Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 20° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Luca 10
1Dopo questi fatti il Signore designò altri settantadue discepoli e li inviò a due a due avanti a sé in ogni città e luogo dove stava per recarsi.2Diceva loro: "La messe è molta, ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai per la sua messe.3Andate: ecco io vi mando come agnelli in mezzo a lupi;4non portate borsa, né bisaccia, né sandali e non salutate nessuno lungo la strada.5In qualunque casa entriate, prima dite: Pace a questa casa.6Se vi sarà un figlio della pace, la vostra pace scenderà su di lui, altrimenti ritornerà su di voi.7Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno, perché l'operaio è degno della sua mercede. Non passate di casa in casa.8Quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà messo dinanzi,9curate i malati che vi si trovano, e dite loro: Si è avvicinato a voi il regno di Dio.10Ma quando entrerete in una città e non vi accoglieranno, uscite sulle piazze e dite:11Anche la polvere della vostra città che si è attaccata ai nostri piedi, noi la scuotiamo contro di voi; sappiate però che il regno di Dio è vicino.12Io vi dico che in quel giorno Sòdoma sarà trattata meno duramente di quella città.
13Guai a te, Corazin, guai a te, Betsàida! Perché se in Tiro e Sidone fossero stati compiuti i miracoli compiuti tra voi, già da tempo si sarebbero convertiti vestendo il sacco e coprendosi di cenere.14Perciò nel giudizio Tiro e Sidone saranno trattate meno duramente di voi.
15E tu, Cafàrnao,
'sarai innalzata fino al cielo?
Fino agli inferi sarai precipitata!'
16Chi ascolta voi ascolta me, chi disprezza voi disprezza me. E chi disprezza me disprezza colui che mi ha mandato".
17I settantadue tornarono pieni di gioia dicendo: "Signore, anche i demòni si sottomettono a noi nel tuo nome".18Egli disse: "Io vedevo satana cadere dal cielo come la folgore.19Ecco, io vi ho dato il potere di camminare sopra i serpenti e gli scorpioni e sopra ogni potenza del nemico; nulla vi potrà danneggiare.20Non rallegratevi però perché i demòni si sottomettono a voi; rallegratevi piuttosto che i vostri nomi sono scritti nei cieli".
21In quello stesso istante Gesù esultò nello Spirito Santo e disse: "Io ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, che hai nascosto queste cose ai dotti e ai sapienti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, Padre, perché così a te è piaciuto.22Ogni cosa mi è stata affidata dal Padre mio e nessuno sa chi è il Figlio se non il Padre, né chi è il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare".
23E volgendosi ai discepoli, in disparte, disse: "Beati gli occhi che vedono ciò che voi vedete.24Vi dico che molti profeti e re hanno desiderato vedere ciò che voi vedete, ma non lo videro, e udire ciò che voi udite, ma non l'udirono".
25Un dottore della legge si alzò per metterlo alla prova: "Maestro, che devo fare per ereditare la vita eterna?".26Gesù gli disse: "Che cosa sta scritto nella Legge? Che cosa vi leggi?".27Costui rispose: "'Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima, con tutta la tua forza' e con tutta la tua mente e 'il prossimo tuo come te stesso'".28E Gesù: "Hai risposto bene; fa' questo e vivrai".
29Ma quegli, volendo giustificarsi, disse a Gesù: "E chi è il mio prossimo?".30Gesù riprese:
"Un uomo scendeva da Gerusalemme a Gèrico e incappò nei briganti che lo spogliarono, lo percossero e poi se ne andarono, lasciandolo mezzo morto.31Per caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e quando lo vide passò oltre dall'altra parte.32Anche un levita, giunto in quel luogo, lo vide e passò oltre.33Invece un Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto lo vide e n'ebbe compassione.34Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi, caricatolo sopra il suo giumento, lo portò a una locanda e si prese cura di lui.35Il giorno seguente, estrasse due denari e li diede all'albergatore, dicendo: Abbi cura di lui e ciò che spenderai in più, te lo rifonderò al mio ritorno.36Chi di questi tre ti sembra sia stato il prossimo di colui che è incappato nei briganti?".37Quegli rispose: "Chi ha avuto compassione di lui". Gesù gli disse: "Va' e anche tu fa' lo stesso".
38Mentre erano in cammino, entrò in un villaggio e una donna, di nome Marta, lo accolse nella sua casa.39Essa aveva una sorella, di nome Maria, la quale, sedutasi ai piedi di Gesù, ascoltava la sua parola;40Marta invece era tutta presa dai molti servizi. Pertanto, fattasi avanti, disse: "Signore, non ti curi che mia sorella mi ha lasciata sola a servire? Dille dunque che mi aiuti".41Ma Gesù le rispose: "Marta, Marta, tu ti preoccupi e ti agiti per molte cose,42ma una sola è la cosa di cui c'è bisogno. Maria si è scelta la parte migliore, che non le sarà tolta".
Secondo libro dei Re 22
1Quando divenne re, Giosia aveva otto anni; regnò trentun anni in Gerusalemme. Sua madre, di Boscat, si chiamava Iedida figlia di Adaia.2Fece ciò che è retto agli occhi del Signore, imitando in tutto la condotta di Davide, suo antenato, senza deviare né a destra né a sinistra.
3Nell'anno diciotto del suo regno, Giosia mandò Safàn figlio di Asalia, figlio di Mesullàm, scriba, nel tempio dicendogli:4"Va' da Chelkia sommo sacerdote; egli raccolga il denaro portato nel tempio, che i custodi della soglia hanno raccolto dal popolo.5Lo consegni agli esecutori dei lavori, addetti al tempio; costoro lo diano a quanti compiono le riparazioni del tempio,6ossia ai falegnami, ai costruttori e ai muratori e l'usino per acquistare legname e pietre da taglio occorrenti per il restauro del tempio.7Non c'è bisogno di controllare il denaro consegnato nelle mani di costoro, perché la loro condotta ispira fiducia".
8Il sommo sacerdote Chelkia disse allo scriba Safàn: "Ho trovato nel tempio il libro della legge". Chelkia diede il libro a Safàn, che lo lesse.9Lo scriba Safàn quindi andò dal re e gli riferì: "I tuoi servitori hanno versato il denaro trovato nel tempio e l'hanno consegnato agli esecutori dei lavori, addetti al tempio".10Inoltre lo scriba Safàn riferì al re: "Il sacerdote Chelkia mi ha dato un libro". Safàn lo lesse davanti al re.
