Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Poiché Gesù è stato solo a spremere il vino (Is. 63, 5) che ci offre da bere, non ci rifiutiamo a nostra volta di portare delle vesti tinte di sangue. Spremiamo per Gesù un vino nuovo che lo disseti che gli renda amore per amore. Ah, non perdiamo una sola goccia del vino che possiamo dargli! Allora, guardando intorno a sé (Mt. 12, 50), vedrà  che noi veniamo per aiutarlo. (Santa Teresina di Lisieux)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 23° settimana del tempo ordinario (Natività Beata Vergine Maria)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 27

1Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire.2Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.

3Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani4dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!".5Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.6Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue".7E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri.8Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi.9Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: 'E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato,10e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.'

11Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose "Tu lo dici".12E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla.13Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?".14Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.
15Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta.16Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.17Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?".18Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
19Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua".20Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.21Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!".22Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?". Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!".23Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!".
24Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!".25E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli".26Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

27Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte.28Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto29e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!".30E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.31Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui.33Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio,34gli 'diedero da bere vino' mescolato con 'fiele'; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere.35Dopo averlo quindi crocifisso, 'si spartirono le' sue 'vesti tirandole a sorte'.36E sedutisi, gli facevano la guardia.37Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "'Questi è Gesù, il re dei Giudei'".
38Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

39E quelli che passavano di là lo insultavano 'scuotendo il capo' e dicendo:40"Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!".41Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano:42"Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo.43'Ha confidato in Dio; lo liberi lui' ora, 'se gli vuol bene'. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!".44Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

45Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "'Elì, Elì, lemà sabactàni?'", che significa: "'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'".47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia".48E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala 'di aceto', la fissò su una canna e così gli 'dava da bere'.49Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!".50E Gesù, emesso un alto grido, spirò.
51Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono,52i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.53E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.54Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!".
55C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo.56Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

57Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatéa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.58Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.59Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo60e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.61Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.

62Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo:63"Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò.64Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!".65Pilato disse loro: "Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete".66Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.


Deuteronomio 32

1"Ascoltate, o cieli: io voglio parlare:
oda la terra le parole della mia bocca!
2Stilli come pioggia la mia dottrina,
scenda come rugiada il mio dire;
come scroscio sull'erba del prato,
come spruzzo sugli steli di grano.
3Voglio proclamare il nome del Signore:
date gloria al nostro Dio!
4Egli è la Roccia; perfetta è l'opera sua;
tutte le sue vie sono giustizia;
è un Dio verace e senza malizia;
Egli è giusto e retto.
5Peccarono contro di lui i figli degeneri,
generazione tortuosa e perversa.
6Così ripaghi il Signore,
o popolo stolto e insipiente?
Non è lui il padre che ti ha creato,
che ti ha fatto e ti ha costituito?
7Ricorda i giorni del tempo antico,
medita gli anni lontani.
Interroga tuo padre e te lo farà sapere,
i tuoi vecchi e te lo diranno.
8Quando l'Altissimo divideva i popoli,
quando disperdeva i figli dell'uomo,
egli stabilì i confini delle genti
secondo il numero degli Israeliti.
9Perché porzione del Signore è il suo popolo,
Giacobbe è sua eredità.

10Egli lo trovò in terra deserta,
in una landa di ululati solitari.
Lo circondò, lo allevò,
lo custodì come pupilla del suo occhio.
11Come un'aquila che veglia la sua nidiata,
che vola sopra i suoi nati,
egli spiegò le ali e lo prese,
lo sollevò sulle sue ali,
12Il Signore lo guidò da solo,
non c'era con lui alcun dio straniero.
13Lo fece montare sulle alture della terra
e lo nutrì con i prodotti della campagna;
gli fece succhiare miele dalla rupe
e olio dai ciottoli della roccia;
14crema di mucca e latte di pecora
insieme con grasso di agnelli,
arieti di Basan e capri,
fior di farina di frumento
e sangue di uva, che bevevi spumeggiante.

15Giacobbe ha mangiato e si è saziato,
- sì, ti sei ingrassato, impinguato, rimpinzato -
e ha respinto il Dio che lo aveva fatto,
ha disprezzato la Roccia, sua salvezza.
16Lo hanno fatto ingelosire con dèi stranieri
e provocato con abomini all'ira.
17Hanno sacrificato a demoni che non sono Dio,
a divinità che non conoscevano,
novità, venute da poco,
che i vostri padri non avevano temuto.
18La Roccia, che ti ha generato, tu hai trascurato;
hai dimenticato il Dio che ti ha procreato!
19Ma il Signore ha visto e ha disdegnato
con ira i suoi figli e le sue figlie.
20Ha detto: Io nasconderò loro il mio volto:
vedrò quale sarà la loro fine.
Sono una generazione perfida,
sono figli infedeli.
21Mi resero geloso con ciò che non è Dio,
mi irritarono con i loro idoli vani;
io li renderò gelosi con uno che non è popolo,
li irriterò con una nazione stolta.
22Un fuoco si è acceso nella mia collera
e brucerà fino nella profondità degl'inferi;
divorerà la terra e il suo prodotto
e incendierà le radici dei monti.
23Accumulerò sopra di loro i malanni;
le mie frecce esaurirò contro di loro.
24Saranno estenuati dalla fame,
divorati dalla febbre e da peste dolorosa.
Il dente delle belve manderò contro di essi,
con il veleno dei rettili che strisciano nella polvere.
25Di fuori la spada li priverà dei figli,
dentro le case li ucciderà lo spavento.
Periranno insieme il giovane e la vergine,
il lattante e l'uomo canuto.

26Io ho detto: Li voglio disperdere,
cancellarne tra gli uomini il ricordo!
27se non temessi l'arroganza del nemico,
l'abbaglio dei loro avversari;
non dicano: La nostra mano ha vinto,
non è il Signore che ha operato tutto questo!
28Sono un popolo insensato
e in essi non c'è intelligenza:
29se fossero saggi, capirebbero,
rifletterebbero sulla loro fine:
30Come può un uomo solo inseguirne mille
o due soli metterne in fuga diecimila?
Non è forse perché la loro Roccia li ha venduti,
il Signore li ha consegnati?

31Perché la loro roccia non è come la nostra
e i nostri nemici ne sono testimoni.
32La loro vite è dal ceppo di Sòdoma,
dalle piantagioni di Gomorra.
La loro uva è velenosa,
ha grappoli amari.
33Tossico di serpenti è il loro vino,
micidiale veleno di vipere.
34Non è questo nascosto presso di me,
sigillato nei miei forzieri?
35Mia sarà la vendetta e il castigo,
quando vacillerà il loro piede!
Sì, vicino è il giorno della loro rovina
e il loro destino si affretta a venire.

36Perché il Signore farà giustizia al suo popolo
e dei suoi servi avrà compassione;
quando vedrà che ogni forza è svanita
e non è rimasto né schiavo, né libero.
37Allora dirà: Dove sono i loro dèi,
la roccia in cui cercavano rifugio;
38quelli che mangiavano il grasso dei loro sacrifici,
che bevevano il vino delle loro libazioni?
Sorgano ora e vi soccorrano,
siano il riparo per voi!
39Ora vedete che io, io lo sono
e nessun altro è dio accanto a me.
Sono io che dò la morte e faccio vivere;
io percuoto e io guarisco
e nessuno può liberare dalla mia mano.

40Alzo la mano verso il cielo
e dico: Per la mia vita, per sempre:
41quando avrò affilato la folgore della mia spada
e la mia mano inizierà il giudizio,
farò vendetta dei miei avversari,
ripagherò i miei nemici.
42Inebrierò di sangue le mie frecce,
si pascerà di carne la mia spada,
del sangue dei cadaveri e dei prigionieri,
delle teste dei condottieri nemici!

43Esultate, o nazioni, per il suo popolo,
perché Egli vendicherà il sangue dei suoi servi;
volgerà la vendetta contro i suoi avversari
e purificherà la sua terra e il suo popolo".

44Mosè venne con Giosuè, figlio di Nun, e pronunziò agli orecchi del popolo tutte le parole di questo canto.
45Quando Mosè ebbe finito di pronunziare tutte queste parole davanti a tutto Israele, disse loro:46"Ponete nella vostra mente tutte le parole che io oggi uso come testimonianza contro di voi. Le prescriverete ai vostri figli, perché cerchino di eseguire tutte le parole di questa legge.47Essa infatti non è una parola senza valore per voi; anzi è la vostra vita; per questa parola passerete lunghi giorni sulla terra di cui state per prendere possesso, passando il Giordano".
48In quello stesso giorno il Signore disse a Mosè:49"Sali su questo monte degli Abarim, sul monte Nebo, che è nel paese di Moab, di fronte a Gèrico, e mira il paese di Canaan, che io dò in possesso agli Israeliti.50Tu morirai sul monte sul quale stai per salire e sarai riunito ai tuoi antenati, come Aronne tuo fratello è morto sul monte Or ed è stato riunito ai suoi antenati,51perché siete stati infedeli verso di me in mezzo agli Israeliti alle acque di Mèriba di Kades nel deserto di Sin, perché non avete manifestato la mia santità.52Tu vedrai il paese davanti a te, ma là, nel paese che io sto per dare agli Israeliti, tu non entrerai!".


Giobbe 29

1Giobbe continuò a pronunziare le sue sentenze e disse:

2Oh, potessi tornare com'ero ai mesi di un tempo,
ai giorni in cui Dio mi proteggeva,
3quando brillava la sua lucerna sopra il mio capo
e alla sua luce camminavo in mezzo alle tenebre;
4com'ero ai giorni del mio autunno,
quando Dio proteggeva la mia tenda,
5quando l'Onnipotente era ancora con me
e i giovani mi stavano attorno;
6quando mi lavavo in piedi nel latte
e la roccia mi versava ruscelli d'olio!
7Quando uscivo verso la porta della città
e sulla piazza ponevo il mio seggio:
8vedendomi, i giovani si ritiravano
e i vecchi si alzavano in piedi;
9i notabili sospendevano i discorsi
e si mettevan la mano sulla bocca;
10la voce dei capi si smorzava
e la loro lingua restava fissa al palato;
11con gli orecchi ascoltavano e mi dicevano felice,
con gli occhi vedevano e mi rendevano testimonianza,
12perché soccorrevo il povero che chiedeva aiuto,
l'orfano che ne era privo.
13La benedizione del morente scendeva su di me
e al cuore della vedova infondevo la gioia.
14Mi ero rivestito di giustizia come di un
vestimento;
come mantello e turbante era la mia equità.
15Io ero gli occhi per il cieco,
ero i piedi per lo zoppo.
16Padre io ero per i poveri
ed esaminavo la causa dello sconosciuto;
17rompevo la mascella al perverso
e dai suoi denti strappavo la preda.
18Pensavo: "Spirerò nel mio nido
e moltiplicherò come sabbia i miei giorni".
19La mia radice avrà adito alle acque
e la rugiada cadrà di notte sul mio ramo.
20La mia gloria sarà sempre nuova
e il mio arco si rinforzerà nella mia mano.
21Mi ascoltavano in attesa fiduciosa
e tacevano per udire il mio consiglio.
22Dopo le mie parole non replicavano
e su di loro scendevano goccia a goccia i miei detti.
23Mi attendevano come si attende la pioggia
e aprivano la bocca come ad acqua primaverile.
24Se a loro sorridevo, non osavano crederlo,
né turbavano la serenità del mio volto.
25Indicavo loro la via da seguire e sedevo come capo,
e vi rimanevo come un re fra i soldati
o come un consolatore d'afflitti.


