e commerciavano sulle grandi acque,
24videro le opere del Signore,
i suoi prodigi nel mare profondo.
25Egli parlò e fece levare
un vento burrascoso che sollevò i suoi flutti.
26Salivano fino al cielo,
scendevano negli abissi;
la loro anima languiva nell'affanno.
27Ondeggiavano e barcollavano come ubriachi,
tutta la loro perizia era svanita.
28Nell'angoscia gridarono al Signore
ed egli li liberò dalle loro angustie.

29Ridusse la tempesta alla calma,
tacquero i flutti del mare.
30Si rallegrarono nel vedere la bonaccia
ed egli li condusse al porto sospirato.

31Ringrazino il Signore per la sua misericordia
e per i suoi prodigi a favore degli uomini.
32Lo esaltino nell'assemblea del popolo,
lo lodino nel consesso degli anziani.

33Ridusse i fiumi a deserto,
a luoghi aridi le fonti d'acqua
34e la terra fertile a palude
per la malizia dei suoi abitanti.
35Ma poi cambiò il deserto in lago,
e la terra arida in sorgenti d'acqua.

36Là fece dimorare gli affamati
ed essi fondarono una città dove abitare.
37Seminarono campi e piantarono vigne,
e ne raccolsero frutti abbondanti.
38Li benedisse e si moltiplicarono,
non lasciò diminuire il loro bestiame.
39Ma poi, ridotti a pochi, furono abbattuti,
perché oppressi dalle sventure e dal dolore.
40Colui che getta il disprezzo sui potenti,
li fece vagare in un deserto senza strade.

41Ma risollevò il povero dalla miseria
e rese le famiglie numerose come greggi.
42Vedono i giusti e ne gioiscono
e ogni iniquo chiude la sua bocca.
43Chi è saggio osservi queste cose
e comprenderà la bontà del Signore.


Geremia 46

1Parola del Signore che fu rivolta al profeta Geremia sulle nazioni.

2Per l'Egitto. Sull'esercito del faraone Necao re d'Egitto, a Càrchemis presso il fiume Eufrate, esercito che Nabucodònosor re di Babilonia vinse nel quarto anno di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda.

3Preparate scudo grande e piccolo
e avanzate per la battaglia.
4Attaccate i cavalli,
montate, o cavalieri.
Schieratevi con gli elmi,
lucidate le lance,
indossate le corazze!
5Che vedo?
Sono sbigottito,
retrocedono!
I loro prodi
sono sconfitti,
fuggono a precipizio
senza voltarsi;
il terrore è tutt'intorno.
Parola del Signore.
6Il più agile non scamperà
né il più prode si salverà.
A settentrione, sulla riva dell'Eufrate,
inciampano e cadono.
7Chi è che trabocca come il Nilo,
come un torrente dalle acque turbolente?
8È l'Egitto che trabocca come il Nilo,
come un torrente dalle acque turbolente.
Esso dice: "Salirò, ricoprirò la terra,
distruggerò la città e i suoi abitanti".
9Caricate, cavalli,
avanzate, carri!
Avanti o prodi!
uomini di Etiopia e di Put,
voi che impugnate lo scudo,
e voi di Lud che tendete l'arco.
10Ma quel giorno per il Signore Dio degli eserciti,
è un giorno di vendetta, per vendicarsi dei suoi nemici.
La sua spada divorerà,
si sazierà e si inebrierà del loro sangue;
poiché sarà un sacrificio per il Signore, Dio degli eserciti,
nella terra del settentrione, presso il fiume Eufrate.
11Sali in Gàlaad e prendi il balsamo,
vergine, figlia d'Egitto.
Invano moltiplichi i rimedi,
non c'è guarigione per te.
12Le nazioni hanno saputo del tuo disonore;
del tuo grido di dolore è piena la terra,
poiché il prode inciampa nel prode,
tutti e due cadono insieme.

13Parola che il Signore comunicò al profeta Geremia quando Nabucodònosor re di Babilonia giunse per colpire il paese d'Egitto.

14Annunziatelo in Egitto,
fatelo sapere a Migdòl,
fatelo udire a Menfi e a Tafni;
dite: "Alzati e preparati,
perché la spada divora tutto intorno a te".
15Perché mai Api è fuggito?
Il tuo toro sacro non resiste?
Il Signore lo ha rovesciato.
16Una gran folla vacilla e stramazza,
ognuno dice al vicino:
"Su, torniamo al nostro popolo,
al paese dove siamo nati,
lontano dalla spada micidiale!".
17Chiamate pure il faraone re d'Egitto:
Frastuono, che lascia passare il momento buono.
18Per la mia vita - dice il re
il cui nome è Signore degli eserciti -
uno verrà, simile al Tabor fra le montagne,
come il Carmelo presso il mare.
19Prepàrati il bagaglio per l'esilio,
o gente che abiti l'Egitto,
perché Menfi sarà ridotta a un deserto,
sarà devastata, senza abitanti.
20Giovenca bellissima è l'Egitto,
ma un tafano viene su di lei dal settentrione.
21Anche i suoi mercenari nel paese
sono come vitelli da ingrasso.
Anch'essi infatti han voltate le spalle,
fuggono insieme, non resistono,
poiché il giorno della sventura è giunto su di loro,
il tempo del loro castigo.
22La sua voce è come di serpente che sibila,
poiché essi avanzano con un esercito
e armati di scure vengono contro di lei,
come tagliaboschi.
23Abbattono la sua selva - dice il Signore -
e non si possono contare,
essi sono più delle locuste, sono senza numero.
24Prova vergogna la figlia d'Egitto,
è data in mano a un popolo del settentrione.

25Il Signore degli eserciti, Dio di Israele, dice: "Ecco, punirò Amòn di Tebe, l'Egitto, i suoi dèi e i suoi re, il faraone e coloro che confidano in lui.26Li consegnerò in potere di coloro che attentano alla loro vita, in potere di Nabucodònosor re di Babilonia e in potere dei suoi ministri. Ma dopo esso sarà abitato come in passato". Parola del Signore.

27"Ma tu non temere, Giacobbe mio servo,
non abbatterti, Israele;
poiché ecco, io ti libererò da un paese lontano
e la tua discendenza dal paese del suo esilio.
Giacobbe ritornerà e godrà in pace,
tranquillo e nessuno lo molesterà.
28Tu non temere, Giacobbe mio servo,
- dice il Signore - perché io sono con te.
Annienterò tutte le nazioni
tra le quali ti ho disperso,
ma di te non farò sterminio;
ti castigherò secondo equità,
ma non ti lascerò del tutto impunito".


Prima lettera ai Corinzi 15

1Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi,2e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano!
3Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture,4fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture,5e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici.6In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti.7Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli.8Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto.9Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio.10Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me.11Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto.
12Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti?13Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato!14Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede.15Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono.16Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto;17ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati.18E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti.19Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini.
20Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti.21Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti;22e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo.23Ciascuno però nel suo ordine: prima Cristo, che è la primizia; poi, alla sua venuta, quelli che sono di Cristo;24poi sarà la fine, quando egli consegnerà il regno a Dio Padre, dopo aver ridotto al nulla ogni principato e ogni potestà e potenza.25Bisogna infatti che egli regni finché non abbia posto tutti i nemici sotto i suoi piedi.26L'ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte,27perché 'ogni cosa ha posto sotto i suoi piedi'. Però quando dice che ogni cosa è stata sottoposta, è chiaro che si deve eccettuare Colui che gli ha sottomesso ogni cosa.28E quando tutto gli sarà stato sottomesso, anche lui, il Figlio, sarà sottomesso a Colui che gli ha sottomesso ogni cosa, perché Dio sia tutto in tutti.
29Altrimenti, che cosa farebbero quelli che vengono battezzati per i morti? Se davvero i morti non risorgono, perché si fanno battezzare per loro?30E perché noi ci esponiamo al pericolo continuamente?31Ogni giorno io affronto la morte, come è vero che voi siete il mio vanto, fratelli, in Cristo Gesù nostro Signore!32Se soltanto per ragioni umane io avessi combattuto a Èfeso contro le belve, a che mi gioverebbe? Se i morti non risorgono, 'mangiamo e beviamo, perché domani moriremo'.33Non lasciatevi ingannare: "Le cattive compagnie corrompono i buoni costumi".34Ritornate in voi, come conviene, e non peccate! Alcuni infatti dimostrano di non conoscere Dio; ve lo dico a vostra vergogna.

