Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

La modestia esteriore serve molto all'interiore e contribuisce alla pace e alla tranquillità  dell'animo. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 20° settimana del tempo ordinario (San Bernardo)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 15

1In quel tempo vennero a Gesù da Gerusalemme alcuni farisei e alcuni scribi e gli dissero:2"Perché i tuoi discepoli trasgrediscono la tradizione degli antichi? Poiché non si lavano le mani quando prendono cibo!".3Ed egli rispose loro: "Perché voi trasgredite il comandamento di Dio in nome della vostra tradizione?4Dio ha detto:

'Onora il padre e la madre'

e inoltre:

'Chi maledice il padre e la madre sia messo a morte.'

5Invece voi asserite: Chiunque dice al padre o alla madre: Ciò con cui ti dovrei aiutare è offerto a Dio,6non è più tenuto a onorare suo padre o sua madre. Così avete annullato la parola di Dio in nome della vostra tradizione.7Ipocriti! Bene ha profetato di voi Isaia, dicendo:

8'Questo popolo mi onora con le labbra
ma il suo cuore è lontano da me.'
9'Invano essi mi rendono culto,
insegnando dottrine che sono precetti di uomini'".

10Poi riunita la folla disse: "Ascoltate e intendete!11Non quello che entra nella bocca rende impuro l'uomo, ma quello che esce dalla bocca rende impuro l'uomo!".
12Allora i discepoli gli si accostarono per dirgli: "Sai che i farisei si sono scandalizzati nel sentire queste parole?".13Ed egli rispose: "Ogni pianta che non è stata piantata dal mio Padre celeste sarà sradicata.14Lasciateli! Sono ciechi e guide di ciechi. E quando un cieco guida un altro cieco, tutti e due cadranno in un fosso!".15Pietro allora gli disse: "Spiegaci questa parabola".16Ed egli rispose: "Anche voi siete ancora senza intelletto?17Non capite che tutto ciò che entra nella bocca, passa nel ventre e va a finire nella fogna?18Invece ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende immondo l'uomo.19Dal cuore, infatti, provengono i propositi malvagi, gli omicidi, gli adultéri, le prostituzioni, i furti, le false testimonianze, le bestemmie.20Queste sono le cose che rendono immondo l'uomo, ma il mangiare senza lavarsi le mani non rende immondo l'uomo".

21Partito di là, Gesù si diresse verso le parti di Tiro e Sidone.22Ed ecco una donna Cananèa, che veniva da quelle regioni, si mise a gridare: "Pietà di me, Signore, figlio di Davide. Mia figlia è crudelmente tormentata da un demonio".23Ma egli non le rivolse neppure una parola.
Allora i discepoli gli si accostarono implorando: "Esaudiscila, vedi come ci grida dietro".24Ma egli rispose: "Non sono stato inviato che alle pecore perdute della casa di Israele".25Ma quella venne e si prostrò dinanzi a lui dicendo: "Signore, aiutami!".26Ed egli rispose: "Non è bene prendere il pane dei figli per gettarlo ai cagnolini".27"È vero, Signore, disse la donna, ma anche i cagnolini si cibano delle briciole che cadono dalla tavola dei loro padroni".28Allora Gesù le replicò: "Donna, davvero grande è la tua fede! Ti sia fatto come desideri". E da quell'istante sua figlia fu guarita.

29Allontanatosi di là, Gesù giunse presso il mare di Galilea e, salito sul monte, si fermò là.30Attorno a lui si radunò molta folla recando con sé zoppi, storpi, ciechi, sordi e molti altri malati; li deposero ai suoi piedi, ed egli li guarì.31E la folla era piena di stupore nel vedere i muti che parlavano, gli storpi raddrizzati, gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificava il Dio di Israele.

32Allora Gesù chiamò a sé i discepoli e disse: "Sento compassione di questa folla: ormai da tre giorni mi vengono dietro e non hanno da mangiare. Non voglio rimandarli digiuni, perché non svengano lungo la strada".33E i discepoli gli dissero: "Dove potremo noi trovare in un deserto tanti pani da sfamare una folla così grande?".34Ma Gesù domandò: "Quanti pani avete?". Risposero: "Sette, e pochi pesciolini".35Dopo aver ordinato alla folla di sedersi per terra,36Gesù prese i sette pani e i pesci, rese grazie, li spezzò, li dava ai discepoli, e i discepoli li distribuivano alla folla.37Tutti mangiarono e furono saziati. Dei pezzi avanzati portarono via sette sporte piene.38Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare le donne e i bambini.39Congedata la folla, Gesù salì sulla barca e andò nella regione di Magadàn.


Secondo libro delle Cronache 10

1Roboamo andò a Sichem, perché tutti gli Israeliti erano convenuti in Sichem per proclamarlo re.2Quando lo seppe, Geroboamo figlio di Nebàt, che era in Egitto dove era fuggito per paura del re Salomone, tornò dall'Egitto.3Lo avevano mandato a chiamare e perciò Geroboamo si presentò con tutto Israele e dissero a Roboamo:4"Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo, ora tu alleggerisci la dura schiavitù di tuo padre e il giogo gravoso, che quegli ci ha imposto, e noi ti serviremo".5Rispose loro: "Tornate da me fra tre giorni". Il popolo se ne andò.
6Il re Roboamo si consigliò con gli anziani, che erano stati al servizio di Salomone suo padre durante la sua vita e domandò: "Che mi consigliate di rispondere a questo popolo?".7Gli dissero: "Se oggi ti mostrerai benevolo verso questo popolo, se l'accontenterai e se dirai loro parole gentili, essi saranno tuoi docili sudditi per sempre".8Ma quegli trascurò il consiglio datogli dagli anziani e si consultò con i giovani, che erano cresciuti con lui ed erano al suo servizio.9Domandò loro: "Che mi consigliate di rispondere a questo popolo che mi ha chiesto: Alleggerisci il giogo impostoci da tuo padre?".10I giovani, che erano cresciuti con lui, gli dissero: "Al popolo che si è rivolto a te dicendo: Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo, tu alleggeriscilo! annunzierai:

Il mio mignolo è più grosso dei fianchi di mio padre.
11Ora, se mio padre vi ha caricati di un giogo pesante,
io renderò ancora più grave il vostro giogo.
Mio padre vi ha castigati con fruste,
io vi castigherò con flagelli".

12Geroboamo e tutto il popolo si presentarono a Roboamo il terzo giorno, come aveva ordinato il re quando affermò: "Tornate da me il terzo giorno".13Il re rispose loro duramente. Il re Roboamo, respinto il consiglio degli anziani,14disse loro secondo il consiglio dei giovani:

"Mio padre vi ha imposto un giogo pesante,
io lo renderò ancora più grave.
Mio padre vi ha castigati con fruste,
io vi castigherò con flagelli".

