Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Gesù, il tuo spirito è spirito di pace. Non esamino con diffidenza i tuoi disegni a mio riguardo. Accetto ogni cosa dalla tua mano misericordiosa. La mia fiducia va crescendo e vedo che la tua onnipotenza mi è vicina e mi sostiene. Con te, o Gesù, avanzo nella vita fra tempeste e arcobaleni, intonando con fiducia l'inno della tua misericordia. (Santa Faustina Kowalska)

Liturgia delle Ore - Letture

Venerdi della 20° settimana del tempo ordinario (Beata Vergine Maria Regina)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 8

1Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.2Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?".6Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".8E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?".11Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".

12Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera".14Gesù rispose: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado.15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.16E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.17Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera:18orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza".19Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".20Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.
21Di nuovo Gesù disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire".22Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".23E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati".25Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico.26Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui".27Non capirono che egli parlava loro del Padre.28Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.29Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite".30A queste sue parole, molti credettero in lui.

31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".33Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?".34Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.35Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre;36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.37So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi.38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!".39Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo". Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!40Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.41Voi fate le opere del padre vostro". Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!".42Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.43Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.46Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio".
48Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".49Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica.51In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".52Gli dissero i Giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte".53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".54Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!",55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".57Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?".58Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".59Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.


Primo libro di Samuele 22

1Davide partì di là e si rifugiò nella grotta di Adullàm. Lo seppero i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre e scesero là.2Si radunarono allora con lui quanti erano in strettezze, quelli che avevano debiti e tutti gli scontenti, ed egli diventò loro capo. Stettero così con lui circa quattrocento uomini.3Davide partì di là e andò a Mizpa di Moab e disse al re di Moab: "Permetti che restino con voi mio padre e mia madre, finché sappia che cosa Dio vuol fare di me".4Li presentò al re di Moab e rimasero con lui finché Davide rimase nel rifugio.5Il profeta Gad disse a Davide: "Non restare più in questo rifugio. Parti e va' nel paese di Giuda". Davide partì e andò nella foresta di Cheret.
6Saul venne a sapere che era stato avvistato Davide con gli uomini che erano con lui. Saul era seduto in Gàbaa, sotto il tamarisco sull'altura, con la lancia in mano e i ministri intorno.7Saul disse allora ai ministri che gli stavano intorno: "Ascoltate, voi Beniaminiti, voi tutti che siete qui. Forse il figlio di Iesse darà a tutti voi campi e vigne, vi farà capi di migliaia e capi di centinaia,8perché voi tutti siate d'accordo contro di me? Nessuno mi avverte dell'alleanza di mio figlio con il figlio di Iesse, nessuno di voi si interessa di me e nessuno mi confida che mio figlio ha sollevato il mio servo contro di me per ordire insidie, come avviene oggi".9Rispose Doeg l'Idumeo, che stava con i ministri di Saul: "Ho visto il figlio di Iesse quando venne a Nob da Achimelech figlio di Achitub10e costui ha consultato il Signore per lui, gli ha dato da mangiare e gli ha consegnato la spada di Golia il Filisteo".11Il re subito convocò il sacerdote Achimelech figlio di Achitub e tutti i sacerdoti della casa di suo padre che erano in Nob ed essi vennero tutti dal re.12Disse Saul: "Ascolta, figlio di Achitub". Rispose: "Eccomi, signor mio".13Saul gli disse: "Perché vi siete accordati contro di me, tu e il figlio di Iesse, dal momento che gli hai fornito pane e spada e hai consultato l'oracolo di Dio per lui, allo scopo di sollevarmi oggi un nemico?".14Achimelech rispose al re: "E chi è come Davide tra tutti i ministri del re? È fedele, è genero del re, capo della tua guardia e onorato in casa tua.15È forse oggi la prima volta che consulto Dio per lui? Lungi da me! Non getti il re questa colpa sul suo servo né su tutta la casa di mio padre, poiché il tuo servo non sapeva di questa faccenda cosa alcuna, né piccola né grande".16Ma il re disse: "Devi morire, Achimelech, tu e tutta la casa di tuo padre".17Il re disse ai corrieri che stavano attorno a lui: "Accostatevi e mettete a morte i sacerdoti del Signore, perché hanno prestato mano a Davide e non mi hanno avvertito pur sapendo che egli fuggiva". Ma i ministri del re non vollero stendere le mani per colpire i sacerdoti del Signore.18Allora il re disse a Doeg: "Accostati tu e colpisci i sacerdoti". Doeg l'Idumeo si fece avanti e colpì di sua mano i sacerdoti e uccise in quel giorno ottantacinque uomini che portavano l''efod' di lino.19Saul passò a fil di spada Nob, la città dei sacerdoti: uomini e donne, fanciulli e lattanti; anche buoi, asini e pecore passò a fil di spada.20Scampò un figlio di Achimelech, figlio di Achitub, che si chiamava Ebiatar, il quale fuggì presso Davide.21Ebiatar narrò a Davide che Saul aveva trucidato i sacerdoti del Signore.22Davide rispose ad Ebiatar: "Quel giorno sapevo, data la presenza di Doeg l'Idumeo, che avrebbe riferito tutto a Saul. Io devo rispondere di tutte le vite della casa di tuo padre.23Rimani con me e non temere: chiunque vorrà la tua vita, vorrà la mia, perché tu starai presso di me come un deposito da custodire".


Salmi 97

1Il Signore regna, esulti la terra,
gioiscano le isole tutte.
2Nubi e tenebre lo avvolgono,
giustizia e diritto sono la base del suo trono.
3Davanti a lui cammina il fuoco
e brucia tutt'intorno i suoi nemici.

4Le sue folgori rischiarano il mondo:
vede e sussulta la terra.
5I monti fondono come cera davanti al Signore,
davanti al Signore di tutta la terra.
6I cieli annunziano la sua giustizia
e tutti i popoli contemplano la sua gloria.

7Siano confusi tutti gli adoratori di statue
e chi si gloria dei propri idoli.
Si prostrino a lui tutti gli dèi!
8Ascolta Sion e ne gioisce,
esultano le città di Giuda
per i tuoi giudizi, Signore.
9Perché tu sei, Signore,
l'Altissimo su tutta la terra,
tu sei eccelso sopra tutti gli dèi.

10Odiate il male, voi che amate il Signore:
lui che custodisce la vita dei suoi fedeli
li strapperà dalle mani degli empi.
11Una luce si è levata per il giusto,
gioia per i retti di cuore.
12Rallegratevi, giusti, nel Signore,
rendete grazie al suo santo nome.


Salmi 80

1'Al maestro del coro. Su "Giglio del precetto". Di Asaf. Salmo'.
2Tu, pastore d'Israele, ascolta,
tu che guidi Giuseppe come un gregge.
Assiso sui cherubini rifulgi
3davanti a Èfraim, Beniamino e Manasse.
Risveglia la tua potenza
e vieni in nostro soccorso.

4Rialzaci, Signore, nostro Dio,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.

5Signore, Dio degli eserciti,
fino a quando fremerai di sdegno
contro le preghiere del tuo popolo?

6Tu ci nutri con pane di lacrime,
ci fai bere lacrime in abbondanza.
7Ci hai fatto motivo di contesa per i vicini,
e i nostri nemici ridono di noi.

8Rialzaci, Dio degli eserciti,
fa' risplendere il tuo volto e noi saremo salvi.

9Hai divelto una vite dall'Egitto,
per trapiantarla hai espulso i popoli.
10Le hai preparato il terreno,
hai affondato le sue radici e ha riempito la terra.
11La sua ombra copriva le montagne
e i suoi rami i più alti cedri.
12Ha esteso i suoi tralci fino al mare
e arrivavano al fiume i suoi germogli.

13Perché hai abbattuto la sua cinta
e ogni viandante ne fa vendemmia?
14La devasta il cinghiale del bosco
e se ne pasce l'animale selvatico.

15Dio degli eserciti, volgiti,
guarda dal cielo e vedi
e visita questa vigna,
16proteggi il ceppo che la tua destra ha piantato,
il germoglio che ti sei coltivato.
17Quelli che l'arsero col fuoco e la recisero,
periranno alla minaccia del tuo volto.
18Sia la tua mano sull'uomo della tua destra,
sul figlio dell'uomo che per te hai reso forte.
19Da te più non ci allontaneremo,
ci farai vivere e invocheremo il tuo nome.

20Rialzaci, Signore, Dio degli eserciti,
fa' splendere il tuo volto e noi saremo salvi.


