Liturgia delle Ore - Letture
Domenica della 25° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 7
1Allora si riunirono attorno a lui i farisei e alcuni degli scribi venuti da Gerusalemme.2Avendo visto che alcuni dei suoi discepoli prendevano cibo con mani immonde, cioè non lavate -3i farisei infatti e tutti i Giudei non mangiano se non si sono lavate le mani fino al gomito, attenendosi alla tradizione degli antichi,4e tornando dal mercato non mangiano senza aver fatto le abluzioni, e osservano molte altre cose per tradizione, come lavature di bicchieri, stoviglie e oggetti di rame -5quei farisei e scribi lo interrogarono: "Perché i tuoi discepoli non si comportano secondo la tradizione degli antichi, ma prendono cibo con mani immonde?".6Ed egli rispose loro: "Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto:
'Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me'.
7'Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini'.
8Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini".9E aggiungeva: "Siete veramente abili nell'eludere il comandamento di Dio, per osservare la vostra tradizione.10Mosè infatti disse: 'Onora tuo padre e tua madre', e 'chi maledice il padre e la madre sia messo a morte'.11Voi invece dicendo: Se uno dichiara al padre o alla madre: è Korbàn, cioè offerta sacra, quello che ti sarebbe dovuto da me,12non gli permettete più di fare nulla per il padre e la madre,13annullando così la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi. E di cose simili ne fate molte".
14Chiamata di nuovo la folla, diceva loro: "Ascoltatemi tutti e intendete bene:15non c'è nulla fuori dell'uomo che, entrando in lui, possa contaminarlo; sono invece le cose che escono dall'uomo a contaminarlo".16.
17Quando entrò in una casa lontano dalla folla, i discepoli lo interrogarono sul significato di quella parabola.18E disse loro: "Siete anche voi così privi di intelletto? Non capite che tutto ciò che entra nell'uomo dal di fuori non può contaminarlo,19perché non gli entra nel cuore ma nel ventre e va a finire nella fogna?". Dichiarava così mondi tutti gli alimenti.20Quindi soggiunse: "Ciò che esce dall'uomo, questo sì contamina l'uomo.21Dal di dentro infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi,22adultéri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.23Tutte queste cose cattive vengono fuori dal di dentro e contaminano l'uomo".
24Partito di là, andò nella regione di Tiro e di Sidone. Ed entrato in una casa, voleva che nessuno lo sapesse, ma non poté restare nascosto.25Subito una donna che aveva la sua figlioletta posseduta da uno spirito immondo, appena lo seppe, andò e si gettò ai suoi piedi.26Ora, quella donna che lo pregava di scacciare il demonio dalla figlia era greca, di origine siro-fenicia.27Ed egli le disse: "Lascia prima che si sfamino i figli; non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini".28Ma essa replicò: "Sì, Signore, ma anche i cagnolini sotto la tavola mangiano delle briciole dei figli".29Allora le disse: "Per questa tua parola va', il demonio è uscito da tua figlia".
30Tornata a casa, trovò la bambina coricata sul letto e il demonio se n'era andato.
31Di ritorno dalla regione di Tiro, passò per Sidone, dirigendosi verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.32E gli condussero un sordomuto, pregandolo di imporgli la mano.33E portandolo in disparte lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua;34guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: "Effatà" cioè: "Apriti!".35E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.36E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo raccomandava, più essi ne parlavano37e, pieni di stupore, dicevano: "Ha fatto bene ogni cosa; fa udire i sordi e fa parlare i muti!".
Secondo libro dei Maccabei 5
1In questo periodo di tempo Antioco organizzò la seconda spedizione in Egitto.2Sopra tutta la città per circa quaranta giorni apparivano cavalieri che correvano per l'aria con auree vesti, armati di lance roteanti e di spade sguainate,3e schiere di cavalieri disposti a battaglia e attacchi e scontri vicendevoli e trambusto di scudi e selve di aste e lanci di frecce e bagliori di bardature d'oro e corazze d'ogni specie.4Per questo tutti pregarono che l'apparizione fosse di buon augurio.
5Essendosi diffusa la falsa notizia che Antioco era passato all'altra vita, Giàsone, prendendo con sé non meno di mille uomini, sferrò un assalto alla città. Si accese la lotta sulle mura e, quando la città era ormai presa, Menelao si rifugiò nell'acròpoli.6Giàsone fece strage dei propri concittadini senza pietà, non comprendendo che un successo contro i propri connazionali era il massimo insuccesso, e credendo di riportare trofei sui nemici e non sulla propria gente.7Non riuscì però ad impadronirsi del potere e alla fine, conscio della vergogna del tradimento, corse di nuovo a rifugiarsi nell'Ammanìtide.8Da ultimo incontrò una pessima sorte. Imprigionato presso Areta, re degli Arabi, fuggendo poi di città in città, perseguitato da tutti e odiato come traditore delle leggi, riguardato con orrore come carnefice della patria e dei concittadini, fu spinto in Egitto;9colui che aveva mandato in esilio numerosi figli della sua patria morì presso gli Spartani, fra i quali si era ridotto quasi a cercare riparo in nome della comunanza di stirpe.10E ancora, colui che aveva lasciato insepolta una moltitudine di gente, finì non pianto da alcuno, privo di esequie ed escluso dal sepolcro dei suoi padri.
11Quando il re venne a conoscenza di questi fatti, concluse che la Giudea stava ribellandosi. Perciò tornando dall'Egitto, furioso come una belva, prese la città con le armi12e diede ordine ai soldati di colpire senza risparmio quanti capitavano e di uccidere quelli che si rifugiavano nelle case.13Vi fu massacro di giovani e di vecchi, sterminio di uomini, di donne e di fanciulli, stragi di fanciulle e di bambini.14Ottantamila in quei tre giorni furono spacciati, quarantamila nel corso della lotta e in numero non inferiore agli uccisi furono quelli venduti schiavi.
15Non sazio di questo, Antioco osò entrare nel tempio più santo di tutta la terra, avendo a guida quel Menelao che si era fatto traditore delle leggi e della patria,16e afferrò con empie mani gli arredi sacri; quanto dagli altri re era stato deposto per l'abbellimento e lo splendore del luogo e per segno d'onore, egli lo saccheggiò con le sue mani sacrileghe.
17Antioco si inorgoglì, non comprendendo che il Signore si era sdegnato per breve tempo a causa dei peccati degli abitanti della città e per questo c'era stato l'abbandono di quel luogo.18Se il popolo non si fosse trovato implicato in molti peccati, come era avvenuto per Eliodòro, mandato dal re Seleuco a ispezionare la camera del tesoro, anche costui al suo ingresso sarebbe stato colpito da flagelli e sarebbe stato distolto dalla sua audacia.19Ma il Signore aveva eletto non già il popolo a causa di quel luogo, ma quel luogo a causa del popolo.20Perciò anche il luogo, dopo essere stato coinvolto nelle sventure piombate sul popolo, da ultimo ne condivise i benefici; esso, che per l'ira dell'Onnipotente aveva sperimentato l'abbandono, per la riconciliazione del grande Sovrano fu ripristinato in tutta la sua gloria.
21Antioco dunque portando via dal tempio milleottocento talenti d'argento, fece ritorno in fretta ad Antiochia, convinto nella sua superbia di aver reso navigabile la terra e transitabile il mare, per effetto del suo orgoglio.22Egli lasciò sovrintendenti per opprimere la nazione: in Gerusalemme Filippo, frigio di stirpe, ma nei modi più barbaro di chi l'aveva nominato;23sul Garizim Andronìco; oltre a loro Menelao, il quale più degli altri era altezzoso con i concittadini, nutrendo una ostilità dichiarata contro i Giudei.
24Mandò poi il misarca Apollonio con un esercito di ventiduemila uomini, e con l'ordine di uccidere quanti erano in età adulta e di vendere le donne e i fanciulli.25Costui, giunto a Gerusalemme e fingendo intenzioni pacifiche, si tenne quieto fino al giorno sacro del sabato. Allora sorpresi i Giudei in riposo, comandò ai suoi una parata militare26e trucidò quanti uscivano per assistere alla festa; poi, scorrendo con gli armati per la città, mise a morte un gran numero di persone.
27Ma Giuda, chiamato anche Maccabeo, che faceva parte di un gruppo di dieci, si ritirò nel deserto, vivendo tra le montagne alla maniera delle fiere insieme a quelli che erano con lui; e vivevano cibandosi di alimenti erbacei, per non contrarre contaminazione.
Qoelet 4
1Ho poi considerato tutte le oppressioni che si commettono sotto il sole. Ecco il pianto degli oppressi che non hanno chi li consoli; da parte dei loro oppressori sta la violenza, mentre per essi non c'è chi li consoli.2Allora ho proclamato più felici i morti, ormai trapassati, dei viventi che sono ancora in vita;3ma ancor più felice degli uni e degli altri chi ancora non è e non ha visto le azioni malvage che si commettono sotto il sole.
4Ho osservato anche che ogni fatica e tutta l'abilità messe in un lavoro non sono che invidia dell'uno con l'altro. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.
5Lo stolto incrocia le braccia
e divora la sua carne.
6Meglio una manciata con riposo
che due manciate con fatica.
7Inoltre ho considerato un'altra vanità sotto il sole:8uno è solo, senza eredi, non ha un figlio, non un fratello. Eppure non smette mai di faticare, né il suo occhio è sazio di ricchezza: "Per chi mi affatico e mi privo dei beni?". Anche questo è vanità e un cattivo affannarsi.
9Meglio essere in due che uno solo, perché due hanno un miglior compenso nella fatica.10Infatti, se vengono a cadere, l'uno rialza l'altro. Guai invece a chi è solo: se cade, non ha nessuno che lo rialzi.11Inoltre, se due dormono insieme, si possono riscaldare; ma uno solo come fa a riscaldarsi?12Se uno aggredisce, in due gli possono resistere e una corda a tre capi non si rompe tanto presto.
13Meglio un ragazzo povero ma accorto,
che un re vecchio e stolto
che non sa ascoltare i consigli.
14Il ragazzo infatti può uscir di prigione ed esser proclamato re, anche se, mentre quegli regnava, è nato povero.15Ho visto tutti i viventi che si muovono sotto il sole, stare con quel ragazzo, il secondo, cioè l'usurpatore.16Era una folla immensa quella di cui egli era alla testa. Ma coloro che verranno dopo non avranno da rallegrarsi di lui. Anche questo è vanità e un inseguire il vento.
17Bada ai tuoi passi, quando ti rechi alla casa di Dio. Avvicinarsi per ascoltare vale più del sacrificio offerto dagli stolti che non comprendono neppure di far male.
Salmi 54
1'Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil.'
'Di Davide.'
2'Dopo che gli Zifei vennero da Saul a dirgli: "Ecco, Davide se ne sta nascosto presso di noi".'
3Dio, per il tuo nome, salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
4Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio alle parole della mia bocca;
5poiché sono insorti contro di me gli arroganti
e i prepotenti insidiano la mia vita,
davanti a sé non pongono Dio.
6Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore mi sostiene.
7Fa' ricadere il male sui miei nemici,
nella tua fedeltà disperdili.
8Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio,
Signore, loderò il tuo nome perché è buono;
9da ogni angoscia mi hai liberato
e il mio occhio ha sfidato i miei nemici.
Zaccaria 11
1Apri, Libano, le tue porte,
e il fuoco divori i tuoi cedri.
2Urla, cipresso, perché il cedro è caduto,
gli splendidi alberi sono distrutti.
Urlate, querce di Basàn,
perché la foresta impenetrabile è abbattuta!
3Si ode il lamento dei pastori,
perché la loro gloria è distrutta!
Si ode il ruggito dei leoncelli,
perché è devastata la magnificenza del Giordano!
4Così parla il Signore mio Dio: "Pasci quelle pecore da macello5che i compratori sgozzano impunemente, e i venditori dicono: Sia benedetto il Signore, mi sono arricchito, e i pastori non se ne curano affatto.6Neppur io perdonerò agli abitanti del paese. Oracolo del Signore. Ecco, io abbandonerò gli uomini l'uno in balìa dell'altro, in balìa del loro re, perché devastino il paese - non mi curerò di liberarli dalle loro mani".
7Io dunque mi misi a pascolare le pecore da macello da parte dei mercanti di pecore. Presi due bastoni: uno lo chiamai Benevolenza e l'altro Unione e condussi al pascolo le pecore.8Nel volgere d'un sol mese eliminai tre pastori. Ma io mi irritai contro di esse, perché anch'esse si erano tediate di me.9Perciò io dissi: "Non sarò più il vostro pastore. Chi vuol morire, muoia; chi vuol perire, perisca; quelle che rimangono si divorino pure fra di loro!".10Presi il bastone chiamato Benevolenza e lo spezzai: ruppi così l'alleanza da me stabilita con tutti i popoli.11Lo ruppi in quel medesimo giorno; i mercanti di pecore che mi osservavano, riconobbero che quello era l'ordine del Signore.12Poi dissi loro: "Se vi pare giusto, datemi la mia paga; se no, lasciate stare". Essi allora pesarono trenta sicli d'argento come mia paga.13Ma il Signore mi disse: "Getta nel tesoro questa bella somma, con cui sono stato da loro valutato!". Io presi i trenta sicli d'argento e li gettai nel tesoro della casa del Signore.14Poi feci a pezzi il secondo bastone chiamato Unione per rompere così la fratellanza fra Giuda e Israele.15Quindi il Signore mi disse: "Prenditi gli attrezzi di un pastore insensato,16poiché ecco, io susciterò nel paese un pastore, che non avrà cura di quelle che si perdono, non cercherà le disperse, non curerà le malate, non nutrirà le affamate; mangerà invece le carni delle più grasse e strapperà loro perfino le unghie.
17Guai al pastore stolto che abbandona il gregge!
Una spada sta sopra il suo braccio
e sul suo occhio destro.
Tutto il suo braccio si inaridisca
e tutto il suo occhio destro resti accecato".
Prima lettera ai Corinzi 1
1Paolo, chiamato ad essere apostolo di Gesù Cristo per volontà di Dio, e il fratello Sòstene,2alla Chiesa di Dio che è in Corinto, a coloro che sono stati santificati in Cristo Gesù, chiamati ad essere santi insieme a tutti quelli che in ogni luogo invocano il nome del Signore nostro Gesù Cristo, Signore nostro e loro:3grazia a voi e pace da Dio Padre nostro e dal Signore Gesù Cristo.