15Il re non ascoltò il popolo, poiché era disposizione divina che il Signore attuasse la parola che aveva rivolta a Geroboamo, figlio di Nebàt, per mezzo di Achia di Silo.16Tutto Israele, visto che il re non li ascoltava, rispose al re:

"Che c'è fra noi e Davide?
Nulla in comune con il figlio di Iesse!
Ognuno alle proprie tende, Israele!
Ora pensa alla tua casa, Davide".

Tutto Israele se ne andò alle sue tende.17Sugli Israeliti che abitavano nelle città di Giuda regnò Roboamo.18Il re Roboamo mandò Adoram, sovrintendente ai lavori forzati, ma gli Israeliti lo lapidarono ed egli morì. Il re Roboamo allora salì in fretta sul suo carro e fuggì in Gerusalemme.19Così Israele si ribellò alla casa di Davide; tale situazione dura fino ad oggi.


Giobbe 41

1Ecco, la tua speranza è fallita,
al solo vederlo uno stramazza.
2Nessuno è tanto audace da osare eccitarlo
e chi mai potrà star saldo di fronte a lui?
3Chi mai lo ha assalito e si è salvato?
Nessuno sotto tutto il cielo.
4Non tacerò la forza delle sue membra:
in fatto di forza non ha pari.
5Chi gli ha mai aperto sul davanti il manto di pelle
e nella sua doppia corazza chi può penetrare?
6Le porte della sua bocca chi mai ha aperto?
Intorno ai suoi denti è il terrore!
7Il suo dorso è a lamine di scudi,
saldate con stretto suggello;
8l'una con l'altra si toccano,
sì che aria fra di esse non passa:
9ognuna aderisce alla vicina,
sono compatte e non possono separarsi.
10Il suo starnuto irradia luce
e i suoi occhi sono come le palpebre dell'aurora.
11Dalla sua bocca partono vampate,
sprizzano scintille di fuoco.
12Dalle sue narici esce fumo
come da caldaia, che bolle sul fuoco.
13Il suo fiato incendia carboni
e dalla bocca gli escono fiamme.
14Nel suo collo risiede la forza
e innanzi a lui corre la paura.
15Le giogaie della sua carne son ben compatte,
sono ben salde su di lui, non si muovono.
16Il suo cuore è duro come pietra,
duro come la pietra inferiore della macina.
17Quando si alza, si spaventano i forti
e per il terrore restano smarriti.
18La spada che lo raggiunge non vi si infigge,
né lancia, né freccia né giavellotto;
19stima il ferro come paglia,
il bronzo come legno tarlato.
20Non lo mette in fuga la freccia,
in pula si cambian per lui le pietre della fionda.
21Come stoppia stima una mazza
e si fa beffe del vibrare dell'asta.
22Al disotto ha cocci acuti
e striscia come erpice sul molle terreno.
23Fa ribollire come pentola il gorgo,
fa del mare come un vaso da unguenti.
24Dietro a sé produce una bianca scia
e l'abisso appare canuto.
25Nessuno sulla terra è pari a lui,
fatto per non aver paura.
26Lo teme ogni essere più altero;
egli è il re su tutte le fiere più superbe.


Salmi 92

1'Salmo. Canto. Per il giorno del sabato.'

2È bello dar lode al Signore
e cantare al tuo nome, o Altissimo,
3annunziare al mattino il tuo amore,
la tua fedeltà lungo la notte,
4sull'arpa a dieci corde e sulla lira,
con canti sulla cetra.
5Poiché mi rallegri, Signore, con le tue meraviglie,
esulto per l'opera delle tue mani.

6Come sono grandi le tue opere, Signore,
quanto profondi i tuoi pensieri!
7L'uomo insensato non intende
e lo stolto non capisce:
8se i peccatori germogliano come l'erba
e fioriscono tutti i malfattori,
li attende una rovina eterna:
9ma tu sei l'eccelso per sempre, o Signore.

10Ecco, i tuoi nemici, o Signore,
ecco, i tuoi nemici periranno,
saranno dispersi tutti i malfattori.
11Tu mi doni la forza di un bùfalo,
mi cospargi di olio splendente.
12I miei occhi disprezzeranno i miei nemici,
e contro gli iniqui che mi assalgono
i miei orecchi udranno cose infauste.

13Il giusto fiorirà come palma,
crescerà come cedro del Libano;
14piantati nella casa del Signore,
fioriranno negli atri del nostro Dio.
15Nella vecchiaia daranno ancora frutti,
saranno vegeti e rigogliosi,
16per annunziare quanto è retto il Signore:
mia roccia, in lui non c'è ingiustizia.


Isaia 40

1"Consolate, consolate il mio popolo,
dice il vostro Dio.
2Parlate al cuore di Gerusalemme
e gridatele
che è finita la sua schiavitù,
è stata scontata la sua iniquità,
perché ha ricevuto dalla mano del Signore
doppio castigo per tutti i suoi peccati".
3Una voce grida:
"Nel deserto preparate
la via al Signore,
appianate nella steppa
la strada per il nostro Dio.
4Ogni valle sia colmata,
ogni monte e colle siano abbassati;
il terreno accidentato si trasformi in piano
e quello scosceso in pianura.
5Allora si rivelerà la gloria del Signore
e ogni uomo la vedrà,
poiché la bocca del Signore ha parlato".
6Una voce dice: "Grida"
e io rispondo: "Che dovrò gridare?".
Ogni uomo è come l'erba
e tutta la sua gloria è come un fiore del campo.
7Secca l'erba, il fiore appassisce
quando il soffio del Signore spira su di essi.
8Secca l'erba, appassisce il fiore,
ma la parola del nostro Dio dura sempre.
Veramente il popolo è come l'erba.
9Sali su un alto monte,
tu che rechi liete notizie in Sion;
alza la voce con forza,
tu che rechi liete notizie in Gerusalemme.
Alza la voce, non temere;
annunzia alle città di Giuda: "Ecco il vostro Dio!
10Ecco, il Signore Dio viene con potenza,
con il braccio egli detiene il dominio.
Ecco, egli ha con sé il premio
e i suoi trofei lo precedono.
11Come un pastore egli fa pascolare il gregge
e con il suo braccio lo raduna;
porta gli agnellini sul seno
e conduce pian piano le pecore madri".