Isaia 22

1Oracolo sulla valle della Visione.
Che hai tu dunque, che sei salita
tutta sulle terrazze,
2città rumorosa e tumultuante,
città gaudente?
I tuoi caduti non sono caduti di spada
né sono morti in battaglia.
3Tutti i tuoi capi sono fuggiti insieme,
fatti prigionieri senza un tiro d'arco;
tutti i tuoi prodi sono stati catturati insieme,
o fuggirono lontano.
4Per questo dico: "Stornate lo sguardo da me,
che io pianga amaramente;
non cercate di consolarmi
per la desolazione della figlia del mio popolo".
5Poiché è un giorno di panico,
di distruzione e di smarrimento,
voluto dal Signore, Dio degli eserciti.
Nella valle della Visione un diroccare di mura
e un invocare aiuto verso i monti.
6Gli Elamiti hanno preso la faretra;
gli Aramei montano i cavalli,
Kir ha tolto il fodero allo scudo.
7Le migliori tra le tue valli
sono piene di carri;
i cavalieri si sono disposti contro la porta.
8Così egli toglie la protezione di Giuda.
Voi guardavate in quel giorno
alle armi del palazzo della Foresta;
9le brecce della città di Davide
avete visto quante fossero;
avete raccolto le acque della piscina inferiore,
10avete contato le case di Gerusalemme
e demolito le case per fortificare le mura;
11avete costruito un serbatoio fra i due muri
per le acque della piscina vecchia;
ma voi non avete guardato a chi ha fatto queste cose,
né avete visto chi ha preparato ciò da tempo.
12Vi invitava il Signore, Dio degli eserciti, in quel giorno
al pianto e al lamento,
a rasarvi il capo e a vestire il sacco.
13Ecco invece si gode e si sta allegri,
si sgozzano buoi e si scannano greggi,
si mangia carne e si beve vino:
"Si mangi e si beva, perché domani moriremo!".
14Ma il Signore degli eserciti si è rivelato ai miei orecchi:
"Certo non sarà espiato questo vostro peccato,
finché non sarete morti",
dice il Signore, Dio degli eserciti.

15Così dice il Signore, Dio degli eserciti:
"Rècati da questo ministro,
presso Sebnà, il maggiordomo,
16bche si taglia in alto il sepolcro
e si scava nella rupe la tomba:
16aChe cosa possiedi tu qui e chi hai tu qui,
che ti stai scavando qui un sepolcro?
17Ecco, il Signore ti scaglierà giù a precipizio, o uomo,
ti afferrerà saldamente,
18ti rotolerà ben bene a rotoli
come palla, verso un esteso paese.
Là morirai e là finiranno i tuoi carri superbi,
o ignominia del palazzo del tuo padrone!
19Ti toglierò la carica,
ti rovescerò dal tuo posto.
20In quel giorno chiamerò il mio servo
Eliakìm, figlio di Chelkia;
21lo rivestirò con la tua tunica,
lo cingerò della tua sciarpa
e metterò il tuo potere nelle sue mani.
Sarà un padre per gli abitanti di Gerusalemme
e per il casato di Giuda.
22Gli porrò sulla spalla la chiave della casa di Davide;
se egli apre, nessuno chiuderà;
se egli chiude, nessuno potrà aprire.
23Lo conficcherò come un paletto in luogo solido
e sarà un trono di gloria per la casa di suo padre.

24A lui attaccheranno ogni gloria della casa di suo padre: discendenti e nipoti, ogni vaso anche piccolo, dalle tazze alle anfore".
25In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - cederà il paletto conficcato in luogo solido, si spezzerà, cadrà e andrà in frantumi tutto ciò che vi era appeso, perché il Signore ha parlato.


Apocalisse 18

1Dopo ciò, vidi un altro angelo discendere dal cielo con grande potere e la terra fu illuminata dal suo splendore.
2Gridò a gran voce:

"È caduta, è caduta
Babilonia la grande
ed è diventata covo di demòni,
carcere di ogni spirito immondo,
carcere d'ogni uccello impuro e aborrito
e carcere di ogni bestia immonda e aborrita.
3Perché tutte le nazioni hanno bevuto del vino
della sua sfrenata prostituzione,
i re della terra si sono prostituiti con essa
e i mercanti della terra si sono arricchiti
del suo lusso sfrenato".

4Poi udii un'altra voce dal cielo:
"Uscite, popolo mio, da Babilonia
per non associarvi ai suoi peccati
e non ricevere parte dei suoi flagelli.
5Perché i suoi peccati si sono accumulati fino al cielo
e Dio si è ricordato delle sue iniquità.
6Pagatela con la sua stessa moneta,
retribuitele il doppio dei suoi misfatti.
Versatele doppia misura nella coppa con cui mesceva.
7Tutto ciò che ha speso per la sua gloria e il suo lusso,
restituiteglielo in tanto tormento e afflizione.
Poiché diceva in cuor suo:
Io seggo regina,
vedova non sono e lutto non vedrò;
8per questo, in un solo giorno,
verranno su di lei questi flagelli:
morte, lutto e fame;
sarà bruciata dal fuoco,
poiché potente Signore è Dio
che l'ha condannata".

9I re della terra che si sono prostituiti e han vissuto nel fasto con essa piangeranno e si lamenteranno a causa di lei, quando vedranno il fumo del suo incendio,10tenendosi a distanza per paura dei suoi tormenti e diranno:

"Guai, guai, immensa città,
Babilonia, possente città;
in un'ora sola è giunta la tua condanna!".

11Anche i mercanti della terra piangono e gemono su di lei, perché nessuno compera più le loro merci:12carichi d'oro, d'argento e di pietre preziose, di perle, di lino, di porpora, di seta e di scarlatto; legni profumati di ogni specie, oggetti d'avorio, di legno, di bronzo, di ferro, di marmo;13cinnamòmo, amòmo, profumi, unguento, incenso, vino, olio, fior di farina, frumento, bestiame, greggi, cavalli, cocchi, schiavi e vite umane.

14"I frutti che ti piacevano tanto,
tutto quel lusso e quello splendore
sono perduti per te,
mai più potranno trovarli".

15I mercanti divenuti ricchi per essa, si terranno a distanza per timore dei suoi tormenti; piangendo e gemendo, diranno:

16"Guai, guai, immensa città,
tutta ammantata di bisso,
di porpora e di scarlatto,
adorna d'oro,
di pietre preziose e di perle!
17In un'ora sola
è andata dispersa sì grande ricchezza!".

Tutti i comandanti di navi e l'intera ciurma, i naviganti e quanti commerciano per mare se ne stanno a distanza,18e gridano guardando il fumo del suo incendio: "Quale città fu mai somigliante all'immensa città?".19Gettandosi sul capo la polvere gridano, piangono e gemono:

"Guai, guai, immensa città,
del cui lusso arricchirono
quanti avevano navi sul mare!
In un'ora sola fu ridotta a un deserto!
20Esulta, o cielo, su di essa,
e voi, santi, apostoli, profeti,
perché condannando Babilonia
Dio vi ha reso giustizia!".

21Un angelo possente prese allora una pietra grande come una mola, e la gettò nel mare esclamando:

"Con la stessa violenza sarà precipitata
Babilonia, la grande città
e più non riapparirà.
22La voce degli arpisti e dei musici,
dei flautisti e dei suonatori di tromba,
non si udrà più in te;
ed ogni artigiano di qualsiasi mestiere
non si troverà più in te;
e la voce della mola
non si udrà più in te;
23e la luce della lampada
non brillerà più in te;
e voce di sposo e di sposa
non si udrà più in te.
Perché i tuoi mercanti erano i grandi della terra;
perché tutte le nazioni dalle tue malìe furon sedotte.
24In essa fu trovato il sangue dei profeti e dei santi
e di tutti coloro che furono uccisi sulla terra".


