Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 22° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Marco 3
1Entrò di nuovo nella sinagoga. C'era un uomo che aveva una mano inaridita,2e lo osservavano per vedere se lo guariva in giorno di sabato per poi accusarlo.3Egli disse all'uomo che aveva la mano inaridita: "Mettiti nel mezzo!".4Poi domandò loro: "È lecito in giorno di sabato fare il bene o il male, salvare una vita o toglierla?".5Ma essi tacevano. E guardandoli tutt'intorno con indignazione, rattristato per la durezza dei loro cuori, disse a quell'uomo: "Stendi la mano!". La stese e la sua mano fu risanata.6E i farisei uscirono subito con gli erodiani e tennero consiglio contro di lui per farlo morire.
7Gesù intanto si ritirò presso il mare con i suoi discepoli e lo seguì molta folla dalla Galilea.8Dalla Giudea e da Gerusalemme e dall'Idumea e dalla Transgiordania e dalle parti di Tiro e Sidone una gran folla, sentendo ciò che faceva, si recò da lui.9Allora egli pregò i suoi discepoli che gli mettessero a disposizione una barca, a causa della folla, perché non lo schiacciassero.10Infatti ne aveva guariti molti, così che quanti avevano qualche male gli si gettavano addosso per toccarlo.
11Gli spiriti immondi, quando lo vedevano, gli si gettavano ai piedi gridando: "Tu sei il Figlio di Dio!".12Ma egli li sgridava severamente perché non lo manifestassero.
13Salì poi sul monte, chiamò a sé quelli che egli volle ed essi andarono da lui.14Ne costituì Dodici che stessero con lui15e anche per mandarli a predicare e perché avessero il potere di scacciare i demòni.
16Costituì dunque i Dodici: Simone, al quale impose il nome di Pietro;17poi Giacomo di Zebedèo e Giovanni fratello di Giacomo, ai quali diede il nome di Boanèrghes, cioè figli del tuono;18e Andrea, Filippo, Bartolomeo, Matteo, Tommaso, Giacomo di Alfeo, Taddeo, Simone il Cananèo19e Giuda Iscariota, quello che poi lo tradì.
20Entrò in una casa e si radunò di nuovo attorno a lui molta folla, al punto che non potevano neppure prendere cibo.21Allora i suoi, sentito questo, uscirono per andare a prenderlo; poiché dicevano: "È fuori di sé".
22Ma gli scribi, che erano discesi da Gerusalemme, dicevano: "Costui è posseduto da Beelzebùl e scaccia i demòni per mezzo del principe dei demòni".23Ma egli, chiamatili, diceva loro in parabole: "Come può satana scacciare satana?24Se un regno è diviso in se stesso, quel regno non può reggersi;25se una casa è divisa in se stessa, quella casa non può reggersi.26Alla stessa maniera, se satana si ribella contro se stesso ed è diviso, non può resistere, ma sta per finire.27Nessuno può entrare nella casa di un uomo forte e rapire le sue cose se prima non avrà legato l'uomo forte; allora ne saccheggerà la casa.28In verità vi dico: tutti i peccati saranno perdonati ai figli degli uomini e anche tutte le bestemmie che diranno;29ma chi avrà bestemmiato contro lo Spirito santo, non avrà perdono in eterno: sarà reo di colpa eterna".30Poiché dicevano: "È posseduto da uno spirito immondo".
31Giunsero sua madre e i suoi fratelli e, stando fuori, lo mandarono a chiamare.32Tutto attorno era seduta la folla e gli dissero: "Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori e ti cercano".33Ma egli rispose loro: "Chi è mia madre e chi sono i miei fratelli?".34Girando lo sguardo su quelli che gli stavano seduti attorno, disse: "Ecco mia madre e i miei fratelli!35Chi compie la volontà di Dio, costui è mio fratello, sorella e madre".
Numeri 33
1Queste sono le tappe degli Israeliti che uscirono dal paese d'Egitto, ordinati secondo le loro schiere, sotto la guida di Mosè e di Aronne.2Mosè scrisse i loro punti di partenza, tappa per tappa, per ordine del Signore; queste sono le loro tappe nell'ordine dei loro punti di partenza.
3Partirono da Ramses il primo mese, il quindici del primo mese. Il giorno dopo la pasqua, gli Israeliti uscirono a mano alzata, alla vista di tutti gli Egiziani,4mentre gli Egiziani seppellivano quelli che il Signore aveva colpiti fra di loro, cioè tutti i primogeniti, quando il Signore aveva fatto giustizia anche dei loro dèi.
5Gli Israeliti partirono dunque da Ramses e si accamparono a Succot.6Partirono da Succot e si accamparono a Etam che è sull'estremità del deserto.7Partirono da Etam e piegarono verso Pi-Achirot, che è di fronte a Baal-Zefon, e si accamparono davanti a Migdol.8Partirono da Pi-Achirot, attraversarono il mare in direzione del deserto, fecero tre giornate di marcia nel deserto di Etam e si accamparono a Mara.9Partirono da Mara e giunsero ad Elim; ad Elim c'erano dodici sorgenti di acqua e settanta palme; qui si accamparono.10Partirono da Elim e si accamparono presso il Mare Rosso.11Partirono dal Mare Rosso e si accamparono nel deserto di Sin.12Partirono dal deserto di Sin e si accamparono a Dofka.13Partirono da Dofka e si accamparono ad Alus.14Partirono da Alus e si accamparono a Refidim dove non c'era acqua da bere per il popolo.15Partirono da Refidim e si accamparono nel deserto del Sinai.
16Partirono dal deserto del Sinai e si accamparono a Kibrot-Taava.17Partirono da Kibrot-Taava e si accamparono a Cazerot.18Partirono da Cazerot e si accamparono a Ritma.19Partirono da Ritma e si accamparono a Rimmon-Perez.20Partirono da Rimmon-Perez e si accamparono a Libna.21Partirono da Libna e si accamparono a Rissa.22Partirono da Rissa e si accamparono a Keelata.23Partirono da Keelata e si accamparono al monte Sefer.24Partirono dal monte Sefer e si accamparono ad Arada.25Partirono da Arada e si accamparono a Makelot.26Partirono da Makelot e si accamparono a Tacat.27Partirono da Tacat e si accamparono a Terach.28Partirono da Terach e si accamparono a Mitka.29Partirono da Mitka e si accamparono ad Asmona.30Partirono da Asmona e si accamparono a Moserot.31Partirono da Moserot e si accamparono a Bene-Iaakan.32Partirono da Bene-Iaakan e si accamparono a Or-Ghidgad.33Partirono da Or-Ghidgad e si accamparono a Iotbata.34Partirono da Iotbata e si accamparono ad Abrona.35Partirono da Abrona e si accamparono a Ezion-Gheber.
36Partirono da Ezion-Gheber e si accamparono nel deserto di Sin, cioè a Kades.37Poi partirono da Kades e si accamparono al monte Or all'estremità del paese di Edom.38Il sacerdote Aronne salì sul monte Or per ordine del Signore e in quel luogo morì il quarantesimo anno dopo l'uscita degli Israeliti dal paese d'Egitto, il quinto mese, il primo giorno del mese.39Aronne era in età di centoventitré anni quando morì sul monte Or.40Il cananeo re di Arad, che abitava nel Negheb, nel paese di Canaan, venne a sapere che gli Israeliti arrivavano.
41Partirono dal monte Or e si accamparono a Salmona.42Partirono da Salmona e si accamparono a Punon.43Partirono da Punon e si accamparono a Obot.44Partirono da Obot e si accamparono a Iie-Abarim sui confini di Moab.45Partirono da Iie-Abarim e si accamparono a Dibon-Gad.46Partirono da Dibon-Gad e si accamparono ad Almon-Diblataim.47Partirono da Almon-Diblataim e si accamparono ai monti Abarim di fronte a Nebo.48Partirono dai monti Abarim e si accamparono nelle steppe di Moab, presso il Giordano di Gèrico.49Si accamparono presso il Giordano, da Bet-Iesimot fino ad Abel-Sittim nelle steppe di Moab.
50Il Signore disse a Mosè nelle steppe di Moab presso il Giordano di Gèrico:51"Parla agli Israeliti e riferisci loro: Quando avrete passato il Giordano e sarete entrati nel paese di Canaan,52caccerete dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese, distruggerete tutte le loro immagini, distruggerete tutte le loro statue di metallo fuso e distruggerete tutte le loro alture.53Prenderete possesso del paese e in esso vi stabilirete, perché io vi ho dato il paese in proprietà.54Dividerete il paese a sorte secondo le vostre famiglie. A quelle che sono più numerose darete una porzione maggiore e a quelle che sono meno numerose darete una porzione minore. Ognuno avrà quello che gli sarà toccato in sorte; farete la divisione secondo le tribù dei vostri padri.55Ma se non cacciate dinanzi a voi gli abitanti del paese, quelli di loro che vi avrete lasciati saranno per voi come spine negli occhi e pungoli nei fianchi e vi faranno tribolare nel paese che abiterete.56Allora io tratterò voi come mi ero proposto di trattare loro".
Salmi 18
1'Al maestro del coro. Di Davide, servo del Signore, che rivolse al Signore le parole di questo canto, quando il Signore lo liberò dal potere di tutti i suoi nemici,2 e dalla mano di Saul. Disse dunque:'
Ti amo, Signore, mia forza,
3Signore, mia roccia, mia fortezza, mio liberatore;
mio Dio, mia rupe, in cui trovo riparo;
mio scudo e baluardo, mia potente salvezza.
4Invoco il Signore, degno di lode,
e sarò salvato dai miei nemici.
5Mi circondavano flutti di morte,
mi travolgevano torrenti impetuosi;
6già mi avvolgevano i lacci degli inferi,
già mi stringevano agguati mortali.
7Nel mio affanno invocai il Signore,
nell'angoscia gridai al mio Dio:
dal suo tempio ascoltò la mia voce,
al suo orecchio pervenne il mio grido.