12Chi ha misurato con il cavo della mano le acque del mare
e ha calcolato l'estensione dei cieli con il palmo?
Chi ha misurato con il moggio la polvere della terra,
ha pesato con la stadera le montagne
e i colli con la bilancia?
13Chi ha diretto lo spirito del Signore
e come suo consigliere gli ha dato suggerimenti?
14A chi ha chiesto consiglio, perché lo istruisse
e gli insegnasse il sentiero della giustizia
e lo ammaestrasse nella scienza
e gli rivelasse la via della prudenza?
15Ecco, le nazioni son come una goccia da un secchio,
contano come il pulviscolo sulla bilancia;
ecco, le isole pesano quanto un granello di polvere.
16Il Libano non basterebbe per accendere il rogo,
né le sue bestie per l'olocausto.
17Tutte le nazioni sono come un nulla davanti a lui,
come niente e vanità sono da lui ritenute.
18A chi potreste paragonare Dio
e quale immagine mettergli a confronto?
19Il fabbro fonde l'idolo,
l'orafo lo riveste di oro
e fonde catenelle d'argento.
(41,6)Si aiutano l'un l'altro;
uno dice al compagno: "Coraggio!".
Il fabbro incoraggia l'orafo;
(41,7)chi leviga con il martello incoraggia chi batte l'incudine,
dicendo della saldatura: "Va bene"
e fissa l'idolo con chiodi perché non si muova.
20Chi ha poco da offrire
sceglie un legno che non marcisce;
si cerca un artista abile,
perché gli faccia una statua che non si muova.
21Non lo sapete forse? Non lo avete udito?
Non vi fu forse annunziato dal principio?
Non avete capito
le fondamenta della terra?
22Egli siede sopra la volta del mondo,
da dove gli abitanti sembrano cavallette.
Egli stende il cielo come un velo,
lo spiega come una tenda dove abitare;
23egli riduce a nulla i potenti
e annienta i signori della terra.
24Sono appena piantati, appena seminati,
appena i loro steli hanno messo radici nella terra,
egli soffia su di loro ed essi seccano
e l'uragano li strappa via come paglia.
25"A chi potreste paragonarmi
quasi che io gli sia pari?" dice il Santo.
26Levate in alto i vostri occhi
e guardate: chi ha creato quegli astri?
Egli fa uscire in numero preciso il loro esercito
e li chiama tutti per nome;per la sua onnipotenza e il vigore della sua forza
non ne manca alcuno.
27Perché dici, Giacobbe,
e tu, Israele, ripeti:
"La mia sorte è nascosta al Signore
e il mio diritto è trascurato dal mio Dio?".
28Non lo sai forse?
Non lo hai udito?
Dio eterno è il Signore,
creatore di tutta la terra.
Egli non si affatica né si stanca,
la sua intelligenza è inscrutabile.
29Egli da' forza allo stanco
e moltiplica il vigore allo spossato.
30Anche i giovani faticano e si stancano,
gli adulti inciampano e cadono;
31ma quanti sperano nel Signore riacquistano forza,
mettono ali come aquile,
corrono senza affannarsi,
camminano senza stancarsi.


Atti degli Apostoli 16

1Paolo si recò a Derbe e a Listra. C'era qui un discepolo chiamato Timòteo, figlio di una donna giudea credente e di padre greco;2egli era assai stimato dai fratelli di Listra e di Icònio.3Paolo volle che partisse con lui, lo prese e lo fece circoncidere per riguardo ai Giudei che si trovavano in quelle regioni; tutti infatti sapevano che suo padre era greco.4Percorrendo le città, trasmettevano loro le decisioni prese dagli apostoli e dagli anziani di Gerusalemme, perché le osservassero.5Le comunità intanto si andavano fortificando nella fede e crescevano di numero ogni giorno.

6Attraversarono quindi la Frigia e la regione della Galazia, avendo lo Spirito Santo vietato loro di predicare la parola nella provincia di Asia.7Raggiunta la Misia, si dirigevano verso la Bitinia, ma lo Spirito di Gesù non lo permise loro;8così, attraversata la Misia, discesero a Tròade.9Durante la notte apparve a Paolo una visione: gli stava davanti un Macedone e lo supplicava: "Passa in Macedonia e aiutaci!".10Dopo che ebbe avuto questa visione, subito cercammo di partire per la Macedonia, ritenendo che Dio ci aveva chiamati ad annunziarvi la parola del Signore.

11Salpati da Tròade, facemmo vela verso Samotràcia e il giorno dopo verso Neàpoli e12di qui a Filippi, colonia romana e città del primo distretto della Macedonia. Restammo in questa città alcuni giorni;13il sabato uscimmo fuori della porta lungo il fiume, dove ritenevamo che si facesse la preghiera, e sedutici rivolgevamo la parola alle donne colà riunite.14C'era ad ascoltare anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo.15Dopo esser stata battezzata insieme alla sua famiglia, ci invitò: "Se avete giudicato ch'io sia fedele al Signore, venite ad abitare nella mia casa". E ci costrinse ad accettare.

16Mentre andavamo alla preghiera, venne verso di noi una giovane schiava, che aveva uno spirito di divinazione e procurava molto guadagno ai suoi padroni facendo l'indovina.17Essa seguiva Paolo e noi gridando: "Questi uomini sono servi del Dio Altissimo e vi annunziano la via della salvezza".18Questo fece per molti giorni finché Paolo, mal sopportando la cosa, si volse e disse allo spirito: "In nome di Gesù Cristo ti ordino di partire da lei". E lo spirito partì all'istante.19Ma vedendo i padroni che era partita anche la speranza del loro guadagno, presero Paolo e Sila e li trascinarono nella piazza principale davanti ai capi della città;20presentandoli ai magistrati dissero: "Questi uomini gettano il disordine nella nostra città; sono Giudei21e predicano usanze che a noi Romani non è lecito accogliere né praticare".22La folla allora insorse contro di loro, mentre i magistrati, fatti strappare loro i vestiti, ordinarono di bastonarli23 e dopo averli caricati di colpi, li gettarono in prigione e ordinarono al carceriere di far buona guardia.24Egli, ricevuto quest'ordine, li gettò nella cella più interna della prigione e strinse i loro piedi nei ceppi.

25Verso mezzanotte Paolo e Sila, in preghiera, cantavano inni a Dio, mentre i carcerati stavano ad ascoltarli.26D'improvviso venne un terremoto così forte che furono scosse le fondamenta della prigione; subito tutte le porte si aprirono e si sciolsero le catene di tutti.27Il carceriere si svegliò e vedendo aperte le porte della prigione, tirò fuori la spada per uccidersi, pensando che i prigionieri fossero fuggiti.28Ma Paolo gli gridò forte: "Non farti del male, siamo tutti qui".29Quegli allora chiese un lume, si precipitò dentro e tremando si gettò ai piedi di Paolo e Sila;30poi li condusse fuori e disse: "Signori, cosa devo fare per esser salvato?".31Risposero: "Credi nel Signore Gesù e sarai salvato tu e la tua famiglia".32E annunziarono la parola del Signore a lui e a tutti quelli della sua casa.33Egli li prese allora in disparte a quella medesima ora della notte, ne lavò le piaghe e subito si fece battezzare con tutti i suoi;34poi li fece salire in casa, apparecchiò la tavola e fu pieno di gioia insieme a tutti i suoi per avere creduto in Dio.
35Fattosi giorno, i magistrati inviarono le guardie a dire: "Libera quegli uomini!".36Il carceriere annunziò a Paolo questo messaggio: "I magistrati hanno ordinato di lasciarvi andare! Potete dunque uscire e andarvene in pace".37Ma Paolo disse alle guardie: "Ci hanno percosso in pubblico e senza processo, sebbene siamo cittadini romani, e ci hanno gettati in prigione; e ora ci fanno uscire di nascosto? No davvero! Vengano di persona a condurci fuori!".38E le guardie riferirono ai magistrati queste parole. All'udire che erano cittadini romani, si spaventarono;39vennero e si scusarono con loro; poi li fecero uscire e li pregarono di partire dalla città.40Usciti dalla prigione, si recarono a casa di Lidia dove, incontrati i fratelli, li esortarono e poi partirono.


