Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Nella parabola del ricco epulone e il povero Lazzaro Gesù prende di mira le ricchezze e soprattutto il loro uso iniquo: il ricco epulone non si serve delle ricchezze per farsi amici nel cielo e per aiutare il povero, ma per umiliarlo e insultarlo. Però il Vangelo non si ferma solo alle critiche delle ricchezze: le supera con l'imperativo dell'amore. L'amore è il vero principio sociale, capace - se fosse applicato sul serio - di eliminare tutte le ingiustizie. Al ricco epulone si rimprovera di non aver avuto una briciola di compassione per povero Lazzaro che moriva di fame; si rimprovera il suo egoismo, l'indifferenza e la cecità  del cuore. Alla fine, Lazzaro è accolto nell'intimità  di Dio, al posto d'onore nel banchetto del cielo. Un abisso invalicabile lo separa dal ricco, un abisso creato proprio dalla sua indifferenza. L'amore diventa efficace anche ai fini della trasformazione della società  quando si incarna in una comunità , in cui si realizza quella condivisione che manca al ricco epulone della parabola. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 22° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 15

1In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero:2"Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!".3Ed egli rispose loro: "Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?4Dio ha detto:

'Onora il padre e la madre'

e inoltre:

'Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.'

5Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio,6non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione.7Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:

8'Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.'
9'Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini'".

10Poi riunita la folla disse: "Ascoltate e intendete!11Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!".
12Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: "Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?".13Ed egli rispose: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.14Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!".15Pietro allora gli disse: "Spiegaci questa parabola".16Ed egli rispose: "Anche voi siete ancora senza intelletto?17Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?18Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo.19Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultéri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.20Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo".

21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone.22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio".23Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro".24Ma egli rispose: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele".25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: "Signore, aiutami!".26Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".27"È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".28Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.

29Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là.30Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì.31E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.

32Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada".33E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?".34Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini".35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra,36Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla.37Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene.38Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.39Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.


Numeri 23

1Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti".2Balak fece come Balaam aveva detto; Balak e Balaam offrirono un giovenco e un ariete su ciascun altare.3Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò; forse il Signore mi verrà incontro; quel che mi mostrerà io te lo riferirò". Andò su di una altura brulla.
4Dio andò incontro a Balaam e Balaam gli disse: "Ho preparato i sette altari e ho offerto un giovenco e un ariete su ciascun altare".5Allora il Signore mise le parole in bocca a Balaam e gli disse: "Torna da Balak e parla così".6Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto: egli e tutti i capi di Moab.7Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Dall'Aram mi ha fatto venire Balak,
il re di Moab dalle montagne di oriente:
Vieni, maledici per me Giacobbe;
vieni, inveisci contro Israele!
8Come imprecherò, se Dio non impreca?
Come inveirò, se il Signore non inveisce?
9Anzi, dalla cima delle rupi io lo vedo
e dalle alture lo contemplo:
ecco un popolo che dimora solo
e tra le nazioni non si annovera.
10Chi può contare la polvere di Giacobbe?
Chi può numerare l'accampamento d'Israele?
Possa io morire della morte dei giusti
e sia la mia fine come la loro".

11Allora Balak disse a Balaam: "Che mi hai fatto? Io t'ho fatto venire per maledire i miei nemici e tu invece li hai benedetti".12Rispose: "Non devo forse aver cura di dire solo quello che il Signore mi mette sulla bocca?".
13Balak gli disse: "Vieni con me in altro luogo da dove tu possa vederlo: qui ne vedi solo un'estremità, non lo vedi tutto intero; di là me lo devi maledire".14Lo condusse al campo di Zofim, sulla cima del Pisga; costruì sette altari e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.15Allora Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò incontro al Signore".16Il Signore andò incontro a Balaam, gli mise le parole sulla bocca e gli disse: "Torna da Balak e parla così".17Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto insieme con i capi di Moab. Balak gli disse: "Che cosa ha detto il Signore?".18Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Sorgi, Balak, e ascolta;
porgimi orecchio, figlio di Zippor!
19Dio non è un uomo da potersi smentire,
non è un figlio dell'uomo da potersi pentire.
Forse Egli dice e poi non fa?
Promette una cosa che poi non adempie?
20Ecco, di benedire ho ricevuto il comando
e la benedizione io non potrò revocare.
21Non si scorge iniquità in Giacobbe,
non si vede affanno in Israele.
Il Signore suo Dio è con lui
e in lui risuona l'acclamazione per il re.
22Dio, che lo ha fatto uscire dall'Egitto,
è per lui come le corna del bufalo.
23Perché non vi è sortilegio contro Giacobbe
e non vi è magìa contro Israele:
a suo tempo vien detto a Giacobbe
e a Israele che cosa opera Dio.
24Ecco un popolo che si leva come leonessa
e si erge come un leone;
non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda
e bevuto il sangue degli uccisi".

25Allora Balak disse a Balaam: "Se proprio non lo maledici, almeno non benedirlo!".26Rispose Balaam e disse a Balak: "Non ti ho già detto, che quanto il Signore dirà io dovrò eseguirlo?".
27Balak disse a Balaam: "Vieni, ti condurrò in altro luogo: forse piacerà a Dio che tu me li maledica di là".28Così Balak condusse Balaam in cima al Peor, che è di fronte al deserto.29Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami sette giovenchi e sette arieti".30Balak fece come Balaam aveva detto e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.


Salmi 33

1Esultate, giusti, nel Signore;
ai retti si addice la lode.
2Lodate il Signore con la cetra,
con l'arpa a dieci corde a lui cantate.
3Cantate al Signore un canto nuovo,
suonate la cetra con arte e acclamate.

4Poiché retta è la parola del Signore
e fedele ogni sua opera.
5Egli ama il diritto e la giustizia,
della sua grazia è piena la terra.
6Dalla parola del Signore furono fatti i cieli,
dal soffio della sua bocca ogni loro schiera.
7Come in un otre raccoglie le acque del mare,
chiude in riserve gli abissi.

8Tema il Signore tutta la terra,
tremino davanti a lui gli abitanti del mondo,
9perché egli parla e tutto è fatto,
comanda e tutto esiste.
10Il Signore annulla i disegni delle nazioni,
rende vani i progetti dei popoli.
11Ma il piano del Signore sussiste per sempre,
i pensieri del suo cuore per tutte le generazioni.

12Beata la nazione il cui Dio è il Signore,
il popolo che si è scelto come erede.
13Il Signore guarda dal cielo,
egli vede tutti gli uomini.
14Dal luogo della sua dimora
scruta tutti gli abitanti della terra,
15lui che, solo, ha plasmato il loro cuore
e comprende tutte le loro opere.

16Il re non si salva per un forte esercito
né il prode per il suo grande vigore.
17Il cavallo non giova per la vittoria,
con tutta la sua forza non potrà salvare.
18Ecco, l'occhio del Signore veglia su chi lo teme,
su chi spera nella sua grazia,
19per liberarlo dalla morte
e nutrirlo in tempo di fame.

20L'anima nostra attende il Signore,
egli è nostro aiuto e nostro scudo.
21In lui gioisce il nostro cuore
e confidiamo nel suo santo nome.
22Signore, sia su di noi la tua grazia,
perché in te speriamo.


Salmi 99

1Il Signore regna, tremino i popoli;
siede sui cherubini, si scuota la terra.
2Grande è il Signore in Sion,
eccelso sopra tutti i popoli.