8La terra tremò e si scosse;
vacillarono le fondamenta dei monti,
si scossero perché egli era sdegnato.
9Dalle sue narici saliva fumo,
dalla sua bocca un fuoco divorante;
da lui sprizzavano carboni ardenti.
10Abbassò i cieli e discese,
fosca caligine sotto i suoi piedi.
11Cavalcava un cherubino e volava,
si librava sulle ali del vento.
12Si avvolgeva di tenebre come di velo,
acque oscure e dense nubi lo coprivano.
13Davanti al suo fulgore si dissipavano le nubi
con grandine e carboni ardenti.
14Il Signore tuonò dal cielo,
l'Altissimo fece udire la sua voce:
grandine e carboni ardenti.
15Scagliò saette e li disperse,
fulminò con folgori e li sconfisse.
16Allora apparve il fondo del mare,
si scoprirono le fondamenta del mondo,
per la tua minaccia, Signore,
per lo spirare del tuo furore.
17Stese la mano dall'alto e mi prese,
mi sollevò dalle grandi acque,
18mi liberò da nemici potenti,
da coloro che mi odiavano
ed eran più forti di me.
19Mi assalirono nel giorno di sventura,
ma il Signore fu mio sostegno;
20mi portò al largo,
mi liberò perché mi vuol bene.
21Il Signore mi tratta secondo la mia giustizia,
mi ripaga secondo l'innocenza delle mie mani;
22perché ho custodito le vie del Signore,
non ho abbandonato empiamente il mio Dio.
23I suoi giudizi mi stanno tutti davanti,
non ho respinto da me la sua legge;
24ma integro sono stato con lui
e mi sono guardato dalla colpa.
25Il Signore mi rende secondo la mia giustizia,
secondo l'innocenza delle mie mani davanti ai suoi occhi.
26Con l'uomo buono tu sei buono
con l'uomo integro tu sei integro,
27con l'uomo puro tu sei puro,
con il perverso tu sei astuto.
28Perché tu salvi il popolo degli umili,
ma abbassi gli occhi dei superbi.
29Tu, Signore, sei luce alla mia lampada;
il mio Dio rischiara le mie tenebre.
30Con te mi lancerò contro le schiere,
con il mio Dio scavalcherò le mura.
31La via di Dio è diritta,
la parola del Signore è provata al fuoco;
egli è scudo per chi in lui si rifugia.
32Infatti, chi è Dio, se non il Signore?
O chi è rupe, se non il nostro Dio?
33Il Dio che mi ha cinto di vigore
e ha reso integro il mio cammino;
34mi ha dato agilità come di cerve,
sulle alture mi ha fatto stare saldo;
35ha addestrato le mie mani alla battaglia,
le mie braccia a tender l'arco di bronzo.
36Tu mi hai dato il tuo scudo di salvezza,
la tua destra mi ha sostenuto,
la tua bontà mi ha fatto crescere.
37Hai spianato la via ai miei passi,
i miei piedi non hanno vacillato.
38Ho inseguito i miei nemici e li ho raggiunti,
non sono tornato senza averli annientati.
39Li ho colpiti e non si sono rialzati,
sono caduti sotto i miei piedi.
40Tu mi hai cinto di forza per la guerra,
hai piegato sotto di me gli avversari.
41Dei nemici mi hai mostrato le spalle,
hai disperso quanti mi odiavano.
42Hanno gridato e nessuno li ha salvati,
al Signore, ma non ha risposto.
43Come polvere al vento li ho dispersi,
calpestati come fango delle strade.
44Mi hai scampato dal popolo in rivolta,
mi hai posto a capo delle nazioni.
Un popolo che non conoscevo mi ha servito;
45all'udirmi, subito mi obbedivano,
stranieri cercavano il mio favore,
46impallidivano uomini stranieri
e uscivano tremanti dai loro nascondigli.
47Viva il Signore e benedetta la mia rupe,
sia esaltato il Dio della mia salvezza.
48Dio, tu mi accordi la rivincita
e sottometti i popoli al mio giogo,
49mi scampi dai nemici furenti,
dei miei avversari mi fai trionfare
e mi liberi dall'uomo violento.
50Per questo, Signore, ti loderò tra i popoli
e canterò inni di gioia al tuo nome.
51Egli concede al suo re grandi vittorie,
si mostra fedele al suo consacrato,
a Davide e alla sua discendenza per sempre.
Salmi 105
1Alleluia.
Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere.
2Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi.
3Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.
4Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.
5Ricordate le meraviglie che ha compiute,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca:
6voi stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.
7È lui il Signore, nostro Dio,
su tutta la terra i suoi giudizi.
8Ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
9l'alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco.
10La stabilì per Giacobbe come legge,
come alleanza eterna per Israele:
11"Ti darò il paese di Cànaan
come eredità a voi toccata in sorte".
12Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quella terra,
13e passavano di paese in paese,
da un regno ad un altro popolo,
14non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
15"Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti".
16Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane.
17Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19finché si avverò la sua predizione
e la parola del Signore gli rese giustizia.
20Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21lo pose signore della sua casa,
capo di tutti i suoi averi,
22per istruire i capi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.
23E Israele venne in Egitto,
Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero.
24Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi nemici.
25Mutò il loro cuore
e odiarono il suo popolo,
contro i suoi servi agirono con inganno
26Mandò Mosè suo servo
e Aronne che si era scelto.
27Compì per mezzo loro i segni promessi
e nel paese di Cam i suoi prodigi.
28Mandò le tenebre e si fece buio,
ma resistettero alle sue parole.
29Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30Il loro paese brulicò di rane
fino alle stanze dei loro sovrani.
31Diede un ordine e le mosche vennero a sciami
e le zanzare in tutto il loro paese.
32Invece delle piogge mandò loro la grandine,
vampe di fuoco sul loro paese.
33Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi della loro terra.
34Diede un ordine e vennero le locuste
e bruchi senza numero;
35divorarono tutta l'erba del paese
e distrussero il frutto del loro suolo.
36Colpì nel loro paese ogni primogenito,
tutte le primizie del loro vigore.
37Fece uscire il suo popolo con argento e oro,
fra le tribù non c'era alcun infermo.
38L'Egitto si rallegrò della loro partenza
perché su di essi era piombato il terrore.
39Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.
40Alla loro domanda fece scendere le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque,
scorrevano come fiumi nel deserto,
42perché ricordò la sua parola santa
data ad Abramo suo servo.
43Fece uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44Diede loro le terre dei popoli,
ereditarono la fatica delle genti,
45perché custodissero i suoi decreti
e obbedissero alle sue leggi.
Alleluia.
Daniele 10
1L'anno terzo di Ciro re dei Persiani, fu rivelata una parola a Daniele, chiamato Baltazzàr. Vera è la parola e la lotta è grande. Egli comprese la parola e gli fu dato d'intendere la visione.
2In quel tempo io, Daniele, feci penitenza per tre settimane,3non mangiai cibo prelibato, non mi entrò in bocca né carne né vino e non mi unsi d'unguento finché non furono compiute tre settimane.4Il giorno ventiquattro del primo mese, mentre stavo sulla sponda del gran fiume, cioè il Tigri,5alzai gli occhi e guardai ed ecco un uomo vestito di lino, con ai fianchi una cintura d'oro di Ufàz;6il suo corpo somigliava a topazio, la sua faccia aveva l'aspetto della folgore, i suoi occhi erano come fiamme di fuoco, le sue braccia e le gambe somigliavano a bronzo lucente e il suono delle sue parole pareva il clamore di una moltitudine.
7Soltanto io, Daniele, vidi la visione, mentre gli uomini che erano con me non la videro, ma un gran terrore si impadronì di loro e fuggirono a nascondersi.8Io rimasi solo a contemplare quella grande visione, mentre mi sentivo senza forze; il mio colorito si fece smorto e mi vennero meno le forze.
9Udii il suono delle sue parole, ma, appena udito il suono delle sue parole, caddi stordito con la faccia a terra.
10Ed ecco, una mano mi toccò e tutto tremante mi fece alzare sulle ginocchia, appoggiato sulla palma delle mani.11Poi egli mi disse: "Daniele, uomo prediletto, intendi le parole che io ti rivolgo, alzati in piedi, poiché ora sono stato mandato a te". Quando mi ebbe detto questo, io mi alzai in piedi tutto tremante.
12Egli mi disse: "Non temere, Daniele, poiché fin dal primo giorno in cui ti sei sforzato di intendere, umiliandoti davanti a Dio, le tue parole sono state ascoltate e io sono venuto per le tue parole.13Ma il principe del regno di Persia mi si è opposto per ventun giorni: però Michele, uno dei primi prìncipi, mi è venuto in aiuto e io l'ho lasciato là presso il principe del re di Persia;14ora sono venuto per farti intendere ciò che avverrà al tuo popolo alla fine dei giorni, poiché c'è ancora una visione per quei giorni".15Mentre egli parlava con me in questa maniera, chinai la faccia a terra e ammutolii.
16Ed ecco uno con sembianze di uomo mi toccò le labbra: io aprii la bocca e parlai e dissi a colui che era in piedi davanti a me: "Signor mio, nella visione i miei dolori sono tornati su di me e ho perduto tutte le energie.17Come potrebbe questo servo del mio signore parlare con il mio signore, dal momento che non è rimasto in me alcun vigore e mi manca anche il respiro?".18Allora di nuovo quella figura d'uomo mi toccò, mi rese le forze19e mi disse: "Non temere, uomo prediletto, pace a te, riprendi forza, rinfrancati". Mentre egli parlava con me, io mi sentii ritornare le forze e dissi: "Parli il mio signore perché tu mi hai ridato forza".
