Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

«Voglio istruirti sul modo di salvare le anime con la preghiera e con il sacrificio». €” Con la preghiera e con la sofferenza tu salverai più anime di quante non ne riesca a salvare un missionario che si preoccupi soltanto di catechizzare e predicare. Ma desidero vedere in te un sacrificio pieno d'amor vivo, perché soltanto l'amore ha potere su di me. Affinché il tuo sacrificio mi sia gradito, voglio trovare in esso purezza d'intenzione e umiltà . Ti dirò in che cosa consista questo olocausto della tua vita quotidiana per premunirti contro le illusioni, che facilmente vi si potrebbero insinuare. Accetterai tutte le sofferenze con amore, ma senza impressionarti se il tuo cuore ne sentirà  naturalmente ripugnanza ed avversione. Tutta la forza di questo sacrificio viene dalla volontà , così che quegli stessi sentimenti di contrarietà , anziché impoverire ai miei occhi il sacrificio, ne aumentano il valore. Non tirarti indietro! La mia grazia mai non ti abbandona. (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 24° settimana del tempo ordinario (Beata Vergine Maria Addolorata)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 5

1Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.2V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,3sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.4Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.5Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.6Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: "Vuoi guarire?".7Gli rispose il malato: "Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me".8Gesù gli disse: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina".9E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato.10Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: "È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio".11Ma egli rispose loro: "Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina".12Gli chiesero allora: "Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?".13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio".15Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.16Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.17Ma Gesù rispose loro: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero".18Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.

19Gesù riprese a parlare e disse: "In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa.20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati.21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole;22il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio,23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.24In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.25In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno.26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso;27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo.28Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno:29quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.30Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
31Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera;32ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace.33Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità.34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi.35Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto,38e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato.39Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza.40Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
41Io non ricevo gloria dagli uomini.42Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio.43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste.44E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?45Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza.46Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto.47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?".


Numeri 13

1Il Signore disse a Mosè:2"Manda uomini a esplorare il paese di Canaan che sto per dare agli Israeliti. Mandate un uomo per ogni tribù dei loro padri; siano tutti dei loro capi".3Mosè li mandò dal deserto di Paran, secondo il comando del Signore; quegli uomini erano tutti capi degli Israeliti.
4Questi erano i loro nomi: per la tribù di Ruben, Sammua figlio di Zaccur;5per la tribù di Simeone, Safat figlio di Cori;6per la tribù di Giuda, Caleb figlio di Iefunne;7per la tribù di Issacar, Igheal figlio di Giuseppe; per la tribù di Efraim,8Osea figlio di Nun;9per la tribù di Beniamino, Palti figlio di Rafu;10per la tribù di Zàbulon, Gaddiel figlio di Sodi;11per la tribù di Giuseppe, cioè per la tribù di Manàsse, Gaddi figlio di Susi;12per la tribù di Dan, Ammiel figlio di Ghemalli;13per la tribù di Aser, Setur figlio di Michele;14per la tribù di Nèftali, Nacbi figlio di Vofsi;15per la tribù di Gad, Gheuel figlio di Machi.16Questi sono i nomi degli uomini che Mosè mandò a esplorare il paese. Mosè diede ad Osea, figlio di Nun, il nome di Giosuè.
17Mosè dunque li mandò a esplorare il paese di Canaan e disse loro: "Salite attraverso il Negheb; poi salirete alla regione montana18e osserverete che paese sia, che popolo l'abiti, se forte o debole, se poco o molto numeroso;19come sia la regione che esso abita, se buona o cattiva, e come siano le città dove abita, se siano accampamenti o luoghi fortificati;20come sia il terreno, se fertile o sterile, se vi siano alberi o no. Siate coraggiosi e portate frutti del paese". Era il tempo in cui cominciava a maturare l'uva.
21Quelli dunque salirono ed esplorarono il paese dal deserto di Sin, fino a Recob, in direzione di Amat.22Salirono attraverso il Negheb e andarono fino a Ebron, dove erano Achiman, Sesai e Talmai, figli di Anak. Ora Ebron era stata edificata sette anni prima di Tanis in Egitto.23Giunsero fino alla valle di Escol, dove tagliarono un tralcio con un grappolo d'uva, che portarono in due con una stanga, e presero anche melagrane e fichi.
24Quel luogo fu chiamato valle di Escol a causa del grappolo d'uva che gli Israeliti vi tagliarono.
25Alla fine di quaranta giorni tornarono dall'esplorazione del paese26e andarono a trovare Mosè e Aronne e tutta la comunità degli Israeliti nel deserto di Paran, a Kades; riferirono ogni cosa a loro e a tutta la comunità e mostrarono loro i frutti del paese.27Raccontarono: "Noi siamo arrivati nel paese dove tu ci avevi mandato ed è davvero un paese dove scorre latte e miele; ecco i suoi frutti.28Ma il popolo che abita il paese è potente, le città sono fortificate e immense e vi abbiamo anche visto i figli di Anak.29Gli Amaleciti abitano la regione del Negheb; gli Hittiti, i Gebusei e gli Amorrei le montagne; i Cananei abitano presso il mare e lungo la riva del Giordano".30Caleb calmò il popolo che mormorava contro Mosè e disse: "Andiamo presto e conquistiamo il paese, perché certo possiamo riuscirvi".31Ma gli uomini che vi erano andati con lui dissero: "Noi non saremo capaci di andare contro questo popolo, perché è più forte di noi".32Screditarono presso gli Israeliti il paese che avevano esplorato, dicendo: "Il paese che abbiamo attraversato per esplorarlo è un paese che divora i suoi abitanti; tutta la gente che vi abbiamo notata è gente di alta statura;33vi abbiamo visto i giganti, figli di Anak, della razza dei giganti, di fronte ai quali ci sembrava di essere come locuste e così dovevamo sembrare a loro".


Proverbi 13

1Il figlio saggio ama la disciplina,
lo spavaldo non ascolta il rimprovero.
2Del frutto della sua bocca l'uomo mangia ciò che è buono;
l'appetito dei perfidi si soddisfa con i soprusi.
3Chi sorveglia la sua bocca conserva la vita,
chi apre troppo le labbra incontra la rovina.
4Il pigro brama, ma non c'è nulla per il suo appetito;
l'appetito dei diligenti sarà soddisfatto.
5Il giusto odia la parola falsa,
l'empio calunnia e disonora.
6La giustizia custodisce chi ha una condotta integra,
il peccato manda in rovina l'empio.
7C'è chi fa il ricco e non ha nulla;
c'è chi fa il povero e ha molti beni.
8Riscatto della vita d'un uomo è la sua ricchezza,
ma il povero non si accorge della minaccia.
9La luce dei giusti allieta,
la lucerna degli empi si spegne.
10L'insolenza provoca soltanto contese,
la sapienza si trova presso coloro che prendono consiglio.
11Le ricchezze accumulate in fretta diminuiscono,
chi le raduna a poco a poco le accresce.
12Un'attesa troppo prolungata fa male al cuore,
un desiderio soddisfatto è albero di vita.
13Chi disprezza la parola si rovinerà,
chi rispetta un comando ne avrà premio.
14L'insegnamento del saggio è fonte di vita
per evitare i lacci della morte.
15Un aspetto buono procura favore,
ma il contegno dei perfidi è rude.
16L'accorto agisce sempre con riflessione,
lo stolto mette in mostra la stoltezza.
17Un cattivo messaggero causa sciagure,
un inviato fedele apporta salute.
18Povertà e ignominia a chi rifiuta l'istruzione,
chi tien conto del rimprovero sarà onorato.
19Desiderio soddisfatto è una dolcezza al cuore,
ma è abominio per gli stolti staccarsi dal male.
20Va' con i saggi e saggio diventerai,
chi pratica gli stolti ne subirà danno.
21La sventura perseguita i peccatori,
il benessere ripagherà i giusti.
22L'uomo dabbene lascia eredi i nipoti,
la proprietà del peccatore è riservata al giusto.
23Il potente distrugge il podere dei poveri
e c'è chi è eliminato senza processo.
24Chi risparmia il bastone odia suo figlio,
chi lo ama è pronto a correggerlo.
25Il giusto mangia a sazietà,
ma il ventre degli empi soffre la fame.


Salmi 24

1'Di Davide. Salmo.'

Del Signore è la terra e quanto contiene,
l'universo e i suoi abitanti.
2È lui che l'ha fondata sui mari,
e sui fiumi l'ha stabilita.

3Chi salirà il monte del Signore,
chi starà nel suo luogo santo?
4Chi ha mani innocenti e cuore puro,
chi non pronunzia menzogna,
chi non giura a danno del suo prossimo.
5Otterrà benedizione dal Signore,
giustizia da Dio sua salvezza.
6Ecco la generazione che lo cerca,
che cerca il tuo volto, Dio di Giacobbe.

7Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
8Chi è questo re della gloria?
Il Signore forte e potente,
il Signore potente in battaglia.
9Sollevate, porte, i vostri frontali,
alzatevi, porte antiche,
ed entri il re della gloria.
10Chi è questo re della gloria?
Il Signore degli eserciti è il re della gloria.


Isaia 41

1Ascoltatemi in silenzio, isole,
e voi, nazioni, badate alla mia sfida!
Si accostino e parlino;
raduniamoci insieme in giudizio.
2Chi ha suscitato dall'oriente
colui che chiama la vittoria sui suoi passi?
Chi gli ha consegnato i popoli
e assoggettato i re?
La sua spada li riduce in polvere
e il suo arco come paglia dispersa dal vento.
3Li insegue e passa oltre, sicuro;
sfiora appena la strada con i piedi.
4Chi ha operato e realizzato questo,
chiamando le generazioni fin dal principio?
Io, il Signore, sono il primo
e io stesso sono con gli ultimi.
5Le isole vedono e ne hanno timore;
tremano le estremità della terra,
insieme si avvicinano e vengono.

8Ma tu, Israele mio servo,
tu Giacobbe, che ho scelto,
discendente di Abramo mio amico,
9sei tu che io ho preso dall'estremità della terra
e ho chiamato dalle regioni più lontane
e ti ho detto: "Mio servo tu sei
ti ho scelto, non ti ho rigettato".
10Non temere, perché io sono con te;
non smarrirti, perché io sono il tuo Dio.
Ti rendo forte e anche ti vengo in aiutoe ti sostengo con la destra vittoriosa.
11Ecco, saranno svergognati e confusi
quanti s'infuriavano contro di te;
saranno ridotti a nulla e periranno
gli uomini che si opponevano a te.
12Cercherai, ma non troverai,
coloro che litigavano con te;
saranno ridotti a nulla, a zero,
coloro che ti muovevano guerra.
13Poiché io sono il Signore tuo Dio
che ti tengo per la destra
e ti dico: "Non temere, io ti vengo in aiuto".
14Non temere, vermiciattolo di Giacobbe,
larva di Israele;
io vengo in tuo aiuto - oracolo del Signore-
tuo redentore è il Santo di Israele.
15Ecco, ti rendo come una trebbia acuminata, nuova,
munita di molte punte;
tu trebbierai i monti e li stritolerai,
ridurrai i colli in pula.
16Li vaglierai e il vento li porterà via,
il turbine li disperderà.
Tu, invece, gioirai nel Signore,
ti vanterai del Santo di Israele.
17I miseri e i poveri cercano acqua ma non ce n'è,
la loro lingua è riarsa per la sete;
io, il Signore, li ascolterò;
io, Dio di Israele, non li abbandonerò.
18Farò scaturire fiumi su brulle colline,
fontane in mezzo alle valli;
cambierò il deserto in un lago d'acqua,
la terra arida in sorgenti.
19Pianterò cedri nel deserto,
acacie, mirti e ulivi;
porrò nella steppa cipressi,
olmi insieme con abeti;
20perché vedano e sappiano,
considerino e comprendano a un tempo
che questo ha fatto la mano del Signore,
lo ha creato il Santo di Israele.