4Ringrazio continuamente il mio Dio per voi, a motivo della grazia di Dio che vi è stata data in Cristo Gesù,5perché in lui siete stati arricchiti di tutti i doni, quelli della parola e quelli della scienza.6La testimonianza di Cristo si è infatti stabilita tra voi così saldamente,7che nessun dono di grazia più vi manca, mentre aspettate la manifestazione del Signore nostro Gesù Cristo.8Egli vi confermerà sino alla fine, irreprensibili nel giorno del Signore nostro Gesù Cristo:9fedele è Dio, dal quale siete stati chiamati alla comunione del Figlio suo Gesù Cristo, Signore nostro!
10Vi esorto pertanto, fratelli, per il nome del Signore nostro Gesù Cristo, ad essere tutti unanimi nel parlare, perché non vi siano divisioni tra voi, ma siate in perfetta unione di pensiero e d'intenti.11Mi è stato segnalato infatti a vostro riguardo, fratelli, dalla gente di Cloe, che vi sono discordie tra voi.12Mi riferisco al fatto che ciascuno di voi dice: "Io sono di Paolo", "Io invece sono di Apollo", "E io di Cefa", "E io di Cristo!".
13Cristo è stato forse diviso? Forse Paolo è stato crocifisso per voi, o è nel nome di Paolo che siete stati battezzati?14Ringrazio Dio di non aver battezzato nessuno di voi, se non Crispo e Gaio,15perché nessuno possa dire che siete stati battezzati nel mio nome.16Ho battezzato, è vero, anche la famiglia di Stefana, ma degli altri non so se abbia battezzato alcuno.
17Cristo infatti non mi ha mandato a battezzare, ma a predicare il vangelo; non però con un discorso sapiente, perché non venga resa vana la croce di Cristo.18La parola della croce infatti è stoltezza per quelli cha vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio.19Sta scritto infatti:
'Distruggerò la sapienza dei sapienti
e annullerò l'intelligenza degli intelligenti'.
20'Dov'è il sapiente? Dov'è il dotto'? Dove mai il sottile ragionatore di questo mondo? Non ha forse Dio dimostrato stolta la sapienza di questo mondo?21Poiché, infatti, nel disegno sapiente di Dio il mondo, con tutta la sua sapienza, non ha conosciuto Dio, è piaciuto a Dio di salvare i credenti con la stoltezza della predicazione.22E mentre i Giudei chiedono i miracoli e i Greci cercano la sapienza,23noi predichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i Giudei, stoltezza per i pagani;24ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, predichiamo Cristo potenza di Dio e sapienza di Dio.25Perché ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini.
26Considerate infatti la vostra chiamata, fratelli: non ci sono tra voi molti sapienti secondo la carne, non molti potenti, non molti nobili.27Ma Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, Dio ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti,28Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato e ciò che è nulla per ridurre a nulla le cose che sono,29perché nessun uomo possa gloriarsi davanti a Dio.30Ed è per lui che voi siete in Cristo Gesù, il quale per opera di Dio è diventato per noi sapienza, giustizia, santificazione e redenzione,31perché, come sta scritto:
'Chi si vanta si vanti nel Signore'.
Capitolo III: Chi é colui che ama il bene e la pace
Leggilo nella Biblioteca1. Se, in primo luogo, manterrai te stesso nella pace, potrai dare pace agli altri; ché l'uomo di pace è più utile dell'uomo di molta dottrina. Colui che è turbato dalla passione trasforma anche il bene in male, pronto com'è a vedere il male dappertutto; mentre colui che ama il bene e la pace trasforma ogni cosa in bene. Chi è pienamente nella pace non sospetta di alcuno. Invece chi è inquieto e turbato sta sempre in agitazione per vari sospetti. Non è tranquillo lui, né permette agli altri di esserlo; dice sovente cose che non dovrebbe dire e tralascia cose che più gli converrebbe fare; sta attento a ciò che dovrebbero fare gli altri, e trascura ciò a cui sarebbe tenuto lui stesso. Sii dunque zelante, innanzi tutto , con te stesso; solo così potrai essere giustamente zelante con il tuo prossimo. Tu sei molto abile nel trovare giustificazioni per quello che fai e nel farlo apparire sotto una certa luce, mentre rifiuti di accettare le giustificazioni negli altri. Sarebbe invece più giusto che tu accusassi te stesso e scusassi il tuo fratello. Se vuoi essere sopportato, sopporta gli altri anche tu.
2. Vedi quanto sei ancora lontano dal vero amore e dalla umiltà di chi non sa adirarsi e indignarsi con alcuno, fuor che con se stesso. Non è grande merito stare con persone buone e miti; è cosa, questa, che fa naturalmente piacere a tutti, e nella quale tutti troviamo facile contentezza, giacché amiamo di più quelli che ci danno ragione. E' invece grande virtù, e lodevole comportamento, degno di un uomo, riuscire a vivere in pace con le persone dure e cattive, che si comportano senza correttezza e non hanno condiscendenza verso di noi. Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e mantengono pace anche con gli altri. Ci sono invece alcuni che non stanno in pace essi, né lasciano pace agli altri: pesanti con il prossimo, e ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni che stanno essi nella pace e si preoccupano di condurre alla pace gli altri. La verità è che la vera pace, in questa nostra misera vita, la dobbiamo far consistere nel saper sopportare con umiltà, piuttosto che nel non avere contrarietà. Colui che saprà meglio sopportare, conseguirà una pace più grande. Vittorioso su se stesso e padrone del mondo, questi è l'amico di Cristo e l'erede del cielo.
DISCORSO 341 AUGM. DISCORSO DELLO STESSO SUL SALMO 21 E SULLE TRE ACCEZIONI DEL NOME DI CRISTO IN USO NELLA SCRITTURA: SUA DIVINITÀ, NATURA UMANA ASSUNTA, DIGNITÀ DI CAPO DELLA CHIESA. I TRE RAMOSCELLI DI GIACOBBE
Discorsi - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaIl salmo 21 parla di Cristo.
1. Come è noto a tutti i cristiani, questo salmo è una prefigurazione riguardante la persona di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Vi troviamo scritto infatti: Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa. Essi mi hanno fissato e guardato; si son divisi le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte 1. Non credo che voi ignoriate come in queste parole ci sia per la coscienza dei credenti un richiamo o una sottolineatura riguardante la persona del nostro Signore Gesù Cristo; tuttavia mi piace rammentarvelo, perché alcuni non lo sanno; altri che pur ne hanno sentito parlare, se ne sono dimenticati; mentre altri, sebbene lo ricordino, desiderano averne conferma. Né mancano di quelli che anche sulle cose di cui sono certi desiderano ascoltare la nostra parola per la simpatia che hanno verso di noi. Pertanto la comprensione del testo sacro che, con le forze che il Signore si degnerà di mandarmi, io cercherò d'imprimere nella vostra mente, o carissimi, sarà valida anche per comprendere i numerosi testi oscuri che troviamo nei libri sacri, cioè come in essi si parli di Cristo.
Le tre modalità di riferimento a Cristo nella Scrittura.
2 [1]. Per quanto abbiamo potuto ricavare dalle sacre pagine, Cristo è nominato secondo tre diverse modalità quando si parla di lui nella Legge e nei Profeti, nelle lettere degli Apostoli o nei racconti storici che conosciamo dai Vangeli. In un modo quando si parla di lui come Dio, cioè secondo la divinità che possiede coeterna e uguale a quella del Padre prima dell'incarnazione. In un secondo modo si parla di lui in quanto, dopo l'incarnazione, è insieme Dio e uomo, ovvero uomo e Dio: per una proprietà straordinariamente sublime che non solo esclude ogni possibile confronto con gli altri uomini ma che lo costituisce, come si legge e si ritiene, mediatore e capo della Chiesa. In un terzo modo lo si denomina così quando lo si annunzia ai credenti e lo si presenta alla cognizione dei sapienti come (per così dire) un Cristo totale nella plenitudine della Chiesa, cioè il capo e il corpo, configurato sul modello di un uomo perfetto: del quale uomo perfetto noi siamo le membra 2. Non ci sarà certo possibile, nel tempo breve e limitato che abbiamo, elencare e spiegare tutte le testimonianze scritturali dove si illustrano queste tre modalità; tuttavia non le lasceremo fuori della trattazione, nel senso che, esposte alcune testimonianze, le altre - che non ci è consentito ricordare per mancanza di tempo - voi stessi potrete scorgerle e ricavarle dalla Scrittura.
Cristo, Figlio unigenito di Dio, secondo Giovanni, il pescatore.
3 [2]. Alla prima modalità, cioè all'intento di presentare Gesù Cristo nostro Signore e Salvatore come Figlio unigenito di Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose, dice riferimento quel testo elevatissimo e famosissimo del Vangelo secondo Giovanni: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Quel che ci è stato fatto era in lui vita, e la vita era la luce degli uomini; e la luce splende fra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta 3. Prima che le si comprenda, queste parole suscitano ammirazione e stupore, ma dopo che le si è comprese bisogna farle proprie. Quanto poi al comprenderle, non lo si ottiene con risorse umane, ma a farcele conoscere interviene con la sua ispirazione colui che con la stessa ispirazione si degnò di concedere a dei pescatori la luce per poterle asserire. Scrisse infatti queste parole quel pescatore, figlio di Zebedeo, che abbandonò il padre, la barca e le reti per seguire il Signore 4: non rinnegò il padre terreno ma a lui preferì il Padre celeste. E non v'è dubbio che a quest'uomo che lasciava la barca e le reti il Signore attribuì il merito di chi abbandona il mondo intero. Il nostro Signore Gesù Cristo infatti non badava a ciò che lasciavano quei poveracci che si misero al suo seguito, cioè ai beni di cui si privavano, ma al desiderio di possederli che essi scacciavano dal cuore. Infatti colui che possiede poco desidera possedere di più, e pertanto colui che rinunzia a quel poco che possiede rinunzia di più quando rigetta quel che avrebbe voluto possedere. Pensiamo a quel ricco che triste si allontanò dal Signore. Venuto per chiedere un consiglio [di salvezza], lo aveva chiamato Maestro buono [e] Dio; quando il Signore gli ebbe dato quel consiglio, egli lo abbandonò, quasi fosse un maestro cattivo 5. Mentre costui se ne andava rattristato, i discepoli pensarono che per i ricchi non ci fosse speranza di salvezza, avendo anche ascoltato essere più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli 6. Quando però ebbero udito che per la misericordia di Dio anche i ricchi possono entrare nel Regno dei cieli, i discepoli continuando il discorso dissero: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: cosa ne avremo? 7 E il Signore in risposta: Sederete sui dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele 8. Anche agli altri discepoli che per seguirlo avrebbero abbandonato tutti i propri averi il Signore promise un gran premio: essi avrebbero provato profondo conforto nell'ascoltare la promessa, viva gioia nel conseguimento del premio. Egli disse che quanti per seguirlo avessero lasciato tutto quello che possedevano in questo mondo avrebbero ricevuto il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro mondo 9. Se volessimo esporre minuziosamente queste cose, dovremmo trattenerci a lungo e saremmo distolti dall'argomento che ci siamo proposti. Tuttavia, per quanto riguarda il tema assunto, vogliate, carissimi, notare per ora come i primi poveri [della Chiesa] lasciarono effettivamente tutto, seguirono Dio e divennero apostoli. Essi lasciarono poche cose, ma la ricompensa [che ricevettero] fu pari a quella di coloro che lasciano grandi patrimoni. E notate una cosa davvero sorprendente: quel ricco ascoltando dalla bocca del Signore che per seguire Dio occorre lasciare tutto, se ne andò in preda alla tristezza (pur avendolo ascoltato dalle labbra stesse del Signore 10!); al presente ci sono persone che, senza aver visto direttamente il Signore, ascoltano dal Vangelo le stesse parole e fanno quanto quel tale non riuscì a fare. In esse si avvera la parola: Beati coloro che credono senza vedere 11.
Dio sceglie gli umili.
4. Ci si chiede perché mai il Signore abbia scelto dapprincipio persone plebee, gente povera, inesperta e priva di cultura, pur avendo dinanzi ai propri occhi una così grande moltitudine di ricchi 12. Paragonati allo sterminato numero dei poveri, i ricchi sono certo una minoranza, ma nella loro categoria essi sono molti, come sono anche molti i nobili, i dotti e i sapienti. Alla loro salvezza il Signore avrebbe provveduto in seguito: non si è infatti disinteressato di loro, tant'è vero da tutti questi ceti di persone c'è stato chi è venuto alla fede. Pertanto la scelta del Signore è un mistero e l'Apostolo lo descrive così: Dio ha scelto i deboli di questo mondo per confondere i forti; ha scelto gli ignoranti per confondere i sapienti; Dio ha scelto la gente spregevole e coloro che non esistono (cioè coloro che passano incalcolati) come se esistessero, per ridurre al nulla coloro che esistono 13. In effetti, egli era venuto per insegnarci l'umiltà e abbattere la superbia. Dio era venuto nell'umiltà, ed essendo venuto così umile, non poteva in alcun modo accordare la preferenza agli altolocati. Eccolo dunque nascere da una donna sposata con un artigiano 14: non si scelse una nascita fastosa, perché la gente nobile di questo mondo non abbia ad inorgoglirsi. Nemmeno per nascere si scelse una città di importanza primaria, ma nacque a Betlemme di Giudea 15, un paese che di città non meritava neppure il nome. Tant'è vero che gli stessi suoi abitanti anche oggi la chiamano " villaggio ". È infatti un paese assai piccolo e insignificante, quasi una nullità, se a dargli lustro non ci fosse stata la nascita di Cristo. Venne dunque a noi non Uno che avrebbe attinto la sua dignità dal luogo in cui nacque, ma Uno per il quale il luogo stesso della sua nascita è diventato celebre 16. Questo vale per tutti gli altri particolari della vita del nostro Signore Gesù Cristo, che, a ricordarli minuziosamente, si richiederebbe molto tempo. Egli dunque scelse persone deboli, povere, ignoranti e prive di titoli nobiliari; e lo fece non perché si sia disinteressato dei forti, dei ricchi, dei sapienti e dei nobili ma perché costoro non pensassero di essere stati scelti a motivo della loro dignità, della loro ricchezza e della nobiltà della loro famiglia : cose che avrebbero potuto pensare se fossero stati scelti per primi. In questa maniera però, inorgogliti delle proprie risorse, non avrebbero accolto la salvezza, che è frutto di umiltà. Senza l'umiltà infatti non si può in alcun modo pervenire a quella vita dalla quale non ci esclude se non la superbia. E qui viene da pensare a un medico che cura la malattia per via di contrari. Chi è freddo lo tratta con rimedi caldi, chi è caldo con rimedi freddi, chi è rinsecchito con rimedi umidi, chi è bagnato con rimedi asciutti. Se dunque vediamo che nell'arte della medicina il malato viene guarito con rimedi contrari, non c'è da stupirsi se Dio, per guarire noi da quella malattia che è la superbia umana, abbia scelto il rimedio dell'umiltà. Maggiore potenza salvifica dimostra il Signore quando conquista un professore servendosi di un pescatore che non quando raggiunge il pescatore mediante un professore. Fu certamente un retore il martire Cipriano, ma prima di lui c'era stato un apostolo, che era pescatore. In epoca più recente son diventati cristiani gli stessi imperatori, ma questo perché prima i pescatori avevano predicato il Cristo. È assolutamente vero che Dio ha confuso i forti scegliendosi i deboli del mondo 17: li ha confusi, ovviamente, per risanarli; li ha abbattuti per innalzarli. Questo ha fatto affinchè si manifestassero a noi le cose che abbiamo conosciuto ai nostri tempi e sulle quali non dobbiamo tacere, e così dalle cose stesse ci appare manifesto quel dato di fede, che Dio ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti 18. Ai nostri giorni infatti, ecco un duce vittorioso viene a Roma, dove c'è il tempio dell'imperatore e la tomba del pescatore. Ebbene, quel comandante in capo, divenuto credente e cristiano, per ottenere la salute dal Signore non si reca al tempio superbo dell'imperatore ma va alla tomba del pescatore. In tal modo, imitando quell'umile pescatore, sarà guardato con benevolenza dal Signore, e da lui otterrà 19, almeno in parte, ciò che non avrebbe potuto meritare presentandosi come condottiero superbo.