20Allora mi disse: "Sai tu perché io sono venuto da te? Ora tornerò di nuovo a lottare con il principe di Persia, poi uscirò ed ecco verrà il principe di Grecia.21Io ti dichiarerò ciò che è scritto nel libro della verità. Nessuno mi aiuta in questo se non Michele, il vostro principe,
Prima lettera ai Corinzi 3
1Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali, come a neonati in Cristo.2Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete;3perché siete ancora carnali: dal momento che c'è tra voi invidia e discordia, non siete forse carnali e non vi comportate in maniera tutta umana?
4Quando uno dice: "Io sono di Paolo", e un altro: "Io sono di Apollo", non vi dimostrate semplicemente uomini?
5Ma che cosa è mai Apollo? Cosa è Paolo? Ministri attraverso i quali siete venuti alla fede e ciascuno secondo che il Signore gli ha concesso.6Io ho piantato, Apollo ha irrigato, ma è Dio che ha fatto crescere.7Ora né chi pianta, né chi irrìga è qualche cosa, ma Dio che fa crescere.8Non c'è differenza tra chi pianta e chi irrìga, ma ciascuno riceverà la sua mercede secondo il proprio lavoro.9Siamo infatti collaboratori di Dio, e voi siete il campo di Dio, l'edificio di Dio.
10Secondo la grazia di Dio che mi è stata data, come un sapiente architetto io ho posto il fondamento; un altro poi vi costruisce sopra. Ma ciascuno stia attento come costruisce.11Infatti nessuno può porre un fondamento diverso da quello che già vi si trova, che è Gesù Cristo.12E se, sopra questo fondamento, si costruisce con oro, argento, pietre preziose, legno, fieno, paglia,13l'opera di ciascuno sarà ben visibile: la farà conoscere quel giorno che si manifesterà col fuoco, e il fuoco proverà la qualità dell'opera di ciascuno.14Se l'opera che uno costruì sul fondamento resisterà, costui ne riceverà una ricompensa;15ma se l'opera finirà bruciata, sarà punito: tuttavia egli si salverà, però come attraverso il fuoco.16Non sapete che siete tempio di Dio e che lo Spirito di Dio abita in voi?17Se uno distrugge il tempio di Dio, Dio distruggerà lui. Perché santo è il tempio di Dio, che siete voi.
18Nessuno si illuda. Se qualcuno tra voi si crede un sapiente in questo mondo, si faccia stolto per diventare sapiente;19perché la sapienza di questo mondo è stoltezza davanti a Dio. Sta scritto infatti:
'Egli prende i sapienti per mezzo della loro astuzia'.
20E ancora:
'Il Signore sa che i disegni dei sapienti sono vani'.
21Quindi nessuno ponga la sua gloria negli uomini, perché tutto è vostro:22Paolo, Apollo, Cefa, il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro: tutto è vostro!23Ma voi siete di Cristo e Cristo è di Dio.
Capitolo VI: Chi ha vero amore, come ne dà prova
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore. Perché, o Signore? Perché, per una piccola contrarietà lasci la strada intrapresa e troppo avidamente cerchi consolazione. Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede alla suadente furbizia del nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così gli sono caro nelle avversità. Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona. Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona amata. Chi è nobile nell'amore non si appaga nel dono, ma si appaga in me, al di sopra di qualunque dono. Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai l'animo meno ben disposto di quanto vorresti, non per questo tutto è perduto. Quell'amore che talora senti, buono e dolce, è effetto della grazia presente in te; è, per così dire, un primo assaggio della patria celeste. Ma è cosa su cui non bisogna fare troppo conto, perché non è ferma e costante.
2. Segno di virtù e di grande merito, è questo: lottare quando si affacciano cattivi impulsi dell'animo, e disprezzare le suggestioni del diavolo. Dunque non lasciarti turbare da alcun pensiero che ti venga dal di fuori, di qualsivoglia natura. Saldamente mantieni, invece, i tuoi propositi, con l'animo diretto a Dio. Non è una vana illusione che, talvolta, tu sia d'un tratto portato fino all'estremo rapimento, per poi ritornare subito alle consuete manchevolezze spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma le subisci contro tua voglia. Anzi, fino a che tali manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti, questo è cosa meritoria, non già rovinosa per l'anima. Sappi che l'antico avversario tenta in ogni modo di ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti da qualsiasi esercizio di devozione; distogliendoti, cioè dal culto dei santi, dal pio ricordo della mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi peccati, dalla vigilanza del tuo cuore; infine dal fermo proponimento di progredire nella virtù. L'antico avversario insinua molti pensieri perversi, per molestarti e spaventarti, per distoglierti dalla preghiera e dalle sante letture. Lo disgusta che uno umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe disertare dalla comunione. Non credergli, non badargli, anche se ti avrà teso sovente i lacci dell'inganno. Ascrivile a lui, quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli: vattene, spirito impuro; arrossisci, miserabile. Veramente immondo sei tu, che fai entrare nei miei orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido ingannatore; non avrai alcun posto in me: presso di me starà Gesù, come un combattente valoroso; e tu sarai svergognato. Preferisco morire e patire qualsiasi pena, piuttosto che cedere a te. Taci, ammutolisci; non ti ascolterò più, per quante insidie tu mi possa tendere. "Il Signore è per me luce e salvezza; di chi avrò paura? (Sal 26,1). Anche se fossero eretti contro di me interi accampamenti, il mio cuore non vacillerà (Sal 26,3). Il Signore è il mio alleato e il mio redentore" (Sal 18,15).
3. Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta cadi per la tua debolezza, riprendi forza maggiore, fiducioso in una mia grazia più grande, guardandoti però attentamente dalla vana compiacenza e dalla superbia: è a causa di esse che molti vengono indotti in inganno, cadendo talora in una cecità pressoché incurabile. E' questa rovina degli uomini superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve indurre a prudenza e ad indefettibile umiltà.
LETTERA 237: Agostino a Cerezio su alcune opere inviategli che sanno d'eresia.
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta dopo il 395.
Agostino a Cerezio su alcune opere inviategli che sanno d'eresia (nn. 1-2), sui Priscillianisti fraudolenti espositori delle Scritture anche apocrife (nn. 3-4), su un fittizio e oscuro inno pronunciato da Cristo da essi preferito ai Libri canonici (nn. 5-9).
AGOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI A CEREZIO, BEATISSIMO SIGNORE, MERITAMENTE VENERANDO FRATELLO E COLLEGA DI EPISCOPATO
L'eresia dei Priscillianisti.
1. Dopo aver letto la tua lettera, ho l'impressione che Argirio sia caduto nell'eresia priscillianista o, senza accorgersene, come se ignorasse addirittura l'esistenza dei Priscillianisti o che già da tempo fosse impigliato nelle reti della stessa eresia. Non ho infatti alcun dubbio che quelle scritture siano opera dei Priscillianisti. Venendo però fuori, uno appresso all'altro, senza interruzione, sempre nuovi bisogni urgenti, ho potuto avere appena, alla bell'e meglio, tempo di leggere, tuttavia per intero, uno solo dei due manoscritti. L'altro, non so come, è andato smarrito e, per quante ricerche abbia fatte tra le mie carte, non mi è stato assolutamente possibile rintracciarlo, o mio carissimo signore e padre venerando.
Molti eretici accolgono solo i libri apocrifi.
2. L'inno che attribuiscono a nostro Signore Gesù Cristo e che ha prodotto grandissimo imbarazzo alla Santità tua si trova certamente tra le scritture apocrife. Tali scritture però non sono esclusive dei Priscillianisti, poiché le usano anche altri eretici di alcune sette a causa dell'empietà del loro errore. Essi hanno bensì opinioni disparate tra loro, secondo le quali ciascuno di loro suole seguire le sue varie eresie, ma, nella loro diversità, hanno in comune tali scritture e le usano frequentemente, specialmente quelli che ripudiano la Legge e i Profeti inclusi nel cànone, perché dicono che non hanno alcuna relazione al Dio buono e al Figlio suo Gesù Cristo, come i Manichei, i Marcioniti e tutti gli altri che preferiscono simile esecranda e blasfema opinione. Costoro non accolgono neppure tutto ciò che si trova nei libri canonici del Nuovo Testamento, cioè negli scritti genuini degli Evangelisti e degli Apostoli, ma solo ciò che vogliono, e scelgono i libri che vogliono, ripudiando gli altri. Ma anche nei singoli libri distinguono i passi che reputano convenienti ai loro errori e gli altri li ritengono falsi. Alcuni Manichei infatti ripudiano il libro intitolato Atti degli Apostoli, perché hanno paura della parola di Dio quanto mai evidente contenuta in essi, ove è chiaro l'invio dello Spirito Santo promesso da nostro Signore Gesù Cristo nel Vangelo 1. Essi infatti, col nome dello Spirito Santo, da cui sono del tutto lontani, ingannano la gente ignorante asserendo, con incredibile cecità, che quella promessa del Signore s'è avverata nella persona del loro eresiarca Mani. Lo stesso fanno gli eretici chiamati Catafrigi, i quali asseriscono che lo Spirito Santo, che il Signore promise d'inviare 2, è venuto nella persona di non so quali pazzi, vale a dire Montano e Priscilla, da essi ritenuti come loro propri profeti particolari.
I Priscillianisti falsi interpreti della Scrittura.