11Udite le parole del libro della legge, il re si lacerò le vesti.12Egli comandò al sacerdote Chelkia, ad Achikam figlio di Safàn, ad Acbor figlio di Michea, allo scriba Safàn e ad Asaia ministro del re:13"Andate, consultate il Signore per me, per il popolo e per tutto Giuda, intorno alle parole di questo libro ora trovato; difatti grande è la collera del Signore, che si è accesa contro di noi perché i nostri padri non hanno ascoltato le parole di questo libro e nelle loro azioni non si sono ispirati a quanto è stato scritto per noi".
14Il sacerdote Chelkia insieme con Achikam, Acbor, Safàn e Asaia andarono dalla profetessa Culda moglie di Sallùm, figlio di Tikva, figlio di Carcas, guardarobiere; essa abitava in Gerusalemme nel secondo quartiere.15L'interrogarono ed essa rispose loro: "Dice il Signore Dio di Israele: Riferite all'uomo che vi ha inviati da me:16Così parla il Signore: Eccomi, io faccio piombare una sciagura su questo luogo e sui suoi abitanti, attuando tutte le parole del libro lette dal re di Giuda,17perché hanno abbandonato me e hanno bruciato incenso ad altri dèi per provocarmi a sdegno con tutte le opere delle loro mani; la mia collera divamperà contro questo luogo e non si spegnerà!18Al re di Giuda, che vi ha inviati a consultare il Signore, riferirete: Queste cose dice il Signore Dio d'Israele: Quanto alle parole che hai udito,...19poiché il tuo cuore si è intenerito e ti sei umiliato davanti al Signore, udendo le mie parole contro questo luogo e contro i suoi abitanti, che cioè diverranno una desolazione e una maledizione, ti sei lacerate le vesti e hai pianto davanti a me, anch'io ti ho ascoltato. Oracolo del Signore.20Per questo, ecco, io ti riunirò ai tuoi padri; sarai composto nel tuo sepolcro in pace; i tuoi occhi non vedranno tutta la sciagura che io farò piombare su questo luogo". Quelli riferirono il messaggio al re.
Giobbe 37
1Per questo mi batte forte il cuore
e mi balza fuori dal petto.
2Udite, udite, il rumore della sua voce,
il fragore che esce dalla sua bocca.
3Il lampo si diffonde sotto tutto il cielo
e il suo bagliore giunge ai lembi della terra;
4dietro di esso brontola il tuono,
mugghia con il suo fragore maestoso
e nulla arresta i fulmini,
da quando si è udita la sua voce;
5mirabilmente tuona Dio con la sua voce
opera meraviglie che non comprendiamo!
6Egli infatti dice alla neve: "Cadi sulla terra"
e alle piogge dirotte: "Siate violente".
7Rinchiude ogni uomo in casa sotto sigillo,
perché tutti riconoscano la sua opera.
8Le fiere si ritirano nei loro ripari
e nelle loro tane si accovacciano.
9Dal mezzogiorno avanza l'uragano
e il freddo dal settentrione.
10Al soffio di Dio si forma il ghiaccio
e la distesa dell'acqua si congela.
11Carica di umidità le nuvole
e le nubi ne diffondono le folgori.
12Egli le fa vagare dappertutto
secondo i suoi ordini,
perché eseguiscano quanto comanda loro
sul mondo intero.
13Le manda o per castigo della terra
o in segno di bontà.
14Porgi l'orecchio a questo, Giobbe, soffèrmati
e considera le meraviglie di Dio.
15Sai tu come Dio le diriga
e come la sua nube produca il lampo?
16Conosci tu come la nube si libri in aria,
i prodigi di colui che tutto sa?
17Come le tue vesti siano calde
quando non soffia l'austro e la terra riposa?
18Hai tu forse disteso con lui il firmamento,
solido come specchio di metallo fuso?
19Insegnaci che cosa dobbiamo dirgli.
Noi non parleremo per l'oscurità.
20Gli si può forse ordinare: "Parlerò io?".
O un uomo può dire che è sopraffatto?
21Ora diventa invisibile la luce,
oscurata in mezzo alle nubi:
ma tira il vento e le spazza via.
22Dal nord giunge un aureo chiarore,
intorno a Dio è tremenda maestà.
23L}Onnipotente noi non lo possiamo raggiungere,
sublime in potenza e rettitudine
e grande per giustizia: egli non ha da rispondere.
24Perciò gli uomini lo temono:
a lui la venerazione di tutti i saggi di mente.
Salmi 101
1'Di Davide. Salmo.'
Amore e giustizia voglio cantare,
voglio cantare inni a te, o Signore.
2Agirò con saggezza nella via dell'innocenza:
quando verrai a me?
Camminerò con cuore integro,
dentro la mia casa.
3Non sopporterò davanti ai miei occhi
azioni malvage;
detesto chi fa il male,
non mi sarà vicino.
4Lontano da me il cuore perverso,
il malvagio non lo voglio conoscere.
5Chi calunnia in segreto il suo prossimo
io lo farò perire;
chi ha occhi altezzosi e cuore superbo
non lo potrò sopportare.
6I miei occhi sono rivolti ai fedeli del paese
perché restino a me vicino:
chi cammina per la via integra
sarà mio servitore.
7Non abiterà nella mia casa,
chi agisce con inganno,
chi dice menzogne non starà alla mia presenza.
8Sterminerò ogni mattino
tutti gli empi del paese,
per estirpare dalla città del Signore
quanti operano il male.
Michea 1
1Parola del Signore, rivolta a Michea di Morèset, al tempo di Iotam, di Acaz e di Ezechia, re di Giuda. Visione che egli ebbe riguardo a Samaria e a Gerusalemme.
2Udite, popoli tutti!
Fa' attenzione, o terra,
con quanto contieni!
Il Signore Dio sia testimone contro di voi,
il Signore dal suo santo tempio.
3Poiché ecco, il Signore esce dalla sua dimora
e scende e cammina
sulle alture del paese;
4si sciolgono i monti sotto di lui
e le valli si squarciano
come cera davanti al fuoco,
come acque versate su un pendio.
5Tutto ciò per l'infedeltà di Giacobbe
e per i peccati della casa di Israele.
Qual è l'infedeltà di Giacobbe?
Non è forse Samaria?