3Lodino il tuo nome grande e terribile,
perché è santo.
4Re potente che ami la giustizia,
tu hai stabilito ciò che è retto,
diritto e giustizia tu eserciti in Giacobbe.

5Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi allo sgabello dei suoi piedi,
perché è santo.

6Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti,
Samuele tra quanti invocano il suo nome:
invocavano il Signore ed egli rispondeva.
7Parlava loro da una colonna di nubi:
obbedivano ai suoi comandi
e alla legge che aveva loro dato.
8Signore, Dio nostro, tu li esaudivi,
eri per loro un Dio paziente,
pur castigando i loro peccati.
9Esaltate il Signore nostro Dio,
prostratevi davanti al suo monte santo,
perché santo è il Signore, nostro Dio.


Osea 8

1Da' fiato alla tromba!Come un'aquila sulla casa del Signore...
perché hanno trasgredito la mia alleanza
e rigettato la mia legge.
2Essi gridano verso di me:
"Noi ti riconosciamo Dio d'Israele!".
3Ma Israele ha rigettato il bene:
il nemico lo perseguiterà.

4Hanno creato dei re
che io non ho designati;
hanno scelto capi
a mia insaputa.
Con il loro argento e il loro oro
si sono fatti idoli
ma per loro rovina.
5Ripudio il tuo vitello, o Samaria!
La mia ira divampa contro di loro;
fino a quando non si potranno purificare
6i figli di Israele?
Esso è opera di un artigiano,
esso non è un dio:
sarà ridotto in frantumi
il vitello di Samaria.
7E poiché hanno seminato vento
raccoglieranno tempesta.
Il loro grano sarà senza spiga,
se germoglia non darà farina,
e se ne produce, la divoreranno gli stranieri.

8Israele è stato inghiottito:
si trova ora in mezzo alle nazioni
come un vaso spregevole.
9Essi sono saliti fino ad Assur,
asino selvaggio, che si aggira solitario;
Èfraim si è acquistato degli amanti.
10Se ne acquistino pure fra le nazioni,
io li metterò insieme
e fra poco cesseranno
di eleggersi re e governanti.

11Èfraim ha moltiplicato gli altari,
ma gli altari sono diventati per lui
un'occasione di peccato.
12Ho scritto numerose leggi per lui,
ma esse son considerate come una cosa straniera.
13Essi offrono sacrifici
e ne mangiano le carni,
ma il Signore non li gradisce;
si ricorderà della loro iniquità
e punirà i loro peccati:
dovranno tornare in Egitto.
14Israele ha dimenticato il suo creatore,
si è costruito palazzi;
Giuda ha moltiplicato le sue fortezze.
Ma io manderò il fuoco sulle loro città
e divorerà le loro cittadelle.


Seconda lettera ai Tessalonicesi 1

1Paolo, Silvano e Timòteo alla Chiesa dei Tessalonicesi che è in Dio Padre nostro e nel Signore Gesù Cristo:2grazia a voi e pace da Dio Padre e dal Signore Gesù Cristo.

3Dobbiamo sempre ringraziare Dio per voi, fratelli, ed è ben giusto. La vostra fede infatti cresce rigogliosamente e abbonda la vostra carità vicendevole;4così noi possiamo gloriarci di voi nelle Chiese di Dio, per la vostra fermezza e per la vostra fede in tutte le persecuzioni e tribolazioni che sopportate.5Questo è un segno del giusto giudizio di Dio, che vi proclamerà degni di quel regno di Dio, per il quale ora soffrite.6È proprio della giustizia di Dio rendere afflizione a quelli che vi affliggono7e a voi, che ora siete afflitti, sollievo insieme a noi, quando si manifesterà il Signore Gesù dal cielo con gli angeli della sua potenza8'in fuoco ardente, a far vendetta di quanti non conoscono Dio' e non obbediscono al vangelo del Signore nostro Gesù.9Costoro saranno castigati con una rovina eterna, 'lontano dalla faccia del Signore e dalla gloria della sua potenza',10quando egli verrà per esser glorificato nei suoi santi ed esser riconosciuto mirabile in tutti quelli che avranno creduto, perché è stata creduta la nostra testimonianza in mezzo a voi. Questo accadrà, in quel giorno.
11Anche per questo preghiamo di continuo per voi, perché il nostro Dio vi renda degni della sua chiamata e porti a compimento, con la sua potenza, ogni vostra volontà di bene e l'opera della vostra fede;12perché sia glorificato il nome del Signore nostro Gesù in voi e voi in lui, secondo la grazia del nostro Dio e del Signore Gesù Cristo.


Capitolo X: La gratitudine per la grazia divina

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1. Perché vai cercando quiete, dal momento che sei nato per la tribolazione? Disponiti a patire, più che ad essere consolato; a portare la croce, più che a ricevere gioia. Anche tra coloro che vivono nel mondo, chi non sarebbe felice - se potesse ottenerli in ogni momento - di non avere il conforto e la letizia dello spirito, poiché le gioie spirituali superano tutti i piaceri mondani e le delizie materiali? Le delizie del mondo sono tutte vuote o poco buone; mentre le delizie spirituali, esse soltanto, sono veramente piene di gioia ed innocenti, frutto delle virtù e dono soprannaturale di Dio agli spiriti puri. In verità però nessuno può godere a suo talento di queste divine consolazione, perché il tempo della tentazione non dà lunga tregua. E poi una falsa libertà di spirito e una eccessiva fiducia in se stessi sono di grande ostacolo a questa visita dall'alto. Dio ci fa dono dandoci la consolazione della grazia; ma l'uomo risponde in modo riprovevole se non attribuisce tutto a Dio con gratitudine. E così non possono fluire su di noi i doni della grazia, perché non sentiamo gratitudine per colui dal quale essa proviene e non riportiamo tutto alla sua fonte originaria. La grazia sarà sempre dovuta a chi è giustamente grato; mentre al superbo sarà tolto quello che suole esser dato all'umile. Non voglio una consolazione che mi tolga la compunzione del cuore; non desidero una contemplazione che mi porti alla superbia. Ché non tutto ciò che è alto è santo; non tutto ciò che è soave è buono; non tutti i desideri sono puri; non tutto ciò che è caro è gradito a Dio. Invece, accolgo con gioia una grazia che mi faccia essere sempre più umile e timorato, e che mi renda più pronto a lasciare me stesso. Colui che è stato formato dal dono della grazia ed ammaestrato dalla dura sottrazione di essa, non oserà mai attribuirsi un briciolo di bene; egli riconoscerà piuttosto di essere povero e nudo.  