Capitolo L: Chi è nella desolazione deve mettersi nelle mani di Dio

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1. Signore Dio, Padre santo, che tu sia, ora e sempre, benedetto, perché come tu vuoi così è stato fatto, e quello che fai è buono. Che in te si allieti il tuo servo, non in se stesso o in alcunché d'altro. Tu solo sei letizia vera; tu la mia speranza e il mio premio; tu, o Signore, la mia gioia e la mia gloria. Che cosa ha il tuo servo , se non quello che, pur senza suo merito, ha ricevuto da te? Quello che hai dato e hai fatto a me, tutto è tuo. "Povero io sono, e tribolato, fin dagli anni della mia giovinezza" (Sal 87,16); talvolta l'anima mia è triste fino alle lacrime, talvolta si turba in se stessa sotto l'incombere delle passioni. Desidero il gaudio della pace; domando la pace dei tuoi figli, da te nutriti nello splendore della consolazione. Se tu doni questa pace, se tu infondi questa santa letizia, l'anima del tuo servo sarà tutta un canto nel dar lode a te, devotamente. Se, invece, tu ti ritrai, come fai talvolta, il tuo servo non potrà percorrere lesto la "via dei tuoi comandamenti" (Sal 118,32). Di più, gli si piegheranno le ginocchia, fino a toccargli il petto; per lui non sarà più come prima, ieri o ier l'altro, quando il tuo lume gli splendeva sul capo e l'ombra delle tue ali lo proteggeva dall'irrompere delle tentazioni.

2. Padre giusto e degno di perpetua lode, giunga l'ora in cui il tuo servo deve essere provato. Padre degno di amore, è giusto che in questo momento il tuo servo patisca un poco per te. Padre degno di eterna venerazione, giunge l'ora, che da sempre sapevi sarebbe venuta, l'ora in cui il tuo servo - pur se interiormente sempre vivo in te - deve essere sopraffatto da cose esteriori, vilipeso anche ed umiliato, scomparendo dinanzi agli uomini , afflitto dalle passioni e dalla tiepidezza; e ciò per risorgere di nuovo con te, in una aurora di nuova luce, nello splendore dei cieli. Padre santo, così hai disposto, così hai voluto; e come hai voluto è stato fatto. Giacché questo è il dono che tu fai all'amico tuo, di patire e di essere tribolato in questo mondo, per amor tuo; e ciò quante volte e da chiunque permetterai che sia fatto. Nulla accade quaggiù senza che tu lo abbia provvidenzialmente disposto, e senza una ragione. "Cosa buona è per me, che tu mi abbia umiliato, per farmi conoscere la tua giustizia" (Sal 118,71) e per far sì che io abbandoni ogni orgoglio interiore e ogni temerarietà. Cosa per me vantaggiosa, che la vergogna abbia ricoperto il mio volto, così che, per essere consolato, io abbia a cercare te, piuttosto che gli uomini. In tal modo imparo a temere l'imperscrutabile tuo giudizio, con il quale tu colpisci il giusto insieme con l'empio, ma sempre con imparziale giustizia. Siano rese grazie a te, che non sei stato indulgente verso i miei peccati e mi hai invece scorticato con duri colpi, infliggendomi dolori e dandomi angustie, esterne ed interiori. Nessuno, tra tutti coloro che stanno sotto il cielo, quaggiù, mi può dare consolazione; tu solo lo puoi, o Signore mio Dio, celeste medico delle anime, che colpisci e risani, "cacci all'inferno e da esso ritogli" (Tb 13,2). La rigida tua regola stia sopra di me; essa mi ammaestrerà.

3. Padre diletto, ecco, io sono nelle tue mani; mi curvo sotto la verga, che mi corregge. Percuotimi il dorso e il collo, affinché io indirizzi la mia vita tortuosa secondo la tua volontà. Come tu suoli, e con giustizia, fa' di me un devoto e umile discepolo, pronto a camminare a ogni tuo cenno. A te affido me stesso, e tutto ciò che è mio, per la necessaria correzione. E' preferibile essere aspramente rimproverato quaggiù, che nella vita futura. Tu conosci tutte le cose, nel loro insieme e una per una; nulla rimane a te nascosto dell'animo umano. Tu conosci le cose che devono venire, prima che esse siano, e non hai bisogno che alcuno ti indichi o ti rammenti quello che accade su questa terra. Tu conosci ciò che mi aiuta a progredire, e sai quanto giova la tribolazione per togliere la ruggine dei vizi. Fa' di me quello che ti piace, e che io, appunto, desidero; e non voler giudicare severamente la mia vita di peccato, che nessuno conosce più perfettamente e chiaramente di te. Fa' che io comprenda ciò che è da comprendere; che io ami ciò che è da amare; fa' che io approvi ciò che sommamente piace a te; che io apprezzi ciò che a te pare prezioso; fa' che io disprezzi ciò che è abietto ai tuoi occhi. Non permettere che io giudichi "secondo la veduta degli occhi materiali; che io non mi pronunzi secondo quel che si sente dire" da gente profana (Is 11,3). Fa' che io, invece, discerna le cose esteriori e le cose spirituali in spirito di verità; fa' che, sopra ogni cosa, io vada sempre ricercando il tuo volere. Se il giudizio umano, basato sui sensi, sovente trae in inganno, si ingannano anche coloro che sono attaccati alle cose del mondo, amando soltanto le cose visibili. Forse che uno è migliore perché è considerato qualcosa di più, nel giudizio di un altro? Quando questi lo esalta, è un uomo fallace che inganna un uomo fallace, un essere vano che inganna un essere vano, un cieco che inganna un cieco, un miserabile che inganna un miserabile; quando lo elogia a vuoto, realmente lo fa vergognare ancor più. Invero, secondo il detto dell'umile san Francesco, quanto ciascuno è ai tuoi occhi, tanto egli è; e nulla di più.


DISCORSO 62/A SUL SERVO DEL CENTURIONE

Discorsi - Sant'Agostino

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Il centurione si dice indegno perché già il Signore era nel suo cuore.

1. La fede di questo centurione preannunzia la fede dei pagani, simile a un granello di senapa, una fede umile e fervente. Il suo servo, come avete udito, era malato e giaceva a casa paralizzato. Ora, questo centurione andò a pregare il Salvatore per la guarigione del suo servo. Il Signore gli promise che sarebbe andato personalmente a guarire il suo servo. Quello però, ferventemente umile ed umilmente fervente: Non sono degno - disse - o Signore, che tu entri sotto il mio tetto 1. Il Signore sarebbe entrato sotto il suo tetto, egli invece se ne proclamava indegno: e tuttavia non avrebbe detto queste parole, se il Signore non fosse già entrato nel suo cuore. Soggiunse poi: Di' solamente una parola e il mio servo guarirà 2. "So a chi parlo: parla e sarà fatto ciò che voglio". Aggiunse anche un paragone molto bello e assai vero. Poiché anch'io - disse - sono un uomo, mentre tu sei Dio; io sono sottoposto ad un'autorità, tu invece sei al di sopra di tutte le autorità; io ho dei soldati ai miei ordini, tu anche gli angeli; se dico a uno: "Va'", quello va; se dico ad un altro: "Vieni", egli viene; se dico al mio servo: "Fa' questo", egli lo fa 3. Al tuo servizio sono tutte le creature; occorre solo che tu dia un ordine e vien fatto ciò che comandi.

L'umiltà del centurione fu la porta per cui entrò il Signore.

2. E il Signore: Io vi assicuro che non ho trovato una fede così grande in Israele 4. Voi sapete che il Signore prese l'umana natura da Israele, dalla stirpe di Davide, da cui discendeva la vergine Maria, la quale diede alla luce il Cristo; egli andò tra i giudei, mostrò loro il volto della sua umanità, fece risonare alle loro orecchie la parola della sua umanità, l'aspetto del suo corpo era davanti ai loro occhi. La sua presenza s'era avverata per i giudei: n'era stata fatta la promessa ai loro padri e fu mantenuta per i figli. Tuttavia questo centurione era uno straniero, era un romano, faceva il militare nella Giudea; ma il Cristo esaltò la fede di lui di fronte alla fede degli Israeliti, al punto di dire: Vi assicuro che non ho trovato una fede così grande in Israele. Che cosa pensiamo che lodò per quanto riguarda la fede di questo ufficiale? L'umiltà. Non sono degno che tu entri sotto il mio tetto 5. Ecco che cosa lodò: e poiché lodò l'umiltà, egli entrò attraverso essa. L'umiltà del centurione fu la porta per cui entrò il Signore, affinché possedesse più completamente colui che già possedeva.

Il " venire " è credere.