Salmi 27

1'Di Davide.'

Il Signore è mia luce e mia salvezza,
di chi avrò paura?
Il Signore è difesa della mia vita,
di chi avrò timore?
2Quando mi assalgono i malvagi
per straziarmi la carne,
sono essi, avversari e nemici,
a inciampare e cadere.

3Se contro di me si accampa un esercito,
il mio cuore non teme;
se contro di me divampa la battaglia,
anche allora ho fiducia.

4Una cosa ho chiesto al Signore,
questa sola io cerco:
abitare nella casa del Signore
tutti i giorni della mia vita,
per gustare la dolcezza del Signore
ed ammirare il suo santuario.

5Egli mi offre un luogo di rifugio
nel giorno della sventura.
Mi nasconde nel segreto della sua dimora,
mi solleva sulla rupe.
6E ora rialzo la testa
sui nemici che mi circondano;
immolerò nella sua casa sacrifici d'esultanza,
inni di gioia canterò al Signore.

7Ascolta, Signore, la mia voce.
Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi.
8Di te ha detto il mio cuore: "Cercate il suo volto";
il tuo volto, Signore, io cerco.

9Non nascondermi il tuo volto,
non respingere con ira il tuo servo.
Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi,
non abbandonarmi, Dio della mia salvezza.
10Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato,
ma il Signore mi ha raccolto.

11Mostrami, Signore, la tua via,
guidami sul retto cammino,
a causa dei miei nemici.

12Non espormi alla brama dei miei avversari;
contro di me sono insorti falsi testimoni
che spirano violenza.
13Sono certo di contemplare la bontà del Signore
nella terra dei viventi.
14Spera nel Signore, sii forte,
si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.


Malachia 3

1Ecco, io manderò un mio messaggero a preparare la via davanti a me e subito entrerà nel suo tempio il Signore, che voi cercate; l'angelo dell'alleanza, che voi sospirate, ecco viene, dice il Signore degli eserciti.2Chi sopporterà il giorno della sua venuta? Chi resisterà al suo apparire? Egli è come il fuoco del fonditore e come la lisciva dei lavandai.3Siederà per fondere e purificare; purificherà i figli di Levi, li affinerà come oro e argento, perché possano offrire al Signore un'oblazione secondo giustizia.4Allora l'offerta di Giuda e di Gerusalemme sarà gradita al Signore come nei giorni antichi, come negli anni lontani.5Io mi accosterò a voi per il giudizio e sarò un testimone pronto contro gli incantatori, contro gli adùlteri, contro gli spergiuri, contro chi froda il salario all'operaio, contro gli oppressori della vedova e dell'orfano e contro chi fa torto al forestiero. Costoro non mi temono, dice il Signore degli eserciti.

6Io sono il Signore, non cambio;
voi, figli di Giacobbe, non siete ancora al termine.
7Fin dai tempi dei vostri padri
vi siete allontanati dai miei precetti,
non li avete osservati.
Ritornate a me e io tornerò a voi,
dice il Signore degli eserciti.
Ma voi dite:
"Come dobbiamo tornare?".
8Può un uomo frodare Dio?
Eppure voi mi frodate
e andate dicendo:
"Come ti abbiamo frodato?".
Nelle decime e nelle primizie.
9Siete già stati colpiti dalla maledizione
e andate ancora frodandomi,
voi, la nazione tutta!
10Portate le decime intere nel tesoro del tempio,
perché ci sia cibo nella mia casa;
poi mettetemi pure alla prova in questo,
- dice il Signore degli eserciti -
se io non vi aprirò le cateratte del cielo
e non riverserò su di voi benedizioni sovrabbondanti.
11Terrò indietro gli insetti divoratori
perché non vi distruggano i frutti della terra
e la vite non sia sterile nel campo,
dice il Signore degli eserciti.
12Felici vi diranno tutte le genti,
perché sarete una terra di delizie,
dice il Signore degli eserciti.

13Duri sono i vostri discorsi contro di me - dice il Signore - e voi andate dicendo: "Che abbiamo contro di te?".14Avete affermato: "È inutile servire Dio: che vantaggio abbiamo ricevuto dall'aver osservato i suoi comandamenti o dall'aver camminato in lutto davanti al Signore degli eserciti?15Dobbiamo invece proclamare beati i superbi che, pur facendo il male, si moltiplicano e, pur provocando Dio, restano impuniti".
16Allora parlarono tra di loro i timorati di Dio. Il Signore porse l'orecchio e li ascoltò: un libro di memorie fu scritto davanti a lui per coloro che lo temono e che onorano il suo nome.17Essi diverranno - dice il Signore degli eserciti - mia proprietà nel giorno che io preparo. Avrò compassione di loro come il padre ha compassione del figlio che lo serve.18Voi allora vi convertirete e vedrete la differenza fra il giusto e l'empio, fra chi serve Dio e chi non lo serve.
19Ecco infatti sta per venire il giorno rovente come un forno. Allora tutti i superbi e tutti coloro che commettono ingiustizia saranno come paglia; quel giorno venendo li incendierà - dice il Signore degli eserciti - in modo da non lasciar loro né radice né germoglio.20Per voi invece, cultori del mio nome, sorgerà il sole di giustizia con raggi benefici e voi uscirete saltellanti come vitelli di stalla.21Calpesterete gli empi ridotti in cenere sotto le piante dei vostri piedi nel giorno che io preparo, dice il Signore degli eserciti.

22Tenete a mente la legge del mio servo Mosè,
al quale ordinai sull'Oreb,
statuti e norme per tutto Israele.
23Ecco, io invierò il profeta Elia prima che giunga
il giorno grande e terribile del Signore,
24perché converta il cuore dei padri verso i figli
e il cuore dei figli verso i padri;
così che io venendo non colpisca
il paese con lo sterminio.


Atti degli Apostoli 26

1Agrippa disse a Paolo: "Ti è concesso di parlare a tua difesa". Allora Paolo, stesa la mano, si difese così:2"Mi considero fortunato, o re Agrippa, di potermi discolpare da tutte le accuse di cui sono incriminato dai Giudei, oggi qui davanti a te,3che conosci a perfezione tutte le usanze e questioni riguardanti i Giudei. Perciò ti prego di ascoltarmi con pazienza.4La mia vita fin dalla mia giovinezza, vissuta tra il mio popolo e a Gerusalemme, la conoscono tutti i Giudei;5essi sanno pure da tempo, se vogliono renderne testimonianza, che, come fariseo, sono vissuto nella setta più rigida della nostra religione.6Ed ora mi trovo sotto processo a causa della speranza nella promessa fatta da Dio ai nostri padri,7e che le nostre dodici tribù sperano di vedere compiuta, servendo Dio notte e giorno con perseveranza. Di questa speranza, o re, sono ora incolpato dai Giudei!8Perché è considerato inconcepibile fra di voi che Dio risusciti i morti?
9Anch'io credevo un tempo mio dovere di lavorare attivamente contro il nome di Gesù il Nazareno,10come in realtà feci a Gerusalemme; molti dei fedeli li rinchiusi in prigione con l'autorizzazione avuta dai sommi sacerdoti e, quando venivano condannati a morte, anch'io ho votato contro di loro.11In tutte le sinagoghe cercavo di costringerli con le torture a bestemmiare e, infuriando all'eccesso contro di loro, davo loro la caccia fin nelle città straniere.
12In tali circostanze, mentre stavo andando a Damasco con autorizzazione e pieni poteri da parte dei sommi sacerdoti, verso mezzogiorno13vidi sulla strada, o re, una luce dal cielo, più splendente del sole, che avvolse me e i miei compagni di viaggio.14Tutti cademmo a terra e io udii dal cielo una voce che mi diceva in ebraico: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? Duro è per te ricalcitrare contro il pungolo.15E io dissi: Chi sei, o Signore? E il Signore rispose: Io sono Gesù, che tu perseguiti.16Su, alzati e rimettiti in piedi; ti sono apparso infatti per costituirti ministro e testimone di quelle cose che hai visto e di quelle per cui ti apparirò ancora.17Per questo ti 'libererò' dal popolo e 'dai pagani, ai quali ti mando'18'ad aprir' loro 'gli occhi', perché passino 'dalle tenebre alla luce' e dal potere di satana a Dio e ottengano la remissione dei peccati e l'eredità in mezzo a coloro che sono stati santificati per la fede in me.
19Pertanto, o re Agrippa, io non ho disobbedito alla visione celeste;20ma prima a quelli di Damasco, poi a quelli di Gerusalemme e in tutta la regione della Giudea e infine ai pagani, predicavo di convertirsi e di rivolgersi a Dio, comportandosi in maniera degna della conversione.21Per queste cose i Giudei mi assalirono nel tempio e tentarono di uccidermi.22Ma l'aiuto di Dio mi ha assistito fino a questo giorno, e posso ancora rendere testimonianza agli umili e ai grandi. Null'altro io affermo se non quello che i profeti e Mosè dichiararono che doveva accadere,23che cioè il Cristo sarebbe morto, e che, primo tra i risorti da morte, avrebbe annunziato la luce al popolo e ai pagani".

24Mentr'egli parlava così in sua difesa, Festo a gran voce disse: "Sei pazzo, Paolo; la troppa scienza ti ha dato al cervello!".25E Paolo: "Non sono pazzo, disse, eccellentissimo Festo, ma sto dicendo parole vere e sagge.26Il re è al corrente di queste cose e davanti a lui parlo con franchezza. Penso che niente di questo gli sia sconosciuto, poiché non sono fatti accaduti in segreto.27Credi, o re Agrippa, nei profeti? So che ci credi".28E Agrippa a Paolo: "Per poco non mi convinci a farmi cristiano!".29 E Paolo: "Per poco o per molto, io vorrei supplicare Dio che non soltanto tu, ma quanti oggi mi ascoltano diventassero così come sono io, eccetto queste catene!".
30Si alzò allora il re e con lui il governatore, Berenìce, e quelli che avevano preso parte alla seduta31e avviandosi conversavano insieme e dicevano: "Quest'uomo non ha fatto nulla che meriti la morte o le catene".32E Agrippa disse a Festo: "Costui poteva essere rimesso in libertà, se non si fosse appellato a Cesare".