2. Da' a Dio ciò che è di Dio, e attribuisci a te ciò che è tuo: mostrati riconoscente a Dio per la grazia, e a te attribuisci soltanto il peccato, cosciente di meritare una pena per la colpa commessa. Mettiti al posto più basso, e ti sarà dato il più alto; giacché la massima elevazione non si ha che con il massimo abbassamento. I santi più alti agli occhi di Dio sono quelli che, ai propri occhi , sono i più bassi; essi hanno una gloria tanto più grande quanto più si sono sentiti umili. Ripieni della verità e della gloria celeste, non desiderano la vana gloria di questo mondo; basati saldamente in Dio, non possono in alcun modo insuperbire. Essi, che attribuiscono a Dio tutto quel che hanno ricevuto di bene, non vanno cercando di essere esaltati l'uno dall'altro, ma vogliono invece quella gloria, che viene soltanto da Dio; aspirano e sono tutti tesi a questo: che, in loro stessi e in tutti i beati, sia lodato Iddio sopra ogni cosa. Sii dunque riconoscente anche per la più piccola cosa; così sarai degno di ricevere doni più grandi. La cosa più piccola sia per te come la più grande; quello che è più disprezzabile sia per te come un dono straordinario. Se si guarda all'altezza di colui che lo dà, nessun dono sembrerà piccolo o troppo poco apprezzabile. Non è piccolo infatti ciò che ci viene dato dal Dio eccelso. Anche se ci desse pene e tribolazioni, tutto questo deve esserci gradito, perché il Signore opera sempre per la nostra salvezza, qualunque cosa permetta che ci accada. Chi vuol conservare la grazia divina, sia riconoscente quando gli viene concessa, e sappia sopportare quando gli viene tolta; preghi perché essa ritorni, sia prudente ed umile affinché non abbia a perderla.


LETTERA 73: Agostino risponde alla lettera 68 di Girolamo sforzandosi di dissolvere i malintesi

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta nell'anno 404.

Agostino risponde alla lettera 68 di Girolamo sforzandosi di dissolvere i malintesi (n. 1-5). Ha ricevuto la sua apologia contro Rufino e si mostra addolorato per la discordia fra due sì grandi amici, augura la loro riconciliazione, che avverrà solo se riconosceranno le loro reciproche colpe (n. 6-10).

AGOSTINO INVIA CRISTIANI SALUTI A GIROLAMO SUO VENERATO SIGNORE, AMATISSIMO FRATELLO E COLLEGA NEL SACERDOZIO

Agostino è accarezzato e ferito dalla lettera di Girolamo.

1. 1. Penso che prima di ricevere la presente sia già arrivata nelle tue mani la mia lettera inviata per il tramite del servo di Dio e mio figlio, il diacono Cipriano. Da essa avrai potuto accertarti completamente ch'è mia la lettera di cui tu stesso hai ricordato che erano giunte dalle tue parti delle copie. Già m'immagino sotto la tempesta dei colpi che mi assesterai con la tua risposta come il presuntuoso Darete battuto dai poderosi e duri cesti di Entello. Adesso comunque rispondo alla lettera da te gentilmente inviatami per mezzo del santo figlio nostro Asterio. In essa ho riscontrato molti segni della tua affettuosa benevolenza verso di me, ma anche gli indizi ch'io ti abbia in qualche modo offeso. Così se da una parte nel leggerla mi sentivo accarezzato, dall'altra però mi sentivo subito ferito. Quello che soprattutto mi ha stupito è il fatto che, mentre affermi di non aver ritenuto dover prestar fede, così alla leggera, alle semplici copie d'una lettera, per evitare che, rimanendo offeso dalla tua risposta, io non ti rinfacciassi giustamente che prima avresti dovuto accertarti che la lettera fosse mia e solo dopo rispondermi, tu poi nel seguito della lettera esigi ch'io ti scriva schiettamente se la lettera è mia oppure te ne mandi altre copie munite di maggior garanzia d'autenticità, in modo da potere senza rancore o collera, intrattenerci a discutere sulla sacra Scrittura. Ma, domando io, in qual modo potremmo intrattenerci senza rancore in tali discussioni se sei pronto ad offendermi? Anche nel caso che tu non lo sia, come potrei io, senz'essere offeso da te, lagnarmi giustamente d'esserlo stato e pretendere che prima avresti dovuto provare che la lettera fosse mia e solo dopo rispondermi, cioè offendermi? A dir la verità, io sono ben lontano dal considerarmi offeso anche nel caso che tu volessi e potessi dimostrarmi con argomenti inoppugnabili d'aver compreso meglio di me quel passo della lettera dell'Apostolo [ai Galati] o altri simili passi della sacra Scrittura; anzi nemmeno lontanamente penso di non considerare come un guadagno e di non ringraziare se sarò istruito da un maestro come te, oppure corretto da un critico come te!

Sono piuttosto le insinuazioni di Girolamo a offendere Agostino.

1. 2. Se però tu, fratello carissimo, non ti fossi considerato offeso dai miei scritti, non avresti neppure creduto ch'io potessi considerarmi offeso dalla tua risposta. Non considerandoti offeso, in realtà non mi sarei mai indotto a supporre che la tua risposta fosse tuttavia tale da offendermi. Anche se la tua risposta non fosse su questo tono, ma tu m'avessi creduto proprio uno stolto che potesse considerarsi offeso, m'hai fatto senz'altro un torto proprio per avermi giudicato tale. Orbene, in nessun modo m'avresti giudicato così alla leggera quale non mi hai giammai conosciuto per esperienza, dal momento che non hai voluto credere, così alla leggera, a delle copie della mia lettera, pur conoscendo il mio modo di scrivere. Se infatti hai previsto, e non a torto, le giuste lagnanze che avrei fatte, se tu avessi creduto troppo alla leggera che fosse mia una lettera non mia, con quanto maggior diritto potrei risentirmi io, se uno non mi avesse giudicato tale, quale in realtà non mi aveva conosciuto? Per nessun motivo dunque saresti dovuto giungere al punto di giudicarmi tanto scemo da potermi stimare offeso per una tua risposta dettata senz'alcuna intenzione di offendermi.

Se t'ho offeso, perdonami.

2. 3. Non resta quindi se non l'ipotesi che saresti stato pronto a offendermi se tu fossi venuto a sapere da segni indubbi che la lettera era mia! In tal caso, poiché non penso che tu in questo caso avresti creduto dovermi offendere senza un giusto motivo, non mi rimane che riconoscere il mio peccato di averti per primo offeso con quelle mie lettere che, non posso negarlo, sono mie. Perché dunque cercare di andare contro corrente e non chiederti piuttosto perdono? Ebbene, ti scongiuro per la mansuetudine di Cristo 1: perdonami se t'ho offeso e non ricambiare male per male! Mi sentirò invece offeso se mi tacerai gli errori, qualunque siano, che potrai trovare in quel che faccio o in quel che dico. Poiché, se mi rimprovererai cose non criticabili, recherai offesa più a te che a me. Ma non è né pensabile né compatibile con la tua condotta e col tuo santo ideale di perfezione che tu faccia una simile cosa col proposito deliberato di offendermi, incolpandomi malignamente di cose di cui hai perfetta consapevolezza che io non sono colpevole. Per conseguenza una delle due: o devi criticarmi con benevolenza, anche se non ho colpa di quello che tu reputi criticabile, o devi trattarmi con affetto paterno poiché non riuscirai a distaccarmi da te. Può darsi pure che tu veda le cose diversamente da quel che sono in realtà; ad ogni modo quel che importa è che tu agisca ispirato da carità: io, da parte mia, accoglierò con infinita gratitudine le critiche che mi farai, ispirato dalla più sincera amicizia, quantunque non meriterebbe d'essere criticata un'opinione che può essere giustamente difesa, oppure riconoscerò contemporaneamente la tua bontà e il mio errore e, nella misura che il Signore me lo concederà, mi serberò riconoscente per quella e mi correggerò di questo.