21Presentate la vostra causa, dice il Signore,
portate le vostre prove, dice il re di Giacobbe.
22Vengano avanti e ci annunzino
ciò che dovrà accadere.
Narrate quali furono le cose passate,
sicché noi possiamo riflettervi.
Oppure fateci udire le cose future,
così che possiamo sapere quello che verrà dopo.
23Annunziate quanto avverrà nel futuro
e noi riconosceremo che siete dèi.
Sì, fate il bene oppure il male
e lo sentiremo e lo vedremo insieme.
24Ecco, voi siete un nulla,
il vostro lavoro non vale niente,
è abominevole chi vi sceglie.
25Io ho suscitato uno dal settentrione ed è venuto,
dal luogo dove sorge il sole l'ho chiamato per nome;
egli calpesterà i potenti come creta,
come un vasaio schiaccia l'argilla.
26Chi lo ha predetto dal principio, perché noi lo sapessimo,
chi dall'antichità, così che dicessimo: "È vero"?
Nessuno lo ha predetto,
nessuno lo ha fatto sentire,
nessuno ha udito le vostre parole.
27Per primo io l'ho annunziato a Sion
e a Gerusalemme ho inviato un messaggero di cose liete.
28Guardai ma non c'era nessuno,
tra costoro nessuno era capace di consigliare;
nessuno da interrogare per averne una risposta.
29Ecco, tutti costoro sono niente;
nulla sono le opere loro, vento e vuoto i loro idoli.


Atti degli Apostoli 23

1Con lo sguardo fisso al sinedrio Paolo disse: "Fratelli, io ho agito fino ad oggi davanti a Dio in perfetta rettitudine di coscienza".2Ma il sommo sacerdote Ananìa ordinò ai suoi assistenti di percuoterlo sulla bocca.3Paolo allora gli disse: "Dio percuoterà te, muro imbiancato! Tu siedi a giudicarmi secondo la legge e contro la legge comandi di percuotermi?".4E i presenti dissero: "Osi insultare il sommo sacerdote di Dio?".5Rispose Paolo: "Non sapevo, fratelli, che è il sommo sacerdote; sta scritto infatti: 'Non insulterai il capo del tuo popolo'".
6Paolo sapeva che nel sinedrio una parte era di sadducei e una parte di farisei; disse a gran voce: "Fratelli, io sono un fariseo, figlio di farisei; io sono chiamato in giudizio a motivo della speranza nella risurrezione dei morti".7Appena egli ebbe detto ciò, scoppiò una disputa tra i farisei e i sadducei e l'assemblea si divise.8I sadducei infatti affermano che non c'è risurrezione, né angeli, né spiriti; i farisei invece professano tutte queste cose.9Ne nacque allora un grande clamore e alcuni scribi del partito dei farisei, alzatisi in piedi, protestavano dicendo: "Non troviamo nulla di male in quest'uomo. E se uno spirito o un angelo gli avesse parlato davvero?".10La disputa si accese a tal punto che il tribuno, temendo che Paolo venisse linciato da costoro, ordinò che scendesse la truppa a portarlo via di mezzo a loro e ricondurlo nella fortezza.11La notte seguente gli venne accanto il Signore e gli disse: "Coraggio! Come hai testimoniato per me a Gerusalemme, così è necessario che tu mi renda testimonianza anche a Roma".

12Fattosi giorno, i Giudei ordirono una congiura e fecero voto con giuramento esecratorio di non toccare né cibo né bevanda, sino a che non avessero ucciso Paolo.13Erano più di quaranta quelli che fecero questa congiura.14Si presentarono ai sommi sacerdoti e agli anziani e dissero: "Ci siamo obbligati con giuramento esecratorio di non assaggiare nulla sino a che non avremo ucciso Paolo.15Voi dunque ora, insieme al sinedrio, fate dire al tribuno che ve lo riporti, col pretesto di esaminare più attentamente il suo caso; noi intanto ci teniamo pronti a ucciderlo prima che arrivi".
16Ma il figlio della sorella di Paolo venne a sapere del complotto; si recò alla fortezza, entrò e ne informò Paolo.17Questi allora chiamò uno dei centurioni e gli disse: "Conduci questo giovane dal tribuno, perché ha qualche cosa da riferirgli".18Il centurione lo prese e lo condusse dal tribuno dicendo: "Il prigioniero Paolo mi ha fatto chiamare e mi ha detto di condurre da te questo giovanetto, perché ha da dirti qualche cosa".19Il tribuno lo prese per mano, lo condusse in disparte e gli chiese: "Che cosa è quello che hai da riferirmi?".20Rispose: "I Giudei si sono messi d'accordo per chiederti di condurre domani Paolo nel sinedrio, col pretesto di informarsi più accuratamente nei suoi riguardi.21Tu però non lasciarti convincere da loro, poiché più di quaranta dei loro uomini hanno ordito un complotto, facendo voto con giuramento esecratorio di non prendere cibo né bevanda finché non l'abbiano ucciso; e ora stanno pronti, aspettando che tu dia il tuo consenso".
22Il tribuno congedò il giovanetto con questa raccomandazione: "Non dire a nessuno che mi hai dato queste informazioni".

23Fece poi chiamare due dei centurioni e disse: "Preparate duecento soldati per andare a Cesarèa insieme con settanta cavalieri e duecento lancieri, tre ore dopo il tramonto.24Siano pronte anche delle cavalcature e fatevi montare Paolo, perché sia condotto sano e salvo dal governatore Felice".25Scrisse anche una lettera in questi termini:26"Claudio Lisia all'eccellentissimo governatore Felice, salute.27Quest'uomo è stato assalito dai Giudei e stava per essere ucciso da loro; ma sono intervenuto con i soldati e l'ho liberato, perché ho saputo che è cittadino romano.28Desideroso di conoscere il motivo per cui lo accusavano, lo condussi nel loro sinedrio.29Ho trovato che lo si accusava per questioni relative alla loro legge, ma che in realtà non c'erano a suo carico imputazioni meritevoli di morte o di prigionia.30Sono stato però informato di un complotto contro quest'uomo da parte loro, e così l'ho mandato da te, avvertendo gli accusatori di deporre davanti a te quello che hanno contro di lui. Sta' bene".
31Secondo gli ordini ricevuti, i soldati presero Paolo e lo condussero di notte ad Antipàtride.32Il mattino dopo, lasciato ai cavalieri il compito di proseguire con lui, se ne tornarono alla fortezza.33I cavalieri, giunti a Cesarèa, consegnarono la lettera al governatore e gli presentarono Paolo.34Dopo averla letta, domandò a Paolo di quale provincia fosse e, saputo che era della Cilicia, disse:35"Ti ascolterò quando saranno qui anche i tuoi accusatori". E diede ordine di custodirlo nel pretorio di Erode.


Capitolo IX: La mancanza di ogni conforto

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1. Non è difficile disprezzare il conforto umano, quando abbiamo quello che viene da Dio. Ma è cosa difficile assai saper sopportare la mancanza, sia del conforto umano sia del conforto divino, saper accettare volonterosamente di soffrire, per amore di Dio, la solitudine del cuore, e senza guardare i propri meriti. Che c'è di straordinario se sei pieno di santa gioia, quando scende su di te la grazia divina? E', questo, un momento che è nel desiderio di tutti. Galoppa leggero chi è sostenuto dalla grazia. Che c'è di strabiliante se non sente fatica colui che è sostenuto dall'Onnipotente ed è condotto dalla somma guida? Di buona voglia e prontamente accettiamo un po' d'aiuto; difficilmente uno se la cava da solo. Il santo martire Lorenzo seppe staccarsi da questo mondo, persino dall'amato suo sacerdote, giacché egli disprezzò ogni cosa che gli apparisse cara quaggiù. Egli giunse a sopportare con dolcezza che gli fosse tolto Sisto, sommo sacerdote di Dio, che egli amava sopra ogni cosa. Per amore del Creatore egli, dunque, superò l'amore verso un uomo; di fronte a un conforto umano preferì la volontà di Dio. Così impara anche tu ad abbandonare, per amore di Dio, qualche intimo e caro amico; e non sentire come cosa intollerabile se vieni abbandonato da un amico, ben sapendo che, alla fine, tutti dobbiamo separarci, l'uno dall'altro. Grande e lunga è la lotta che l'uomo deve fare dentro di sé, per riuscire a superare se stesso e a porre in Dio tutto il proprio cuore. Colui che pretende di bastare a se stesso va molto facilmente alla ricerca di consolazioni umane. Colui invece che ama veramente Cristo e segue volenterosamente la via della virtù non scende a tali consolazioni: egli non cerca le dolcezze esteriori , ma cerca piuttosto di sopportare grandi prove e dure fatiche per amore di Cristo.  

2. Quando, dunque, Dio ti dà una consolazione spirituale, accoglila con gratitudine. Ma comprendi bene che si tratta di un dono che ti viene da Dio, non di qualcosa che risponda a un tuo merito. Per tale dono non devi gonfiarti o esaltarti, né presumere vanamente di te; al contrario, per tale dono, devi farti più umile, più prudente e più timorato in tutte le tue azioni, giacché passerà quel momento e verrà poi la tentazione. Quando poi ti sarà tolta quella consolazione, non disperare subitamente, ma aspetta con umiltà e pazienza di essere visitato dall'alto: Dio può ridarti una consolazione più grande. Non è, questa, cosa nuova né strana, per coloro che conoscono la via di Dio; questo alterno ritmo si ebbe frequentemente nei grandi santi e negli antichi profeti. Ecco la ragione per la quale, mentre la grazia era presso di lui, quello esclamava: "Nella pienezza dissi: così starò in eterno" (Sal 29,7); poi, allontanatasi la grazia, avendo esperimentato la sua interiore condizione, aggiungeva: "togliesti, o Dio, da me la tua faccia e sono pieno di tristezza" (Sal 29,8). Tuttavia quegli frattanto non disperava, ma pregava Iddio più insistentemente, dicendo: "A te, Signore, innalzerò la mia voce, innalzerò la mia preghiera al mio Dio"(Sal 29,9). Ricavava alla fine il frutto della sua orazione, e proclamava di essere stato esaudito, con queste parole: "Il Signore mi udì ed ebbe misericordia di me; il Signore è venuto in mio soccorso" (Sal 29,11). Come? "Mutasti - disse - il mio pianto in gioia, e mi circondasti di letizia" (Sal 29,12). Poiché così avvenne per i grandi santi, noi deboli e poveri, non dobbiamo disperarci, se siamo ora ferventi, ora tiepidi; ché lo spirito viene e se ne parte, a suo piacimento. E' per questo che il santo Giobbe diceva: "Lo visiti alla prima luce, ma tosto lo metti alla prova" (Gb 7,18).

3. Su che cosa posso io fare affidamento, in chi posso io confidare? Soltanto nella grande misericordia divina e nella speranza della grazia celeste. Persone amanti del bene, che mi stiano vicine, devoti confratelli, amici fedeli, libri edificanti ed eccellenti trattati, dolcezza di canti e di inni: anche se avessi tutte queste cose, poco mi aiuterebbero e avrebbero per me ben poco sapore, quando io fossi abbandonato dalla grazia e lasciato nella mia miseria. Allora, il rimedio più efficace sta nel saper attendere con pazienza, sprofondandosi nella volontà di Dio. Non ho mai trovato un uomo che avesse devozione e pietà tanto grandi da non sentire talvolta venir meno la grazia o da non avvertire un affievolimento del suo fervore. Non ci fu mai un santo rapito così in alto e così illuminato, da non subire, prima o poi, la tentazione. Infatti, chi non è provato da qualche tribolazione non è degno di una profonda contemplazione di Dio. Ché la tentazione di oggi è segno di una divina consolazione di domani; la quale viene, appunto, promessa a coloro che sono stati provati dalla tentazione. A colui che avrà vinto, dice, "concederò di mangiare dell'albero della vita" (Ap 2,7). In effetti, la consolazione divina viene data affinché l'uomo sia più forte nel sostenere le avversità; poi viene la tentazione, affinché egli non si insuperbisca di quello stato di consolazione. Non dorme il diavolo, e la carne non è ancor morta. Perciò non devi smettere mai di prepararti alla lotta, perché da ogni parte ci sono nemici, che non si danno riposo.