Capitolo XXXVIII: Il buon governo di sé nelle cose esterne e il ricorso a Dio nei pericolo

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1. O figlio, tu devi attentamente mirare a questo, che dappertutto, e in qualunque azione ed occupazione esterna, tu rimanga interiormente libero e padrone di te; che le cose siano tutte sotto di te, e non tu sotto di esse. Cosicché tu abbia a dominare e governare i tuoi atti, e tu non sia come un servo o mercenario, ma tu sia libero veramente come l'ebreo, che passa dalla servitù alla condizione di erede e alla libertà dei figli di Dio. I figli di Dio stanno al di sopra delle cose di questo mondo, e tengono gli occhi fissi all'eterno; guardano con l'occhio sinistro le cose che passano, e con il destro le cose del cielo; infine non sono attratti, così da attaccarvisi, dalle cose di questo tempo, ma traggono le cose a sé, perché servano al bene, così come sono state disposte da Dio e istituite dal sommo artefice. Il quale nulla lascia, in alcuna sua creatura, che non abbia il suo giusto posto.

2. Se, di fronte a qualunque avvenimento, non ti fermerai all'apparenza esterna e non apprezzerai con occhio carnale tutto ciò che vedi ed ascolti; se, all'incontro, in ogni questione, entrerai subito, come Mosè, sotto la tenda, per avere consiglio dal Signore, udrai talvolta la risposta di Dio, e ne uscirai istruito su molte cose di oggi e del futuro. Era solito Mosè ritornare alla sua tenda, per dubbi e quesiti da risolvere; era solito rifugiarsi nella preghiera, per alleviare i pericoli e le perversità degli uomini. Così anche tu devi rifugiarti nel segreto del tuo cuore, implorando con tanta intensità l'aiuto divino. Che se - come si legge - Giosuè e i figli di Israele furono raggirati dai Gabaoniti, fu proprio perché non chiesero prima il responso del Signore; ma, facendo troppo affidamento su questi allettanti discorsi, furono traditi da una falsa benevolenza.


DISCORSO 125 ANCORA DAL VANGELO DI GIOVANNI (CAPP. 5; 9): I CINQUE PORTICI SOTTO I QUALI GIACEVA UN GRAN NUMERO D'INFERMI. LA PISCINA DI SILOE

Discorsi - Sant'Agostino

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Da parte di chi commenta le Scritture non si ripetono senza utilità i medesimi argomenti.

1. Ai vostri orecchi e alle vostre menti non risultano una novità gli argomenti sui quali si torna; ritemprano invece la disposizione dell'animo di chi ascolta, anzi, in certo qual modo, quanto viene richiamato alla memoria ci rinnova; neppure infastidisce sentir ripetere verità già note perché risulta sempre gradito ciò che è proprio del Signore. Così è riguardo al commento delle divine Scritture, come delle divine Scritture in se stesse; per quanto si tratti di cose note, tuttavia si leggono per ravvivarne il ricordo. Tanto vale anche per l'esposizione di esse; benché nota, pure va ripetuta allo scopo che quanti l'hanno dimenticata tornino a ricordare ed anche coloro che forse non l'ascoltarono, possano udirla; così ancora perché la ripetizione impedisca di dimenticare a quanti hanno bene in mente ciò che abitualmente hanno seguito. Ricordiamo infatti di avere già parlato alla Carità vostra 1 su questo passo del Vangelo. Né è tuttavia tedioso per voi che si torni a dare evidenza agli stessi argomenti come non lo è stato ripetere per voi la stessa lettura. L'apostolo Paolo dice in una lettera: A me non pesa e a voi è necessario che vi scriva le stesse cose 2. Quindi, dire a voi le stesse cose neppure a noi pesa, ma per voi è sicurezza.

I cinque portici erano figura della Legge mosaica. La Legge impotente a salvare. Perché venne data la Legge.

2. Cinque i portici sotto i quali giacevano gli infermi. Stanno a significare la legge che un primo tempo venne data ai Giudei e al popolo d'Israele tramite Mosè, servo di Dio. Difatti anche Mosè, mediatore della legge, compose cinque libri. Perciò dal numero dei libri che scrisse, i cinque portici erano figura della legge. In realtà, non fu data la legge in quanto efficace a risanare gli infermi, ma perché ne svelasse l'esistenza e li mettesse in vista; si esprime appunto così l'Apostolo: Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge; la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo 3; per questo, sotto quei portici, gli infermi erano a giacere, non venivano risanati. Che affermò dunque? Se fosse stata data una legge capace di conferire la vita. Ne segue che quei portici, figura della legge, non potevano risanare gli infermi. C'è chi mi può obiettare: Allora, perché venne data? Lo ha spiegato lo stesso apostolo Paolo: La Scrittura invece - egli dice - ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo. Coloro che erano sicuramente infermi si ritenevano sani. Ricevettero la legge che erano incapaci di adempiere, impararono a conoscere in quale infermità si trovassero e implorarono l'intervento del medico; vollero essere risanati perché compresero di essere malati; realtà di cui avrebbero avuto coscienza solo trovando inadempibile la legge loro data. L'uomo si riteneva affatto innocente e, proprio a causa di un'innocenza fittizia, aggravava la sua infermità. La legge fu data appunto per domare la superbia e metterla allo scoperto; non allo scopo di liberare dall'infermità, ma per indurre i superbi a prendere consapevolezza di sé. Faccia dunque attenzione la Carità vostra; la legge fu data a questo fine: perché facesse vedere i mali, non perché li eliminasse. Per questo, quindi, quei malati che nelle loro case potevano riservare maggior discrezione alle loro infermità - nel caso non vi fossero stati quei cinque portici - sotto di questi erano esposti alla vista di tutti, ma non è che i portici valessero a risanarli. In conseguenza, la legge era utile a rendere noti i peccati, in quanto l'uomo, reso ancor più colpevole per la violazione della legge, vinta la superbia, potesse implorare il soccorso di colui che è compassionevole. Prestate attenzione all'Apostolo: La legge poi sopraggiunse a dare al peccato maggior gravità; ma là dove il peccato ha assunto maggior gravità è stata sovrabbondante la grazia 4. Che vuol dire: La legge sopraggiunse a dare al peccato maggior gravità? Così come dice in un altro passo: Dove non c'è legge non c'è nemmeno prevaricazione 5. Anteriormente alla legge, l'uomo può dirsi peccatore, non trasgressore. Ma per aver peccato quando aveva già ricevuto la legge, viene a trovarsi non solo peccatore, ma anche trasgressore. Infatti, con l'aggiungersi della trasgressione al peccato, la colpa si fece pertanto di maggior gravità. Essendosi aggravata la colpa, l'umana superbia impara facilmente a rendersi soggetta, ad umiliarsi davanti a Dio e a dire: Io vengo meno 6. E per esprimersi pure con quelle parole del Salmo, che pronunzia soltanto un'anima umiliata: Io ho detto: Pietà di me, Signore; risanami, contro di te ho peccato 7. Lo dica, dunque, l'anima inferma, resa convinta per lo meno dall'esperienza della trasgressione e che in forza della legge non è stata risanata, ma fatta conoscere inferma. Ascolta anche lo stesso Paolo, il quale ti dimostra che anche la legge è buona, eppure non libera dal peccato se non per la grazia di Cristo. E' infatti in potere della legge proibire e comandare, facoltà che non possono apportare rimedio a risanare ciò che impedisce all'uomo di adempiere la legge, ma tale effetto è opera della grazia. Afferma infatti l'Apostolo: Mi compiaccio infatti della legge di Dio secondo l'uomo interiore, ma nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato 8. A causa della pena del peccato, a causa della radice della morte, a causa della maledizione di Adamo, questo muove guerra alla legge della mente e assoggetta alla legge del peccato, che è nelle membra. Costui [san Paolo] è rimasto persuaso; ha ricevuto la legge per giungere a convinzione; sii attento al profitto che gli è derivato in forza di tale certezza. Ascolta le parole che seguono: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore 9.

Che sta a significare la guarigione di un solo infermo dopo che l'acqua viene agitata.