Meglio l'amara ma salutare verità dei nemici che il silenzio degli amici paurosi.

2. 4. Perché allora dovrei aver paura delle tue parole, forse anche dure ma certamente salutari, come se fossero i cesti di Entello? In realtà Darete veniva solo percosso, non già curato, e per conseguenza ne usciva vinto ma non guarito. Io invece non ne soffrirò se riceverò con rassegnazione la tua correzione medicinale; e anche se, per la debolezza umana in genere o per la mia in particolare, non riuscissi ad evitare il dispiacere neppure quando venissi rimproverato per una colpa reale; è sempre meglio sopportare il dolore che procura il taglio d'un ascesso alla testa piuttosto che non guarirne per evitare il dolore. Questa verità fu acutamente intuita da chi disse che in genere sono più utili i nemici i quali ti biasimano che non gli amici i quali hanno paura di farti dei rimproveri 2. I primi, infatti, nel litigare con noi ci manifestano spesso difetti reali di cui possiamo correggerci; i secondi invece, temendo d'inacidire la dolcezza dell'amicizia, si dimostrano meno liberi di quanto sarebbe necessario nel giudicare gli amici. Perciò, anche se hai l'impressione d'essere un bue stanco forse per la vecchiaia fisica, ma non certo per il vigore dell'animo, dal momento che innaffi col sudore della tua fatica e con ottimi risultati la vigna del Signore, eccomi qui: se ho detto qualche sproposito, punta pure su di me più forte il tuo piede! Non mi sarà gravoso il peso della tua età, purché venga triturata la paglia della mia colpa.

Agostino brama la familiarità con Girolamo.

2. 5. Leggo pure e ripenso con profondo sospiro di nostalgia l'espressione da te scritta verso la fine della tua lettera: " Dio volesse che meritassi di poterti abbracciare e d'intrattenermi in conversazione con te! s'insegna o s'impara sempre qualcosa gli uni dagli altri ". Io poi a mia volta dico: " Magari abitassimo almeno in regioni vicine! Così, anche se non fosse possibile intrattenerci in conversazione, le nostre lettere potrebbero essere almeno più frequenti! " Attualmente invece la lontananza dello spazio che ci tiene separati fisicamente è tale che io ero giovane quando scrissi alla Santità tua a proposito di quelle parole dell'Apostolo ai Galati 3; me ne ricordo bene; adesso invece eccomi già vecchio, e non ho ancora meritato di ricevere la tua risposta, ed è più facile ti giungessero prima copie della mia lettera grazie a chissà quale occasione sopraggiunta in antecedenza, che non la mia lettera autentica, nonostante tutte le mie precauzioni! Fatto sta che la persona che l'aveva presa in consegna non l'ha poi né recapitata a te né riportata a me. Oltre a ciò, nella tua lettera che riuscì a giungere nelle mie mani appare tanta cultura, che non mi curerei d'altro se non di stare sempre al tuo fianco. Ma, siccome ciò mi è impossibile, ho in animo d'inviarti qualcuno dei nostri figli nel Signore, perché tu lo istruisca per noi, purché su questo progetto io meriti una risposta da parte tua. Per la verità io non ho né riuscirò mai ad avere tanta scienza scritturistica quanta vedo che ne possiedi tu. D'altronde quel poco di capacità che posso avere in questo campo, la metto completamente a servizio del popolo di Dio. A causa però delle mie occupazioni ecclesiastiche non mi è affatto possibile d'applicarmi agli studi con impegno maggiore di quello richiesto dalle esigenze dei miei fedeli.

La rovinosa polemica di Girolamo con Rufino.

3. 6. Sono all'oscuro di certi scritti giunti in Africa e che sarebbero pieni di malignità contro di te; ho invece ricevuto la risposta che hai scritto contro quelle invettive e che gentilmente m'hai inviata. Appena l'ho letta sono rimasto assai addolorato, debbo confessartelo, nell'apprendere che tra persone tanto care e intime come voi, uniti da un vincolo d'amicizia ben noto a quasi tutte le Chiese, fosse nata una discordia così dannosa. Veramente dalla tua lettera appare abbastanza chiaro come ti freni per trattenere le frecciate del tuo sdegno, per non rendere male per male. Nonostante la tua risposta, mi sentivo struggere di dolore e rabbrividire di spavento, pensando a che cosa mi avrebbero ridotto le invettive scritte dal tuo avversario contro di te, se fossero capitate nelle mie mani. Guai al mondo a causa degli scandali! 4 Ecco, è una realtà e s'avvera a puntino la predizione fatta dalla sacra Scrittura: Per il moltiplicarsi dell'iniquità si raffredderà la carità di molti 5. Potranno ancora due cuori, amici quanto si voglia, essere sicuri di potersi confidare i loro più intimi sentimenti? Nel cuore di chi si può star certi di poter riversare il proprio affetto con abbandono completo e tranquillo? Quale sarà infine l'amico che non si possa temere come un possibile futuro nemico, se perfino tra Girolamo e Rufino è potuta scoppiare la discordia che ora ci fa piangere? Oh, misera e miseranda condizione delle creature! Oh come ci si può ingannare nel giudicare le disposizioni d'animo degli amici in questo mondo, ove non si può assolutamente prevedere come saranno in avvenire! Ma perché stare a ragionare e a lamentarsi della discordia tra due amici, dal momento che uno non sa nemmeno di sé stesso che cosa diverrà domani? In realtà sa solo a un dipresso e a mala pena ciò ch'è attualmente, ma ignora del tutto che cosa sarà in avvenire.

Felicità e prescienza della colpa e del castigo negli Angeli.

3. 7. Ma c'è ancora un altro problema di cui non so farmi alcuna idea chiara: se gli Angeli santi e beati hanno non solo la conoscenza di quel che ciascuno di loro è attualmente ma pure la prescienza di quel che diverrà, com'è stato mai possibile al diavolo essere felice al tempo in cui era ancora buono, se prevedeva la sua colpa futura e il suo eterno supplizio? Su questo problema vorrei sentire la tua opinione, se pure è necessario averne un'idea precisa. Vedi quali inconvenienti derivano dalle terre e dai mari che ci separano fisicamente! Se la lettera che stai leggendo fossi io in persona, già risponderesti al mio quesito. Ora, invece, quando mi risponderai? Quando mi spedirai la risposta? Quando m'arriverà? Quando potrò averla in mano? Magari ciò avvenisse comunque, una volta! Ma poiché ciò non può avvenire con la prestezza che vorremmo, lo aspetto con la pazienza più grande possibile. Torno quindi a ripetere le parole dolcissime della tua lettera, traboccanti del tuo santo desiderio, che a mia volta faccio mio: " Dio volesse che meritassi di poterti abbracciare e intrattenermi in conversazione con te! S'insegna o s'impara: sempre qualcosa gli uni dagli altri ", pur ammesso ch'io potessi insegnarti alcunché!

Quale rovina la discordia tra due maestri di spirito cristiani!

