Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

In quanto al tuo spirito stai tranquilla ed affida sempre più tutta te stessa a Gesù. Sforzati di uniformarti sempre ed in tutto alla divina volontà , sia nelle cose favorevoli che avverse, e non essere sollecita per il domani. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Giovedi della 24° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 1

1Inizio del vangelo di Gesù Cristo, Figlio di Dio.2Come è scritto nel profeta Isaia:

'Ecco, io mando il mio messaggero davanti a te,
egli ti preparerà la strada.'
3'Voce di uno che grida nel deserto:
preparate la strada del Signore,
raddrizzate i suoi sentieri',

4si presentò Giovanni a battezzare nel deserto, predicando un battesimo di conversione per il perdono dei peccati.5Accorreva a lui tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme. E si facevano battezzare da lui nel fiume Giordano, confessando i loro peccati.6Giovanni era vestito di peli di cammello, con una cintura di pelle attorno ai fianchi, si cibava di locuste e miele selvatico7e predicava: "Dopo di me viene uno che è più forte di me e al quale io non son degno di chinarmi per sciogliere i legacci dei suoi sandali.8Io vi ho battezzati con acqua, ma egli vi battezzerà con lo Spirito Santo".

9In quei giorni Gesù venne da Nàzaret di Galilea e fu battezzato nel Giordano da Giovanni.10E, uscendo dall'acqua, vide aprirsi i cieli e lo Spirito discendere su di lui come una colomba.11E si sentì una voce dal cielo: "Tu sei il Figlio mio prediletto, in te mi sono compiaciuto".

12Subito dopo lo Spirito lo sospinse nel deserto13e vi rimase quaranta giorni, tentato da satana; stava con le fiere e gli angeli lo servivano.

14Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù si recò nella Galilea predicando il vangelo di Dio e diceva:15"Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo".

16Passando lungo il mare della Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori.17Gesù disse loro: "Seguitemi, vi farò diventare pescatori di uomini".18E subito, lasciate le reti, lo seguirono.19Andando un poco oltre, vide sulla barca anche Giacomo di Zebedèo e Giovanni suo fratello mentre riassettavano le reti.20Li chiamò. Ed essi, lasciato il loro padre Zebedèo sulla barca con i garzoni, lo seguirono.

21Andarono a Cafàrnao e, entrato proprio di sabato nella sinagoga, Gesù si mise ad insegnare.22Ed erano stupiti del suo insegnamento, perché insegnava loro come uno che ha autorità e non come gli scribi.23Allora un uomo che era nella sinagoga, posseduto da uno spirito immondo, si mise a gridare:24"Che c'entri con noi, Gesù Nazareno? Sei venuto a rovinarci! Io so chi tu sei: il santo di Dio".25E Gesù lo sgridò: "Taci! Esci da quell'uomo".26E lo spirito immondo, straziandolo e gridando forte, uscì da lui.27Tutti furono presi da timore, tanto che si chiedevano a vicenda: "Che è mai questo? Una dottrina nuova insegnata con autorità. Comanda persino agli spiriti immondi e gli obbediscono!".28La sua fama si diffuse subito dovunque nei dintorni della Galilea.

29E, usciti dalla sinagoga, si recarono subito in casa di Simone e di Andrea, in compagnia di Giacomo e di Giovanni.30La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei.31Egli, accostatosi, la sollevò prendendola per mano; la febbre la lasciò ed essa si mise a servirli.

32Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati.33Tutta la città era riunita davanti alla porta.34Guarì molti che erano afflitti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano.

35Al mattino si alzò quando ancora era buio e, uscito di casa, si ritirò in un luogo deserto e là pregava.36Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce37e, trovatolo, gli dissero: "Tutti ti cercano!".38Egli disse loro: "Andiamocene altrove per i villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!".39E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.

40Allora venne a lui un lebbroso: lo supplicava in ginocchio e gli diceva: "Se vuoi, puoi guarirmi!".41Mosso a compassione, stese la mano, lo toccò e gli disse: "Lo voglio, guarisci!".42Subito la lebbra scomparve ed egli guarì.43E, ammonendolo severamente, lo rimandò e gli disse:44"Guarda di non dir niente a nessuno, ma va', presentati al sacerdote, e offri per la tua purificazione quello che Mosè ha ordinato, a testimonianza per loro".45Ma quegli, allontanatosi, cominciò a proclamare e a divulgare il fatto, al punto che Gesù non poteva più entrare pubblicamente in una città, ma se ne stava fuori, in luoghi deserti, e venivano a lui da ogni parte.


Primo libro dei Maccabei 1

1Queste cose avvennero dopo che Alessandro il Macedone, figlio di Filippo, uscito dalla regione dei Kittim sconfisse Dario, re dei Persiani e dei Medi, e regnò al suo posto, cominciando dalla Grecia.2Intraprese molte guerre, si impadronì di fortezze e uccise i re della terra;3arrivò sino ai confini della terra e raccolse le spoglie di molti popoli. La terra si ridusse al silenzio davanti a lui; il suo cuore si esaltò e si gonfiò di orgoglio.4Radunò forze ingenti e conquistò regioni, popoli e principi, che divennero suoi tributari.5Dopo questo cadde ammalato e comprese che stava per morire.6Allora chiamò i suoi luogotenenti più importanti, che erano cresciuti con lui fin dalla giovinezza e mentre era ancora vivo divise tra di loro il suo impero.7Regnò dunque Alessandro dodici anni e morì.8I suoi subalterni assunsero il potere, ognuno nella sua regione;9dopo la sua morte tutti cinsero il diadema e dopo di loro i loro figli per molti anni e si moltiplicarono i mali sulla terra.
10Uscì da quelli una radice perversa, Antioco Epìfane, figlio del re Antioco che era stato ostaggio a Roma, e assunse il regno nell'anno centotrentasette del dominio dei Greci.11In quei giorni sorsero da Israele figli empi che persuasero molti dicendo: "Andiamo e facciamo lega con le nazioni che ci stanno attorno, perché da quando ci siamo separati da loro, ci sono capitati molti mali".12Parve ottimo ai loro occhi questo ragionamento;13alcuni del popolo presero l'iniziativa e andarono dal re, che diede loro facoltà di introdurre le istituzioni dei pagani.14Essi costruirono una palestra in Gerusalemme secondo le usanze dei pagani15e cancellarono i segni della circoncisione e si allontanarono dalla santa alleanza; si unirono alle nazioni pagane e si vendettero per fare il male.
16Quando il regno fu consolidato in mano di Antioco, egli volle conquistare l'Egitto per dominare due regni:17entrò nell'Egitto con un esercito imponente, con carri ed elefanti, con la cavalleria e una grande flotta18e venne a battaglia con Tolomeo re di Egitto. Tolomeo fu travolto davanti a lui e dovette fuggire e molti caddero colpiti a morte.19Espugnarono le fortezze dell'Egitto e Antioco saccheggiò il paese di Egitto.
20Ritornò quindi Antioco dopo aver sconfitto l'Egitto nell'anno centoquarantatré, si diresse contro Israele e mosse contro Gerusalemme con forze ingenti.21Entrò con arroganza nel santuario e ne asportò l'altare d'oro e il candelabro dei lumi con tutti i suoi arredi22e la tavola dell'offerta e i vasi per le libazioni, le coppe e gli incensieri d'oro, il velo, le corone e i fregi d'oro della facciata del tempio e lo sguarnì tutto;23si impadronì dell'argento e dell'oro e d'ogni oggetto pregiato e asportò i tesori nascosti che riuscì a trovare;24quindi, raccolta ogni cosa, fece ritorno nella sua regione. Fece anche molte stragi e parlò con grande arroganza.

25Allora vi fu lutto grande per gli Israeliti
in ogni loro regione.
26Gemettero i capi e gli anziani,
le vergini e i giovani persero vigore
e la bellezza delle donne svanì.
27Ogni sposo levò il suo lamento
e la sposa nel talamo fu in lutto.
28Tremò la terra per i suoi abitanti
e tutta la casa di Giacobbe si vestì di vergogna.

29Due anni dopo, il re mandò alle città di Giuda un sovrintendente ai tributi. Egli venne in Gerusalemme con ingenti forze30e rivolse loro con perfidia parole di pace ed essi gli prestarono fede. Ma all'improvviso piombò sulla città, le inflisse colpi crudeli e mise a morte molta gente in Israele.31Mise a sacco la città, la diede alle fiamme e distrusse le sue abitazioni e le mura intorno.32Trassero in schiavitù le donne e i bambini e si impossessarono dei greggi.33Poi costruirono attorno alla città di Davide un muro grande e massiccio, con torri solidissime, e questa divenne per loro una fortezza.34Vi stabilirono una razza empia, uomini scellerati, che si fortificarono dentro,35vi collocarono armi e vettovaglie e, radunato il bottino di Gerusalemme, lo depositarono colà e divennero come una grande trappola;36questo fu un'insidia per il santuario e un avversario maligno per Israele in ogni momento

37Versarono sangue innocente intorno al santuario
e profanarono il luogo santo.
38Fuggirono gli abitanti di Gerusalemme a causa loro
e la città divenne abitazione di stranieri;
divenne straniera alla sua gente
e i suoi figli l'abbandonarono.
39Il suo santuario fu desolato come il deserto,
le sue feste si mutarono in lutto,
i suoi sabati in vergogna
il suo onore in disprezzo.
40Quanta era stata la sua gloria
altrettanto fu il suo disonore
e il suo splendore si cambiò in lutto.

41Poi il re prescrisse con decreto a tutto il suo regno, che tutti formassero un sol popolo42e ciascuno abbandonasse le proprie leggi. Tutti i popoli consentirono a fare secondo gli ordini del re.43Anche molti Israeliti accettarono di servirlo e sacrificarono agli idoli e profanarono il sabato.44Il re spedì ancora decreti per mezzo di messaggeri a Gerusalemme e alle città di Giuda, ordinando di seguire usanze straniere al loro paese,45di far cessare nel tempio gli olocausti, i sacrifici e le libazioni, di profanare i sabati e le feste46e di contaminare il santuario e i fedeli,47di innalzare altari, templi ed edicole e sacrificare carni suine e animali immondi,48di lasciare che i propri figli, non circoncisi, si contaminassero con ogni impurità e profanazione,49così da dimenticare la legge e mutare ogni istituzione,50pena la morte a chiunque non avesse agito secondo gli ordini del re.51Secondo questi ordini scrisse a tutto il regno, stabilì ispettori su tutto il popolo e intimò alle città di Giuda di sacrificare città per città.52Anche molti del popolo si unirono a loro, tutti i traditori della legge, e commisero il male nella regione53e ridussero Israele a nascondersi in ogni possibile rifugio.
54Nell'anno centoquarantacinque, il quindici di Casleu il re innalzò sull'altare un idolo. Anche nelle città vicine di Giuda eressero altari55e bruciarono incenso sulle porte delle case e nelle piazze.56Stracciavano i libri della legge che riuscivano a trovare e li gettavano nel fuoco.57Se qualcuno veniva trovato in possesso di una copia del libro dell'alleanza o ardiva obbedire alla legge, la sentenza del re lo condannava a morte.58Con prepotenza trattavano gli Israeliti che venivano scoperti ogni mese nella città59e specialmente al venticinque del mese, quando sacrificavano sull'ara che era sopra l'altare dei sacrifici.60Mettevano a morte, secondo gli ordini, le donne che avevano fatto circoncidere i loro figli,61con i bambini appesi al collo e con i familiari e quelli che li avevano circoncisi.62Tuttavia molti in Israele si fecero forza e animo a vicenda per non mangiare cibi immondi63e preferirono morire pur di non contaminarsi con quei cibi e non disonorare la santa alleanza; così appunto morirono.64Sopra Israele fu così scatenata un'ira veramente grande.