35Ma qualcuno dirà: "Come risuscitano i morti? Con quale corpo verranno?".36Stolto! Ciò che tu semini non prende vita, se prima non muore;37e quello che semini non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, di grano per esempio o di altro genere.38E Dio gli dà un corpo come ha stabilito, e a ciascun seme il proprio corpo.39Non ogni carne è la medesima carne; altra è la carne di uomini e altra quella di animali; altra quella di uccelli e altra quella di pesci.40Vi sono corpi celesti e corpi terrestri, ma altro è lo splendore dei corpi celesti, e altro quello dei corpi terrestri.41Altro è lo splendore del sole, altro lo splendore della luna e altro lo splendore delle stelle: ogni stella infatti differisce da un'altra nello splendore.42Così anche la risurrezione dei morti: si semina corruttibile e risorge incorruttibile;43si semina ignobile e risorge glorioso, si semina debole e risorge pieno di forza;44si semina un corpo animale, risorge un corpo spirituale.
Se c'è un corpo animale, vi è anche un corpo spirituale, poiché sta scritto che45il primo 'uomo', Adamo, 'divenne un essere vivente', ma l'ultimo Adamo divenne spirito datore di vita.46Non vi fu prima il corpo spirituale, ma quello animale, e poi lo spirituale.47Il primo uomo tratto dalla terra è di terra, il secondo uomo viene dal cielo.48Quale è l'uomo fatto di terra, così sono quelli di terra; ma quale il celeste, così anche i celesti.49E come abbiamo portato l'immagine dell'uomo di terra, così porteremo l'immagine dell'uomo celeste.50Questo vi dico, o fratelli: la carne e il sangue non possono ereditare il regno di Dio, né ciò che è corruttibile può ereditare l'incorruttibilità.
51Ecco io vi annunzio un mistero: non tutti, certo, moriremo, ma tutti saremo trasformati,52in un istante, in un batter d'occhio, al suono dell'ultima tromba; suonerà infatti la tromba e i morti risorgeranno incorrotti e noi saremo trasformati.53È necessario infatti che questo corpo corruttibile si vesta di incorruttibilità e questo corpo mortale si vesta di immortalità.

54Quando poi questo corpo corruttibile si sarà vestito d'incorruttibilità e questo corpo mortale d'immortalità, si compirà la parola della Scrittura:

'La morte è stata ingoiata per la vittoria.'
55'Dov'è, o morte, la tua vittoria?
Dov'è, o morte, il tuo pungiglione'?

56Il pungiglione della morte è il peccato e la forza del peccato è la legge.57Siano rese grazie a Dio che ci dà la vittoria per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo!58Perciò, fratelli miei carissimi, rimanete saldi e irremovibili, prodigandovi sempre nell'opera del Signore, sapendo che la vostra fatica non è vana nel Signore.


Capitolo IV: La ponderatezza nell'agire

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Non dobbiamo credere a tutto ciò che sentiamo dire; non dobbiamo affidarci a ogni nostro impulso. Al contrario, ogni cosa deve essere valutata alla stregua del volere di Dio, con attenzione e con grandezza d'animo. Purtroppo, degli altri spesso pensiamo e parliamo più facilmente male che bene: tale è la nostra miseria. Quelli che vogliono essere perfetti non credono scioccamente all'ultimo che parla, giacché conoscono la debolezza umana, portata alla malevolenza e troppo facile a blaterare. Grande saggezza, non essere precipitosi nell'agire e, d'altra parte, non restare ostinatamente alle nostre prime impressioni. Grande saggezza, perciò, non andare dietro a ogni discorso della gente e non spargere subito all'orecchio di altri quanto abbiamo udito e creduto. Devi preferire di farti guidare da uno migliore di te, piuttosto che andare dietro alle tue fantasticherie; prima di agire, devi consigliarti con persona saggia e di retta coscienza. Giacché è la vita virtuosa che rende l'uomo l'uomo saggio della saggezza di Dio, e buon giudice in molti problemi. Quanto più uno sarà inutilmente umile e soggetto a Dio, tanto più sarà saggio, e pacato in ogni cosa.


Omelia I sul Genesi

Origene - Origene

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La creazione

1. In principio Dio fece il cielo e la terra (Gen 1,1). Qual è il principio di tutte le cose, se non il nostro Signore e salvatore di tutti, Cristo Gesù, il primogenito di tutta la creazione (cfr 1 Tim 4,10; Col 1,15)? In questo principio, dunque, cioè nel suo Verbo, Dio fece il cielo e la terra, come dice anche l'evangelista Giovanni all'inizio del suo Vangelo: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto (Gv 1, 1-3). Dunque qui non parla di un qualche principio temporale, ma dice che nel principio, cioè nel Salvatore, sono stati fatti il cielo e la terra, e tutte le cose che sono state create.

La terra poi era invisibile e informe, e le tenebre erano sopra l'abisso, e lo Spirito di Dio si librava sulle acque (Gen 1,2). La terra era invisibile e informe prima che Dio dicesse: Sia la luce, e prima che dividesse la luce dalle tenebre, come mostra la successione del discorso. Poiché in quel che segue comanda che sia il firmamento e lo chiama cielo, quando giungeremo a quel punto diremo la ragione della differenza fra cielo e firmamento, e perché anche il firmamento sia stato chiamato cielo.

Ora poi dice: Le tenebre erano sopra l'abisso (Gen 1,2). Qual è l'abisso? Certamente quello nel quale staranno il diavolo e i suoi angeli (cfr Ap 9,11; 11,7; 20,3; 2 Pt 2,4; Giuda, 6). E questo è indicato in maniera molto evidente anche nel Vangelo, quando si dice del Salvatore: I demoni che scacciava lo pregavano che non comandasse loro di andare nell'abisso (Lc 8,31).

Per questo dunque Dio dissolse le tenebre, come dice la Scrittura: E Dio disse: Sia la luce; e la luce fu. E Dio vide che la luce era buona, e Dio divise la luce dalle tenebre, e Dio chiamò la luce giorno e chiamò le tenebre notte. E fu sera e fu mattina, un giorno (Gen 1, 3-5). Secondo la lettera, Dio chiama la luce giorno, e le tenebre notte. Ma secondo l'intelligenza spirituale, vediamo che cosa significhi il fatto che, quando in quell'inizio, di cui abbiamo detto sopra, Dio fece il cielo e la terra e disse anche che fosse la luce, e divise la luce dalle tenebre, e chiamò la luce giorno e le tenebre notte, e disse che fu sera e fu mattina, non disse giorno primo, ma disse: Un giorno. Il tempo, poiché non c'era ancora prima che fosse il mondo, incomincia a essere dai giorni che seguono. Infatti il secondo, il terzo, il quarto giorno, e tutti gli altri, cominciano a designare il tempo.

E Dio fece il firmamento

2. E Dio disse: Sia il firmamento in mezzo all'acqua, e divida acqua da acqua. E cosi fu; e Dio fece il firmamento (Gen 1, 6-7). Mentre già prima Dio aveva fatto il cielo, ora fa il firmamento. Infatti fece prima il cielo, di cui dice: Il cielo è mio trono (Is 66,1); poi fa il firmamento, cioè il cielo corporeo. Poiché ogni corpo è indubbiamente solido e consistente, ed è questo che divide l'acqua che è sopra il cielo dall'acqua che è sotto il cielo. Infatti, poiché tutte le cose che Dio avrebbe fatto constavano di spirito e corpo, per questo motivo si dice che in principio, e prima di tutte le cose, è stato fatto il cielo, cioè ogni sostanza spirituale, sopra la quale Dio riposa come su un trono regale. Questo cielo, poi, cioè il firmamento, è corporeo. Perciò, mentre quel primo cielo, che abbiamo detto spirituale, è la nostra anima, la quale anch'essa è spirito, cioè il nostro uomo spirituale, che vede e riconosce chiaramente Dio, questo cielo corporeo, che è chiamato firmamento, è il nostro uomo esteriore, che vede corporalmente. Come dunque il firmamento è stato chiamato cielo, poiché divide le acque che sono sopra di esso da quelle che sono sotto, così anche l'uomo, che è stato posto nel corpo, qualora sappia dividere e discernere quali sono le acque superiori, sopra il firmamento, e quali quelle sotto il firmamento, anch'egli potrà chiamarsi cielo, cioè uomo celeste, secondo la parola dell'apostolo Paolo che dice: La nostra vita è nei cieli (Fil 3, 20). Ecco dunque qual è il contenuto di queste parole della Scrittura: E Dio fece il firmamento, e divise le acque che sono sopra il firmamento da quelle che sono sotto il firmamento. E Dio chiamò il firmamento cielo, e Dio vide che era buono, e fu sera e fu mattina, secondo giorno (Gen 1, 7-8).

Ciascuno dì voi si sforzi dunque di imparare a dividere l'acqua che è sopra da quella che è sotto; affinché, conseguendo l'intelligenza dell'acqua spirituale e la partecipazione a quell'acqua che è sopra il firmamento, tragga fuori dal suo ventre fiumi di acqua viva zampillante per la vita eterna (cfr Gv 7,38; 4,14): nettamente segregato e separato dall'acqua che è sotto, cioè dall'acqua dell'abisso, nella quale si dice che sono le tenebre, nella quale abitano il principe di questo mondo, il dragone nemico e i suoi angeli, come sopra è stato indicato (cfr 1 Cor 2,6.8; Ef 2,2; Ap 20,2). E' dunque partecipando di quell'acqua superiore, della quale si dice che è sopra i cieli, che ogni fedele diventa celeste: quando cioè abbia il suo spirito nelle cose alte ed eccelse, non avendo pensieri terreni, ma interamente celesti, cercando le cose dell'alto, dove è il Cristo alla destra del Padre (Col 3,1). Allora, anch'egli sarà da Dio ritenuto degno di quella lode che qui è scritta: E Dio vide che ciò era buono. Infine, anche le cose che sono descritte nel seguito del discorso riguardo al terzo giorno, devono intendersi secondo la medesima interpretazione. Dice infatti: E Dio disse: Si raduni l'acqua che è sotto il cielo in una massa unica, ed appaia l'asciutto. E cosi fu (Gen 1,9).