Al petto di Cristo, Giovanni attinse la capacità di parlarci del Verbo.
5. Ma perché vi ho detto queste cose? Perché stavo richiamando alla vostra mente quel modo di presentare Cristo nella sua divinità, cioè prima dell'Incarnazione. Questo aspetto della sua personalità riempie di meraviglia e di stupore quanti ne sentono parlare, ma è conosciuto da pochi, poiché son pochi quelli che riescono a capirlo. Son coloro che bussano in modo da essere pienamente investiti dal fulgore di quella luce eterna e indescrivibile, ed essi ricordando quel che hanno conosciuto escono nelle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 20, ecc. Per comprendere il significato di queste parole, forse voi sareste ricorsi a noi, ma avreste fatto una fatica sprecata; e noi, per evitarvela, vi abbiamo detto che potete comprenderle solo mediante l'ispirazione di Colui ad opera del quale un pescatore illetterato riuscì a pronunziarle. Di per sé questo pescatore non era certo in grado di conoscere cose come questa: non aveva né l'ingegno né la cultura per penetrarle con l'acume della mente. In nessun modo egli avrebbe potuto trascendere tutto il nostro mondo aereo e tutte le potenze dell'etere. Mai avrebbe potuto raggiungere la conoscenza della natura degli astri, delle potenze e dominazioni celesti, o degli angeli o di tutte quelle creature spirituali collocate nella più sublime altezza: creature che mai caddero in peccato ma sono rimaste sempre nella visione della Verità immutabile. Tanto meno [questo pescatore] avrebbe potuto trascendere il mondo dello spirito e pervenire a quella realtà che occhio non vide, orecchio non udì e non entrò nel cuore dell'uomo 21. Come sarà infatti la parola del Padre? Come sarà il [suo] Verbo? Forse che prima lo si pensa e poi risuona sulle labbra? Certo no. Se infatti lo si è pensato prima, è trascorso del tempo; se è risuonato all'esterno, si è comunicato attraverso l'aria. Non così è il Verbo di Dio: esso è una parola che permane fissa, una parola che sempre si proferisce e mai si sottrae 22; anzi, non è nemmeno una parola che si proferisce, perché non si abbia a supporre in essa una qualche estensione corporea. In che modo poi lo si possa definire, non c'è nessuno che possa dirlo con parole umane. Con riverente pietà lo si crede Verbo generato, per cui egli, in quanto Figlio di Dio, è il solo che può parlare di sé e definire se stesso. Al contrario, colui al quale egli rivolge la parola, se anche può capirlo, non è certo in grado di parlare di lui. Orbene, una cosa come questa un pescatore in qual modo potè vederla se non perché il Figlio di Dio volle rivelargliela? Quel pescatore vide tutto ciò attingendolo alla fonte da cui gli fu dato di bere. E qual è quella fonte? Andiamo con la mente alla Cena del Signore, e forse troveremo quale sia stata la fonte da cui il pescatore bevve tutto questo. A mensa con il Signore erano adagiati tutti i discepoli, ma del solo Giovanni è scritto nel Vangelo che era solito poggiare il capo sul petto del Signore 23. Cosa c'è quindi di strano se quanto egli diceva della divinità del Verbo lo aveva bevuto al petto del Signore? Non poteva infatti il Padrone della mensa (che era anche il padrone dei commensali) permettere che quel discepolo attingesse dalla mensa quanto gli riempiva lo stomaco e dal suo petto non attingesse quanto gli riempiva la mente. Ed effettivamente egli fece proprio così: dall'abbondanza del suo petto cibò e saziò il discepolo, e questi così saziato, cominciò a rimettere e il suo vomito è il vangelo. Con gli occhi della fede avete visto il pescatore seduto a mensa; ascoltate ora come restituisce il cibo. In principio era il Verbo - dice - e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio 24. Sentendo parlare di verbo, tu non ci facevi caso: di parole infatti se ne sentono tante ogni giorno! Non sottovalutare però questo Verbo, perché il Verbo era Dio 25. " Ma come potrò comprendere Dio e il Verbo? ". Ti doni di berlo colui che saziò il pescatore! In attesa di ciò, ascolta quanto costui riversa su di te e credi alla parola di quest'uomo sazio [di Dio], affinchè anche tu, salendo per i gradini della fede, possa alla fine saziarti della vivificante comprensione [della verità].
Il Verbo di Dio è unico; molteplice ne è la comprensione.
6. Dirai: " E allora? Dovrò senz'altro credere che il Verbo di Dio è il Figlio di Dio ". Sì, l'unico Figlio di Dio. Non due verbi ma un unico Verbo, anche se nella Scrittura trovi che due sono i Verbi, cioè le parole di Dio. Esempio: i due precetti concernenti il duplice oggetto della carità 26, ovvero le parole della ricompensa finale, quando il Signore dirà una cosa ai fedeli posti alla sua destra 27 e un'altra agli empi posti alla sinistra. Infatti non dirà le stesse parole ai fedeli e agli empi. Il narratore, adeguandosi alla nostre capacità e ai nostri meriti, le presenta a noi come due parole distinte; ed effettivamente, presso di noi sono distinte, ma lassù un qualcosa... Al riguardo vorrei presentarvi, se ci riesco, un paragone preso da oggetti corporei, che però ben s'adatta all'intelligenza di persone immature. Vorrei, se ci riesco, sottolinearvi come una e sempre uguale è la luce, del fuoco o delle stelle o della luna o del sole; eppure se la si guarda con occhi diversi (ad esempio, uno la guarda con occhi puri e sani, un altro con occhi malati e cisposi), essa è diversa: per l'uno è una luce gradevole, per l'altro una luce molesta e intollerabile. Quanto all'occhio sano procurava godimento, se colpisce un occhio ferito produce dolore. Ecco dunque: luce gradevole e luce molesta. Che si sia divisa e diversificata? No! La cosa dipende dalle diverse condizioni di chi la guarda. Prestatemi attenzione, fratelli; e dalle cose piccole elevatevi alla conoscenza delle cose grandi 28. Non diversamente infatti la Parola (=Verbo) di Dio è una, ma nel donarsi partecipa di sé quel tanto che ciascuno merita. Ad alcuni dice: Venite, benedetti del Padre mio; possedete il Regno che vi è stato preparato dall'origine del mondo 29; ad altri dice: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli 30. Cosa c'è di più diverso che quel Venite nel Regno 31 e quell'Andate nel fuoco eterno 32? È dunque molteplice la Parola [di Dio]? No. Essa è unica, ma son diversi i meriti delle persone che l'ascoltano. Ascoltate il Profeta, che nei salmi ci dice questa stessa cosa: Dio ha parlato una volta, io ho udito queste due cose 33. Grosso problema, ma voi, se avete capito quel che io vi ho detto, non dovreste rimanerne turbati. Dio ha parlato una volta, e tu hai ascoltato due cose? Egli ha parlato una volta in rapporto al suo Verbo, che è unico; tu, allora, come hai potuto ascoltare due cose? Continua [il salmo]: Poiché tua è la potenza e tua, Signore, la misericordia 34. La potenza con la quale punisci, la misericordia con cui salvi. E ascolta anche come prosegue. Dice: Tu infatti ripaghi ciascuno secondo le sue opere 35.
Dio Trinità attende cuori innamorati.
7. O Verbo unico, Verbo soave! Che egli ci ispiri l'amore per lui! Ed egli ce lo ispira mediante lo Spirito Santo. Così infatti è la Trinità: il Padre genera, il Figlio è generato, lo Spirito spira la carità; il generante, il generato, il soffio che spira. Ecco la Trinità: dolcissima, altissima, ineffabile, infinitamente superiore a tutte le creature da lei suscitate, rese perfette e collocate nel loro ordine. Eppure questa Trinità, che trascende totalmente ogni cosa, vuol essere amata, desidera cuori che la amino. Naturalmente, questo " desidera " è detto bene se lo si intende nel senso di " essa fa desiderare ", come quando dello Spirito si dice che gode 36 (in quanto esso fa godere) e di Dio si dice: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate 37. Che significa infatti per sapere se non " per far sapere a voi "? Or dunque, Dio nutre i cuori di coloro che lo desiderano, che lo amano con purità, che lo amano disinteressatamente, non trovando nulla che più di lui meriti d'essere amato. Che se, viceversa, troveranno qualcosa che gli sia preferibile, prendano pure questo " qualcosa " come loro ricompensa; ma se non troveranno nulla, preghino per ottenere la ricompensa che egli dà. Ma supponiamo che il tuo Creatore, di fronte al quale nulla c'è di più prezioso, non voglia darti se stesso come premio. In tal caso tu dovresti gemere senza tregua, mai però pensare d'andargli a chiedere altre cose. Se il tuo Creatore, di fronte al quale non c'è nulla di più prezioso, non volesse darti se stesso... Ma ci sarà consentito di dire sul suo conto parole come queste? Oh, certo che ci è consentito per il semplice fatto che noi siamo bambini, ci è consentito perché, se noi volessimo dire qualcosa di adeguato nei suoi riguardi, non dovremmo dire assolutamente niente. Insomma, se il tuo Creatore - come prima avevo cominciato a dire - si rifiutasse di darsi a te, tu dovresti gemere per sempre, mai però andargli a chiedere qualche cosa che non sia lui. Invece egli ti dà se stesso, e tu vai in cerca d'altro... Egli in qualche modo ti chiede di amarlo, dal momento che tu non lo ami. Guarda quanto sei misero, e non pensare che lo sia lui! Ed ecco che egli va in cerca di cuori che lo amino con sincerità, cuori che con slancio di devozione sappiano trascendere l'universo creato e la sua mutabilità. Ciò conseguiranno se saranno umili, poiché le alture sono superate [solo] da chi non è alto. Se dunque tu vuoi innalzarti al di sopra di tutte le creature e pervenire a quella meta, del tutto diversa, di cui hai inteso l'annuncio dalla bocca del Pescatore, sii umile, chiedilo con sentimenti di pietà. Quando ti sarai elevato al di sopra di ogni creatura, corporea e spirituale, giungerai alla contemplazione della Trinità, e berrai alla stessa fonte da cui bevve l'Evangelista. Pervenuto a tal meta, potrai irridere tutti gli schernitori, che con insulse contestazioni si sollevano fumo dinanzi agli occhi per non vedere la verità. Dopo che in un primo momento li avrai sbeffeggiati, alla fine forse ti verrà da piangere su di loro.
Impossibile raggiungere il Verbo finché si ragiona in maniera carnale.
8. Al presente vi basti, fratelli, quanto vi abbiamo accennato. Per comprendere più a fondo la cosa, bussate alla porta di Lui. Nessuno in base la suo pensiero carnale abbia a dire: " Come poteva, il Verbo, essere presso Dio 38 e insieme nel seno della Vergine, da cui volle nascere? Che forse lo stesso Verbo discese fra noi in modo che, quando venne a trovarsi nel grembo della Vergine Maria, si allontanò dal Padre? Se non si allontanò dal Padre, come poteva essere quaggiù fra noi? Che forse una sua metà rimase con il Padre e l'altra scese nel grembo della Madre? O magari rimase con il Padre la parte maggiore di lui, mentre una piccola parte (un pezzettino!) scese nel grembo della Vergine? ". Non permetterti di tagliare a pezzi il tuo Dio! Cerca piuttosto di unificare in lui la discorde frammentarietà dei tuoi pensieri, e non sminuzzare Dio in base ai tuoi pensieri. Che egli ti raccolga in unità; e non pretendere di intaccare tu la sua unità. Dirai: " Ma come potrò comprendere tutto questo? Non ci capisco niente, non ne sono in grado. Egli sarebbe nello stesso tempo e presso il Padre e nel grembo della Vergine. Chi potrà mai comprendere una cosa come questa? ". Ricorda però che quanto stai ascoltando riguarda Dio, mentre tu, abituato a pensieri carnali, ti costruisci un qualcosa che è corporeo; e quindi sei costretto a smembrarlo in parti, non riuscendo a trovarlo dappertutto nella sua totalità. Così, se pensi alla terra: una sua parte è qui e un'altra è là fuori, nella piazza. Non è la stessa parte. Ma ciò accade perché si tratta della terra, cioè di un corpo; e per questo alcune sue parti sono grandi, mentre altre sono piccole. Così se si divide l'acqua: una sua parte tocca questa spiaggia, un'altra parte tocca un'altra spiaggia. Non è la stessa acqua quella che è qui e quella che è là; e sebbene si presenti come un tutt'uno l'acqua che si spande nei vari luoghi, tuttavia non è la stessa parte di acqua che sta ovunque, ma una parte sta qui e un'altra sta là. Così è dell'aria e del suo espandersi: una cosa è l'aria diffusa in questa basilica, un'altra quella che è in quell'altro luogo. L'aria è dovunque la stessa, ma di quest'aria qui ce n'è una parte, là un'altra. Non è la stessa e identica massa di aria quella che è là e quella che è qui, né quella che è qui e quella che è là. Così è per le zone celesti. Ne vediamo alcune quando volgiamo lo sguardo ad oriente, altre ne vediamo quando ci giriamo ad occidente. Non è possibile che la stessa identica zona si trovi ovunque. Sebbene a noi sembri che il cielo, nelle sue varie zone, si trovi tutto in tutte le parti, nondimeno nella sua totalità il cielo non è dappertutto, ma una sua zona è qui e un'altra altrove. Orbene, quando voi pensate a Dio, non pensatelo in questa maniera, cioè con categorie materiali. O che non potete davvero pensare a cose diverse da queste? Ecco, vi darò un esempio da cui, forse, l'argomento che trattiamo possa penetrare nella vostra mente, o carissimi, che mi ascoltate con attenzione.