3. Il Signore dunque in quest'occasione diede una grande speranza ai pagani; noi non esistevamo ancora, ma eravamo già previsti, eravamo già conosciuti, eravamo già presagiti. Che cosa disse infatti? Per ciò io vi dico che molti verranno dall'Oriente e dall'Occidente 6. Dove verranno? Dove potranno credere. Là vengono: venire è il credere stesso. Se uno ha creduto è venuto; se uno ha apostatato, si è allontanato. Verranno dall'Oriente e dall'Occidente: non già nel tempio di Gerusalemme né in un luogo centrale della terra, non ascendono verso qualche monte; e tuttavia vengono al tempio di Gerusalemme, a una specie di centro, a una specie di monte. Il tempio di Gerusalemme è ormai il corpo di Cristo; di esso aveva detto: Distruggete questo tempio e in tre giorni lo riedificherò 7. Il luogo centrale in cui vengono è proprio Cristo: è al centro, perché è uguale per tutti: tutto ciò che viene posto nel mezzo è comune a tutti. Vengono al monte, di cui dice Isaia: Negli ultimi tempi sarà manifesto il monte del Signore, posto sulla vetta dei monti e sarà più alto di tutti i colli e a esso verranno tutte le genti 8. Questo monte era una piccola pietra ma col crescere riempì tutto il mondo: così infatti lo vide Daniele 9. Accostatevi al monte, salite sul monte e voi, che vi salite, non discendetene. Lì sarete al sicuro, sarete difesi: il monte del vostro rifugio è il Cristo. E dov'è il Cristo? Alla destra del Padre, poiché è asceso al cielo. È molto lontano: chi potrà salirvi, chi toccarlo? Se è lontano da voi, in che modo diciamo con verità: Il Signore sia con voi? Egli non solo è assiso alla destra del Padre, ma non si allontanerà dal vostro cuore.

Il Signore comanda ugualmente ai vermiciattoli e agli angeli.

4. Rivolto al centurione: Va' - gli disse - e ti sia fatto come hai creduto 10. E proprio in quell'ora il servo guarì. Come aveva creduto, così avvenne. Di' una sola parola, e guarirà 11. Disse una parola e guarì. Ti sia fatto, come hai creduto; scomparve dalle membra del servo la malattia gravissima. Con quanto mirabile facilità il Signore comanda a tutte le creature! Poiché non fa alcuna fatica a comandare. O al contrario egli è un padrone delle creature capace di comandare agli angeli e non si degna di comandare agli uomini? Volessero almeno gli uomini servirlo! Ma felice è colui al quale egli comanda nell'intimo, non attraverso l'orecchio della carne, ma attraverso quello del cuore, dove corregge e dirige. Da questo dovete comprendere che il Signore comanda a tutte le cose, poiché nel suo comando non tralasciò neppure dei vermiciattoli. Comandò a un verme che rosicchiò la zucca alla radice e scomparve l'ombra al Profeta. Comandò - dice la Scrittura - a un verme del mattino che rosicchiò la zucca e l'ombra scomparve 12. Il verme del mattino è Cristo; così è intitolato il salmo ventunesimo che tratta della sua passione: Per il soccorso mattutino 13. Egli risuscitò di mattina, fece scomparire l'ombra giudaica. Ecco perché, rivolgendo dolci parole alla sua sposa, nel Cantico dei cantici dice: Fino a che spiri la brezza del giorno e le ombre siano dissipate 14. Osservate forse il sabato nel senso letterale? Vi astenete forse dalle carni degli animali che non ruminano o non hanno l'unghia separata? Offrite forse a Dio in sacrificio vittime prese tra il bestiame? Nessuna di queste cose voi fate. Perché? Perché la zucca è stata rosicchiata, l'ombra è scomparsa, è apparso il sole in tutto il suo splendore. Invocate il refrigerio, per non soffrire nella penosa osservanza dei comandamenti. Fine.

 

1 - Mt 8, 8.

2 - Mt 8, 8.

3 - Mt 8, 9.

4 - Mt 8, 10.

5 - Mt 8, 8.

6 - Mt 8, 11.

7 - Gv 2, 19.

8 - Is 2, 2.

9 - Dn 2, 34.

10 - Mt 8, 13.

11 - Mt 8, 8.

12 - Iona 4, 7.

13 - Sal 21, 1.

14 - Ct 2, 17.


19 - Pilato manda il Signore da Erode e gliene sottopone la causa.

La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda

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1314. Una delle accuse che i giudei e i loro capi presentarono a Pilato contro Gesù salvatore nostro fu che egli aveva predicato, incominciando a fomentare il popolo fin dalla Galilea. Per questo il governatore gli domandò se fosse galileo. Una volta informato che era nato e cresciuto in quella provincia, gli parve di avere un qualche motivo per dichiarare non di sua competenza la causa di Cristo nostro bene - che egli trovava senza colpa -, liberandosi dal fastidio di coloro che insistevano perché lo condannasse a morte. Erode in quei giorni si trovava a Gerusalemme per celebrare la Pasqua. Costui era figlio dell'altro Erode che aveva ordinato la strage degli innocenti perseguitando Gesù appena nato e che, avendo sposato una donna giudea, era passato al giudaismo e divenuto un proselito israelita. Per questa ragione, anche suo figlio Erode Antipa osservava la legge di Mosè ed era venuto a Gerusalemme dalla Galilea, di cui era tetrarca. Fra Pilato ed Erode non intercorrevano buoni rapporti, perché entrambi avevano autorità sulle principali province della Palestina e poco tempo prima il governatore, sollecito nell'affermare il dominio dell'impero romano, aveva fatto decapitare alcuni galilei mentre offrivano, sacrifici, mescolando il loro sangue con quello dei sacrifici stessi. Il re se ne era sdegnato, per cui Pilato, volendogli opportunamente dare qualche soddisfazione, decise di mandargli il Signore in quanto suo suddito, affinché lo esaminasse e giudicasse; in realtà egli sperava che Erode lo avrebbe lasciato libero, riconoscendolo innocente e denunciato per invidia dai sommi sacerdoti e dagli scribi.

1315. Il Redentore, legato e incatenato com'era, uscì dalla casa del governatore romano scortato dagli scribi e dai sacerdoti, che andavano per accusarlo di fronte al nuovo giudice, e da un gran numero di soldati e servi, che lo conducevano tirandolo con le corde. L'esercito si apriva il passaggio attraverso la folla accorsa a vedere e, poiché i soldati e i capi del popolo erano talmente assetati del sangue del Salvatore da volerlo spargere in quello stesso giorno, affrettavano il passo e quasi correndo conducevano per le vie sua Maestà in un disordinato tumulto. Anche Maria santissima, insieme alle persone che erano con lei, seguì il suo dolcissimo Gesù per stargli accanto negli altri momenti della passione, fino alla croce. Ma sarebbe stato impossibile alla gran Signora continuare questo percorso senza perderlo di vista se i santi angeli non avessero disposto tutto come ella desiderava, in modo che si trovasse sempre così vicina a suo Figlio da poter godere della sua presenza e partecipare dei suoi tormenti. Tanto appunto ottenne col suo ardentissimo amore, cosicché udiva nello stesso tempo gli insulti e i colpi che il Signore riceveva, le mormorazioni del popolo e i vari giudizi che ciascuno formulava da sé o riferiva di altri.

1316. Quando Erode seppe che Pilato gli mandava il Nazareno, si rallegrò grandemente. Sapeva che Gesù era stato molto amico di Giovanni, che egli aveva fatto decapitare, ed era informato sulla sua predicazione; inoltre, con stolta e vana curiosità desiderava vedergli compiere qualche portento per farne oggetto di meraviglia e materia d'intrattenimento nelle conversazioni. L'Autore della vita, dunque, giunse alla presenza del re omicida, contro il quale il sangue di Giovanni Battista gridava vendetta al cospetto di Dio più del sangue del giusto Abele. L'infelice adultero lo accolse ridendo, come uno che ignori i terribili giudizi dell'Altissimo, considerando Cristo nostro bene un incantatore e un mago. Accecato da un così funesto errore, incominciò ad esaminarlo e a fargli diverse domande, pensando d'indurlo in questo modo a compiere qualche miracolo. Ma il Maestro della sapienza e della prudenza tacque, rimanendo sempre con umile severità davanti all'indegno giudice, il quale per le sue malvagità ben si meritava la punizione di non ascoltare le parole di vita eterna che, se fosse stato ben disposto, sarebbero uscite dalla bocca del Figlio dell'eterno Padre.