3. Prestate dunque attenzione. Quei portici erano rispondenti a significare la legge; accogliendo infermi, senza risanarli, esponendoli alla pubblica vista, senza guarirli. Ma quali infermi guariva? Quello solo che scendeva nella piscina. E quando scendeva nella piscina l'infermo? Quando l'angelo dava il segno agitando l'acqua. Era infatti così sacra quella piscina che l'angelo vi scendeva a dare movimento all'acqua. Gli uomini guardavano l'acqua, ma dal movimento dell'acqua che veniva agitata intuivano la presenza dell'angelo. Se in quel mentre fosse disceso qualcuno, era risanato. Perché allora quell'infermo era trascurato? Riflettiamo sulle parole di lui: Non ho nessuno - egli dice - che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita; mentre infatti io vado, scende un altro 10. Nel caso che un altro scenda precedendoti, non puoi tu dunque discendere dopo di lui? Da qui si deduce che uno solo veniva risanato all'agitarsi dell'acqua. Chiunque fosse disceso per primo, appunto questi soltanto era risanato; qualsiasi altro fosse poi disceso a quel moto dell'acqua, non era risanato, ma restava in attesa fino a quando l'acqua si agitasse di nuovo. Che sta dunque a significare questo mistero? Non è certo privo di motivazione. Faccia attenzione la Carità vostra. Le acque, nell'Apocalisse, sono state citate in figura dei popoli 11. Perciò quell'acqua era in figura del popolo dei Giudei. Come quel popolo era infatti vincolato ai cinque libri di Mosè nella legge, così anche quell'acqua era all'interno dei cinque portici. Quando entrò in moto l'acqua? Quando entrò in fermento il popolo dei Giudei. E non entrò in fermento il popolo dei Giudei solo quando venne il Signore Gesù Cristo? La passione del Signore è figurata dall'acqua fatta inquieta. Ribollivano infatti d'indignazione i Giudei quando il Signore soffrì la passione. Ecco, riguarda proprio tale eccitazione il passo che ora si leggeva. I Giudei erano decisi ad ucciderlo non solo perché operava di queste cose in giorno di sabato, ma perché si diceva Figlio di Dio, facendosi uguale a Dio. Il Cristo si diceva Figlio di Dio in senso non equivalente a quello riferibile agli uomini in genere. Io ho detto: Voi siete dèi, siete tutti figli dell'Altissimo 12. Evidentemente se in tal senso si fosse fatto Figlio di Dio, a quel modo che qualsiasi uomo può dirsi figlio di Dio (è per grazia di Dio infatti che gli uomini si dicono figli di Dio), i Giudei non avrebbero reagito rabbiosamente. Ma poiché capivano che egli affermava di essere il Figlio di Dio in ben altro modo, cioè secondo il contenuto significante del: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 13; e secondo ciò che sostiene l'Apostolo: Il quale pur essendo di natura divina, non considerò un'appropriazione indebita la sua uguaglianza con Dio 14; avevano davanti un uomo e diventavano furenti, perché si faceva uguale a Dio. Egli invece sapeva di essere uguale, ma quelli non vedevano secondo che. I Giudei infatti volevano crocifiggere l'umanità che vedevano; non vedevano colui dal quale erano giudicati. Che vedevano i Giudei? Ciò che vedevano anche gli Apostoli allorché Filippo disse: Mostraci il Padre e ci basta. Ma che non vedevano i Giudei? Ciò che non vedevano neppure gli stessi Apostoli, quando il Signore rispose: Da tanto tempo sono con voi e non mi avete conosciuto? Chi vede me, vede anche il Padre 15. In conseguenza, poiché i Giudei erano incapaci di vedere questo in lui, lo ritenevano quale uomo superbo ed empio, che si faceva uguale a Dio. C'era turbamento, l'acqua era agitata, l'Angelo era venuto. Anche il Signore è chiamato infatti: Angelo del grande consiglio 16, perché annunziatore della volontà del Padre. E' detto infatti " Angelo " in greco, " Annunziatore " in latino. E già sai del Signore il quale diceva di annunciarci il regno dei cieli. Perciò era venuto quell'Angelo del grande consiglio, ma Signore di tutti gli angeli. E per questo Angelo, perché prese su di sé la carne; Signore degli angeli, invece, appunto perché tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui niente è stato fatto 17. Ne segue che, se tutto, anche gli angeli. E ne segue che, quanto a lui stesso, non è stato fatto, poiché tutto è stato fatto per mezzo di lui. Ma tutto ciò che è stato fatto, non lo è stato senza l'opera del Verbo. D'altra parte, quella carne che divenne madre di Cristo non poté nascere se non per essere stata creata per mezzo del Verbo, che nacque dopo da essa.

Il riposo di Dio nel settimo giorno. Le sei età del mondo. Come Dio che cessò di operare opera sempre.

4. Ecco perché i Giudei erano in agitazione. Che cos'è mai questo? Perché compie queste cose di sabato? E soprattutto a queste parole del Signore: Il Padre mio opera sempre e anch'io opero 18. Quelli si scandalizzarono intendendo in senso fisiologico il fatto che Dio cessò da ogni suo lavoro nel settimo giorno 19. Si trova infatti scritto nella Genesi, e scritto felicemente a proposito, e scritto perciò in armonia con la ragione. I Giudei, ritenendo invece che Dio, quasi vinto dalla stanchezza dopo tutte le opere compiute, si fosse riposato nel settimo giorno e lo avesse benedetto, appunto perché in esso si era ristorato dalla fatica, da stolti, non si rendevano conto che non poté essere affaticato il Creatore di ogni cosa mediante la parola. Leggano e mi dicano in qual modo Dio avesse potuto sentire il peso della fatica col dire: Sia, e fu fatto. Se oggi un uomo facesse così come fece Dio, ci sarebbe chi si stanca? Disse: Sia la luce; e la luce fu. Ugualmente: Sia il firmamento; e così avvenne 20; oppure fu stanco se disse e non avvenne. In un altro passo brevemente: Egli parlò e tutto si fece; egli comandò e tutto fu creato 21. Di conseguenza, chi opera in tal modo, può sentire la fatica? Ma se non compie alcun lavoro, com'è che riposa? E' stato detto però che in quel sabato, quando Dio cessò da ogni sua opera, in quel riposo di Dio, si configura il nostro riposo; ci sarà infatti il sabato di questo mondo quando saranno trascorse le sei età. Trascorrono come fossero i sei giorni del mondo. Il primo giorno va da Adamo fino a Noè, il secondo dal diluvio fino ad Abramo, il terzo va da Abramo fino a David, il quarto va da David fino alla deportazione in Babilonia, il quinto va dalla deportazione in Babilonia fino alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo. Ora va trascorrendo il giorno sesto. Siamo nella sesta età, nel sesto giorno. Restituiamo a noi stessi la forma originaria secondo l'immagine di Dio, perché l'uomo fu creato a immagine di Dio nel sesto giorno 22. Ciò che allora operò la forma, questo renda in noi la riforma; e ciò che allora realizzò la creazione, lo restituisca in noi la nuova creazione. Al termine di questo giorno in cui esistiamo, dopo questa età, verrà il riposo che è promesso ai santi, ed era prefigurato in quei giorni. In verità, infatti, dopo tutte le cose che pose in essere nel mondo, nient'altro plasmò di nuovo in seguito nella creazione. Sono le creature stesse a subire un'evoluzione e a trasformarsi, poiché dal fatto della costituzione delle creature niente di più venne aggiunto. Nondimeno se egli, il Creatore, non conservasse il mondo, verrebbe meno l'esistenza della creazione; questa non può durare se non la governa colui che è il suo fattore. Perciò, dal momento che nulla è stato creato ulteriormente, si è detto che cessò da ogni suo lavoro; in quanto realmente non cessa di governare le sue opere, giustamente disse il Signore: Il Padre mio opera sempre. Veda di intendere la Carità vostra. Portò a termine, si disse che aveva cessato; completò infatti l'opera e non aggiunse altro. Governa ciò che ha creato, quindi non cessa. Ma con quanta facilità ha creato, con altrettanta facilità egli governa. Non deducete da questo, fratelli, che, per avere creato senza fatica, si affanni ora perché governa, come sulla nave si affaticano gli addetti a costruirla e si affaticano quelli che sono al timone; si tratta naturalmente di uomini. Infatti con quanta facilità Dio disse e tutto fu creato, con altrettanta facilità e discrezione tutto governa per mezzo del Verbo.

La provvidenza di Dio nella disposizione dei mali.

5. Non è che manchi il governo delle vicende umane dal fatto che le cose terrene risultano corrotte. Tutti gli uomini sono situati nei posti a loro appropriati; eppure a ciascuno sembra che non abbiano una disposizione regolare. Da parte tua bada soltanto a ciò che vuoi essere, poiché, secondo come avrai voluto, il Creatore sa dove darti posto. Osserva un pittore. Davanti a lui sono disposti vari colori, ed egli sa dove debba applicare ciascun colore. Certamente il peccatore volle essere di colore nero; il criterio dell'artefice non sa perciò dove destinarlo? A quante cose non dà precisione servendosi del nero? Quanti particolari non rende con esso il pittore? In nero i capelli, la barba, le sopracciglia; usa il colore chiaro soltanto per dare risalto alla fronte. Quanto a te, bada a ciò che vuoi essere, non preoccuparti del posto che ti assegna colui che è infallibile; egli sa dove collocarti. Notiamo che ciò si verifica come infatti avviene nell'applicazione delle leggi umane. Non so chi decise di essere specialista del furto con scasso; la disposizione del giudice riconosce che agì illegalmente; la disposizione del giudice contempla dove debba essergli dato posto: lo sistema nel modo più appropriato. Quello senza dubbio visse male, ma la legge non ha disposto erroneamente. Da scassinatore diventerà un minatore; quante costruzioni non si realizzano dall'opera di chi è adibito alle miniere? Il castigo di quel condannato va a costituire abbellimenti alla città. Così dunque Dio sa dove situarti. Non credere di guastare il progetto di Dio se avrai voluto essere perverso. Chi sapeva crearti non sa il posto che ti spetta? E' bene allora che il tuo sforzo tenda là, che ti porti ad essere situato in un buon posto. Che fu detto di Giuda da parte dell'apostolo Pietro? Andò al posto da lui scelto 23. Certo per la disposizione della divina provvidenza, perché con decisione della volontà perversa volle essere cattivo, non fu invece Dio a farlo cattivo attraverso il suo ordinamento. Ma essendo di per sé perverso, volle essere peccatore, fece ciò che volle, ma subì ciò che non volle. Nel fatto che fece ciò che volle si riconosce il suo peccato; in quello che subì e che non volle si loda l'azione ordinatrice di Dio.

Duplice la causa dell'indignazione dei Giudei. Un infermo calandosi nella piscina viene guarito. Un solo infermo viene risanato.

6. Perchè ho detto questo? Per farvi comprendere, fratelli, come da parte del Signore Gesù Cristo è stato detto rettamente che il Padre mio opera sempre. Non abbandona infatti la creatura che ha formato. E disse: Come egli opera, anch'io opero 24. Già allora si dette a conoscere uguale a Dio. Il Padre mio - afferma - opera sempre, e anch'io opero. Quella concezione di ordine fisiologico circa il sabato ne fu rimossa. Ritenevano infatti che il Signore, essendo stanco, avesse cessato del tutto di operare. Ascoltano: Il Padre mio opera sempre e diventano inquieti. E anch'io opero: si è fatto uguale a Dio, eccoli in agitazione. Ma non temete più. Si agita l'acqua, un infermo va ad essere risanato. Che significa questo? Perciò il turbamento di quelli, per il fatto che mirano alla passione del Signore. Il Signore subisce il patire, il sangue prezioso si sparge, il peccatore viene redento, è donata la grazia a chi cade e a chi dice: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo 25. Ma come viene guarito? A condizione che scenda. In realtà quella piscina era così fatta che vi si accedeva discendendo, non salendo. Anche piscine del genere potrebbero infatti essere costruite in modo che si raggiungano salendo. Ma quella, per quale ragione fu costruita così che vi si scendeva? Perché la passione del Signore esige l'umile. Scenda in umiltà, non sia superbo se vuole essere risanato. Ma per quale ragione uno solo? Poiché una sola è la Chiesa nel mondo intero, l'unità è salva. Perciò dove si salva uno solo, viene configurata l'unità. Sotto il termine " uno ", intendi l'unità. Non ti separare, quindi, dall'unità se non vuoi che non ti tocchi tale salvezza.

Trent'anni d'infermità. Il numero quaranta sta a significare la perfezione della giustizia. L'amore del mondo non è conciliabile con l'amore di Dio.