Il Verbo di Dio nei suoi riflessi esistenti nel mondo creato.
9. Tu vorresti dividere in parti il Verbo di Dio, e ti pare impossibile credere che egli sia tutto presso il Padre e tutto nel seno della Vergine Maria. Io voglio dirti qualcosa di più, e cioè che egli è tutto intero dovunque tu voglia pensarlo, sebbene non dovunque abbia assunto l'umanità, con la quale è diventato l'unico uomo-Dio. Non ammetto divisioni: contèntati di capire quel tanto che puoi. Tu dunque vorresti dividere il Verbo di Dio? Ebbene, ascolta la parola di un uomo! Ovviamente, ti sembra impossibile che il Verbo di Dio potesse essere in Maria e presso il Padre a meno che non lo si fosse suddiviso in parti, delle quali l'una sarebbe stata qui e l'altra là. Or ecco che voi ascoltate da noi la parola o, meglio, ascoltate da noi le parole. Ponete attenzione al nostro parlare poiché è migliore l'esemplificazione tratta dalla parola che uno solo rivolge a voi, che siete parecchi, anziché dalle parole che scambiate tra di voi, essendo queste dello stesso genere. Voi infatti parlate a pochi, mentre noi parliamo a molti; eppure, quello che diciamo, lo ascoltano tutti, e tutti lo ascoltano per intero. Se per saziarvi io vi servissi un cibo materiale, voi dovreste spartirvelo tra voi, e per mangiarlo uno dovrebbe prenderne una porzione e un altro un'altra. Pur nutrendovi tutti con lo stesso identico cibo, non tutti ne prendereste la stessa razione, ma quel tutto che era stato posto sulla tavola voi ve lo dovreste dividere in più parti secondo le vostre esigenze, e uno prenderebbe questa porzione e un altro quella. Lo stesso cibo sarebbe nella bocca di tutti ma non sarebbe su tutte le bocche il cibo tutto intero. Non c'è dubbio che succederebbe così. Ora, quel che accadrebbe del cibo materiale quando lo portate alla bocca, lo stesso è delle nostre voci e delle nostre parole: sono come un cibo che noi imbandiamo ai vostri orecchi e che tutto intero vi raggiunge tutti. O che forse, mentre io parlo, uno si appropria di una sillaba e un altro di un'altra? O uno di una parola e un altro di un'altra? Se fosse così, per poter giungere a tutti almeno una parola dovrei dire tante parole quante sono le persone che mi vedo dinanzi. Invece la cosa è facilitata: io proferisco più parole di quante non siano le persone presenti, e tutto il mio dire arriva a tutti. Ora io dico: una parola umana per arrivare a tutti gli uditori non ha bisogno di essere divisa in sillabe, e il Verbo di Dio perché sia dappertutto lo si dovrà tagliuzzare in pezzetti? Ma che davvero, fratelli, oseremo mettere sullo stesso piano le nostre parole, che risuonano e svaniscono, e quel Verbo che rimane eternamente immutabile? O che io, dicendovi quel che vi ho detto, ho inteso fare un simile avvicinamento? Tutt'altro! Io ho voluto soltanto richiamare in qualche modo alla vostra attenzione alcune cose per le quali Dio stesso, attraverso realtà corporali, possa elevarvi a credere in quelle realtà spirituali che ancora non vedete. E ora passiamo a cose più elevate di quanto non lo siano le nostre parole, le quali risuonano e svaniscono. Pensa alle cose spirituali, pensa alla giustizia! Ecco, alla giustizia rivolge il pensiero un uomo che sta dalle nostre parti, in occidente, e la pensa anche un uomo che sta in oriente. Come è possibile che l'uno e l'altro pensino a tutta intera la giustizia? Come è possibile che la veda tutta intera l'uno e tutta intera l'altro? Vive infatti da giusto colui che vede la giustizia e si comporta in conformità con essa; la vede dentro, e fuori ne compie le opere. Ma come fa a vederla nel suo intimo se dinanzi a lui non c'è niente da vedere? Se al contrario essa gli è dinanzi, siccome costui si trova in una parte del mondo, forse che a vederla laggiù non potrà giungere il pensiero dell'altro? In effetti tu, che stai qui, con la mente vedi la stessa cosa che vede quell'altro, lontano da te le mille miglia: la stessa verità brilla tutta intera agli occhi tuoi e a quelli dell'altro. Vedi dunque che le cose divine e incorporee sono tutte intere ovunque, e credi che il Verbo era tutto intero presso il Padre e tutto intero nel grembo di Maria. Lo credi infatti di colui che è il Verbo di Dio, il quale è Dio presso Dio.
Con l’Incarnazione il Verbo di Dio si è reso piú vicino a noi.
10. [3]. Ascolta ora un'altra descrizione, un altro modo di presentare Cristo, quando di lui parla la Scrittura. Quanto detto fin qui lo diceva di lui prima che si incarnasse. Di questo secondo modo come ne parla? Dice: Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezza a noi 39. Prima aveva detto: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato creato 40. Se non avesse parlato dell'umanità assunta dal Verbo, sarebbe stato inutile quanto a noi detto della sua divinità. È infatti perché io possa vederlo che Dio interviene così; è perché io sia purificato, e in tal modo riesca a fissare su di lui lo sguardo, che Dio stesso viene in aiuto alla mia debolezza. Egli si fa uomo prendendo la natura umana dalla nostra stessa umanità, e sedendo sul somarello del nostro corpo viene da colui che giaceva ferito ai margini della strada 41. In questa maniera, cioè con il sacramento della sua incarnazione, egli conferma e nutre la nostra poca fede, e rischiara la nostra mente affinchè, attraverso l'umanità che egli assunse, giunga a vedere la divinità, che egli mai depose. Egli infatti cominciò ad esistere come uomo, ma come Dio mai cessò di esistere. Quando dunque Giovanni dice che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi 42, lo dice del nostro Signore Gesù Cristo in quanto è nostro mediatore, in quanto è capo della Chiesa. Così infatti egli è Dio e uomo, uomo e Dio.
Il Verbo incarnato nell’inno cristologico di Paolo ai Filippesi.
11 [4]. Udite ora come questa duplice realtà sia presentata in quel notissimo testo dell'apostolo Paolo. Egli dice: Esistendo nella natura divina non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio 43. È quanto dice Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 44. Come avrebbe potuto affermare l'Apostolo che egli non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio 45 se non fosse stato per davvero uguale a Dio? Ma se il Padre è Dio mentre il Verbo non lo è, come può il Verbo essergli uguale? Quanto dunque dice Giovanni, che cioè il Verbo era Dio 46, dice anche Paolo con le parole: Non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 47. E dove l'uno dice: Il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi 48, l'altro concorda: Ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo 49. Badate bene! Per il fatto che si è incarnato, per il fatto che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezza a noi 50, per questo egli svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo 51. Cos'è mai questo svuotarsi? Senza perdere la divinità si rivestì dell'umanità, e così apparve agli occhi degli uomini come non era prima che diventasse uomo. Apparendo in questa forma, egli svuotò se stesso, cioè, pur conservando la gloria della divinità, presentò [a noi] il rivestimento di carne della sua umanità. Egli dunque prese la forma dello schiavo 52, e con questo svuotò se stesso. Quanto alla forma divina, egli non la prese in un determinato tempo, e difatti Paolo, parlando della forma divina, non dice: " La prese " ma: Esistendo nella forma divina. Quando invece giunge a parlare della forma dello schiavo dice: Prendendo la forma dello schiavo. In tal modo egli è nostro mediatore e capo della Chiesa 53, colui ad opera del quale siamo riconciliati con Dio 54: cosa che otteniamo per il mistero della sua umiliazione, cioè della sua passione, e poi per la sua resurrezione, ascensione e il giudizio futuro. In questo giudizio si udranno due parole, pur avendo Dio parlato una volta sola 55. Quando si udranno le due parole? Quando egli renderà a ciascuno secondo le sue opere 56.
Non permettiamo che si corrompa la verginità della mente.
12 [5]. Ritenendo questa verità, non stupitevi se c'è della gente che solleva questioni e difficoltà, le quali, al dire dell'Apostolo, serpeggiano come cancrena 57. Mettete un riparo alla vostre orecchie e conservate la verginità della vostra mente, come si addice a persone che l'amico dello sposo ha fidanzato con un solo uomo per essere presentate a Cristo come vergine casta 58. In effetti, se la verginità del corpo è prerogativa di pochi nella Chiesa, la verginità della mente dev'essere conservata da tutti. Ora è questa verginità che il serpente vuol contaminare, secondo quello che scrive l'Apostolo: Io vi ho fidanzati a un solo uomo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così i vostri sensi si depravino perdendo la castità che è in Cristo 59. Parla di vostri sensi intendendo " le vostre menti ". La parola " menti" è più appropriata poiché col nome di " sensi " si intendono anche i sensi del corpo: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto e il tatto, mentre l'Apostolo temeva che si guastassero le menti, dove risiede l'integrità della fede. Ebbene, o anima, conserva ora la tua verginità, che in seguito diverrà feconda per l'amplesso del tuo Sposo. Collocate una siepe di spini (son parole della Scrittura 60!) dinanzi ai vostri orecchi! Gli attacchi degli ariani hanno turbato, è vero, alcuni fratelli deboli nella fede, ma per la misericordia del Signore la fede cattolica ha sbaragliato gli eretici. Il Verbo infatti non ha abbandonato la sua Chiesa, anche se ha permesso che fosse turbata per ricordarle che sempre deve supplicare Colui che le dona stabilità sulla solida pietra. Ma il serpente continua a brontolare e non si rassegna a tacere. Promettendo una non so quale scienza, cerca di scacciare dal paradiso della Chiesa coloro che non vorrebbe far rientrare in quel paradiso dal quale l'uomo fu espulso alle origini del mondo 61.
La dottrina ariana inconciliabile con la Scrittura.
13 [6]. Statemi attenti, miei fratelli! Quel che accade nel paradiso accade ora nella Chiesa. Nessuno vi inganni allontanandovi dall'attuale paradiso: ci basti l'essere stati cacciati via quella volta, e, fatta quella triste esperienza, ravvediamoci! È sempre lo stesso serpente che ci spinge all'empietà. Egli ci assicura l'impunità, come la promise quella volta dicendo: Non morirete in alcun modo 62, nonostante che Dio avesse detto: Morirete sicuramente 63. Perché i cristiani di oggi vivano nel peccato, egli insinua più o meno la stessa cosa e dice: " Possibile che Dio condanni alla perdizione tutti gli uomini? " In realtà Dio dice: " I peccatori io li condannerò; perdonerò soltanto quelli che cambieranno vita. Càmbino pure vita e io ritirerò i castighi che ho minacciati ". Or ecco avvicinarsi il serpente: mormorando e contestando dice:" Ma via! La Scrittura afferma: Il Padre è più grande di me 64, e tu osi dire che egli è uguale al Padre "! Accetto le cose che dici, e le accetto tutt'e due, poiché tutt'e due trovo nella Scrittura. Perché tu ne accetti una soltanto, e ti rifiuti di accettare l'altra, pur avendole lette tutt'e due, come faccio io? Sì, il Padre è più grande di me. Io lo ammetto, prendendolo non da te ma dal Vangelo; ma tu ammetti che egli è uguale a Dio prendendolo dall'Apostolo 65. Metti insieme le due verità: esse debbono senz'altro combaciare, poiché colui che ha parlato nel Vangelo per bocca di Giovanni ha parlato per bocca di Paolo nella sua lettera. Non può, lo stesso autore, essere in disaccordo con se stesso; ma tu, smanioso come sei d'attacar brighe, non vuoi capire l'armonia della Scrittura e dici: " Ma io lo dimostro dal Vangelo: Il Padre è più grande di me 66 ". Ti replico: " Anch'io dal Vangelo ti cito le parole: Io e il Padre siamo una cosa sola 67 ". " Ma come possono essere vere le due parole? ". "Non ricordi cosa c'insegna l'Apostolo? Ascolta! Io e il Padre siamo una cosa sola è lo stesso che Egli esistendo nella natura divina non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 68. Ascolta ancora! Il Padre è più grande di me 69 corrisponde a Egli svuotò se stesso prendendo la natura dello schiavo 70. Ecco, io ti ho mostrato in che senso il Padre è maggiore; tu mostrami come il Verbo è uguale al Padre, poiché nella Scrittura leggiamo tutt'e due le cose. Or dunque, egli è minore del Padre in quanto è Figlio dell'uomo, è uguale al Padre in quanto è Figlio di Dio, poiché il Verbo era Dio 71. Il [nostro] Mediatore è Dio e uomo 72: Dio uguale al Padre, uomo minore del Padre. Certo, egli è uguale e minore: uguale nella natura divina, minore nella forma dello schiavo 73. Ma tu, [ariano], come puoi ritenerlo uguale? O che per caso sia uguale per una sua parte e minore per un'altra? In effetti, se escludi l'incarnazione, non hai alcun modo di mostrarmelo uguale e minore. Voglio vedere come riuscirai a mostrarmelo.
È sapienza carnale e stoltezza pensare Dio come un corpo.