Sapienza 4

1Meglio essere senza figli e avere la virtù,
poiché nel ricordo di questa c'è immortalità,
per il fatto che è riconosciuta da Dio e dagli uomini.
2Presente è imitata; assente è desiderata;
nell'eternità trionfa, cinta di corona,
per aver vinto nella gara di combattimenti senza macchia.
3La discendenza numerosa degli empi non servirà a nulla;
e dalle sue bastarde propaggini
non metterà profonde radici
né si consoliderà su una base sicura.
4Anche se per qualche tempo mette gemme sui rami,
i suoi germogli precari saranno scossi dal vento
e sradicati dalla violenza delle bufere.
5Si spezzeranno i ramoscelli ancora teneri;
il loro frutto sarà inutile, non maturo da mangiare,
e a nulla servirà.
6Infatti i figli nati da unioni illegali
attestano la perversità dei genitori nel giudizio di essi.

7Il giusto, anche se muore prematuramente, troverà riposo.
8Vecchiaia veneranda non è la longevità,
né si calcola dal numero degli anni;
9ma la canizie per gli uomini sta nella sapienza;
e un'età senile è una vita senza macchia.
10Divenuto caro a Dio, fu amato da lui
e poiché viveva fra peccatori, fu trasferito.
11Fu rapito, perché la malizia non ne mutasse i sentimenti
o l'inganno non ne traviasse l'animo,
12poiché il fascino del vizio deturpa anche il bene
e il turbine della passione travolge una mente semplice.
13Giunto in breve alla perfezione,
ha compiuto una lunga carriera.
14La sua anima fu gradita al Signore;
perciò egli lo tolse in fretta da un ambiente malvagio.
I popoli vedono senza comprendere;
non riflettono nella mente a questo fatto
15che la grazia e la misericordia sono per i suoi eletti
e la protezione per i suoi santi.
16Il giusto defunto condanna gli empi ancora in vita;
una giovinezza, giunta in breve alla perfezione,
condanna la lunga vecchiaia dell'ingiusto.
17Le folle vedranno la fine del saggio,
ma non capiranno ciò che Dio ha deciso a suo riguardo
né in vista di che cosa il Signore l'ha posto al sicuro.
18Vedranno e disprezzeranno,
ma il Signore li deriderà.
19Infine diventeranno un cadavere spregevole,
oggetto di scherno fra i morti per sempre.
Dio infatti li precipiterà muti, a capofitto,
e li schianterà dalle fondamenta;
saranno del tutto rovinati,
si troveranno tra dolori
e il loro ricordo perirà.

20Si presenteranno tremanti al rendiconto dei loro peccati;
le loro iniquità si alzeranno contro di essi
per accusarli.


Salmi 88

1'Canto. Salmo. Dei figli di Core.
Al maestro del coro. Su "Macalat".
Per canto. Maskil. Di Eman l'Ezraita.'

2Signore, Dio della mia salvezza,
davanti a te grido giorno e notte.
3Giunga fino a te la mia preghiera,
tendi l'orecchio al mio lamento.

4Io sono colmo di sventure,
la mia vita è vicina alla tomba.
5Sono annoverato tra quelli che scendono nella fossa,
sono come un morto ormai privo di forza.
6È tra i morti il mio giaciglio,
sono come gli uccisi stesi nel sepolcro,
dei quali tu non conservi il ricordo
e che la tua mano ha abbandonato.

7Mi hai gettato nella fossa profonda,
nelle tenebre e nell'ombra di morte.
8Pesa su di me il tuo sdegno
e con tutti i tuoi flutti mi sommergi.

9Hai allontanato da me i miei compagni,
mi hai reso per loro un orrore.
Sono prigioniero senza scampo;
10si consumano i miei occhi nel patire.
Tutto il giorno ti chiamo, Signore,
verso di te protendo le mie mani.

11Compi forse prodigi per i morti?
O sorgono le ombre a darti lode?
12Si celebra forse la tua bontà nel sepolcro,
la tua fedeltà negli inferi?
13Nelle tenebre si conoscono forse i tuoi prodigi,
la tua giustizia nel paese dell'oblio?

14Ma io a te, Signore, grido aiuto,
e al mattino giunge a te la mia preghiera.
15Perché, Signore, mi respingi,
perché mi nascondi il tuo volto?
16Sono infelice e morente dall'infanzia,
sono sfinito, oppresso dai tuoi terrori.
17Sopra di me è passata la tua ira,
i tuoi spaventi mi hanno annientato,
18mi circondano come acqua tutto il giorno,
tutti insieme mi avvolgono.
19Hai allontanato da me amici e conoscenti,
mi sono compagne solo le tenebre.


Geremia 32

1Parola che fu rivolta a Geremia dal Signore nell'anno decimo di Sedecìa re di Giuda, cioè nell'anno decimo ottavo di Nabucodònosor.2L'esercito del re di Babilonia assediava allora Gerusalemme e il profeta Geremia era rinchiuso nell'atrio della prigione, nella reggia del re di Giuda,3e ve lo aveva rinchiuso Sedecìa re di Giuda, dicendo: "Perché profetizzi con questa minaccia: Dice il Signore: Ecco metterò questa città in potere del re di Babilonia ed egli la occuperà;4Sedecìa re di Giuda non scamperà dalle mani dei Caldei, ma sarà dato in mano del re di Babilonia e parlerà con lui faccia a faccia e si guarderanno negli occhi;5egli condurrà Sedecìa in Babilonia dove egli resterà finché io non lo visiterò - oracolo del Signore -; se combatterete contro i Caldei, non riuscirete a nulla"?
6Geremia disse: Mi fu rivolta questa parola del Signore:7"Ecco Canamèl, figlio di Sallùm tuo zio, viene da te per dirti: Cómprati il mio campo, che si trova in Anatòt, perché a te spetta il diritto di riscatto per acquistarlo".8Venne dunque da me Canamèl, figlio di mio zio, secondo la parola del Signore, nell'atrio della prigione e mi disse: "Compra il mio campo che si trova in Anatòt, perché a te spetta il diritto di acquisto e a te tocca il riscatto. Cómpratelo!".
Allora riconobbi che questa era la volontà del Signore9e comprai il campo da Canamèl, figlio di mio zio, e gli pagai il prezzo: diciassette sicli d'argento.10Stesi il documento del contratto, lo sigillai, chiamai i testimoni e pesai l'argento sulla stadera.11Quindi presi il documento di compra, quello sigillato e quello aperto, secondo le prescrizioni della legge.12Diedi il contratto di compra a Baruc figlio di Neria, figlio di Macsia, sotto gli occhi di Canamèl figlio di mio zio e sotto gli occhi dei testimoni che avevano sottoscritto il contratto di compra e sotto gli occhi di tutti i Giudei che si trovavano nell'atrio della prigione.13Diedi poi a Baruc quest'ordine:14"Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Prendi i contratti di compra, quello sigillato e quello aperto, e mettili in un vaso di terra, perché si conservino a lungo.15Poiché dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Ancora si compreranno case, campi e vigne in questo paese".
16Pregai il Signore, dopo aver consegnato il contratto di compra a Baruc figlio di Neria:17"Ah, Signore Dio, tu hai fatto il cielo e la terra con grande potenza e con braccio forte; nulla ti è impossibile.18Tu usi misericordia con mille e fai subire la pena dell'iniquità dei padri ai loro figli dopo di essi, Dio grande e forte, che ti chiami Signore degli eserciti.19Tu sei grande nei pensieri e potente nelle opere, tu, i cui occhi sono aperti su tutte le vie degli uomini, per dare a ciascuno secondo la sua condotta e il merito delle sue azioni.20Tu hai operato segni e miracoli nel paese di Egitto e fino ad oggi in Israele e fra tutti gli uomini e ti sei fatto un nome come appare oggi.21Tu hai fatto uscire dall'Egitto il tuo popolo Israele con segni e con miracoli, con mano forte e con braccio possente e incutendo grande spavento.22Hai dato loro questo paese, che avevi giurato ai loro padri di dare loro, terra in cui scorre latte e miele.
23Essi vennero e ne presero possesso, ma non ascoltarono la tua voce, non camminarono secondo la tua legge, non fecero quanto avevi comandato loro di fare; perciò tu hai mandato su di loro tutte queste sciagure.
24Ecco, le opere di assedio hanno raggiunto la città per occuparla; la città sarà data in mano ai Caldei che l'assediano con la spada, la fame e la peste. Ciò che tu avevi detto avviene; ecco, tu lo vedi.25E tu, Signore Dio, mi dici: Comprati il campo con denaro e chiama i testimoni, mentre la città sarà messa in mano ai Caldei".
26Allora mi fu rivolta questa parola del Signore:27 "Ecco, io sono il Signore Dio di ogni essere vivente; qualcosa è forse impossibile per me?28Pertanto dice il Signore: Ecco io darò questa città in mano ai Caldei e a Nabucodònosor re di Babilonia, il quale la prenderà.29Vi entreranno i Caldei che combattono contro questa città, bruceranno questa città con il fuoco e daranno alle fiamme le case sulle cui terrazze si offriva incenso a Baal e si facevano libazioni agli altri dèi per provocarmi.30Gli Israeliti e i figli di Giuda non hanno fatto che quanto è male ai miei occhi fin dalla loro giovinezza; gli Israeliti hanno soltanto saputo offendermi con il lavoro delle loro mani. Oracolo del Signore.
31Poiché causa della mia ira e del mio sdegno è stata questa città da quando la edificarono fino ad oggi; così io la farò scomparire dalla mia presenza,32a causa di tutto il male che gli Israeliti e i figli di Giuda commisero per provocarmi, essi, i loro re, i loro capi, i loro sacerdoti e i loro profeti, gli uomini di Giuda e gli abitanti di Gerusalemme.
33Essi mi voltarono la schiena invece della faccia; io li istruivo con continua premura, ma essi non ascoltarono e non impararono la correzione.34Essi collocarono i loro idoli abominevoli perfino nel tempio che porta il mio nome per contaminarlo35e costruirono le alture di Baal nella valle di Ben-Hinnòn per far passare per il fuoco i loro figli e le loro figlie in onore di Moloch - cosa che io non avevo comandato, anzi neppure avevo pensato di istituire un abominio simile -, per indurre a peccare Giuda".
36Ora così dice il Signore Dio di Israele, riguardo a questa città che voi dite sarà data in mano al re di Babilonia per mezzo della spada, della fame e della peste:37 "Ecco, li radunerò da tutti i paesi nei quali li ho dispersi nella mia ira, nel mio furore e nel mio grande sdegno; li farò tornare in questo luogo e li farò abitare tranquilli.38Essi saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.39Darò loro un solo cuore e un solo modo di comportarsi perché mi temano tutti i giorni per il loro bene e per quello dei loro figli dopo di essi.40Concluderò con essi un'alleanza eterna e non mi allontanerò più da loro per beneficarli; metterò nei loro cuori il mio timore, perché non si distacchino da me.41Godrò nel beneficarli, li fisserò stabilmente in questo paese, con tutto il cuore e con tutta l'anima".42Poiché così dice il Signore: "Come ho mandato su questo popolo tutto questo grande male, così io manderò su di loro tutto il bene che ho loro promesso.43E compreranno campi in questo paese, di cui voi dite: È una desolazione, senza uomini e senza bestiame, lasciato in mano ai Caldei.44Essi si compreranno campi con denaro, stenderanno contratti e li sigilleranno e si chiameranno testimoni nella terra di Beniamino e nei dintorni di Gerusalemme, nelle città di Giuda e nelle città della montagna e nelle città della Sefèla e nelle città del mezzogiorno, perché cambierò la loro sorte". Oracolo del Signore.