3. I Priscillianisti invece accolgono indifferentemente tutti i libri, tanto quelli canonici quanto quelli apocrifi, ma tutto ciò ch'è contrario ad essi, lo svisano nel senso cònsono alla propria eresia con delle spiegazioni ora avvedute e scaltre, ora ridicole e stupide. Lo svisano in modo che non credono vero neppure ciò che essi spiegano agli individui estranei alla loro setta, altrimenti o sarebbero cattolici o non molto lontani dalla verità, perché in tal caso o troverebbero o darebbero a vedere di voler trovare nelle stesse scritture apocrife significati conformi alla dottrina cattolica. Tra loro, invece, hanno opinioni diverse da quelle che insegnano o imparano nelle loro conventicole, che però non osano rivelare agli altri poiché sono davvero detestabili e scellerate; ciononostante predicano la fede cattolica alle persone di cui hanno paura, non perché ci credano, ma perché vi si nascondono. Si possono forse trovare degli eretici più diabolici, ma nessuno di essi potrebbe essere paragonato a costoro per la falsità. Poiché gli altri, tenuto conto di quel che sono i vizi umani, mentiscono per l'abitudine o per la debolezza, proprie della nostra vita; di costoro invece si riferisce che, proprio nel nefasto insegnamento della loro eresia, hanno il precetto di mentire perfino con falso giuramento per nascondere le loro proprie opinioni. Quelli che li conoscono per esperienza, perché appartenenti alla loro setta, e ne sono stati liberati dalla misericordia di Dio, citano queste precise parole di quel precetto: Giura, spergiura, non rivelare mai il segreto.
Per i Priscillianisti la Scrittura contiene menzogne.
4. Affinché quindi si veda, senza difficoltà alcuna, quanto i Priscillianisti non credano ciò che fingono di esporre, riguardo alle scritture apocrife, deve considerarsi la ragione che sembrano dare, perché si attribuisca a quelle scritture un'autorità quasi divina e, quel ch'è peggio, si preferiscano perfino a quelle canoniche. Eccoti qui le loro parole scritte in quel loro libro: " Inno del Signore, recitato dal medesimo ai santi Apostoli suoi discepoli, poiché sta scritto nel Vangelo: E dopo aver cantato l'inno, salì sul colle 3; quest'inno non è stato incluso nel cànone per causa di coloro che pensano secondo il proprio criterio e non secondo lo spirito e la verità di Dio, poiché sta scritto: È bene tener nascosto il segreto del re, mentre è cosa onorifica manifestare le opere di Dio 4 ". Ecco l'importante spiegazione ch'essi danno del perché quell'inno non è incluso nel cànone, perché cioè doveva essere nascosto come un segreto del re a quanti pensano secondo il proprio criterio e non secondo lo spirito e la verità di Dio 5. Sicché le Scritture canoniche non hanno alcuna attinenza col segreto di Dio, segreto che, secondo loro, deve esser tenuto nascosto, e sono state composte per coloro i quali giudicano secondo la carne e non secondo lo spirito la verità di Dio! Che cos'altro vuol dire questo se non affermare che le Scritture canoniche non sono impregnate della sapienza dello spirito di Dio, né hanno attinenza alla verità di Dio? Chi potrebbe ascoltare una simile cosa e sopportare un'empietà sì mostruosa? Se poi le Scritture canoniche sono intese spiritualmente dagli spirituali e carnalmente dai carnali, perché mai quest'inno non è anch'esso nel cànone, se anch'esso venisse inteso spiritualmente dagli spirituali e carnalmente dai carnali?
Un falso inno di Cristo.
5. In secondo luogo, perché mai costoro si sforzano di spiegare il medesimo inno nel senso conforme a quello delle Scritture canoniche? Infatti se quest'inno è escluso dalle Scritture canoniche, perché queste sono state scritte per i carnali, mentre l'inno per gli spirituali, in qual modo dunque viene spiegato un inno, che non riguarda gli individui carnali, nel senso conforme a quello delle Scritture canoniche, destinate ai soli carnali? Così, per esempio, in quest'inno si canta e si afferma: Voglio sciogliere ed essere sciolto, perché - così spiegano i Priscillianisti - Cristo nostro Signore ci libera dalle abitudini mondane, perché non ci leghiamo un'altra volta al mondo. Ora, noi abbiamo imparato ciò appunto nelle Scritture canoniche, abbiamo imparato cioè che dalle abitudini mondane ci libera il Signore e non dobbiamo legarci di nuovo al mondo. Che cos'altro infatti vogliono dire le seguenti parole del Salmista: Hai spezzato le mie catene 6 e queste altre: Il Signore libera i prigionieri 7 ? A coloro poi che sono stati già liberati l'Apostolo dice: State saldi e non lasciatevi imporre di nuovo il giogo della schiavitù 8; e S. Pietro dice: Se, dopo aver fuggito le sozzure del mondo mediante la conoscenza del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, si lasciano nuovamente impigliare e vincere da esse, l'ultima loro condizione è peggiore di quella di prima 9, volendo mostrare con questo che, una volta sciolti dai legami del mondo, non dobbiamo lasciarcene nuovamente legare. Orbene, queste verità si trovano insegnate nei libri canonici, come risulta sia dai passi che ho citati, sia da moltissimi altri, che non cessano mai d'essere letti e predicati; perché mai, allora, costoro affermano che quest'inno in cui - per usare il loro linguaggio - sono espresse frasi oscurissime, non si trova nel cànone affinché non fossero svelate ai carnali, mentre al contrario le vediamo svelate proprio nel cànone, e invece del tutto velate in quest'inno, come asseriscono proprio essi? Del resto, come noi dobbiamo piuttosto credere, non sono quelle, ma non so quali altre, le espressioni ch'essi molto maggiormente velano, con quella spiegazione, e hanno paura di svelare.
Assurda spiegazione dell'inno.
6. Mi spiego meglio: se con quelle parole si volesse indicare che è il Signore a liberarci dalle abitudini del mondo al fine di non lasciarcene legare di nuovo, non direbbe: " Voglio sciogliere ed essere sciolto ", ma: " Voglio sciogliere e tutti quelli che avrò sciolti non voglio che siano incatenati di nuovo ". Oppure, se il Signore parlasse in persona delle sue membra, cioè dei suoi fedeli, allo stesso modo che dice: Ebbi fame e mi deste da mangiare 10, così direbbe piuttosto: " Voglio essere sciolto e non essere più legato ". Oppure si vuol forse dire che il Signore scioglie ed è sciolto per il fatto ch'è il capo a liberare le sue membra ch'erano perseguitate da colui al quale Cristo dal cielo gridò: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? 11 In verità però l'espositore di queste parole non dice così; ma anche se lo avesse detto, noi gli risponderemmo come gli abbiamo già risposto e cioè: " Noi leggiamo e comprendiamo queste verità nelle Scritture canoniche, le affermiamo e di lì ogni giorno le predichiamo ". Che cosa dunque vuol dire che quest'inno è stato sottratto ai carnali in modo che non fosse incluso nel cànone, dal momento che le verità in esso coperte, nel cànone si trovano scoperte? O forse questi eretici sono tanto insensati, o meglio sono tanto pazzi, da aver l'audacia di affermare che in quest'inno il segreto del re è nascosto agli spirituali, mentre nel cànone è svelato ai carnali?
Frasi oscure dell'inno chiarissime nei libri canonici.
7. La stessa cosa può dirsi delle precedenti parole del medesimo inno in cui si dice: " Voglio salvare e voglio essere salvato ". Se, come spiegano costoro, queste parole significano che siamo salvati dal Signore nel battesimo e che salviamo, cioè conserviamo in noi lo Spirito ricevuto nel battesimo, questo stesso senso non è forse proclamato dalla Scrittura canonica, dove leggiamo: Ci salvò mediante il lavacro della rigenerazione 12 e dove ci viene detto: Non estinguete lo Spirito 13? Come mai dunque quest'inno non si trova nel cànone delle Scritture per esser tenuto nascosto ai carnali, mentre la verità, così oscura in quest'inno, risplende luminosa in quel cànone? L'unico motivo è che gli eretici con quella spiegazione, qualunque essa sia, che mettono davanti a chiunque altro come un velo, si sforzano di nascondere il loro pensiero a tale proposito. Costoro, tuttavia, sono talmente accecati che si servono di frasi prese proprio dal cànone per spiegare l'inno che - a quanto affermano essi stessi - non è nel cànone perché non fosse rivelato il segreto del re ai carnali. Che mai dunque stanno a fare nel cànone espressioni più chiare, se per mezzo di esse vengono spiegate le oscurità di quest'inno?
Altre frasi stolte e false dell'inno.
8. A quanto affermano costoro, per esempio, l'espressione dell'inno: " Voglio essere generato ", dovrebbe essere intesa nello stesso significato di ciò che sta scritto nella lettera canonica di Paolo: (Figliuoli miei) per i quali soffro di nuovo i dolori del parto fino a quando non sia formato in voi il Cristo 14; così pure quest'altra frase dell'inno: " Voglio cantare " dovrebbe essere intesa nello stesso senso di ciò che sta scritto nel Salmo che fa parte del cànone: Cantate al Signore un cantico nuovo 15; così ancora la frase di quest'inno: " Ballate tutti " dovrebbe avere lo stesso significato di ciò che sta scritto nel Vangelo: Abbiamo sonato per voi il flauto e non avete ballato 16; e quest'altra dello stesso inno: " Voglio piangere; battetevi tutti il petto " dovrebbe essere intesa nello stesso senso di ciò che sta scritto nel ritornello riportato dal Vangelo: Abbiamo cantato per voi il lamento funebre e non avete pianto 17; la frase dell'inno: " Voglio ornare ed essere ornato " avrebbe lo stesso senso di quest'altra ch'è nel cànone: (Vi conceda) che Cristo abiti nei vostri cuori per mezzo della fede 18 e: Voi siete tempio di Dio e il suo Spirito abita in voi 19; così ciò ch'è detto in quest'inno: " Io sono la lampada per te che mi vedi " avrebbe lo stesso senso di ciò che si legge in un Salmo incluso nel cànone: Nella tua luce vedremo la luce 20; così ancora quest'altra frase dell'inno: " Io sono la porta per chiunque mi bussa " avrebbe lo stesso significato di quella che si legge in un altro Salmo del cànone: Apritemi le porte della giustizia; voglio entrarvi a lodare il Signore 21, e a quella di quest'altro Salmo: Alzate le porte, o principi vostri; innalzatevi, o porte eterne, ed entrerà il re della gloria 22; così, infine, la frase dell'inno: " Voi che vedete quello che faccio, non palesate le mie azioni " avrebbe lo stesso senso di quella che si trova scritta nel libro di Tobia: È bene tener nascosto il segreto del re 23. Se fosse vero tutto ciò, perché mai si dovrebbe affermare che quest'inno non si trova nel cànone, affinché resti nascosto ai carnali il segreto del re, dal momento che le massime esposte in quest'inno si leggono anche nel cànone e vi si trovano espresse così chiaramente che, per mezzo di queste, vengono spiegate quelle oscure dell'inno, se non perché si servono di spiegazioni dietro le quali nascondersi? mentre con le frasi di quell'inno che fingono di spiegare esprimono le proprie opinioni che hanno paura di manifestare agli estranei.