Qual è il peccato di Giuda?
Non è forse Gerusalemme?
6Ridurrò Samaria a un mucchio di rovine in un campo,
a un luogo per piantarvi la vigna.
Rotolerò le sue pietre nella valle,
scoprirò le sue fondamenta.
7Tutte le sue statue saranno frantumate,
tutti i suoi doni andranno bruciati,
di tutti i suoi idoli farò scempio
perché messi insieme a prezzo di prostituzione
e in prezzo di prostituzione torneranno.
8Perciò farò lamenti e griderò,
me ne andrò scalzo e nudo,
manderò ululati come gli sciacalli,
urli lamentosi come gli struzzi,
9perché la sua piaga è incurabile
ed è giunta fino a Giuda,
si estende fino alle soglie del mio popolo,
fino a Gerusalemme.
10Non l'annunziate in Gat,
non piangete in Acri,
a Bet-le-Afrà avvoltolatevi nella polvere.
11Emigra, popolazione di Safìr,
nuda, nella vergogna;
non è uscita la popolazione di Zaanàn.
In lutto è Bet-Èsel;
egli vi ha tolto la sua difesa.
12Si attendeva il benessere
la popolazione di Maròt,
invece è scesa la sciagura
da parte del Signore
fino alle porte di Gerusalemme.
13Attacca i destrieri al carro,
o abitante di Lachis!
Essa fu l'inizio del peccato
per la figlia di Sion,
poiché in te sono state trovate
le infedeltà d'Israele.
14Perciò sarai data in dote a Morèset-Gat,
le case di Aczìb saranno una delusione
per i re d'Israele.
15Ti farò ancora giungere un conquistatore,
o abitante di Maresà,
egli giungerà fino a Adullàm,
gloria d'Israele.
16Tagliati i capelli, rasati la testa
per via dei tuoi figli, tue delizie;
renditi calva come un avvoltoio,
perché vanno in esilio
lontano da te.
Lettera agli Efesini 5
1Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi,2e camminate nella carità, nel modo che anche Cristo vi ha amato e ha dato se stesso per noi, offrendosi a Dio in sacrificio di soave odore.
3Quanto alla fornicazione e a ogni specie di impurità o cupidigia, neppure se ne parli tra voi, come si addice a santi;4lo stesso si dica per le volgarità, insulsaggini, trivialità: cose tutte sconvenienti. Si rendano invece azioni di grazie!5Perché, sappiatelo bene, nessun fornicatore, o impuro, o avaro - che è roba da idolàtri - avrà parte al regno di Cristo e di Dio.
6Nessuno vi inganni con vani ragionamenti: per queste cose infatti piomba l'ira di Dio sopra coloro che gli resistono.7Non abbiate quindi niente in comune con loro.8Se un tempo eravate tenebra, ora siete luce nel Signore. Comportatevi perciò come i figli della luce;9il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.10Cercate ciò che è gradito al Signore,11e non partecipate alle opere infruttuose delle tenebre, ma piuttosto condannatele apertamente,12poiché di quanto viene fatto da costoro in segreto è vergognoso perfino parlare.13Tutte queste cose che vengono apertamente condannate sono rivelate dalla luce, perché tutto quello che si manifesta è luce.14Per questo sta scritto:
"Svégliati, o tu che dormi,
déstati dai morti
e Cristo ti illuminerà".
15Vigilate dunque attentamente sulla vostra condotta, comportandovi non da stolti, ma da uomini saggi;16profittando del tempo presente, perché i giorni sono cattivi.17Non siate perciò inconsiderati, ma sappiate comprendere la volontà di Dio.18E non ubriacatevi di vino, il quale porta alla sfrenatezza, ma siate ricolmi dello Spirito,19intrattenendovi a vicenda con salmi, inni, cantici spirituali, cantando e inneggiando al Signore con tutto il vostro cuore,20rendendo continuamente grazie per ogni cosa a Dio Padre, nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
21Siate sottomessi gli uni agli altri nel timore di Cristo.
22Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore;23il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo.24E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto.
25E voi, mariti, amate le vostre mogli, come Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei,26per renderla santa, purificandola per mezzo del lavacro dell'acqua accompagnato dalla parola,27al fine di farsi comparire davanti la sua Chiesa tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata.28Così anche i mariti hanno il dovere di amare le mogli come il proprio corpo, perché chi ama la propria moglie ama se stesso.29Nessuno mai infatti ha preso in odio la propria carne; al contrario la nutre e la cura, come fa Cristo con la Chiesa,30poiché siamo membra del suo corpo.31'Per questo l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà alla sua donna e i due formeranno una carne sola'.32Questo mistero è grande; lo dico in riferimento a Cristo e alla Chiesa!33Quindi anche voi, ciascuno da parte sua, ami la propria moglie come se stesso, e la donna sia rispettosa verso il marito.
Capitolo XX: L'amore della solitudine e del silenzio
Leggilo nella Biblioteca1. Cerca il tempo adatto per pensare a te e rifletti frequentemente sui benefici che vengono da Dio. Tralascia ogni cosa umanamente attraente; medita argomenti che ti assicurino una compunzione di spirito, piuttosto che un modo qualsiasi di occuparti. Un sufficiente spazio di tempo, adatto per dedicarti a buone meditazioni, lo troverai rinunciando a fare discorsi inutilmente oziosi e ad ascoltare chiacchiere sugli avvenimenti del giorno. I più grandi santi evitavano, per quanto possibile, di stare con la gente e preferivano stare appartati, al servizio di Dio. E' stato detto: ogni volta che andai tra gli uomini ne ritornai meno uomo di prima (Seneca, Epist. VII, 3). E ne facciamo spesso esperienza, quando stiamo a lungo a parlare con altri. Tacere del tutto è più facile che evitare le intemperanze del discorrere, come è più facile stare chiuso in casa che sapersi convenientemente controllare fuori casa. Perciò colui che vuole giungere alla spiritualità interiore, deve, insieme con Gesù, ritirarsi dalla gente. Soltanto chi ama il nascondimento sta in mezzo alla gente senza errare; soltanto chi ama il silenzio parla senza vaneggiare; soltanto chi ama la sottomissione eccelle senza sbagliare; soltanto chi ama obbedire comanda senza sgarrare; soltanto colui che è certo della sua buona coscienza possiede gioia perfetta.