Atti degli Apostoli 12

1In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa2e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni.3Vedendo che questo era gradito ai Giudei, decise di arrestare anche Pietro. Erano quelli i giorni degli Azzimi.4Fattolo catturare, lo gettò in prigione, consegnandolo in custodia a quattro picchetti di quattro soldati ciascuno, col proposito di farlo comparire davanti al popolo dopo la Pasqua.5Pietro dunque era tenuto in prigione, mentre una preghiera saliva incessantemente a Dio dalla Chiesa per lui.6E in quella notte, quando poi Erode stava per farlo comparire davanti al popolo, Pietro piantonato da due soldati e legato con due catene stava dormendo, mentre davanti alla porta le sentinelle custodivano il carcere.7Ed ecco gli si presentò un angelo del Signore e una luce sfolgorò nella cella. Egli toccò il fianco di Pietro, lo destò e disse: "Alzati, in fretta!". E le catene gli caddero dalle mani.8E l'angelo a lui: "Mettiti la cintura e legati i sandali". E così fece. L'angelo disse: "Avvolgiti il mantello, e seguimi!".9Pietro uscì e prese a seguirlo, ma non si era ancora accorto che era realtà ciò che stava succedendo per opera dell'angelo: credeva infatti di avere una visione.
10Essi oltrepassarono la prima guardia e la seconda e arrivarono alla porta di ferro che conduce in città: la porta si aprì da sé davanti a loro. Uscirono, percorsero una strada e a un tratto l'angelo si dileguò da lui.11Pietro allora, rientrato in sé, disse: "Ora sono veramente certo che il Signore ha mandato il suo angelo e mi ha strappato dalla mano di Erode e da tutto ciò che si attendeva il popolo dei Giudei".12Dopo aver riflettuto, si recò alla casa di Maria, madre di Giovanni detto anche Marco, dove si trovava un buon numero di persone raccolte in preghiera.13Appena ebbe bussato alla porta esterna, una fanciulla di nome Rode si avvicinò per sentire chi era.14Riconosciuta la voce di Pietro, per la gioia non aprì la porta, ma corse ad annunziare che fuori c'era Pietro.15"Tu vaneggi!" le dissero. Ma essa insisteva che la cosa stava così. E quelli dicevano: "È l'angelo di Pietro".16Questi intanto continuava a bussare e quando aprirono la porta e lo videro, rimasero stupefatti.17Egli allora, fatto segno con la mano di tacere, narrò come il Signore lo aveva tratto fuori del carcere, e aggiunse: "Riferite questo a Giacomo e ai fratelli". Poi uscì e s'incamminò verso un altro luogo.
18Fattosi giorno, c'era non poco scompiglio tra i soldati: che cosa mai era accaduto di Pietro?19Erode lo fece cercare accuratamente, ma non essendo riuscito a trovarlo, fece processare i soldati e ordinò che fossero messi a morte; poi scese dalla Giudea e soggiornò a Cesarèa.

20Egli era infuriato contro i cittadini di Tiro e Sidone. Questi però si presentarono a lui di comune accordo e, dopo aver tratto alla loro causa Blasto, ciambellano del re, chiedevano pace, perché il loro paese riceveva i viveri dal paese del re.21Nel giorno fissato Erode, vestito del manto regale e seduto sul podio, tenne loro un discorso.22Il popolo acclamava: "Parola di un dio e non di un uomo!".23Ma improvvisamente un angelo del Signore lo colpì, perché non aveva dato gloria a Dio; e roso, dai vermi, spirò.

24Intanto la parola di Dio cresceva e si diffondeva.25Bàrnaba e Saulo poi, compiuta la loro missione, tornarono da Gerusalemme prendendo con loro Giovanni, detto anche Marco.


Capitolo XXXV: In questa vita, nessuna certezza di andar esenti da tentazioni

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1. O figlio, giammai, in questa vita, sarai libero dall'inquietudine: finché avrai vita, avrai bisogno d'essere spiritualmente armato. Ti trovi tra nemici e vieni assalito da destra e da sinistra. Perciò, se non farai uso, da una parte e dall'altra, dello scudo della fermezza, non tarderai ad essere ferito. Di più, se non terrai il tuo animo fisso in me, con l'unico proposito di tutto soffrire per amor mio, non potrai reggere l'ardore della lotta e arrivare al premio dei beati. Tu devi virilmente passare oltre ogni cosa, e avere braccio valido contro ogni ostacolo: "la manna viene concessa al vittorioso" (Ap 2,17), mentre una miseria grande è lasciata a chi manca di ardore.  

2. Se vai cercando la tua pace in questa vita, come potrai giungere alla pace eterna? Non a una piena di tranquillità, ma a una grande sofferenza ti devi preparare. Giacché la pace vera non la devi cercare in terra, ma nei cieli; non negli uomini, o nelle altre creature, ma soltanto in Dio. Tutto devi lietamente sopportare, per amore di Dio: fatiche e dolori; tentazioni e tormenti; angustie, miserie e malanni; ingiurie, biasimi e rimproveri; umiliazioni e sbigottimenti; ammonizioni e critiche sprezzanti. Cose, queste, che aiutano nella via della virtù e costituiscono una prova per chi si è posto al servizio di Cristo; cose, infine, che preparano la corona del cielo. Ché una eterna ricompensa io darò un travaglio di breve durata; e una gloria senza fine, per una umiliazione destinata a passare.  

3. Forse tu credi di poter sempre avere le consolazioni spirituali a tuo piacimento? Non ne ebbero sempre neppure i miei santi; i quali soffrirono, invece, tante difficoltà e tentazioni di ogni genere e grandi desolazioni. Sennonché, con la virtù della sopportazione, essi si tennero sempre ritti, confidando più in Dio che in se stessi; consci che "le sofferenze del momento presente non sono nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18). O vuoi tu avere subito quello che molti ottennero a stento, dopo tante lacrime e tante fatiche? "Aspetta il Signore, comportati da uomo" (Sal 26,14), e fatti forza; non disperare, non disertare. Disponiti, invece, fermamente, anima e corpo, per la gloria di Dio. Strabocchevole sarà la mia ricompensa. Io sarò con te in ogni tribolazione.


LETTERA 185/A: Frammento d'una lettera di S. Agostino a Bonifacio, trovato nel Cod. Augiense XCV.

Lettere - Sant'Agostino

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Frammento d'una lettera di S. Agostino a Bonifacio, trovato nel Cod. Augiense XCV, del sec. X, tra il trattato Lo Spirito e la lettera e quello intitolato: La cura da prestare ai defunti dello stesso Santo.

AGOSTINO A BONIFACIO

1. Ti sono assai riconoscente che, pur tra le occupazioni dell'amminitrazione dei tuoi poderi, tu non trascuri d'occuparti anche della religione e desideri che siano ricondotte sulla via della salvezza e dell'unità cattolica le persone che vivono nell'eresia e nello scisma.


Novelle e racconti

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

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Al benigno lettore

 

            Crediamo di fare un' opera cara ai nostri lettori pubblicando una piccola raccolta di novelle e racconti scelti da varii autori; i quali per purità di lingua e chiarezza di stile si rendono più commendevoli. Ve ne sono alcuni tolti dal prezioso libro di Silvio Pellico intitolato: I doveri degli Uomini: libro veramente aureo e che vorremmo vedere in mano di molti, per il gran bene che ne verrebbe. Era poi nostro desiderio di far precedere a vita di lui; ma il lettore la può avere nel fascicolo delle Letture Cattoliche publicato nel mese di dicembre del 1862, o nella Storia d'Italia del Sac. Bosco Giovanni[1]. {3 [395]}

            Dopo ve ne sono alcuni tanto ameni ed istruttivi di Cesare Cantù ed alcuni di Giuseppe Manzoni, chiaro autore di lodate novellette. La gioventù specialmente ama, e lo conosciamo per esperienza, brevi fatti, che la commovano ed istruiscano; ed in ciò speriamo di averne intesa ed interpretata la volontà.

            Viene infine una raccolta di aneddoti che si riferiscono alla veneranda persona del Capo della Chiesa. Prima avete il sano precetto di morale, dopo ne vedete l' applicazione. E nella speranza di poter dare una vita intiera di Colui che il mondo Cattolico venera come Sommo Pontefice, e suo Pastore, cominciamo a preparar l' animo dei lettori con alcuni fattarelli divoti e speciali di cui è piena la sua gloriosa vita. Possa questa tenue nostra fatica tornar gradita a tutti e specialmente alla gioventù. Tutto a maggior gloria di Dio. Vivete felici.

 

LA DIREZIONE. {4 [396]}

 

 

I.  Rispetto ai vecchi.

 

            « Non è malvagio se non l'uomo inverecondo verso la vecchiaia, le donne e la sventura » diceva Parini. E Parini giovavasi pur molto dell'autorità che aveva su' suoi discepoli per tenerli ossequiosi alla vecchiaia. Una volta egli era adirato con un giovane del quale gli era stato riferito qualche grave torto. Avvenne che l'incontrò per una strada nell'atto che quel giovane, sostenendo un vecchio cappuccino, gridava con decoro contro alcuni mascalzoni, dai quali era stato urtato. Parini si mise a gridare concordemente e gettate le braccia al collo {5 [397]} del giovane gli disse: « Un momento fa io ti riputava perverso; or che son testimonio della tua pietà pei vecchi, ti ricredo capace di molta virtù.»

 

 

II. I capricci d'un padroncino.

 

            Una madre troppo tenera guastava un suo figliuoletto col soddisfare quanti capricci potevano venirgli in capo alla giornata. Una sera il fanciullo, mentre stava giuocando nel giardino con una cameriera, si mise a piangere e ad urlare. Non l'ebbe si tosto udito la madre, che affacciatasi ad una finestra, le ordinò di dare a suo figlio quant'ei voleva. - « Affè, signora mia, rispose la cameriera, questa volta è impossibile ch'io lo compiaccia. - Come? insolente! vattene tosto di casa mia. - Si calmi per amor del cielo, signora: suo figlio ha vista la luna nella fontana, e vuol ch' io gliela dia. » - La madre arrossì, e la lezione non fu perduta. {6 [398]}

 

 

III. È meglio salvare l'onore che la vita.

 

            Era imposto ad un ufficiale di recarsi ad una pericolosissima spedizione; un suo amico, temendo pei giorni di lui, gli andava pur suggerendo plausibili pretesti di esentarsi dall'esecuzione di quell'ordine. « Avete ragione, disse l'ufficiale, così salverei certamente la mia vita, ma l'onor mio sarebbe morto. »

 

 

IV. Il detrattore.

 

            Un litigante, per rendersi il giudiee favorevole, gli palesò che il suo avversario lo andava mettendo in ridicolo in ogni luogo. « Che importa a te, s' egli mi mette in ridicolo? rispose il giudice onesto; narrami soltanto i torti che ha fatti a te, perch'io debbo dar sentenza sulle ingiurie tue, e non sulle mie. » {7 [399]}

 

 

V. I tre grandi medici.

 

            Un celebre medico era all'agonia; molti de' suoi confratelli lo circondavano, e deploravano sì gran perdita. « Signori, disse loro il moribondo, non vi affannate; lascio dopo di me, tre grandi medici. » I suoi confratelli il pregarono di nominarli, giacchè ognun di loro credeasi di essere in quel numero. « Sono essi, rispose, la dieta, l'acqua e l'esercizio. »

 

 

VI. Onorare i genitori.

 

            Un esempio insigne di figliale rispetto leggesi nella vita di Lorenzo Celso, il quale, essendo doge della repubblica di Venezia, e sapendo che il padre suo, qual membro del senato, non avrebbe potuto dispensarsi dal piegare le ginocchia avanti di lui, siccome {8 [400]} era ai senatori prescritto dalla solenne cerimonia, mise sul proprio berretto ducale una croce, affinchè l'umil atto potesse considerarsi fatto dal padre non già verso la persona del figliuolo, ma verso quell'augusto simbolo di religione. Tutti i successori del Celso aggiunsero da quell' epoca, una croce d'oro alla dignità dei loro vestimenti.