I Priscillianisti, bugiardi e ingannatori.
9. Sarebbe troppo lungo dimostrare tutte le stranezze di costoro adducendo le prove. Ma da ciò che si è detto è assai facile esaminare attentamente tutte le altre e vedere che le massime buone e oneste, ch'essi affermano spiegando quest'inno, si trovano anche nel canone; perciò la spiegazione da loro data, che l'inno è stato escluso dal canone perché doveva essere nascosto ai carnali il segreto del re, non è un motivo valido, ma un sotterfugio. Non a torto dunque si crede che, per mezzo delle loro spiegazioni, non vogliono svelare quanto leggono, ma piuttosto velare quanto pensano. Questa cosa però non fa meraviglia dal momento che sono arrivati a reputare impostore, anziché maestro di verità, perfino il Signore Gesù, che parlava non già per bocca dei Profeti o degli Apostoli o degli Angeli, ma con la propria bocca. Infatti costoro attribuiscono un'autorità divina a quell'inno, in cui lo sconosciuto autore del medesimo inno ha finto che Gesù dicesse: " Ho sempre ingannato con la parola e non sono stato per nulla ingannato ". Mi rispondano allora, questi egregi spirituali, se sono capaci, da chi andremo, a chi daremo ascolto, a chi, chiunque egli sia, presteremo fede, nelle promesse di chi riporremo la speranza, se Cristo con la parola ha ingannato tutti, lui ch'è il Maestro onnipotente, se lui, ché l'Unigenito, la Parola (sostanziale) di Dio Padre, con la parola ha ingannato tutti? Ma a qual fine parlare ancora di questi scellerati spacciatori d'errori, seduttori innanzitutto della propria coscienza e in secondo luogo di quella di tutti gli altri, di essi hanno potuto accomunare a se stessi, predestinati all'eterna rovina? Ecco: ho risposto alla tua Reverenza, non solo molto più tardi di quanto avrei voluto, ma anche più a lungo di quanto mi ero proposto. Fate molto bene a stare in guardia dai lupi, ma adoperatevi anche a guarire, con l'aiuto del Principe dei pastori, le pecorelle che per caso siano già state da loro assalite, oppure già ferite.
1 - At 2, 2-4; 10, 44-46; 19, 6.
2 - Gv 14, 16. 26; 15, 26; 16, 7.
3 - Mt 26, 30; Mc 14, 26; Rm 8, 5.
4 - Tb 12, 7.
5 - Rm 8, 5.
6 - Sal 115, 16.
7 - Sal 145, 7.
8 - Gal 5, 1.
9 - 2 Pt 2, 20.
10 - Mt 25, 35.
11 - At 9, 4; 22, 7; 26, 14.
12 - Tt 3, 5.
13 - 1 Ts 5, 19.
14 - Gal 4, 19.
15 - Sal 95, 1; 97, 1; 149, 1; Is 42, 10.
16 - Lc 7, 32.
17 - Mt 11, 17.
18 - Ef 3, 17.
19 - 1 Cor 3, 16; 2 Cor 6, 16.
20 - Sal 35, 10.
21 - Sal 117, 19.
22 - Sal 23, 7.
23 - Tb 12, 7.
12 - La preghiera che il nostro Salvatore recitò nell'orto.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca1204. Il nostro Salvatore, con le meraviglie e i prodigi che aveva
operato nel cenacolo, lasciava già ben sistemato ed ordinato il regno
che l'eterno Padre con la sua immutabile volontà gli aveva affidato.
Subentrata la notte seguente il giovedì della cena, sua Maestà decise di
uscire dalla casa dove aveva celebrato gli straordinari misteri per
entrare nella dolorosa lotta della sua passione e morte, per mezzo della
quale si doveva compiere la redenzione umana. Nello stesso tempo anche
Maria lasciò il luogo dove si era ritirata in preghiera, per incontrarsi
con lui. Quando il Principe dell'eternità e la Regina furono di fronte,
la spada del dolore trapassò il cuore di entrambi ferendoli, nel
medesimo istante, in un modo così intenso da superare ogni pensiero
umano ed angelico. L'addolorata Madre si prostrò a terra adorando Gesù
come suo vero Dio e redentore ed egli, rimirandola con volto austero e
grato per essere figlio suo, le parlò dicendo: «Madre mia, mi troverò
nella tribolazione assieme a voi; facciamo la volontà del mio eterno
Padre e portiamo a compimento la salvezza degli uomini». La gran Regina
si offrì al sacrificio con tutto il cuore, chiese la benedizione a sua
Maestà e avendola ricevuta si ritirò nuovamente nella sua stanza, dove
il Signore le concesse di vedere tutto quello che accadeva e quanto il
suo santissimo Figlio stava per operare, affinché ella potesse
accompagnarlo e cooperare in ogni cosa nella misura che le spettava. Il
padrone di quella casa, presente a questo congedo, per impulso divino la
offrì subito con tutto quello che vi era dentro alla Signora del cielo,
affinché se ne servisse durante la sua permanenza a Gerusalemme. Maria
l'accettò con umile riconoscenza e vi rimase in compagnia dei mille
angeli dediti alla sua custodia, che l'assistevano sempre in forma
visibile solo a lei, e di alcune delle pie donne che aveva condotto con
sé.
1205. Il nostro Redentore e maestro uscì dal cenacolo con
tutti gli uomini che avevano assistito alla cena e alla celebrazione dei
suoi misteri. Subito molti di questi si congedarono, incamminandosi per
diverse strade, al fine di dedicarsi ciascuno alle proprie occupazioni.
Sua Maestà, seguito solo dai dodici apostoli, diresse i suoi passi
verso il monte degli Ulivi, situato appena fuori della città di
Gerusalemme, dalla parte orientale. Da ciò Giuda, reso dalla rea
perfidia più che mai accorto e sollecito nel consegnare ai farisei il
divin Maestro, congetturò che vi andasse a trascorrere la notte in
preghiera, come di solito faceva. Quell'occasione gli parve molto
opportuna per metterlo nelle mani degli scribi e dei farisei, suoi
alleati. Con questa infelice decisione seguì Gesù, fermandosi ogni tanto
e lasciandolo andare avanti con gli altri apostoli, senza che questi
peraltro se ne accorgessero. Nel momento in cui li perdette di vista, si
lanciò in tutta fretta verso il precipizio della sua rovina: camminava
ansioso, pieno di gran timore e turbamento, segno della malvagità che
doveva commettere. E invaso da questa inquieta sollecitudine, come chi
abbia la coscienza tarlata dal rimorso, correndo giunse sbalordito alla
casa dei sommi sacerdoti. Accadde allora che Lucifero, il quale nutriva
il sospetto che Cristo nostro bene fosse il vero Messia - come si disse
nel capitolo decimo -, scorgendo la fretta di Giuda nel procurare a
questi la morte, andò incontro al traditore sotto l'aspetto di un suo
amico, un uomo molto malvagio, a cui l'empio discepolo aveva confidato
la sua delittuosa azione. Sotto quelle sembianze il dragone gli parlò,
senza essere da lui conosciuto, e gli disse che, sebbene quell'intento
di vendere il suo Maestro in principio gli fosse sembrato buono, per le
malvagità che aveva sentito da lui stesso narrare, in seguito
riflettendovi sopra aveva preso in esame un'alternativa migliore e più
sicura. E soggiunse che gli sembrava opportuno che non lo consegnasse ai
sommi sacerdoti ed ai farisei, perché dopotutto Gesù non era poi così
cattivo come pensava e glielo aveva descritto, né meritava la morte; e
inoltre lo preavvertì del fatto che successivamente sarebbe potuta
cadere addosso a lui qualche grande disgrazia, se il Salvatore avesse
operato dei miracoli in virtù dei quali si fosse liberato.
1206. Lucifero ordì questa insidiosa trama per revocare con
un più forte timore le suggestioni, che aveva precedentemente infuso
nel perfido cuore del discepolo traditore contro l'Autore della vita. Ma
la sua nuova malizia gli riuscì vana, perché Giuda, che volontariamente
aveva perduto la fede e non nutriva i violenti sospetti del demonio,
volle mettersi a rischio cercando la morte del suo Maestro piuttosto che
esporsi allo sdegno dei farisei se lo avesse lasciato in vita. Invaso
dal terrore, per la sua abominevole ingordigia non fece caso al
consiglio di Lucifero, benché reputasse che questi fosse l'uomo di cui
aveva assunto l'aspetto. E siccome egli era già stato abbandonato dalla
grazia divina, non volle né poté lasciarsi persuadere dal consiglio del
demonio a retrocedere dalla sua cattiveria. Ora, mentre l'Autore della
vita si trovava a Gerusalemme, i sommi sacerdoti si stavano consultando
sul modo in cui Giuda avrebbe adempiuto la promessa di consegnarlo ad
essi. In quel momento entrò il traditore, e riferì loro che il suo
Maestro si era recato con gli altri discepoli sul monte degli Ulivi e
quella notte gli sembrava la migliore occasione per catturarlo, qualora
essi fossero andati con cautela e preparati, affinché non sfuggisse
dalle loro mani con gli artifici e gli stratagemmi che egli ben
conosceva. I sacrileghi sacerdoti si rallegrarono tanto e si
affrettarono a reclutare gente armata per catturare l'innocentissimo
Agnello.