14 [7]. Quanto a voi, notate come la stolta loro empietà sia a livello carnale, conforme alla parola della Scrittura: La sapienza della carne conduce alla morte 74. Io, da parte mia, voglio ancora essere neutrale e per il momento non parlo dell'incarnazione di nostro Signore, unico Figlio di Dio. Supponendo non ancora accaduto quello che invece è accaduto, mi metto a considerare insieme con te le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 75. Insieme con te considero anche le altre: Egli, pur essendo di natura divina, non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 76. Mostrami dove, secondo questi testi, egli sia minore. Che dirai? Comincerai a smembrare Dio in base a delle [sue] qualità, cioè in base a note corporali o fisiche per le quali qui lo penseremmo diverso da come lo pensiamo là? Parlando in modo materiale, potrei esprimermi anche così, ma se le cose stiano così perché voi così le concepiate, lo vedrà Dio. Pertanto, come già avevo cominciato a dire, vieni pure tu, [eretico], a mostrarmi come prima dell'incarnazione, prima cioè che il Verbo si facesse uomo e dimorasse in mezzo a noi 77, ci sia stato un minore e un uguale. Forse che Dio è questa cosa e quest'altra, per cui il Figlio da un lato è minore del Padre e da un altro gli è uguale? Potremo per caso dire che [Padre e Figlio] sono una specie di corpi ed è per questo che tu mi vieni a dire: " [Il Figlio] è uguale in lunghezza ma minore quanto a forza "? Spesso infatti ci si presentano due corpi che sono fra loro uguali per la dimensione della lunghezza, mentre per la forza uno ne ha di meno e un altro di più. Li immagineremo dunque in questa maniera? Penseremo che Dio Padre e il suo Figlio siano corpi? Dio allontani pensieri di questo genere dal cuore dei cristiani! Il Verbo era tutto intero presso il Padre, tutto intero nella carne, tutto intero al di sopra degli angeli. Ma tu la penserai diversamente e oserai dire: " Sì, sono uguali quanto a forza e ad estensione, ma solo disuguali per il colore ". Ma dov'è il colore se non nei corpi? Lassù invece c'è solo luce di sapienza. Mostrami il colore della sapienza, il colore della giustizia! Se queste realtà non hanno colore, oserai parlare di colori che si troverebbero in Dio? Ammesso che tu stesso sia in grado di colorarti di rossore!
Gli attributi di Dio sono una unità inscindibile.
15 [8]. Cosa dunque verrai a raccontarmi? Che il Padre e il Figlio sono uguali nella potenza ma il Figlio è inferiore nella sapienza? Ma Dio sarebbe ingiusto se a uno che ha meno sapienza desse un'uguale potenza. Se sono uguali nella sapienza ma il Figlio ha meno potenza, Dio sarebbe invidioso, poiché a uno che gli è uguale in sapienza ha conferito un potere più limitato. Ma in Dio, tutto ciò che si predica di lui è sempre e in tutto la stessa realtà. In lui infatti la potenza non differisce dalla sapienza, né la fortezza dalla giustizia o dalla castità. Parlando di Dio, qualsiasi prerogativa gli attribuisci, non devi intenderla come diversa dalle altre; anzi, nessuna di esse è adeguata [alla sua natura] poiché tutte sono proprietà dell'anima umana: quell'anima che la luce di Dio inonda, per dir così, e riveste delle caratteristiche proprie di ciascuna. È come quando sui corpi si leva la nostra luce visibile. Se viene a mancare, tutti i corpi hanno lo stesso colore o, meglio, non hanno alcun colore; se invece la si reca in un luogo, essa illumina i corpi e, pur essendo sempre identica in se stessa, conferisce ai vari corpi una lucentezza diversa, secondo le proprietà di ciascuno. Ciò vale anche per le virtù sopra ricordate: le quali sono proprietà dell'anima rischiarata da quella luce che nessuno rischiara e modellata da quella luce a cui nessuno dà forma.
La inesprimibile trascendenza di Dio.
16 [9]. Eppure noi diciamo queste cose, fratelli, in riferimento a Dio, non trovando nulla di meglio da dire nei suoi riguardi. Ecco, io dico che Dio è giusto perché, tra le parole umane, non ne trovo un'altra migliore; in realtà però egli è al di sopra della giustizia. È vero che nelle Scritture si dice: Il Signore è giusto e ama la giustizia 78, ma a un certo punto vi si dice anche che Dio si pente, che Dio non sa questo o quello 79. Chi non rimarrà esterrefatto? Un Dio che non sa, un Dio che si pente! Ebbene, se la Scrittura si abbassa fino ad usare parole dinanzi alle quali tu resti sconvolto, lo fa con un intento salutare, e cioè perché tu, ascoltando parole di esaltazione, non creda che siano adeguate alla sua grandezza. Fa' conto che tu voglia pensare, nei riguardi di Dio, che egli si penta di qualcosa come succede all'uomo nel suo umano sentire. Qualsiasi altro, che comprende le cose di Dio meglio di te, verrebbe sicuramente a rimproverarti, spiegandoti insieme che, se nelle Scritture trovi affermazioni di questo genere, non sono dette per indicare che in Dio si trovano passioni come quelle che provi tu quando con il cuore addolorato disapprovi i tuoi propositi e le tue azioni 80. Quando gli uomini fanno cose come queste, si dice che lo fanno pentiti, qualora recedono dal proposito precedente; quanto a Dio invece, siccome i suoi decreti sono stabili in eterno 81, se si dice che si pente, lo si dice figuratamente, per indicare che egli agisce in maniera diversa da quella che gli uomini si sarebbero attesi. Identica risposta se tu volessi chiedere: " Ma insomma cosa potrò dire che convenga a Dio? ". Qualcuno forse ti risponderà dicendo che egli è giusto, mentre un altro, comprendendo la cosa a più a fondo, ti dirà che anche questa denominazione rimane al di sotto della sua infinita elevatezza: lo si predica di lui in maniera inadeguata, che peraltro non è sconveniente se si tien conto della capacità nostra umana. Ma quell'interlocutore, per dimostrare la sua affermazione, ricorrerà alla Scrittura, dove si legge che il Signore è giusto 82. Gli si risponde, e con ragione, che nella stessa Scrittura, di Dio si dice che si pente. E come questo pentirsi non lo si prende nel senso consueto del parlare umano 83, cioè come si pentono gli uomini, così quando si dice che Dio è giusto, devi intenderlo come non rispondente appieno alla sua infinita maestà; e se la Scrittura usa questa espressione ( e fa bene ad usarla), è perché la nostra mente attraverso parole, sia pur approssimative, sia gradatamente condotta alla comprensione di ciò che è ineffabile. Parlando dunque di Dio, di' pure che è giusto, ma intendi un qualcosa che oltrepassa la giustizia che di solito attribuisci all'uomo. Quanto poi alla Scrittura, se vi si dice che Dio è giusto, ricorda anche che di lui si dice che si pente e che non sa 84: cose che tu mai ti permetteresti di dire. Ebbene, come ritieni che queste affermazioni che ti fanno inorridire sono state scritte in vista della tua limitatezza, così ritieni che anche le altre, quelle che tu ammiri per la loro sublimità, sono state scritte in vista della limitatezza che in qualche misura permane anche negli uomini più progrediti (. Che se poi qualcuno riuscirà a trascendere questi limiti e a farsi di Dio dei concetti adeguati (per quanto è dato all'uomo mortale!), cerchi di trovare quel silenzio che merita d'essere lodato con la voce inesprimibile del cuore.
Il Verbo, Dio per natura, uomo per misericordia.
17 [10]. In conclusione, fratelli, in Dio la potenza è lo stesso che la giustizia; e così qualunque cosa vorrai affermare di lui, è sempre la stessa cosa, che tu però in nessun modo riuscirai ad esprimere adeguatamente. Pertanto non ti sarà lecito dire che il Figlio è uguale al Padre per la giustizia mentre non è uguale per la potenza, o che egli è uguale per la potenza ma non per la scienza, poiché chi è uguale per una prerogativa, qualunque essa sia, è uguale in tutte le altre, in quanto tutti gli attributi che predichi di Dio sono in lui un'unica realtà e si equivalgono. Questo è sufficiente perché tu capisca che non puoi asserire in che modo il Figlio sia uguale al Padre senza introdurre delle differenziazioni nella stessa sostanza divina; ma se tu ve le introdurrai, la verità stessa ti caccerà fuori casa e non ti sarà concesso d'entrare in quel santuario dov'ella splende di fulgidissima luce 85. Non essendo dunque Dio divisibile in parti, mai ti sarà lecito dire che il Figlio per una parte è uguale al Padre mentre per un'altra gli è disuguale. Non essendo in Dio le qualità, mai ti sarà lecito dire che per una qualità gli è uguale, ma per un'altra inferiore. Nell'ambito della divinità non puoi affermare che il Figlio è uguale al Padre se non lo intendi uguale sotto ogni aspetto. Ma, allora, come farai a dirlo inferiore se non riferendoti alla forma dello schiavo che egli ha assunta 86? Sì, fratelli, abbiate sempre in mente questa avvertenza: se attingerete dalle Scritture la norma da seguire, la luce stessa [della verità] vi mostrerà con chiarezza tutte le cose. E quindi, se troverete che del Figlio si dice che è uguale al Padre, prendete le parole come riferite alla natura divina; se altrove si dice che è minore, ritenete che è minore per la natura dello schiavo da lui assunta. Conforme a quanto è detto in un luogo: Io sono colui che sono 87, e in un altro: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe 88, ritenete dunque e quello che egli è nella sua natura [divina] e quello che è diventato nella sua misericordia.
La Scrittura presenta il Signore Gesú come vero Dio e vero uomo.
18. Non vi sorprenda dunque il fatto che secondo questa diversa accezione siano state dette dal Signore le parole riportate nel Vangelo e quelle del salmo che or ora abbiamo cantato. Lasciate che ve le spieghiamo e inculchiamo con una testimonianza ancora più esplicita. Nel Vangelo si dice: Dal Padre mio e Padre vostro, dal Dio mio e Dio vostro. Non vi turbino le parole: Dal Padre mio e Padre vostro 89. Nei riguardi del Figlio, il Padre è sempre padre: non essendoci interruzione nel generare il Figlio, non c'è momento in cui il Padre non è padre. Quanto a noi, il Padre ci è padre in maniera diversa, cioè per la misericordia dell'adozione. Il Verbo è generato, noi siamo stati adottati. Dio lo ha generato prima del lucifero 90: che voi non dovete prendere come una stella ma, se lo si chiama lucifero, date alla parola un senso traslato e intendetela di " uno che reca la luce ". Non che sia egli stesso la luce ma, essendo illuminato dalla luce, può illuminare. In questo senso anche di quell'arcangelo che non rimase nella verità 91 è stato detto che sorgeva come il lucifero 92, ma non rimase nella luce. Allo stesso modo di ogni anima che viene illuminata, per potere a sua volta illuminare, si dice che è un " lucifero " (= portatore di luce); mentre se si sottrae alla luce che la illumina, diviene tenebra. Ecco perché l'evangelista Giovanni, parlando di nostro Signore, dice: Egli era la luce vera; e come se qualcuno gli chiedesse: " Ma cos'è questa luce vera "?, risponde: Quella che illumina ogni uomo 93. Dunque non una luce che viene illuminata, ma luce che illumina. Di Giovanni Battista al contrario si dice che egli non era la luce 94. Ma quale luce non era Giovanni? Quella che illumina 95 senza essere illuminata. Era infatti, Giovanni, una luce che veniva illuminata da colui dalla cui pienezza egli aveva attinto 96; e per questo il Signore, parlando di lui, diceva: E voi avete voluto esultare per un po' di tempo alla sua luce 97. Non diversamente diceva ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo 98. Erano luce del mondo perché erano stati illuminati; ma una cosa è la luce vera che illumina ogni uomo 99, un'altra cosa la luce creata che dalla prima riceve l'illuminazione. Ebbene, luce vera che illumina è il nostro Signore Gesù Cristo; luce creata che dall'altra riceve illuminazione sono Giovanni, gli apostoli, tutte le anime sante e i beatissimi spiriti celesti che diventano " portatori di luce ", attingendo la luce da altri. Pertanto l'espressione: Prima del lucifero io ti ho generato 100 equivale a: " Prima di ogni creatura "; e " Prima di ogni creatura " deve intendersi di tutte le creature, anche quelle più elevate, cioè quelle spirituali e intellettuali, che diffondono luce perché sono state illuminate. Concludendo dunque, fratelli, riteniamo che nel nostro Signore Gesù Cristo son vere tutt'e due le cose: che egli per la sua divinità è uguale al Padre, mentre è minore del Padre per essersi fatto uomo. E - come avevo cominciato a dirvi - non scandalizziamoci se egli parla di Padre mio e Padre vostro 101. Dio infatti da sempre è Padre del suo Figlio unigenito, che è nato da lui da sempre e quindi prima del lucifero, cioè prima di ogni creatura che diventa luce perché illuminata. Ma tutta l'espressione: Padre mio e Padre vostro è vera, poiché ad opera del Figlio anche noi abbiamo ricevuto il dono d'essere figli di Dio. Egli ci ha dato il potere di diventare figli di Dio 102. È questa l'adozione a voi, carissimi, ben nota, di cui parla l'Apostolo quando dice che noi aspettiamo l'adozione, cioè la redenzione del nostro corpo 103, e ancora: Dio ha mandato il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per redimere coloro che erano sotto la legge e noi ottenessimo l'adozione a figli 104. Molto appropriatamente dunque [il Signore] prima parlò di Padre mio, come di Padre esclusivamente suo, e poi di Padre vostro. Ma come può dire Dio mio e Dio vostro 105? Se al riguardo tenete presente la regola [della fede], cosa avete da aspettarvi da me? " Egli è Padre mio da sempre, Dio mio da quando mi sono fatto uomo ". Ascolta il salmo che è stato letto: Su di te io sono stato riposto fin dal grembo materno; dal seno di mia madre tu sei il mio Dio 106. Penso che sia stato detto abbastanza anche riguardo al modo, secondo il quale il nostro Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore, Capo della Chiesa e nostro Mediatore ad opera del quale otteniamo la riconciliazione con Dio 107, viene presentato dalle Scritture come Dio e come uomo.
Il Cristo totale: capo e corpo.