 

 

VII. La Provvidenza.

 

            Una povera vedova inferma si desolava pensando ai figliolini suoi, e come potrebbero vivere e crescere senza genitori. Omobono le raccontò: « Vidi un giorno in un cespuglio una passera posata sovra i suoi pulcini ancora spennati. E venne il nibbio e la rapi. Ed io esclamai: Poveri pulcini! morranno dal freddo e dalla fame. Il domani tornai, e volli rivederli, ed ecco un' altra passera volava a portare {9 [401]} ad essi l'imbeccata. Iddio, che insegnò alle bestie ad amarsi e soccorrersi, vorrà abbandonare i figli vostri? » - La povera vedova inferma l'intese, e si consolò.

 

 

VIII. Pensateci prima.

 

            Mi ricordo che essendo io ragazzino, mia madre mi mandò a l'accogliere le ova nel pollaio: uscendo non badai alla porticina, e percossi d'una forte capata, sicchè più giorni portai l'ammaccatura. Omobono mi disse: Tientela a mente per sapere poi nel mondo alzarli e abbassarli a tempo.

            Un altro di, volendo varcare un fossatello troppo largo, vi cascai. Egli dopo che m'ebbe tratto fuori, rasciutto e consolato, mi disse: Da qui innanzi ti ricorda sempre di far il passo secondo la gamba.

            Mio fratello aveva avuto in regalo una pianta di limone, e vedendola {10 [402]} carica di fiori, li colse e ne fece un mazzolino che mostrava a tutti, che a tutti facea annasare. Ma venne l'estate, e il limone di mio fratello non portò verun frutto, ond' egli se ne lamentava. Omobono gli disse: Figlimi mio, chi vuol aver frutti non colga tutti i fiori.

 

 

IX. L' ozio.

 

            Ad un tale, che non voleva far nulla per paura di rovinarsi la salute, Omobono mostrò due chiavi, una bella lucida, l'altra nera arrugginita, e disse: Questa lustra l'adopero tutti i dì, l'altra la tenni in serbo. Così le forze nostre: l'ozio le corrode, l'esercizio le tien fresche e le aumenta.

 

 

X. Le voglie.

 

            A quelli che ripetono sempre: « O me beato se giungessi ad ottener questo! {11 [403]} - Non mi mancherebbe che quello ad esser felice! - Se raggiungo quel posto, non desidero più altro. Omobono segna a dito una montagna e dice: « Anch' io credeva che quella montagna nulla avesse di più alto, e che di là toccherei il cielo col dito. M' arrampicai anelando fino alla sua vetta; ma che? allora vidi intorno altri monti più eccelsi, e mi trovai lontano dal cielo quanto n'era distante in pianura. Tali sono i desiderii nostri; più v' innalzate, e vedete altre condizioni sempre più alte della vostra e sempre egualmente lontane dalla felicità. »

 

 

XI. L' annegato.

 

            Omobono nuotava un giorno con alcuni amici, quando all'un d'essi girò il capo, sicchè andò al fondo ed affogò. I compagni si posero a far il duolo e disperarsi. Omobono pensò che conveniva soccorrere e non piangere: {12 [404]} buttossi al fiume, il trasse fuori, se lo prese sulle ginocchia alquanto inclinato perchè vomitasse l'acqua, ma senza scuoterlo troppo nè capovolgerlo. Poi subito il trasportò nella vicina osteria, collocandolo in un letto ben caldo, colla testa alta ed appoggiato sul lato destro; e si diede a stropicciargli il corpo con pannilani e con vino caldo, ponendogli anche in bocca qualche stilla d'aceto, stuzzicandogli l'interno delle narici e la gola con una penna intrisa nell' acquavite, e tenendogli scaldate le piante dei piedi. Altri intanto era corso pel medico, il quale coll'arte sua ravvivò quell'infelice.

 

 

XII. II bambino caritatevole.

 

            Io conosco un caro bambino, che ogni sabbato porta il suo vino ad un vecchio infermo, ed ogni solennità ripone per esso quel di più che in quel giorno apparecchiano a mensa. {13 [405]} Ne conosco un altro, che ogni giorno, invece di companatico per colezione, si fa dare dalla mamma tre soldi: e così tutte le domeniche porta alla sua balia ventun soldi, coi quali essa può quel giorno avere una libra di carne sul povero desco.

 

 

XIII. Il cittadino modesto.

 

            Roma era piena de' maggiori disordini. Il popolo languente nella miseria non voleva obbedire al Senato; questo si ostinava nell' aggravare la infelice condizione della plebe immersa nei debiti; e spesso furono le due fazioni del popolo e del Senato in procinto di venire alle mani.

            Per finire quelle discordie, che non cessavano mai, si pensò alfine di eleggere console un certo Quinzio Cincinnato, uomo fatto alla buona, ma riputatissimo per modestia, saviezza e valore. {14 [406]}

            Fu inviata una deputazione di senatori romani al console nuovamente eletto, il quale abitava in villa, ove conduceva una vita semplice e affatto rustica. Stava questi nel suo campo, con un berretto di lana in capo lavorando la terra, quando gli si avvicinarono i senatori. Alla vista del corteggio Cincinnato ferma i buoi aggiogati all'aratro, e come può meglio accoglie la comitiva. I senatori esposero la cagione dell' ambasciata, e rivestirono il virtuoso agricoltore della nuova dignità.

            L' uomo grande non si gonfiò per l'onore compartitogli; anzi volgendo uno sguardo affettuoso al campicello, lo raccomandò alla moglie, poichè molto gli rincresceva di doverlo abbandonare. E solo ciò fece per amore de' concittadini, i quali avean bisogno del suo senno e del braccio in servizio della Repubblica.

            Quinzio Cincinnato accomodò le differenze delle parti contrarie, e amministrò ogni affare con soddisfazione di tutti. Spirato il tempo della sua {15 [407]} magistratura, volevano i cittadini e i grandi che egli continuasse in quella carica; ma Quinzio ricusò l'offerta facendo sentire al Senato, che non si deve mai permettere la violazione delle leggi. E queste non concedevano a lui di esercitare più lungamente il Consolato. - Appena Quinzio usci di carica ritornò al suo aratro e ai semplici costumi della campagna.

 

 

XIV. La concordia.

 

            Federico Barbarossa essendo ritornato in Germania, i suoi avari ministri angariavano crudelmente i sudditi. Convennero perciò i deputati di molte città lombarde nel monistero di Pontida, villaggio nella provincia di Bergamo, e là giurarono di soccorrere coll' armi i Milanesi, e rimediare ai mali comuni. A tal fine Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova, Verona, Ferrara, Treviso e altre città conchiusero {16 [408]} un'alleanza, che ebbe il nome di Lega Lombarda. Il primo obbligo che s'imposero gli alleati, fu di riedificare Milano. Spedirono perciò della gente al luogo, ove era stata demolita la ricca e popolosa città, per ricostruirne immediatamente le mura. Come ben dovevasi congetturare, i Milanesi rifuggiti nei dintorni accorsero a rifabbricar le lor case; e così Milano rinacque in breve sulle proprie rovine. Appena Federico Barbarossa fu avvertito della formazione della Lega raccolse l'esercito e precipitò in Italia. Prima d'accingersi a ridurre le città ribellate alla obbedienza, mosse alla volta di Roma per costringere il Papa a seguire il suo partito. Ma il Sommo Pontefice fuggì, e così deluse la violenza dell' Imperatore.

            Invano il Barbarossa per cinque anni combattè e affaticossi nel soggiogare i coraggiosi uomini di Lombardia che ricusavano di riconoscerlo per sovrano. Erano troppi ed ostinati gli avversari ch' avea a combattere qua e là. Un giorno egli vinceva il nemico, e non  {17 [409]} di rado avveniva che il domani egli era lo sconfitto. Finalmente nel 1176 toecò una rotta micidiale a Legnano sul fiume Olòna. In quella battaglia i Milanesi fecero prodigi di valore. La vittoria fu si completa che per poco pigliavano anche l'imperatore. Solamente allora Federico si persuase del valore e della fermezza degl'Italiani: cosicchè deliberò di finir la guerra e d' intavolare, su condizioni eque, il trattato di quella pace, che sett'anni dopo fu conchiusa in Germania nella città di Costanza[2].

 

 

XV. Il pittore.

 

            Nella villa di Vespignano, quattordici miglia fuor di Firenze, correndo l'anno 1179, nacque ad un certo Bondone, lavorator di campi, un bambino, cui pose il nome di Giotto. Il buon uomo allevò costumatamente il figliuolo, {18 [410]} e questi per la straordinaria sua prontezza d'ingegno era carissimo non solo ai genitori, ma a tutti quelli che lo conoscevano.

            Appena Giotto ebbe compito i dieci anni che il padre gli diede a pascere le pecore. Il buon fanciullo le conduceva qua e là ne' prati, e piuttosto che starsene oziosamente sdraiato, come, pur troppo! mal usano molti pastorelli, prendeva diletto a delineare nell'arena o sulle pietre i contorni delle cose naturali che più gli ferivano la fantasia.

            Un dì stava egli disegnando con un sasso appuntato su di una lastra liscia e pulita una sua agnellina. Passò in quella un pittore chiamato Cimabue, e stupì vedendo come un fanciullo senza studio alcuno sapesse figurare sì bene una pecora. Allettato dalla manifesta disposizione all'arte, e dalle pronte risposte di Giotto, gli domandò se voleva venire a star con lui. Giotto che rispettava sopratutto i suoi parenti, gli rispose: « Volontieri, o signore; ma prima è necessario che se {19 [411]} ne contenti mio padre, cui per nessuna cosa al mondo io disubbidirei. »

            Cimabue andò allora dal Bondone, gli dimandò il figliuolo: e il padre glielo concedè. Lo condusse quindi a Firenze, ove prese ad istruirlo con amore, nella pittura.

            Il giovanetto era sì attento e docile agli ammaestramenti di Cimabue, che presto si fece avanti nell' arte, e diventò il primo pittore de' suoi tempi[3]. {20 [412]}

 

 

XVI. Il coraggio dell'artista.

 

            L'anno 1527, quando i Medici vennero cacciati da Firenze, tutta la città fu in trambusto. Una folla di cittadini aveva dato di piglio alle armi, e corse tosto al palazzo della Signoria; ma le guardie chiusero le porte. S'appiccò {21 [413]}

 

la zuffa, e quelli di dentro gettarono d'alto una panca sovra gli avversari, e la panca percosse in vece un braccio al David del Buonarroti (statua situata innanzi al palazzo), e lo ruppe in tre pezzi. Tre giorni stettero quei pezzi per terra, senza che nessuno pensasse a raccoglierli: ma appena li vide il giovane pittore Checchino De-Rossi, andò al Ponte Vecchio ove abitava il suo condiscepolo Giorgio Vasari, e con gran dolore gli narrò della statua mutilata. {22 [414]} Subito dopo furono veduti Giorgio e Checchino venir in piazza, e di mezzo ai soldati, non badando ai pericoli, toglier su i pezzi di quel braccio, e portarseli a casa. In tal modo i due giovani pittori ci conservarono quei rottami preziosi; i quali furono coll'andar del tempo ricongiunti alla statua per comando del Duca. {23 [415]}

 

 

XVII. Mangiar pece.

 

            Luigi Cornaro, da Venezia, erasi abbandonato in gioventù all'ubbriacchezza, e ne pativa le solite conseguenze: mali di stomaco e di fianco, gotte, ed una febbricciatola che alla bella età di 35 anni lo traeva a passo lento al sepolcro. I medici gli fecero intendere che, per allungare i suoi giorni, l'unica strada era una vita sobria, tutta opposta all' antecedente.