7. Che cosa sta a significare il fatto che era infermo da trentotto anni? So di averne già parlato, fratelli; ma se anche quelli che leggono dimenticano, quanto più coloro che di rado ascoltano? Faccia perciò un poco di attenzione la Carità vostra. Il numero quaranta è figura della giustizia perfetta. Appunto giustizia perfetta perché viviamo quaggiù nella fatica, negli stenti, nella continenza, nei digiuni, nelle veglie, nelle tribolazioni; la pratica della giustizia consiste proprio nel tollerare il peso della vita e tenersi in qualche modo lontano da questo mondo; non dal cibo della carne, cosa che facciamo rare volte, ma dall'amore del mondo, cosa che sempre dobbiamo fare. Adempie perciò la legge chi si conserva puro da questo mondo. Non può in realtà amare ciò che è eterno se non avrà rinunziato ad amare ciò che è temporaneo. Rendetevi avveduti quanto all'amore dell'uomo; consideratelo così, quasi la mano dell'anima. Se tiene un qualcosa non può avere altro. Ora, perché possa prendere ciò che si porge, lasci cadere ciò che ha già preso. Questo intendo dire, notate che parlo esplicitamente: chi ama il mondo non può amare Dio; ha la mano ingombra. Dio gli dice: Prendi quello che dò. Non vuol lasciare ciò che aveva; non può ricevere ciò che gli viene offerto. Forse che ho detto: Non so chi non deve possedere qualcosa? Se può, se la perfezione esige questo da lui, niente abbia di sua proprietà. Se non può, se una qualche necessità è d'impedimento, possegga pure, ma non si faccia possedere; abbia in proprietà, non diventi proprietà; sia padrone, non schiavo dei propri averi; come dice l'Apostolo: Del resto, fratelli, il tempo si è fatto breve; d'ora innanzi rimane che anche quelli che hanno moglie vivano come se non l'avessero; quelli che comprano, come se non possedessero; quelli che godono, come se non godessero; coloro che piangono, come se non piangessero e quelli che usano il mondo, come se non ne usassero: perché passa la scena di questo mondo. Voglio che siate senza preoccupazioni 26. Che vuol dire: Non amare ciò che possiedi in questo mondo? Sia disponibile la tua mano che deve possedere Dio. Sia libero da ogni attaccamento il tuo amore con il quale puoi tendere a Dio e aderire a lui che ti ha creato.

Che distingue un possedere disinteressato.

8. Tu mi dici in risposta: Anche Dio sa che, quanto al possesso dei miei beni, sono irreprensibile. E' la tentazione a darne prova. Viene danneggiata la tua proprietà e vai in escandescenze. In qualche modo anche noi subiamo tali cose. Va a male quanto possiedi e tu non sembri più quello che eri e dal suono delle tue parole manifesti che ora sei diverso da quello che sembravi prima. E voglia il cielo che tu ti limiti a difendere strepitando il tuo e non tenti arrogantemente d'impossessarti dell'altrui; e, quel che è peggio, che tu non giunga ad attirarti biasimo perché dici tuo ciò che altri possiede. Che bisogna fare? Ve lo ricordo, ve lo ripeto, fratelli, ed è fraterno il mio avvertimento; il Signore lo impone ed io richiamo con forza perché sono ammonito. Egli, che non permette di tacere, m'incute terrore. Esige da me ciò che ha dato. Ha dato da distribuire, non da conservare. Se invece avrò conservato e avrò tenuto nascosto, mi dirà: Servo malvagio e pigro, perché non hai consegnato il denaro ai banchieri e al ritorno l'avrei riscosso con gli interessi? 27 E che mi gioverà di non aver perduto nulla di ciò che ho ricevuto? Non basta per il mio Signore, è avaro; ma l'avarizia di Dio è la nostra salvezza. E' avaro, richiede i suoi denari, raccoglie la sua immagine. Avresti dovuto dare - dice - il denaro ai banchieri e al ritorno l'avrei riscosso con gli interessi. E se per caso la dimenticanza facesse sì che non mi curassi di correggervi, vi sarebbero di ammonizione persino le tentazioni e le tribolazioni che sopportiamo. Certamente avete ascoltato la parola di Dio. Sia benedetto il Signore e la sua gloria. Siete convenuti insieme infatti e pendete dalla parola del ministro di Dio. Non fate caso alla nostra persona, tramite la quale vi si offre; perché gli affamati non badano se il recipiente ha poco valore, ma all'abbondanza del cibo. E' Dio che vi mette alla prova. Siete adunati insieme, approvate la parola di Dio; la tentazione metterà alla prova la validità del vostro ascolto; avrete degli affari nei quali si può rendere evidente quali siete. Infatti anche chi grida oggi insolenze ad alta voce, ieri ascoltava volentieri. Perciò, vi preavviso, perciò parlo, perciò non taccio, fratelli miei, perché verrà il momento del rendiconto. Il Signore - infatti - scruta il giusto e l'empio. Certamente ciò lo hai cantato, certamente abbiamo cantato insieme: Il Signore scruta il giusto e l'empio. E che segue? Ma chi ama l'ingiustizia odia la propria anima 28. E in altro passo: S'indagherà sui propositi dell'empio 29. La domanda che io ti rivolgo non cade dove cade la chiamata al rendiconto da parte di Dio. Riguarda me esaminare le tue parole, spetta a Dio giudicare il tuo pensiero. Sa pure in che modo tu ascolti, e sa come esigere, egli che ordina a me di dare. Ha voluto che io sia distributore e si è riservata l'esazione. E' compito nostro avvertire, istruire, correggere; evidentemente salvare e premiare, oppure condannare e mandare all'inferno non è compito nostro. Ma è il giudice a consegnare il colpevole all'esecutore e l'esecutore a condurre in carcere. In verità ti dico: Non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo 30.

Il numero quaranta nel digiuno di Mosè, di Elia e di Cristo. Quaranta giorni prima della Pasqua. Cinquanta giorni dopo la Pasqua.

9. Torniamo dunque in argomento. La perfezione della giustizia è indicata dal numero quaranta. In che consiste raggiungere il numero quaranta? Tenersi lontano dall'amore del mondo. L'astenersi dalle cose temporali, ad evitare che si amino in modo funesto, è quasi un restare digiuni da questo mondo. Per questo il Signore digiunò quaranta giorni 31, come Mosè 32 ed Elia 33. Di conseguenza, chi concesse ai servi di poter digiunare quaranta giorni, non fu in grado di digiunare ottanta o anche cento giorni? A che scopo non volle più di quanto aveva dato ai servi se non perché proprio nel numero quaranta è riposto il segreto del digiuno: conservarsi puri da questo mondo? Che si vuol dire con questo? Quanto afferma l'Apostolo: Il mondo per me è stato crocifisso come io per il mondo 34. E' questo perciò che raggiunge il numero quaranta. E il Signore che cosa fa intendere? Poiché questo ha compiuto Mosè, questo Elia, questo Cristo, è ancora questo l'insegnamento e della Legge e dei Profeti, come pure del Vangelo: non credere cha altro sia nella legge, altro nei Profeti, altro nel Vangelo. Tutte le Scritture sono concordi nell'insegnarti nient'altro che non sia l'astenersi dall'amare il mondo, perché il tuo amore voli a Dio. E' in figura, perché lo insegna la legge, che Mosè digiunò quaranta giorni. E' in figura, perché lo insegnano i Profeti, che Elia digiunò quaranta giorni. E' in figura, perché lo insegna il Vangelo, che il Signore digiunò quaranta giorni. Anche sul monte perciò apparvero proprio questi tre: il Signore nel mezzo, ai lati Mosè ed Elia. Come si spiega? Perché anche il Vangelo riceve testimonianza da parte della Legge e dei Profeti 35. Ma per quale ragione il numero quaranta sta per la perfetta giustizia? E' detto nel Salterio: O Dio, ti canterò un cantico nuovo; suonerò per te sull'arpa a dieci corde 36. L'espressione sta a significare i dieci precetti della legge che il Signore non è venuto ad abolire ma a dare ad essa compimento. Tale legge poi è diffusa per tutta la terra compresa, come è noto, fra quattro luoghi estremi: Oriente, Occidente, Mezzogiorno e Settentrione, secondo la Scrittura. Ciò si deduce anche dalla visione di un recipiente, in cui figuravano ogni specie di animali, e che fu mostrato a Pietro, mentre gli fu detto: Uccidi e mangia 37. Ciò ad indicare i Gentili che avrebbero creduto e sarebbero entrati a far parte del corpo della Chiesa, così come ciò che mangiamo entra nel nostro corpo; venne fatto calare dal cielo per i quattro capi (che sono poi le quattro parti del mondo) e lascia intendere che tutta la terra avrebbe abbracciato la fede. Ebbene, nel numero quaranta è in figura la libertà dal mondo. Questa è la pienezza della legge: ma la pienezza della legge è la carità. Di conseguenza, prima della Pasqua noi digiuniamo quaranta giorni. Precedendo la Pasqua, il digiuno è appunto segno della nostra vita tormentata, per cui nelle fatiche, nei travagli e nella continenza adempiamo la legge. Dopo la Pasqua, invece, celebriamo i giorni della risurrezione del Signore, che rimandano appunto alla risurrezione nostra. Si celebrano per la durata di cinquanta giorni proprio perché al numero quaranta si aggiunge la ricompensa di un denaro: ed ecco il numero cinquanta. In che senso un denaro è ricompensa? Non avete letto di coloro che furono inviati alla vigna, sia dei chiamati dell'ora prima che dell'ora sesta e dell'ultima ora del giorno e poterono ricevere soltanto un denaro 38? Quando la nostra giustizia sarà stata accresciuta della sua ricompensa, avremo raggiunto il numero cinquanta. Fin d'allora non faremo altro che lodare Dio. Perciò durante quei giorni cantiamo l'Alleluia. L'Alleluia infatti è lode a Dio. Nella presente caducità della natura mortale, in questo spazio di quaranta giorni di quaggiù, come prima della risurrezione, sospiriamo pregando per disporci alla lode propria di allora. Questo è il tempo di lasciarsi portare dal desiderio, allora sarà il tempo d'acquietarsi nel possedere con amore e nel godere. Trascorriamo senza cedimenti l'intervallo dei quaranta giorni, in vista della felicità propria dei cinquanta giorni.

La Legge non ha compimento senza l'amore.