Sforziamoci dunque di raccogliere l'acqua che è sotto il cielo e di rigettarla da noi, affinché, fatto questo, appaia l'asciutto, che sono le nostre opere compiute nella carne: in modo che gli uomini, vedendo le nostre opere buone, glorifichino il nostro Padre che è nei cieli (Mt 5,16). Giacché, se non separeremo da noi queste acque che sono sotto il cielo, cioè i peccati e i vizi del nostro corpo, il nostro asciutto non potrà apparire, né avere fiducia di accedere alla luce. Chiunque infatti opera il male odia la luce, e non viene alla luce [...], in modo che in essa si manifestino le sue opere, e si veda se sono state compiute in Dio (Cfr. Gv. 3, 20-21, 1, 5.9-11). E questa fiducia non ci sarà data, se non rigettando e separando da noi, come acque, i vizi del corpo, che sono la materia dei peccati. Fatto ciò, il nostro asciutto non rimarrà asciutto, come si mostra da quel che segue. Dice infatti: E si radunò l'acqua che è sotto il cielo nei suoi ammassi, ed apparve l'asciutto. E Dio chiamò l'asciutto terra, e gli ammassi delle acque chiamò mari (Gen 1,9-10). Come dunque questo asciutto, dopo aver separato da sé l'acqua, nel modo che abbiamo detto sopra, non rimase più asciutto, ma viene chiamato terra, così anche i nostri corpi, se si farà tale separazione, non rimarranno asciutto, ma si chiameranno terra, perché potranno ormai portare frutto per Dio. Giacché in principio Dio fece il cielo e la terra, e poi il firmamento e l'asciutto; e chiamò il firmamento cielo, dandogli il nome di quel cielo che aveva creato prima, e l'asciutto lo chiamò terra, per il fatto che gli dava la facoltà di portare frutti. Se dunque qualcuno, per sua colpa, rimane ancora arido, e non porta alcun frutto, ma spine e triboli, come se portasse esca per il fuoco, anch'egli, secondo quel che produce, diventa esca per il fuoco (cfr Gen. 3, 18; Eb. 6, 8; Is. 9, 18); ma se, con il suo zelo e diligenza, avendo separato da sé le acque dell'abisso, che sono i pensieri dei demoni, si è mostrato terra fruttifera, deve sperare cose simili: di essere anch'egli introdotto da Dio nella terra stillante latte e miele (cfr. Es. 3, 8; 33, 3).

La terra che produce i frutti

3. Consideriamo poi da quel che segue quali siano i frutti che Dio comanda di produrre a quella terra, cui egli stesso ha fatto grazia del nome. Dice: E Dio vide che ciò era buono, e Dio disse: Produca la terra erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro somiglianza sopra la terra. E cosi fu (Gen 1, 10-11).

Secondo la lettera sono manifesti i frutti che produce la terra, non l'asciutto; ma nuovamente rapportiamolo anche a noi. Se già siamo divenuti terra, se non siamo più asciutto, rendiamo a Dio frutti abbondanti e svariati, per avere anche noi la benedizione dal Padre che dice: Ecco l'odore del figlio mio è come l'odore di un campo rigoglioso, che il Signore ha benedetto (Gen 27,27), e si compia in noi quel che dice l'Apostolo: La terra che spesso riceve la pioggia che cade su di lei, e genera erba utile a quelli che la coltivano, riceverà benedizioni da Dio; ma quella che produce spine e triboli, è riprovata, prossima alla maledizione, e finirà nel fuoco (Eb 6, 7-8).

I semi in noi stessi

4. E la terra produsse erba da fieno, che semina seme secondo la sua specie e secondo la sua somiglianza, e alberi da frutto che fanno frutto, il cui seme in loro fa frutto, secondo la sua specie, sopra la terra. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, terzo giorno (Gen 1, 12-13). Non solo comanda alla terra di produrre erba da fieno, ma anche seme, affinché sempre possa portare frutto; e non solo comanda alberi da frutto, ma anche che fanno frutto, il cui seme è in loro, secondo la loro specie, cioè tali che sempre possano portare frutto dai semi che hanno in sé. Anche noi, dunque, dobbiamo così sia portare frutto che averne i semi in noi stessi, cioè contenere nel nostro cuore i semi di tutte le opere buone e di tutte le virtù, affinché, avendoli ben fissi nelle nostre anime, da essi ormai compiamo secondo giustizia ogni atto che ci si presenti. Questi infatti sono i frutti di quel seme, i nostri atti, che promanano dal buon tesoro del nostro cuore (cfr Lc 6,45). Se ascoltiamo sì la parola, e dall'ascolto subito la nostra terra produce l'erba, ma quest'erba, prima di giungere alla maturazione e al frutto, si dissecca, la nostra terra sarà chiamata sassosa; se invece le parole dette si radicano più profondamente nel nostro cuore, in modo da portare frutto di opere e da avere in sé i semi di quelle future, allora veramente la terra di ciascuno di noi porta frutto secondo il suo potere: quale il cento, quale il sessanta, quale il trenta per uno (cfr Mt 13, 20-23). Ma ci pare giusto e necessario dare anche l'ammonimento che il nostro frutto non abbia in alcuna parte zizzania, cioè loglio, che non sia lungo la via (cfr Lc 8,5), ma sia seminato nella via stessa, in quella che dice: Io sono la via (Gv 14,6), affinché gli uccelli del cielo (cfr Mt 13,4; Lc 8,5) non divorino i nostri frutti né la nostra vigna. Se poi qualcuno di noi avrà meritato di essere vigna, veda di non produrre spine invece di uva (cfr Is 5,6); perché altrimenti non sarà più potata, né zappata, e non sarà dato alle nubi il comando di far piovere sopra di lei, ma al contrario sarà lasciata abbandonata, cosi che crescano sopra di essa le spine (cfr Is 5, 1-7).

I luminari nel firmamento

5. Invero, dopo queste cose, il firmamento può ormai anche essere adornato di luminari. Dice infatti Dio: Ci siano luminari nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e dividano il giorno dalla notte (Gen 1,14). Come in questo firmamento, che già era stato chiamato cielo, Dio comanda che ci siano luminari, per dividere il giorno dalla notte, cosi può accadere anche a noi, se solo ci sforziamo di essere chiamati e di diventare cielo: avremo dei luminari in noi, che ci illumineranno: Cristo e la sua Chiesa. Egli infatti è la luce del mondo (Gv 8,12), che illumina anche la Chiesa della sua luce. Come infatti della luna si dice che riceve la luce dal sole, cosi che mediante essa anche la notte può essere illuminata, allo stesso modo la Chiesa, ricevuta la luce di Cristo, illumina tutti coloro che si trovano nella notte dell'ignoranza. Se uno ottiene di diventare figlio di Dio (cfr Rm 8,14), cosi da camminare nel giorno, in santità (Rm 13,13), da figlio del giorno e figlio della luce ( 1 Ts 5,5), questi è illuminato dal Cristo stesso, come il giorno dal sole.

I giorni e gli anni

6. E siano come segni per i tempi, i giorni e gli anni; e risplendano nel firmamento del cielo, per far luce sopra la terra. E cosi fu (Gen 1, 14-15). Come questi luminari visibili del cielo sono stati posti come segni per i tempi, i giorni e gli anni, per far luce dal firmamento del cielo a quanti sono sopra la terra, allo stesso modo Cristo, illuminando la sua Chiesa, dà dei segni, mediante i suoi precetti, affinché chi riceve il segno sappia come sfuggire all'ira che sta per venire (1 Ts 1,10; cfr Mt 3,7; Lc 3,7), cosi che quel giorno non lo incolga come il ladro ( 1 Ts 5,4), ma piuttosto possa giungere all'anno gradito al Signore (Is 61,2). Cristo dunque è la luce vera, che illumina ogni uomo che viene in questo mondo (Gv 1,9); illuminata dalla sua luce, la Chiesa diventa essa stessa luce del mondo, illuminando coloro che sono nelle tenebre (cfr Rm 2,19), come attesta il Cristo stesso ai suoi discepoli, dicendo: voi siete la luce del mondo (Mt 5,14). Questo mostra che Cristo è luce degli apostoli, gli apostoli luce del mondo; giacché essi, non aventi macchia o ruga o alcunché di simile, sono la vera Chiesa, come dice anche l'Apostolo: affinché egli presenti a sé gloriosa la Chiesa, non avente macchia o ruga o alcunché di simile ( Ef 5,27).