La Genesi alla lettera: Libro terzo

La Genesi alla lettera - Sant'Agostino

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Creazione degli animali dall'acqua e dalla terra: relazione tra questi elementi.

1. 1. E Dio disse: Le acque produrranno rettili dotati di anime viventi e uccelli che volino lungo il firmamento del cielo al di sopra della terra. E ciò avvenne. Dio creò anche i grandi cetacei e tutti i rettili prodotti dalle acque secondo la loro specie e i volatili alati secondo la loro specie. E Dio vide che sono esseri buoni. Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque nel mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra. E venne sera e poi venne mattina: il quinto giorno 1. Vengono ora creati, nella parte inferiore del mondo, gli esseri che sono mossi dallo spirito vitale, e in primo luogo quelli che vivono nelle acque, l'elemento più vicino alla natura propria dell'aria, poiché l'aria è così vicina al cielo, ove sono i luminari, che ha ricevuto anch'essa il nome di "cielo"; ma non so se può chiamarsi anche "firmamento". Il termine "cielo" al plurale si usa per denotare la medesima identica realtà che viene denotata con il termine "cielo" al singolare. Sebbene, infatti, in questo libro il cielo, che divide le acque superiori da quelle inferiori, sia usato al singolare, tuttavia nel Salmo è detto: Le acque che sono al di sopra dei cieli, lodino il nome del Signore 2, e l'espressione "cielo dei cieli", se ben comprendiamo, denota la regione siderale superiore dei cieli inferiori. Questi cieli l'intendiamo così anche nel medesimo Salmo ove è detto: Lodatelo, cieli dei cieli 3. È ben evidente che l'aria della nostra atmosfera è chiamata dalla Scrittura non solo "cielo" ma anche "cieli"; allo stesso modo che noi diciamo anche "le terre" volendo indicare soltanto quella che chiamiamo "terra" al singolare quando diciamo "globo delle terre" e "globo della terra".

Difficoltà a proposito del diluvio.

2. 2. In una delle lettere chiamate canoniche leggiamo che anche i cieli dell'atmosfera andarono distrutti a causa del diluvio 4. Infatti l'elemento liquido, che era cresciuto tanto da superare di quindici cubiti le cime delle montagne più alte 5, non poté raggiungere gli astri. Ma poiché esso aveva riempito tutto o quasi tutto lo spazio di quest'atmosfera d'aria più umida in cui volano gli uccelli, quella lettera scrive che perirono quelli ch'erano stati i cieli. Io non so come si possa intendere ciò se non nel senso che quest'aria nello stato più denso fu trasformata in acqua, altrimenti questi cieli non sarebbero scomparsi allora ma sarebbero stati elevati più in alto quando l'acqua occupava il loro spazio. Attenendoci pertanto all'autorità di quella lettera noi preferiamo credere che quei cieli andarono distrutti e che altri cieli, come in essa sta scritto, furono messi al loro posto 6 dopo essersi naturalmente diffusi i vapori umidi, anziché credere che quei cieli furono spinti in alto in modo da occupare lo spazio ch'è proprio del cielo superiore.

Affinità di natura dell'acqua e dell'aria.

2. 3. In rapporto alla creazione degli esseri destinati ad abitare questa parte inferiore del mondo denotata spesso globalmente con il nome di terra, era conveniente che prima fossero prodotti gli animali tratti dalle acque e poi quelli tratti dalla terra; e ciò per il fatto che l'acqua è tanto simile all'aria che, secondo i dati dell'esperienza, si condensa a causa dei suoi vapori e produce il soffio delle tempeste, cioè il vento, e addensa le nubi e può sostenere il volo degli uccelli. È vero pertanto, come dice uno dei nostri poeti pagani, che l'Olimpo sorpassa le nubi e sulle sue vette regna la pace 7. Si dice infatti che sulla vetta dell'Olimpo l'aria sia tanto rarefatta che non è né offuscata da nubi né turbata dal vento né può sostenere il volo degli uccelli e che, se alcuni salgono per caso fin lassù, l'aria non è abbastanza densa per mantenerli in vita, come invece sono abituati [a vivere] nell'aria di quaggiù; ma ciononostante è anch'essa aria e perciò si mescola con le acque per la sua natura ch'è simile a quelle e pertanto si crede che anch'essa si mutasse nella sostanza liquida al tempo del diluvio. Poiché non è pensabile ch'essa occupasse una parte del cielo sidereo allorché l'acqua arrivò a sorpassare i monti più alti.

Mutua trasformazione degli elementi, secondo l'opinione di alcuni.

3. 4. Riguardo alla trasmutazione degli elementi esiste d'altronde una discussione non piccola anche tra coloro stessi che hanno esaminato questi fenomeni con gran diligenza senz'essere occupati in altre faccende. Alcuni infatti dicono che tutto può mutarsi e trasformarsi in tutto; altri al contrario affermano che ciascun elemento ha qualcosa di esclusivamente proprio, che non può in alcun modo trasformarsi nella natura d'un altro elemento. Di questo problema tratteremo forse a suo tempo, se piacerà al Signore; adesso invece, per quanto concerne l'argomento che stiamo trattando, ho creduto opportuno di farne solo un cenno per far capire che nella narrazione dei fatti è stato osservato un ordine secondo il quale era conveniente narrare la creazione degli animali acquatici prima di quelli terrestri.

I quattro elementi.

3. 5. Non si deve però pensare affatto che la Scrittura abbia omesso di parlare d'alcun elemento di questo mondo, che - come tutti ritengono per certo - risulta dei quattro elementi ben noti, per il fatto che in questo passo la Scrittura sembra ricordare solo il cielo, l'acqua e la terra, senza invece dire nulla dell'aria. Le nostre Scritture infatti sono solite chiamare il mondo con i termini di cielo e terra o aggiungere talvolta anche il mare. Si comprende quindi che l'aria fa parte del cielo, negli spazi perfettamente sereni e tranquilli dei suoi strati superiori, o fa parte della terra a causa di questa nostra zona soggetta alle tempeste e nuvolosa, la quale si condensa a causa dei suoi vapori umidi, sebbene anch'essa molto spesso sia denotata con il nome di "cielo". Ecco perché la Scrittura non dice: "Le acque producano rettili dotati d'anime viventi", e poi: "L'aria produca volatili che volino al di sopra della terra", ma narra che entrambe le specie di animali furono prodotte dalle acque. Tutta la massa delle acque, dunque, sia quella scorrente in forma di fluide onde, sia quella leggera e sospesa sotto forma di vapore - quella essendo destinata ai rettili dotati d'anime viventi, questa ai volatili - nell'uno e nell'altro stato è tuttavia considerata come sostanza liquida.

Relazione dei cinque sensi dell'uomo con i quattro elementi.

4. 6. Ci sono perciò anche degli scrittori che, in base a sottilissime considerazioni, distinguono [i caratteri essenziali dei] nostri cinque sensi, a tutti ben noti, in relazione ai quattro elementi comunemente conosciuti, dicendo che gli occhi hanno relazione con il fuoco, gli orecchi con l'aria. I sensi dell'odorato e del gusto li mettono in rapporto con l'elemento liquido; l'odorato in rapporto con l'esalazioni umide che rendono densa l'aria in cui volano gli uccelli; il gusto con le molecole fluide dei liquidi. Infatti tutto ciò che si gusta nella bocca si mescola proprio con la saliva della bocca perché abbia sapore anche se quando vi s'introduce sembra secco. Il fuoco tuttavia penetra ogni corpo per produrvi il movimento. D'altra parte un liquido si congela per mancanza di calore ma, laddove tutti gli altri elementi possono riscaldarsi, il fuoco non può raffreddarsi, perché più facilmente si spegne cessando d'essere fuoco anziché restar freddo o intepidirsi a contatto con qualche sostanza fredda. Quanto invece al tatto, il quinto dei sensi, esso ha maggiore attinenza con l'elemento terrestre; ciò spiega perché ogni sensazione tattile si estende a tutto il corpo animato risultante soprattutto di terra. [Quei filosofi] dicono inoltre che senza fuoco non si può veder nulla, e senza terra non si può toccar nulla, e perciò ogni elemento è presente in tutti gli altri, ma ciascuno ha ricevuto il nome dalla sua proprietà fisica predominante. Ecco perché quando il corpo si raffredda eccessivamente per mancanza di calore, il senso s'intorpidisce poiché diviene più tardo il moto inerente al corpo ed è prodotto dal calore, dal momento che il fuoco influisce sull'aria, l'aria sull'elemento liquido, questo su tutti gli elementi terrestri, per il fatto che gli elementi più sottili penetrano in quelli più densi.

4. 7. Ora, quanto più sottile è un elemento di natura materiale, tanto più si avvicina alla natura spirituale, sebbene sia di specie molto differente, dal momento che l'uno è materia e l'altro no.

La sensazione in rapporto ai quattro elementi.

5. 7. Per conseguenza, poiché il sentire non è una proprietà del corpo ma dell'anima per mezzo del corpo, per quanto si cerchi di dimostrare con acuti ragionamenti che i sensi del corpo sono distribuiti in relazione ai diversi elementi materiali, la facoltà di sentire è tuttavia nell'anima che però, non essendo materiale, esercita questa sua facoltà mediante un corpo più sottile. Essa quindi comincia il movimento riguardo a tutti i sensi servendosi della sottigliezza del fuoco ma non in tutti arriva al medesimo effetto. Nella vista infatti arriva fino alla luce del fuoco sopprimendone il calore; nell'udito, mediante il calore del fuoco, penetra fino all'aria più pura; nell'odorato invece attraversa l'aria pura e arriva fino all'esalazioni umide che rendono più densa l'aria dell'atmosfera che noi respiriamo; nel gusto oltrepassa l'esalazioni umide e arriva fino alle molecole umide più corpulente; dopo averle penetrate e attraversate, quando arriva alla densità pesante della terra, mette in moto il tatto, l'ultimo dei sensi.

L'aria in rapporto al cielo e all'acqua.

6. 8. Non ignorava dunque né la natura né la serie ordinata degli elementi colui che, mettendoci sotto gli occhi la creazione degli esseri visibili, che per la loro natura si muovono entro gli elementi di questo mondo, ricorda dapprima i luminari del cielo, poi gli animali acquatici e infine quelli terrestri. Non ha certo tralasciato di menzionare l'aria, ma se vi sono regioni d'aria, assolutamente priva di nubi e calma ove si dice che non possono volare gli uccelli, esse sono congiunte al cielo superiore e le Scritture chiamandole con il termine di "cielo" ci fanno capire che fanno parte della regione superiore del mondo; perciò con il termine "terra" s'intende in genere tutto il nostro mondo di quaggiù, partendo dal quale [il Salmista] procedendo dall'alto verso il basso dice: Lodate il Signore fuoco, grandine, neve, ghiaccio, venti di tempesta e tutti gli abissi 8 finché si giunge all'asciutto cioè alla terra propriamente detta. Pertanto l'aria dell'atmosfera superiore, sia perché - fa parte della zona celeste di questo mondo, sia perché non è abitata da nessun essere visibile di cui adesso parla il narratore, non è stata passata sotto silenzio per il fatto ch'egli la denota con il termine "cielo", ma non l'annovera tra gli elementi in cui saranno creati gli animali. L'aria dell'atmosfera inferiore, al contrario, che s'impregna delle evaporazioni umide del mare e della terra e in una certa misura si condensa affinché possa sostenere gli uccelli, non possiede se non animali nati dalle acque. Ciò che c'è d'umido sostiene il corpo degli uccelli che si servono delle ali nel volare, come i pesci si servono di pinne, simili ad ali nel nuotare.