Capitolo XX: Riconoscere la propria debolezza e la miseria di questa nostra vita

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1. "Confesserò contro di me il mio peccato" (Sal 31,5); a te, o Signore, confesserò la mia debolezza. Spesso basta una cosa da nulla per abbattermi e rattristarmi: mi propongo di comportarmi da uomo forte, ma, al sopraggiungere di una piccola tentazione, mi trovo in grande difficoltà. Basta una cosa assolutamente da nulla perché me ne venga una grave tentazione: mentre, fino a che non l'avverto, mi sento abbastanza sicuro, poi, a un lieve spirare di vento, mi trovo quasi sopraffatto. "Guarda dunque, Signore, alla mia miseria" (Sal 14,18) e alla mia fragilità, che tu ben conosci per ogni suo aspetto; abbi pietà di me; "tirami fuori dal fango, così che io non vi rimanga confitto" (Sal 68,15), giacendo a terra per sempre. Quello che mi risospinge indietro e mi fa arrossire dinanzi a te, è appunto questa mia instabilità e questa mia debolezza nel resistere alle tentazioni. Che, pur quando ad esse non si acconsenta del tutto, già molto mi disturba la persecuzione loro; e assai mi affligge vivere continuamente così, in lotta. La mia debolezza mi appare in modo chiaro dal fatto che proprio i pensieri che dovrei avere sempre in orrore sono molto più facili a piombare su di me che ad andarsene. Voglia il Cielo, o potentissimo Dio di Israele, che, nel tuo grande amore per le anime di coloro che hanno fede in te, tu abbia a guardare alla fatica e alla sofferenza del tuo servo; che tu l'assista in ogni cosa a cui si accinge. Fammi forte della divina fortezza, affinché non abbia a prevalere in me l'uomo vecchio: questa misera carne non ancora pienamente sottomessa allo spirito, contro la quale bisogna combattere, finché si vive in questa miserabile vita.  

2. Ahimé!, quale è questa vita, dove non mancano tribolazioni e miserie; dove tutto è pieno di agguati e di nemici! Ché, se scompare un'afflizione o una tentazione, una altra ne viene; anzi, mentre ancora dura una lotta, ne sopraggiungono molte altre, e insospettate. Ora, come si può amare una vita così soggetta a disgrazie e a miserie? Di più, come si può chiamare vita questa, se da essa procedono tante morti e calamità? E invece la si ama e molta gente va cercando in essa la propria gioia. Il mondo viene sovente accusato di essere ingannevole e vano; ma non per questo viene facilmente abbandonato, perché troppo prevalgono le brame terrene. Altro è ciò che induce ad amare il mondo; altro è ciò che induce a condannarlo. Inducono ad amarlo il desiderio dell'uomo carnale, "il desiderio degli occhi e la superbia della vita" (1 Gv 2,16); inducono invece ad odiarlo e ad esserne disgustato le pene e le sofferenze che giustamente conseguono a quei desideri perversi. E tuttavia - tristissima cosa - i piaceri malvagi hanno il sopravvento in coloro che hanno l'animo rivolto al mondo, e "considerano gioia lo stare tra le spine" (Gb 30,7); incapaci, come sono, di vedere e di gustare la soavità di Dio e l'intima bellezza della virtù. Quelli invece che disprezzano totalmente il mondo, e si sforzano di vivere per Dio in santa disciplina, conoscono la divina dolcezza, che è stata promessa a chi sa davvero rinunciare; essi comprendono appieno quanto siano gravi gli errori e gli inganni del mondo.


La Genesi alla lettera: Libro quinto

La Genesi alla lettera - Sant'Agostino

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I giorni della Genesi ripetizione di un unico giorno.

1. 1. Questo è il libro della creazione del cielo e della terra quando fu creato il giorno [in cui] Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima che fossero sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che germogliasse. Dio infatti non aveva [ancora] fatto piovere sulla terra e non c'era [ancora] alcun uomo che lavorasse la terra. Una sorgente però zampillava dalla terra e irrigava tutta la faccia della terra 1. Ora certamente acquista maggior peso l'opinione secondo la quale Dio creò un unico giorno, a partire dal quale si poterono contare poi i sei o sette giorni a motivo della ripetizione di quell'unico giorno. La Scrittura infatti lo afferma ormai più chiaramente, concludendo in certo qual modo tutto ciò che aveva detto dal principio fino al passo citato qui sopra quando soggiunse: Questo è il libro della creazione, ovvero della effettuazione del cielo e della terra, quando fu creato il giorno. Nessuno infatti vorrà dire che in questa frase i termini "cielo" e "terra" sono intesi nel senso in cui erano stati nominati prima che la Scrittura accennasse alla creazione del giorno [nella frase]: Nel principio Dio creò il cielo e la terra 2. Questa frase potrebbe essere intesa nel senso che Dio fece qualcosa senza il "giorno", ancor prima che avesse fatto il "giorno"; in qual senso ciò potrebbe essere interpretato l'ho esposto - per quanto ho creduto essere mio dovere esporlo - a suo luogo; in esso però non ho voluto negare ad alcuno la libertà di proporre una spiegazione migliore. Ora invece l'agiografo dice: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando fu creato il giorno, mostrando assai chiaramente - come io penso - di parlare di "cielo" e "terra" non già nel senso in cui usa questi termini al principio, prima che fosse creato il "giorno", quando le tenebre erano sopra l'abisso; adesso invece parla della creazione del cielo e della terra quando fu creato il giorno, dopo cioè ch'erano già state formate e distinte tutte le parti e le specie delle cose con cui è disposto e composto tutto l'insieme della creazione, e per cui esso forma il cosmo chiamato "mondo".

Il cielo e la terra "prima" e "dopo" la creazione del giorno.