Il luminare maggiore e minore

7. E Dio fece i due grandi luminari, il luminare maggiore a governo del giorno, e il luminare minore a governo della notte, e le stelle. E Dio li pose nel firmamento del cielo, affinché facciano luce sopra la terra, e reggano il giorno e la notte, e dividano la luce dalle tenebre. E Dio vide che ciò era buono. E fu sera, e fu mattina, quarto giorno ( Gen 1, 16-19). Come si dice del sole e della luna che sono i grandi luminari nel firmamento del cielo, cosi anche in noi il Cristo e la Chiesa. Ma poiché Dio ha posto nel firmamento anche le stelle, vediamo quali siano le stelle anche in noi, cioè nel cielo del nostro cuore. Mosè è in noi una stella che fa luce e ci illumina con i suoi atti; e Abrahamo, Isacco, Giacobbe, Isaia, Geremia, Ezechiele, David, Daniele e tutti coloro dei quali la Sacra Scrittura dà testimonianza che piacquero a Dio. Come infatti una stella differisce dall'altra nella gloria cosi anche ogni santo diffonde in noi la sua luce, secondo la sua grandezza; e come il sole e la luna illuminano i nostri corpi, cosi Cristo e la Chiesa illuminano le nostre anime. Tuttavia siamo così illuminati se non siamo ciechi nell'anima: infatti, come chi è cieco negli occhi del corpo non può ricevere la luce del sole e della luna, per quanto ne sia illuminato; così anche Cristo concede la sua luce alle nostre anime, ma allora soltanto ci illuminerà, se in nessun modo lo impedisce la cecità dell'anima. Posto che questo accada, occorre in primo luogo che quelli che sono ciechi seguano il Cristo, dicendo ed esclamando: Figlio di David, abbi pietà di noi (Mt 9,27), affinché, ricevendo da lui anche la vista, possano in seguito essere irraggiati dallo splendore della sua luce.

In verità, non tutti quelli che vedono sono illuminati dal Cristo in egual maniera, ma ciascuno lo è secondo la misura con cui è capace di ricevere la forza della luce. E come gli occhi del nostro corpo non sono illuminati dal sole in egual maniera, ma, quanto più uno sarà salito in alto e avrà contemplato il suo sorgere dalla visuale di un osservatorio più elevato, tanto più riceverà del suo splendore e calore; così anche la nostra anima, quanto più in alto e in maniera sublime si sarà avvicinata al Cristo, e si sarà esposta più da vicino allo splendore della sua luce, con tanto più grande magnificenza e chiarezza sarà irraggiata dalla sua luce, come dice egli stesso per mezzo del Profeta: Avvicinatevi a me, e io mi avvicinerò a voi, dice il Signore (Zc 1,3); e dice ancora: Io sono un Dio che si avvicina, non un Dio da lontano (Ger 23,23).

Tuttavia non ci accostiamo a lui tutti allo stesso modo, ma ciascuno secondo la propria capacità (Mt 25,15). Infatti, o ci accostiamo a lui con le folle, ed egli ci ristora mediante le parabole, semplicemente perché non veniamo meno per via per i molti digiuni (cfr Mt 13,34; 15,32; Mc 8,3), ovvero sediamo ai suoi piedi sempre e incessantemente, liberi solo per ascoltare la sua parola, in nulla inquietandoci per un servizio molteplice, ma scegliendo la parte migliore, che non ci sarà tolta (cfr Lc 10, 39-42).

Certamente, coloro che cosi accedono a lui, ottengono molto di più della sua luce. Se, come gli apostoli, non ci allontaniamo da lui in nulla, ma restiamo sempre con lui in tutte le sue tribolazioni (Lc 22,28), allora, in segreto, egli ci spiega e chiarisce le cose che ha detto alle folle, e ci illumina molto più chiaramente (Mc 4,34).

Se poi uno è tale da potere anche salire con lui sul monte, come Pietro, Giacomo e Giovanni (cfr Mt 17,1-8 e par.), questi sarà illuminato non solo dalla luce di Cristo, ma anche dalla voce del Padre suo.

Rettili e volatili

8. E Dio disse: Producano le acque rettili di anime vive, e volatili volanti sopra la terra, lungo il firmamento del cielo. E cosi fu (Gen 1,20). Secondo la lettera, per il comando di Dio sono prodotti dalle acque rettili e volatili, e impariamo da chi sono state fatte le cose che vediamo; ma consideriamo come queste stesse cose avvengano nel firmamento del nostro cielo, cioè nella solidità della nostra anima e del nostro cuore. Ritengo che, se la nostra anima sarà illuminata dal nostro sole, il Cristo, in seguito verrà il comando dì produrre dalle acque che sono in lei rettili e volatili volanti, cioè di far emergere in piena luce i pensieri buoni e i pensieri cattivi, affinché vi sia il discernimento fra quelli buoni e quelli cattivi, che, entrambi, procedono dal cuore (cfr Gv 3, 20-21; Ef 5,13; Mc 7, 20-23).

Infatti dal nostro cuore emergono, come da acque, pensieri buoni e cattivi. Ma noi, per la parola e il comando di Dio, portiamoli, gli uni e gli altri, al cospetto e al giudizio di Dio, affinché, illuminati da lui, possiamo discernere il bene dal male, cioè separiamo da noi le cose che strisciano sulla terra e arrecano sollecitudini terrene; ma le cose migliori, cioè i volatili, lasciamoli volare non solo sopra la terra, ma anche lungo il firmamento del cielo; e questo, affinché consideriamo a fondo in noi il significato e la natura delle cose terrene e di quelle celesti, e possiamo anche comprendere quali, fra i rettili, siano in noi nocivi.

Se abbiamo guardato una donna con concupiscenza (Mt 5,28), ciò è in noi un rettile velenoso; ma se in noi ci sono sensi casti, anche se la padrona egiziana si innamora di noi, diventiamo uccelli e, lasciando in sua mano le vesti di Egitto, voleremo via dalle insidie oscene (Gen 39,7 ss.).

Se in noi c'è un istinto che ci eccita al furto, è un rettile pessimo; ma se c'è la inclinazione, pur avendo solo due monetine, a offrirle nel tesoro di Dio (Lc 21,2) per avere misericordia, questa inclinazione è uccello che non pensa per nulla alle cose terrene, ma tende, col volo, al firmamento del cielo.

Se ci viene un pensiero che ci persuade che non dobbiamo sopportare i tormenti del martirio, è un rettile velenoso; ma se ci sale [in cuore] il pensiero e la volontà di combattere per la verità fino alla morte, questo è uccello che si stacca dalla terra al cielo.

Allo stesso modo, anche riguardo alle altre specie di peccati o virtù, dobbiamo provare e discernere quali siano i rettili e quali i volatili che si comanda alle nostre acque di produrre per il discernimento al cospetto di Dio.

Cetacei ed animali

9. E Dio fece i grandi cetacei, e ogni anima di animali che strisciano, che le acque fecero uscire secondo la loro specie, e ogni volatile pennuto secondo la sua specie (Gen 1,21).

Pure riguardo a queste cose, dobbiamo fare la stessa considerazione espressa riguardo alle cose precedenti, che dobbiamo produrre anche grandi cetacei e animali che si muovono secondo la loro specie. Ritengo che in questi grandi cetacei siano indicati i pensieri empi e i sentimenti scellerati contro Dio. E nondimeno tutte queste cose si devono produrre al cospetto di Dio, e porre davanti a lui, per dividere e separare il bene dal male, affinché ogni cosa riceva dal Signore il suo posto, come si mostra nel seguito del discorso.

Crescete e moltiplicatevi

10. E Dio vide che erano cose buone, e le benedì dicendo: crescete e moltiplicatevi, e riempite le acque che sono nel mare, e si moltiplichino i volatili sopra la terra. E fu sera e fu mattina, quinto giorno (Gen 1, 21-23). Comanda dunque che i grandi cetacei e ogni animale che ha vita e si muove, che le acque produssero, dimorino nel mare, dove abita anche quel dragone, che Dio ha plasmato perché ci si diverta (Sal 104[103], 26).

Comanda poi che si moltiplichino gli uccelli sopra la terra, che un tempo fu l'asciutto, ma ormai è chiamata terra, come sopra abbiamo spiegato.

Ma uno potrebbe chiedere come mai i grandi cetacei e i rettili siano interpretati in male, e i volatili in bene, dal momento che di tutti è stato detto: E Dio vide che erano cose buone. Proprio le cose che si oppongono ai santi sono bene per loro, perché, una volta che le hanno vinte, essi diventano più gloriosi presso Dio. Così, quando il diavolo chiese che gli fosse dato potere contro Giobbe, attaccando battaglia da nemico, questo gli fu motivo di duplice gloria dopo la vittoria; lo mostra il fatto che ricevette al doppio i beni che aveva perduto nel presente, per riceverli senza dubbio allo stesso modo anche in cielo (Gb 1,9 s.; 42,10).

Dice l'Apostolo: Nessuno riceve la corona, se non chi ha lottato secondo le regole (2 Tm 2,5). Invero, come ci sarebbe lotta, se non ci fosse chi resiste? Non si riconoscerebbe quanto sia grande la bellezza e lo splendore della luce, se non l'interrompesse l'oscurità della notte. Come si loda la castità degli uni, se non perché si condanna l'impudicizia di altri? Come si esalterebbero gli uomini forti, se non ci fossero dei deboli e vili? Se prendi qualcosa d'amaro, il dolce attira lodi maggiori; se guardi il nero, ti apparirà più gradevole il chiaro: in breve, dalla considerazione del male, risulta più luminosa la bellezza del bene. Per questo, di tutte queste cose la Scrittura dice: E Dio vide che erano buone.

Perché non è scritto: e Dio disse che erano buone, ma: Dio vide che erano buone? Vide cioè la loro utilità, e il motivo per cui, pur essendo tali di per sé, potevano tuttavia rendere ottimi i buoni. Per questo, dunque, disse: Crescete e moltiplicatevi, e riempite le acque che sono nel mare, e si moltiplichino i volatili sopra la terra, affinché, come sopra abbiamo detto, nel mare ci fossero i grandi cetacei e i rettili, e sopra la terra i volatili.