Perché la Genesi dice che gli uccelli sono nati dalle acque.

7. 9. Ecco perché a ragion veduta lo Spirito di Dio, in quanto ispirava lo scrittore sacro, dice che gli uccelli nacquero dalle acque. Queste, benché siano di una stessa natura, ebbero in sorte due zone differenti, cioè una inferiore per le acque che sono labili, e una superiore per l'aria ove soffiano i venti: quella destinata agli animali che nuotano, questa agli animali che volano. Così pure vediamo che agli animali furono dati anche due sensi confacenti a questo elemento: l'odorato per fiutare i vapori, il gusto per assaggiare i liquidi. In realtà, che noi possiamo percepire le acque e i venti anche con il tatto si deve al fatto che la sostanza compatta dalla terra risulta un miscuglio di tutti gli elementi, ma viene percepita maggiormente negli elementi più densi in modo che, toccandoli, si possono anche palpare. Ecco perché, a proposito delle due parti più grandi del mondo, anche l'aria umida e l'acqua vengono riunite sotto il nome comprensivo di "terra", come è mostrato dal Salmo quando enumera tutte le realtà esistenti nelle regioni superiori dicendo al principio: Lodate il Signore dall'alto dei cieli 9, e tutte le altre realtà inferiori, dicendo al principio della seconda parte: Lodate il Signore dalla terra 10, ove sono nominati anche i venti delle bufere e tutti gli abissi e anche il fuoco di quaggiù che brucia chi lo tocca, poiché nasce dai moti dell'elemento terrestre e di quello liquido per trasformarsi poi a sua volta nell'altro elemento. Sebbene, inoltre, con il salire in alto il fuoco mostri la sua tendenza naturale, non potrebbe tuttavia salire fino alla regione serena del cielo superiore perché, essendo sopraffatto dalla gran massa d'aria e trasformandosi in essa, si spegnerebbe. Per conseguenza in questa regione del creato più corruttibile e più pesante è agitato da moti burrascosi adatti a temperare il freddo della terra per essere utile ai mortali e incutere ad essi terrore.

Perché la Genesi chiama gli uccelli: volatili del cielo.

7. 10. Poiché dunque il flusso delle onde e il soffio dei venti possono percepirsi anche per mezzo del tatto, la cui caratteristica è d'essere legato strettamente alla terra, per conseguenza anche gli stessi animali acquatici non solo si nutrono di alimenti terrestri, ma anche, specialmente gli uccelli, si riposano e si riproducono sulla terra; in effetti una parte dell'umidità che esala in vapori si estende anche al di sopra della terra. Ecco perché la Scrittura, dopo aver detto: Le acque producano rettili dotati d'anima vivente e i volatili che volano al di sopra della terra, aggiunge esplicitamente: lungo il firmamento 11, inciso dal quale può apparire più chiaro quanto prima pareva oscuro. In realtà non dice: "Nel firmamento del cielo", come aveva detto dei luminari, ma dice: I volatili che volano al di sopra della terra lungo il firmamento del cielo, cioè: "presso il firmamento, poiché questa nostra regione caliginosa e umida in cui volano gli uccelli è naturalmente contigua alla regione ove non possono volare e, in virtù della sua calma e serenità, fa già parte del firmamento del cielo. Gli uccelli dunque volano sì nel cielo ma in questo che il Salmo denota globalmente con il nome di "terra". Proprio in relazione a quel cielo in molti passi della Scrittura gli uccelli vengono chiamati "creature volanti del cielo", non tuttavia "nel firmamento", ma "lungo il firmamento".

Perché i pesci sono chiamati: rettili d'animali viventi. Prima opinione.

8. 11. Alcuni pensano che i pesci sono stati chiamati non "esseri viventi dotati di anima", ma rettili d'esseri viventi dotati di anima, per il fatto che i loro sensi sono rudimentali. Ma se fossero stati chiamati così per questo motivo, agli uccelli sarebbe stato dato il nome di "esseri viventi dotati di anima". Allo stesso modo che quelli sono stati chiamati "rettili", rimanendo sottinteso "di esseri viventi dotati di anima"; si deve quindi ammettere, a mio giudizio, che la Scrittura s'è espressa così, come se si fosse detto: "I rettili e i volatili che sono tra gli esseri animati viventi", allo stesso modo che si potrebbe dire: "i plebei tra gli uomini" per indicare tutti gl'individui che tra gli uomini sono plebei. Sebbene infatti vi siano anche degli animali terrestri che strisciano sulla terra, tuttavia sono molto più numerosi quelli che si muovono con i loro piedi, e quelli che strisciano sulla terra sono forse tanto pochi quanto quelli che si muovono nelle acque.

Seconda opinione.

8. 12. Alcuni pensatori invece credono che i pesci sono stati chiamati non "anime viventi" ma rettili d'anime viventi perché sono affatto privi di memoria e d'una esperienza che rassomigli in qualche modo alla ragione. Costoro però s'ingannano perché manca loro una sufficiente esperienza dei fatti. Quanto dico è provato dal fatto che alcuni hanno lasciato scritte molte meravigliose osservazioni che poterono fare nei vivai dei pesci. Ma anche se per caso hanno scritto delle cose prive di fondamento, è tuttavia certissimo che i pesci hanno memoria. Ciò l'ho constatato io stesso e potrebbero constatarlo anche quanti ne hanno la possibilità e la volontà. C'è infatti una grande sorgente nelle parti di Bulla Regia rigurgitante di pesci. La gente, che li guarda dall'alto, è solita gettar loro qualche briciola: i pesci accorrono in frotta per afferrarla per primi o lottano tra di loro per strapparsela. Abituati a un tal pasto, mentre la gente cammina al margine della sorgente, anch'essi nuotando in frotta, vanno e vengono, con la gente, in attesa che coloro, dei quali avvertono la presenza, gettino loro qualche boccone. Non mi pare dunque che gli animali acquatici siano stati chiamati "rettili" senza ragione, come sono stati chiamati "volatili" gli uccelli; la ragione è la seguente: nell'ipotesi che ai pesci non fosse stato dato il nome di "anime viventi" perché sono affatto privi di memoria o perché hanno una conoscenza sensibile piuttosto tarda, questo nome sarebbe stato dato almeno agli uccelli che vivono sotto i nostri occhi e non solo sono dotati di memoria e sono garruli, ma sono anche abilissimi a costruirsi i nidi e ad allevare i loro piccoli.

Ripartizione degli animali secondo gli elementi.

9. 13. Non ignoro, inoltre, che alcuni filosofi hanno distribuito gli esseri viventi secondo l'elemento proprio di ciascuna loro famiglia, affermando che sarebbero terrestri non solo gli animali che strisciano e camminano sulla terra, ma anche gli uccelli, per il fatto che anch'essi vi si posano quando si sono stancati nel volare; gli esseri viventi dell'aria invece sarebbero i demoni, e quelli del cielo gli dèi; noi tuttavia chiamiamo una parte di essi luminari, un'altra parte angeli. I medesimi, tuttavia, attribuiscono alle acque i pesci e gli altri mostri marini, sicché nessun elemento è privo dei propri esseri viventi, come se sotto le acque non ci fosse che terra o come se potessero provare che i pesci non vi si riposino e non vi ristorino le loro forze per nuotare, allo stesso modo che gli uccelli ristorano le forze per volare. Sennonchè i pesci forse vi si riposano più raramente perché l'acqua è più resistente dell'aria per portare i corpi, tanto da sostenere anche gli animali terrestri quando nuotano, sia che abbiano imparato a farlo con l'esercizio come gli uomini, sia che l'abbiano imparato per istinto naturale come i quadrupedi e i serpenti. Oppure, se non credono che i pesci siano animali terrestri perché non hanno le zampe, neppure i vitelli marini e le foche sono animali acquatici, né sono animali terrestri i serpenti e le chiocciole poiché quelli hanno zampe e questi altri, privi di zampe, non dico che riposano sulla terra ma che appena o mai s'allontanano da essa. Quanto poi ai draghi si dice che sono privi di zampe e si sollevano nell'aria; benché siano difficilmente conosciuti, non tacciono di questa specie d'animali non solo le nostre sacre Scritture ma nemmeno gli scritti dei pagani.

Il "luogo" dei demoni.

10. 14. Per questo motivo, anche se i demoni sono esseri viventi dell'aria, poiché sono dotati di corpi di natura aerea, e perciò non finiscono nella dissoluzione causata dalla morte per il fatto che prevale in essi un elemento più adatto ad essere attivo che ad essere passivo, superiore agli altri due elementi, cioè all'acqua e alla terra, ma inferiore all'altro ch'è il fuoco sidereo - infatti due elementi, cioè l'acqua e la terra, sono classificati tra quelli soggetti a essere passivi; gli altri due invece, e cioè l'aria e il fuoco, hanno la proprietà d'essere attivi -; se dunque essi sono di natura aerea, questo carattere distintivo non è affatto in contraddizione con la nostra Scrittura, la quale c'insegna che i volatili sono stati prodotti a partire non dall'aria ma dall'acqua. Il ruolo assegnato ai volatili è costituito in effetti da evaporazioni diffuse nell'aria, poco dense - è vero - ma tuttavia prodotte dall'acqua. L'aria inoltre si estende dalla linea di confine del cielo pieno di luce fino alle acque fluide e alle terre nude; tuttavia i vapori umidi non offuscano tutto lo spazio occupato dall'aria ma fino alla linea di confine ove comincia già quella che il Salmo chiama "terra", là ove dice: Lodate il Signore dalla terra 12. La parte superiore dell'aria, al contrario, a causa della sua assoluta tranquillità, è unita, con una pace abituale, al cielo con il quale essa confina e di cui condivide lo stesso nome. Se in questa parte superiore dell'aria prima della loro ribellione v'erano gli angeli prevaricatori insieme con il loro capo, adesso diavolo, allora angelo - alcuni scrittori cristiani infatti pensano ch'essi non erano angeli dei cieli o dei cieli più sublimi - non c'è da stupirsi che dopo il loro peccato furono cacciati giù in questa regione inferiore caliginosa ove tuttavia non solo c'è l'aria ma essa è anche impregnata di vapori leggeri: se è agitata con più violenza produce anche fulmini con lampi e tuoni, se è condensata produce le nubi, se compressa produce la pioggia, quando le nubi si congelano produce la neve; quando poi le nubi più dense si congelano con un movimento più turbinoso produce la grandine; quando si è rarefatta produce il sereno. Tutto ciò avviene per effetto dell'occulta volontà e dell'azione di Dio che governa tutte le sue creature, dalle più eccelse alle infime. Ecco perché nel Salmo succitato, dopo aver enumerato il fuoco, la grandine, la neve, il ghiaccio, il vento delle bufere 13, perché non si pensasse che quei fenomeni avvengano o siano eccitati senza l'intervento della divina provvidenza, il Salmista soggiunge immediatamente: che ubbidite al suono della sua parola 14.

Il corpo aereo dei demoni.