2. Però, anche nei santi, questo senso di sicurezza ebbe fondamento nel timore di Dio. Essi brillarono per straordinarie virtù e per grazia, ma non per questo furono meno fervorosi e intimamente umili. Il senso di sicurezza dei cattivi scaturisce, invece, dalla superbia e dalla presunzione; e , alla fine, si muta in inganno di se stessi. Non sperare di avere sicurezza in questo mondo, anche se sei ritenuto buon monaco o eremita devoto; spesso, infatti, coloro che sembravano eccellenti agli occhi degli uomini sono stati messi nelle più gravi difficoltà. Per molte persone è meglio dunque non essere del tutto esenti da tentazioni ed avere sovente da lottare contro di queste, affinché non siamo troppo sicure di sé, non abbiamo per caso a montare in superbia o addirittura a volgersi sfrenatamente a gioie terrene. Quale buona coscienza manterrebbe colui che non andasse mai cercando le gioie passeggere e non si lasciasse prendere dal mondo! Quale grande pace, quale serenità avrebbe colui che sapesse stroncare ogni vano pensiero, meditando soltanto intorno a ciò che attiene a Dio e alla salute dell'anima, e ponendo ben fissa ogni sua speranza in Dio! Nessuno sarà degno del gaudio celeste, se non avrà sottoposto pazientemente se stesso al pungolo spirituale. Ora, se tu vuoi sentire dal profondo del cuore questo pungolo, ritirati nella tua stanza, lasciando fuori il tumulto del mondo, come sta scritto: pungolate voi stessi, nelle vostre stanze (Sal 4,4). Quello che fuori, per lo più, vai perdendo, lo troverai nella tua cella; la quale diventa via via sempre più cara, mentre reca noi soltanto a chi vi sta di mal animo. Se, fin dall'inizio della tua venuta in convento, starai nella tua cella, e la custodirai con buona disposizione d'animo, essa diventerà per te un'amica diletta e un conforto molto gradito.
3. Nel silenzio e nella quiete l'anima devota progredisce e apprende il significato nascosto delle Scritture; nel silenzio e nella quiete trova fiumi di lacrime per nettarsi e purificarsi ogni notte, e diventa tanto più intima al suo creatore quanto più sta lontana da ogni chiasso mondano. Se, dunque, uno si sottrae a conoscenti e ad amici, gli si farà vicino Iddio, con gli angeli santi. E' cosa migliore starsene appartato a curare il proprio perfezionamento, che fare miracoli, dimenticando se stessi. Cosa lodevole, per colui che vive in convento, andar fuori di rado, evitare di apparire, persino schivare la gente. Perché mai vuoi vedere ciò che non puoi avere? "Il mondo passa, e passano i suoi desideri" (1Gv 2,17). I desideri dei sensi portano a vagare con la mente; ma, passato il momento, che cosa ne ricavi se non un peso sulla coscienza e una profonda dissipazione? Un'uscita piena di gioia prepara spesso un ritorno pieno di tristezza; una veglia piena di letizia rende l'indomani pieno di amarezza; ogni godimento della carne penetra con dolcezza, ma alla fine morde e uccide. Che cosa puoi vedere fuori del monastero, che qui tu non veda? Ecco, qui hai il cielo e la terra e tutti glie elementi dai quali sono tratte tutte le cose. Che cosa altrove potrai vedere, che possa durare a lungo sotto questo sole? Forse credi di poterti saziare pienamente; ma a ciò non giungerai. Ché, se anche tu vedessi tutte le cose di questo mondo, che cosa sarebbe questo, se non un sogno senza consistenza? Leva i tuoi occhi in alto, a Dio, e prega per i tuoi peccati e per le tue mancanze. Lascia le vanità alla gente vana; e tu attendi invece a quello che ti ha comandato Iddio. Chiudi dietro di te la tua porta, chiama a te Gesù, il tuo diletto, e resta con lui nella cella; ché una sì grande pace altrove non la troverai. Se tu non uscirai e nulla sentirai dal chiasso mondano, resterai più facilmente in una pace perfetta. E poiché talvolta sentire cose nuove reca piacere, occorre che tu sappia sopportare il conseguente turbamento dell'animo.
LETTERA 235: Agostino, lieto che Longiniano desideri essere istruito .
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta dopo il 395.
Agostino, lieto che Longiniano desideri essere istruito (n. 1), gli chiede qual bisogno abbia di sacrifici purificatorii chi è già protetto dalle forze divine (n. 2).
AGOSTINO A LONGINIANO
Gode che Longiniano voglia essere istruito da lui.
1. Ho raccolto il frutto della mia lettera, cioè la risposta inviatami dalla tua Benevolenza, risposta dalla quale vedo già spuntata e sorta la sementa di una grande discussione su questo importante argomento: era proprio questo ciò che desideravo prima e che poi desidero ancora, se Dio ci aiuterà, che cioè questa nostra discussione, una volta cominciata, si concluda come si deve e in modo utile alla salvezza dell'anima. Perciò accolgo ben volentieri questa circospezione nell'anima d'un pagano, per cui hai creduto opportuno di non negare e di non affermare nulla con leggerezza su Cristo. Quanto poi al desiderio di essere istruito coi miei scritti su tale argomento, non mi rifiuterò affatto, anzi non cesserò di assecondare questo tuo lodevole e a me carissimo desiderio. Ma prima è necessario chiarire in qualche modo ciò che tu dici degli antichi misteri per avere il tuo preciso pensiero al riguardo. Nella tua lettera tu affermi: " La via migliore per giungere a Dio è quella sulla quale s'affretta a camminare con lo slancio dell'anima e dell'intelligenza chi è buono ed è stimato per ciò che dice e per ciò che fa conforme alla pietà, alla purità, alla giustizia, alla castità, alla sincerità senza subire mai alcuna scossa per il mutamento dei tempi, protetto dalla scorta degli dèi e naturalmente accetto alle potenze divine ossia alle innumerevoli potenze dell'unico, universale, incomprensibile, ineffabile, infaticabile Creatore, le quali - come è vostra usanza particolare - voi chiamate Angeli o un'altra qualunque natura inferiore a Dio o derivante da lui o inseparabile da lui o che porta a lui ". Dopo queste espressioni che riconosci tratte dalla tua lettera tu soggiungi: " Questa è la via per la quale gli uomini, purificati in virtù di pie prescrizioni degli antichi riti sacri e resi buoni mediante espiazioni sommamente atte a purificare e mediante le pratiche dell'astinenza, corrono speditamente senza vacillare nell'anima e nel corpo " 1.