10. Chi è mai a dar compimento alla legge se non chi avrà amato? Interroga l'Apostolo: Il compimento della legge è l'amore 39. Tutta la legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto, in ciò che è scritto: Amerai il Signore Dio tuo come te stesso 40. Ma il precetto della carità è duplice: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente. Questo precetto è grande. Il secondo è simile a questo: Amerai il prossimo tuo come te stesso. Sono parole del Signore nel Vangelo: Da questi due comandamenti dipende tutta la Legge e i Profeti 41. Senza questo duplice amore non si può adempiere la legge. Fino a quando la legge non trova compimento, persiste uno stato d'infermità. L'uomo infermo da trentotto anni ne contava perciò due in meno. Che sta a significare l'averne avuti due in meno? L'inosservanza da parte sua, di quei due precetti. Che giova l'osservanza degli altri se non si adempiono quelli? Hai trentotto? Se non hai quei due, gli altri per nulla ti gioveranno. Ne conti due di meno - senza i quali gli altri non possono avere valore - se non fai tuoi i due precetti che conducono alla salvezza. Se anche parlassi le lingue degli angeli, ma non avessi la carità, sono come un bronzo che risuona o un cembalo che tintinna. E se avrò conosciuto tutti i misteri e tutta la scienza e se avrò avuto la pienezza della fede, così da trasportare le montagne, senza che abbia la carità, sono un nulla. E se avrò distribuito tutte le mie sostanze e dato il mio corpo perché sia bruciato, ma io non abbia la carità, niente mi giova 42. Sono parole dell'Apostolo. Ne segue che tutte le possibilità che ha esposto riflettono quasi i trentotto anni, ma perché là mancava l'amore, era presente l'infermità. Chi sarà dunque a sollevare da tale stato morboso se non colui che è venuto a portare l'amore? Vi dò un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda 43. E dal momento che è venuto a portare l'amore, e l'amore è la perfezione della legge, disse giustamente: Non sono venuto ad abolire la legge, ma a darle compimento 44. Risanò l'infermo dicendogli di prendere il suo lettuccio e andare a casa sua. Parlò allo stesso modo al paralitico da lui guarito 45. Che si cela nell'ordine di prendere il nostro letto? La sensualità della nostra carne. E' per noi quasi un letto dove si giace infermi. Ma i risanati la tengono a freno e la portano. Non sono condizionati appunto dalla carne. Perciò, da sano, resisti alla caducità seducente della tua carne, perché attraverso il segno del restare digiuni da questo mondo per quaranta giorni, tu possa raggiungere il numero quaranta, poiché rese la salute a quell'infermo colui che non venne ad abolire la legge, ma a portarla a compimento.

L'animo va distaccato dalle cose temporali. La tentazione non fa il peccatore, ma lo rivela.

11. Ora che avete appreso questo, rivolgete a Dio il vostro cuore. Guardatevi dal cadere in inganno. Quando va bene secondo il mondo, interpellate allora voi stessi; esaminatevi se amate o non amate il mondo; apprendete ad esserne distaccati prima che sia il mondo a congedarvi. Che vuol dire: essere distaccati? E' amare disinteressatamente. Anche se è ancora in tuo possesso ciò che lascerai, o da vivo, o in punto di morte, te ne separi, non puoi averlo sempre con te; perciò, mentre lo possiedi, libera il tuo affetto, sii pronto alla volontà di Dio, ad elevarlo a Dio. Mantieniti fedele a lui che se non vuoi non perdi; così che se ti debba toccare di perdere questi beni temporali, tu possa dire: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, come è piaciuto al Signore, così è avvenuto; sia benedetto il nome del Signore 46. Ma se debba avverarsi, e il Signore così vuole, che quei beni che possiedi tu li abbia sino alla fine, una volta sottratto ai vincoli di questa vita, ricevi il denaro che raggiunge il numero cinquanta, e nasce in te la felicità perfetta, mentre canti Alleluia. Conservando nella memoria queste cose sulle quali ho richiamato la vostra attenzione, esse valgano a tenervi lontano dall'amore del mondo. L'amicizia di esso è maligna, è falsa, rende nemici di Dio. In un attimo, in una sola tentazione, l'uomo offende Dio e diventa nemico. Anzi, non è allora che diventa nemico, ma allora si manifesta che già era nemico. Infatti già lo era quando dimostrava amore e rendeva lode, ma egli stesso non ne era consapevole e neppure gli altri. Si fa avanti la tentazione, si tocca il polso e si rivela la febbre. Così è, fratelli, l'amore del mondo, l'amicizia del mondo rende nemici di Dio. E il mondo non offre ciò che ha promesso, è bugiardo e inganna. Perciò gli uomini non cessano di sperare in questo mondo, e chi ottiene tutto quello che spera? Ma pur avendo conseguito qualsiasi vantaggio, immediatamente è insoddisfatto di ciò che ha ottenuto. Si comincia a desiderare altre cose, se ne sperano altre di maggior pregio, che al sopraggiungere - qualsiasi cosa ti riesce di avere - perdono ogni attrattiva. Perciò sii fedele a Dio perché immutabile, perché nulla c'è di più bello. Infatti, tutte queste altre cose, per il fatto che non hanno l'essere di per sé, decadono, perché non sono ciò che egli è. A te, o anima, basta soltanto colui che ti ha creata. Qualunque altra cosa tu fai propria, è una miseria: evidentemente ti può appagare solo colui che ti ha creata a sua somiglianza. Ancora da quella voce è stato detto: Signore, mostraci il Padre e ci basta 47. Soltanto là vi può essere sicurezza: e dove può esservi sicurezza, là sarà anche in certo qual modo una sazietà insaziabile. Poiché avvertirai una sazietà che ti faccia desiderare di scostarti, né ti mancherà qualcosa di cui tu debba quasi avvertire il bisogno.

 

1 - Cf. Serm.

2 - Fil 3, 1.

3 - Gal 3, 21-22.

4 - Rm 5, 20.

5 - Rm 4, 15.

6 - Sal 6, 3.

7 - Sal 40, 5.

8 - Rm 7, 22-23.

9 - Rm 7, 24-25.

10 - Gv 5, 7.

11 - Cf. Ap 17, 15.

12 - Sal 81, 6.

13 - Gv 1, 1.

14 - Fil 2, 6.

15 - Gv 14, 8-9.

16 - Is 9, 6 (sec. LXX).

17 - Gv 1, 3.

18 - Gv 5, 17.

19 - Cf. Gn 2, 2.

20 - Gn 1, 3. 6-7.

21 - Sal 32, 9.

22 - Cf. Gn 1, 27.

23 - At 1, 25.

24 - Gv 5, 17.

25 - Rm 7, 24-25.

26 - 1 Cor 7, 29-32.

27 - Lc 19, 23.

28 - Sal 10, 6.

29 - Sap 1, 9.

30 - Mt 5, 25-26.

31 - Mt 4, 2.

32 - Es 34, 28.

33 - 1 Re 19, 8.

34 - Gal 6, 14.

35 - Cf. Rm 3, 21.

36 - Sal 143, 9.

37 - At 10, 13.

38 - Cf. Mt 20, 1-10.

39 - Rm 13, 10.

40 - Gal 5, 14.

41 - Mt 23, 37-40.

42 - 1 Cor 13, 1-3.

43 - Gv 13, 34.

44 - Mt 5, 17.

45 - Cf. Mc 2, 11.

46 - Gb 1, 21.

47 - Gv 14, 8.


5 - Maria santissima e Giuseppe dopo tre giorni ritrovano Gesù nel tempio fra i dottori.

La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda

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758. Nel capitolo precedente si è data solo in parte una risposta al dubbio che alcuni potevano avere: come la nostra Regina, sempre attenta e diligente nell'accompagnare e servire il suo Figlio santissimo, avesse potuto perderlo di vista, in modo tale che egli rimanesse a Gerusalemme. Benché sia sufficiente rispondere che fu disposizione dell'Altissimo, dirò ugualmente qualche altra cosa riguardo alle modalità di ciò che accadde senza disattenzione o negligenza volontarie da parte della Madre amorosa. Il fanciullo, oltre ad avvalersi della ressa di gente, si servì anche di un mezzo soprannaturale necessario per distogliere l'attenzione della sua sollecita Madre e compagna. Senza tale mezzo ella non si sarebbe accorta che si allontanava da lei il sole, la guida in tutte le sue vie. Accadde dunque che al separarsi degli uomini dalle donne, come si è detto, l'onnipotente Signore infuse in sua Madre una visione intellettuale della Divinità la cui forza la fece concentrare in se stessa. In questa estasi che la infiammò ebbe l'uso dei sensi solo per proseguire il cammino, rimanendo inebriata nella soavità della consolazione e della vista del Signore. Anche san Giuseppe fu rapito in estasi mediante l'esperienza di una interiore e sublime contemplazione, che lo ingannò tanto da fargli credere che il fanciullo fosse con la Madre. In questo modo Gesù si allontanò da tutti e due restando a Gerusalemme. Quando dopo lungo tempo la visione ebbe fine, la Regina si ritrovò sola e senza il suo amatissimo Figlio e le venne in mente che forse avrebbe potuto essere con il padre putativo.

759. Ciò accadde molto vicino alle porte della città. Il fanciullo Dio, percorrendo le strade, rimirò con gli occhi della sua scienza divina tutto quanto gli doveva succedere e lo offrì all'eterno Padre per la salvezza delle anime. In quei tre giorni chiese l'elemosina per onorare questa umile pratica come prima figlia della santa povertà. Visitò gli ospizi dei poveri e consolando tutti divise con loro le elemosine ricevute; diede in segreto ad alcuni infermi la salute del corpo e a molti altri quella dell'anima, illuminandoli interiormente e riconducendoli sulla via della vita eterna. Con alcuni benefattori che gli diedero l'elemosina operò più abbondantemente meraviglie di grazia e di luce, cominciando così ad adempiere la promessa che avrebbe fatto in seguito alla sua Chiesa: Chi accoglie un profeta come profeta, avrà la ricompensa del profeta, e chi accoglie un giusto come giusto, avrà la ricompensa del giusto.

760. Dopo aver compiuto queste ed altre opere secondo la volontà dell'eterno Padre, Gesù si recò al tempio. In quel giorno, come riferisce l'evangelista san Luca, si radunavano i rabbini, che erano i sapienti e i maestri della legge, per studiare le profezie delle Scritture. La disputa riguardava la venuta del Messia. Dalla nascita di Giovanni Battista all'adorazione dei re Magi erano accadute cose straordinarie e meravigliose e tra i giudei non si parlava d'altro, se non che del fatto che il tempo era ormai compiuto e che il Messia era venuto nel mondo, benché non lo si conoscesse ancora. I rabbini erano seduti ai loro posti con l'autorevolezza solita dei maestri e di coloro che si stimano sapienti. Il fanciullo Gesù, il Re dei re e il Signore dei signori, egli che è la sapienza infinita che corregge i saggi, si avvicinò a loro come un umile discepolo che intendesse ascoltare quanto argomentavano e apprendere ciò di cui si trattava. La materia riguardava il Messia promesso, se fosse già venuto o se fosse giunto il tempo in cui sarebbe dovuto venire nel mondo.