10. 15. Se gli angeli ribelli prima della loro ribellione avevano un corpo celeste, non c'è nemmeno da stupire che esso per castigo si sia mutato in un corpo aereo in modo da poter provare qualche tormento da parte del fuoco, d'un elemento cioè di natura superiore, per sua natura, a quella dell'aria; ma non è stato loro nemmeno permesso di abitare nelle regioni più alte e più serene dell'atmosfera ma in queste caliginose di quaggiù che, in rapporto alla loro natura, sono per essi come una specie di prigione fino al giorno del giudizio. Se però occorre fare indagini più accurate su questi angeli ribelli, si faranno più opportunamente se ci si presenterà qualche altro passo della Scrittura. Per ora quindi ci basterà dire: se queste regioni burrascose e tempestose, per la natura dell'atmosfera che si estende fino alle acque e alle terre, possono sostenere corpi aerei, possono sostenere anche il corpo degli uccelli, prodotti a partire dalle acque, grazie ai leggeri vapori che esalano dalle acque; questi vapori, cioè, esalando penetrano nell'aria medesima che circola presso le acque e le terre ed è perciò assegnata alla parte più bassa e terrestre del mondo e con l'aria forma il complesso dell'atmosfera. Le suddette esalazioni rese pesanti dal freddo della notte si depositano anche in gocce sotto forma di rugiada quando è sereno e, se il freddo è più acuto, sotto forma di brina biancheggiante.

Gli animali terrestri.

11. 16. E Dio disse: La terra faccia uscire esseri viventi secondo la loro specie: quadrupedi e rettili e fiere terrestri secondo la loro specie, animali domestici secondo la loro specie. E così avvenne. E Dio fece le fiere terrestri secondo la loro specie, gli animali domestici secondo la loro specie e tutti i rettili della terra secondo la loro specie. E Dio vide che sono cose buone 15. Era logico che ormai Dio dotasse di esseri viventi appropriati la seconda parte più bassa nel mondo, cioè la terra propriamente detta, sebbene in altri passi la Scrittura denoti globalmente con il termine "terra" tutta la regione più bassa con tutti gli abissi e l'atmosfera in cui si formano le nubi. Sono d'altronde ben note le specie degli animali fatte uscire dalla terra in virtù della parola di Dio. Ma poiché sovente sotto il nome di "animali domestici" o di "fiere" si è soliti intendere tutti gli animali privi di ragione, possiamo chiederci giustamente quali sono qui chiamate "fiere" e quali "animali domestici" in senso proprio. Non c'è dubbio che per animali striscianti e rettili della terra la Scrittura vuole intendere ogni specie di serpenti, sebbene possano chiamarsi anche fiere ma nel linguaggio comune non si adatta ai serpenti il nome di animali domestici. Per contro, ai leoni, ai leopardi, alle tigri, ai lupi, alle volpi, perfino ai cani e alle scimmie e a tutti gli altri animali dello stesso genere si adatta secondo l'uso comune della lingua il nome di "fiere". Il nome di "animali domestici", invece, siamo soliti applicarlo in senso più appropriato agli animali che sono al servizio degli uomini sia per aiutarli nei lavori, come i buoi, i cavalli e gli altri animali di tal genere, sia per dare la lana e il nutrimento, come le pecore e i maiali.

I quadrupedi.

11. 17. Che cosa sono dunque i quadrupedi? Poiché, sebbene tutti questi animali camminino su quattro zampe, eccettuati alcuni che strisciano, tuttavia, qualora [l'agiografo] non avesse voluto denotare con questo termine alcune specie determinate di animali, quantunque non ne parli più nel ripetere l'elenco. Sono forse chiamati quadrupedi in senso proprio i cervi, i caprioli, gli asini selvatici e i cinghiali - non possono infatti annoverarsi nella categoria delle belve in cui sono annoverati i leoni e, sebbene simili agli animali domestici, non sono tuttavia come quelli oggetto delle cure dell'uomo - come se questi animali fossero i rimanenti ai quali sarebbe data quella denominazione che in genere denota molti animali - è vero - a causa d'un certo numero di zampe, ma che ha tuttavia un significato speciale? Oppure, dato che ripete tre volte: secondo la loro specie 16, c'invita forse a considerare tre specie d'animali? Dapprima i quadrupedi e i rettili secondo la loro specie: [l'agiografo] indicherebbe, a mio avviso, quelli da essa chiamati quadrupedi, quelli cioè annoverati nella classe dei rettili come le lucertole, le tarantole e altri dello stesso genere. Ecco perché nel ripetere l'enumerazione non ripete una seconda volta il termine "quadrupedi" poiché, probabilmente, li comprende sotto il nome di "rettili" e perciò nel ripetere l'enumerazione non dice semplicemente "i rettili", ma dice: tutti i rettili della terra 17, ove aggiunge della terra perché vi sono anche i rettili delle acque e aggiunge: tutti poiché vi sono anche quelli che camminano su quattro zampe e che prima erano stati indicati col nome di "quadrupedi". Le fiere, invece, di cui [l'agiografo] dice ugualmente: secondo la loro specie, comprenderebbero, a eccezione dei serpenti, tutti gli animali che aggrediscono con i denti o con gli artigli. Al contrario gli animali di cui per la terza volta [lo scrittore sacro] dice: secondo la loro specie, sarebbero quelli che non feriscono né con i denti né con gli artigli o con le corna o neppure con queste. Ho già detto più sopra infatti che il termine "quadrupedi" è molto generico e si applica facilmente a tutti gli animali riconoscibili dalle quattro zampe e ho detto anche che sotto il nome di animali domestici e di fiere sono compresi talora tutti gli animali privi di ragione. Ma anche il termine fera ("belva, bestia selvatica") ha spesso in latino il medesimo significato. Io non dovevo tuttavia trascurare di esaminare come questi termini, che non senza motivo sono usati in questo passo delle Scritture, possono essere destinati a indicare anche un senso preciso e speciale che si può riconoscere facilmente nel linguaggio comune d'ogni giorno.

La formula: secondo la loro specie e le ragioni eterne.

12. 18. Anche il lettore non senza motivo resta imbarazzato nel risolvere il quesito se [lo scrittore sacro], senza un'intenzione particolare e, diciamo così, per caso o per una ragione speciale, usi la formula: secondo la loro specie, come se le specie esistessero anche prima degli esseri di cui è narrata la creazione la prima volta. O si deve forse pensare che quelle specie esistevano nelle regioni superiori ossia spirituali, conformi alle quali sono creati gli esseri di quaggiù? Ma se la cosa stesse in questi termini, la stessa formula sarebbe stata usata a proposito della luce, del cielo, delle acque e delle terre e dei luminari del cielo. Qual è infatti, tra quelli suddetti, l'essere la cui eterna e immutabile ragione di esistere non risieda con la sua potenzialità nella stessa Sapienza di Dio, la quale si estende da un confine all'altro con forza e governa tutto con bontà 18? Ora, [l'agiografo] usa questa formula per la prima volta quando parla delle erbe e degli alberi fino a quando narra la creazione degli animali terrestri. D'altra parte, benché la formula non ricorra nella prima menzione degli animali che Dio creò traendoli dalle acque, tuttavia nella ripetizione della frase si trova detto: E Dio fece i grandi mostri marini e ogni essere vivente degli animali che strisciano, fatti uscire dalle acque secondo la loro specie e tutti i volatili pennuti secondo la loro specie 19.

Altre spiegazioni possibili.

12. 19. Forse per il fatto che questi esseri furono creati perché da essi ne nascessero altri e nella successione conservassero la stessa natura originaria, [l'agiografo] usa la formula: secondo la loro specie per indicare la propagazione della stirpe grazie alla quale erano destinati a perdurare com'erano stati creati? Ma per qual motivo, a proposito degli alberi e delle erbe non solo è usata l'espressione: secondo la loro specie, ma anche quest'altra: a loro somiglianza, sebbene anche gli animali, tanto acquatici che terrestri, generino i discendenti a loro somiglianza? O forse perché la somiglianza è una conseguenza di una data specie, [lo scrittore sacro] non ha voluto ripetere la seconda formula? In realtà non sempre ha ripetuto neanche il termine "seme", pur essendo insìto non solo nelle erbe e negli alberi ma anche negli animali, anche se non in tutti; poiché è stato osservato che alcuni animali nascono dalle acque o dalla terra senza avere alcun sesso e perciò il loro seme non è insito in essi ma negli elementi da cui nascono. La formula: secondo la loro specie è dunque da intendersi solo riguardo agli animali che hanno sia il potere del seme per riprodursi sia la somiglianza di quelli che succedono a quelli che scompaiono, poiché nessuno di essi è stato creato in modo da esistere una volta per sempre, tanto se destinato a perdurare quanto se destinato a sparire senza alcuna discendenza.

Perché quella formula non è usata per l'uomo.

12. 20. E allora per qual motivo anche dell'uomo non è detto: "Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza secondo la propria specie", essendo evidente che anche l'uomo si riproduce? Forse perché Dio aveva creato l'uomo in modo che non dovesse morire, qualora avesse voluto osservare il precetto e perciò non era necessario chi succedesse a lui una volta scomparso? Ma dopo il peccato l'uomo fu paragonato e divenne simile agli animali privi di ragione 20, di modo che ormai i figli di quel mondo generano e sono generati affinché la specie dei mortali possa sussistere col mantenere la discendenza. Che significa, dunque, la benedizione pronunciata dopo la creazione dell'uomo [nei seguenti termini]: Crescete e moltiplicatevi, riempite la terra, dato che ciò poteva avvenire [solo] con la generazione? Dobbiamo forse astenerci dall'avventare alcune ipotesi in proposito finché non arriveremo a quel passo della Scrittura ove tale problema dev'essere esaminato e spiegato con maggior attenzione? Per adesso infatti potrebbe forse essere sufficiente pensare che a proposito dell'uomo sarebbe stata omessa l'espressione: secondo la sua specie, per il fatto ch'egli fu creato da solo, mentre da lui fu tratta anche la donna quando fu creata. In realtà non vi sono molte specie di uomini come invece ve ne sono d'erbe, di alberi, di pesci, di volatili, di serpenti, d'animali domestici, di belve. Per conseguenza l'espressione: secondo la loro specie la dovremmo intendere nel senso di: "per via della riproduzione" per distinguere dalle altre creature gl'individui simili tra loro e che derivano da un unico germe originale.

Perché la benedizione fu da Dio impartita, oltre all'uomo, ai soli animali acquatici.

13. 21. Viene posto anche quest'altro quesito: per qual motivo gli animali prodotti dalle acque meritarono un sì grande onore di ricevere, da parte del Creatore, soltanto essi la benedizione come gli uomini? Dio infatti benedisse anch'essi dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite le acque del mare, e i volatili si moltiplichino sulla terra 21. Secondo questa ipotesi la benedizione avrebbe dovuto essere pronunciata per la prima creatura capace di riprodursi, vale a dire per l'erba e per l'albero. O forse il Creatore pensò che la benedizione espressa con le parole: Crescete e moltiplicatevi fosse fuor di proposito se rivolta a creature in cui non esiste alcun desiderio di propagare la prole e generano senza alcuna coscienza, mentre, per gli animali che hanno siffatto desiderio, il Creatore avrebbe pronunciato per la prima volta la detta benedizione in modo che, senz'essere ripetuta, la s'intendesse valida anche per gli animali terrestri? Sarebbe invece stato necessario ch'essa fosse ripetuta per l'uomo affinché non si dicesse che nella funzione di generare i figli c'è qualche peccato come invece è non solo nella passione carnale della fornicazione ma anche nell'uso smodato dello stesso matrimonio.

I problemi relativi agli insetti.

14. 22. C'è ancora un altro problema riguardante certi animali piccolissimi, se cioè furono creati al principio della corruzione o derivarono in seguito dalla corruzione degli esseri mortali. La maggior parte d'essi infatti nasce o da alterazioni patologiche dei corpi viventi o dai loro escrementi o dalle loro esalazioni oppure dai cadaveri putrefatti, alcuni altri nascono anche dalle parti marcite della legna e delle erbe, alcune dal marciume dei frutti. A proposito di tutti questi animaletti non abbiamo tuttavia il diritto di dire che non ne sia creatore Dio, poiché tutti hanno una sorta di bellezza naturale propria della loro specie, una bellezza tale da suscitare una meraviglia maggiore in chi li considera attentamente e da far lodare di più l'Artefice onnipotente che tutto ha fatto mediante la Sapienza 22 la quale, estendendosi da un confine all'altro e governando tutto con bontà 23, non lascia allo stato informe neppure gl'infimi esseri della natura, che si corrompono conforme al grado della loro specie - la cui dissoluzione c'inorridisce a causa del castigo che ci ha resi mortali -, crea però animali dal corpo piccolissimo ma dai sensi acuti sicché, se li osservassimo con maggiore attenzione, dovremmo stupirci più dell'agilità d'una mosca che vola anziché della potenza d'un giumento che cammina e dovremmo ammirare di più le opere delle formiche che non i carichi pesanti portati dai cammelli.