3. 8. Queste tue parole, non più solo tue ma anche mie, mi sono di gioia e di conforto; anzi il nostro reciproco desiderio, per quanto sospeso in aria e così lontano dall'approdare alla realtà, mi consola non poco; d'altra parte però mi sento trafitto da un dolore acutissimo nel pensare che tra voi due - ai quali Dio aveva concesso, in larga misura e per sì lungo tempo, il desiderio nutrito da noi due, di assaporare nel più stretto rapporto di familiarità le dolcezze della sacra Scrittura - si sia infiltrato il fiele del più aspro rancore che ci rovina! Quando, ove, da chi dovrò temere una simile sciagura, dal momento ch'è potuta abbattersi su persone, come voi, di età già matura e impegnati nello studio della sacra Scrittura, quando, dopo esservi scrollati di dosso la zavorra del mondo, seguivate ormai speditamente il Signore e vivevate assieme nella terra in cui camminò il Signore coi suoi piedi umani e disse: A voi do la mia pace, la mia pace lascio a voi 6? E' proprio vero che la vita umana sulla terra non è che una prova 7! Oh, quanto mi dispiace di non potervi trovare insieme in qualche luogo! Se per caso vi trovassi, a causa del turbamento, del dolore, del timore, mi getterei ai vostri piedi, piangerei tutte le lacrime possibili, vi pregherei con tutte le forze dell'amore che vi porto, prima ciascuno di voi personalmente, poi tutti e due, ciascuno per l'altro e per gli altri, soprattutto per i deboli, per i quali è morto Cristo 8; essi stanno a guardarvi come se foste sul palcoscenico - per così dire - della vita e con gran rischio delle loro anime. Vi pregherei di non scrivere più, di non diffondere più cose che interessano soltanto voi - quelle cose su cui ora non volete mettervi d'accordo - poiché neppure se un giorno vi metterete d'accordo, riuscirete più a distruggerle. Non litigate più su questioni che, una volta riconciliati, avrete vergogna di leggere.

L'amicizia e la libertà d'esprimere le proprie opinioni.

3. 9. Io però devo dire alla tua Carità che nulla, riguardo a questa eventualità, m'ha spaventato maggiormente del fatto che nella tua lettera ho scorto vaghi indizi del tuo sdegno contro di me: non parlo degli accenni a Entello e al bue stanco, che m'è parsa più una piacevole arguzia che una stizzosa minaccia, quanto piuttosto della frase da te scritta evidentemente in tono serio e da me precedentemente messa in rilievo forse più di quanto avrei dovuto, ma non più di quanto temevo. In essa ti sei espresso così: " per paura che tu, sentendoti offeso dalla mia risposta, non mi facessi delle giuste lagnanze ". Ti prego quindi, se è possibile, di discutere su questioni adatte ad alimentare le nostre menti senza che vi s'infiltri il fiele della discordia. Se invece non posso dire quel che mi pare sia da correggere nei tuoi scritti, né tu puoi fare altrettanto nei miei senza che v'entri il sospetto della gelosia e senza guastare l'amicizia, lasciamo da parte queste cose e pensiamo solo a salvaguardare la nostra salute e la salvezza della nostra anima. Non importa se raggiungeremo con minor certezza la scienza che gonfia, purché non si offenda la carità che edifica 9. Quanto a me, m'accorgo d'essere lontano dalla perfezione, di cui sta scritto: Se uno non pecca nel parlare, costui è perfetto 10. Penso però che per la misericordia di Dio non trovo difficoltà a chiederti perdono se t'ho arrecato qualche offesa; tu però me lo devi dire apertamente affinché, col darti retta, tu possa guadagnare il tuo fratello 11. Per il fatto poi che ne sei impedito di farlo a quattr'occhi dalla distanza che ci divide, non devi lasciarmi nell'errore. Insomma, riguardo a ciò che ambedue vogliamo sapere, se io sono convinto o credo o mi pare di poter sostenere qualche opinione diversa dalla tua, farò in modo, nei limiti che mi concederà il Signore, di dartene la dimostrazione senza offenderti. Riguardo invece alla tua offesa, appena m'accorgerò d'averti irritato, non farò altro che chiederti perdono.

Le maldicenze e il vero male.

3. 10. Non penso neppure per sogno che ti sia potuto irritare per uno dei seguenti casi: cioè o perché ho detto cose che non avrei dovuto dire o perché non le ho dette come avrei dovuto dirle; tanto più che la nostra conoscenza reciproca (non c'è da stupirsene) non è uguale a quella che hanno di noi i nostri amici più intimi e i nostri più stretti familiari. Ti confesso poi che trovo quanto mai naturale abbandonarmi interamente all'affetto di tali persone, soprattutto quando sono oppresso dagli scandali del mondo: nel loro cuore trovo riposo scevro di preoccupazione essendo persuaso che in esso c'è Dio e in Lui m'abbandono sicuro e sicuro mi riposo. In questa mia sicurezza non temo affatto l'incertezza del domani, propria dell'umana fragilità, di cui mi lamentavo poco prima. Quando infatti m'accorgo che un tale è infiammato d'amore cristiano grazie al quale è diventato mio amico fedele, qualunque progetto o pensiero io gli affidi, non lo affido a una persona umana, ma a Colui nel quale egli rimane e per cui è quel che è. Dio infatti è amore e chi rimane nell'amore, rimane in Dio e Dio in lui 12; se poi costui abbandonasse Dio, sarebbe inevitabile che ci procurasse altrettanto dolore, quanta era la gioia che ci procurava mentre rimaneva nell'amore, comunque, se uno da intimo amico qual era diventa nemico, cerchi pure qualche ingegnosa menzogna, ma non vada a scovare cose da offrire in pasto al pubblico per rabbioso risentimento. Chiunque può ottenere questo risultato non già nascondendo quel che ha fatto, ma non facendo ciò che poi vorrebbe nascondere. E' una grazia questa che Dio concede alle persone buone e timorate, di comportarsi cioè con piena libertà e sicurezza con gli amici, qualunque sia il loro atteggiamento futuro, senza svelare mancanze ricevute da parte di altri e senza commettere essi stessi mancanze di cui possano temere possibili rivelazioni. In realtà, quando un maligno inventa qualcosa di falso, o non viene creduto da nessuno o ne scapita solo la reputazione senza che ne vada di mezzo la salvezza dell'anima. Il male compiuto è, al contrario, un nemico che si porta dentro sé stessi, anche se non viene divulgato da nessun amico intimo per sfogo di pettegolezzo o in qualche lite. Per conseguenza chi non s'accorgerebbe, se è intelligente, con quanta pazienza sopporti ora anche tu, col solo conforto della buona coscienza, gl'incredibili attacchi di ostilità da parte di chi t'era una volta intimo amico? E chi non s'accorgerebbe come ciò che costui va blaterando (e forse qualcuno arriverà a prestarvi fede!) è da te considerato come appartenente alla specie delle " armi sinistre ", le quali servono, non meno di quelle di destra, a combattere contro il demonio? Malgrado ciò, preferirei che il tuo avversario fosse possibilmente più moderato piuttosto che vedere te armato a questo modo. E' un fatto mostruoso, strano e doloroso essere arrivati, da quei rapporti di sì stretta amicizia, a simili manifestazioni di ostilità. Sarà, comunque, motivo di gioia più grande il ritorno da tali ostilità alla concordia che regnava in precedenza.

 

1 - 2 Cor 10, 1.

2 - Cf. Cic., Lael. 24, 90.

3 - Gal 2, 14; Cf. Ep. 28, 6 ss.

4 - Mt 18, 7.

5 - Mt 24, 12.

6 - Gv 14, 27.

7 - Gb 7, 1.