761. Le opinioni dei dottori, su questo argomento, erano molto diverse: alcuni sostenevano la prima ipotesi, altri la negavano. Questi ultimi prendevano in considerazione varie testimonianze della Scrittura e delle profezie, prese in quel senso grossolano di cui parla l'Apostolo, allorché dice che la lettera intesa senza lo Spirito uccide. Essi affermavano che il Messia doveva venire con potenza e grandezza di re, dando la libertà al suo popolo e, con la forza del suo potere, riscattandolo dalla schiavitù dei pagani. Di questa potenza e libertà non vi erano indizi nella condizione in cui gli ebrei si trovavano, impossibilitati a rimuovere il giogo dei romani e del loro impero. Questa ipotesi fece grande presa sul popolo cieco e materiale, perché intendevano unicamente per loro la maestà e la grandezza del Messia promesso e la redenzione che avrebbe operato, come se si trattasse di una salvezza temporale e terrena. Ancora oggi è aspettata dai giudei insensibili e accecati da un velo che oscura i loro cuori. Non riconoscono la gloria, la maestà e il potere del nostro Redentore, come non riconoscono che la libertà che egli è venuto a portare al mondo non è terrena, temporale e destinata a perire. Essa è invece celeste, spirituale ed eterna, non solo per i giudei ai quali fu offerta per primi, ma per tutta la discendenza di Adamo, senza eccezioni.

762. Gesù, maestro di verità, sapeva che la disputa sarebbe andata a finire in questo errore. Anche se alcuni optavano per la ragione contraria, erano, però, pochi e comunque oppressi dall'autorità e dalle ragioni degli altri. Dal momento che Gesù era venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità, che era egli stesso, non voleva permettere in questa occasione - in cui era tanto importante manifestarla - che per l'autorità dei sapienti prendessero forza l'errore e l'inganno. Il suo amore non sopportò di vedere, riguardo alle sue opere e all'altissimo fine per cui era venuto, quanta ignoranza si trovasse nei maestri che avrebbero dovuto essere idonei ministri della vera dottrina per insegnare al popolo il cammino della vita e l'autore di essa, il Signore nostro redentore. Il fanciullo Dio si avvicinò ai dottori per manifestare la grazia diffusa sulle sue labbra. Entrò in mezzo a loro con maestà e bellezza, come chi desideri domandare qualche chiarificazione. In questo modo rese disponibili i saggi ad ascoltarlo con attenzione.

763. Gesù disse: «Ho compreso appieno il vostro dubbio circa la venuta del Messia e anche come l'avete risolto. Intendo proporvi la mia obiezione riguardo alla vostra risoluzione. Per i profeti la venuta del Messia avverrà con potenza e maestà. A questo proposito Isaia dice che sarà nostro legislatore, nostro re e salverà il suo popolo; e in un altro passo afferma che verrà da lontano, ardente sarà la sua ira e gravoso il suo divampare. Anche Davide assicura che egli brucerà tutti i suoi nemici. Daniele afferma che tutti i popoli e le nazioni lo serviranno. Nel libro del Siracide si legge che con lui verrà una grande moltitudine di santi. I profeti e le Scritture ci indicano simili promesse per manifestare la sua venuta con segni chiari e visibili se si meditano con attenzione. Il dubbio si fonda su questi e altri passi, che devono essere ugualmente veri, anche se in apparenza sembrano contrari. Dando a ciascuna profezia il vero senso si trova il punto d'unione in cui ciascuna concorda con l'altra. Come intenderemo ora ciò che dice lo stesso profeta riguardo al Messia, e cioè che sarà disprezzato e reietto dagli uomini e nessuno racconterà di lui nella generazione futura? Che sarà maltrattato e come un agnello sarà condotto al macello senza aprire la sua bocca? Geremia afferma che i nemici del Messia si uniranno per perseguitarlo, avvelenare il suo pane e cancellare il suo nome dalla terra, ma non prevarranno contro di lui. Davide dice che sarà l'infamia degli uomini, rifiuto del suo popolo e come verme calpestato e disprezzato. Zaccaria invece riferisce che umile cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Tutti i profeti descrivono allo stesso modo il Messia promesso».

764. Il fanciullo Gesù proseguì dicendo: «Ora, come possono accordarsi queste profezie se si ammette che il Messia debba venire con la potenza e la maestà delle armi, per vincere tutti i re e monarchi con la violenza e lo spargimento di sangue altrui? Innanzitutto non si può negare che egli debba venire due volte: la prima per redimere il mondo, la seconda per giudicarlo. Le profezie vanno attribuite a queste due venute, dando a ciascuna il valore che merita. Il fine di esse è diverso, e diverse sono anche le condizioni, e perciò la missione del Messia sarà in esse assai differente. Nella prima venuta il Redentore deve vincere il demonio per sottrargli l'impero che ha acquistato sulle anime con il peccato originale. In primo luogo il Messia deve dare soddisfazione a Dio in nome di tutto il genere umano. Deve poi insegnare agli uomini con le parole e con l'esempio il cammino per giungere alla vita eterna: come essi debbono vincere i nemici, servire e adorare il loro Creatore e redentore e come corrispondere ai doni e benefici ricevuti dalla sua mano usandoli bene. Questo è il fine a cui si deve conformare la sua vita e la sua dottrina nella prima venuta. La seconda riguarda il giudizio universale per dare il compenso o la punizione a seconda delle opere buone o cattive che ciascuno ha compiuto e per dare ai suoi nemici, con furore e sdegno, il castigo meritato. Questo è quanto dicono i profeti riguardo alla seconda venuta.

765. Se vogliamo intendere che la prima venuta sarà con potenza e grandezza e che il Messia, come dice Davide, dominerà da mare a mare e che il suo regno sarà glorioso, secondo quanto affermano i profeti, tutto ciò non riguarda il regno temporale, ma il nuovo regno spirituale che avrà le sue fondamenta in una nuova Chiesa, la quale si dilaterà su tutta la terra con maestà, potenza e ricchezza di grazia e di virtù per combattere il demonio. Così si accordano tra loro tutte le Scritture e non vi è altro significato. Il fatto che il popolo di Dio si trovi ora sotto l'impero romano, senza ristabilirsi nel proprio, non è segno che il Messia non sia ancora venuto, ma anzi è l'infallibile testimonianza che egli è già presente tra di noi. Il nostro patriarca Giacobbe ci lasciò questo segno affinché i suoi discendenti ne venissero a conoscenza guardando la tribù di Giuda senza scettro e governo di Israele. Ora voi dite che né questa né altra tribù nutre alcuna speranza di averlo o recuperarlo. Lo provano anche le sette settimane di cui parla il profeta Daniele, le quali evidentemente sono già compiute. Chi ha memoria si ricorderà di ciò che udì pochi anni fa: a Betlemme, a metà della notte, fu vista una grande luce e ad alcuni poveri pastori fu annunziata la nascita del Redentor. Alcuni Magi giunsero dall'oriente guidati da una stella per adorare il re dei giudei. Le profezie lo avevano preannunciato. Il re Erode, padre di Archelao, credendo imbattibile questo bambino, uccise tutti gli infanti di Betlemme dai due anni in giù per paura che gli succedesse nel regno di Israele.

766. Questa e altre ragioni espresse il bambino Gesù con il potere di chi, domandando, parlava con autorità. Gli scribi e i dottori ammutolirono e stupefatti s'interrogavano tra loro dicendo: «Che meraviglia è questa? Che bambino prodigioso! Da dove è venuto e di chi è figlio questo fanciullo?». Pur rimanendo ammirati, non sapevano né sospettavano chi fosse colui che li ammaestrava e illuminava su una verità così importante. Prima che Gesù avesse terminato il suo discorso, giunsero Maria santissima e il suo castissimo sposo san Giuseppe. Alle sue ultime parole i maestri della legge stupefatti si alzarono in piedi. La divina Madre, piena di grande gioia, si avvicinò al suo amatissimo Figlio e in presenza di tutti disse: «Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo. La Madre pronunciò tale rimprovero con riverenza ed affetto, adorando il suo figlio Gesù come Dio e manifestandogli la sua afflizione come a figlio. Rispose Gesù: «Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?».

767. L 'evangelista san Luca riferisce che essi non compresero le sue parole, perché il mistero era ancora a loro nascosto, per due motivi. Il primo era la gioia interiore provata, dopo tanto dolore, per il ricco tesoro ritrovato; il secondo era l'impossibilità di capire ciò di cui si discuteva perché non erano giunti in tempo. A queste due motivazioni se ne aggiunse una terza che riguardava la nostra Regina: l'intimo del suo santissimo Figlio nel quale ella avrebbe potuto conoscere tutto le era stato nascosto da un velo. I dottori uscirono dal tempio comunicandosi lo stupore destato in loro dall'ascolto di una tale sapienza. La beatissima Madre restando sola con il suo Figlio santissimo gli disse stendendo verso di lui le braccia: «Permettete, Figlio mio, che il mio cuore manifesti il dolore e la pena. Non si consumi la mia vita in questa sofferenza, se vi posso ancora servire. Non allontanatemi dal vostro sguardo, accettatemi come vostra serva. Se vi ho perso di vista per mia negligenza, perdonatemi e rendetemi degna di voi; non castigatemi allontanandovi da me». Il fanciullo Dio l'accolse con tenerezza e le si offrì come maestro e compagno sino al tempo stabilito. Il cuore della gran Signora, confortato da queste parole, trovò pace e insieme si incamminarono verso Nazaret.

768. Quando furono lontani da Gerusalemme e ormai soli, la Madre si prostrò a terra per adorare il suo Figlio santissimo e chiedere la benedizione, perché non aveva potuto fare questo nel tempio, fra la gente, al momento del ritrovamento. Attenta ed accorta non voleva perdere occasione di compiere ogni cosa con la pienezza della sua santità. Il fanciullo Gesù l'alzò da terra e le si rivolse con tenerezza e dolci parole. Subito tolse il velo e alla Madre si manifestò nuovamente l'anima santissima del suo Figlio, con maggiore chiarezza e profondità di prima. La divina Signora conobbe gli intimi misteri e le opere che il suo Figlio aveva compiuto nei tre giorni di assenza. Comprese anche tutto quanto era avvenuto nel tempio con i dottori della legge, ciò che Gesù aveva detto loro e le ragioni per le quali non si era manifestato chiaramente come Messia. Il Signore rivelò molti altri segreti e misteri nascosti alla sua Madre vergine, come scrigno nel quale si depositavano tutti i tesori del Verbo incarnato, affinché ella, per tutti e in tutti, glorificasse e lodasse l'autore di tante meraviglie. La Madre eseguì tutto questo con la compiacenza e l'approvazione dello stesso Signore. Disse poi al fanciullo di riposarsi un poco nella campagna in cui si trovavano e di prendere del cibo. Egli accettò quanto gli veniva offerto dalla mano della gran Signora che, come madre della stessa sapienza, pensava a tutto.