19 [11]. La terza accezione [del nome di Cristo] si ha quando si parla del Cristo totale considerata anche la Chiesa, quando cioè si parla del capo e del corpo. Infatti il capo e il corpo sono l'unico Cristo: il che non vuol dire che Cristo capo senza il corpo è una persona incompleta ma che egli si è degnato di essere una realtà completa anche insieme con noi, lui che anche senza di noi è completo dall'eternità. Egli è certamente completo come Verbo, Figlio unigenito uguale al Padre, ma lo è anche insieme con l'umanità che ha assunta e con la quale è Dio e uomo. In effetti, fratelli, come potremmo noi essere il corpo di Cristo se egli non fosse, insieme con noi, un unico Cristo? Ma troveremo noi [nella Scrittura] passi in cui si insegna che l'unico Cristo è capo e corpo, cioè un corpo unito al suo capo, una sposa unita al suo sposo? Eccolo in Isaia. Ivi parla un singolo individuo: parla sempre la stessa identica persona, ma osservate cosa dice: Come uno sposo egli mi ha fasciato con il turbante e come una sposa mi ha coperto di monili 108. Parla di una sola persona e la dice sposo e sposa: sposo, riferendosi al capo; sposa, riferendosi al corpo. Sembrerebbero due; in realtà sono uno solo. Se fosse diversamente, come potremmo noi essere membra di Cristo, secondo l'esplicita affermazione dell'Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra 109? Se siamo membra di Cristo, siamo anche suo corpo, e lo siamo tutti insieme. Non solo quanti siamo presenti in questo luogo ma anche quanti sono sparsi per tutta la terra; né soltanto quanti viviamo nel nostro tempo ma (cosa dirò?) quanti da Abele, il giusto 110, vivranno sino alla fine del mondo, quando gli uomini cesseranno di generare e di essere generati. Tutti i giusti che hanno attraversato il mare di questa vita, coloro che vi si trovano al presente (non mi riferisco a luoghi ma alla vita!), coloro che nasceranno in avvenire, tutti insieme si forma l'unico corpo di Cristo, e ciascuno ne è un membro 111. Se dunque tutti insieme noi formiamo un corpo del quale ciascuno è un membro, dev'esserci ovviamente un capo a cui appartenga questo corpo. Lo dice l'Apostolo: Egli è il capo del corpo che è la Chiesa, egli che è il primogenito e detiene la supremazia 112 [in tutte le cose]. E siccome del medesimo Cristo dice ancora [Paolo] che è capo di tutte le dominazioni e le potenze 113, ecco che la nostra Chiesa, adesso pellegrina sulla terra, viene a congiungersi con la Chiesa celeste, dove saremo concittadini degli angeli. Quella di divenire, dopo la resurrezione del corpo, uguali agli angeli, sarebbe stata una spudorata ambizione se la verità in persona non ce lo avesse assicurato : Saranno uguali agli angeli di Dio 114. Si avrà in tal modo un'unica Chiesa, la città del grande Re 115, alla quale volle appartenere anche il Figlio, prendendo un corpo da coloro che erano estranei e pellegrini. Egli si fece loro re, e li rese fecondi [nella giustizia], richiamando chi se ne era allontanato. Prefigurazione di questo mistero è quella Sion di cui sta scritto: Madre Sion, dirà l'uomo; egli si è fatto uomo in essa ed egli, l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta 116. E cioè: quello stesso che si è fatto uomo in essa, diventando umilissimo fra tutti, è lo stesso che, essendo l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta. Infatti tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto 117. Orbene, un corpo mutilato, a cui cioè manchi il capo, non può dirsi completo. Perché lo si ammiri, un capo dev'essere unito al corpo. Così è di Cristo: egli è una unità insieme con il corpo, che egli assunse per condiscendenza, non per necessità. Siamo infatti noi ad avere bisogno dei beni di Dio; Dio non ha bisogno dei beni nostri. Ascoltatelo dal profeta: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio poiché non hai bisogno dei miei beni 118.
Cristo, capo e corpo, raffigurato nel sacramento nuziale.
20 [12]. Nelle Scritture dunque Cristo a volte è presentato in modo che lo si ritenga come il Verbo uguale al Padre, altre volte invece devi intenderlo come uomo-mediatore. Così quando di lui si dice che il Verbo si è fatto carne per abitare in mezzo a noi 119, o quando del Figlio unigenito ad opera del quale sono state fatte tutte le cose 120, si dice che non ritenne una usurpazione l'essere uguale a Dio ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo [e] divenendo obbediente fino alla morte di croce 121. Altre volte invece te lo presenta in modo che tu intenda Cristo capo e corpo, come quando l'Apostolo espone in maniera lucidissima le parole della Genesi, riguardanti il marito e la moglie: I due saranno una sola carne 122. Badate bene alla spiegazione che egli ne dà, perché non pensiate che noi osiamo insegnarvi qualcosa in base a nostre supposizioni. Riportate le parole: I due saranno una sola carne, egli aggiunge: È questo un grande mistero 123; e perché nessuno pensasse che egli stesse ancora parlando di marito e di moglie nell'unione naturale dei due sessi, cioè del consueto rapporto matrimoniale, aggiunge: Questo io dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa 124. Come riferite a Cristo e alla Chiesa debbono dunque intendersi le parole: I due saranno una sola carne, sicchè non sono più due ma una sola carne 125. Ora come lo sposo suppone la sposa, così il capo suppone il corpo, poiché capo della donna è l'uomo 126. Sia dunque che io vi parli di capo e di corpo, sia che vi parli di sposo e di sposa, voi intendetemi nel senso di unità. Che se l'apostolo Paolo, in quel tempo ancora Saulo, si sentì dire: Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti? 127, il motivo fu l'unione esistente tra il capo e il corpo. Quando più tardi Paolo, diventato annunziatore di Cristo, stava soffrendo i mali che da persecutore aveva arrecato agli altri, ebbe infatti a dire: Affinchè io completi nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo 128. Con ciò mostrava che le sofferenze da lui sopportate rientravano nei patimenti stessi di Cristo. La qual cosa non può intendersi riferita a Cristo in quanto capo: essendo in cielo, egli non può in alcun modo soffrire. La si deve quindi riferire al suo corpo, cioè alla Chiesa 129: il quale corpo è, insieme al suo capo, l'unico Cristo.
Dobbiamo essere un corpo degno del nostro Capo.
21 [13]. Dimostrate dunque nei fatti d'essere un corpo degno di tale capo, una sposa degna di tale sposo. Un capo come lui non può avere un corpo che non sia degno di lui, né uno sposo come lui una sposa che non sia degna di lui. Dice Paolo: Per farsi comparire dinanzi una Chiesa coperta di gloria, che non ha né macchia né ruga o cose del genere 130. Ecco com'è la sposa di Cristo: non ha né macchia né ruga. Vuoi non avere macchie? Fa' quel che dice la Scrittura: Lavatevi, purificatevi, togliete ogni sorta di male dai vostri cuori 131. Vuoi non avere rughe? Distenditi sulla croce. Non basta infatti che tu venga lavato, ma, per essere senza macchia né ruga, devi anche stenderti. Nel [santo] lavacro ti vengono tolti i peccati; quando poi sei steso s'accende in te il desiderio dell'eternità, per donarti la quale Cristo fu crocifisso. Ascolta [cosa dice] Paolo, ormai lavato [nel battesimo]: Egli ci ha salvati non per le opere di giustizia compiute da noi ma per la sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione 132. Ascoltalo ancora mentre è disteso. Dice: Dimenticando le cose passate, proteso verso quelle che ho davanti, con grande tensione proseguo il cammino verso la palma della vocazione avuta da Dio in Cristo Gesù 133. Ben a ragione dunque Paolo, consapevole d'essere senza macchia di perversità e senza ruga di doppiezza 134, da buon amico dello Sposo 135 e a lui fedele, gli consegna la vergine casta e la presenta a lui, suo unico sposo 136, senza macchia o ruga 137. Non è infatti senza motivo che viene ricordata la profezia di Isaia [che ci indirizza] " presso la via del lavandaio 138 ".
Le oscurità della Scrittura rivelate ai piccoli.
22. Cose come queste hanno tutte, fratelli, un risvolto sacramentale. Pertanto le numerose affermazioni della Scrittura che suonano come assurde e prive di senso sono, sì, celate [al nostro intelletto], ma non ne segue che, per essere a noi celate, esse siano vuote di contenuto. Dio mette sotto chiave il recipiente pieno e cerca persone che vadano a bussare perché egli possa aprire 139. Naturalmente tu devi soppesare la cosa; devi cioè - permettetemi la battuta - fare ciò che fanno i bambini quando comprano le noci. Per non essere imbrogliati, pesano con la mano la merce e se trovano che è pesante, acquistano con maggiore tranquillità quello che è ancora nascosto ai loro occhi. Quando dunque nei libri della Scrittura - così santi, così famosi, così noti in tutto il mondo, così diffusi nell'intero universo abitato - tu incontri delle espressioni incomprensibili, sàggiane il peso e troverai che, da quando le cose sono state annunziate fino ai nostri giorni, nelle vicende umane non è accaduto nient'altro che quello ivi predetto. Grande davvero quindi il peso della loro autorità! Ebbene, a norma di tale autorevolezza tu valuta le varie sentenze scritturistiche. Ecco, ad esempio, che la tua mente si mette a ragionare sulle parole: E i due saranno una sola carne 140. Essa forse stava già prendendole in senso dispregiativo e si diceva fra sé e sé: "Ma cos'è questa roba? Sarà proprio vero che Dio si preoccupi d'insegnarci come debbano unirsi l'uomo e la donna e per questo dice: I due saranno una sola carne? ". Non buttar via tali parole! Tu sei un bambino: controlla il peso! Risponde: " E come potrò farlo? ". Di' a te stesso: " Effettivamente, parole come queste saprebbe dirle qualsiasi idiota; non c'è bisogno di uno che, bene o male, è chiamato uomo di Dio. Quanto poi a Mosè, che è l'autore delle parole, si sa che aveva uno spirito di levatura, quanto meno, normale ". E nota ancora che non senza un perché questi scritti si son divulgati in tutto il mondo e in tutto il mondo riscuotono onore religioso da parte dei credenti. " Se non ci fosse stato un qualche motivo particolare, Mosè non avrebbe detto che i due saranno una sola carne. In queste parole ci dev'essere un non so che di notevole: un qualcosa che lascia sgomenta la ragione umana e, sotto qualche aspetto almeno, le rimane nascosto. Non sono, comunque, parole vuote ". Se dialoghi con te stesso in questa maniera, sei uno che sta pensando. E, se avrai pensato bene, avrai anche riscontrato che si tratta di una cosa importante, che tu vuoi conservare con [grande] sicurezza. Ma forse tu sei un bambino a cui mancano le forze per aprire l'involucro. Ad ogni modo, conservalo e rallegrati, consapevole che hai in mano un recipiente colmo. Non ti mancherà qualcuno capace di aprirtelo e darti da mangiare. Egli replica: " E chi me lo potrà aprire? ". Ma certo che ci sarà qualcuno in grado di aprirtelo! Esprimiamoci come se stessimo trattando con un bambino: Consegnalo a quel tale, padre veramente tenero, che diceva: Vi dico queste cose non per farvi arrossire ma per ammonirvi come figli miei carissimi 141. Come vedi, è un apostolo, e quindi, almeno in qualche modo, è certamente anche un padre. Egli ti apre il recipiente che tu tieni chiuso in mano, quello che tu hai pesato e di questo suo peso ti sei accorto. Non temere! Egli te lo aprirà, poiché ha per te l'amore di padre, che gli fa dire: Anche se aveste molti pedagoghi in Cristo, non per questo però avreste molti padri, poiché sono stato io colui che vi ha generati in Cristo Gesù mediante il Vangelo 142. Egli ha anche l'amore di madre, per cui può dire: In mezzo a voi io mi son fatto piccino come quando una nutrice si prende cura dei suoi figli 143. Non parla di " madre " poiché a volte capita che delle madri, o perché troppo gracili o perché prive di affetto verso i propri figli, dopo averli partoriti, li affidano ad altre persone perché vengano allattati. D'altra parte, se avesse detto solamente: Come una nutrice che si prende cura e non avesse aggiunto: Dei suoi figli, avrebbe lasciato intendere che egli aveva ricevuto, per nutrirli, i figli messi al mondo da un'altra persona. Egli pertanto si dà il nome di nutrice perché nutriva, e precisa che erano figli suoi perché egli di persona li aveva partoriti, tanto che poteva dire: Figliolini miei, che io partorisco di nuovo finchè Cristo non sarà formato in voi 144. Ovviamente egli li partorisce nel modo che fa la Chiesa, prestando cioè il grembo ma non il seme; tuttavia egli ne è il padre o anche la madre, per cui tu puoi chiamarlo col nome che ti pare senza provocarne le ire. In effetti egli volle essere l'una e l'altra cosa per l'affetto del cuore, mentre non era né l'una né l'altra per motivi di sesso. Ebbene, a questo padre, o madre, dà quell'oggetto che tieni chiuso in mano, quell'oggetto così pesante, di così notevole autorità: fattelo aprire da lui! È la Genesi il libro in cui trovi scritte quelle parole 145. Non può trattarsi di cosa insignificante; ci dev'essere racchiuso qualcosa di serio. Non ti sembra che abbia voluto dirti qualcosa colui che ti parlava di sacramento? " Ma sì che lo avverto! È così grande il suo peso; tuttavia per me, almeno finora, è un recipiente chiuso ". Ti dice: [Che sia sacramento] io te lo dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa 146. Eccoti il cibo: sàziatene, tu che non hai buttato via il recipiente quand'era chiuso. Viceversa, colui che quand'era chiuso l'avesse trascurato o gettato via, in nessun modo potrebbe giungere a trarne il nutrimento.
Le astuzie di Giacobbe e la vocazione dei pagani.
23. Una cosa me ne fa venire in mente un'altra. Vi ho ricordato le noci, e, come pare, abbiamo ricollegato assai bene la cosa con l'argomento del presente discorso, nel quale abbiamo voluto trattare di misteri a noi nascosti. Non fu, dunque, per caso che Giacobbe prese tre rami di colore diverso e li pose nell'acqua da cui bevevano le pecore mentre si accoppiavano. Non volle prenderli da una sola pianta ma da piante diverse 147. Per ottenere l'effetto che egli si prefiggeva, i rami potevano benissimo essere di una medesima pianta; né c'era alcun bisogno che fossero di tre piante. Le piante potevano essere di più o di meno: bastava collocare nell'acqua tre rami d'albero diversi per colore. Che significa dunque il fatto che egli vi collocò tre rami, presi da tre piante diverse? Non ci si inculca un qualche mistero, che rimane nascosto alla nostra mente? Tenterò io di squarciare l'involucro e di mostrarvene il contenuto, per quanto mi consentono le forze che il Signore si degna di accordarmi. Giacobbe stava pascolando le pecore del suocero, e con lui aveva stipulato un patto per cui sarebbe stato suo ogni nato dalle pecore o dalle capre che avesse presentato chiazze di diverso colore: rientrava nel compenso a lui dovuto come pastore 148. Ora Giacobbe si procurava questo compenso ricorrendo a quei rami di diverso colore: posando su di essi lo sguardo al momento di concepire, le pecore, per la voglia che accendeva in loro una tale vista, procreavano figli variamente colorati 149. Orbene, nei nati di quel gregge, differenti per colorazione, si raffigurava la diversità delle genti. Quegli animali infatti erano di una stessa tinta, eppure concepivano e partorivano figli di colori diversi. Analogamente, i primi predicatori del Vangelo provenivano tutti dal giudaismo, ma perché fosse generata [nella fede] la moltitudine delle genti occorreva che essi concepissero e partorissero figli [fra loro] diversi. Essi sono l'eredità di Giacobbe 150, quel Giacobbe che era figura di Cristo, come era anche figura di quel popolo minore, del quale fu detto: Il maggiore sarà servo del minore 151. Quanto a voi, santi fratelli, ricorderete certamente che io vi ho già parlato di Esaù e Giacobbe, al quale nella benedizione che ricevette dal padre fu anche detto: Ti serviranno tutte le genti 152. Rientravano dunque nell'eredità di Giacobbe i popoli pagani, così diversi fra loro; ma, se non fossero venuti dal giudaismo i predicatori [del Vangelo], per cui animali di una stessa categoria potessero concepire bevendo l'acqua colorata da quei rami, non avrebbero partorito fedeli nel così diversificato mondo pagano.