1317. I principi dei sacerdoti e gli scribi lì convenuti muovevano al nostro Salvatore le medesime accuse che in precedenza avevano presentato a Pilato. Neppure qui sua Maestà replicò alle loro calunnie, come invece avrebbe voluto Erode; non aprì le labbra né per rispondere alle domande, né per difendersi, perché il re non era comunque degno di udire la verità. Questo fu il suo giusto castigo, ed è ciò che i principi e i potenti del mondo devono maggiormente temere. Erode si adirò perché il Redentore, silenzioso e mansueto, deludeva la sua vana curiosità; quasi confuso, dissimulò il suo dispetto facendosi beffe di lui e, schernendolo insieme a tutto il suo esercito, ordinò che venisse ricondotto dal governatore. I soldati, dopo essersi presi gioco della modestia di Cristo, gli misero addosso una tunica bianca - segno distintivo di coloro che perdevano il senno - al fine di trattarlo come matto ed insensato, in modo che tutti si guardassero da lui. Indossata dal Signore, invece, questa veste fu simbolo e testimonianza della sua innocenza e purezza. Così infatti aveva stabilito l'imperscrutabile provvidenza dell'Altissimo, affinché quei malvagi, compiendo azioni di cui ignoravano il significato, testimoniassero la verità che pretendevano di oscurare insieme alle meraviglie compiute dal Redentore e da essi maliziosamente misconosciute.

1318. Erode si mostrò grato per la cortesia usatagli dal governatore romano nel sottoporgli il caso del Nazareno, e gli mandò a dire che non trovava colpa alcuna in lui, ma anzi gli pareva uomo ignorante e di nessun conto. Conforme agli arcani disegni della sapienza divina, da quel giorno i due si riconciliarono e divennero amici. Condotto dai soldati, Gesù tornò per la seconda volta al pretorio tra lo schiamazzo e il tumulto della folla. Infatti, gli stessi che prima lo avevano acclamato e osannato come Messia benedetto da Dio, pervertiti già dall'esempio dei sacerdoti e dei giudici, avevano cambiato parere, condannando e disprezzando ora colui al quale pochi giorni prima avevano dato gloria e venerazione. È di tale efficacia l'errore e il cattivo esempio dei capi da trascinare il popolo. Sua Maestà camminava tra le imprecazioni della gente, ripetendo di continuo dentro di sé con ineffabile amore, umiltà e pazienza quelle parole che aveva dette per bocca di Davide: Io sono verme, non uomo, infamia degli uomini, rifiuto del mio popolo. Mi scherniscono quelli che mi vedono, storcono le labbra, scuotono il capo. Il Redentore era "verme e non uomo": non fu generato, infatti, come gli altri e non era solo e meramente uomo, bensì vero uomo e vero Dio; per di più non fu trattato da essere umano, ma da verme vile e spregevole. Di fronte a tutti gli insulti che gli venivano lanciati non fece strepito né oppose resistenza maggiore di quella di un umile verme da tutti pestato e considerato ributtante. Quelli che guardavano Cristo nostro salvatore - ed erano innumerevoli - storcevano le labbra e scuotevano il capo, quasi ritrattando l'opinione che ne avevano avuto e la considerazione in cui lo avevano tenuto.

1319. Rimasta fuori dal tribunale in cui era stato fatto entrare il Signore, l'afflitta Madre non si trovò corporalmente presente agli oltraggi e alle accuse che i sacerdoti mossero contro l'Autore della vita al cospetto di Erode, né alle domande che costui gli rivolse, ma vide tutto in visione interiore. Quando però Gesù uscì fuori la incontrò, ed entrambi si comunicarono con lo sguardo l'intimo dolore e la reciproca compassione, intensi come l'amore di un tale figlio e di una tale madre. La tunica bianca, che gli avevano fatto indossare alla stregua di un insensato e senza giudizio, fu un nuovo strumento per trafiggere il cuore della Regina del cielo; in realtà, ella sola fra tutti i mortali conosceva il mistero dell'innocenza che quell'abito significava, per cui adorò con grandissima venerazione il suo divin Figlio così rivestito. Lo seguì fino alla casa di Pilato, dove veniva condotto per la seconda volta, poiché in essa sarebbe stato eseguito ciò che Dio aveva disposto per la nostra salvezza. In questo tratto di strada accadde che i soldati, per la moltitudine del popolo e per la fretta con cui conducevano Gesù ingiuriandolo, tirandolo crudelmente per le corde e facendolo stramazzare a terra più volte, gli facessero uscire molto sangue; inoltre, siccome egli non poteva rialzarsi facilmente perché aveva le mani legate e la furia della gente non poteva né voleva trattenersi, qualcuno cadeva sopra di lui, lo pestava e lo percuoteva con molti colpi e calci, provocando nei soldati grandi risa, anziché la naturale pietà di cui, per astuzia del demonio, erano del tutto privi, come se non fossero stati neppure uomini.

1320. Alla vista di così smisurata efferatezza, crebbero la compassione e l'afflizione di Maria santissima, la quale ordinò agli angeli che l'accompagnavano di raccogliere il sangue divino sparso per le strade, in modo che il Salvatore non fosse ulteriormente offeso e calpestato dai peccatori; e così essi fecero. Sua Altezza, inoltre, comandò loro che impedissero agli operatori d'iniquità di calpestare il Redentore del mondo, qualora fosse caduto un'altra volta. In tutto prudentissima, ella non volle che i suoi celesti servitori facessero ciò contro la volontà del Signore; così impose loro che in suo nome gliene chiedessero il permesso e gli presentassero le angustie che ella, come madre, soffriva vedendolo trattato con tanto disprezzo tra gli immondi piedi di quei malvagi. Per obbligare maggiormente il suo santissimo Figlio, attraverso i medesimi angeli gli chiese di commutare l'umiliazione di essere calpestato e offeso dagli empi mortali nell'obbedienza alle preghiere della sua afflitta Madre, la quale era anche sua schiava e fatta di polvere. Gli spiriti celesti portarono le sue richieste a Cristo nostro bene non perché sua Maestà le ignorasse - giacché le conosceva e ispirava egli stesso per virtù divina - ma perché Dio vuole che in questo si osservi l'ordine della ragione, conosciuto allora dalla gran Signora con eminente sapienza.

1321. Il Redentore accolse i desideri e le preghiere della beatissima Vergine e diede il permesso ai suoi angeli, quali ministri della volontà di lei, di fare ciò che ella desiderava. Essi, quindi, non permisero che nel rimanente percorso l'Unigenito del Padre fosse gettato a terra o calpestato come prima era accaduto, anche se fu dato il consenso ai soldati e al popolo, accecato dalla malizia, d'infierire con folle rabbia ingiuriandolo in altri modi. La Regina guardava e udiva tutto con cuore invitto ma addolorato, come pure le Marie e san Giovanni, che piangendo copiosamente seguivano il Maestro divino insieme a lei. Non mi soffermo però a parlare delle lacrime di queste ed altre sante donne lì presenti, perché sarebbe necessario fare una lunga digressione, specialmente per narrare della Maddalena, di tutte la più ardente nell'amore e la più grata al Signore, come disse egli stesso quando la perdonò, affermando che ama di più colui al quale più è perdonato.

1322. Gesù arrivò per la seconda volta in casa di Ponzio Pilato e di nuovo i giudei incominciarono a reclamarne la condanna alla crocifissione. Il governatore, che conosceva l'innocenza dell'accusato e la mortale invidia dei Giudei, fu molto dispiaciuto che Erode gli avesse rimesso la causa da cui egli desiderava esimersi. Trovandovisi obbligato come giudice, in diverse maniere tentò di placare gli accusatori, per esempio parlando segretamente ad alcuni servi ed amici dei capi e dei sacerdoti, affinché domandassero la libertà per il nostro Salvatore, lo rilasciassero dopo una qualche punizione e non richiedessero più il malfattore Barabba. Pilato aveva fatto questo tentativo, quando i giudei gli avevano presentato nuovamente Cristo perché lo condannasse. La possibilità di scegliere fra lui e Barabba non era stata loro prospettata una sola volta, ma due o tre: una prima che sua Maestà venisse condotto da Erode e un'altra dopo. Gli evangelisti riferiscono ciò con qualche differenza, pur senza contraddirsi nella verità. Pilato parlò ai giudei e disse loro: «Mi avete portato quest'uomo come sobillatore del popolo; ecco, l'ho esaminato davanti a voi, ma non ho trovato in lui nessuna colpa di quelle di cui lo accusate; e neanche Erode, infatti ce l'ha rimandato. Ecco, egli non ha fatto nulla che meriti la morte. Perciò dopo averlo severamente castigato, lo rilascerò. Vi è tra voi l'usanza che io vi liberi tino per la Pasqua: volete dunque che io vi liberi il re dei Giudei?». Sapendo che Pilato voleva in tutti i modi liberare il Nazareno, la folla rispose: «A morte costui! Dacci libero Barabba!».