1. 2. In questo passo dunque l'agiografo parla del cielo - con tutto ciò ch'esso contiene - che Dio, dopo averlo creato, chiamò "firmamento" e parla della terra - con tutto ciò ch'essa contiene - che, insieme all'abisso, occupa la parte più bassa [del mondo]. L'agiografo infatti prosegue e soggiunge: Dio creò il cielo e la terra; in tal modo, col nominare il cielo e la terra prima di menzionare la creazione del giorno e ripeterla dopo aver ricordato la creazione del giorno, non permette di supporre che egli nomini adesso "cielo" e "terra" come al principio, prima ancora che fosse creato il giorno. Poiché egli prosegue così: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra quando fu fatto il giorno [in cui] Dio fece il cielo e la terra 3. Se dunque uno volesse intendere la prima frase del testo sacro: Il libro della creazione del cielo e della terra nel senso in cui è detto: Nel principio Dio fece il cielo e la terra prima ch'egli creasse il giorno, poiché anche qui "cielo" e "terra" sono menzionati prima della creazione del giorno, dovrebbe esser corretto in considerazione delle parole che seguono poiché, anche dopo aver ricordato la creazione del giorno, la Scrittura parla di nuovo di "cielo" e di "terra".

Si spiega meglio il contesto di Gen 2, 4.

1. 3. Senonché anche la particella quando, messa in relazione all'espressione fu fatto il giorno, dovrebbe costringere qualsiasi eventuale cavillatore ad escludere la possibilità di un'altra interpretazione. Se infatti l'inciso si presentasse enunciato così: "Questo è il libro della creazione del cielo e della terra. Creato fu il giorno; Dio fece il cielo e la terra", si potrebbe forse pensare che l'agiografo parli del libro della creazione nello stesso senso in cui aveva parlato della creazione del cielo e della terra al principio, prima della creazione del giorno; si potrebbe inoltre supporre che l'agiografo aggiungesse: fu fatto il giorno nel senso in cui prima aveva detto che Dio fece il giorno e immediatamente aveva ripetuto: Dio fece il cielo e la terra, come se già fossero stati creati come essi risultarono dopo la creazione del giorno. L'inciso invece è inserito in modo che la frase quando fu fatto il giorno, si può collegare sia alle parole precedenti, sì che ne risulti un'unica frase: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra quando fu fatto il giorno, sia alle seguenti sì che ne risulti una frase completa, e cioè: Quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra; per conseguenza l'agiografo ci costringe senza dubbio ad intendere che menziona il cielo e la terra come furono fatti quando fu fatto il giorno. Di poi, dopo la frase: Dio fece il cielo e la terra, lo scrittore sacro aggiunge: e ogni piante selvatiche 4, cosa questa che fu certamente opera del terzo giorno: da ciò appare più chiaramente che quel medesimo giorno è l'unico giorno creato da Dio e mediante la sua ripetizione fu fatto il secondo, il terzo e tutti gli altri [giorni] fino al settimo.

Perché è aggiunto: la verzura campestre.

2. 4. Ma poiché l'espressione "cielo e terra" secondo l'usanza della Scrittura vuol denotare in questo passo tutto l'insieme delle creature, ci si può chiedere perché mai l'autore sacro aggiunga: e ogni specie di piante selvatiche. A me pare ch'egli abbia usato questa espressione per farci capire più chiaramente qual giorno ci vuol presentare quando dice: quando fu fatto il giorno. Facilmente infatti uno potrebbe pensare che l'agiografo abbia voluto parlare del giorno costituito dalla luce fisica, il cui percorso ci presenta l'avvicendarsi del giorno e della notte. Quando però ricordiamo l'ordine di successione con cui furono fatte le creature e vediamo che ogni specie di piante selvatiche fu creata il terzo giorno prima che fosse fatto il sole - che fu fatto solo al quarto giorno e la cui presenza misura la durata del nostro giorno quotidiano e a noi familiare - allorché sentiamo: quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche, veniamo ammoniti a concepire un giorno preciso e particolare che dovremmo sforzarci di rappresentarci con l'intelletto, sia come un giorno fisico consistente in non so qual luce a noi ignota, o come un giorno spirituale, consistente nell'unanime coro delle creature angeliche, ma del tutto diverso da quello che noi conosciamo quaggiù sulla terra.

Dall'ordine della narrazione si comprende la simultaneità della creazione.

3. 5. Non sarà neppure inutile la seguente osservazione: l'autore sacro non disse - come avrebbe potuto dire - Questo è il libro della creazione del cielo e della terra, quando Dio fece il cielo e la terra. In questo caso, sotto i termini "cielo" e "terra" avremmo inteso anche tutto ciò che è nel cielo e sulla terra, come suole esprimersi la sacra Scrittura, poiché molto spesso con i termini "cielo" e "terra" indica l'universo, aggiungendo talora la parola "mare", tal altra aggiungendo addirittura la frase: e tutto ciò che contengono 5. In tal modo, qualunque di queste espressioni avesse usato, avremmo compreso anche il giorno, tanto quello creato al principio, quanto questo prodotto dalla presenza del sole. La Scrittura non si è espressa tuttavia così, ma ha menzionato il giorno solo nella proposizione incidentale, dicendo: Quando fu fatto il giorno. La Scrittura inoltre non dice neppure: "Questo è il libro della creazione del giorno, del cielo e della terra", come se le diverse creazioni fossero riferite secondo un ordine successivo. Essa non si è neppure espressa così: "Questo è il libro della creazione del cielo e della terra quando fu fatto il giorno, il cielo e la terra; quando Dio fece il cielo e la terra ed ogni specie di piante selvatiche". Infine non si espresse neppure così: "Questo è il libro della creazione del cielo e della terra. Dio fece il giorno, il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche". Tali infatti erano le espressioni che sarebbero state richieste dal linguaggio abituale della Scrittura; essa invece dice: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra; quando fu creato il giorno Dio creò il cielo e la terra e ogni sorta di piante selvatiche, quasi per fare intendere che Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche quando fu creato il giorno.

La creazione dei vegetali prima del sole prova la settenaria ripetizione dell'unico giorno.