Tutte le cose visibili fatte mediante il Verbo

11 E Dio disse: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e bestie della terra secondo la loro specie. E cosi fu. E Dio fece le bestie della terra secondo la loro specie, e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che erano cose buone (Gen 1, 24-25).

Secondo la lettera non c'è alcun problema: infatti si dice in maniera chiara che sono stati creati da Dio animali, quadrupedi, bestie, serpenti, sopra la terra; ma non è cosa inutile applicare queste cose a quanto abbiamo esposto sopra, secondo l'intelligenza spirituale. Là è stato detto: Producano le acque rettili di anime vive, e volatili volanti sopra la terra, lungo il firmamento del cielo (Gen 1,20); qui dice: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie; quadrupedi e rettili e bestie della terra secondo la loro specie. Riguardo a quel che è prodotto dalle acque, abbiamo detto che è da intendersi come i movimenti e i pensieri della nostra anima, che sono prodotti dal profondo del cuore; ma ora le parole: Produca la terra animali viventi secondo la loro specie, quadrupedi, rettili, bestie sopra la terra secondo la loro specie, penso indichino le passioni del nostro uomo esteriore, carnale e terreno. Così non ha indicato alcun volatile, parlando di queste cose della carne, ma solo quadrupedi, rettili e bestie della terra; e, secondo quel che dice l'Apostolo, che nella mia carne non dimora il bene (Rm 7,18), e la sapienza della carne è nemica di Dio (Rm 8,7), queste sono le produzioni della terra, cioè della nostra carne, riguardo alle quali insegna ancora l'Apostolo: Mortificate le vostre membra che sono sulla terra: fornicazione, impurità, impudicizia, avarizia, idolatria, e le altre cose (Col 3,5).

Mentre dunque erano fatte tutte queste cose visibili, per il comando di Dio, mediante il suo Verbo, e si andava formando questo immenso mondo visibile, si mostrava anche insieme, mediante la figura dell'allegoria, quali cose potevano adornare il mondo più piccolo, cioè l'uomo: allora, ecco, l'uomo stesso è creato, secondo quanto è mostrato in seguito.

Facciamo l'uomo

12. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, e abbia il dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo, sugli animali, sulla terra intera, e su tutte le creature che strisciano sopra la terra (Gen 1,26). Secondo quanto abbiamo spiegato sopra consegue che un uomo tale, quale lo abbiamo descritto, vuole esercitare il dominio sulle bestie già menzionate, sugli uccelli, rettili, quadrupedi, e su tutti gli altri; e abbiamo spiegato in qual modo queste cose si devono intendere allegoricamente, quando abbiamo detto che all'acqua, cioè alla sua anima, si comanda di produrre sentimenti spirituali, e alla terra di far scaturire sentimenti carnali, affinché l'anima li domini, e non sia da essi dominata.

Dio infatti vuole che l'uomo, questa grande opera di Dio (Ef 2,10), per il quale anche il mondo intero è stato creato, non solo sia immacolato e immune dalle cose dette sopra, ma anche le domini.

Consideriamo ormai, dai discorsi stessi della Scrittura, quale sia l'uomo.

Tutte le altre creature divengono per un comando di Dio, poiché dice la Scrittura: E Dio disse: Sia il firmamento; e Dio disse: Si raduni l'acqua che è sotto il cielo in una massa unica ed appaia l'asciutto; e Dio disse: Produca la terra erba da fieno (cfr Gen 1,6; 1,9; 1,11); dice cosi anche negli altri casi. Ma vediamo quali sono le cose che ha fatto Dio stesso, e da queste riconosciamo quale sia la grandezza dell'uomo.

In principio Dio fece il cielo e la terra; parimenti:

E fece i due grandi luminari (cfr Gen 1,1; 1,16); e ora di nuovo: Facciamo l'uomo. Solo in questi casi l'opera è attribuita direttamente a Dio, non negli altri; solamente del cielo e della terra, del sole, della luna e delle stelle, e ora dell'uomo, si dice che sono stati fatti da Dio; di tutte le altre cose, che sono state fatte per suo comando. Da ciò dunque considera quanta sia la grandezza dell'uomo, che viene eguagliato a elementi così grandi ed eminenti, che ha la gloria del cielo, per cui anche gli viene promesso il regno dei cieli (cfr Mt 5,3 ss.), che ha anche la gloria della terra, dal momento che spera di entrare in una terra buona, la terra dei vivi, stillante latte e miele (cfr Es 33,3), che ha la gloria del sole e della luna, avendo la promessa di risplendere come il sole nel regno di Dio (Mt 13,43).

L'uomo immagine di Dio

13. Vedo ancora più eminente nella condizione dell'uomo quel che non trovo detto altrove: E Dio fece l'uomo, lo fece a immagine di Dio (Gen 1,27). Questo non lo troviamo attribuito nè al cielo, nè alla terra, nè al sole, nè alla luna, e quindi questo uomo, che dice fatto a immagine di Dio, non lo intendiamo in quanto corporeo: giacché non la figura del corpo contiene l'immagine di Dio, nè è detto dell'uomo corporeo che è stato fatto, bensì plasmato, come sta scritto in seguito.

Dice infatti: E Dio plasmò l'uomo, cioè lo modellò, dal fango della terra (Gen 2,7); questo poi, che è stato fatto ad immagine di Dio, è il nostro uomo interiore, invisibile, incorporeo, incorruttibile, immortale: in tali aspetti, infatti, si vede più convenientemente l'immagine di Dio.

Se invero qualcuno ritiene che sia stato fatto ad immagine e somiglianza di Dio questo uomo corporeo, sembra indurre che Dio stesso sia corporeo e di forma umana: concetto di Dio manifestamente empio. Quindi questi uomini carnali, che non hanno l'intelligenza della divinità, se in qualche luogo leggono nelle Scritture, riguardo a Dio, che il cielo è mio trono, e la terra sgabello dei miei piedi (Is 66,1), immaginano che Dio abbia un corpo così grande, da pensarlo assiso in cielo e che arriva coi piedi fino a terra. Hanno questa opinione, perché non hanno orecchie tali da poter degnamente ascoltare, riguardo a Dio, le parole di Dio, che riferisce la Scrittura.

Infatti la parola: Il cielo è mio trono, la si intende degnamente di Dio, quando si sappia che Dio ha riposo e dimora in coloro la cui vita è nei cieli (Fil 3,20); mentre in coloro che ancora conducono una vita terrena, si trova la parte estrema della sua provvidenza, il che è indicato allegoricamente nel nome di piedi. Che se per caso alcuni di questi mostrano zelo e desiderio di diventare celesti per la perfezione della vita e l'elevatezza dell'intelligenza, anch'essi diventano trono di Dio, fatti in anticipo celesti per il servizio e la vita; sono essi che dicono: Ci ha risuscitati con il Cristo, e ci ha fatti consedere nelle sedi celesti (Ef 2,6).

Ma anche quelli, il cui tesoro è nel cielo (Mt 19,21) possono essere detti celesti e trono di Dio, poiché il loro cuore è là dove è il loro tesoro (Lc 12,34); e Dio non solo riposa sopra di loro, ma anche abita in loro.

Se invero uno può diventare tanto grande da poter dire: Cercate la prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13,3), in lui Dio non solo abita, ma si muove.

Per questo tutti i perfetti, fatti celesti, anzi divenuti cieli, narrano la gloria di Dio, come dice il salmo (19[18],2); per questo infine anche gli apostoli, che erano cieli, sono mandati a narrare la gloria di Dio, e ricevono il nome di Boanerges, cioè figli del tuono (Mc 3,17), affinché crediamo che essi sono veramente cieli per il potere dei tuono.

Dunque Dio fece l'uomo, lo fece a immagine di Dio (Gen 1,27). Bisogna che noi vediamo qual è questa immagine di Dio, e ricerchiamo a somiglianza della immagine di chi sia stato fatto l'uomo. Infatti non ha detto: Dio fece l'uomo a sua immagine e somiglianza, ma lo fece a immagine di Dio.

Qual è dunque l'altra immagine di Dio, a somiglianza della quale immagine è stato fatto l'uomo, se non il nostro Salvatore? Egli è il primogenito di tutta la creazione (Col 1,15); di lui è stato scritto che è splendore della luce eterna, e figura chiara della sostanza di Dio (Eb 1,3), lui, che anche dice di sé: Io sono nel Padre e il Padre è in me, e: Chi ha visto me, ha visto anche il Padre (Gv 14,10.9).

Infatti, come chi vede l'immagine di qualcuno, vede colui, del quale è l'immagine, così anche mediante il Verbo di Dio (Gv 1,1), che è l'immagine di Dio, si vede Dio. Così si avvera quel che ha detto: Chi ha visto me, ha visto anche il Padre.

Dunque l'uomo è stato fatto a somiglianza dell'immagine di lui, e per questo il nostro Salvatore, che è l'immagine di Dio, mosso da misericordia per l'uomo, che era stato fatto a somiglianza di lui, vedendo che, deposta la sua immagine, aveva rivestito l'immagine del maligno, mosso da misericordia, assunta l'immagine dell'uomo, venne a lui, come attesta anche l'Apostolo, dicendo: Essendo nella forma di Dio, non considerò rapina l'essere eguale a Dio, ma annientò se stesso, assumendo la forma dello schiavo, e, ritrovato nel sembiante come uomo, umiliò se stesso fino alla morte (Fil 2, 6-8).