La creazione degli insetti e il problema della generazione spontanea.

14. 23. Ma veniamo al problema già accennato, se cioè dobbiamo pensare che questi esseri piccolissimi furono creati anch'essi nella prima creazione delle cose, o come conseguenza della decomposizione dei corpi corruttibili. Si può tuttavia dire che gli esseri piccolissimi, che traggono origine dall'acqua e dalla terra, furono fatti nella creazione primitiva. Tra essi non è illogico annoverare altresì quelli che nascono dalle piante, prodotte dalla forza generatrice della terra, sia perché queste creature avevano preceduto la creazione non solo degli animali ma anche dei luminari, sia perché mediante la stretta connessione delle radici sono collegate alla terra, dalla quale spuntarono il giorno in cui apparve la terra asciutta. Dovremmo per conseguenza pensare che questi animali minutissimi sono un'integrazione della terra abitabile piuttosto che appartenenti al numero degli abitanti. Quanto invece a tutti gli altri esseri che nascono dal corpo degli animali e soprattutto dai cadaveri è del tutto irragionevole affermare che furono creati contemporaneamente ai medesimi animali se non nel senso che in tutti i corpi animati erano insiti una certa potenza naturale e i germi, diciamo così, seminati in antecedenza e in certo qual modo abbozzati degli animali futuri destinati a nascere - ciascuno conforme alla propria specie e alle proprie caratteristiche - dalla corruzione di quei corpi grazie all'ineffabile governo del Creatore che tutto muove senza subire mutamenti.

Perché furono creati gli animali nocivi.

15. 24. Anche a proposito delle specie degli animali velenosi e nocivi si suol porre il quesito se furono creati dopo il peccato dell'uomo allo scopo di punirlo o se invece, creati dapprima innocenti, solo in seguito cominciarono a esser nocivi per i peccatori. Ma neppure ciò deve sorprenderci, dal momento che nel corso di questa vita, piena d'affanni e d'afflizioni, nessuno è talmente virtuoso da osare di dirsi perfetto, come attesta sinceramente l'Apostolo che dice: Non ch'io abbia conquistato il premio o sia già arrivato alla perfezione 24. Inoltre tentazioni e molestie corporali sono ancora necessarie per esercitare e perfezionare la virtù nella debolezza, come dichiara ancora il medesimo Apostolo, il quale dice che, affinché non montasse in superbia per le grandi rivelazioni, gli fu messa una spina nella carne, un angelo di Satana perché lo schiaffeggiasse e, pur avendo pregato per tre volte il Signore d'allontanarlo da lui, ebbe la seguente risposta: Ti basta la mia grazia, perché la mia potenza si manifesta appieno nella debolezza 25; ciononostante anche il servo di Dio, Daniele, visse senza paura e incolume in mezzo ai leoni 26; eppure egli nella preghiera innalzata a Dio, confessa schiettamente non solo i peccati del suo popolo, ma anche i suoi personali 27; e così pure una vipera morse lo stesso Apostolo senza però fargli alcun male 28. Questi animali, dunque, anche se creati all'origine del mondo, sarebbero potuti essere innocui, se non vi fosse stato alcun motivo di far temere e punire i vizi o di mettere alla prova e portare a perfezione la virtù, poiché è necessario mostrare esempi di pazienza per il progresso spirituale degli altri; l'uomo inoltre nelle prove acquista una migliore conoscenza di se stesso; è infine giusto che la salvezza eterna, perduta vergognosamente a causa del piacere, venga recuperata coraggiosamente mediante il dolore.

Perché furono create le bestie che si danneggiano a vicenda.

16. 25. Qualcuno però obietterà: "Per qual motivo dunque le bestie si danneggiano a vicenda, dato ch'esse non hanno alcun peccato perché possa parlarsi d'un castigo, né acquistano alcuna virtù con l'esercizio di tale attività?". Evidentemente il motivo è che le une sono cibo delle altre e perciò avremmo torto a dire: "Non ci dovrebbero essere bestie che fossero cibo delle altre". Tutte le creature infatti, fintanto che esistono, hanno le loro misure, i loro ritmi di sviluppo, le loro leggi: tutte cose queste che, se considerate come si deve, meritano lode, e le loro trasformazioni, anche quando si tratta d'un passaggio da un bene a un altro, obbediscono all'economia specifica ma occulta della bellezza del divenire. Se queste leggi sfuggono agli stolti, appaiono invece in una luce fioca ai progredienti ma in piena luce ai perfetti. Tutte queste attività delle creature inferiori offrono all'uomo salutari ammaestramenti: gli fan capire quanto deve impegnarsi per arrivare alla salvezza eterna dell'anima, grazie alla quale egli è superiore a tutti gli animali irragionevoli, al vedere che tutte le bestie, dai più grossi elefanti ai più piccoli vermiciattoli, fanno tutto ciò di cui sono capaci sia lottando sia mettendosi in guardia per conservare l'esistenza fisica e temporale data loro in sorte dalla posizione inferiore nella graduatoria conforme alla loro specie. Questo non appare se non quando alcuni animali, cercano il ristoro per il loro corpo nel corpo degli altri, resistendo altri con tutte le forze o ricorrendo alla fuga o mettendosi al riparo nei nascondigli. In verità anche lo stesso dolore fisico in ogni essere animato è una grande e meravigliosa potenza dell'anima in quanto mantiene in vita la compagine corporea in virtù della sua misteriosa fusione e la riduce a una certa unità conforme alla propria natura, poiché soffre non con indifferenza ma, per così dire, con indignazione che tale unità venga alterata e dissolta.

Perché gli animali dilaniano i cadaveri per cibarsene.

17. 26. Uno forse potrebbe fare anche un'altra obiezione, e cioè: ammettiamo pure che gli animali nocivi facciano del male alle persone viventi per castigarle o le esercitino ai fini della loro salvezza o le mettano alla prova per loro vantaggio o le istruiscano a loro insaputa; ma per quale motivo dilaniano perfino i cadaveri umani per cibarsene? Come se importasse alcunché alla nostra utilità sapere per quali vie la nostra carne esanime vada nelle segrete profondità della natura dalle quali dovrà poi essere tirata fuori per essere formata di nuovo dalla mirabile potenza del Creatore! Anche da questo fatto, peraltro, si può trarre un ammonimento per i saggi: quello cioè d'affidarsi alla fedeltà del Creatore, il quale con ordini misteriosi governa gli esseri tutti, dai più piccoli ai più grandi, e conosce perfino il numero dei capelli della nostra testa 29, e ciò affinché non abbiano orrore d'alcun genere di morte a causa di vane preoccupazioni per i propri cadaveri, ma non siano esitanti a preparare il vigore della fortezza prodotta dalla fede per affrontare qualsiasi evenienza.

Perché e quando furono creati i rovi e le spine.

18. 27. Una simile questione suole sorgere anche a proposito delle spine e dei rovi oltre che di certi alberi non fruttiferi e cioè per qual motivo e quando sono stati creati, dal momento che Dio disse: La terra produca l'erba commestibile avente in sé il seme e alberi fruttiferi che producano frutti 30. Ma coloro che si lasciano impressionare da questa obiezione non comprendono nemmeno quale senso ha il termine "usufrutto" nelle comuni formule del diritto umano. Con il termine "frutto", s'intende infatti qualsiasi utilità derivante a chi usa qualcosa. Orbene dei numerosi vantaggi, sia palesi che occulti, di tutto ciò che la terra produce e nutre mediante le radici, alcuni possono vederli da se stessi, mentre riguardo agli altri si possono informare da coloro che li conoscono.

Una risposta più esauriente sui rovi.

18. 28. Quanto alle spine e ai rovi si può dare una risposta ancor più esauriente, poiché dopo il peccato, a proposito della terra, fu detto all'uomo: Spine e rovi produrrà per te 31. Non si deve tuttavia affermare senz'altro che la terra cominciò a produrli solo allora. Infatti, poiché anche tra le varie specie di semi si trovano molte utilità, forse potevano aver il loro posto nella natura senza costituire alcun castigo per l'uomo. Ma quanto al fatto che le spine nascessero anche nei campi in cui ormai l'uomo era condannato a lavorare, si può pensare che ciò fosse un aggravio del suo castigo, poiché sarebbero potute nascere in altri luoghi sia per nutrimento degli uccelli e del bestiame, sia per altri bisogni degli stessi uomini. C'è pertanto un'altra interpretazione che non è incompatibile con queste parole: produrrà per te spine e rovi, se le prendiamo nel senso che la terra avrebbe prodotto spine anche prima del peccato per procurare non già afflizione all'uomo ma un nutrimento adatto ad ogni sorta d'animali: ce ne sono infatti alcuni che si cibano di questa specie di piante, siano esse tenere o secche, come d'un nutrimento adatto e gradito. Il suolo al contrario avrebbe cominciato a produrre queste spine per procurare una fatica penosa all'uomo quando, dopo il peccato, cominciò a lavorare la terra. Non già che le spine in precedenza nascessero in altri luoghi e dopo il peccato nei campi coltivati dall'uomo per raccoglierne le messi, ma sia prima che dopo nascevano nei medesimi luoghi; tuttavia non nascevano per l'uomo in precedenza, ma in seguito, essendo ciò indicato dall'inciso aggiunto alla frase, poiché la Scrittura non dice solo: spine e rovi produrrà, ma: produrrà per te, vale a dire: "queste spine cominceranno a nascere per te al fine di procurarti fatica, mentre prima nascevano solo per essere il nutrimento di altri animali".

Perché solo quando creò l'uomo Dio disse: Facciamo...

19. 29. E Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio creò l'uomo, lo creò a immagine di Dio, maschio e femmina li creò. E Dio li benedisse dicendo: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra e assoggettatela e dominate sui pesci del mare e su gli uccelli del cielo, su tutto il bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla terra. E Dio disse: Ecco, io vi ho dato ogni erba commestibile che produce seme che si trova su tutta la terra, e ogni albero che ha in sé frutto produttore di seme: sarà cibo per voi e per tutte le bestie della terra, per tutti gli uccelli del cielo e per tutti i rettili che strisciano sulla terra, e hanno il soffio vitale, e così per nutrimento [vi do] ogni specie d'erba verdeggiante. E così avvenne. E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco: sono cose molto buone. E fu sera e mattina: il sesto giorno 32. Avremo in seguito più volte occasione più opportuna di considerare e discutere con maggior attenzione la natura dell'uomo. Per adesso tuttavia, al fine di concludere la nostra investigazione e la nostra spiegazione sulle opere dei sei giorni, diciamo anzitutto, brevemente, che si deve porre in rilievo il significato del fatto che, mentre a proposito delle altre opere la Scrittura dice: Dio disse: Sia fatto, qui invece dice: Dio disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza, allo scopo naturalmente d'indicare, per così dire, la pluralità delle persone a motivo del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Tuttavia, per ricordarci che quella pluralità dobbiamo intenderla come l'unità divina, [l'agiografo] soggiunge immediatamente: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, e non come se il Padre lo [avesse fatto] a immagine del Figlio o il Figlio a immagine del Padre - altrimenti l'espressione: a nostra immagine non sarebbe giusta se l'uomo fosse stato fatto a immagine del solo Padre o del solo Figlio - ma la Scrittura dice: Dio lo fece a immagine di Dio, come se dicesse: "Dio lo fece a sua immagine". Ma poiché ora dice: a immagine di Dio, dopo aver detto poco prima: a immagine nostra, vuole indicarci che la pluralità delle persone non deve indurci a dire o credere o intendere che ci siano più dèi, ma dobbiamo intendere che il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo - cioè la Trinità a cui si riferisce l'espressione: a nostra immagine - sono un solo Dio conforme all'espressione: a immagine di Dio.