3. 6. Il racconto precedente indica d'altra parte un giorno creato originariamente e lo considera come "un" giorno, dopo il quale annovera un secondo giorno, in cui fu fatto il firmamento, e poi un terzo, in cui furono distinte le nature specifiche della terra e del mare e la terra produsse alberi ed erbe. Vuole forse ciò essere la conferma di quanto ci siamo sforzati di dimostrare nel precedente libro, che cioè Dio creò tutte le cose nello stesso tempo? In effetti il testo del racconto precedente aveva ricordato come tutte le cose furono create o compiute secondo l'ordine successivo dei sei giorni; ora invece tutte le cose son fatte rientrare in un sol giorno sotto il nome di "cielo e terra", con l'aggiunta anche delle specie vegetali. Certamente, secondo quanto ho detto sopra, se il lettore intendesse "giorno" nel senso ordinario, sarebbe poi indotto a correggere il proprio pensiero, se ricordasse che Dio ordinò alla terra di produrre la piante selvatiche prima che esistesse il nostro giorno solare. In tal modo, senza bisogno di addurre la testimonianza d'un altro libro della sacra Scrittura, la quale dice che Dio creò ogni cosa simultaneamente 6, la prossima affermazione della pagina seguente ci richiama alla mente questa verità, dicendo: Quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche. Di conseguenza dobbiamo capire non solo che quel "giorno" fu ripetuto sette volte affinché fossero fatti sette giorni ma altresì che, quando sentiamo [dalla Scrittura] che tutte le cose furono fatte simultaneamente quando fu fatto il "giorno", dobbiamo comprendere anche, se ne siamo capaci, che la ripetizione del "giorno" per sei o sette volte avvenne senza intervalli più o meno prolungati o spazi di tempo. Se invece uno non ne fosse capace, lasci esaminare questi argomenti da chi ne è capace; continui però a proseguire con la Scrittura che non lo abbandona nella sua debolezza [spirituale], ma con amore materno l'accompagna con passi più lenti, poiché essa parla in modo da schernire i superbi con la sua sublimità, da atterrire con la sua profondità gli studiosi che riflettono, da saziare gli spiriti grandi con la sua verità e nutrire i piccoli con la sua affabilità.

Perché è detto che le verzure furono create prima che germogliassero.

4. 7. Che cosa vuol dire allora la frase che segue? Poiché il testo continua così: Quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima che fosse sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che germogliasse 7. Che cosa vuol dire ciò? Non si dovrà forse indagare dove Dio creò quelle piante prima che fossero sulla terra e prima che germogliassero? Chi non sarebbe più incline a credere che Dio le creò quando germogliarono e non prima, se questo passo della sacra Scrittura non gli insegnasse che Dio le creò prima che germogliassero? Per conseguenza se uno, che crede con sentimento religioso, non riuscisse a scoprire dove siano state create, dovrebbe tuttavia credere che furono create prima che germogliassero, poiché non si può credere senza un sentimento religioso di fede.

Le cose che sono nel Verbo prima di ogni creatura non furono create.

4. 8. Che diremo allora? Diremo forse - come hanno pensato alcuni - che tutte le cose furono create nel Verbo di Dio prima che germogliassero dalla terra? Ma se le cose sono state create così, furono create non già quando fu fatto il giorno, ma prima che fosse fatto. La Scrittura, al contrario, afferma chiaramente: Quando fu fatto il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima che quella fosse sulla terra, e ogni specie di piante coltivate prima che germogliasse. Se dunque furono create quando fu fatto il giorno, non lo furono certo precedentemente e perciò non già nel Verbo, che è coeterno al Padre, esistente prima del giorno e assolutamente prima che fosse fatto alcunché; esse invece furono fatte quando fu fatto il giorno. Infatti le cose che sono nel Verbo prima d'ogni creatura, certamente non sono state fatte; al contrario le piante selvatiche furono fatte quando fu fatto il giorno, come asserisce la frase della Scrittura, ma tuttavia prima che fossero sulla terra, anzi prima che germogliassero, come la Scrittura dice delle piante selvatiche e delle piante coltivate.

I vegetali furono creati nelle loro ragioni causali.

4. 9. Dove furono fatte, dunque, le piante selvatiche? Forse nella terra in forma di ragioni [seminali], allo stesso modo che nei semi sono già tutti gli elementi d'ogni cosa prima che si evolvano in una forma o in un'altra e sviluppino la loro crescita e i loro caratteri specifici nel corso dei tempi? Ma questi semi che noi vediamo sono già sulla terra, sono germogliati di già. Oppure diremo che i semi non erano sulla terra ma dentro la terra e perciò furono creati prima che spuntassero poiché spuntarono solo quando germogliarono e spuntarono alla luce del giorno in conseguenza del processo della loro crescita, come vediamo avvenire adesso alle piante attraverso gli spazi di tempo assegnati a ciascuna specie? I semi dunque furono forse creati quando fu creato il "giorno" e in essi era già insita ogni specie di piante selvatiche e ogni specie di piante coltivate non ancora sotto la forma con la quale appare la vegetazione dopo essere spuntata sulla terra, ma con la potenzialità con la quale sono già nelle "ragioni" seminali? Fu dunque la terra a produrre dapprima i semi? Non così però si esprimeva la Scrittura quando diceva: E la terra produsse piante alimentari, ossia piante coltivabili portanti seme secondo la loro specie e a propria somiglianza e alberi da frutto e aventi il proprio seme in se stessi secondo la propria specie sulla terra 8. Da questo passo è chiaro che i semi sono nati dalle erbe e dagli alberi e questi, al contrario, sono nati dalla terra e non dai semi, soprattutto perché le parole di Dio si esprimono proprio così. La sacra Scrittura infatti non dice: "I semi producano sulla terra piante alimentari e alberi fruttiferi", ma: la terra produca piante alimentari e contenenti il seme, indicando in tal modo che è il seme a nascere dall'erba e non l'erba dal seme. E così fu. E la terra produsse 9, cioè: così fu nella conoscenza del "giorno" suddetto e in seguito la terra produsse le piante affinché avvenisse così anche nelle creature che furono fatte.

Le creature sono conosciute diversamente dall'angelo e dall'uomo.

4. 10. Ma come sono stati creati quei vegetali e quelle piante prima che fossero sulla terra e prima che nascessero? Forse come se per esse una cosa fosse l'esser fatte col cielo e con la terra quando fu fatto quel "giorno" affatto diverso da tutti gli altri e trascendente la nostra conoscenza, creato da Dio per primo, e un'altra cosa nascere poi sulla terra, cosa che avviene in un periodo dei giorni del nostro mondo, determinati dal corso del sole attraverso gli spazi di tempo appropriati a ogni specie di creature? Se la cosa sta così e quel "giorno" è il coro e l'unità degli Angeli e delle Virtù supercelesti, le creature di Dio sono conosciute senza dubbio dagli Angeli in un modo di gran lunga diverso da quello con cui le conosciamo noi. Prescindendo dal fatto che quella conoscenza essi l'hanno nel Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa, io credo che anche la loro conoscenza delle creature in se stesse è di gran lunga diversa dalla nostra. Essi infatti le conoscono nella loro, per così dire, primordialità ovvero originarietà come Dio le creò originariamente e dopo quella creazione si riposò dalle sue opere senza creare più nulla ulteriormente. La nostra conoscenza, al contrario, si basa sulle leggi con cui le cose create da lui in precedenza Dio le governa ormai attraverso la successione dei tempi, e così, mediante il governo del mondo, dopo aver completato le sue opere conforme alla perfezione del numero sei, Dio continua ad operare senza interruzione 10.