8 - 1 Cor 8, 11.

9 - Cf. 1 Cor 8, 2.

10 - Gc 3, 2.

11 - Mt 18, 15.

12 - 1 Gv 4, 16.


16 - Viaggio di Maria santissima per visitare santa Elisabetta.

La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda

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200. In quei giorni - dice il sacro testo - Maria si mise in viaggio verso la montagna e raggiunse in fretta una città di Giuda. Questo alzarsi della nostra santissima Regina e signora non fu solo il suo disporsi esteriormente e partire da Nazaret, ma indica anche il movimento del suo spirito e della sua volontà, con cui, per l'impulso e l'ordine divino, si alzò interiormente da quell'umile posto che occupava per la bassa stima di se stessa. Da qui si alzò come dai piedi dell'Altissimo, dove aveva aspettato di conoscere il suo beneplacito per adempieflo, come la più vile serva - secondo quanto disse Davide - tiene gli occhi rivolti alle mani della sua padrona, attendendo che le comandi. Alzandosi alla voce del Signore, indirizzò il suo affetto dolcissimo a compiere la sua santissima volontà, per affrettare senza dilazione la santificazione del precursore, che stava nel grembo di Elisabetta come incarcerato nella cattività del primo peccato. Tale era il fine di questo felice viaggio. Per esso si alzò la Principessa dei cieli e camminò con la fretta e la diligenza che dice l'evangelista san Luca.

201. Lasciando, dunque, la casa dei loro padri e dimenticando il loro popolo, i castissimi sposi Maria e Giuseppe si posero in cammino, avviandosi verso la casa di Zaccaria sulle montagne di Giuda, che distavano ventisette leghe da Nazaret; e gran parte della strada era dura e difficile per una così delicata e giovane donna. Tutta la comodità per una fatica così grande consisteva in un umile giumento, sul quale cominciò e proseguì il suo viaggio. Sebbene fosse destinato al sollievo e servizio di lei, la più umile e modesta tra le creature ne smontava molte volte e pregava il suo sposo Giuseppe di voler dividere con lei la fatica e l'agio e di prendersi un po' di riposo servendosi a tale scopo dell'animale. Il prudente sposo non lo permise mai; solo per accondiscendere un po' alle preghiere dell'umilissima Signora, consentiva che per qualche tratto di strada ella andasse con lui a piedi, quanto gli pareva potesse sopportare senza affaticarsi troppo. Quindi, subito con grande decoro e riverenza le chiedeva che non ricusasse quel piccolo sollievo; e la Regina celeste ubbidiva, proseguendo in sella.

202. Queste umili discussioni tra Maria santissima e Giuseppe si presentavano più volte nel corso delle loro giornate, che trascorrevano senza sciupare un solo istante. Camminavano soli senza compagnia di creature umane; ma li assistevano i mille angeli che custodivano la lettiga di Salomone, Maria santissima. Sebbene servissero in forma visibile la loro Regina e il Figlio santissimo che portava in grembo, ella sola li vedeva. Con uguale attenzione agli angeli e a san Giuseppe suo sposo, la Madre della grazia camminava riempiendo le campagne ed i monti di fragranza soavissima con la sua presenza e con le lodi di Dio in cui senza interruzione stava assorta. Alcune volte discorreva con i suoi angeli e si alternava con loro nei cantici divini, con motivi differenti, sui misteri della Divinità e sulle opere della creazione e dell'incarnazione; in questo di nuovo quel candido cuore della purissima Signora si infiammava di amore per Dio. A tutto ciò si prestava san Giuseppe, suo sposo, con il moderato silenzio che osservava, concentrando il suo spirito in se stesso con alta contemplazione e permettendo che - a suo credere - facesse lo stesso la sua devota sposa.

203. Altre volte Maria e Giuseppe parlavano fra sé di molte cose riguardanti la salvezza delle loro anime e le misericordie del Signore, nonché la venuta del Messia, le promesse che di lui erano state fatte agli antichi Padri ed altri misteri dell'Altissimo. Durante questo viaggio, accadde una cosa ammirabile per il santo sposo Giuseppe. Egli amava teneramente la propria sposa con amore santo e castissimo, infusogli con grazia speciale dall'amore divino; per un altro privilegio non minore, poi, il santo era di indole nobilissima, cortese, piacevole ed affabile. Tutto questo produceva in lui una sollecitudine prudentissima ed amorevole, alla quale lo muoveva fin dal principio la stessa santità e grandezza che conosceva nella sua prudentissima sposa, come oggetto prossimo a quei doni del cielo. Perciò, il santo andava prendendosi cura sollecita di Maria santissima, domandandole molte volte se si sentisse affaticata e stanca ed in che cosa potesse darle sollievo e servirla. Siccome, però, la Regina del cielo portava già nel suo talamo verginale il fuoco divino del Verbo incarnato, il santo Giuseppe, senza saperne la causa, per le parole e la conversazione della sua amata sposa sentiva nella sua anima nuovi effetti, in forza dei quali si riconosceva più infiammato nell'amore per Dio e pieno di altissima conoscenza dei misteri dei quali parlavano, con una fiamma interiore ed una nuova luce che lo spiritualizzavano e lo rinnovavano tutto. Quanto più, poi, proseguivano nel cammino e nei discorsi celesti, tanto più crescevano questi favori, dei quali erano strumento le parole della sua sposa, che penetravano il suo cuore ed infiammavano la sua volontà nell'amore per Dio.

204. Era così grande questa novità che il giudizioso sposo Giuseppe non poté evitare di riflettervi molto. Anche se conosceva che tutto procedeva da Maria santissima e nella sua meraviglia si sarebbe consolato se ne avesse saputo la causa senza ricercarla con curiosità, per la sua grande modestia non ardi farle alcuna domanda, disponendo così il Signore, perché non era ancora tempo che egli conoscesse il segreto del re, che stava nascosto nel grembo verginale. La prudentissima Principessa guardava il suo sposo, vedendo tutto quanto passava nel suo intimo; mentre, poi, rifletteva fra sé nella sua prudenza, le venne in mente che naturalmente era necessario che si venisse a manifestare la sua gravidanza, senza che la potesse nascondere al suo carissimo e castissimo sposo. La grande Signora non sapeva allora in che modo Dio avrebbe regolato questo mistero; però, sebbene non avesse ricevuto ordine di tenerlo celato, la sua divina discrezione le insegnò quanto fosse bene nasconderlo, come mistero grande, ed il maggiore tra tutti. Così, lo tenne segreto, senza farne parola alcuna con il suo sposo, né in questa occasione, né prima al tempo dell'annuncio dell'angelo, né in seguito in mezzo ai timori dei quali diremo, cioè quando arrivò il tempo in cui il santo Giuseppe conobbe la gravidanza.