1323. L'usanza di dare la libertà a un prigioniero nella grande solennità della Pasqua fu introdotta fra i giudei in memoria e per riconoscenza di quella ottenuta dai loro antenati in quel giorno, quando Dio li aveva riscattati dal potere del faraone uccidendo i primogeniti degli egiziani e sommergendo il faraone stesso e il suo esercito nel Mar Rosso. A motivo di questo memorabile beneficio, gli ebrei ne facevano uno al più grande delinquente perdonandogli i suoi delitti, finendo però per castigare altri che erano meno colpevoli. Gli accordi fatti con i romani prevedevano, fra l'altro, che detta usanza venisse conservata e così facevano i governatori. In questa circostanza, tuttavia, i giudei stessi pervertirono tale costume: dovendo dare la libertà al peggior criminale ed affermando che Gesù lo era, condannarono lui e graziarono Barabba, che reputavano meno malvagio. La rabbia del demonio, profittando della loro perfida invidia, li rendeva tanto perversi da essere accecati in tutto, anche contro se stessi.

1324. Mentre Pilato sedeva in tribunale, sua moglie Procula, venuta a sapere ciò che stava accadendo, gli inviò questo messaggio: «Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua». La ragione dell'avvertimento di Procula fu la seguente: Lucifero e i suoi demoni, vedendo quanto veniva fatto al nostro Salvatore e l'inalterabile mansuetudine con cui egli sopportava tante offese, furiosi com'erano si trovarono ancor più confusi ed incerti. La loro superbia non comprendeva come fosse compatibile l'essere Dio con l'acconsentire a simili oltraggi avvertendone gli effetti nella carne, per cui non riuscivano a capire se Cristo fosse o no uomo e Dio. Nonostante ciò, il dragone era convinto che in un tale miracolo si nascondesse qualche mistero per gli uomini e che in ogni caso, se non avesse impedito il successo di una cosa tanto inusitata, esso avrebbe arrecato alla sua malvagità grande danno e rovina. In seguito a questa risoluzione presa con i suoi demoni, satana cercò di far desistere i farisei dal perseguitare il Redentore, inviando loro molte suggestioni, rimaste però inefficaci perché prive di forza divina e introdotte in cuori ostinati e corrotti. Di conseguenza quegli spiriti, disperando di ridurli al loro volere, andarono dalla moglie del governatore e le parlarono in sogno; le suggerirono che quell'uomo era giusto e senza colpa e che, se suo marito lo avesse condannato, sarebbe stato privato della dignità che possedeva e a lei ne sarebbero venuti molti dolori. In tal modo vollero indurla a consigliare a Pilato di liberare Gesù anziché Barabba, per evitare una grande sciagura nella loro casa e sulle loro persone.

1325. Procula fu assai spaventata dalla visione. Quando seppe quello che stava succedendo tra i giudei e suo marito, inviò a quest'ultimo - come riferisce l'evangelista Matteo - l'avvertimento di non coinvolgersi nell'uccisione di chi riteneva giusto. Inoltre, il demonio insinuò nell'immaginazione dello stesso Pilato timori simili, che l'ammonimento della moglie accrebbe. Poiché si trattava di un turbamento di natura mondana e politica ed egli non aveva assecondato i veri aiuti che Dio gli aveva mandato, questa paura durò solo fino a quando non ne subentrò un'altra che lo mosse con più violenza, e lo si vide dalle conseguenze. Tuttavia, l'indegno giudice insistette per la terza volta, difendendo l'innocenza di Cristo nostro salvatore e attestando che non trovava in lui nessuna colpa meritevole di morte; lo avrebbe quindi castigato e poi rilasciato. E difatti lo fece flagellare, per vedere se i giudei ne sarebbero stati soddisfatti. Ma essi gridando gli risposero di crocifiggerlo. Allora Pilato chiese che gli portassero dell'acqua e ordinò di liberare Barabba secondo la loro richiesta, dopodiché si lavò le mani alla presenza di tutti dicendo: «Guardate bene quello che fate. Io non sono responsabile della morte di quest'uomo, che voi condannate. A testimonianza di ciò mi lavo le mani, affinché si sappia che non sono macchiate di sangue innocente». Con quel gesto parve a Pilato di discolparsi con tutti imputando la morte di Gesù al popolo e ai capi che la domandavano. Fu così sciocca e cieca la loro rabbia che accondiscesero alla dichiarazione del governatore romano solo per vedere crocifisso il Signore, e caricarono la responsabilità del delitto su se stessi e sui propri discendenti pronunciando quella terribile ed esecrabile sentenza: «II suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli».

1326. Oh, cecità stoltissima e crudele! Oh, inimmaginabile audacia! Volete attribuire a voi e ai vostri figli l'iniqua condanna dell'innocente, che lo stesso giudice dichiara incolpevole, affinché contro voi tutti esso gridi sempre, fino alla fine dei secoli? Oh, perfidi e sacrileghi giudei! Il sangue dell'Agnello, che lava i peccati del mondo, e la vita di un uomo, che al tempo stesso è vero Dio, pesano così poco da volerli addossare a voi stessi e ai vostri figli? Se fosse stato anche solo vostro fratello, benefattore e maestro, pure la vostra audacia sarebbe stata spaventosa e deprecabile la vostra malvagità. Di certo è giusto il castigo che subite; è giusto che il peso del sangue di Cristo non vi dia mai requie; ed è giusto che questo carico, pesante più del cielo e della terra, vi opprima e vi schiacci. Quale grande dolore! Il sangue divino cadde su tutti i figli di Adamo per lavarli e purificarli e fu sparso sui figli della santa Chiesa; eppure in essa vi sono molti che al pari dei giudei se ne assumono la responsabilità con le proprie opere e parole, quelli non sapendo e non credendo che fosse sangue del Messia e i cattolici sapendo e confessando che lo è.

1327. I peccati e le azioni depravate dei cristiani hanno un loro linguaggio e parlano contro il nostro Signore, gridando: «Cristo sia svergognato, schiaffeggiato, disprezzato, coperto di sputi, crocifisso; a lui si preferisca Barabba. Sia tormentato, flagellato e coronato di spine per i nostri peccati, perché noi non vogliamo avere altra parte in questo sangue se non quella di causarne lo spargimento oltraggioso; ci venga pure eternamente imputato! Soffra e muoia lo stesso Dio incarnato e noi godiamo dei beni apparenti. Approfittiamo dell'occasione, usiamo le creature, coroniamoci di rose, viviamo con allegria, avvaliamoci della forza; nessuno sia preferito a noi, disprezziamo l'umiltà, detestiamo la povertà, accumuliamo tesori, inganniamo tutti, non perdoniamo offese, abbandoniamoci ai piaceri più turpi, bramiamo ardentemente tutto ciò che vediamo e impegnamoci fino al limite delle nostre forze per ottenerlo. Questa sia la nostra legge, senza alcun altro rispetto. E se così facendo crocifiggiamo il Salvatore, il suo sangue ricada pure su di noi e sui nostri figli».

1328. Domandiamo ora ai reprobi che si trovano all'inferno se le loro opere parlarono in questo modo - come afferma Salomone nel libro della Sapienza - e se sono detti e furono empi perché ebbero pensieri tanto stolti. Che cosa possono sperare coloro i quali rendono inutile per sé il sangue del Redentore e se lo fanno ricadere addosso non desiderandolo a proprio rimedio, ma disprezzandolo a propria dannazione? Chi tra i figli della Chiesa sopporterebbe di essere posposto ad un ladrone facinoroso? Tale insegnamento è così poco messo in pratica che si rende ammirevole chi acconsente ad essere preceduto da un altro buono e benemerito quanto e più di lui; eppure non si troverà nessuno tanto buono come sua Maestà, né tanto malvagio come Barabba. Ciononostante sono senza numero quelli che, davanti a questo esempio, si offendono e si considerano sfortunati qualora non siano preferiti e innalzati nell'onore, nelle ricchezze, nelle dignità e in ciò che nel secolo presente riceve ostentazione e plauso. Gli uomini sollecitano, si contendono e ricercano proprio questo, occupandovi i propri pensieri e le proprie forze e facoltà, da quando cominciano ad usarle fino a quando le perdono. Il più grande doloroso danno è che non sono liberi da un simile contagio neppure quanti per professione e stato di vita hanno rinunciato al mondo: mentre il Signore ordina loro di dimenticarsi del proprio popolo e della casa del loro padre, essi vi si rivolgono con la parte migliore della natura umana, cioè con l'attenzione e la sollecitudine verso i parenti, nonché con la volontà e il desiderio di procurare ad essi quanto il mondo possiede. Ciò, tuttavia, appare loro ancora poco: s'immergono nella vanità e, invece di dimenticare la casa paterna, dimenticano quella di Dio in cui vivono e in cui ricevono gli aiuti divini per conseguire la stima, l'onore, la salvezza che altrimenti non avrebbero mai ottenuto e il sostentamento senza affanno né preoccupazione. Abbandonando l'umiltà, che per il loro stato di vita dovrebbero professare, si dimostrano ingrati per tutti questi benefici. La pazienza del Salvatore, gli oltraggi da lui subiti, gli obbrobri della croce, l'imitazione delle sue opere, la sequela del suo insegnamento sono lasciate a chi è povero, solo, abbandonato, e le strade di Sion si vedono deserte e desolate, perché sono veramente pochi quelli che vengono a celebrare la festa dell'imitazione di Cristo.