Creazione nelle ragioni causali e creazioni visibili.

4. 11. La Scrittura dunque dice che la terra produsse le erbe e gli alberi in virtù di cause insite originariamente, nel senso cioè che ricevette la potenzialità di produrli. In essa infatti erano già stati creati, per così dire, nelle radici dei tempi, gli esseri futuri destinati a esistere nel corso dei tempi. Dio infatti piantò, in seguito, un giardino verso Oriente e vi fece germogliare ogni sorta d'alberi graditi alla vista e buoni da mangiare 11. Non dobbiamo tuttavia dire che Dio aggiunse alla creazione qualcosa che non avesse fatto prima e che si dovesse aggiungere alla completezza degli esseri, con la quale nel sesto giorno portò a termine tutte le sue opere molto buone. Al contrario tutte le nature dei cespugli e degli alberi erano già state fatte nella creazione primordiale, dalla quale Dio si riposò, dando poi impulso e governando nel corso del tempo gli stessi esseri che aveva creati e dopo la creazione dei quali si era riposato; per questo motivo Dio non solo piantò allora il giardino, ma ancora adesso pianta tutti gli alberi che nascono. Chi altro infatti crea ancora adesso questi esseri, se non chi continua a operare senza interruzione? Ma Dio adesso crea gli esseri mediante quelli che già esistono; al principio, al contrario, essi furono creati da lui quando non esistevano affatto, quando fu creato il "giorno" e cioè la creatura spirituale e intellettuale che neppure esisteva.

L'inizio del tempo.

5. 12. Così, dunque, il decorso del tempo iniziò con il movimento - mutamento delle creature; invano quindi si ricerca il tempo prima della creazione, come se fosse possibile trovare il tempo prima del tempo. Se infatti non ci fosse alcun movimento delle creature, spirituali o corporali, mediante il quale al passato succede il futuro attraverso il presente, non vi sarebbe affatto il tempo. La creatura poi non potrebbe muoversi - mutarsi, se non esistesse. Il tempo dunque è iniziato con la creazione anziché la creazione col tempo; l'uno e l'altra poi provengono da Dio, poiché da lui, grazie a lui e in lui sono tutte le cose 12. Ma l'espressione "Il tempo è cominciato con la creazione" non si deve intendere nel senso che il tempo non sarebbe una creatura, poiché il tempo è il mutamento delle creature da uno stato in un altro, mentre le cose si succedono secondo l'ordinamento di Dio che governa tutto ciò che ha creato. Ecco perché, quando pensiamo alla creazione primordiale degli esseri, cioè alle opere dalle quali Dio si riposò il settimo giorno, non dobbiamo immaginare quei giorni come i nostri giorni solari né l'operazione di Dio come se fosse l'attività con cui ora compirebbe qualcosa nel tempo, ma dobbiamo pensare piuttosto il modo con cui operò ciò da cui cominciò il tempo, il modo cioè con cui fece tutte le cose simultaneamente dando loro anche un ordine risultante non da intervalli temporali ma dalla connessione delle cause; in tal modo gli esseri creati simultaneamente furono anche portati a compimento alla perfezione mediante la ripetizione del "giorno" [della creazione] fatto presente per sei volte.

Anteriorità temporale e anteriorità causale.

5. 13. Non quindi in un ordine cronologico ma in un ordine di causalità fu creata dapprima la materia informe e formabile, sia spirituale che corporale, a partire dalla quale fosse fatto ciò che doveva essere fatto, sebbene essa non esistesse prima d'essere creata, e non fu creata se non dal sommo e vero Dio, dal quale hanno origine tutte le cose. Essa è indicata [dalla Scrittura] alle volte con il termine di "cielo e terra", fatti nel principio da Dio prima dell'unico "giorno" creato da lui - è denotata così perché con essa furono fatti il cielo e la terra - altre volte con il termine di "terra invisibile e caotica", e di "abisso tenebroso", come ho già esposto nel primo libro.

Piano universale e ordine della creazione.

5. 14. Comunque, tra gli esseri che, da informi che erano, furono formati e dei quali la Scrittura dice più chiaramente che furono creati o fatti o prodotti, fu creato per primo il "giorno". Era infatti conveniente che tra le creature avesse il primato la natura che fosse capace di conoscere le creature mediante il Creatore e non il Creatore mediante le creature. In secondo luogo fu creato il firmamento, con cui comincia il mondo materiale, in terzo luogo la natura del mare e della terra, e nella terra - per così dire - potenzialmente la natura delle erbe e degli alberi. Così infatti la terra, conforme alla parola di Dio, produsse le piante prima che fossero germogliate, ricevendo tutti gli impulsi dello sviluppo potenziale degli esseri ch'essa avrebbe dovuto manifestare nel corso del tempo secondo i loro caratteri specifici. In seguito, dopo la creazione di questo - diciamo così - domicilio degli esseri, il quarto giorno furono creati i luminari e le stelle affinché la parte superiore del mondo fosse corredata per prima degli esseri visibili che si muovono all'interno del mondo. Il quinto giorno fu creata la natura delle acque, poiché essa è unita al cielo e all'atmosfera e, per ordine di Dio, produsse i propri abitanti, vale a dire tutte le specie di animali natanti e volanti; li produsse in potenzialità con i ritmi del loro sviluppo che avrebbero dovuto essere manifestati attraverso convenienti spazi di tempo. Il sesto giorno furono creati similmente gli animali terrestri, ultimi elementi - diciamo così - tratti fuori dall'ultimo elemento del mondo, ma anch'essi in potenza, i cui ritmi di sviluppo li avrebbe mostrati in seguito il tempo in modo visibile.

Il giorno primordiale e gli altri sette giorni.

5. 15. Il primo "giorno" conobbe la serie di tutta la creazione ordinata gerarchicamente. Mediante quella conoscenza il "giorno" fatto presente - per così dire - sei volte, pur essendo un sol "giorno", presentò in certo qual modo come fatta in sei giorni la creazione. Esso conoscendo le creature dapprima in Dio e poi in se stesse - pur senza rimanere in esse ma riferendo anche la loro conoscenza inferiore all'amore di Dio - produsse in quei giorni una sera, un mattino e un mezzogiorno, non attraverso intervalli temporali ma attraverso la successione ordinata degli esseri creati. Quando infine il "giorno" conobbe il riposo del proprio Creatore - poiché Dio si riposa da tutte le sue opere, riposo che non ha sera - il giorno meritò per questo d'essere benedetto e santificato. Ecco perché la sacra Scrittura 13 insegna e la Chiesa riconosce che il numero sette è in qualche modo consacrato allo Spirito Santo.

Conclusioni delle precedenti spiegazioni.