            Vi diede ascolto, e ridottosi ad un metodo preciso di mangiare e bere, in capo d'un anno si riebbe. Allora, ben lontano dal tornare sui primi stravizzi, si propose un viver regolato, che mai non abbandonò. Conoscendo bugiardo quel proverbio: « Ciò che piace alla bocca fa bene allo stomaco, » mai non mangiava se non quel che digeriva facilmente, e serbava sempre un po' di appetito. Gli eccessi di caldo e di freddo, il turbare i sonni ordinari, ed altri disordini che succedono {24 [416]} nel vivere, fanno assai men male a chi sa regolare la bocca. « Chi vuol mangiare assai, diceva a' suoi amici, deve mangiar poco. Fa miglior pro quel cibo che uno lascia di mangiare dopo sazio, che non quello mangiato.

            « La miglior medicina, diceva ancora, è la vita ordinata. » E ben lo provò egli, che con questa a 86 anni si trovava sano e rubizzo, camminava lungamente a piedi anche per le colline, montava di per se a cavallo, studiava e conversava allegro.

            E campò fino a 98 anni, e come era vissuto placido e temperato, così morì nel 1565. « L' ottimo vecchio, racconta un suo amico, sentendosi finire la vita, non riguardava, il gran passaggio con ispavento; ma come avesse dovuto mutarsi da una casa in un'altra. Sedea nel letticciuolo, avendo presente Veronica moglie sua poco meno vecchia di lui, e con voce chiara e sonora mi parlava di lasciare la vita con animo gagliardo: e scrisse ad un amico nostro lettere di consiglio e di conforto. » {25 [417]}

 

 

XVIII. I più poverini.

 

            Era venuto il mese di marzo. Quantunque i terreni ancor non mostrassero frutti o grani di sorta, spuntavano su d'ogni colle le violette, verdeggiavano i campi, i prati, gli alberi: l' aria si era fatta meno fredda, e il cielo sereno. Quindi Giannetto col maggior piacere del mondo usciva di casa per godersi la primavera, e gaio più del consueto si recava saltellando alla scuola. In tale stagione v'intervenivano anche i fanciulli più mal vestiti, e quelli che abitavano nei casolari un poco lontani, sparsi intorno al paesetto.

            A mezzo la scuola soleva il maestro concedere un' ora di ricreazione. In quel frattempo ogni scolaro tirava fuori la colezioncella, che la mamma gli aveva posta nel canestrino, e molti fanciulli se la mangiavano allegramente, senza che nemmeno passasse loro pel capo esservi tra i condiscepoli alcuni si poveretti, i quali non aveano donde satollare la fame. {26 [418]}

            Il maestro, che ben sapeva quale de' suoi scolari era agiato e quale non l'era, con bei ragionamenti li persuadeva a dividere i panetti, le mele, le pere co' più miserabili fra'  loro compagni. Appena il maestro terminò di parlare, Faustino, che era uno de' meglio forniti di cibo, girò l'occhio intorno e visto in un cantuccio Tonietto, ch'era stracciato e scalzo, disse fra se: questi è miserabile! » e corse a porgergli una porzione della sua colezioncella. Quell' esempio, fu tosto seguito dagli altri fanciulli: sicchè Tonietto non solo saziò la fame, ma ebbe roba anche d' avanzo; e la portò ai suoi parenti, i quali pure pativano la fame.

            Ne' giorni successivi il maestro non disse cosa alcuna, e molti scolari non pensavano più al misero Tonietto. Non così però facevano Anselmuccio, Faustino, e cinque o sei buoni fanciulli, i quali ogni mattina risparmiavano o un frutto, o un dolce, o un tozzo di pane per darlo a Tonietto; e costui volea tanto bene a'  suoi benefattori, come se fossero stati suoi fratelli. Faustino {27 [419]} e i suoi compagni, dal canto loro erano contentissimi di giovare al prossimo con sì tenue dono; tutti si compiacevano nel veder quel povero figliuolo a sfamarsi colle porzioncine dei loro cibi; e meglio le godevano così, che se le avessero mangiate essi stessi.

            Venne l' estate. Un bel di che la scuola era piena di ragazzi, ecco entrarvi Tonietto accompagnato da un vecchierello curvato sul bastone. Il pover uomo era magro, calvo in fronte, con una zazzera di capelli bianchi: ma tanto pulito, e di un fare così soave che imponeva rispetto. Fattosi egli avanti, s'inchinò al maestro e si mise a dire: Signore, voi vedete in me un misero contadino che deve la sua vita alla vostra carità e al bel cuore dei vostri scolari. Essi non solo hanno soccorso per due mesi questo mio caro nipotino, ma ancor me, sapete? Uomo virtuoso! io vi ringrazio. Fanciulli benedetti, il cielo vi dia una vita lunga e onorata! - Fecesi accennare da Tonietto qual era stato il più generoso {28 [420]} di quei fanciulli: egli additò Faustino, e il vecchierello accostatosi a lui, esclamò: - Oh fanciullo benefico! io non posso dimostrarvi la mia gratitudine, che abbracciandovi teneramente, chiamandovi figlio, e pregandovi a condurmi dai vostri genitori, ai quali voglio attestare la vostra gran bontà.

            La voce tremola e pietosa del vecchio avea penetrato le belle anime di quei fanciulli; onde, quando lo videro partire insieme con Faustino, e che al maestro cadde una lacrima di tenerezza, essi furono molto commossi, e tutti si proposero di essere sempre caritatevoli.

 

 

XIX. La roba d'altri.

 

            Faustino e Giannetto entrarono in un giardino, e colà videro certi susini, ch' era bisognato puntellare acciocchè il peso delle frutta non ne schiantasse i rami. A quella vista Giannetto esclamò: - « Oh I qui possiamo {29 [421]} saziar la sete col più dolce sugo del mondo. Nessuno ci vede: su via, spicchiamo un ramoscello carico, e scappiamo.»

            « Oibò, rispose Faustino: questo non è lecito, perchè le piante non sono nostre. » - Che importa ciò? riprese Giannetto: il padrone non saprebbe accorgersi ove mangiassimo anche cento susine. Ve' quante sono! Chi le può contare? - Tant' è, non va bene pigliarsi la roba altrui, riprese Faustino, ancorchè sia una piccolezza. Non ti ricordi quello che dice il signor maestro? Figliuoli, guardatevi dal metter mano a ciò che non vi spetta; guardatevi dal cogliere un frutto, un fiore che non sia vostro; perchè s'incomincia dal poco e si finisce col molto; » e così dicendo gli rammentava il settimo comandamento del decalogo. - Giannetto vi pensò un poco, e disse: « Hai ragione, caro Faustino; andiamocene a bocca asciutta. Se avessimo colto una sola di queste susine, saremmo chiamati ladri a giusta ragione. » - Egli era stato in procinto {30 [422]} di far del male, tentando di soddisfare l'arsura della sete e l'ingordigia colle frutta che non erano sue.

 

 

XX. Onore ai maestri.

 

            Teodosio il grande, Imperatore romano, conoscendo quanto poco valgano la nascita illustre e le ricchezze senza la buona educazione, mandò per tutti i suoi regni a cercare il miglior sapiente. E fu trovato essere il filosofo Arsenio, al quale Teodosio affidò suo figliuolo Arcadio, perchè lo allevasse nella virtù e nel sapere. Il giovinetto, superbo, perchè figlio di un imperatore, durante la lezione stava seduto, e faceva rimanere il filosofo in piedi avanti a sè. Ciò avendo veduto Teodosio, gli disse in tuono di rimprovero: « Alzati, e cedi quel posto al tuo maestro. Le ricchezze e la nascita sono un caso; e tu non ne hai merito veruno, e Dio può ritogliertele da oggi {31 [423]} a dimani. Ma la sapienza è vero merito di quel filosofo, che sempre e dappertutto sarà riverito e venerato. Alzati, e cedi quel posto al tuo maestro. » Ed io ho veduto degli scolari che tengono poco conto del loro maestro, solo perchè egli è un povero uomo, ed essi sono figli del possidente, del dottore, o del giudice!

 

 

XXI. Le bolle di sapone.

 

            Una volta Neuton[4] vide un ragazzino che, sbattuto del sapone nell'acqua, con una cannuccia ne levava una stilla, poi soffiandola fuori ne formava de' globi più o meno grossi e leggerissimi. Il fanciullo non badava che al suo giuocherello, ma Neuton pose mente ai bellissimi colori che si {32 [424]} dipingevano su quelle bolle come nell' arco baleno, ed immaginò che la luce (un corpo tanto sottile!) potesse anch' essa decomporsi. Fece e rifece esperimenti, e trovò difatti in essa sette colori primari: violetto, celeste, turchino, verde, giallo, ranciato, rosso. Se tu osservi traverso ad un cristallo faccettato, come sarebbe i turaccioli delle bottiglie, o quelli che tu chiami gemme, distinguerai tutti quei colori. Secondo che un corpo rimanda un o l'altro colore, si dice esser verde, indaco, rancio, o altro. I corpi che rimandano all' occhio tutti i raggi si chiamano bianchi; e quelli che li assorbiscono tutti si chiamano neri.

            Neuton, giovane di soli 22 anni, avea fatto molte importantissime scoperte, e domandandogli alcuno in qual modo fosse riuscito a trovar cose tanto fine, rispose: « Col pensarvi giorno e notte. »

            E questo, o mio buon giovinetto, è l' unico modo di riuscire a qualche cosa di bene; far attenzione a tutto ciò che cade sott'occhi. {33 [425]}

 

 

XXII. Il giovinette industrioso.

 

            Federico e Leopoldo erano stati mandati dal loro padre alla campagna a soprantendere alla mietitura. Tornati, il padre chiese a Federico: - Hanno finito di segare? - Nol so.

            Il grano era ben maturo? - Non ci ho badato.

            Al vecchio fattore cessò la febbre? - Non sapeva che gli venisse.

            Vuol continuare il bel tempo? - Non capisco.

            Leopoldo invece avea preso notizia degli operanti, rese conto che il grano era poco stagionato, e però conveniva venderlo o farlo macinare: che dai vicini aveva inteso come il raccolto fosse scarso, onde si potea cavarne un buon prezzo; che aveva fatto raccogliere le frutta per venderle sul mercato, e delle migliori n'aveva portato un panierino al fattore malato, il quale gli avea dato mille benedizioni. Era {34 [426]} presente uno zio dei due giovanetti, il quale disse: « Leopoldo ha gli occhi in capo: il voglio con me. » E lo pose in un suo negozio ben avviato: impratichito, divenne capo di quello; indi lo zio fra pochi anni glielo cedette. Ora Leopoldo è uno de' negozianti più agiati.

            Federico andava sempre a scivolare sur uno stagno gelato. Una volta non osservò che il freddo era scemato, e che v'erano de' crepacci: andò innanzi senza far mente, e il ghiaccio gli si ruppe sotto. Povero giovinetto!