205. Oh, discrezione ammirabile e prudenza più che umana! La grande Regina si abbandonò tutta alla Provvidenza divina, aspettando ciò che avrebbe disposto. Tuttavia, provò pena, prevedendo quella che il suo santo sposo avrebbe ricevuto e considerando che non poteva anticipatamente liberarlo da essa o rimuoverla. Questa preoccupazione cresceva ancora più al vedere la grande attenzione che il santo usava nel servirla e nel prendersi cura di lei con amore; ciò meritava uguale corrispondenza in tutto quello che prudentemente fosse possibile. Pregò, perciò, in modo speciale il Signore, presentandogli il suo ansioso affetto, la sua brama di agire con sicurezza e ciò di cui aveva bisogno san Giuseppe nella circostanza che lo sovrastava, chiedendo per tutto l'assistenza e la direzione divina. In questa sospensione sua l'Altezza eseguì ed esercitò grandi ed eroici atti di fede, speranza, carità, prudenza, umiltà, pazienza e fortezza, dando pienezza di santità a tutto quello che le capitava, perché in ogni cosa operava sempre ciò che era più perfetto.

206. Questo viaggio fu il primo pellegrinaggio che il Verbo incarnato fece nel mondo, quattro giorni dopo essere entrato in esso; infatti, il suo ardentissimo amore non poté sopportare ulteriore dilazione per cominciare ad accendere il fuoco che veniva a diffondere sulla terra, dando così principio alla giustificazione dei mortali nel suo divino precursore. Comunicò questa prontezza alla sua Madre santissima, affinché in fretta si alzasse ed andasse a visitare Elisabetta. In questa circostanza l'umile Signora servì da baldacchino al vero Salomone, ma più ricco, ornato e leggero del primo. Così, questo viaggio fu più glorioso ed avvenne con maggiore giubilo e magnificenza dell'Unigenito del Padre, perché egli camminava riposando dolcemente nel talamo verginale di sua Madre e traendo diletto dall'amore con cui ella lo adorava, lo benediceva, lo contemplava, si rivolgeva a lui, lo ascoltava e gli rispondeva. Ella sola, insomma, divenuta allora l'archivio reale e la depositaria di un così magnifico mistero, lo venerava e gli si mostrava riconoscente per sé e per tutto il genere umano, molto più che tutti gli uomini e gli angeli insieme.

207. Nel corso del cammino, che durò quattro giorni, i pellegrini Maria santissima e Giuseppe esercitarono non solo le virtù che hanno Dio come oggetto ed altre interion, ma anche molti atti di carità verso il prossimo, perché questa non poteva rimanere inoperosa dinanzi a quanti erano bisognosi di soccorso. Non trovavano in tutti gli alloggi uguale accoglienza, perché alcuni, da rozzi, immersi nella loro naturale inavvertenza, rifiutavano di ospitarli, mentre altri, mossi dalla grazia divina, li accoglievano con amore. A nessuno, però, la Madre della misericordia negava la pietà che poteva esercitare, per cui stava sempre attenta se potesse visitare o incontrare poveri, infermi ed afflitti, e tutti soccorreva e consolava o risanava dai loro mali. Non mi trattengo a riferire tutti i casi che quanto a ciò le capitarono. Dirò solo la buona sorte di una povera donna inferma, che la nostra grande Regina incontrò in un luogo attraverso il quale passava nel primo giorno del viaggio. Sua Maestà la vide e si mosse a tenerezza e compassione della sua infermità, che era gravissima; per questo, usando il potere che aveva come signora delle creature, ordinò alla febbre di lasciare quella donna e al suo organismo di riprendere il suo regolare funzionamento. In forza di questo comando e della dolce presenza di Maria purissima, l'inferma si trovò all'istante libera, del tutto sana dalla malattia del corpo e migliorata nello spirito. Anzi, in seguito avanzò tanto nel bene che giunse ad essere perfetta e santa, perché le rimase impressa nella memoria l'immagine dell'autrice del suo bene e nel cuore le restò un intimo amore verso di lei, anche se non vide mai più la grande Signora né il miracolo si divulgò.

208. Continuando il loro viaggio, Maria santissima e san Giuseppe suo sposo giunsero il quarto giorno alla città di Giuda, dove abitavano Elisabetta e Zaccaria. Come specifica l'evangelista san Luca, questo nome era proprio della città, anche se i predicatori del Vangelo comunemente hanno creduto che fosse nome comune della provincia che si chiamava Giuda o Giudea, dalla quale prendevano il nome anche le montagne della Giudea, che sì estendono a 'sud di Gerusalemme. A me, però, è stato manifestato che era la città stessa che si chiamava Giuda e che l'Evangelista la nominò con il suo nome proprio, sebbene i dottori e i predicatori abbiano inteso con il nome di Giuda la provincia a cui apparteneva. Ciò è avvenuto perché quella città andò in rovina alcuni anni dopo la morte di Cristo Signore nostro e gli studiosi, non avendo trovato memoria di essa, hanno ritenuto che san Luca con il nome di Giuda avesse voluto significare la provincia, non il luogo. Da questo ha avuto origine la diversità delle opinioni su quale fosse la città dove avvenne la visitazione di Maria santissima a santa Elisabetta.

209. Poiché l'ubbidienza mi ha ordinato di spiegare più esattamente questo punto per la sorpresa che può causare, dico inoltre che la casa di Zaccaria ed Elisabetta, dove avvenne la visitazione, si trovava nel medesimo luogo dove adesso questi divini misteri sono venerati dai fedeli e dai pellegrini che accorrono o vivono nei santi luoghi della Palestina. Anche se la città di Giuda andò in rovina, il Signore non permise che si cancellasse del tutto la memoria di luoghi così venerabili, dove erano stati compiuti tanti misteri e che erano stati consacrati dai piedi di Maria santissima, di Cristo Signore nostro, del Battista e dei suoi santi genitori. Così, gli antichi fedeli, che edificarono quelle chiese e ripararono i luoghi santi, ricevettero luce divina per conoscere con essa e mediante qualche tradizione la verità su tutto e rinnovare la memoria di così ammirabili misteri, affinché godessimo del beneficio di venerarli ed adorarli noi fedeli che viviamo adesso, professando e confessando la fede cattolica nei sacri luoghi della nostra redenzione.

210. Per maggiore conoscenza di questo si sappia che il demonio, dopo che alla morte di Cristo Signore nostro l'ebbe conosciuto come vero Dio e redentore degli uomini, pretese con incredibile furore di cancellare, come dice Geremia, la sua memoria dalla terra dei viventi, e così pure quella della sua Madre santissima. Quindi, una volta procurò che la santissima croce fosse nascosta e sotterrata ed un'altra volta che fosse trafugata in Persia; con questo medesimo intento fece in modo che andassero in rovina e fossero dimenticati molti luoghi santi. Fu per questo che gli angeli santi trasportarono tante volte la venerabile e santa casa di Loreto, perché lo stesso drago, che perseguitava questa santissima Signora aveva già disposto gli animi degli abitanti di quella terra affinché abbattessero quel sacro oratorio, che era stato il luogo in cui si era compiuto l'altissimo mistero dell'incarnazione. Fu per tale astuzia del nemico che venne distrutta l'antica città di Giuda, in parte per negligenza degli abitanti che andarono diminuendo e in parte per disgrazie ed infortuni avvenuti, anche se il Signore non permise che andasse completamente in rovina la casa di Zaccaria, per i misteri che vi si erano celebrati.