Inutili per un virtuoso i riti espiatorii.
2. Da queste tue espressioni comprendo, se non sbaglio, che a tuo parere non è sufficiente che, nella via che conduce a Dio, una persona buona per parole e azioni pie, pure, giuste, caste e sincere si renda accetta agli dèi, protetta dalla scorta dei quali possa camminare alacremente per giungere al sommo Dio creatore di tutte le cose, qualora non si sia purificata anche mettendo in pratica i pii precetti e compiendo le espiazioni degli antichi riti sacri 2. Vorrei quindi sapere che cosa pensi debba essere purificato in chi è accetto agli dèi e, per mezzo di essi, all'unico sommo Dio vivendo in modo pio, giusto, puro e sincero. Se, infatti, deve ancora purificarsi, vuol dire che non è puro; e non essendo puro, vuol dire che non vive in modo pio, giusto, puro e sincero. Se invece già vive così, è già puro. Che bisogno ha dunque di purificarsi con riti espiatori chi è già puro? Qui sta il nodo della nostra discussione, una volta sciolto il quale vedremo le conseguenze logiche. Ci si chiede cioè: deve uno vivere bene per purificarsi con riti espiatori, oppure deve purificarsi per vivere bene? Oppure, quale che sia il suo grado di perfezione morale, una persona non può essere in grado d'arrivare alla felicità eterna che riceviamo da Dio, se non s'aggiunge l'aiuto delle pratiche espiatorie? Oppure le pratiche rituali sono, per così dire, una parte del ben vivere, sicché cioè vivere rettamente e vivere santamente non siano due cose diverse, ma la vita retta è compresa entro l'ambito della vita santa? Non ti rincresca, di grazia, di farmi sapere in una lettera quale di queste quattro ipotesi sia a tuo parere la più giusta. Poiché è di somma importanza, per ciò che ci siamo impegnati a trattare tra noi per mezzo della corrispondenza epistolare; e ciò per evitare che, mentre sono tutto intento a confutare opinioni che non sarebbe necessario confutare come se fossero tue, mentre non lo sono affatto, si perda del tempo necessario in cose superflue. Non voglio quindi sovraccaricare la presente, per avere la possibilità, appena che mi avrai risposto, di proseguire la trattazione degli altri argomenti.
1 - Ep. 234, 2.
2 - Ep. 234, 2.
17 - La principessa del cielo Maria santissima comincia a patire
La mistica Città di Dio - Libro secondo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca674. L'Altissimo, che con infinita sapienza dispone della vita dei suoi con misura e peso, determinò di esercitare la nostra divina Principessa con alcune tribolazioni proporzionate alla sua età ed al suo stato di piccolina, benché sempre grande nella grazia, che voleva accrescerle con tale mezzo e con essa la gloria. La nostra bambina era piena di sapienza e di grazia, ma conveniva che vi aggiungesse lo studio dell'esperienza, affinché, avanzando in essa, imparasse la scienza del patire, la quale con l'uso arriva alla sua perfezione ed al suo massimo valore. Nel breve corso dei suoi teneri anni aveva goduto delle delizie dell'Altissimo e delle sue carezze, come anche delle dimostrazioni di affetto degli angeli santi, dei suoi genitori, della sua maestra e dei sacerdoti, perché agli occhi di tutti era graziosa ed amabile. Conveniva ormai che del bene che possedeva cominciasse ad avere una nuova conoscenza, quella che si acquista con la lontananza e la privazione di detto bene e con il nuovo uso delle virtù causato da tale privazione, confrontando lo stato dei favori e delle carezze con quello della solitudine, dell'aridità e delle tribolazioni.
675. La prima delle sofferenze che la nostra Principessa patì fu la sospensione da parte del Signore delle continue visioni che le comunicava; questo dolore fu tanto maggiore quanto più era nuovo ed insolito e quanto più sublime e prezioso era il tesoro che ella perdeva di vista. Le si nascosero anche gli angeli santi e con il ritiro di tanti e così eccellenti e divini oggetti, che nel medesimo tempo si occultarono alla sua vista benché non si allontanassero dalla sua compagnia e protezione, quell'anima purissima restò, a suo parere, come deserta e sola nella notte oscura della lontananza del suo amato, che prima la rivestiva di brillantissima luce.
676. Tale cosa risultò nuova alla nostra Bambina, poiché il Signore, sebbene l'avesse già avvertita che avrebbe ricevuto tribolazioni, non le aveva indicato quali sarebbero state. Siccome, poi, il candido cuore della semplicissima Colomba niente poteva pensare né operare che non fosse frutto della sua umiltà e carità incomparabile, si disfaceva tutta nell'esercizio di queste due virtù. Con l'umiltà attribuiva alla sua ingratitudine il non avere meritato la presenza ed il possesso del bene perduto e con l'infiammato amore lo sollecitava e cercava con tali e tanti sentimenti pieni di amore e con tale dolore che non ci sono parole sufficienti per spiegarli. Allora, in quel nuovo stato, si rivolse tutta al Signore e gli disse:
677. «Dio altissimo e Signore dell'intero creato, infinito nella bontà e ricco di misericordia, padrone mio, confesso che una così vile creatura non ha potuto meritare i vostri favori e la mia anima con intimo dolore si spaventa del vostro dispiacere e della propria ingratitudine. Se questa si è frapposta per eclissarmi il sole che mi animava, vivificava ed illuminava e se io sono stata tiepida nel corrispondere a tanti benefici, Signore e pastore mio, fate che io conosca la colpa della mia scortese noncuranza. Se, poi, come ignorante e semplice pecorella, non ho saputo essere grata né operare ciò che era più accetto agli occhi vostri, me ne sto prostrata a terra e nella polvere, affinché voi, mio Dio che abitate nelle altezze, vi degniate di sollevarmi come povera e derelitta. Le vostre mani onnipotenti mi hanno plasmato e non potete ignorare di che cosa siamo formati e in quali vasi depositate i vostri tesori. L'anima mia viene meno nella sua amarezza ed in assenza di voi che siete la sua dolce vita nessuno può dare sollievo al mio deliquio. Ah, dove me ne andrò lontano da voi? Dove volgerò i miei occhi senza la luce che mi illuminava? Chi mi preserverà dalla morte senza voi che siete la vita?».