Incarnazione di Cristo e fecondità della Chiesa.
24. Ma come potè quella greggia concepire genti così diverse? Lo potè fare senza dubbio per quei tre rami. Erano infatti nel tempo della riproduzione gli animali quando Giacobbe fece assumere ai rami colori diversificati, cioè quando egli ne staccò la corteccia con incisioni distanziate e, fatto questo, li collocò nell'acqua. Bevendo da tali acque le pecore ne avrebbero riportato voglie diverse, che sarebbero poi comparse nei diversi colori della prole 153. Questo risultato, ovviamente, si sarebbe potuto conseguire con qualsiasi numero e genere di rami; ma il mistero del popolo cristiano, che sarebbe sorto in epoca posteriore, non era conosciuto dal popolo giudaico, se si escludono pochi santi profeti e pochi dottori della legge. I quali ultimi poi ne furono invidiosi, tanto che il Signore diceva loro: Guai a voi, che avete in mano le chiavi del Regno dei cieli, ma non vi entrate voi né permettete agli altri di entrarvi 154. Gli stessi legisperiti sono raffigurati nella parabola dei vignaioli che, non volendo consegnare quanto dovevano, dissero: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e l'eredità sarà nostra 155. Non avrebbero detto cose come queste, se non avessero avuto una qualche conoscenza del Cristo, ma la sua divinità, per la quale egli è uguale al Padre, rimaneva loro nascosta. Se infatti lo avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 156. Ma non di fra mezzo a loro scelse i predicatori, che avrebbe inviati nel mondo, colui che scelse i deboli del mondo per confondere i forti 157, e per questo si potesse dire: Dov'è il sapiente?, dove il dottore in legge?, dove l'investigatore di questo mondo? Non ha forse Dio reso stolta la sapienza di questo mondo? 158 Di conseguenza il mistero che rimase celato ad essi è stato rivelato a persone incolte ed inesperte 159, e mediante il battesimo di Cristo è stato consegnato alle nazioni, anche le più diverse. Fu per questo che le greggi [di Giacobbe] per l'influsso dei tre rami immersi nell'acqua concepirono figli variamente colorati. Ci fu infatti un tempo in cui si predicava Dio Padre, ma restava sconosciuta l'incarnazione del Figlio. Questa veniva annunziata frequentemente nelle profezie, ma era compresa da pochissime persone: per questo la moltitudine delle genti nella loro diversità non era ancora partorita. La cosa, viceversa, si realizzò quando da quei tre rami bevvero quelle pecore, cioè quei primi israeliti dai quali son nate, nella loro diversità, le genti che rientrano nella sorte di Giacobbe, cioè nella eredità di Cristo. Di questi israeliti dice l'Apostolo: Anch'io infatti sono un israelita, dalla stirpe di Abramo, dalla tribù di Beniamino 160. Come lui, erano israeliti Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, e gli altri apostoli e tutti quei primi araldi [del vangelo] di Cristo dei quali dice l'Apostolo che ad essi son debitori tutti i gentili. Egli si esprime così: Se dei loro beni spirituali son diventate partecipi [tutte] le genti, queste debbono somministrare ad essi i beni materiali 161. Or dunque, quegli israeliti, appartenendo tutti ad uno stesso popolo, erano in un certo qual modo un gregge monocolore; essi però bevvero - sia lecito dire così - il mistero dell'incarnazione del Signore, e pertanto, proprio in virtù del mistero dell'incarnazione del Signore, poterono generare al Vangelo genti così diverse, come diverse nella colorazione erano le pecore [di Giacobbe].
Simbolismo dei tre rami di Giacobbe
25. Ma come si può vedere in quei tre rami il mistero dell'incarnazione del Signore? Osserviamo di quali piante fossero quei rami. Uno era di noce, un altro di platano e un altro di storace 162. Così reca la Scrittura. A noi quindi il compito di interrogare la nostra fede per conoscere cosa insegna sull'incarnazione del Signore. Noi infatti crediamo che egli nacque dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo 163. Orbene, il Signore che nasce dice relazione al ramo di noce, poiché, come non è possibile giungere a mangiare la noce senza rompere il guscio legnoso, così il nostro Signore Gesù Cristo non potrebbe assumerci se noi non giungessimo al suo corpo mediante il legno della croce. È una cosa talmente risaputa che voi con la mente avete prevenuto la mia voce : voi stessi, dico, con la vostra voce avete chiaramente espresso ciò che io avevo cominciato a dire ma non avevo ancora specificato. Orbene, chi vi ha condotti a questo cibo, chi ve l'ha fatto comprendere così rapidamente, se non colui che fu sospeso all'albero [della croce] 164? Senza la croce del Signore infatti non sareste cristiani e, se non foste cristiani, non avreste accolto con tanta celerità e gusto questa dottrina. Quanto al ramo di platano, a che cosa si riferisce? Ecco, noi affermiamo che Cristo nacque dallo Spirito Santo; e io personalmente sono dell'avviso che si faccia bene a mettere il ramo di platano in relazione con lo Spirito Santo. Se infatti consideriamo l'ultimo dei tre rami, cioè quello di storace, non v'è dubbio che esso, per il soavissimo profumo che emana, sta ad indicare l'incorrotta verginità di Maria. In effetti, se la nascita del Signore è circondata dalla nota di fragranza e di profumo dolcissimo che l'han resa celebre ciò dipende dall'essere egli nato da una vergine. Più difficile è la comprensione del ramo di platano, spiegare cioè come esso riguardi lo Spirito Santo. Se però voi mi sosterrete con le vostre preghiere, il Signore mi assisterà e, servendosi di me, manifesterà a voi [il segreto]. Attraverso il mio servizio, umile sì ma pieno di zelo per il vostro progresso, egli vi mostrerà in che modo nel ramo di platano si debba intendere lo Spirito Santo. Se mi metto a ricercare il motivo per cui [alle altre piante] preferisco il platano, non mi risulta che il platano venga apprezzato per altro motivo che quello d'offrire la sua estesissima ombra a chi vi si voglia riparare dalla calura. Chi conosce la pianta e com'essa è fatta, riconosce che io dico la verità. Noi dunque preferiamo il platano e lo desideriamo per la grandezza della sua ombra e per il gradevole refrigerio della frescura che ci offre quando al suo riparo, ci riposiamo dal caldo. Orbene, della Vergine Maria noi sappiamo che doveva concepire il Figlio non nell'ardore della concupiscenza ma nel refrigerio di una castità fedelissimamente custodita e di una verginità incontaminata. Mai ella nutrì il desiderio di amplessi maritali, ma concepì ad opera della fede. Fu vergine nel diventare madre, vergine nel partorire, vergine nel resto della vita. Lei dunque dallo Spirito Santo ottenne la maternità, e il medesimo Spirito le diede il refrigerio per cui fu esentata dal fuoco di ogni concupiscenza carnale. Per questo motivo lo Spirito Santo fu simboleggiato nel ramo di platano. Parlando così, potrei anche essere nel falso; ma nel Vangelo trovo un angelo che parla [a Maria] e le dice: Lo Spirito di Dio scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra 165.
Conclusione del discorso.
26. Ecco dunque, carissimi, quanto il Signore, secondo il suo volere, si degna concedermi: egli ce l'accorda non per i nostri meriti ma per la fiducia [che riponiamo in lui]. Ve lo ripetiamo ininterrottamente, né è cosa su cui si possa tacere: il frutto della parola di Dio deve riscontrarsi nelle vostre opere. Assai sventurata infatti è la terra che, bagnata da copiosa pioggia, non produce frutti o magari genera spine 166. Dispiacetevi insieme con noi di coloro dei quali piangiamo la sorte. Spesse volte noi veniamo a dirvi che i digiuni indetti per i giorni in cui i pagani celebrano le loro feste dobbiamo praticarli per implorare [la misericordia di] Dio sugli stessi pagani. Ma di fronte alle malaugurate lascivie a cui si abbandona tanta gente, restiamo sgomenti quando anche alcuni fratelli cristiani [vi prendono parte]. Per questi tali vi esortiamo, fratelli, a pregare insieme con noi, affinchè, una buona volta, si ravvedano e accettino la correzione. Che cosa mai è infatti questo? Male davvero grave e deprecabile! Un cristiano che non sa mettersi sotto i piedi scemenze come queste, divertimenti così insulsi, a che cosa saprà rinunciare per amore di Cristo? Quale sofferenza saprà tollerare un simile cristiano quando verrà una qualche tribolazione a metterlo alla prova? Se lo travolge uno sputo, non lo porterà via un fiume in piena? Che io non vi abbia manifestato invano il mio dolore, santi fratelli! Coloro che oggi son qui presenti, mentre ieri non erano qui a digiunare, si dispiacciano perché, nei giorni in cui i pagani celebrano le loro feste, son vissuti anch'essi da pagani, causando a noi tristezza per la loro sorte; e si degnino, una buona volta, di liberare il nostro animo dalla tristezza e il loro dalla malizia del peccato.
1 - Sal 21, 17-19.
2 - Cf. Ef 1, 22-23, 4, 13.
3 - Gv 1, 1-5.
4 - Cf. Mt 4, 21-22 (Mc 1, 19-20).
5 - Cf. Mt 19, 16-22 (Mc 10, 17-22; Lc 18, 18-23).
6 - Cf. Mt 19, 23-26 (Mc 10, 23-27; Lc 18, 24-27).
7 - Mt 19, 27.
8 - Mt 19, 28.
9 - Mc 10, 30 (Mt 19, 29; Lc 18, 30).
10 - Cf. Mt 19, 21-22 (Mc 10, 21-22; Lc 18, 22-23).
11 - Gv 20, 29.
12 - Cf. Mc 9, 13.
13 - 1 Cor 1, 27-28.
14 - Cf. Mt 1, 18 (Lc 1, 27); Mt 13, 55.
15 - Cf. Mt 2, 1 (Lc 2, 11).
16 - Cf. A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig 1890, p. 196, n° 965; R. Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter..., Hildesheim 1968, pp. 37-38, 277.
17 - Cf. 1 Cor 1, 27.
18 - 1 Cor 1, 27.
19 - Cf. Sal 101, 18 (?).
20 - Gv 1, 1.
21 - 1 Cor 2, 9.
22 - Cf. 1 Pt 1, 25.
23 - Cf. Gv 13, 23 (25); 21, 20.
24 - Gv 1, 1-2.
25 - Gv 1, 1.
26 - Cf. Mt 22, 37-40 (Mc 12, 30-31).
27 - Cf. Mt 25, 34 e 41.
28 - Otto, Die Sprichwörter..., pp. 204-205, n° 1008; Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter..., pp. 59, 109, 181, 277.
29 - Mt 25, 34.
30 - Mt 25, 41.
31 - Mt 25, 34.
32 - Mt 25, 41.
33 - Sal 61, 12.
34 - Sal 61, 12-13.
35 - Sal 61, 13.
36 - Cf. 1 Th 1, 6 (?).
37 - Dt 13, 3.
38 - Cf. Gv 1, 1-2.
39 - Gv 1, 14.
40 - Gv 1, 1-3.
41 - Cf. Lc 10, 30 e 33-34.
42 - Gv 1, 14.
43 - Fil 2, 6.
44 - Gv 1, 1.
45 - Fil 2, 6.
46 - Gv 1, 1.
47 - Fil 2, 6.
48 - Gv 1, 14.
49 - Fil 2, 7.
50 - Gv 1, 14.
51 - Fil 2, 7.
52 - Fil 2, 7.6.7.
53 - Cf. Ef 5, 23.
54 - Cf. Rm 5, 10.
55 - Cf. Sal 61, 12.
56 - Sal 61, 13 (Mt 16, 27; Rm 2, 6).
57 - 2 Tm 2, 17.
58 - Cf. 2 Cor 11, 2; Gv 3, 29.
59 - 2 Cor 11, 2-3.
60 - Sir 28, 28.
61 - Cf. Gn 3, 5.
62 - Gn 3, 4.
63 - Gn 2, 17.
64 - Gv 14, 28.
65 - Cf. Fil 2, 6.
66 - Gv 14, 28.
67 - Gv 10, 30.
68 - Fil 2, 6.
69 - Gv 14, 28.
70 - Fil 2, 7.
71 - Gv 1, 1.
72 - Cf. 1 Tm 2, 5.
73 - Cf. Fil 2, 6-7.
74 - Rm 8, 6.
75 - Gv 1, 1.
76 - Fil 2, 6.
77 - Cf. Gv 1, 14.
78 - Sal 10, 8.
79 - Gn 6, 6-7; 18, 21; 1 Sam 15, 11; Sal 109, 4 (131, 11); etc.
80 - Cf. 1 Sam 15, 29.
81 - Cf. Sal 32, 11.
82 - Sal 10, 8.
83 - Cf. Gn 6, 6-7.
84 - Cf. Sal 10, 8; Gn 6, 6-7; 18, 21; etc.
85 - Cf. Sal 72, 17 (?).
86 - Cf. Fil 2, 7.
87 - Es 3, 14.
88 - Es 3, 6 (15; Mt 22, 32; Mc 12, 26).
89 - Gv 20, 17.
90 - Cf. Sal 109, 3.
91 - Cf. Gv 8, 44.
92 - Is 14, 12 (?).
93 - Gv 1, 9.
94 - Gv 1, 8.
95 - Gv 1, 9.
96 - Cf. Gv 1, 16.
97 - Gv 5, 35.
98 - Mt 5, 14.
99 - Gv 1, 9.
100 - Sal 109, 3.
101 - Gv 20, 17.
102 - Gv 1, 12.
103 - Rm 8, 23.
104 - Gal 4, 4-5.
105 - Gv 20, 17.
106 - Sal 21, 11.
107 - Cf. Ef 5, 23; Rm 5, 10.
108 - Is 61, 10.
109 - 1 Cor 12, 27.
110 - Cf. Mt 23, 35.
111 - Cf. Rm 12, 5.
112 - Col 1, 18.
113 - Col 2, 10.