1207. Sua Maestà stava intanto discutendo, con gli undici
apostoli, della salvezza eterna di tutti noi e degli stessi che
tramavano la sua morte. Oh, inaudita e mirabile contesa della malizia
umana e dell'immensa bontà e carità divina! Se sin dal primo uomo
incominciò questa lotta del bene e del male nel mondo, nella morte del
nostro Redentore i due estremi giunsero al sommo grado a cui potevano
arrivare, poiché ciascuno di essi operò in presenza dell'altro nel modo
supremo che gli fu possibile: gli uomini con la propria malizia
togliendo la vita al loro stesso Creatore e redentore, e questi dandola
per essi con immensa carità. In tale occasione fu necessario - a nostro
modo di intendere - che l'anima santissima di Cristo nostro bene
volgesse la sua attenzione sulla sua santissima Madre, e facesse lo
stesso la sua divinità, al fine di trovare fra le creature qualche
oggetto di compiacimento in cui far dimorare il suo amore ed arrestare
la sua giustizia. Difatti, solo in quella pura creatura scorgeva
degnissimamente consumata la passione e morte che gli veniva preparata
dagli uomini; solo in quella santità senza limiti la giustizia divina si
ritrovava in parte compensata della malizia umana. Nell'umiltà e nella
fedelissima carità di questa celeste Signora restavano depositati i
tesori dei meriti di Cristo nostro Signore, affinché in virtù di questi e
della sua morte rinascesse in seguito la Chiesa come nuova fenice da
cenere ardente. Questo compiacimento, che l'umanità del nostro Redentore
riceveva dalla vista della santità di Maria, gli dava sostegno e
coraggio per vincere la malizia dei mortali, poiché reputava giustamente
spesa la sua pazienza nel soffrire tali pene, avendo tra gli uomini la
sua amantissima e degna Madre.
1208. La gran Signora dal luogo dove se ne stava ritirata
in preghiera vedeva tutto quello che andava succedendo: i pensieri
dell'ostinato Giuda e il modo in cui si appartò dal collegio apostolico;
come gli parlò Lucifero sotto l'aspetto di quell'uomo, suo conoscente;
quello che avvenne quando il discepolo traditore si recò dai sommi
sacerdoti, e ciò che questi disposero e operarono per catturare in
fretta il Signore. La nostra capacità non è sufficiente a spiegare il
dolore che, per questa conoscenza infusa, penetrava il purissimo cuore
della vergine Madre, gli atti di virtù che ella esercitava alla vista di
tali malvagità e il modo in cui si comportava dinanzi a questi
avvenimenti: basti dire che tutto successe con pienezza di sapienza, di
santità e di compiacimento della santissima Trinità. Maria sentì pure
compassione per Giuda e pianse la perdita di quel perverso discepolo,
compensando la sua empietà con l'adorazione, la confessione, l'amore e
la lode dello stesso Signore, che egli aveva venduto con un tradimento
così ingiurioso e sleale; sarebbe stata disposta e pronta a morire per
la sua salvezza, se fosse stato necessario. La prudentissima Signora
pregò anche per coloro che stavano tramando la cattura e la morte del
suo Agnello divino, poiché li rimirava; li stimava e li reputava come
oggetti che si dovevano acquistare ed apprezzare con il valore
inestimabile di una vita e di un sangue preziosi, quali erano quelli di
un Dio incarnato.
1209. Il nostro Salvatore proseguì il suo cammino verso il
monte degli Ulivi e, passando il torrente Cedron, entrò nell'orto del
Getsèmani. Ivi, parlando a tutti gli apostoli che lo seguivano, disse:
«Sedetevi qui, mentre io vado a pregare; e pregate anche voi per non
entrare in tentazione». Gesù diede loro questo avvertimento affinché
fossero perseveranti e forti nella fede di fronte alle tentazioni che
aveva predetto nella cena: essi si sarebbero scandalizzati in quella
notte al vederlo patire, e tutti quanti sarebbero stati investiti da
satana per essere gettati nell'inquietudine e nel turbamento con false
suggestioni, come era stato profetizzato che il pastore doveva essere
maltrattato e percosso, e le pecorelle dovevano essere disperse. Il
Maestro della vita, quindi, lasciando gli altri otto apostoli insieme,
prese con sé san Pietro, san Giovanni e san Giacomo, e con loro si
appartò in un luogo, dove non pote va essere visto né sentito dai
rimanenti. Restando con questi tre, alzò gli occhi verso l'eterno Padre,
lo adorò e lodò come era solito fare, e nel suo intimo elevò una
preghiera e una supplica perché si adempisse la profezia di Zaccaria.
Egli permetteva, così, alla morte di avvicinarsi a lui, che era
innocentissimo e senza peccato, e comandava alla spada della giustizia
divina di risvegliarsi sul pastore e sull'uomo, che era anche vero Dio,
per riversare su di lui tutta la sua asprezza, trafiggendolo fino a
togliergli la vita. A tal fine Gesù si offrì di nuovo al Padre per
soddisfare la sua giustizia, a riscatto di tutto il genere umano;
inoltre diede consenso ai tormenti della passione e morte di affliggerlo
proprio nella parte in cui la sua santissima umanità era sensibile. Da
quel momento in poi respinse ogni consolazione e ogni sollievo che gli
sarebbe potuto traboccare dalla parte insensibile, affinché con questa
rinuncia le sue pene e i suoi dolori giungessero al sommo grado del
patire. E l'Onnipotente concesse ed approvò tutto, secondo la volontà
della santissima umanità del Verbo.
1210. Questa supplica di Cristo espresse l'assenso che apri
le porte al mare della passione e dell'amarezza, perché entrassero con
impeto nella sua anima, come egli aveva detto per bocca di Davide. E
così incominciò a sentire paura ed angoscia, e tutto preso da questi
sentimenti disse ai tre apostoli: «La mia anima è triste fino alla
morte». E poiché queste parole e questa tristezza del nostro Redentore
racchiudono tanti misteri, fonte di insegnamento per noi, riferirò nel
modo in cui l'ho compreso qualcosa di ciò che mi è stato dichiarato. Sua
Maestà permise che la sua mestizia raggiungesse, sia per natura che per
miracolo, il sommo grado, proporzionatamente a tutta la parte sensibile
della sua umanità. E per il naturale desiderio di vivere non si
rattristò solo nella parte inferiore del suo essere, ma anche nella
parte superiore, con la quale considerava la riprovazione degli
innumerevoli uomini per cui doveva morire, conoscendola dai giudizi e
dai decreti imperscrutabili della giustizia divina. Questa fu la causa
della sua maggiore tristezza, come dirò in seguito. E non disse che era
mesto per la morte, ma fino alla morte, perché fu meno la tristezza
causata in lui dal naturale desiderio di vivere in vista della morte
così vicina che non quella di vedere la perdita dei reprobi. In verità, a
prescindere dalla necessità di questa morte per la redenzione umana, la
sua santissima volontà era pronta a vincere questa naturale brama per
lasciarci un insegnamento: si riteneva obbligato a patire per ricambiare
il beneficio di quella gloria che aveva ricevuto la sua umanità durante
la vita terrena, nel corso della trasfigurazione. In tal modo quello
che aveva ricevuto sarebbe stato bilanciato da quello che avrebbe
pagato. Noi così saremmo stati istruiti da questa dottrina per mezzo dei
tre apostoli, testimoni di quella gloria e di questa angoscia e scelti
proprio a tal fine: divulgare l'uno e l'altro mistero, che compresero
con una illuminazione particolare, data loro appositamente.
1211. Perché rimanesse soddisfatto l'immenso amore che il
nostro salvatore Gesù nutriva per noi, fu necessario che questa
misteriosa tristezza lo inondasse profondamente, in modo da farlo patire
fino al sommo grado; difatti, se così non fosse stato non sarebbe
rimasta appagata la sua carità, né si sarebbe potuto comprendere
chiaramente che questa non era estinguibile dalle molte acque delle
tribolazioni'°. Ed in uno stato di tale sofferenza il divin Maestro
esercitò questa carità verso i tre apostoli condotti con sé, i quali
erano turbati perché sapevano che già si avvicinava l'ora in cui egli
doveva patire e morire, secondo quello che aveva dichiarato loro in
tanti modi e per via di molte predicazioni. La viltà che essi soffrivano
li confondeva e li faceva vergognare, senza che avessero il coraggio di
manifestarla. Ma l'amantissimo Signore li prevenne palesando loro la
mestizia che avrebbe sofferto fino alla morte, affinché essi vedendolo
afflitto e pieno di angosce non si vergognassero di sentire le loro pene
e i timori da cui erano assaliti. La manifestazione della tristezza del
Signore a Pietro, Giovanni e Giacomo racchiudeva tuttavia un altro
mistero: essi, tra tutti gli altri, erano pieni di meraviglia, ammirando
il dominio che il loro Maestro aveva sopra le creature, e nutrivano un
concetto più sublime della sua divinità e della sua eccellenza come
anche della grandezza della sua dottrina, della santità delle sue opere e
della sua prodigiosa potenza nei miracoli. E perché fossero confermati
nella fede che egli era uomo vero e sensibile, fu conveniente che questi
tre apostoli fossero privilegiati dal favore di vederlo mesto ed
afflitto, come un semplice mortale, affinché nella loro testimonianza la
santa Chiesa fosse istruita contro gli errori che il demonio pretendeva
di seminare in seno ad essa sulla verità dell'umanità di Cristo nostro
salvatore, e noi fedeli ricevessimo questa consolazione quando ci
avessero afflitto le tribolazioni e fossimo stati oppressi
dall'amarezza.