678. Si rivolgeva pure agli angeli santi e, continuando senza cessare i suoi lamenti di amore, parlava loro dicendo: «Principi celesti, messaggeri del supremo Re delle altezze ed amici fedelissimi dell'anima mia, perché anche voi mi avete abbandonata? Perché mi private della vostra dolce vista e mi negate la vostra presenza? Non mi stupisco, però, miei signori, del vostro sdegno, mentre per mia disgrazia ho meritato di incorrere in quello del vostro e mio Creatore. Luminari dei cieli, illuminate in questa mia ignoranza il mio intelletto e, se ho colpa, correggetemi; ma impetrate dal mio Signore che mi perdoni. Nobilissimi servitori della celeste Gerusalemme, doletevi della mia afflizione e del mio abbandono. Ditemi: dove è andato il mio amato? Ditemi: dove si è nascosto? Ditemi: dove lo ritroverò senza andare vagando qua e là dietro i greggi di tutte le creature? Ohimé, nemmeno voi mi rispondete, sebbene tanto cortesi, nemmeno voi che certamente conoscete dove si trova il mio Sposo, perché mai vi allontana dal contemplare il suo volto e la sua bellezza».
679. Si rivolgeva, poi, al resto delle creature e con rinnovate ansie di amore parlava loro e diceva: «Senza dubbio anche voi, che siete armate contro gli ingrati verso Dio, sarete sdegnate, essendo riconoscenti, contro chi non è stato tale. Se per la bontà del mio e vostro Signore mi ammettete tra voi, benché io sia la più vile, non potete però soddisfare il mio desiderio. Molto belli e spaziosi siete voi, o cieli; belli e risplendenti anche voi, pianeti ed astri tutti; grandi ed invincibili voi, elementi; e tu, o terra, sei adornata e vestita di piante odorose e di erbe; innumerevoli sono i pesci delle acque ed ammirabili i flutti del mare; leggeri e veloci gli uccelli; nascosti i minerali; forti gli animali; e il tutto unito insieme forma una bella scala ininterrotta ed una dolce armonia per arrivare alla conoscenza del mio amato. Sono, però, lunghi giri questi per chi ama e, quando sono passata rapidamente attraverso tutti, alla fine mi fermo e mi trovo lontana dal mio Bene. Con la conoscenza certa che mi date voi, o creature, della sua bellezza senza misura, non si acquieta affatto il mio slancio, non si tempra il dolore, non si modera la mia pena; anzi, cresce il mio affanno, aumenta il desiderio, s'infiamma il cuore e nell'amore non saziato la mia vita terrena viene meno. Oh, quanto mi sarebbe più dolce morire che vivere senza te, mia vita! Oh, quanto mi è penosa la vita senza te, mia anima e mio diletto! Ora che farò? Dove mi volgerò? E come vivo ora? Anzi, come non muoio, dal momento che mi è venuto a mancare colui che è la mia vita? Quale virtù senza di lui mi sostiene? Voi tutte, o creature, che con la vostra costante conservazione e con le vostre perfezioni mi date tanti segni del mio Signore, considerate e osservate se c'è un dolore simile al mio dolore!».
680. La nostra divina Signora formava nel suo cuore e ripeteva con la lingua molti altri discorsi, che non possono essere compresi dal pensiero creato, perché solo la sua prudenza ed il suo amore giunsero a ponderare e sentire quanto comporti l'allontanamento di Dio da un anima che lo abbia già conosciuto e gustato in tale grado. Se gli angeli, quasi presi da gelosia nel loro santo amore, si meravigliavano di vedere in una semplice creatura e tenera bambina tanta varietà di atti prudentissimi di umiltà, fede ed amore e di sentimenti e slanci del cuore, chi potrà mai spiegare il gradimento ed il compiacimento del Signore per l'anima della sua eletta e per tutte le sue elevazioni, ciascuna delle quali feriva il cuore di sua Maestà e procedeva da un privilegio di grazia e di amore maggiore di quello concesso ai medesimi serafini? Se tutti loro, poi, alla vista della Divinità non sapevano esercitare né imitare le azioni di Maria santissima né osservare le leggi dell'amore con tanta perfezione come lei quando lo stesso Dio le stava lontano e nascosto, chi potrà mai descrivere quale era il compiacimento che riceveva tutta la santissima Trinità quando le era presente? Mistero imperscrutabile è questo per la nostra limitatezza; però, dobbiamo riverirlo con ammirazione ed ammirarlo con riverenza.
681. La nostra candidissima Colomba non trovava dove potersi posare, dando pace al suo cuore; i suoi sentimenti, infatti, con inconsolabili gemiti e reiterati voli, si libravano su tutte le creature. Andava molte volte al Signore con lamenti e sospiri di amore; quindi, ritornava, sollecitava gli angeli della sua custodia e risvegliava tutte le creature, come se tutte fossero dotate di ragione; poi, saliva con il suo intelletto illuminato e con il suo ardentissimo affetto a quell'altissima abitazione dove prima il sommo Bene le veniva incontro e godevano reciprocamente le sue ineffabili delizie. Intanto, il supremo Signore ed innamorato sposo, che si lasciava allora possedere ma non godere dalla sua diletta, sempre infiammava più e più quel purissimo cuore con il solo possederlo, aumentando i suoi meriti e possedendolo di nuovo con diversi e misteriosi doni, affinché più posseduto più ancora l'amasse, e più amato e posseduto lo cercasse per vie nuove e con rinnovate ansie di infiammato amore. «L'ho cercato - diceva la divina Principessa - e non l'ho trovato; mi alzerò di nuovo e, guardando meglio per le vie e le piazze della città di Dio, rinnoverò le mie ricerche. Le mie mani hanno stillato mirra, le mie attenzioni non bastano e le mie opere nulla possono se non aumentare il mio dolore. Ho cercato l'amato del mio cuore; l'ho cercato, ma non l'ho trovato. Già il mio diletto si è allontanato. L'ho chiamato, ma non mi ha risposto; ho girato intorno gli occhi per ritrovarlo, ma le guardie della città, le sentinelle e tutte le creature mi hanno molestato ed offeso con la loro vista. Figlie di Gerusalemme, anime sante e giuste, io vi prego, io vi supplico, se incontrate il mio diletto, di dirgli che vengo meno e che muoio per amore suo».