114 - Lc 20, 36.
115 - Sal 47, 3 (Mt 5, 35).
116 - Sal 86, 5.
117 - Gv 1, 3.
118 - Sal 15, 2.
119 - Gv 1, 14.
120 - Cf. Gv 1, 3.
121 - Fil 2, 6-8.
122 - Ef 5, 31 (Gn 2, 24).
123 - Ef 5, 31-32.
124 - Ef 5, 32.
125 - Mt 19, 5-6.
126 - 1 Cor 11, 3 (Ef 5, 23).
127 - At 9, 4.
128 - Col 1, 24.
129 - Cf. Col 1, 24 (Ef 1, 22-23).
130 - Ef 5, 27.
131 - Is 1, 16.
132 - Tt 3, 5.
133 - Fil 3, 13-14.
134 - Cf. Ef 5, 27.
135 - Cf. Gv 3, 29.
136 - 2 Cor 11, 2.
137 - Cf. Ef 5, 27.
138 - Cf. Is 7, 3.
139 - Cf. Mt 7, 7-8 (Lc 11, 9-10).
140 - Gn 2, 24 (Ef 5, 31).
141 - 1 Cor 4, 14.
142 - 1 Cor 4, 15.
143 - 1 Th 2, 7.
144 - Gal 4, 19.
145 - Cf. Gn 2, 24.
146 - Ef 5, 32.
147 - Cf. Gn 30, 37-38.
148 - Cf. Gn 30, 31-36.
149 - Cf. Gn 30, 38-39.
150 - Ger 10, 16 (Dt 32, 9).
151 - Gn 25, 23 (Rm 9, 12).
152 - Gn 27, 29.
153 - Cf. Gn 30, 37-39.
154 - Lc 11, 52 (Mt 23, 13).
155 - Mc 12, 7 (Mt 21, 38; Lc 20, 14).
156 - 1 Cor 2, 8.
157 - 1 Cor 1, 27.
158 - 1 Cor 1, 20.
159 - Cf. Mt 11, 25 (Lc 10, 21); At 4, 13 (?).
160 - Rm 11, 1.
161 - Rm 15, 27.
162 - Gn 30, 37.
163 - Cf. Symbolum fidei.
164 - Cf. Dt 21, 23 (Gal 3, 13).
165 - Lc 1, 35.
166 - Cf. Mt 13, 19-23 (Mc 4, 15-20; Lc 8, 12-15); Eb. 6, 7-8.
17 - I re Magi ritornano per la seconda volta a vedere e ad adorare il bambino Gesù.
La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca565. Dalla grotta della natività, i tre re se ne andarono a riposare in una locanda nella città di Betlemme. Quella notte, ritiratisi in disparte in una stanza, tra innumerevoli lacrime e sospiri si misero a parlare di ciò che avevano visto, degli effetti che avevano ricevuto e di ciò che avevano notato nel bambino Gesù e nella sua Madre santissima. Con questi discorsi s'infiammarono ancor più di amore divino, ammirando la maestà e lo splendore del bambino, la prudenza, la severità e il pudore della Madre, la santità dello sposo Giuseppe, la povertà di tutti e tre e l'umiltà del luogo dove aveva voluto nascere il Signore del cielo e della terra. I re sentivano la fiamma dell'incendio divino che bruciava i loro cuori devoti e, senza potersi contenere, proruppero in accenti di grande dolcezza e in atti di venerazione e amore, dicendo: «Che fuoco è questo che sperimentiamo? Che efficacia è quella di questo gran Re, che ci muove a tali desideri e affetti? Come dovremo comportarci con gli uomini? Come potremo frenare i nostri gemiti e sospiri? Che faranno quelli che hanno conosciuto così arcano, nuovo e sovrano mistero? O grandezza dell'Onnipotente, nascosta agli uomini e dissimulata sotto tanta povertà! O umiltà mai immaginata dai mortali! Se solo potessero venire tutti qui, affinché nessuno rimanesse privo di questa felicità!».
566. Facendo questi sublimi discorsi, i Magi considerarono la ristrettezza in cui si trovavano Gesù, Maria e Giuseppe nella grotta e decisero d'inviare loro immediatamente qualche regalo per mostrare il loro amore e per dare sfogo al desiderio che avevano di servirli, non potendo fare altra cosa. Inviarono dunque ad essi per mezzo dei loro servitori molti dei regali che avevano preparato e altri che procurarono. Maria santissima e san Giuseppe li ricevettero con umile riconoscenza e contraccambiarono non con semplici ringraziamenti, come fanno gli altri, ma con molte efficaci benedizioni, che per i tre re furono di consolazione spirituale. Per questo regalo la nostra grande Regina e signora si trovò ad avere i mezzi per preparare un lauto pranzo ai poveri, che erano spesso suoi convitati; essi, abituati alle sue elemosine e maggiormente affezionati alla soavità delle sue parole, la visitavano e cercavano frequentemente. 1 re si ritirarono a dormire pieni d'incomparabile giubilo e in sogno l'angelo diede loro istruzioni per il viaggio.
567. Il giorno seguente, allo spuntare dell'alba, ritornarono alla grotta della natività per offrire al Re celeste i doni che avevano preparato. Entrarono e, prostrati a terra, lo adorarono con nuova e profondissima umiltà; aprendo i loro tesori, come dice il Vangelo, gli offrirono oro, incenso e mirral. Parlarono poi con la divina Madre e la consultarono su molti dubbi concernenti i misteri della fede e su questioni riguardanti le loro coscienze e il governo dei loro stati; infatti desideravano far ritorno ai loro paesi ben informati e ammaestrati, per comportarsi santamente e perfettamente in tutto. La gran Signora, mentre li ascoltava con somma amabilità, parlava dentro di sé col bambino per sapere tutto ciò che doveva rispondere ed insegnare a quei nuovi figli della sua santa legge. Come maestra e strumento della Sapienza divina, rispose saggiamente a tutti i loro dubbi, santificandoli e istruendoli in maniera tale che, meravigliati e allettati dalla scienza e soavità della Regina, non potevano allontanarsi da lei e fu necessario che uno degli angeli del Signore dicesse loro che era sua volontà e che era indispensabile che ritornassero alle loro patrie. Non c'è da meravigliarsi che ciò accadesse loro, perché alle parole di Maria santissima furono illuminati dallo Spirito Santo e ricolmati di scienza infusa su tutto quello che avevano domandato e su molte altre materie.
568. La divina Madre ricevette i doni dei re e a nome loro li offrì al bambino Gesù. Sua Maestà con espressione grata mostrò di accettarli, li benedisse in maniera visibile ed essi compresero che attraverso tale benedizione, in cambio di ciò che gli avevano offerto, egli dava loro abbondanza di doni del cielo, cioè più del cento per uno. Offrirono poi alla divina principessa alcuni gioielli di grande valore, secondo il costume della loro patria; ma sua Altezza li restituì ai re, poiché non avevano alcun rapporto con il mistero, e conservò solamente i tre doni dell'oro, dell'incenso e della mirra. Per lasciarli partire di là maggiormente consolati, diede loro alcuni panni di quelli in cui aveva avvolto il bambino Dio, perché non aveva, né poteva avere, altri pegni d'amore visibili, con i quali rimandarli arricchiti dalla sua presenza. I tre re ricevettero queste reliquie con tale venerazione e stima che le custodirono, dopo averle incastonate in oro e guarnite di pietre preziose. Ed esse, a testimonianza della loro grandezza, diffondevano e spargevano un così copioso profumo, che si sentiva quasi a distanza di una lega. Si comunicava, però, solamente a quelli che avevano fede nella venuta di Dio nel mondo, mentre gli increduli non parteciparono di questo favore, né sentirono la fragranza delle preziose reliquie, con le quali i re operarono grandi miracoli nelle loro patrie.
569. Inoltre, questi proposero alla Madre del dolcissimo Gesù di servirla con i loro beni e con le loro proprietà; se non le gradiva, ma voleva vivere in quel luogo della nascita del suo Figlio santissimo, le avrebbero costruito lì una casa per dimorarvi con più comodità. La prudentissima Madre apprezzò queste offerte, senza però accettarle. I re, per congedarsi da lei, la pregarono con intimo affetto di non scordarsi mai di loro ed ella lo promise, mantenendo poi la parola data; lo stesso chiesero a san Giuseppe. Così, con la benedizione di tutti e tre, presero commiato con tale affetto e tenerezza che credettero di lasciare lì i loro cuori, convertiti in lacrime e sospiri. Poiché l'angelo in quella notte li ammonì in sogno di non tornare a Gerusalemme da Erode, nel partire da Betlemme presero un'altra strada4, venendo guidati dalla medesima stella, o da un'altra, che apparve loro a tal fine; essa li condusse sino al luogo dove si erano incontrati e di là ciascuno ritornò nella sua patria.
570. Il resto della vita di questi felicissimi re fu corrispondente alla loro divina vocazione, perché nei propri paesi vissero e si comportarono come discepoli della Maestra della santità, secondo l'insegnamento della quale governarono se stessi e i loro sudditi. Con l'esempio della loro vita e con l'annuncio che diedero del Salvatore del mondo, convertirono una grande moltitudine di anime alla conoscenza di Dio e al cammino della salvezza. Dopo ciò, sazi di giorni e colmi di meriti, finirono i loro anni in santità e giustizia, venendo favoriti in vita e in morte dalla Madre della misericordia. Partiti i re, la divina Signora e san Giuseppe proruppero in nuovi cantici di lode per le meraviglie dell'Altissimo, che confrontavano con le divine Scrittures e con le profezie dei Patriarchib, riconoscendo come queste si andavano adempiendo nel bambino Gesù. Tuttavia, la prudentissima Madre, che penetrava profondamente questi altissimi misteri, conservava e meditava tutto nel suo cuore. I santi angeli, che l'assistevano, si rallegrarono con la loro Regina per il fatto che il suo santissimo figlio, il Verbo incarnato, fosse conosciuto e adorato dagli uomini, e innalzarono a lui nuovi ca le misericordie che operava vers
Insegnamento che mi diede la Regina
571. Figlia mia, grandi furono i doni che i re Magi offrirono al mio Figlio santissimo, ma più grande fu l'amore col quale li diedero ed il mistero che significavano. Per tutti questi motivi furono assai graditi a sua Maestà. Io voglio che tu gli offra lo stesso affetto, rendendogli grazie per averti chiamata a vivere in povertà, perché ti assicuro, mia cara, che non vi è per l'Altissimo offerta più preziosa della povertà volontaria, dato che sono molto pochi oggi nel mondo quelli che usano bene delle ricchezze temporali e che le offrono al loro Dio e Signore con la liberalità e l'amore di questi santi re. I numerosi poveri del Signore sperimentano e attestano molto bene quanto crudele ed avara sia diventata la natura umana, poiché tra loro sono davvero pochi quelli che ricevono benefici dai ricchi. Questa durezza di cuore degli uomini offende gli angeli e contrista lo Spirito Santo, che vede come è avvilita e prostrata la nobiltà delle anime e come si danno alla turpe ingordigia del denaro con tutte le loro forze. Si appropriano delle ricchezze come se fossero state create per loro soli e le negano ai poveri, loro fratelli e della medesima carne e natura; anzi non le danno neppure a Dio, che le ha fatte, le conserva e può darle e toglierle a suo piacimento. Ciò che è più deplorevole, tuttavia, è che, mentre i ricchi con i loro beni potrebbero procurarsi la vita eterna', si guadagnano la perdizione, perché usano di questo beneficio del Signore come uomini stolti ed insensati.
572. Questo danno è generale nei figli di Adamo e per tale motivo è tanto eccellente e sicura la povertà volontaria. In essa, inoltre, condividendo in letizia il poco col povero, si viene a fare una grande offerta al Signore di tutti. Tu puoi farla con quello che ricevi per il tuo sostentamento, dandone una parte al povero e desiderando soccorrere tutti, se fosse possibile, con la tua fatica e il tuo sudore. Tuttavia, la tua continua offerta deve consistere nelle opere d'amore, che sono l'oro, cioè l'orazione continua, l'incenso, ovvero la sopportazione costante nelle sofferenze, e la mirra, ossia la vera mortificazione in tutto. Quello, poi, che farai per il Signore, offrilo con amore fervoroso e con prontezza, senza tiepidezza né timore, perché le opere rimandate o morte non sono sacrificio gradito agli occhi di sua Maestà. Per offrirgli incessantemente le tue opere è necessario che la fede e la luce divina siano sempre accese nel tuo cuore e ti mostrino l'oggetto che devi lodare e magnificare. Allo stesso modo, devi fare attenzione allo stimolo d'amore col quale la destra dell'Altissimo t'induce a non interrompere mai questo dolce esercizio, che tanto si addice alle spose di sua Maestà; infatti il titolo di sposa è segno di amore e sottintende un debito di continuo affetto.
Il sacrificio della Messa
Beata Anna Katharina Emmerick
20 aprile: «I dolori proseguono. Essa vide tutte le parti interne del corpo ferite e sofferenti. Il suo letto era tutto bagnato dal forte sudore, compresa la paglia del materasso. Allora la malata disse al “pellegrino” che se non fosse venuto qualcuno o qualcosa in suo soccorso sarebbe morta perché non poteva più sopportare il dolore. Appariva sfigurata dai dolori. Brentano si affrettò a chiamare il parroco che subito venne e parlò e pregò con lei, poi le pose la mano sul capo, come se avesse voluto trasmetterle la calma, e lei cadde subito in un sonno lieve. Più tardi, al risveglio, Anna Katharina così si esprimeva: “Pregai intensamente Dio di perdonarmi quando, io stessa, imploro una pena che non posso sopportare. Egli dovrebbe colmarmi con il suo amore, e per amore del sangue di suo Figlio dovrebbe aver pietà di me. Dovrebbe aiutarmi ancora una volta, se vuole che io abbia un compito e lo possa assolvere sulla terra. Allora io mi sentii raggiungere da un’unica risposta: “Il fuoco che tu hai ricevuto deve ardere”. A questo punto non mi feci più alcuna illusione, mi vidi in una condizione estremamente pericolosa e implorai Dio affinché mi desse la forza di accettare tutte le cose. Quando il parroco mi impose la mano sulla testa e pregò fui attraversata da una luce leggera e mi addormentai. Mi parve come se fossi stata una bambina e venissi cullata. Fui raggiunta da una sensazione di calma e c’era una luce. Ricevetti uno stato di sollievo e la speranza si riaccese in me”. Verso mezzogiorno si levò di nuovo il male; Lambert, che era ammalato, le impose le mani e recitò un rosario, in questo modo le fu d’aiuto.