Quanti dunque accedono a lui, e si sforzano di diventare partecipi dell'immagine spirituale, mediante il loro progresso, si rinnovano ogni giorno, secondo l'uomo interiore (2 Cor 4,16) a immagine di colui che li ha fatti; cosi da poter diventare conformi al corpo del suo splendore (Fil 3,21), ma ognuno a misura delle proprie forze.

Gli apostoli si trasformarono, a somiglianza di lui, fino al punto che egli disse di loro: Vado al Padre mio e Padre vostro, Dio mio e Dio vostro (Gv 20,17). Già egli stesso aveva pregato il Padre per i suoi discepoli, che fosse resa loro la primitiva somiglianza, quando dice: Padre, concedi che, come io e tu siamo uno, così anch'essi siano uno in noi (cfr Gv 17, 21-22).

Dunque guardiamo sempre questa immagine di Dio, per poter essere trasformati a sua somiglianza.

Se infatti l'uomo, fatto a immagine di Dio, guardando - contro natura - l'immagine del diavolo, è diventato per il peccato simile a lui, molto di più, guardando l'immagine di Dio, a somiglianza della quale è stato fatto da Dio, mediante il Verbo e la potenza di lui, riceverà quella forma [di lui], che gli era stata data per natura. E nessuno, vedendo che la sua somiglianza è più col diavolo che con Dio, disperi di potere di nuovo ricuperare la forma dell'immagine di Dio, poiché il Salvatore non è venuto a chiamare a penitenza i giusti, ma i peccatori (Lc 5,32; Mt 9,13). Matteo era pubblicano, e certamente la sua immagine era simile al diavolo, ma, venendo alla immagine di Dio, il Signore e Salvatore nostro, e seguendola, si trasformò a somiglianza della immagine di Dio. Giacomo, figlio di Zebedeo, e Giovanni, suo fratello, erano pescatori (cfr Mt 4,21.18), e uomini illetterati (Atti 4,13), e certo allora avevano più somiglianza con l'immagine del diavolo, ma, seguendo anch'essi 1'immagine di Dio, divennero simili ad essa, come anche gli altri apostoli. Paolo era persecutore dell'immagine stessa di Dio (1 Tim 1,13); ma appena poté scorgerne la grazia e la bellezza, vedutala, fu trasformato a tal punto a somiglianza di essa, da dire: Cercate la prova del Cristo che parla in me? (2 Cor 13,3).

Maschio e femmina li fece

14. Maschio e femmina li fece, e li benedì Dio, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e dominate su di essa (Gen 1,27-28). Sembra conveniente, in questo punto, ricercare, secondo la lettera, come, non essendo ancora stata fatta la donna, la Scrittura dica: Li fece maschio e femmina. Forse, penso io, a motivo della benedizione, con cui li ha benedetti, dicendo: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, prevenendo quel che sarebbe accaduto, dice: Maschio e femmina li fece, giacché in verità l'uomo non poteva crescere e moltiplicarsi, se non con la donna. Dunque, affinché si credesse che la sua benedizione senza dubbio si sarebbe attuata, dice: Maschio e femmina li fece.

In questo modo l'uomo, vedendo che il crescere e moltiplicarsi conseguiva dal fatto che gli veniva unita la donna, poteva avere una speranza più sicura nella benedizione divina. Infatti, se la Scrittura avesse detto: Crescete e moltiplicatevi, e riempite la terra, e dominate su di essa, non aggiungendo: Maschio e femmina li fece, [l'uomo] sarebbe stato per lo meno incredulo alla benedizione divina, come anche Maria, alla benedizione con cui veniva benedetta dall'angelo dice: Come lo saprò? poiché non conosco uomo (Lc 1,34)

O forse: poiché di tutte le cose fatte da Dio si dice che sono congiunte e unite, come cielo e terra, sole e luna; così dunque, per mostrare come anche l'uomo sia opera di Dio, e sia stato creato con armonia e unione adeguata, dice, prevenendo: Maschio e femmina li fece.

Abbiamo detto ciò riguardo al problema che può essere suscitato dalla lettera.

Lo spirito e l'anima dell'uomo

15. Ma vediamo anche secondo l'allegoria come l'uomo sia stato fatto maschio e femmina, a immagine di Dio.

Il nostro uomo interiore consta di spirito e anima: si dice maschio lo spirito, l'anima si può denominare femmina; se essi hanno mutua concordia e consenso, unendosi scambievolmente, crescono e si moltiplicano, e generano figli: i buoni sentimenti, le idee e i pensieri utili, mediante i quali riempiono la terra e la dominano; cioè, assoggettato a sé il sentimento della carne, lo volgono a migliori disposizioni, e lo dominano, s'intende quando in nulla la carne insolentisce contro il volere dello spirito.

Invero, se l'anima, congiunta allo spirito, e, per cosi' dire, a lui coniugalmente unita, ora si volge ai piaceri del corpo e piega il suo sentire ai godimenti carnali, e ora sembra obbedire ai salutari ammonimenti dello spirito, ora cede ai vizi della carne: un'anima siffatta, come contaminata dall'adulterio col corpo, non si può dire che cresca e si moltiplichi legittimamente, poiché la Scrittura designa come imperfetti i figli degli adulteri (cfr Sap 3,16). Infatti un'anima simile, la quale, lasciata da parte l'unione con lo spirito, si prostra tutta al sentire della carne e ai desideri del corpo, come distoltasi da Dio spudoratamente, si sentirà dire che: La faccia ti è diventata faccia di meretrice, senza pudore ti sei resa per tutti (Ger 3,3). Dunque sarà punita come meretrice, e si comanda che i suoi figli siano preparati per il massacro (Is 14,21).

I santi e i peccatori

16. E dominate sui pesci del mare, e sui volatili del cielo, e sui giumenti, e su tutti [gli animali] che sono sopra la terra, e sui rettili che strisciano sopra la terra (Gen 1,28).

Abbiamo già interpretato queste cose secondo la lettera, avendo detto che Dio disse: Facciamo l'uomo, e il resto, quando dice: E domini sui pesci del mare e sui volatili del cielo (Gen 1,26), e le altre cose.

Ma secondo l'allegoria, mi sembra che nei pesci, nei volatili, negli animali e rettili della terra, siano indicate le cose, delle quali non senza motivo abbiamo sopra parlato, cioè, o le cose che procedono dal sentire dell'anima e dalla riflessione del cuore, o quelle che scaturiscono dai desideri del corpo e dai movimenti della carne. Invero i santi, conservando in sé stessi la benedizione di Dio, dominano queste cose, muovendo tutto l'uomo secondo il volere dello spirito; invece i peccatori sono piuttosto dominati da queste stesse cose, che scaturiscono dai vizi della carne e dai piaceri del corpo.

Le passioni del corpo

17. E Dio disse: Ecco, vi ho dato ogni erba seminale, che semina il seme che è sopra tutta la terra, e ogni albero che ha in sé frutto di seme seminale: saranno di cibo a voi, a tutte le bestie della terra, a tutti i volatili del cielo, e a tutti i rettili che strisciano sulla terra, che hanno in sé anima di vita (Gen 1, 29-30).

Il contenuto letterale di questo discorso indica chiaramente che in principio fu permesso da Dio che si usassero come cibo erbe, cioè legumi e frutti degli alberi; in seguito, con l'alleanza fatta con Noè dopo il diluvio, è data agli uomini facoltà di cibarsi di carni (cfr Gen 9,3 ss). Ne spiegheremo più rettamente i motivi nei punti propri.

Secondo l'allegoria, peraltro, nell'erba della terra e nei suoi frutti, accordati come cibo agli uomini, possono intendersi le passioni del corpo: a mo' di esempio, l'ira e la concupiscenza sono germi corporali; i frutti, ossia le opere, di tali germi, sono comuni a noi, esseri razionali, e alle bestie della terra.

Infatti, quando ci adiriamo per la giustizia, cioè per castigare chi pecca e correggerlo a salvezza, ci cibiamo di questo frutto della terra, e l'ira del corpo, mediante la quale reprimiamo il peccato, ristabiliamo la giustizia, diviene nostro cibo.

E perché non ti sembri che noi traiamo queste considerazioni dal nostro sentire piuttosto che dall'autorità della divina Scrittura, ritorna al libro dei Numeri, e ricorda quel che fece il sacerdote Finees, il quale, avendo veduto una meretrice della gente di Madian aderire con amplesso impuro a un uomo di Israele, sotto gli occhi di tutti, riempito dall'ira dello zelo divino, afferrata una spada, li trapassò entrambi nel petto (Num 25, 7-8); questo atto gli fu computato da Dio a giustizia, poiché il Signore dice: Finees ha placato il mio furore, e gli sarà computato a giustizia (cfr Num 25, 11-13; Sal 106 [105], 30-31)

Dunque, questo cibo terreno dell'ira, diventa nostro cibo, quando ne usiamo spiritualmente per la giustizia. Se invece si produce l'ira in maniera non spirituale, tale da castigare gli innocenti e da ribollire contro coloro che non peccano in nulla, questo sarà il cibo delle bestie della campagna, dei serpenti della terra e degli uccelli del cielo. Infatti di questi cibi si nutrono anche i demoni, che si pascono delle nostre cattive azioni e le favoriscono.