1212. Illuminati interiormente i tre apostoli con questa
dottrina, l'Autore della vita soggiunse: «Restate qui e vegliate con
me». Con questo invito insegnava ad essi a mettere in pratica tutti gli
avvertimenti che aveva loro dato, e li ammoniva a rimanere saldi nei
suoi precetti e perseveranti nella fede; a non piegare dalla parte del
nemico e ad essere attenti e vigilanti per riconoscerlo e resistergli,
nell'attesa di vedere, superate le ignominie della passione,
l'esaltazione del suo nome. Il Signore, pronunciati questi consigli, si
allontanò per un certo tratto dal luogo dove si trovavano Pietro,
Giovanni e Giacomo, e prostratosi a terra con il suo divin volto pregò
il Padre eterno dicendo: «Padre mio, se è possibile, passi da me questo
calice!». Cristo, nostro bene, elevò questa preghiera dopo essere sceso
dal cielo con la piena volontà di morire e patire per gli uomini; e
quindi abbracciò volontariamente la sua passione non curandosi
dell'atroce pena che gli avrebbe provocato e della gioia che gli era
posta innanzi. Corse così con ardentissimo amore verso la morte, gli
obbrobri, i dolori e le afflizioni, stimando in sommo grado gli uomini,
che aveva deciso di riacquistare con il prezzo del suo sangue. Ora,
poiché con la sua divina ed umana sapienza e con la sua inestimabile
carità dominava il timore naturale della morte, non sembra che questa
sola paura potesse motivare tale richiesta. Questo ho compreso nella
luce che mi è stata data intorno agli arcani misteri della preghiera del
nostro Salvatore.
1213. E per manifestare ciò che ho inteso, rendo noto che
in tale occasione il nostro redentore Gesù e l'eterno Padre trattavano
dell'impresa più ardua che Cristo dovesse svolgere, quale era la
redenzione umana, frutto della passione e della sua morte di croce, per
l'occulta predestinazione dei santi. Ed in questa preghiera il divin
Maestro presentò all'Onnipotente i suoi tormenti, il suo sangue
preziosissimo e la sua morte, che offriva per tutti i mortali, come
prezzo sovrabbondante per ciascuno di quelli già nati e di quelli che
sarebbero nati sino alla fine del mondo. Da parte del genere umano
presentò tutti i peccati, le infedeltà, le ingratitudini e gli oltraggi
che i malvagi avrebbero commesso per rendere inutile la sua obbrobriosa
morte, da lui accettata e sofferta per loro e per quelli che in effetti
sarebbero stati condannati alla pena eterna per non aver approfittato
della sua clemenza. E benché morire per gli amici e per i predestinati
fosse al nostro Salvatore benaccetto, e come desiderabile, patire e
morire per i reprobi gli era molto amaro e penoso, poiché per loro non
vi era un fine per cui il Signore soffrisse fino alla morte. Sua Maestà
chiamò questo dolore calice: il nome con cui gli ebrei designavano ciò
che era causa di molta angoscia e di grande pena. Difatti, lo stesso
Gesù ne aveva fatto uso, con questo significato, parlando con i figli di
Zebedeo, quando aveva chiesto loro se anch'essi avrebbero potuto bere
il calice come egli avrebbe dovuto fare. Questo calice per Cristo nostro
bene fu molto più amaro, in quanto comprese che la sua passione e morte
per i reprobi non solo sarebbe stata senza frutto, ma occasione di
scandalo ridondando per loro in maggior pena e castigo per averla
disprezzata e per non averne tratto il frutto che avrebbero dovuto.
1214. Ho dunque compreso che la preghiera di Cristo nostro
Signore consistette nel chiedere al Padre che passasse da lui il calice
amarissimo di morire per i reprobi e che - essendo ormai inevitabile la
morte - nessuno, se fosse stato possibile, si perdesse. La redenzione
che egli offriva era sovrabbondante per tutti, e per quanto dipendeva
dalla sua volontà egli l'applicava a tutti affinché a tutti giovasse
efficacemente. Ma se ciò non fosse stato possibile rimetteva la sua
santissima volontà in quella dell'eterno Padre. Il nostro Salvatore
ripeté questa supplica per tre volte`, ad intervalli, pregando a lungo
in preda all'angoscia, come dice san Luca, e come richiedeva la
grandezza e l'importanza del caso trattato. A nostro modo di intendere
si verificò in questo frangente una specie di contesa tra la santissima
umanità di Cristo e la sua divinità: l'una, per l'intimo amore che
portava agli uomini della sua stessa natura, desiderava che tutti per
mezzo della sua passione conseguissero la salvezza eterna; l'altra
faceva presente che, per i suoi altissimi giudizi, era già prestabilito
il numero dei predestinati, e conformemente all'equità della sua
giustizia non si doveva concedere il beneficio a chi tanto lo
disprezzava con libera volontà e si rendeva indegno della vita
dell'anima, resistendo a chi gliela procurava ed offriva. Da questo
conflitto scaturirono l'amarezza di Cristo e la lunga preghiera che
recitò invocando il potere del suo eterno Padre, essendo tutte le cose
possibili alla sua infinita maestà e grandezza.
1215. L'agonia del nostro Salvatore si intensificò in virtù
del grande amore che nutriva per noi e della resistenza che prevedeva
sarebbe stata posta al conferimento a tutti gli uomini dei frutti della
sua passione e morte. Ed allora arrivò a sudare abbondantemente grosse
gocce di sangue, che caddero fino a terra. E benché la sua supplica
fosse condizionata e non gli fosse concesso ciò che chiedeva, in
particolare per i reprobi, ottenne che gli aiuti fossero grandi e
frequenti per tutti i mortali e si moltiplicassero in chi li avesse
accolti senza frapporre ostacolo. Inoltre ottenne che i giusti e i santi
partecipassero con sovrabbondanza del frutto della redenzione e fossero
arricchiti copiosamente di doni e grazie di cui i reprobi si sarebbero
resi indegni. Pertanto la volontà umana di Cristo conformandosi a quella
divina accettò la passione per tutti: per i reprobi, in modo
sufficiente, perché fossero loro dati gli aiuti necessari, se avessero
voluto approfittarne; per i predestinati, nella forma più piena ed
efficace, perché avrebbero cooperato alla grazia. Così restò predisposta
e quasi effettuata la salvezza del corpo mistico della santa Chiesa,
sotto il suo capo e suo artefice, Cristo nostro bene.
1216. Ora, a compimento di questo divino decreto, poiché
sua Maestà si trovava per la terza volta a pregare in preda
all'angoscia, l'eterno Padre inviò il santo arcangelo Michele affinché
lo confortasse nei sensi corporali, dichiarandogli sensibilmente ciò che
lo stesso Signore già sapeva con la scienza della sua santissima anima.
Difatti, niente avrebbe potuto dirgli l'angelo che il Signore non
sapesse, come anche nessun altro effetto avrebbe potuto operare nel suo
intimo per questo suo intento. Tuttavia, come si è già detto, poiché
Cristo aveva sospeso il sollievo che dalla sua onniscienza sarebbe
potuto ridondare nella sua santissima umanità, lasciandola per quanto
possibile patire in sommo grado come poi egli disse sulla croce,
ricevette allora un altro conforto nella parte sensitiva con il
messaggio del santo arcangelo. E questo conforto fu un'esperienza nuova
che mosse in lui i sensi e le facoltà naturali. Ciò che san Michele
disse da parte dell'eterno Padre consistette nel dichiarare e far
percepire a Gesù che non era possibile - come sua Maestà sapeva - che si
salvassero coloro che non lo volevano. Nella giustificazione divina
aveva tanta rilevanza il numero dei predestinati, benché fosse minore di
quello dei reprobi; e tra quelli era compresa la sua santissima Madre,
la quale era degno frutto della sua redenzione e oggetto di invocazione
dei patriarchi, dei profeti, degli apostoli, dei martiri, delle vergini e
dei confessori, i quali si sarebbero molto distinti nel suo amore ed
avrebbero operato strepitosi prodigi per esaltare il santo nome
dell'Altissimo. Tra tutti questi l'angelo gli nominò, dopo gli apostoli,
anche i fondatori degli ordini religiosi, con il carisma proprio a
ciascuno; inoltre gli manifestò o riferì altri grandi ed arcani misteri,
che non è necessario dichiarare, né io ho l'ordine di farlo, poiché
quanto ho già detto è sufficiente per proseguire la narrazione di questa
Storia.
1217. Gli evangelisti riportano che nel recitare
quest'accorata supplica, durante le pause, il nostro Salvatore si recava
a visitare gli apostoli e ad esortarli che vegliassero, pregassero e
non entrassero in tentazione. Egli fece ciò per sollecitare i prelati
della sua Chiesa a pascere il gregge loro affidato. E difatti, se per
aver cura di essi il vigilantissimo pastore lasciò la preghiera che gli
stava tanto a cuore, in questa sua premura rimane implicitamente
dichiarato quello che devono fare i prelati e quanto debbano posporre
gli affari e gli interessi alla salvezza dei fedeli. E perché si
comprenda il bisogno che avevano gli apostoli di essere visitati da sua
Maestà, avverto che il dragone infernale dopo che fu cacciato dal
cenacolo, come ho detto sopra, rimase per qualche tempo afflitto e
affranto nelle voragini dell'abisso; poi ebbe però il permesso di
uscirne, perché la sua malizia doveva servire per l'esecuzione dei
decreti del Signore. Immediatamente con molti demoni si avventò su Giuda
per impedirgli - nel modo che ho già esposto - la vendita di Gesù, ma
non potendo dissuaderlo si diresse contro gli apostoli, perché
sospettava che nel cenacolo questi avessero ricevuto dal loro Maestro
grandi favori, che egli desiderava scoprire per distruggerli, se avesse
potuto. Il nostro Salvatore vide la crudeltà e il furore del principe
delle tenebre e dei suoi ministri, e come padre amantissimo, supremo e
vigilante si premurò di avvertire i suoi piccoli figli, seguaci alle
prime armi, quali erano gli apostoli. Li svegliò e comandò loro che
pregassero e stessero desti contro i nemici, perché non cadessero nella
tentazione che nascostamente li minacciava e che essi non prevedevano né
avvertivano.