1329. Pilato non fu meno insipiente dei giudei nel pensare che, lavandosi le mani ed imputando loro il sangue di Gesù, si sarebbe giustificato sia nella sua coscienza che davanti agli uomini, ai quali pretendeva di dare soddisfazione con quel gesto pieno d'ipocrisia e di menzogna. È vero che i giudei furono gli attori principali e più colpevoli nella condanna dell'innocente, di cui si assunsero la terribile responsabilità, ma non per questo Pilato ne rimase estraneo, poiché conoscendo l'innocenza del Redentore non avrebbe dovuto posporlo ad un ladro omicida, né castigarlo, né correggere chi non aveva niente da correggere. A maggior ragione non avrebbe dovuto lasciarlo alla mercé dei suoi mortai nemici, di cui gli era manifesta l'invidia e la crudeltà. Non può giudicare rettamente colui che, conoscendo la verità e la giustizia, le mette sulla stessa bilancia del rispetto umano e degli interessi personali: un simile peso trascina la ragione degli uomini codardi, i quali non possono resistere all'ingordigia e al timore mondano perché non possiedono in sommo grado le virtù necessarie ai giudici; accecati dalla passione, abbandonano l'equità per non mettere a rischio il proprio tornaconto. Così accadde a Pilato.

1330. La nostra grande Regina e signora rimase nel pretorio, cosicché grazie ai suoi santi angeli poté udire la discussione del governatore con gli scribi e i sommi sacerdoti riguardo all'innocenza di Cristo nostro bene e allo scambio con Barabba. Con ammirabile mitezza, vivo ritratto del suo santissimo Figlio, ascoltò tacendo tutte le urla di quelle tigri feroci. Per quanto la sua indicibile modestia fosse inalterabile, le voci dei giudei penetravano come spada a due tagli nel suo cuore ferito; e le grida del suo, silenzioso dolore erano accette all'eterno Padre più delle lacrime con cui la bella Rachele - secondo quanto dice Geremia - piangeva i suoi figli senza essere consolata perché non li poteva richiamare in vita'. La nostra bella Rachele, Maria santissima, non domandava vendetta ma perdono per i nemici che le toglievano l'Unigenito del Padre e suo. Imitava e accompagnava sua Maestà negli atti da lui compiuti, operando con tanta pienezza di santità che la pena non sospendeva le sue facoltà: il dolore non impediva la carità, la tristezza non rallentava il fervore, lo strepito non distraeva l'attenzione, le ingiurie e il tumulto della folla non erano di ostacolo al raccoglimento; in tutto ella esercitava le virtù in sommo grado.

Insegnamento della Regina del cielo

1331. Figlia mia, noto che ti meravigli per ciò che hai inteso e scritto, riflettendo sul fatto che Pilato ed Erode non si mostrarono tanto inumani e crudeli verso il mio Figlio santissimo quanto i sommi sacerdoti e i farisei. Ti vedo considerare attentamente che i primi erano giudici pagani e i secondi maestri della legge e guide del popolo d'Israele che professavano la vera fede. Al riguardo desidero illuminarti con un insegnamento; non è nuovo e l'hai sentito altre volte, ma ora voglio che tu lo richiami alla mente e non lo dimentichi per tutto il corso della tua vita. Tieni presente dunque, o carissima, che la caduta da un luogo alto è estremamente pericolosa ed il suo danno è irreparabile o per lo meno assai difficile da rimediare. Lucifero ebbe in cielo un posto eminente sia per natura, sia per i doni di luce e di grazia, poiché vinceva in bellezza tutte le creature; eppure discese nella più profonda bruttezza e miseria, cadendo in un'ostinazione maggiore di quella di tutti i suoi seguaci a causa del suo peccato. Ai progenitori del genere umano, Adamo ed Eva, fu data una dignità altissima. Essi furono adornati di grazie sublimi, uscite dalla mano dell'Onnipotente; eppure, peccando, provocarono a sé e alla propria posterità una grandissima rovina, il cui rimedio, come la fede v'insegna, ebbe un prezzo incalcolabile e fu opera di misericordia infinita.

1332. Tanti altri sono giunti all'apice della perfezione e di là sono infelicemente precipitati, trovandosi poi sfiduciati o quasi impossibilitati a rialzarsi. I motivi di questo danno risiedono in gran parte nella creatura stessa. Infatti, l'anima caduta da uno stato di virtù eccelsa prova dispetto e vergogna smisurata, non solo perché ha sciupato beni preziosi, ma anche perché confida nelle grazie passate e perdute più che nelle future, e spera nei doni ricevuti e malamente impiegati per la sua ingratitudine più che in quelli che può acquistare con impegno rinnovato e maggiore fermezza. Da questo insidioso stato d'animo deriva l'agire con tiepidezza, senza fervore né impegno, senza gusto né devozione, perché la sfiducia estingue tutto ciò; al contrario la speranza, animata e incoraggiata, vince molte difficoltà e corrobora la debolezza umana, animando a intraprendere opere grandi. C'è un'altra ragione e non meno importante: chi è abituato ai favori di Dio - per ufficio come i sacerdoti e i religiosi, o per esercizio di virtù come le altre persone spirituali - di solito pecca disprezzandoli e facendo un cattivo uso delle cose divine. Incorre nella pericolosa rozzezza di tenere in poco conto i benefici del Signore proprio perché li riceve di frequente; con un simile irriverente atteggiamento, impedisce alla grazia di renderlo suo collaboratore e spegne in sé il santo timore che risveglia e stimola ad operare il bene, ad ubbidire alla volontà divina e ad approfittare subito dei mezzi stabiliti da Dio per convertirsi e guadagnare la sua amicizia e la vita eterna. Questo rischio è evidente nei sacerdoti tiepidi, i quali celebrano l'eucaristia e gli altri sacramenti senza devozione, come pure nei dotti, nei saggi e nei potenti del mondo, che difficilmente si emendano perché hanno perso la venerazione dei rimedi della Chiesa - sacramenti, predicazione e dottrina -, di cui non comprendono più il significato. Così, assumendo le stesse medicine che per altri peccatori sono salutari e che guariscono gli ignoranti, loro, medici della salute spirituale, si ammalano.

1333. Ulteriori cause del danno di cui ti ho parlato riguardano il rapporto con il Signore. Infatti, le mancanze di coloro che per virtù o stato di vita sono più legati a Dio pesano sulla bilancia della sua giustizia in modo assai differente rispetto a quelle delle altre anime beneficate dalla sua misericordia. E sebbene i peccati di tutti siano di uguale materia, le circostanze li rendono molto diversi. I sacerdoti, i maestri, i potenti, i prelati e quanti occupano un posto di rilievo o hanno fama di santità provocano grandi mali con lo scandalo della loro empia condotta. Nell'arrischiarsi ad agire contro Dio, che meglio conoscono e verso il quale hanno un debito superiore a quello altrui, sono più temerari, perché lo offendono con maggiore consapevolezza e quindi con più irriverenza. Per tale motivo l'eterno Padre è tanto irritato dalle colpe dei cattolici e, in particolare, da quelle di coloro che si distinguono per saggezza, come si comprende dalle sacre Scritture. Nel tempo assegnato a ogni mortale per meritare la vita eterna, è anche stabilito fino a quale numero di peccati la pazienza del Signore debba aspettare e sopportare ciascuno; secondo la giustizia divina il numero non è computato solo sulla base della quantità, ma anche della qualità e del peso delle colpe. Può dunque succedere che, in chi eccelle per scienza eccelsa o ha ricevuto dal cielo singolari benefici, la qualità supplisca la quantità e che costui, con un minor numero di colpe, venga abbandonato e castigato al pari di altri peccatori che ne hanno commesse di più. D'altra parte, non a tutti può accadere come a Davide e a san Pietro; non in tutti infatti la caduta è preceduta da tante opere buone alle quali il Signore faccia attenzione, né tantomeno il privilegio di alcuni è regola generale per tutti, perché Dio, nei suoi imperscrutabili giudizi, non sceglie tutti per un ministero.