769. Proseguendo il cammino Maria santissima trattò con il suo dolcissimo Figlio i misteri che egli stesso le aveva rivelato interiormente riguardo alla questione discussa con i dottori. Il celeste Maestro le confidò che i dottori e gli scribi non avevano riconosciuto in lui il Messia, per la presunzione e l'arroganza della loro scienza. Infatti le tenebre della superbia oscuravano la loro intelligenza incapace di intuire la luce divina benché fosse immensa quella che il fanciullo aveva offerto loro. Se avessero umilmente disposto la volontà e il desiderio alla verità, le ragioni che egli aveva portato sarebbero state sufficienti per convincerli, ma l'impedimento che avevano frapposto non aveva permesso che ciò accadesse, nonostante la verità fosse così chiara ai loro occhi. In questo viaggio di ritorno il nostro Redentore convertì molte anime alla salvezza facendo della sua Madre santissima uno strumento di queste meraviglie e illuminando attraverso le sue prudenti parole e sante ammonizioni i cuori di coloro ai quali ella parlava. Sanarono molti infermi, consolarono gli afflitti e gli oppressi spargendo ovunque grazie e misericordie ad ogni occasione opportuna. Poiché in altri viaggi compirono opere simili a queste, non mi soffermo ora a riferirne altre; molti capitoli e tanto tempo sarebbero necessari per raccontarle tutte, ma ci sono cose più utili da scrivere in questa Storia.

770. Giunsero a Nazaret e delle loro occupazioni riferirò in seguito. San Luca riassume in sintesi i misteri del suo Vangelo dicendo che il fanciullo Gesù stava sottomesso a Maria santissima e a san Giuseppe e che sua Madre serbava tutte queste cose nel suo cuore, mentre egli cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini. Più avanti dirò ciò che avrò compreso. Ora voglio riferire che l'umiltà e l'obbedienza del nostro Dio e maestro verso sua Madre e suo padre meravigliarono nuovamente gli angeli. Furono stupiti anche per la sublime dignità del la Regina santissima, la quale, degna di essere la Madre del Verbo incarnato, con l'aiuto di san Giuseppe lo accudiva e ne disponeva come di cosa sua. Benché questa attenzione e obbedienza siano conseguenti alla maternità naturale, per fare uso del diritto di madre nel governo di lui le fu necessaria una grazia diversa da quella ricevuta per concepirlo e partorirlo. Per poter svolgere tali ministeri e servizi furono date a Maria santissima grazie confacenti e adeguate. Ella ricevette questa seconda grazia così colma di benefici che riversava parte della sua pienezza nel suo felicissimo sposo san Giuseppe, affinché fosse degno padre putativo di Gesù e capo della famiglia.

771. All'obbedienza del Figlio santissimo verso la Ma dre, ella corrispondeva con azioni eroiche. Fra le altre virtù spiccavano in lei una quasi incomprensibile umiltà e devotissima riconoscenza, perché sua Maestà si era degnato di stare in sua compagnia e di ritornare a lei. Questo beneficio, giudicato nuovo dalla divina Regina perché si reputava indegna, fece sì che nel suo fedelissimo cuore crescessero l'amore e la sollecitudine di servire il suo figlio Dio. Non cessava mai di essere a lui grata, così puntuale, attenta, premurosa nel servirlo sempre inginocchiata nella polvere che destava meraviglia ai serafini più eccelsi. Era inoltre diligente nell'imitarlo in tutte le sue azioni avendo cura e attenzione di copiarle e compierle. Con questa pienezza di santità rapiva il cuore di Cristo nostro Signore. A mio modo d'intendere lo teneva prigioniero con vincoli d'invincibile amore. Poiché egli era strettamente legato a lei come vero Dio e vero figlio, c'era tra loro una reciproca comunicazione e una divina circolazione di amore e di opere, che superava ogni intelletto creato. Nell'oceano di Maria entravano tutte le ricche correnti della grazia e dei benefici del Verbo incarnato senza traboccare mai, perché era sufficientemente capace di riceverle. Queste correnti, però, ritornavano alla loro origine, dato che la felice Madre della sapienza le rimandava a lui perché potessero scorrere un'altra volta, così che questi flussi e riflussi della Divinità andassero e venissero tra il figlio Dio e la sua Madre sola. Questo è il mistero per cui sono ripetute le umili osservazioni della sposa nel Cantico dei Cantici: Il mio diletto è per me e io per lui. Egli pascola il gregge tra i gigli. Prima che spiri la brezza del giorno e si allunghino le ombre. E ancora: Io sono per il mio diletto e il mo diletto è per me.

772. Era necessario che il fuoco dell'amore divino, che ardeva nel petto del nostro Redentore che era venuto ad accenderlo sulla terra, ritrovando materia prossima e disposta quale era il cuore purissimo di sua Madre, compisse ed operasse in sommo grado effetti così illimitati, che solo lo stesso Signore poté conoscere, perché egli solo li poté operare. Soltanto una cosa, di cui mi è stata data intelligenza, si deve notare e cioè che il Verbo incarnato, nelle sue dimostrazioni di amore verso la sua Madre santissima, teneva conto delle azioni e dei gesti non per l'affetto e l'inclinazione naturale di figlio, ma per lo stato che la gran Regina meritava di avere quale viatrice. Sua Maestà sapeva che, se in queste dimostrazioni e favori l'avesse gratificata nella misura del suo amore, le avrebbe un po' impedito, con le continue soddisfazioni delle delizie dell'amato, di meritare tutto ciò che era conveniente. Il Signore, perciò, trattenne in parte questa naturale forza della sua umanità, permettendo che la sua divina Madre, benché fosse così santa, agisse, meritasse e soffrisse, senza ricevere il continuo e dolce premio che avrebbe potuto conseguire con i benefici visibili del suo Figlio santissimo. Per questa ragione ordinariamente il fanciullo Dio aveva maggiore ritegno e serietà. Benché la diligente Signora fosse così sollecita nel servire, provvedere e preparare quanto gli era necessario con incomparabile riguardo, il Figlio santissimo non le rivolgeva tante dimostrazioni di affetto quante ne avrebbe meritate da lui la sollecitudine della Madre.

 

Insegnamento della Regina del cielo

773. Figlia mia, tutte le opere del mio Figlio santissimo e mie sono colme di insegnamenti e istruzioni per gli uomini che le considerano con attenta stima. Sua Maestà si allontanò da me affinché cercandolo con dolore e lacrime lo ritrovassi poi con gioia a mio vantaggio spirituale. Anche tu devi cercare il Signore con amaro dolore, affinché questo dolore ti procuri un'incessante sollecitudine, senza riposare su cosa alcuna per tutto il tempo della tua vita, sino a quando tu non arrivi a possederlo e non lo lasci più. Perché tu comprenda meglio il mistero del Signore, sappi che la sua sapienza infinita plasma le creature capaci della sua eterna felicità ponendole sì sul cammino che conduce ad essa, ma allo stesso tempo così lontane e non sicure di arrivarvi. Fintanto che non siano giunte a possedere l'eterna felicità, vivano sempre pronte e nel dolore, affinché la sollecitudine generi in esse un continuo timore e orrore per il peccato, il quale fa perdere la beatitudine. Anche nel tumulto della conversazione umana la creatura non si lasci legare né avviluppare dalle cose visibili e terrene. Il Creatore aiuta in questa sollecitudine, aggiungendo alla ragione naturale le virtù della fede e della speranza, le quali stimolano l'amore con cui cercare e trovare il fine ultimo. Oltre a queste virtù e ad altre infuse con il battesimo, manda ispirazioni e aiuti per ridestare e rimuovere l'anima lontana dallo stesso Signore, affinché non lo dimentichi né si scordi di se stessa mentre è priva della sua amabile presenza. Anzi continui la sua strada sino a giungere al bene desiderato, dove troverà la pienezza del suo amore e dei suoi desideri.

774. Potrai, dunque, capire quanto grande sia la cecità dei mortali e quanto scarso il numero di coloro che si concedono il tempo di considerare attentamente l'ordine meraviglioso della loro creazione e giustificazione e le opere che l'Altissimo ha compiuto per così alto fine. A questa dimenticanza fanno seguito tanti mali, quanti ne soffrono le creature attaccandosi al possesso dei beni terreni e dei piaceri ingannevoli, come se questi fossero la loro felicità e il fine ultimo: è cattiveria grande rivolta contro la volontà del Signore. I mortali vogliono in questa breve e transitoria vita dilettarsi di ciò che è visibile, come se fosse il loro ultimo fine, mentre dovrebbero usare le creature come mezzo per raggiungere il sommo Bene e non per perderlo. Avverti, dunque, o carissima, questo rischio della stoltezza umana. Tutto ciò che è dilettevole, piacevole e poco serio giudicalo un errore; di' all'appagamento dei sensi che si lascia ingannare invano e che è madre della stoltezza, rende il cuore ubriaco, impedisce e distrugge tutta la vera sapienza. Vivi sempre con il santo timore di perdere la vita eterna e sino a quando non l'avrai raggiunta non ti rallegrare in altre cose se non nel Signore. Fuggi dalle conversazioni umane e temine i pericoli. Se per obbedienza o a gloria sua Dio ti porrà in mezzo ad essi, devi confidare nella sua protezione, e tuttavia con la necessaria prudenza non devi essere né svogliata né negligente. Non ti affidare all'amicizia e alla relazione con le creature, perché vi è riposto il tuo pericolo più grande. Il Signore ti ha dato un animo grato e un'indole dolce, affinché tu sia incline a non resistergli nelle sue opere, usando per suo amore i benefici che ti ha concesso. Se permetterai che in te entri l'amore delle creature, queste sicuramente ti trasporteranno, allontanandoti dal sommo Bene. Altererai, così, l'ordine e le opere della sua sapienza infinita. È cosa molto indegna utilizzare il più grande beneficio della natura con un oggetto che non sia il più nobile di tutta la natura stessa. Sublima le azioni delle tue facoltà e rappresenta ad esse l'oggetto nobilissimo dell'essere di Dio e del suo Figlio diletto tuo sposo, il più bello tra i figli dell'uomo, e amalo con tutto il tuo cuore, la tua anima e la tua mente.


6 maggio 1944

Madre Pierina Micheli

Mio Dio, non ne posso più... la notte è stata terribile.. val la pena a non pensarci... ubbidienza assoluta...