682. La nostra Regina per alcuni giorni si profuse continuamente in questi dolci ed amorosi lamenti. Quell'umile nardo spargeva fragranze così soavi, temendosi disprezzato dal Signore, mentre questi, invece, si stava riposando nella parte più nascosta del suo fedelissimo cuore. La divina Provvidenza, per sua maggiore gloria e per fare sovrabbondare i meriti nella sua sposa, prolungò questo termine per qualche tempo. In esso la divina Signora patì più tormenti spirituali che tutti i santi insieme, poiché ondeggiava tra i sospetti ed i timori di avere perso Dio e di essere caduta dalla sua grazia per propria colpa; e nessuno può giungere a conoscere quanta e quale fosse l'angoscia di quell'ardente cuore, che tanto seppe amare. Solo Dio poteva ponderarla e, per sentirla, lasciava il suo cuore tra quei sospetti e timori di averlo smarrito per propria colpa.
Insegnamento che mi diede la mia Signora e regina
683. Figlia mia, qualunque bene è tanto più stimato dalle creature quanto più si sa che esso è un vero bene. Poiché il vero Bene è uno solo e tutti gli altri non sono che beni falsi ed apparenti, soltanto questo vero e sommo bene deve essere conosciuto come tale ed apprezzato. Tu giungerai a stimarlo e ad amarlo come merita quando lo gusterai, lo conoscerai e lo apprezzerai sopra ogni cosa creata. Il dolore di perderlo è proporzionato a questa stima e a questo amore; così, intenderai in parte gli effetti che io provai quando si allontanò da me il Bene eterno, lasciandomi dubbiosa se per caso lo avessi colpevolmente perduto. Senza dubbio, molte volte il dolore di questi sospetti e la forza dell'amore mi avrebbero privata della vita, se il Signore stesso non me l'avesse conservata.
684. Pondera, dunque, adesso quale dovrebbe essere il dolore di perdere Dio realmente per i peccati, se in un anima che non sente i cattivi effetti della colpa può causare tanto dolore la lontananza del vero bene, benché in realtà non l'abbia perso, anzi lo possegga anche se nascosto all'occhio della sua ragione. Questa sapienza, però, non penetra nella mente degli uomini carnali; anzi, con stoltissima cecità essi stimano l'apparente e finto bene e si dolgono ed affliggono quando manca loro. Del sommo e vero Bene, poi, non si formano concetto né stima alcuna, perché non lo hanno mai gustato né conosciuto. Sebbene il mio Figlio santissimo abbia scacciato da loro questa spaventosa ignoranza contratta per il primo peccato, meritando loro la fede e la carità per conoscere e gustare in qualche modo il bene che non avevano mai sperimentato, pure, ahimè, perdono la carità e la pospongono a qualunque diletto; e la fede, restando oziosa e morta, non giova. Così vivono i figli delle tenebre, come se dell'eternità avessero soltanto una finta o dubbiosa cognizione.
685. Temi, o anima, questo pericolo, su cui non si riflette mai abbastanza. Vigila e ivi sempre attenta e preparata contro i nemici, che non dormono mai. La tua meditazione di giorno e di notte sia su come devi lavorare per non perdere il sommo Bene che ami. Non ti conviene dormire né sonnecchiare tra nemici invisibili. Se, poi, talvolta il tuo amato ti si nasconderà, aspetta con pazienza e cercalo con sollecitudine senza riposare, perché non conosci i suoi occulti giudizi. Intanto, durante il tempo della lontananza e della tentazione, tieni preparato l'olio della carità e della retta intenzione, affinché non ti manchi e tu non sia riprovata con le vergini stolte e smemorate.
18-18 Dicembre 25, 1925 Come ci vogliono le disposizioni per possedere il dono del Voler Divino. Similitudine di Esso. Il vivere nel Voler Supremo è la cosa più grande, è il vivere Vita Divina, e l’anima opera nella unità della Luce Eterna.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Stavo pensando a ciò che sta detto sopra, che la Volontà di Dio è un dono, e perciò come dono si possiede come cosa propria; invece chi fa la Volontà di Dio deve stare ai comandi, deve domandare spesso spesso che cosa deve fare e che si gli impresti il dono, non per essere padrone ma per fare la stessa azione che Dio vuole, finita la quale, restituirle il dono che ha preso in prestito. Nella mia mente si facevano tante immagini e similitudini tra chi vive nel Voler Divino e lo possiede come dono, e tra chi fa la Santissima Volontà di Dio, che non solo non possiede la pienezza del dono, e se lo possiede è ad intervallo e ad imprestito. Ne dico alcuna di quelle similitudini:
(2) Supponevo che avessi una moneta d’oro che avesse la virtù di far sorgere quante monete io volessi, oh! quanto mi potrei far ricca con questo dono; invece un altro lo riceve imprestito questo dono per un’ora o per esplicare una sua azione, per restituirlo subito; che differenza tra la mia ricchezza per il dono che posseggo, e tra quella di chi lo riceve ad imprestito! Oppure, se avessi avuto in dono una luce che non si smorza mai, sicché di notte, di giorno, io sono al sicuro, ho sempre il bene del vedere questa luce che nessuno mi può togliere, si rende con me come connaturale e mi dà il bene di conoscere il bene per farlo e il male per fuggirlo, sicché con questa luce donatami in dono, io mi schernisco di tutti: del mondo, del nemico, delle mie passioni e fin di me stessa; quindi questa luce è per me sorgente perenne di felicità, è senza armi e mi difende, è senza voce e m’insegna, è senza mani e piedi e dirige la mia via e si fa guida sicura per portarmi al Cielo. Invece un altro, quando sente bisogno deve andare a chiedere questa luce, quindi non la tiene a sua disposizione. Abituato a non guardare sempre insieme con la luce, non possiede la conoscenza del bene e del male, e non tiene forza sufficiente per fare il bene ed evitare il male. Onde, non possedendo la luce accesa e continuata, in quanti inganni, pericoli e vie strette non si trova? Che differenza tra chi la possiede come dono suo questa luce, e tra chi la deve andare a chiedere quando ne ha bisogno. Ora, mentre la mia mente si sperdeva in tante similitudini, dicevo tra me: “Sicché il vivere nella Volontà di Dio è possedere la Volontà di Dio, e questo è un dono; quindi, se la bontà di Dio non si compiace di darlo, che può fare la povera creatura?” In questo mentre, il mio amabile Gesù si è mosso nel mio interno, come stringendomi tutta a Sé e mi ha detto:
(3) “Figlia mia, è vero che il vivere nel mio Volere è un dono, ed è possedere il dono più grande; ma questo dono che contiene valore infinito, che è moneta che sorge ad ogni istante, che è luce che mai si smorza, che è sole che mai tramonta, che mette l’anima al suo posto stabilito da Dio nell’ordine divino e quindi prende il suo posto d’onore e di sovranità nella Creazione, non si dà se non a chi è disposto, a chi non deve farne sciupio, a chi deve tanto stimarlo ed amarlo più che la vita propria, anzi essere pronto a sacrificare la propria vita per fare che questo dono del mio Volere abbia la supremazia su tutto e sia tenuto in conto più della stessa vita, anzi la sua vita un nulla in confronto ad Esso. Perciò, prima voglio vedere che l’anima vuol fare davvero la mia Volontà e mai la sua, pronta a qualunque sacrificio per fare la mia; in tutto ciò che fa chiedermi sempre, anche come imprestito, il dono del mio Volere. Ond’Io, quando veggo che nulla fa se non con l’imprestito del mio Volere, lo do come dono, perché col chiederlo e richiederlo ha formato il vuoto nell’anima sua dove mettere questo dono celeste, e con l’aversi abituata a vivere ad imprestito di questo cibo divino, ha perduto il gusto del proprio volere, il suo palato si è nobilitato, e non si adatterà ai cibi vili del proprio io; quindi, vedendosi in possesso di quel dono che lei tanto sospirava, agognava ed amava, vivrà della Vita di quel dono, lo amerà e ne farà la stima che merita. Non condanneresti tu un uomo che preso d’affetto puerile verso un fanciullo, solo perché gli stesse un poco intorno trastullandosi insieme, gli desse una carta da mille, ed il bambino non conoscendo il valore, dopo pochi minuti lo fa in mille pezzi? Ma se invece prima lo fa desiderare, poi ne fa conoscere il valore, dopo il bene che gli può fare quella carta da mille, e poi gliela dà, quel fanciullo non la farà a pezzi, ma andrà a chiuderla sotto chiave, apprezzando il dono e amando di più il donatore, e tu loderesti quell’uomo che ha avuto l’abilità di far conoscere il valore della moneta al piccolo fanciullo. Se ciò fa l’uomo, molto più Io che do i miei doni con saggezza e con giustizia e con vero amore; ecco perciò la necessità delle disposizioni, della conoscenza del dono e della stima ed apprezzamento, e dell’amare lo stesso dono. Perciò, come foriera del dono che voglio fare alla creatura della mia Volontà, è la conoscenza di Essa, la conoscenza prepara la via, la conoscenza è come il contratto che voglio fare del dono che voglio dare, e quanta più conoscenza invio all’anima, tanto più viene stimolata a desiderare il dono e a sollecitare il Divino Scrittore di mettere l’ultima firma che il dono è suo e lo possiede. Onde, il segno che voglio fare questo dono del mio Volere in questi tempi, è la conoscenza di Esso. Quindi, sii attenta a non farti sfuggire nulla di ciò che ti manifesto sulla mia Volontà, se vuoi che Io ci metta l’ultima firma del dono che sospiro di dare alle creature”.
(4) Dopo ciò, la mia povera mente si sperdeva nel Volere Supremo, e facevo quanto più potevo di fare tutti i miei atti nella Divina Volontà; mi sentivo investita d’una luce suprema, ed i miei piccoli atti, come uscivano da me, prendevano posto in quella luce e si convertivano in luce, ed io non potevo vedere né il punto della luce in cui li avevo fatto, né dove trovarli, vedevo solo che si erano incorporati in quella luce interminabile e non più, e a me riusciva impossibile poter navigare in tutta quella luce inaccessibile, starmi dentro sì, ma valicarla tutta non era dato alla mia piccolezza. In questo mentre, il mio amabile Gesù si è mosso nel mio interno e mi ha detto:
(5) “Figlia mia, com’è bello l’operato dell’anima nella mia Volontà, il suo atto si unisce a quell’atto solo del suo Creatore che non conosce successione d’atti, perché la luce eterna non è divisibile, e se si potesse dividere, ciò che non può essere, la parte divisa diventerebbe tenebre; sicché l’atto divino, essendo luce, di tutto il suo operato forma un solo atto. Onde l’anima operando nella luce del mio Volere, si unisce a quell’atto solo del suo Creatore e prende posto nell’ambito della luce dell’eternità, perciò non puoi vederli, né nella parte della luce dove li hai fatti, né dove si trovano, perché la luce eterna di Dio, per la creatura, è invalicabile da poterla valicare tutta, ma sa certo che il suo atto c’è in quella luce, il quale prende posto nel passato, nel presente e nel futuro. Vedi, anche il sole, essendo lui immagine della ombra della luce divina, tiene in parte questa proprietà: Supponi che tu operassi in quel punto dove il sole spande la sua luce solare, tu vedi la sua luce avanti, sopra e dietro di te, a destra e a sinistra, quindi, se tu volessi vedere qual è stata la parte della luce del sole che tutta ti circondava, tu non la sapresti trovare né distinguere, sapresti dire solo che la sua luce certo era sopra di te. Ora, quella luce stava fin dal primo istante che fu creato il sole, sta e starà; se il tuo atto potesse convertirsi in luce solare come si converte in luce divina, potresti trovare la tua particella di luce e la luce che ti è stata data dal sole per farti operare? Certo che no; ma sai però che da te è uscito un’atto che si è incorporato nella luce del sole, perciò dico che il vivere nel Volere Supremo è la cosa più grande, è il vivere Vita Divina. Il Celeste Creatore, come vede l’anima nella sua Volontà, la prende fra le sue braccia, e ponendola nel suo seno la fa operare con le sue stesse mani e con quella potenza di quel Fiat con cui furono fatte tutte le cose; fa scendere sulla creatura tutti i suoi riflessi per darle la somiglianza del suo operato; ecco perché l’operato della creatura diventa luce e si unisce a quell’atto solo del suo Creatore e si costituisce gloria eterna e lode continua del suo Creatore. Perciò sii attenta e fa che il vivere nel mio Volere sia per te il tuo tutto, affinché mai potessi scendere dalla tua origine, cioè dal seno del tuo Creatore”.