1218. Il divin Maestro ritornò, dunque, nel luogo dove
stavano i tre apostoli, ma li trovò che dormivano per essersi lasciati
vincere dal tedio e dalla tristezza che pativano, nonostante come uomini
prescelti fossero maggiormente tenuti a stare svegli e ad imitarlo.
Vennero a cadere invece in quella tiepidezza di spirito in cui furono
vinti dal sonno e dalla pigrizia. Prima di svegliarli per parlare con
loro, sua Maestà si fermò a guardarli e pianse un po' vedendoli, per la
loro negligenza, sepolti ed oppressi da quell'ombra di morte, mentre
appunto Lucifero stava in agguato su di essi. Disse allora a Pietro:
«Simone, così dormi? Non sei riuscito a vegliare un'ora sola con me?». E
quindi soggiunse a lui ed agli altri: «Vegliate e pregate per non
entrare in tentazione, perché i miei e vostri nemici non dormono come
fate voi». Cristo nostro bene riprese san Pietro non solamente perché
egli era capo ed eletto come superiore di tutti gli altri, e perché tra
loro si era distinto nel protestare con fervore, dicendo che sarebbe
stato disposto anche a morire per lui e che non lo avrebbe rinnegato
quando anche tutti gli altri scandalizzati fossero stati sul punto di
abiurare, ma anche perché con quei propositi e con quelle offerte, che
allora egli aveva fatto di vero cuore, aveva meritato fra tutti di
essere ripreso ed avvertito. Il Signore senza dubbio corregge quelli che
amai' e si compiace sempre dei buoni propositi, anche se possono venir
meno nell'esecuzione come accadde a san Pietro, il più fervoroso dei
Dodici. Nel capitolo seguente parlerò della terza volta in cui Cristo
nostro salvatore tornò di nuovo indietro a svegliare tutti gli apostoli,
cioè di quando Giuda era prossimo a consegnarlo ai suoi nemici.
1219. Frattanto, la Signora dei cieli si era ritirata nel
cenacolo in compagnia delle pie donne, e nella divina luce vedeva con
somma chiarezza tutte le opere e i misteri del suo santissimo Figlio
nell'orto, senza che le fosse nascosta alcuna cosa. Nello stesso tempo
in cui il Signore si ritirò con i tre apostoli, Pietro, Giovanni e
Giacomo, anche la divina Regina si appartò in una stanza con le tre
Marie. Lasciò così il resto delle sante donne, di cui Maria Maddalena
era stata designata come superiora, esortandole a pregare ed a vegliare
per non cadere in tentazione. Con le tre donne a lei più familiari
supplicò invece l'eterno Padre che le sospendesse ogni sollievo e ogni
consolazione che le impedisse di patire in sommo grado, sia nella parte
fisica che in quella spirituale, a imitazione del suo santissimo Figlio,
affinché nel suo corpo verginale avvertisse lo strazio delle piaghe e
dei tormenti che lo stesso Gesù doveva patire. Questa richiesta fu
esaudita dalla santissima Trinità; pertanto la Madre sentì tutti i
dolori del proprio Figlio, come si dirà in seguito. E benché da una
parte questi fossero tali da farla più volte morire, se la destra
dell'Altissimo non l'avesse miracolosamente preservata, dall'altra,
siccome furono dati a lei dalla mano del Signore, agirono da sostegno e
conforto della sua vita, perché nel suo ardente e sconfinato amore
sarebbe stata più violenta la pena di veder patire e morire il suo
benedetto Unigenito senza soffrire con lui.
1220. La Regina scelse le tre Marie perché l'accompagnassero e
l'assistessero nella passione, e a tal fine esse furono istruite sui
misteri di Cristo con grazia e cognizione maggiore rispetto alle altre
donne. Ritiratasi con queste tre, la purissima Madre incominciò
nuovamente a sentire tristezza ed angoscia e disse: «L'anima mia è
afflitta perché deve patire e morire il mio amato figlio e Signore, ed
io non posso morire con lui e con gli stessi tormenti. Pregate, o amiche
mie, affinché non vi sorprenda la tentazione». Proferite queste parole,
si allontanò un poco da loro e, accompagnando la preghiera del nostro
Salvatore nell'orto, elevò la stessa supplica nel modo che conveniva a
lei e conformemente a quanto conosceva della volontà umana del suo
santissimo Figlio. Ma la Regina dei cieli, sapendo lo sdegno che il
dragone nutriva anche contro le tre donne, ritornava, come Cristo con
gli apostoli, ad esortarle per continuare poi l'orazione del Salvatore,
vivendo la sua stessa agonia. Pianse anche la condanna dei reprobi,
perché le furono manifestati grandi misteri sull'eterna predestinazione e
riprovazione. E per imitare in tutto il Redentore del mondo, e
cooperare con lui, la divina Signora giunse ad avere un sudore di
sangue, simile a quello di Cristo. Per disposizione della santissima
Trinità le fu così inviato l'arcangelo san Gabriele per confortarla,
come fu mandato san Michele al nostro Salvatore. Il santo principe
dichiarò a Maria la volontà dell'Altissimo con le stesse parole che san
Michele proferì a Gesù. E così la Madre ed il Figlio furono simili
nell'operare e nel conoscere, nella misura che conveniva a ciascuno,
poiché in entrambi furono identiche la preghiera e la causa del dolore e
della tristezza che soffrirono. Ho compreso che in questa circostanza
la prudentissima Signora teneva pronti dei teli per tutto ciò che nella
passione doveva succedere al suo amantissimo Figlio; ed allora inviò
nell'orto, dove il Signore stava sudando sangue, alcuni dei suoi angeli
perché, con uno di questi panni, asciugassero e tergessero il suo
venerabile viso. I ministri dell'Altissimo poterono eseguire tale
compito poiché sua Maestà per amore e maggior merito della Madre
accondiscese a questo pietoso e tenero affetto. Giunta poi l'ora in cui
il nostro Salvatore doveva essere catturato, l'addolorata Madre avvisò
le tre Marie: tutte ne fecero lamento con amarissimo pianto, ma si
distinse in modo particolare la Maddalena, perché più delle altre era
infiammata di amore e di fervorosa carità.
Insegnamento della Regina del cielo
1221. Figlia mia, tutto quello che hai inteso e raccolto in
questo capitolo è un richiamo e un avviso di somma importanza per tutti
i mortali e per te, se saprai trarre ed applicare la giusta
considerazione. Rifletti, dunque, e medita nel tuo intimo quanto debba
stare a cuore la questione della predestinazione o riprovazione eterna
delle anime che il mio santissimo Figlio trattò con tanta ponderazione.
Difatti, la difficoltà o l'impossibilità che tutti gli uomini fossero
salvi e beati gli rese oltremodo amara la passione e morte che accettò e
patì per la redenzione di tutti. In questo conflitto interiore, egli
manifestò il valore e l'importanza di questa impresa; e perciò
moltiplicò le preghiere e le suppliche al suo eterno Padre, spingendosi
per amore degli uomini fino a sudare copiosamente il suo sangue
d'inestimabile prezzo, perché la sua morte non avrebbe potuto essere
applicata fruttuosamente a tutti, per la malizia con la quale i reprobi
se ne sarebbero resi indegni. Il mio figlio e Signore ha giustificato la
sua causa nell'aver procurato a tutti la salvezza senza limiti, con il
suo sconfinato amore e con i suoi meriti; e l'eterno Padre l'ha
giustificata nell'aver dato al mondo la redenzione, che ha posto in
potere di ciascuno, affinché chiunque, a suo libero arbitrio, stenda la
mano o alla vita o alla morte, o all'acqua o al fuoco conoscendo la
distanza che intercorre fra loro.
1222. Ma quale scusa o discolpa pretenderanno di presentare
gli uomini per essersi dimenticati della propria eterna salvezza,
quando mio Figlio ed io con l'Onnipotente la desiderammo ardentemente
per essi e ci prodigammo con tanta cura ed affetto affinché
l'accettassero? E se nessuno dei mortali trova giustificazione per la
propria accidia e la propria stoltezza, ancor meno la troveranno nel
giorno del giudizio i figli della santa Chiesa, che hanno ricevuto la
fede in questi mirabili sacramenti e che durante la vita differiscono
solo di poco dagli infedeli e dai pagani. Non credere, figlia mia, che
sia stato scritto invano che molti sono i chiamati e pochi gli eletti.
Temi questa sentenza, e rinnova nel tuo cuore la sollecitudine e lo zelo
per la tua salvezza, considerandoti ancor più obbligata per la maggior
conoscenza che hai ricevuto su misteri così eccelsi. Ed anche se tu non
avessi alcun interesse per la vita eterna e per la tua felicità,
ciononostante dovresti sentirti mossa a corrispondere all'amorevolezza
con la quale ti manifesto tanti e così divini segreti. E poiché ti
chiamo mia figlia e sposa del mio Signore, devi comprendere che il tuo
compito deve essere amare e patire senza alcuna attenzione alle cose
visibili. Io, che sempre impiegai le mie facoltà con grande zelo in
queste due azioni, ti invito ad imitarmi e, affinché tu giunga a
seguirmi, voglio che la tua preghiera sia continua, senza sosta, e che
vegli un'ora con me. E quest'ora deve essere tutto il tempo della vita
mortale, perché paragonata all'eternità è meno che un'ora, anzi un
momento. Con questa disposizione, voglio che tu prosegua nella
venerazione dei misteri della passione, e che li scriva, li senta e li
imprima nel tuo cuore.
3 ottobre 1959.
Beata Elena Aiello
La Madonna: «Bisogna avvisare gli uomini: far loro capire che bisogna pregare, recitare il santo Rosario, che la corona è come un talismano. Bisogna propagare la mia devozione al Cuore Immacolato di Maria, mediatrice tra gli uomini e Dio».