Rispetto a che cosa l'uomo è immagine di Dio.

20. 30. A questo punto non si deve neppure passare sotto silenzio che, dopo aver detto: a nostra immagine, la Scrittura soggiunge immediatamente: e abbia dominio sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo 33 e su tutti gli altri animali privi di ragione, per farci intendere, appunto che l'uomo è fatto a immagine di Dio in relazione alla facoltà per cui è superiore agli animali privi di ragione. Orbene, questa facoltà è proprio la ragione o mente o intelligenza o con qualunque altro nome voglia chiamarsi questa facoltà. Ecco perché l'Apostolo dice: Rinnovatevi nello spirito della vostra mente e rivestitevi dell'uomo nuovo 34, che si rinnova per la conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che l'ha creato 35. Queste espressioni mostrano assai bene in rapporto a che cosa l'uomo è stato creato a immagine di Dio, e cioè non rispetto alle fattezze del corpo ma alla natura - diciamo così - intelligibile dell'anima quando è stata illuminata.

Perché nella creazione dell'uomo non fu detto: e così avvenne.

20. 31. Ecco perché la Scrittura non dice: " E così fu fatto ", per ripetere: E Dio fece, come dice a proposito della luce primordiale - se è giusto pensare che, mediante quel termine è denotata la luce intellettuale, partecipe dell'eterna e immutabile sapienza di Dio - poiché, come abbiamo spiegato nella misura della nostra capacità, non aveva luogo alcuna conoscenza del Verbo di Dio nella prima creatura, affinché in seguito a quella conoscenza fosse creato quaggiù ciò ch'era creato nel Verbo; ma in primo luogo veniva creata la luce mediante la quale potesse avvenire la conoscenza del Verbo di Dio, per mezzo del quale veniva creata, conoscenza consistente precisamente nel volgersi dal proprio stato informe verso Dio, che la formava, e nell'essere, così, creata e formata. In seguito, però, a proposito della creazione degli altri esseri, la Scrittura dice: E così fu fatto, espressione con cui si vuole indicare che la conoscenza del Verbo di Dio fu effettuata prima in quella luce, vale a dire nella creatura intellettuale; quando poi in seguito essa dice: E Dio fece, mette in evidenza che viene creata la specie della stessa creatura pronunciata nel Verbo di Dio e predestinata a esser fatta. Questa formula è conservata anche a proposito della creazione dell'uomo. Dio infatti disse: Facciamo l'uomo a nostra immagine e somiglianza 36, ecc.; ma in seguito l'agiografo non dice: E così fu fatto, ma aggiunge: E Dio fece l'uomo a immagine di Dio, poiché anche questa stessa natura è intellettuale come la [prima] luce, e di conseguenza per essa l'essere fatta è lo stesso che riconoscere il Verbo di Dio, mediante la quale è stata creata.

E così avvenne indica la conoscenza degli esseri irrazionali nel Verbo.

20. 32. Se infatti la Scrittura avesse detto: E così fu fatto e poi avesse aggiunto: E Dio fece, si sarebbe potuto intendere che quell'essere fu dapprima creato nella conoscenza della creatura razionale e in seguito in qualche altra creatura che non sarebbe stata razionale; ma, poiché anche l'anima è una creatura razionale, è anch'essa fatta perfetta in virtù della medesima conoscenza. In effetti, allo stesso modo che dopo la caduta a causa del peccato l'uomo è rinnovato nella conoscenza di Dio per essere immagine di Colui che lo ha creato, così è stato creato nella stessa conoscenza prima che invecchiasse a causa del peccato, condizione questa da cui esce rinnovato per la medesima conoscenza. Riguardo invece a certe creature che sono state create senza questa conoscenza, perché si trattava d'anime irrazionali, la loro conoscenza fu prodotta dapprima nella creatura intellettuale dal Verbo, mediante il quale fu detto: "Esistano". A proposito di questa conoscenza la Scrittura dice dapprima: E così fu fatto, per mostrare che questa conoscenza dell'essere da creare fu prodotta nella creatura ch'era capace di conoscere ciò dapprima nel Verbo di Dio; in seguito furono create le stesse creature corporee e irrazionali e per questo motivo la Scrittura aggiunge: E Dio fece.

Immortalità dell'uomo e generazione.

21. 33. Come mai però l'uomo, sebbene fosse stato creato immortale, ricevette ciononostante per alimento, come gli altri animali, l'erba dei campi produttrice di seme, i frutti degli alberi e l'erba verdeggiante, è difficile a dirsi. Se infatti l'uomo divenne mortale a causa del peccato, non aveva certamente bisogno di cibi siffatti prima del peccato, poiché il suo corpo non sarebbe potuto morire di fame. In realtà, benché sembri che l'ordine: Crescete e moltiplicatevi e riempite la terra 37, supponga che ciò non potesse avvenire senza l'amplesso coniugale del maschio e della femmina - cosa che sarebbe un altro indizio che i corpi erano mortali - si potrebbe tuttavia affermare che ci potesse essere un altro modo d'unione nei corpi mortali. In tal caso i figli sarebbero nati da un fervido sentimento d'amore di benevolenza, privo di qualsiasi sensualità del corpo corruttibile, e i genitori, senza morire, avrebbero avuto come successori i figli non destinati neppure essi a morire, fino a quando la terra non sarebbe stata ripiena d'uomini immortali: in tal modo, dopo essersi formato un popolo giusto e santo, come quello che speriamo sarà dopo la risurrezione, sarebbe stato messo anche un termine alle nascite. Una simile ipotesi potrebbe essere avanzata, ma in qual modo possa essere sostenuta è un'altra faccenda. Nessuno però oserà affermare neppure che soltanto i corpi mortali hanno bisogno di mangiare per ristorare le loro forze.

Secondo alcuni la creazione dell'anima è indicata con il verbo "fece", quella del corpo con "plasmò".

22. 34. Alcuni poi hanno fatto anche un'altra ipotesi, che cioè allora fu creato solo l'uomo interiore, mentre il corpo dell'uomo sarebbe stato creato in seguito, quando la Scrittura dice: E Dio plasmò l'uomo con la polvere della terra 38, cosicché la parola fece si riferirebbe alla creazione dello spirito, plasmò invece a quella del corpo. Costoro però non hanno considerato che la creazione del maschio e della femmina non poté avvenire se non rispetto al corpo. Si potrebbe - è vero - ricorrere a una spiegazione molto sottile, che cioè l'anima dell'uomo, riguardo alla quale egli fu creato a immagine di Dio, sia una specie di vita razionale e abbia due attività distinte: quella di contemplare la verità eterna, e quella di guidare le cose temporali, e in tal modo verrebbe a essere - diciamo così - maschio e femmina, una parte prendendo le decisioni e l'altra obbedendo; tuttavia, se si accettasse questa distinzione, potrebbe chiamarsi giustamente immagine di Dio solo la parte che attende alla contemplazione della verità immutabile. Secondo questo significato simbolico l'apostolo Paolo dice che l'uomo soltanto è immagine e gloria di Dio, la donna invece - dice - è la gloria dell'uomo 39. Sebbene dunque questi due aspetti differenti che si prendono in senso figurato come presenti interiormente soltanto nell'anima dell'uomo, siano simbolizzati esternamente e fisicamente in due creature umane di sesso diverso, tuttavia anche la donna, poiché è femmina solo per il corpo, viene rinnovata anch'essa nello spirito della sua mente per la conoscenza di Dio per essere immagine di colui che l'ha creata, cosa questa per la quale non c'è né maschio né femmina. Allo stesso modo, infatti, che le donne non sono escluse da questa grazia del rinnovamento e della restaurazione dell'immagine di Dio - benché nel loro sesso fisico ci sia un diverso simbolismo nel senso che la Scrittura dice essere immagine e gloria di Dio soltanto l'uomo - così anche nella stessa prima creazione dell'uomo, in quanto la donna era anch'essa una persona umana, aveva di certo la sua anima parimenti razionale, rispetto alla quale è stata anch'essa creata a immagine di Dio. Ma a causa dell'unità [di natura] dei sessi la Scrittura dice: Dio fece l'uomo a immagine di Dio 40; affinché però non si pensasse che allora fu creato soltanto lo spirito dell'uomo - sebbene fosse creato a immagine di Dio solo quanto allo spirito - soggiunse: Dio lo fece, maschio e femmina li fece 41, per farci intendere che allora fu creato anche il corpo. D'altra parte perché non si pensasse che l'uomo fu creato in modo che i due sessi fossero sviluppati in una singola persona umana - come alle volte nascono individui chiamati androgini - la Scrittura lascia intendere d'aver usato il singolare per indicare l'unità dei due sessi, e dice che la donna fu creata venendo tratta dall'uomo, come è detto chiaramente in seguito, quando sarà spiegato più accuratamente ciò che qui è detto brevemente. Ecco perché la Scrittura subito dopo usa il plurale allorché dice: li fece e li benedisse 42. Ma, come ho già detto, esamineremo più attentamente la creazione dell'uomo nel seguito dell'esposizione della Scrittura.

A che si riferisce e che significa: così avvenne?

23. 35. Si deve ora considerare che la Scrittura, dopo aver detto: E così fu fatto, immediatamente aggiunge: E Dio vide tutto ciò che aveva fatto ed ecco è una cosa molto buona 43. Con questa frase ci fa capire che Dio diede alla materia umana il potere e la facoltà stessa di prendere per cibo l'erba dei campi e i frutti degli alberi. Per questo l'espressione: E così fu è in relazione con ciò che aveva narrato a cominciare dal passo ove dice: E Dio disse: Ecco: vi ho dato l'erba che porta il seme 44, ecc.; se infatti l'espressione: E così fu la riferissimo a tutto ciò ch'è detto prima, dovremmo ammettere anche, per conseguenza, che gli uomini erano già cresciuti e s'erano moltiplicati riempiendo la terra nel medesimo sesto giorno, mentre ciò, per attestazione della stessa Scrittura, si avverò solo dopo molti anni. Per questo motivo, dopo che fu data la facoltà di mangiare quegli alimenti e l'uomo ne ebbe conoscenza mediante la parola di Dio, la Scrittura dice: E così fu, nel senso che l'uomo n'ebbe conoscenza per mezzo della parola di Dio. Poiché se anche allora avesse compiuto quell'azione, se cioè avesse preso e mangiato quegli alimenti datigli per cibo, la Scrittura avrebbe continuato a esprimersi secondo il suo solito formulario e, per conseguenza, dopo aver detto: E così fu - che mira ad indicare la suddetta conoscenza -, avrebbe ricordato l'azione stessa e avrebbe detto: "Ne presero e ne mangiarono". La cosa avrebbe potuto essere espressa così, anche senza che venisse nominato la seconda volta Dio, come nel passo ove, dopo aver detto: L'acqua ch'è sotto il cielo s'ammassi in un sol luogo e appaia la terra asciutta 45, soggiunge: E così fu, senza dire di seguito: E Dio fece, benché ripeta: E l'acqua si ammassò nei suoi propri luoghi ecc.

Perché non è detto che l'uomo era buono.