 

 

XXIII. I due matti.

 

            Due matti imbacuccati nei loro man telli, tremando di freddo entrano in certa osteria, e pregano l'oste ad accendere una fascina, e così ristorarli. L'oste pronto al focolare li mena ed attizza un gran fuoco, poi se ne va. Intanto uno di quelli s'acconcia presso {35 [427]} il fuoco per modo, che, se fosse stato di paglia, e' si sarebbe incenerito allora allora. L' altro si ferma in capo della grande stanza, e tratte fuori dal ferraiolo le mani, sta colle braccia tese al focolare per riscaldarsi. Indi a poco quegli ch'era in sulla brage esclama: Maledetto fuoco! ei mi brucia. Questi che era lontano soggiunse: Oh! io son freddo freddo come prima; e chiamano l'oste. Vien egli, il domandano tutti e due che fuoco, che legna fossero quelle? perchè l'uno diceva d'abbruciarsi, e l'altro non sentirvi punto di calore. Rispose l' uomo, accortosi che non istavano bene in cervello: Il male non è nel fuoco, è in voi. Tu accostati al fuoco quattro passi e ti riscalderai: e tu due tanto rittirati che non ti brucerà di certo. Come egli disse fecero: quindi preso un poco di conforto se ne partirono, lodando il fuoco, le legna, e l'avviso dell'oste. - Questi due pazzi sono il ritratto di quelli che non sapendo usare le cose, come richiede la loro natura, le credono male, tuttochè buonissime, e se ne lamentano. {36 [428]} Non basta il bene a chi non sa farne buon uso. Son lodevoli le ricchezze: ma diventano biasimo nelle mani di chi, o prodigo le getta in istravizi e gozzoviglie, od avaro, le tiene in uno scrigno di ferro.

 

 

XXIV. I tre amici.

 

            Aveva Fronimo stretta amicizia con due ben nate persone, ma nelle loro maniere affatto affatto contrarie. Immaginatevi un uomo cresciuto nella corte tutto gentile e grazioso; un altro allevato in città senza grande studio di galateo, senza politezza di vita; ed eccovi i due amici di Fronimo. Il primo costumando con lui, un altro lui sembrava; poichè ne' dolori di Fronimo sapeva cambiar colore di volto, mandar affievolita la voce, e mostrarsi più ch'egli stesso non era da dolore trafitto; nelle prospere fortune poi avreste detto ch'egli ne fosse il felice. {37 [429]} Conciofossecosachè spessi fossero al cielo i ringraziamenti ch'e' per l'amico faceva, spessi gli evviva che dalla bocca con festa mandava. Trinciava e in andando e in venendo all'amico riverenze profonde, tenea sempre piegato il capo agli inchini, gli stringeva di tempo in tempo la mano, con lui motteggiava leggiadramente; sicchè fu preso l' animo del buon Fronimo in guisa ch'egli per altro occhio non vedeva che per lui, e lui teneva per gemma da guardare con diligenza. Al contrario non passava il secondo nelle cerimonie oltr'a' saluti; e l'allegrezza od il dolore che per l'amico sentiva, più nel seno celava che di fuori mostrasse. Onde Fronimo abbagliato dagli artifiziosi modi dell'altro, con amichevole viso questo ricevea mosso dalla creanza piuttosto che dall'amore. Intervenne un giorno, che per certo interesse dovette pagare gran somma di danaro; nè tanto in scrigno n'aveva ch'a quello aggiugnesse. Entrando in isperanza che l' amico grazioso l' avrebbe del denaro servito, alla sua {38 [430]} casa avviossi. Picchia all'uscio, gli apre con parole assai amichevoli, e con lieto viso il riceve; ma dettogli perchè fosse venuto, il galante signore, bravo a negare con grazia, lo mandò senza conforto. Che ha da fare? Va alla casa dell' altro amico, ma senza punto di confidenza, per avventurare una domanda soltanto come i disperati il colpo, che se va va. Giuntovi, fa chiaro del suo bisogno l'amico, d'aiuto il prega. Vedi amicizia! questi senza più lo trasse allo scrigno e a lui portò le chiavi: Ecco, gli dice, fa ragion che sia tuo. - Le belle parole, i gentili modi non fanno l'amico vero, ma il cuore. È dolcezza di buon uomo creder amico un cortigiano affinato nell'arte di conversare galantemente. Nel fatto dell'amicizia ho più caro un addio, come si dice, alla carlona, che un numero infinito di complimenti alla francese. {39 [431]}

 

 

XXV. Il medico ed il fanciulle infermo.

 

            Essendo infermo di grande infermità un fanciullo, ed avendolo visitato il medico, gli ordinò un amarissimo beverone. Manda la madre dallo speziale per esso; ed avutolo il porge al figliuoletto, confidandosi per quello dover aver conforto le care sue viscere; ma ei nol vuole. La madre dolente gli mette davanti gli occhi il bene che ne gli verrebbe da tal medicina; gli promette denari, roba, e ricorre anco al timore, dicendo come non sarebbe uscito di letto, quando non l'avesse bevuto, e che morrebbe di certo. Quindi il pregava a non voler dare tanto dolore alla diletta sua mamma; e baciandolo, e careggiandolo s'ingegnava di muoverlo ad obbedienza; ma elle furono parole al vento, che l'ostinatello nemmen gustare il voleva. Che si ha da fare? che non s' ha da fare? Risolve d' aspettare {40 [432]} il Dottore; ed appunto picchia l'uscio allora. Trista la madre gli va incontro in capo alla scala, il fa inteso dell' ostinazione del figlio, e lo scongiura a trovar modo, sicchè inghiotta la medicina salubre. Disse il medico di farlo, purchè gli si desse del mele. Detto fatto, ecco il mele. Entra in camera del piccolo infermo; tinge con quello ben bene gli orli del bicchiere; e con eloquenza da Tullio il persuade a porvi sopra la bocca soltanto. Quegli, tra perchè metteva a lui rispetto la voce, il discorso, il portamento del medico, e perch'era pregato di poco, fra labbro e labbro si mise con certo mal garbo il bicchiere; ma appena s'accorse di tanta dolcezza, che addentato il vetro più giù trangugiò l'amaro liquore, e come l'ebbe in istomaco solo s'avvisò dell'inganno: e sputando, e tossendo dava segno dell'amarezza che il travagliava. Ma che? da sì bell'inganno ricevette la vita. - L'utile, che senza il dolce sarebbe avuto in ira e dispetto, mercè il dolce di buon grado s' accetta. {41 [433]}

 

 

XXVI. Il contadina ed i topi.

 

            Teneva un povero contadino nella sua casipola del freschissimo cacio, e per vendere e per nutricare con esso la misera famigliuola. Ma per affè che, trattivi all'odore certi sorci caserecci, l'addentarono e senza farsi coscienza del danno che recavano al povero uomo, presero, le notti principalmente, a roderlo quanto le erano lunghe. Se n'accorse il villano, ed arrabbiatosi contra gl'insolenti animali, sparse quinci e quindi arsenico presso al formaggio. Ed oh fatto e' non lo avesse! Avvegnachè i topi, fingendo i denti così avvelenati nel cacio, la morte loro ad altrui prepararono. Poichè per caso il villano padrone, mangiato della parte tocca dal veleno, se ne morì. - Nel procacciare a'  mali rimedio, ove bisogni sproni, guardisi l'uomo di usare di quelli che possano, spacciando piccolo male, germogliarne uno maggiore. {42 [434]}

 

 

XXVII. Una famiglia cristiana.

 

            S. S. Pio IX felicemente regnante fu nella sua gioventù Vicario apostolico nel Chilì, vasta provincia dell'America. In una delle sue corse apostoliche ben addentro a quelle terre, e lontano dalle contrade popolate, incontrò una misera capanna, dentro la quale stava per esalare l'ultimo respiro un uomo di cinquant' anni, padre di numerosa famiglia. Qui vi era un infelice a soccorrere, un'anima a salvare; bisognava assai di meno per determinare il ministro di Gesù Cristo a sospendere il suo cammino. Piantò dunque la sua tenda sopra la soglia di questa capanna, mettendola sotto la protezione della croce.

            L'infermo era preso da una di quelle malattie per cui ogni soccorso umano riesce indarno, il suo corpo già apparteneva alla terra. Il sacerdote di Dio più non pensò fuorchè a dare il cielo a {43 [435]} quell'anima. A questo scopo indirizzò tutte le potenze del suo cuore, poichè quando la morte si approssima, le ore volano. L'infermo fu così compunto dalla sua parola viva e calda, dalle lacrime che cadendo dagli occhi del prete caritatevole riscaldavano, prima d'arrivare al cuore, la sua fronte di già ghiacciata; fu così tocco dalla vista della celeste effigie inchiodata sopra una croce per riscattare gli uomini, che dimando egli stesso e ricevette con amore il battesimo. Sua moglie e i suoi figliuoli lo ricevettero anch'essi quasi ad un punto. Qual vago spettacolo offriva questa cerimonia religiosa, celebrata sotto la vôlta del cielo senza verun altro testimonio fuor quello di Dio! Là un uomo disteso sopra una pelle di bestia selvaggia e sull' orlo d'una tomba, qui una donna scioglientesi in lagrime e più in là fanciulli grandemente rattristati, l'uno sospendere il passo nel cammino dell'eternità, gli altri dar tregua alla loro disperazione per ascoltare con calma la voce di Dio che prometteva loro le {44 [436]} gioie celesti. Fu bello vederli allorchè, curvata un momento la fronte sotto la mano che versava l' acqua rigeneratrice, essi si rilevavano consolati, ripetendo col sacerdote queste magnifiche parole: « Io credo in un solo Dio, il Padre onnipotente che ha creato il cielo e la terra, il mare e le stelle. Io credo in un solo Signore Gesù Cristo, Figliuolo unico di Dio, nato dal Padre increato avanti i secoli, Dio di Dio, lume della luce, che non è stato fatto, ma generato consustanzialmente dal Padre per cui tutto fu fatto, che è disceso dai cieli per la salute degli uomini; io credo nello Spirito Santo che è eziandio Signore e dà la vita, che procede dal Padre e dal Figlio. Io credo nella Chiesa che è una, santa, cattolica, apostolica e romana. Io confesso che non v'ha che un battesimo per la remissione dei peccati. Io attendo la risurrezione dei morti e la vita dei secoli avvenire. »

            Qualche ora dopo, il capo della famiglia spirò tra le braccia dei prete cattolico, il quale volle assisterlo negli {45 [437]} ultimi suoi momenti e consolare la ferocia della sua natura parlandogli del cielo e di Dio, di Dio migliore degli uomini, del cielo più dilettoso della terra. Gli serrò gli occhi, lo seppellì colle proprie sue mani in una sua camicia che erasi strappata, e lo portò nella tomba che aveva egli stesso scavata appiè d' una verde quercia. Prima di partire volle eziandio piantare una croce di legno sopra il tumulo, e accanto alla croce un rosaio selvaggio. « Se i venti dell' uragano sterpano questa croce, disse alla famiglia desolata, ponetene un' altra, perchè essa è il segno della salute. Se l'uragano delle male passioni soffia nel vostro cuore, venite accanto ad essa a pregar Dio, il quale mette la calma ed il riposo nel luogo dell' uragano e delle tempeste. Pregate, amate questo buon Dio, non lo dimenticate giammai, e i dolci pensieri germoglieranno nella vostra anima, come queste rose selvaggie cresceranno sopra il monticello del defunto. Addio. » Partì colla borsa leggiera, ma portando {46 [438]} con se le benedizioni della vedova e degli orfani che aveva soccorsi e consolati.

 

 

XXVIII. Un bel cavallo.

 

            Un abitante del quartiere dei Monti in Roma possedeva una sola carretta e un vecchio cavallo che ebbe la sventura di perdere. Questo cavallo procacciava il sostentamento a lui e a sua madre, buona vecchia, della quale aveva gran cura. La sua pietà figliale gli diè animo a presentarsi al Quirinale, antica abitazione dei Pontefici, per manifestare al Papa stesso il suo infortunio e dimandargli il più vecchio e il più cattivo cavallo delle sue scuderie.