Dimostrazione di un'opera siffatta è Caino, che, adirato per la gelosia, ingannò il fratello innocente (Gen 4,8).

Similmente dobbiamo pensare anche riguardo alla concupiscenza, e alle singole passioni di tal genere.

Infatti, quando l'anima nostra brama e viene meno per il Dio vivente (Sal 84[83],3), la concupiscenza è nostro cibo; ma quando guardiamo con concupiscenza la donna d'altri, o bramiamo qualcosa del prossimo (cfr Mt 5,28; Es 20,17), la concupiscenza diventa cibo bestiale; può servire di esempio la concupiscenza di Acab e l'azione di Gezabele riguardo alla vigna di Nabot di Iezreel (cfr 1 Re, 21).

Certamente è da considerarsi la prudenza della Sacra Scrittura anche nell'uso delle parole; avendo essa detto, riguardo agli uomini, che Dio disse: Ecco vi ho dato ogni seme seminale, che è sopra la terra, e ogni albero, che è sopra la terra: vi sarà di cibo (Gen 1,29); riguardo alle bestie non ha detto: Diedi loro tutte queste cose in cibo, ma: Sarà loro di cibo (Gen 1,30), affinché, secondo il senso spirituale che abbiamo esposto, si comprenda che queste passioni sono state date da Dio all'uomo, e che tuttavia Dio predice che saranno anche cibo per le bestie della terra.

Dunque la divina Scrittura ha usato una parola prudentissima; essa infatti afferma che Dio dice agli uomini: Vi ho dato queste cose in cibo, ma quando poi passa alle bestie, dice con un significato non più di comando, ma di predizione, che queste cose saranno di cibo anche per le bestie, gli uccelli, i serpenti.

Ma noi, secondo la parola dell'apostolo Paolo, prestiamo attenzione alla lettura, per potere, come egli stesso dice, ricevere il sentimento di Cristo (1 Cor 2,16), e conoscere le cose che ci sono state donate da Dio (1 Cor 2,12), e, delle cose che sono state date a noi per cibo, non facciamo cibo di porci o di cani (cfr Mt 7,6), ma formiamole tali in noi, da essere degni di ricevere, nella dimora del nostro cuore, il Verbo e Figlio di Dio che viene con il Padre suo e vuole abitare presso di noi nello Spirito Santo (Gv 14,23), del quale prima dobbiamo essere tempio per la santità (1 Cor 6,19).

A lui gloria per gli eterni secoli dei secoli. Amen.


7 - La virtù della speranza e il suo esercizio nella vergine nostra Signora

La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda

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503. La virtù della fede è seguita dalla speranza, a cui quella viene ordinata. Infatti, se l'altissimo Dio ci infonde la luce della fede, con la quale tutti senza differenza giungiamo alla conoscenza infallibile di lui, dei suoi misteri e delle sue promesse, lo fa affinché noi, conoscendolo come nostro ultimo fine e nostra felicità, e conoscendo inoltre i mezzi per raggiungerlo, ci solleviamo ad un intenso desiderio di conseguirlo. Questo desiderio, al quale segue come effetto l'impegno per arrivare al sommo Bene, si chiama speranza; tale virtù viene data col battesimo alla nostra volontà. Questa deve bramare l'eterna beatitudine come suo ultimo e sublime bene e deve sforzarsi, con l'aiuto della grazia divina, di conseguirla, superando le difficoltà che in questa contesa si presentano.

504. Quanto sia eccellente la virtù della speranza si conosce dal fatto che essa ha per oggetto Dio come ultimo e sommo nostro bene, benché lo contempli e lo cerchi come cosa lontana, anche se possibile da acquisire per mezzo dei meriti di Cristo e delle opere compiute da colui che spera. Gli atti di questa virtù si regolano con la luce della fede divina e della prudenza, con cui applichiamo a noi stessi le promesse infallibili del Signore. Con questa regola opera la speranza infusa, mantenendosi nel mezzo ragionevole tra gli estremi dei vizi contrari, cioè tra la disperazione e la presunzione, affinché l'uomo non presuma vanamente di conseguire la gloria eterna con le sue forze o senza fare opere per meritarla, né, se vorrà faile, tema o diffidi di conseguifla, come il Signore gli promette e assicura. L'uomo che spera, con prudenza e nella giusta opinione di sé, applica a se stesso questa sicurezza fondata sulla fede, cosicché non viene meno né cade in disperazione.

505. Da qui si conosce che la disperazione può venire dal non credere ciò che la fede ci promette o, in caso che si creda, dal non applicare a se stessi la sicurezza delle promesse divine, giudicando erroneamente impossibile conseguirle. Tra questi due pericoli procede sicura la speranza, che muove a credere che Dio non negherà a me ciò che ha promesso a tutti e, allo stesso tempo, che la promessa fu fatta a condizione che io da parte mia mi impegnassi e la meritassi col favore della grazia divina. Perciò, se Dio fece l'uomo capace di giungere alla sua visione e alla gloria eterna, non era conveniente che arrivasse a tanta felicità per mezzo del cattivo uso delle stesse facoltà con cui lo avrebbe goduto, ossia con i peccati; egli volle che vi giungesse usando queste facoltà in modo adeguato al fine al quale tendere, cioè con il buon uso delle virtù. Con esse l'uomo si dispone ad arrivare a godere il sommo Bene, potendolo subito cercare in questa vita con la conoscenza e con l'amore divino.

506. La virtù della speranza ebbe in Maria santissima il sommo grado di perfezione possibile anche negli effetti e nelle condizioni; il desiderio e lo sforzo di conseguire la

visione di Dio fu in lei maggiore che in tutte le creature. Sua Altezza non ebbe solamente la fede infusa nelle promesse del Signore, alla quale, essendo la maggiore, corrispondeva in proporzione la maggiore speranza; ebbe anche la visione beatifica, nella quale per esperienza conobbe l'infinità, verità e fedeltà dell'Altissimo. Sebbene non usasse della speranza mentre godeva della visione e del possesso della Divinità, in sua assenza, quando ritornava allo stato ordinario, la memoria del sommo Bene, l'aiutava a sperarlo e a desiderarlo con maggior forza e intensità. Questo desiderio era come una nuova e singolare speranza, propria della Regina delle virtù.

507. La speranza di Maria santissima ebbe anche un'altra causa per superare quella di tutti i fedeli, perché il premio di questa sovrana Regina, che è il principale oggetto della speranza, fu superiore a quello di tutti gli angeli e i santi. Per questo, proporzionatamente alla conoscenza che l'Altissimo le diede di tanta gloria, ella ebbe la somma speranza e il sommo desiderio di conseguirla. Affinché poi arrivasse al grado più sublime di questa virtù, sperando degnamente tutto ciò che il braccio onnipotente di Dio voleva operare in lei, fu prevenuta con la luce della fede suprema, con aiuti e doni adeguati e con una speciale mozione dello Spirito Santo. Ciò che diciamo della somma speranza che ella ebbe riguardo all'oggetto principale di questa virtù, si deve intendere anche riguardo agli altri oggetti, detti secondari; infatti, i benefici, i doni e i misteri, che si operarono nella Regina del cielo, furono così grandi che il braccio onnipotente di Dio non poté stendersi oltre. Poiché questa grande Signora doveva divenire capace di accoglierli mediante la fede e la speranza delle promesse divine, era necessario che in lei queste virtù fossero le maggiori possibili in una creatura umana.

508. Come si è già riferito, la Regina del cielo ebbe conoscenza e fede esplicita di tutte le verità rivelate, nonché di tutti i misteri e di tutte le opere dell'Altissimo, e inoltre in lei agli atti della fede corrispondevano quelli della speranza; chi potrà allora conoscere, tranne lo stesso Dio, quanti e quali siano stati gli atti di speranza che emise questa Signora delle virtù, avendo conosciuto tutti i misteri della stessa sua gloria ed eterna felicità, insieme a quelli che in lei e nella Chiesa si dovevano operare per i meriti del suo Figlio santissimo? Soltanto per Maria sua madre, solo per darla a lei, Dio avrebbe formato questa virtù, come anche la fede.

509. Per questa ragione lo Spirito Santo la chiamò madre del bell'amore e della santa speranza, perché come il dare carne al Verbo la rese Madre di Cristo, così lo Spirito Santo la fece madre della speranza per aver concepito e partorito, con il suo concorso e la sua opera speciale, questa virtù per i fedeli della Chiesa. L'essere madre della santa speranza fu conseguente all'essere Madre di Gesù Cristo nostro Signore, poiché conobbe che in suo Figlio ci dava tutta la nostra sicura speranza. Per questi concepimenti e parti, la Regina santissima acquistò una specie di dominio e d'autorità sopra la grazia e le promesse dell'Altissimo, che con la morte di Cristo nostro redentore, figlio di Maria, si dovevano adempiere; perciò tutte queste cose ci furono date da questa Signora, quando, mediante la sua libera volontà, concepì e partorì il Verbo incarnato e con lui tutte le nostre speranze. In questo si adempì legittimamente quello che disse lo sposo nel Cantico dei Cantici: I tuoi germogli sono un giardino; tutto ciò che uscì da questa Madre di grazia fu per noi felicità, paradiso e speranza certa di conseguirlo.