211. Come ho detto, questa città era distante ventisei leghe da Nazaret e circa due da Gerusalemme. Era situata dove ha la sua sorgente il torrente Sorec, sulle montagne della Giudea. Dopo la nascita di san Giovanni e la partenza di Maria santissima e di san Giuseppe per ritornare a Nazaret, santa Elisabetta seppe per illuminazione divina che era imminente una grande rovina e calamità per i bambini di Betlemme e dei suoi dintorni. Sebbene tale rivelazione fosse generale e senza altra specificazione, mosse la madre di san Giovanni a ritirarsi con Zaccaria suo marito a Ebron, distante circa otto leghe da Gerusalemme; e così fecero, perché erano ricchi e nobili e possedevano case e beni non solo in Giuda ed in Ebron, ma anche in altri luoghi. Per questo, quando Maria santissima e Giuseppe, fuggendo da Erode, andarono esuli in Egitto alcuni mesi dopo la nascita del Verbo e più mesi dopo quella del Battista, santa Elisabetta e Zaccaria si trovavano a Ebron. Zaccaria mori quattro mesi dopo la nascita di Cristo Signore nostro, cioè dieci dopo la nascita di suo figlio san Giovanni. Ciò mi pare sufficiente per chiarire questo dubbio circa la casa della visitazione, che non fu in Gerusalemme, né in Betlemme, né in Ebron, ma nella città che si chiamava Giuda. Ho conosciuto questo innanzitutto con la luce del Signore, con cui ho appreso gli altri misteri di questa divina Storia; poi, di nuovo me lo ha dichiarato l'angelo santo, quando per ubbidienza l'ho interrogato un'altra volta.

212. Maria santissima e san Giuseppe giunsero alla casa di Zaccaria. Per annunciare il loro arrivo, il santo sposo andò alcuni passi avanti e salutò dicendo: «Il Signore sia con voi e riempia le vostre anime della sua grazia divina». Santa Elisabetta era già preparata, perché il Signore stesso le aveva rivelato che Maria di Nazaret sua parente partiva per visitarla. Da questa visione, però, aveva conosciuto solo che la divina Signora era molto gradita agli occhi dell'Altissimo, perché il mistero della sua dignità di Madre di Dio non le fu rivelato se non quando si salutarono in disparte. Elisabetta uscì subito con alcuni della sua famiglia per ricevere Maria santissima, la quale però, più umile e più giovane, prevenne sua cugina nel saluto e le disse: «Il Signore sia con voi, mia carissima cugina». «Lo stesso Signore - rispose Elisabetta - vi ricompensi di essere venuta a darmi questa consolazione». Dopo questo saluto, salirono alla casa di Zaccaria e, quando le due cugine si furono ritirate in disparte, avvenne ciò che racconterò nel capitolo seguente.

 

Insegnamento che mi diede la Regina del cielo

 

213. Figlia mia, quando la creatura stima adeguatamente le opere buone e l'ubbidienza al Signore che gliele comanda per sua gloria, seguono per lei una grande facilità nell'operarle, una soavissima dolcezza nell'intraprenderle ed una diligente prontezza nel continuarle e proseguirle. Questi effetti sono un'evidente prova della verità ed utilità che è in esse. L'anima, però, non può sperimentare questo effetto se non sta molto sottomessa al Signore, sollevando a lui gli occhi per ascoltare con gioia il suo divino beneplacito ed eseguirlo con sollecitudine, dimenticandosi della propria inclinazione e comodità, appunto come il servo fedele, che vuole fare solamente la volontà del suo Signore e non la sua. Questo è il modo di ubbidire fruttuoso che tutte le creature devono a Dio, e molto più le religiose che così hanno promesso. Tu, o carissima, per conseguiilo perfettamente, considera la stima con cui Davide parla spesso dei precetti del Signore, delle sue parole e della sua salvezza, nonché gli effetti che causarono in lui e producono ora nelle anime. Egli, infatti, confessa che rendono saggio il semplice, fanno gioire il cuore, danno luce agli occhi dell'anima, sono lampada per i suoi passi , sono più dolci del miele e più stimabili dell'oro e delle pietre preziose. Questa prontezza e questo abbandono alla volontà divina ed alla sua legge resero Davide conforme al cuore di Dio, perché sua Maestà vuole tali i suoi servi ed amici.

214. Attendi dunque, figlia mia, con grande stima alle opere di virtù e di perfezione che sai gràdite al tuo Signore; non volere disprezzarne alcuna, né resistere, né cessare di intraprenderle per quanta violenza tu possa sentire nella tua inclinazione e debolezza. Confida nel Signore ed impegnati a metterle in pratica; subito il suo potere vincerà tutte le difficoltà e ben presto conoscerai con felice esperienza quanto dolce è il giogo e quanto leggero il carico del Signore e che sua divina Maestà non volle ingannarci nell'affermarlo, come suppongono i tiepidi e negligenti, che con la loro infingardaggine e diffidenza contraddicono tacitamente questa verità. Voglio similmente che per imitarmi in questa perfezione consideri il beneficio che mi fece la benignità divina, dandomi pietà ed affetto soavissimo verso le creature, come opere di Dio, partecipi della sua bontà e del suo essere. Con questo affetto io desideravo consolare, sollevare ed incoraggiare tutte le anime e con una compassione naturale procuravo loro ogni bene spirituale e corporale. Per nessuno, per peccatore grande che fosse, desideravo male alcuno; anzi, verso questi mi volgevo con grande forza del mio cuore compassionevole per procurargli la salvezza eterna. Da ciò derivò la mia ansietà per la pena che il mio sposo Giuseppe avrebbe ricevuto venendo a conoscere la mia gravidanza, perché a lui io dovevo più che a tutti gli altri. Sentivo questa soave compassione in particolare verso gli afflitti e gli infermi e mi adoperavo per ottenere a tutti qualche sollievo. In questa virtù voglio che tu mi imiti secondo la conoscenza che ne hai, usando di essa prudentemente.


7-9 Marzo 13, 1906 Se l’anima non può stare senza di Gesù, è segno che essa è necessaria al suo amore.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Questa mattina, il benedetto Gesù non ci veniva, ed io dicevo tra me stessa: “Signore, non vedi che mi sento mancare la vita? Sento tanta necessità di Te, che se Tu non vieni, mi sento distruggere il mio essere, non mi negare ciò che mi è assolutamente necessario; non vi chiedo baci, carezze, favori, ma solo la necessità”. Mentre ciò dicevo, me sono trovata tutta assorbita in Lui, tutto il mio essere sperduto in modo che non potevo fare altro e vedere altro, che quello che faceva, vedeva Lui stesso. Mi sentivo beata, felice, tutte le mie potenze assonnate, ossia come uno che va nel profondo del mare che tutto è acqua, e se fa per guardare, guarda l’acqua; se parla, l’acqua l’impedisce la parola e vi entra fin nelle viscere; se sente, è il mormorio delle acque che le entra per le orecchie, con questa differenza, che nel mare c’è pericolo della vita, non si sente né felice né beata, ed in Dio si riacquista la vita divina, felicità e beatitudine. Onde il benedetto Gesù mi ha detto:

(2) “Figlia mia, se tu non puoi stare senza di Me, tanto ti sono necessario, è segno che tu sei necessaria al mio amore, perché a secondo che uno si rende necessario ad uno, é segno che quello è necessario all’altro; perciò, sebbene qualche volta pare che non debbo venire e tu ci stenti, e veggo la necessità che hai di Me, a seconda che cresce in te la necessità, cresce anche in Me, e dico tra Me: Ma me lo vado a prendere questo sollievo al mio amore. E’ perciò che dopo aver tu stentato, Io ci vengo”.