            « Se vi do un cavallo di rifiuto, gli disse il buon Pio, come potete farlo lavorare?

            - Lo aiuterò, santo Padre! son giovine e forte, e la più grossa parte la piglierò per me. {47 [439]}

            - Ma vostra madre è vecchia, non bisogna abusare della vostra forza, nè della vostra giovinezza; bisogna al contrario conservarvi per lei.

            - Ecco perchè son venuto a domandarvi un cavallo, santo Padre.

            - Ed io vi ringrazio d'aver pensato a me piuttosto che ad un altro. »

            Il Papa gli fece bentosto dare un buono e vigoroso cavallo con due monete d' oro di 20 franchi: il cavallo per lui, i 40 franchi per sua madre.

            Se la felicità non uccide, rende talvolta pazzo. Poco mancò che il poveretto non perdesse il cervello. Salito sul suo cavallo, fiero come un imperatore romano, galoppò tutto il dì pei quartieri dei Monti, colle due monete d'oro in mano, gridando con quanto aveva in gola; Viva Pio nono! Viva Pio nono!

 

 

XXIX. La croce d'oro.

 

            Uno de' suoi segreti agenti attraversando il ghetto, vide una giovinetta {48 [440]} sguizzare misteriosamente nella bottega di un ebreo, e potè seguirne tutti i movimenti senz' essere avvisato. Essa vendette una croce d' oro alla quale senza dubbio dava un gran prezzo perchè la sua mano tremava nel riceverne il danaro e i suoi occhi si bagnarono di una lacrima. Dovea ben essere infelice per ispogliarsi in tal guisa d'un ornamento sacro per tutte le donne romane. L'agente segreto si trovava sulla traccia d'una bella avventura pel suo augusto signore e determinò di condurla a buon fine. La giovinetta uscendo dalla bottega dell'ebreo corse immantinente presso un fornaio a comperare un grosso pane che nascose sotto il grembiale, poi ritornò, sempre correndo, nella via deserta ove abitava. L'agente non l'avea perduta di vista, e le tenne dietro lungo una scala oscura e tortuosa ch' ella saliva senza dubitare di essere spiata. Giunta sul pianerottolo, ella aprì un usciolo, che nella fretta non pensò di serrare. Quivi, in una camera nuda, una vecchia donna inferma languiva di fame. {49 [441]}

            « Prendete, mia buona madre, le disse la figliuola entrando, ecco del pane, mangiate.

            - E tu, mia fanciulla, le rispose la vecchia, divorando il pezzo di pane che riceveva, perchè non mangi mai?

            - Oh! io, e differente; ho desinato in casa di una delle mie compagne, e non ho fame. » Contenta della sua ingegnosa menzogna, la povera fanciulla, morendo anch' ella d' inedia, aggiunge:

            « Rincoratevi, mia madre, si dice che il lavoro diverrà abbondante; Pio IX, nostro buon padre, ha dato ordini per tale effetto.... Voi non avete più fame; via consolatevi; Iddio buono non ci abbandonerà, Pio IX veglia su noi. » Avea appena finite queste parole, che una moneta d'oro coll'effigie di Pio IX cadde a' suoi piedi; ella si slanciò verso l'uscio, ma l'agente protettore era scomparso. « Voi vedete, mia madre, che Iddio si commosse a pietà di noi, ripigliò ella facendo brillare a' suoi occhi la moneta d'oro; ci vengano ora dire che non si fanno più {50 [442]} miracoli! » Quest' avventura diverti assai Pio IX, il quale volle conchiuderla egli stesso.

            Fece ricomperare la croce venduta la sera avanti e la rimandò alla giovinetta con cinque monete d'oro accompagnate dalla presente lettera:

 

                        Mia cara figliuola,

 

            « Voi aveste ragione di sperare in Dio. Egli non abbandona giammai la pietà figliale. Voi avete ragione di sperare in Pio IX; egli veglierà affinchè vostra madre e voi non moriate di fame. »

 

 

XXX. Una tomba illustre.

 

            Il Sommo Pontefice recavasi un giorno al Vaticano in piccol treno, era solo nella Sua carozza di città; senza guardie nobili alle portiere, e senza accompagnamento d'onore, allorchè incontrò per via un convoglio {51 [443]} funebre, solitario, isolato, senza parenti, senz' amici. Un solo sacerdote camminava salmeggiando dietro la croce. « Convien dire che questo infelice fosse solo al mondo, disse il Papa, poichè vien portato all' ultima sua dimora senza lacrime e senza cordoglio. » Così dicendo, ordinò al suo cocchiere di fermarsi, discese dalla carrozza, e formando egli solo il corteggio del povero defunto, l'accompagnò sino al cimitero. Giunti quivi, gettò l' acqua benedetta e la prima gleba sulla fossa spalancata; piantò egli stesso la croce funeraria, e non si ritrasse che dopo aver recitato il De profundis sopra questa tomba modesta, più illustrata oggi che la tomba d'un re.

 

 

XXXI. Il fiasco rotto.

 

            Altra volta recandosi sconosciuto alla Madonna degli Angeli, vide una giovinetta affannata aggirantesi per una {52 [444]} via. La povera fanciulla strappava il cuore colle sue lacrime. Il Papa discendendo dalla carrozza, le chiese il motivo della sua disperazione.

            - Eh, signor abbate, disse ella, fui colpita da una grande sventura.

            - Quale, mia fanciulla? è riparabile?

            - Oh no! signor abbate.

            - Che è dunque?

            - La mamma mi ha dati cinque baiocchi per comprar vino, io sono caduta, il fiasco si è rotto e il vino versato; vedete, signor abate! non v'è che Dio buono che possa accomodare il mio fiasco e rendermi il mio vino.

            - Non bisogna piangere in tal modo per cinque baiocchi, mia fanciulla. È un accidente e non una sventura.

            - Non è per i baiocchi che piango; è per le botte che mi aspettano a casa se ritorno senza il fiasco pieno, la mamma, invece di abbracciarmi, mi batterà.

            - Gli è differente allora; tò, mia fanciulla, prendi questo. Compra un fiasco più grande che non era il rotto, fallo riempiere di vino d'Orvieto, e tua {53 [445]} madre invece di batterti, ti abbraccierà due volte. - Così dicendo il buon Pio le diede un grosso scudo nuovo di zecca.

            - Oh mio Dio! grazie, signor abbate! gridò la fanciulla che non avea mai avuto per avventura una così grossa fortuna nelle sue piccole mani. Grazie! Grazie!

            E mentre il Papa si accingeva a risalire nella modesta sua carrozza, la giovinetta lo afferrò alla sottana nera, dicendogli: « Il buon Dio e mamma non vogliono ch'io mentisca, perchè la bugia è un brutto peccato che fa piangere Gesù. Racconterò dunque a mamma la ventura che m'è capitata. Che dovrò dirle se mi dimanda il nome della persona che mi ha dato questa bella moneta d'argento?

            - Le dirai che gli è un povero prete che abita al Quirinale. Addio, mia fanciulla.

            - Addio, signor abbate. Stasera pregherò Gesù per voi. {54 [446]}

 

 

XXXII. Un orfanello e quattro scudi.

 

            Un altro fatto fece nuovamente risplendere l'immensa carità del sovrano Pontefice. Un povero fanciullo, tutto lagrimoso e frenato dalle guardie svizzere, tentava invano di giungere sino a lui; teneva in mano una supplica gridando con voce dolorosa:

            « Vi prego, miei buoni soldati, in nome di mia madre, lasciatemi parlare al Papa; mi si disse che egli è il padre de' fanciulli poveretti. »

            Pio IX si fermò, e fattosi rimettere la supplica, lesse:

 

                        « Santissimo Padre,

 

            « Mia madre è vecchia ed inferma; io... io sono troppo giovine per sostentare la sua e la mia vita, il nostro padrone, uomo cattivo, ci vuol cacciare domani se non gli paghiamo i quattro scudi, de' quali siamo debitori. Questi quattro scudi sarebbero {55 [447]} per noi una fortuna. Degnatevi prestarceli; io ve li renderò allorchè sarò più grandino. »

            L'alterezza infantile di questa supplica piacque a Pio IX.

            - Come ti chiami, mio buon fanciullo, e qual è la tua età? gli disse.

            - Io mi chiamo Paolo e ho dieci anni.

            - Che fa tuo padre!

            - Ci aspetta in Paradiso da dieci anni.

            - Tua madre!

            - Ricama e prega il buon Dio da mane a sera.

            - Ove dimorate?

            - Via de' Carbonari.

            - Bene, mio fanciullo! torna domani alle ore tre; io ti darò i quattro scudi di cui tua madre ha bisogno.

            - Voi ce li presterete, perchè noi ve li renderemo.

            Il santo Padre nello stesso di fa prenderne informazioni. Il piccolo supplicante aveva detta la verità; presentatosi l' indomane all' ora disegnata, {56 [448]} Pio IX, invece di quattro, gli diede dieci scudi.

            - Non vi ho chiesto dieci scudi, disse il fanciullo rendendone sei.

            - Riprendili, disse il buon Pio, portali a tua madre, e dille di non inquietarsi dell' avvenire; me ne incarico io.

 

 

XXXIII. Il vecchio Guidi.

 

            Il 28 marzo 1847 nel momento, in cui erano in gran vigore le misure di polizia messe dal governo pontificio per liberare la Capitale dai vagabondi e mendicanti più o meno pericolosi, i Carabinieri arrestarono vicino al palazzo papale un vecchio coperto di polvere e cencioso, il quale fu immantinente condotto all' ufficio di polizia.

            « Io non sono un ladro, disse, io mi chiamo Guidi, arrivo da Fano per vedere il nostro santo Padre, il Papa; voi non mi metterete in prigione prima {57 [449]} che l'abbia visto; dopo farete di me ciò che vi piacerà, perchè non avrò più nulla a desiderare per la mia povera vita. Vi prego dunque, miei cari signori, andate a dire a Pio IX, che il vecchio Guidi desidera vederlo. » - A Parigi i municipali avrebbero tolto quest'uomo per un insensato e l' avrebbero condotto a Charenton o almeno alla Prefettura della polizia. Qui invece i Carabinieri gli agevolarono il mezzo per raggiungere il suo desiderio; egli ottenne la felice ventura di essere ammesso all' udienza pubblica del santo Padre. Dal suo viso pallido e contraffatto da un lungo cammino traspariva una profonda emozione; le sue gambe stecchite tremavano sotto un corpo curvato da ottanta inverni. Al suo arrivo nell'anticamera, le sue forze non rispondendo al suo coraggio, oppresso forse dalle varie emozioni che lo agitavano, cadde privo di sensi ai piedi dei prelati e degli officiali pontificii, che lo trasportarono in una sala vicina.

            Avvertito di quanto succedeva, Pio {58 [450]} IX, non volendo privare il povero contadino del favore, al quale poneva un si gran prezzo, ordinò che gli si venisse presentato appena fosse in istato di comparire innanzi a lui. Alle ore quattro venne ammesso alla presenza di Sua Santità.

            - Che volete, disse il Papa dopo averlo rialzato da' suoi piedi, che avea coperto di baci e bagnati di lacrime, che volete, mio amico?

            - Raccontarvi una storia.