510. La Chiesa aveva in Gesù Cristo un padre celeste e vero, che la generò e fondò e l'arricchì di grazie, di esempi e di insegnamenti, mediante i suoi meriti e le sue sofferenze, come conviene a un tale padre, autore di quest'opera ammirabile; con questa perfezione era perciò opportuno avere anche una madre amorosa e benigna, la quale, con carezze e con materno affetto, allevasse al suo petto i figli e con tenero e dolce nutrimento li alimentasse, quando, essendo ancora piccoli, non potessero sopportare il pane dei robusti e dei forti. Questa dolce madre fu Maria santissima che al tempo della Chiesa primitiva, quando nasceva nei teneri figli la legge di grazia, incominciò a dar loro dolce latte di luce e dottrina, come pietosa madre; fino alla fine del mondo continuerà a farlo con le sue intercessioni a favore dei nuovi figli, generati ogni giorno da Cristo nostro Signore con i meriti del suo sangue e per le preghiere della Madre di misericordia. Per lei nascono; ella li alleva ed alimenta ed è dolce madre, vita e speranza nostra, origine della nostra speranza, esempio da imitare nella speranza di conseguire con la sua intercessione l'eterna felicità, quella che il suo santissimo Figlio ci meritò, nonché gli aiuti che per mezzo di lei ci comunica per poterla raggiungere.

 

Insegnamento della santa vergine Maria

 

511. Figlia mia, con la fede e la speranza, come con due forti ali, il mio spirito si sollevava, cercando l'infinito e sommo Bene, fino a riposare nell'unione del suo intimo e perfetto amore. Molte volte godevo della sua visione, della sua intuizione; ma se questo beneficio non era continuo, per lo stato di viatrice, tale invece era in me l'esercizio della fede e della speranza. Esse rimanevano escluse dalla visione, ma subito le ritrovavo nella mia mente, senza alcun ritardo nei metterle in pratica. Quanto poi all'ardente desiderio che esse causavano nel mio spirito di giungere al godimento eterno di Dio, tutto ciò non può essere adeguatamente inteso dall'intelletto umano, che è limitato, ma lo conoscerà in Dio con eterna lode colui che meriterà la sua visione in cielo.

512. E tu, carissima, che già hai ricevuto tanta luce sull'eccellenza di questa virtù e sulle opere che io esercitavo con essa, adoperati per imitarmi incessantemente secondo le forze della grazia divina. Medita continuamente le promesse dell'Altissimo e, con la certezza che ti viene dalla fede, solleva il tuo cuore con ardente desiderio, anelando a conseguirle. Con questa ferma speranza, per i meriti del mio santissimo Figlio, giungerai ad abitare la celeste patria in compagnia di tutti coloro che nella gloria immortale contemplano il volto dell'Altissimo. Se con questo aiuto distacchi il tuo cuore dalle cose terrene, fissando tutta la tua mente nel bene immutabile a cui aneli, tutto ciò che è visibile ti diventerà pesante e molesto, lo giudicherai vile e disprezzabile e nient'altro bramerai fuorché l'amabilissimo oggetto dei tuoi desideri. Nell'anima mia questo ardore della speranza fu quello che conveniva a chi con la fede lo aveva creduto e con l'esperienza l'aveva gustato: ardore che nessuna parola può spiegare.

513. Inoltre, considera e piangi con intimo dolore l'infelicità di tante anime le quali, essendo immagini di Dio e capaci della sua gloria, per le loro colpe restano prive della speranza vera di goderlo. Se i figli della santa Chiesa facessero sosta nei loro vani pensieri e si trattenessero un po' a valutare il beneficio concesso loro da Dio, che con il dono della fede e della speranza li ha separati, senza loro merito, dalle tenebre, senza dubbio avrebbero vergogna della loro ingrata dimenticanza. Ma non s'inganmno, perché li aspettano maggiori e più terribili tormenti. Pensino che a Dio ed ai santi sono tanto più ripugnanti quanto maggiore è il loro disprezzo del sangue di Cristo, in virtù del quale vennero loro fatti questi benefici. E come se tali verità fossero favole, questi ingrati disprezzano il frutto della verità senza trattenersi un solo giorno -, e molti neanche un'ora sola - a considerare i loro obblighi e il pericolo che li sovrasta. Piangi, anima, questo danno e secondo le tue forze impegnati e domanda a mio Figlio il rimedio; credi che qualunque sollecitudine e sforzo metterai nel fare questo, ti sarà premiato da sua Maestà.


Strasburgo (Francia), 13 settembre 1984. Esercizi Spirituali in forma di Cenacolo coi Sacerdoti del M.S.M. di lingua francese. In Cenacolo con Me.

Don Stefano Gobbi

«Figli prediletti, come sono contenta del vostro omaggio di preghiera e di fraternità che, in questi giorni di Cenacolo continuo, voi offrite al mio Cuore Immacolato. Sono questi i tempi in cui voglio che i Sacerdoti miei prediletti e tutti i figli a Me consacrati si raccolgano in Cenacoli di preghiera e di vita con Me. In Cenacolo con Me, vi formo alla preghiera, che ora diventa necessario usare sempre più come l'arma con cui dovete combattere e vincere la battaglia contro Satana e tutti gli Spiriti del male che, in questi tempi, si sono scatenati con grande violenza. È soprattutto una battaglia che si svolge a livello di spiriti e così voi dovete combattere con l'arma spirituale della preghiera.

Quanta forza voi date alla mia materna opera di intercessione e riparazione quando, insieme, pregate con la Liturgia delle Ore, con il santo Rosario e soprattutto con l'offrire il Sacrificio della nuova ed eterna alleanza, per mezzo della vostra giornaliera celebrazione Eucaristica. In Cenacolo con Me, vi incoraggio a proseguire sulla difficile strada del vostro tempo, per rispondere, con gioia e con immensa speranza, al dono della vostra vocazione. In questi tempi, quanti sono i miei figli Sacerdoti che si trovano sempre più soli, circondati da tanta indifferenza ed in corrispondenza, con grande peso di lavoro da svolgere, e così spesso vengono sopraffatti dalla stanchezza e dallo scoraggiamento.

Coraggio, miei figli prediletti. Gesù è sempre accanto a voi e dà vigore e forza alla vostra stanchezza, dona efficacia al vostro lavoro e feconda di grazie tutto quanto voi fate con l'esercizio del ministero sacerdotale. I frutti, copiosi e meravigliosi, li vedrete solo in Paradiso e saranno parte importante della ricompensa che vi attende. In Cenacolo con Me, vi insegno a guardare ai mali di oggi con i miei occhi materni e misericordiosi e vi formo, perché desidero che voi stessi diventiate medicina a questi mali. Soprattutto nei vostri Paesi, vedete come la Chiesa è violata dal mio Avversario, che cerca di oscurarla con l'errore accolto ed insegnato, di ferirla con il permissivismo morale che conduce molti a giustificare tutto ed a vivere nel peccato, di paralizzarla con lo spirito del mondo che è entrato al suo interno ed ha inaridito anche molte vite sacerdotali e consacrate. Sono specialmente tre le ferite che, nei vostri Paesi, fanno soffrire il mio Cuore Immacolato.

- La Catechesi che, spesso, non è più conforme alla verità che Gesù vi ha insegnato e che il Magistero autentico della Chiesa ancora oggi a tutti propone di credere.

- Il secolarismo entrato nella vita di tanti battezzati, soprattutto di tanti Sacerdoti che nell'anima, nel modo di vivere, di agire ed anche di vestire si comportano non da discepoli di Cristo, ma secondo lo spirito del mondo in cui vivono. Se vedeste con i miei occhi, come è grande questa desolazione che ha colpito la Chiesa!

- Il vuoto, l'abbandono e la trascuratezza di cui è circondato Gesù presente nella Eucarestia.Troppi sacrilegi si compiono da coloro che non credono più nella presenza reale di Gesù nella Eucarestia, e da coloro che vanno alla santa Comunione in stato di peccato mortale, senza più confessarsi.

Siate voi, figli prediletti, medicina a questi mali con la più grande adesione al Magistero della Chiesa e perciò sia sempre più grande la vostra unità di pensiero e di vita con il Papa. Date a tutti l'esempio di una vita santa, austera, raccolta, mortificata. Portate nel vostro corpo i segni della Passione di Gesù ed anche esternamente il segno della vostra consacrazione a Lui, con l'indossare sempre il vostro abito ecclesiastico. Siate in tutto opposti al secolarismo che vi circonda e non temete se, come Gesù, anche voi per questo diventate motivo di contraddizione. Siate fiamme ardenti di adorazione e di riparazione verso Gesù presente nella Eucarestia.

Celebrate con amore e con intima partecipazione di vita la santa Messa. Confessatevi spesso ed aiutate i fedeli a fare la Confessione frequente. Fate frequenti ore di adorazione eucaristica e portate tutte le anime al Cuore di Gesù, che è la fonte della Grazia e della divina Misericordia. Allora, in Cenacolo con Me, voi preparate la seconda Pentecoste che ormai sta per giungere perché, dalla forza irresistibile dello Spirito di Amore, possa essere risanata la Chiesa e rinnovato tutto il mondo».