24. 36. Si potrebbe porre poi, a buon diritto, il quesito per quale ragione, a proposito della creatura umana, la Scrittura non dice in particolare come di tutte le altre creature: E Dio vide che è una cosa buona ma, dopo aver narrato la creazione dell'uomo e il potere datogli sia di dominare che di nutrirsi, a proposito di tutte le creature soggiunge: E Dio vide tutte le cose che aveva fatte ed ecco sono assai buone 46. La Scrittura infatti avrebbe potuto esprimere dapprima per l'uomo in particolare la compiacenza espressa in particolare per gli altri esseri creati in precedenza e poi, alla fine, dire a proposito di tutte le cose create da Dio: Ed ecco che sono cose molto buone. Oppure si può pensare che, essendo stata compiuta nel sesto giorno tutta la creazione, la Scrittura doveva dire di tutte le cose: Dio vide tutte le cose che aveva create ed ecco che sono molto buone, e non in particolare degli esseri creati quello stesso giorno? Ma allora perché mai siffatta approvazione fu pronunciata a proposito del bestiame, delle bestie selvatiche e dei rettili della terra creati nel medesimo sesto giorno? Forse perché quegli animali meritarono d'essere proclamati buoni, da una parte singolarmente e riguardo alla specie di ciascuno di essi, e dall'altra globalmente con le altre creature, mentre l'uomo fatto a immagine di Dio avrebbe meritato quella approvazione solo rispetto all'insieme di tutte le altre creature? Oppure si potrebbe supporre che l'uomo non era ancora perfetto non essendo stato ancora posto nel paradiso? Come se la Scrittura quella compiacenza, omessa a questo punto, l'avesse espressa dopo che l'uomo vi fu posto.

La natura può essere deformata dal peccato, ma l'universo resta bello.

24. 37. Che diremo dunque? La spiegazione è forse che, prevedendo Dio che l'uomo avrebbe peccato e non sarebbe rimasto nella perfezione dell'immagine di Dio, l'agiografo ha voluto esprimere l'approvazione ch'esso è buono considerandolo non già nella sua individualità ma solo nell'insieme delle creature come per farci capire che cosa sarebbe avvenuto? Poiché, dal momento che le creature che sono state create, le quali rimangono nello stato in cui sono state create possedendo la perfezione da esse ricevuta - sia quelle che non peccarono, sia quelle che non possono peccare - da una parte sono buone individualmente, da un'altra sono tutte molto buone prese nel loro insieme. Non senza un motivo è stato aggiunto l'avverbio molto, poiché anche le membra del corpo sono belle anche se considerate a una a una, ma sono tuttavia molto più belle se viste tutte nell'intero organismo umano; poiché se per esempio l'occhio, attraente e ammirato, lo vedessimo separato dal corpo, non lo diremmo tanto bello quanto lo è se unito alle altre membra e se visto situato al suo posto nell'intero corpo. Al contrario le creature, le quali peccando perdono la loro propria bellezza, non causano in alcun modo la conseguenza di non essere buone anch'esse, regolate come sono con la totalità e l'insieme degli esseri. L'uomo, quindi, prima del peccato era buono anche se considerato [separatamente] nella sua propria natura specifica, ma la Scrittura tralasciò di dirlo enunciando una cosa per predire qualche altra cosa che doveva avvenire. La Scrittura infatti non dice nulla di falso a proposito dell'uomo. Poiché, se uno è buono individualmente, lo è certamente ancor di più preso in unione con tutti; ma non ne viene di conseguenza che, se uno è buono nell'insieme di tutti, lo sia anche individualmente. L'agiografo pertanto ha seguito un giusto criterio dicendo ciò ch'era vero per allora e indicando ciò che Dio prevedeva sarebbe avvenuto. Poiché Dio, creatore sommamente buono delle nature, è sommamente giusto ordinatore di quelle che peccano, in modo però che anche se alcune creature diventano individualmente brutte a causa del peccato, cionondimeno l'universo con l'inclusione di esse, resta sempre bello. Ma ora dobbiamo trattare nel seguente libro gli altri argomenti che vengono in seguito.

 

1 - Gn 1, 20-23.

2 - Sal 148, 4-5.

3 - Sal 148, 4.

4 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.

5 - Cf. Gn 7, 20.

6 - Cf. 2 Pt 3, 5-7.

7 - LUCANO, Pharsalia 2, 271. 273.

8 - Sal 148, 8-9.

9 - Sal 148, 1.

10 - Sal 148, 7.

11 - Gn 1, 20.

12 - Sal 148, 7.

13 - Sal 148, 8.

14 - Sal 148, 8.

15 - Gn 1, 24-25.

16 - Gn 1, 24.

17 - Gn 1, 24.

18 - Sap 8, 1.

19 - Gn 1, 21.

20 - Cf. Sal 48, 13.

21 - Gn 1, 22.

22 - Cf. Sal 103, 24.

23 - Cf. Sap 8, 1.

24 - Fil 3, 12.

25 - 2 Cor 12, 7-9.

26 - Cf. Dn 6, 22; 14, 38.

27 - Cf. Dn 9, 4-19.

28 - Cf. At 28, 5.

29 - Cf. Lc 12, 7.

30 - Gn 1, 11.

31 - Gn 3, 18.

32 - Gn 1, 26-31.

33 - Gn 1, 28.

34 - Ef 4, 23.

35 - Col 3, 10.

36 - Gn 1, 26.

37 - Gn 1, 22.

38 - Gn 1, 27.

39 - 1 Cor 11, 7.

40 - Gn 1, 27.

41 - Gn 1, 27.

42 - Gn 1, 28.

43 - Gn 1, 30-31.

44 - Gn 1, 29.

45 - Gn 1, 9.

46 - Gn 1, 31.


Il fazzoletto della purezza

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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Nella notte dal 14 al 15 giugno 1861 Don Bosco sognò di trovarsi in una vasta pianura, nella quale sorgeva un bel palazzo con grandi terrazzi, e si estendeva una piazza. In un angolo di questa vide una Signora che distribuiva un fazzoletto a un gran numero di giovani affollati intorno a Lei. Preso il fazzoletto, salivano e si disponevano sul lungo terrazzo.
Anche Don Bosco si avvicinò a quella Signora e udì che nel con segnare il fazzoletto, diceva a ciascuno:
— Non stenderlo mai quando tira il vento; ma se il vento ti sorprende quando l’hai disteso, volgiti subito a destra, non mai a sinistra. Finita la distribuzione, Don Bosco si mise a osservare quei giovani schierati sul terrazzo e vide che, uno dopo l’altro, stendevano quel fazzoletto, che gli apparve in tutta la sua bellezza: era molto largo, ricamato in oro, con queste parole, pur esse in oro: Regina virtutum (la regina delle virtù).
Quand’ecco levarsi un forte vento. Subito alcuni nascosero il fazzoletto, altri si voltarono a destra, altri a sinistra.
Quindi scoppiò un pauroso temporale, con pioggia, grandine e neve. Intanto alcuni giovani stavano con il fazzoletto disteso e la grandine vi batteva dentro strappandolo da parte a parte: lo stesso faceva la pioggia, le cui gocce pareva avessero la punta; come pure i fiocchi di neve. In un momento tutti quei fazzoletti furono crivellati, sicché più nulla avevano di bello.
Don Bosco rimase dolorosamente sorpreso, tanto più che vi riconobbe i giovani del suo Oratorio. Ma lasciamo che parli lui: « Andai allora dove era quella Signora che distribuiva i fazzoletti. Qui vi stavano alcuni uomini e domandai loro:
— Che cosa vuoi dire tutto questo?
Mi rispose la Signora:
La regina delle virtù, si sa, è la carità ma Don Bosco si era convinto, per lunga esperienza, che l’impurità porta il giovane all’egoismo, mentre la purezza vissuta è sorgente e alimento di carità.
— Non hai visto quello che era scritto su quei fazzoletti?
— Sì: Regina virtutum (la regina delle virtù).
— Ebbene, quei giovani hanno esposto la virtù della purezza al vento delle tentazioni. Alcuni le hanno fuggite prontamente, e sono quelli che hanno nascosto il fazzoletto; altri si sono voltati a destra, e sono quelli che nel pericolo ricorrono al Signore; altri sono rimasti con il fazzoletto aperto e sono caduti in peccato.
Al vedere quanto pochi avevano conservato la virtù della purezza, ruppi in un pianto doloroso.
— Non affannarti — mi disse allora la Signora — vieni a vedere! Guardai e vidi il fazzoletto di quelli che si erano voltati a destra divenuto molto stretto, ma rappezzato e cucito.
Quella Signora intanto aggiungeva:
— Sono quelli che ebbero la disgrazia di perdere la bella virtù, ma vi rimediarono con la confessione. Gli altri che non si mossero, sono quelli che continuano nel peccato con il pericolo di andare alla perdizione».
Questo il sogno di Don Bosco.

Nell’infuriare della bufera, di anno in anno più ostile alla virtù che Don Bosco chiama « virtù angelica», è luce e stimolo alla lotta la visione della misteriosa Signora.
Don Bosco, che al costatare le devastazioni morali che compie il malcostume tra i giovani, « rompe in un pianto doloroso», fa pensare al forte richiamo di san Pietro: «Salvatevi da questa generazione perversa! ».
E motivo di riflessione, specie per i genitori, quanto afferma Don Bosco dei giovani, vittime del vizio impuro: «I loro fazzoletti erano ridotti in così cattivo stato che facevano pietà! ».


3 novembre 1943

Maria Valtorta

Dice Gesù:
   «Ho taciuto ieri per lasciarti modo non di riposare, ma di ubbidire. Il Padre ti ha detto di scrivere le tue impressioni e il modo come mi senti. Le tue forze e il tuo tempo essendo limitati, se fai una cosa non puoi fare l’altra. E allora ti ho lasciata quieta per darti modo di ubbidire. Il Padre non te ne ha dato un comando, ha soltanto espresso un desiderio. Ma per i veri ubbidienti anche un desiderio diviene comando.

   L’ubbidienza ha più valore della parola, anche se è parola scritta sotto mia dettatura. Perché la parola la udite e scrivete, ma non è vostra; la ripetete, ma non è vostra. L’ubbidienza invece è vostra. È il caso di dire:[522] “Lasciatela fare, perché i poveri li avete sempre e Me non sempre mi avete”. I poveri, a cui dare la parola, li avete sempre. L’occasione di spargere prezioso aroma di santa ubbidienza, sfidando i commenti degli altri, non sempre l’avete.

   E sappiate che l’ubbidienza è stata la virtù del Verbo, destinato ad esser Uomo e a divenire il Redentore. L’amore, la potenza, la perfezione, la sapienza sono comuni alle Tre Nostre Persone. Ma l’ubbidienza è mia, esclusivamente mia. Ho ubbidito nell’incarnarmi, nel farmi povero, nello stare sottomesso agli uomini, nel compiere la mia missione di evangelizzatore, nel morire.

   Perciò quando ubbidite, sia agli uomini nelle relative ubbidienze, sia a Dio nelle grandi ubbidienze che implicano rinunce e sacrifici di sangue e accettazioni di morte, talora morte atroce, siete simili a Me che fui ubbidiente fino alla morte,[523] che fui l’Ubbidiente per eccellenza, l’Ubbidientissimo divino.

   Seconda a Me nell’ubbidienza fu la dolce Madre che ubbidì sempre, e col suo amoroso sorriso, ai voleri dell’Altissimo.

   Terzo fu il casto mio padre della Terra, che nella sua forza virile fece dei ricami di ubbidienza, piegò anzi la sua forza virile e il suo senno di giusto come filo di seta per inchinarli ai voleri di Dio.

   Perciò chi ubbidisce, ubbidisce ai tre più ubbidienti del mondo e li avrà amici qui e oltre, nel Cielo.»


[522] dire, come in Matteo 26, 10-11; Marco 14, 6-7; Giovanni 12, 7-8.
[523] fino alla morte, come dice san Paolo in Filippesi 2, 8.