            - Parlate, vi ascolto. Il contadino cominciò:

            « Già sono moltissimi anni, una nobile e grande famiglia degli Stati romani s' era condotta, secondo l' uso, nel principio dell'ottobre, a una bella villa che possedeva a sei miglia da Sinigaglia. Il capo di questa famiglia aveva un grazioso fanciullino, vispo e allegro, chiamato Giovanni. Questo fanciullino pigliò ad amare un giovine contadino di vent'anni, acconciato al servizio della sua famiglia, il quale si prestava con tenerezza a tutti i suoi giuochi. Un giorno, passeggiando tutti {59 [451]} e due traverso i campi, correndo dietro una farfalla o fermandosi a coglier fiori, s'arrestarono sulla riva d'un lago piccolo ma profondo e pieno d'acqua stagnante. Erano in questo lago pesci rossi che nuotavano alla superficie. Il fanciullo li vide e trastullandosi de' loro allegri giuochi, volle pigliarli nelle sue piccole mani. S'avvicina più e più alla riva e già sta per afferrarli, quando ad un tratto gli fallisce sotto il piede il terreno macero e sdrucciolevole, cade nell' acqua e scompare. Ma per buona ventura la Provvidenza e il giovine contadino vegliavano su lui. Il contadino non esita un istante, senza badare al pericolo, si slancia vestito nel lago, vi s'immerge due volte, afferrò il fanciullo e lo rimena sano e salvo sulla riva. Quel fanciullo eravate voi.

            - Il contadino?

            - Era io.

            - Non ho dimenticato questo evento. Voi vi chiamate?

            - Guidi.

            - Gli è vero! dopo Dio, è a voi {60 [452]} ch'io debbo la vita e il trono. Voglio e debbo ricompensarverne. Che bramate?

            - Nulla per me, santissimo Padre, perchè di presente io sono il più ricco contadino de' vostri Stati; ho riveduto il piccolo Giovanni, ho ritrovato il gran Papa, io sono felice. »

            Il buon Pio, commosso fino alle lacrime da queste prove d'amore, raddoppiò la sua felicità concedendo per lui e per la sua famiglia una somma assai considerevole per vivere al disopra del bisogno.

            Tre giorni prima il sovrano Pontefice aveva indirizzato a tutti i patriarchi, arcivescovi, e vescovi un'enciclica concepita in termini calorosi, nella quale li esortava a pregare e far pregare in un divoto triduo il Dio delle misericordie, affinchè egli volgesse uno sguardo benigno sulle tribolazioni dell'Irlanda. Di più li invitava a raccogliere dalla pietà dei fedeli doni caritatevoli per soccorrere gl' Irlandesi nella desolazione della carestia e del tifo. {61 [453]}

 

 

XXXIV. Il mio ritratto.

 

            Nei primi tempi del pontificato di Pio IX, un venerabile sacerdote francese ottenne l'onore di visitarlo; egli fu così commosso dalla vita santa e inspiratrice di Pio IX, che gli cadde ai piedi senza potere articolar parola. Il Pontefice lo sollevò onorevolmente, confortandolo. Appena potè parlare, santo Padre, disse, fatemi dono del vostro ritratto. Pio IX prese in mano la croce, e alzando gli occhi al cielo, sclamò: Ecco il mio ritratto! Io porto sulla fronte la corona di Cristo[5].

 

Con permissione Ecclesiastica. {62 [454]}


20 luglio 1943

Maria Valtorta

Dice Gesù:

   «E scrivi dunque. Nel soprannaturale non bisogna mai avere paura. Chi ti detta sa quello che si dice e chi ti legge capisce perché ho messo lui pure in condizioni di capire. Perciò via tutti i retropensieri umani. Ricòrdati che sei il mio portavoce, quindi devi dire quanto ti dico senza riflettere, umanamente, sull’impressione che altri ne possano avere.

   Dunque: le ragioni per cui feci di Pietro il capo della Chiesa, invece di fare capo il mio Prediletto, sono diverse e tutte giuste. Non state a mettere sulla bilancia l’amore di Pietro e quello di Giovanni per trarre da questo il motivo della scelta. I vostri pesi e le vostre misure non hanno corso in Cielo. Furono due amori diversi come diverse erano le indoli, le età, le forme dell’amore. Diversi e ugualmente vòlti allo stesso scopo: Io, e ugualmente cari a Me. Dunque eliminate il ma e il se dell’amore da questo.

   Pietro era il più maturo degli apostoli, già rispettato come capo da altri pescatori, divenuti poi apostoli; egli, come ho detto, conosceva la vita in tutte le sue pieghe di luce e di ombra, era dotato di forza di carattere, di ardimento e di una impulsività che ci voleva in quelle circostanze. Egli, per sua penosa esperienza, conobbe la debolezza di un’ora e poté capire le debolezze degli altri nelle ore di dubbio e pericolo.

   L’ho già detto. Non era quello che mi amava di più. Era uno che mi amava con tutta la sua capacità d’amare, come del resto tutti gli altri dodici, Giuda compreso finché non prestò orecchio al Seduttore.

   Nella Chiesa, che si doveva formare tra tante lotte e insidie, vi era bisogno di uno che per età, autorità, esperienza e irruenza, sapesse imporsi agli altri. E chi come Pietro, in queste quattro doti necessarie alla formazione della mia Chiesa?

   Giovanni era il più giovane. Anima di fiore, non sapeva il male della vita. Era un giglio dal boccio ancora serrato sul candore del suo interno. Si aprì nell’ora che il mio sguardo gli scese in cuore e non seppe più che vedere Me. Era un bimbo dal cuore di eroe e di colomba. Pietro era il sostegno del mio Cuore che vedeva il presente e il futuro, ma Giovanni era il conforto. Quanto conforto solo dal suo sorriso dolce, dal suo sguardo puro, dalle sue rade parole, ma sempre così amorose! Essere vicino a Giovanni era per Me come riposare presso un pozzo fresco, ombreggiato da piante su un tappeto di fiori. Emanava pace.

   Ma potevo Io imporlo, per prudenza e per giustizia, agli altri più anziani? Occorre avere presente che erano uomini, destinati alla perfezione, ma uomini ancora. Ecco perché la mia Intelligenza prescelse Pietro adulto, conoscitore delle miserie spirituali, impulsivo, autoritario, a Giovanni mite, sognatore, giovane, ignaro.

   Pietro era la “pratica”, il genio pratico. Giovanni era la “poe­sia”, il genio poetico. Ma quando i tempi sono duri, ci vogliono non solo penne di poeta ma pugni di ferro per tenere dura la barra del timone.

   In compenso, al mio Prediletto ho dato la visione dei tempi futuri dopo avergli dato le mie confidenze più segrete e mia Madre. Potrei dire che Giovanni è l’ultimo, nell’ordine del tempo, e il primo, nel­l’ordine dell’avvenire, dei profeti grandi. Perché egli chiude il ciclo iniziato da Mosè riguardo all’Agnello che con la sua immolazione salva il mondo e vi alza il velo che avvolge l’ultimo giorno.

   Ma credete però che in Cielo il mio fulgore incorona la fronte di Pietro e di Giovanni della stessa luce, e sarebbe bene per voi non fare confronti umani su esseri che sono sopraumani.»

   Dice ancora Gesù:

   «Considera il mio Fulgore e la mia Bellezza rispetto alla nera mostruosità della Bestia.

   Non avere paura di guardare anche se è spettacolo repellente. Sei fra le mie braccia. Esso non può accostarsi e nuocerti. Lo vedi? Non ti guarda neppure. Ha già tante prede da seguire.

   Ora ti pare che meriti lasciare Me per seguire lui? Eppure il mondo lo segue e lascia Me per lui.

   Guarda come è satollo e palpitante. È la sua ora di festa. Ma guarda anche come cerca l’ombra per agire. Odia la Luce, e si chiamava Lucifero! Lo vedi come ipnotizza coloro che non sono segnati dal mio Sangue? Accumula i suoi sforzi perché sa che è la sua ora e che si avvicina l’ora mia in cui sarà vinto in eterno[157].

   La sua infernale astuzia e intelligenza satanica sono un continuo operare di Male, in contrapposto al nostro uno e trino operare di Bene, per aumentare la sua preda. Ma astuzia e intelligenza non prevarrebbero se negli uomini fossero il mio Sangue e la loro onesta volontà. Troppe cose mancano all’uomo per avere armi da opporre alla Bestia, ed essa lo sa e apertamente agisce, senza neppure più velarsi di apparenze bugiarde.

   La sua schifosa bruttezza ti spinga ad una sempre maggiore diligenza e a una sempre maggiore penitenza. Per te e per i tuoi disgraziati fratelli, che hanno l’anima orba o sedotta e non vedono, o, vedendolo, corrono incontro al Maligno, pur di averne l’aiuto di un’ora da pagare con una eternità di dannazione.»

   Devo spiegare io, se no non ci capisce nulla.

   È dalla sera del 18 che il buon Gesù mi fa vedere una bestiaccia orrenda, ma così orrenda che mi dà ribrezzo e voglia di urlare. Il suo nome è noto. E il buon Gesù mi fa capire che quell’aspetto è sempre inferiore alla realtà, perché nessuna realtà umana può giungere a impersonare con esattezza la suprema Bellezza e la suprema Bruttezza.

   Ora le descrivo la bestiaccia.

   Mi pare di vedere un gran buco nero nero e profondissimo. Comprendo che è profondissimo, ma non ne vedo che l’orifizio, tutto occupato da un mostro orribile. Non è serpe, non è coccodrillo, non è dragone, non è pipistrello, ma ha, di tutti e quattro, qualcosa.

   Testa lunga e puntuta senza orecchie e con due occhi sornioni e feroci che sono sempre in caccia di preda, una bocca vastissima e armata di ben aguzzi denti, sempre intenta ad acchiappare a volo qualche incauto che arriva a portata delle sue mandibole. La testa insomma ha molto di quella del serpe per la forma e del coccodrillo per i denti. Collo lungo e flessibile che permette molta agilità alla testa tremenda.

   Un corpaccio lubrico ricoperto da una pelle come quella delle anguille (per intendersi) ossia senza scaglie, di colore fra il ruggine, il viola, il bigio scuro... non saprei. Ha persino il colore delle sanguisughe.

   Alle spalle e alle anche (dico “anche” perché là finisce il ventre palpitante e gonfio di preda e comincia la lunga coda che termina a punta) sono quattro zampacce corte e palmate come quelle del coccodrillo. Alle spalle due alacce da pipistrello.

   La bestiaccia non muove il gran corpo schifoso. Muove solo la coda che si divincola a “esse” qua e là, e muove la testa orribile dagli occhi fascinatori e dalle mascelle sterminatrici.

   Misericordia divina! Che brutta bestiaccia! Dal suo antro nero sprigiona tenebra e orrore. Le assicuro che ieri, che la vedevo con tutta la sua più viva esattezza - e non capivo che ci stesse a fare - mi veniva voglia di urlare di ribrezzo. Meno male che vedevo che verso di me non guardava mai come per ripulsione. Reciproca ripulsione se mai. Se questo è una pallida raffigurazione di Satana, che sarà mai lui? Roba da morire due volte di fila solo a vederlo!

   Meno male anche che, se in un angolo era la bestiaccia, vicino vicino era il mio Gesù bianco, bello, biondo... Luce nella luce! Confrontando la luminosa, confortevole figura del Cristo con quella dell’altro, il suo sguardo dolcissimo, chiaro, con quello bieco dell’ altro, c’è proprio da compiangere gli infelici peccatori destinati al secondo perché hanno respinto Gesù.

   Ebbene, ora che l’ho visto... vorrei non vederlo più, perché è troppo brutto. Pregherò perché il meno possibile di disgraziati vada a finire nelle sue grinfie, ma prego il buon Dio di levarmi questa vista.

   Oggi è meno viva e ne sono gratissima al Signore. E ancora più grata perché la cara Voce mi fa capire il perché di quella visione, che ieri mi terrorizzava credendola destinata a me per avvertimento.

[157] sarà vinto in eterno, come si dice in Apocalisse 20, 10.