1334. Con questo insegnamento, figlia mia, il tuo dubbio sarà chiarito e intenderai quanto malvagio e amaro sia offendere l'Onnipotente, allorché egli pone molte anime redente dal suo sangue sulla strada della luce e ve le guida. Intenderai, inoltre, come una persona possa cadere da uno stato sublime in un'ostinazione più dura di quella di altre creature che si trovano in una condizione meno perfetta. Tale verità è attestata dal mistero della passione e morte del mio Figlio santissimo; infatti, i capi, i sacerdoti, gli scribi e l'intero popolo, pur essendo maggiormente debitori a Dio rispetto ai pagani, furono portati dalla loro empietà ad una pervicacia, cecità e crudeltà più detestabile e avventata di quella dei pagani stessi, che non conoscevano la vera religione. Voglio che tutto ciò ti metta in guardia da un rischio così grande, affinché tu sia prudente ed unisca al santo timore l'umile gratitudine e l'alta stima dei beni del Signore. Nel tempo dell'abbondanza non dimenticare quello dell'indigenza. Confronta l'uno e l'altro in te stessa; ricorda che hai il tesoro in un vaso fragile, che lo puoi perdere e che ricevere tanti doni non è questione di merito, né il possederli è diritto dovuto, bensì frutto della grazia e della munificenza divine. L’Altissimo ti ha reso sua intima familiare; tuttavia non sei preservata dal cadere, dal perdere il timore e la riverenza o dal vivere negligentemente. Al contrario, timore e riverenza devono crescere in te in proporzione ai favori. Anche l'ira del serpente, infatti, è aumentata; la sua sorveglianza nei tuoi confronti si è fatta più stretta, perché sa che Dio ha mostrato il suo amore generoso a te più che ad altre creature e che, se tu fossi ingrata nonostante gli innumerevoli doni ricevuti, saresti infelicissima e degna di rigoroso castigo e la tua colpa sarebbe inescusabile.


25-19 Gennaio 1, 1929 Pagine della sua vita che formeranno un’epoca; strenna che vuole Gesù. Circoncisione. Decisione da parte di Dio, e aspetta la decisione da parte delle creature.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo pensando che cosa potevo offrire al bambinello Gesù come strenna del primo giorno dell’anno, non sarebbe buono dargli di nuovo la mia volontà come sgabellino ai suoi piedini, oppure come trastullo nelle sue piccole manine? Ma mentre ciò pensavo il mio piccolo Gesù si faceva vedere nel mio interno dicendomi:

(2) “Figlia mia, la tua volontà è già mia, né tu sei più padrona avendomela tante volte donata, ed Io la tengo ora come sgabello, ora come trastullo nelle mie mani e ora me la chiudo nel mio cuore come la più bella conquista e come gioia segreta che mi lenisce le mie tante pene. Vuoi sapere che vorrei in questo giorno per strenna? Tutti i tuoi atti che hai fatto in quest’anno nella mia Divina Volontà, questi atti saranno tanti soli che mi metterai d’intorno, ed Io oh! come ne sarò contento nel vedere che la piccola figlia del mio Voler Divino mi ha dato per strenna i tanti soli degli atti suoi, ed Io per contraccambio ti darò grazia di duplicare questi soli degli atti tuoi fatti nel mio Volere, per darti il campo di potermi offrire una strenna più bella e più ricca”.

(3) Poi ha soggiunto: “Figlia mia, ogni manifestazione che ti ho fatto sulla mia Divina Volontà, sono come una pagina della tua vita, e se tu sapessi quanti beni racchiudono queste pagine, ognuna di esse è una corrente tra il Cielo e la terra, è un sole di più che splenderà sul capo di tutti, queste pagine saranno portavoce della patria celeste, sono passi che fa il mio Voler Divino per avvicinarsi alle creature, perciò queste mie manifestazioni su di Esso, come pagine di vita, formeranno un’epoca per le future generazioni, nelle quali leggeranno il regno del mio Fiat, i tanti passi che ha fatto per venire in mezzo a loro ed i nuovi diritti che gli cedeva per farli rientrare nel regno suo. Le mie manifestazioni sono decreti, e allora mi muovo a manifestare una conoscenza quando voglio dare quel bene che manifesto. Perciò tutto ciò che ti ho detto sulla mia Divina Volontà, sono capitali divini che ho messo fuori, quindi saranno le pagine più belle della tua vita, che racchiuderanno la lunga storia della mia Volontà ed intrecciando la storia del mondo, formerà l’epoca più bella di tutti i secoli”.

(4) Dopo di ciò stavo pensando al dolore acerbo che soffrì il bambinello Gesù nella circoncisione, appena otto giorni nato e si sottopone ad un taglio sì doloroso, e Gesù movendosi nel mio interno ha soggiunto:

(5) “Figlia mia, nella prima epoca della sua vita, Adamo, peccando, fece una ferita all’anima sua, donde uscì la mia Divina Volontà ed entrarono in ricambio le tenebre, le miserie, le debolezze, che formarono il tarlo a tutti i beni dell’uomo. Sicché se beni tiene senza della mia Divina Volontà, se pur ne tiene, sono beni tarlati, infraciditi, senza sostanza, quindi senza forza e senza valore. Ed Io che l’amo tanto, nei primi giorni della mia vita quaggiù volli sottopormi alla circoncisione, soffrendo un taglio durissimo, fino a strapparmi le mie lacrime infantili, ed in questa ferita Io aprivo le porte alla volontà umana, per farle rientrare di nuovo nella mia, affinché questa mia ferita risanasse la ferita dell’umana volontà e gli chiudesse di nuovo il mio Fiat Divino, il quale gli avrebbe tolto il tarlo, le miserie, le debolezze, le tenebre, e tutti i suoi beni, in virtù del mio Fiat onnipotente, resterebbero rifatti e ripristinati. Figlia, dacché fui concepito e dai primi giorni del mio nascere, Io mi occupavo del regno della mia Divina Volontà e come metterlo in salvo in mezzo alle creature, erano questi i miei sospiri, le mie lacrime, i miei singhiozzi ripetuti, le mie pene, dirette tutte per ristabilire il regno del mio Fiat sulla terra; perché sapevo che per quanti beni avrei dato, l’uomo non sarebbe stato mai felice, né posseduto pienezza di beni e di santità, né con la divisa della sua creazione che lo costituisce re e dominatore, è sempre l’uomo servo, debole, miserabile. Invece con la mia Volontà e col farla regnare in mezzo a loro, gli avrei dato in un sol colpo di fortuna tutti i beni, la sua reggia ed il suo dominio perduto. Sono passati circa venti secoli e non ho smesso, i miei sospiri durano ancora, e se tante conoscenze della mia Divina Volontà ti ho manifestato, non sono altro che le mie lacrime parlanti ed i caratteri incancellabili delle mie pene e sospiri, che formandosi parole si manifestano a te, per farti vergare sulla carta, coi modi più teneri e convincenti, ciò che riguarda il mio Voler Divino e come vuol regnare come in Cielo così in terra. Quindi la nostra parte Divina ha deciso con decreti incancellabili ed irremovibili, che la nostra Divina Volontà venga a regnare sulla terra, e non c’è chi ci sposta, e come segno di ciò abbiamo spedito dal Cielo l’esercito delle sue conoscenze, se ciò non fosse, non valeva la pena di mettere a repentaglio i tanti valori d’una Volontà Divina, come per tanti secoli sono stati nascosti all’uomo, così potevano continuare. Ora aspettiamo la parte delle creature, che temporeggiano ancora a decidersi, specie quelli che temporeggiano d’occuparsi di far conoscere i segreti del mio Voler Divino ed il gran bene delle sue conoscenze. Volontà umana quanto mi sei ingrata, aspetto la tua decisione per darci il bacio ed il regno che ti ho preparato, e tu temporeggi ancora? Figlia mia, prega e da parte tua non mettere nessun ostacolo ad un tanto bene che sarà lo sfoggio più grande del nostro amore”.