5. 16. Questo è dunque il libro della creazione del cielo e della terra, poiché nel principio Dio fece il cielo e la terra 14 nel senso che egli fece quel che potrebbe chiamarsi materia formabile, che in seguito doveva essere formata in virtù della sua parola, precedendo la propria formazione non per un'anteriorità di tempo ma di origine. Poiché, senza dubbio, quando essa ricevette una forma, fu dapprima creato il "giorno"; quando fu creato il "giorno" Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima che esistesse sulla terra e ogni specie di piante coltivate. Questa è la spiegazione che abbiamo data senza escludere che un altro possa aver espresso o possa esprimere in futuro un'opinione più chiara e più in armonia con il testo.

Perché l'erba creata prima che piovesse.

6. 17. A che cosa è riferita e che cosa vuole indicare la frase che segue: Poiché Dio non aveva fatto piovere sulla terra e non c'era l'uomo che la coltivasse 15? È difficile indagarlo. Si potrebbe pensare che Dio creò l'erba dei campi prima che germinasse, poiché ancora non aveva fatto piovere sulla terra; se infatti avesse creato l'erba dopo la pioggia, sarebbe potuto sembrare che fosse germinata a causa della pioggia piuttosto che creata da Dio. Ma che significa ciò? L'erba che spunta dopo la pioggia è forse creata da un altro e non da Dio? Ma come mai non c'era l'uomo che coltivasse la terra? Non aveva forse Dio creato già l'uomo il sesto giorno e non si era forse riposato da tutte le sue opere il settimo giorno? Oppure la Scrittura ricorda questi fatti riprendendo il racconto da principio poiché, quando Dio creò ogni specie di piante selvatiche e ogni specie di piante coltivate, non aveva ancora fatto piovere sulla terra e l'uomo non esisteva ancora? In realtà Dio creò i vegetali nel terzo giorno, l'uomo invece nel sesto. Ma quando Dio fece ogni specie di piante silvestri e ogni specie di piante coltivate prima che germogliassero sulla terra, non solo non esisteva l'uomo che coltivasse la terra, ma sulla terra non c'era neppure l'erba che, secondo l'affermazione della Scrittura, fu creata prima che germogliasse. Creò forse Dio la vegetazione il terzo giorno poiché non c'era ancora l'uomo che la facesse nascere lavorando la terra? Come se tanti alberi e tante specie d'erbe non nascessero sulla terra senza alcun lavoro dell'uomo!

Pioggia e lavoro dell'uomo riguardo alle piante.

6. 18. È forse questo il motivo per cui la Scrittura ha esposto i due fatti, che cioè ancora non era piovuto sulla terra e che non c'era ancora l'uomo che la coltivasse? Poiché, anche dove non c'è il lavoro dell'uomo, questi vegetali nascono a causa della pioggia. Ce ne sono però alcuni che anche mediante la pioggia non nascono se non in seguito al lavoro dell'uomo. Ecco perché adesso è necessario il concorso dell'una e dell'altro affinché nascano tutte le piante, mentre allora non c'era né l'una né l'altro e per questo Dio le creò con la potenza del suo Verbo senza bisogno della pioggia e del lavoro dell'uomo. Anche adesso infatti è lui che crea ma ormai con il concorso della pioggia e del lavoro dell'uomo, quantunque non sia nulla né chi pianta né chi irriga, ma è Dio che fa crescere 16.

La sorgente irrigante la terra, la pioggia e la creazione dei vegetali.

6. 19. Che vuol dire dunque ciò che la Scrittura soggiunge: Ma una sorgente zampillava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra 17? Quella sorgente che sgorgava con tanta abbondanza sarebbe potuta essere simile a una pioggia per tutta la terra, allo stesso modo che il Nilo lo è per l'Egitto. Perché dunque la Scrittura mette in risalto come importante il fatto che Dio creò quei vegetali prima che piovesse, dal momento che la pioggia sarebbe potuta riuscire utile nella stessa misura della sorgente che irrigava tutta la terra? Ma anche se la sorgente fosse stata un po' meno utile, sarebbero forse nate meno piante, ma non si può dire tuttavia che non ne sarebbero nate affatto. Forse che anche su questo punto la Scrittura, secondo il suo solito parlare con il linguaggio - per così dire - dei deboli, ma adatto ai deboli, inculca qualche insegnamento che può essere capito dai forti? Certamente: con il "giorno", ricordato poco prima, la sacra Scrittura ha voluto indicare l'unico "giorno" creato da Dio e che Dio fece il cielo e la terra allorquando fu creato il "giorno", perché, nei limiti della nostra capacità, comprendessimo che Dio creò tutto in una sola volta, sebbene la precedente enumerazione dei sei giorni sembrasse indicare degli intervalli di tempo; allo stesso modo la sacra Scrittura, dopo aver detto che Dio insieme col cielo e la terra creò ogni specie di piante selvatiche prima che fosse sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che spuntassero, aggiunge: Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non c'era ancora l'uomo che la coltivasse 18, come se dicesse: "Dio [all'inizio] non creò quei vegetali come li crea attualmente quando fa piovere e quando l'uomo lavora". Essi in realtà si sviluppano attraverso spazi di tempo che non esistevano allorché Dio creò nello stesso tempo tutte le cose, con cui cominciarono anche i tempi.

Tutti i germi primordiali sono umidi e crescono con l'umidità.

7. 20. Quanto dunque alla frase che segue: Una sorgente poi sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra 19, essa ci fa capire - a mio parere - quali esseri vengono creati da quel momento a intervalli di tempo dopo la creazione primordiale, in cui furono create tutte le cose nello stesso tempo. Inoltre la sacra Scrittura giustamente - a mio giudizio - comincia la narrazione dall'elemento d'onde nascono tutte le specie sia degli animali che delle erbe e degli alberi perché sviluppino le loro potenzialità differenti e proprie della natura d'ogni essere. Poiché tutti i semi primordiali, sia quelli dai quali deriva ogni carne, sia quelli dai quali nascono tutti i vegetali, sono umidi e crescono in virtù dell'umidità. In essi ci sono inoltre energie di straordinaria efficacia che portano con sé, derivanti dalle opere compiute da Dio e dalle quali egli si riposò il settimo giorno.

Qual era la "sorgente" di Gen 2, 6?

7. 21. Possiamo tuttavia domandarci a buon diritto che cosa dobbiamo immaginarci che fosse questa sorgente capace d'irrigare la superficie di tutta la terra. Se infatti essa esisteva e fu poi ostruita o s'inaridì, dobbiamo cercarne la causa, poiché adesso noi vediamo che non c'è alcuna sorgente con cui possa irrigarsi tutta la superficie della terra. Fu dunque forse il peccato del genere umano a meritare anche questo castigo, per cui quella sorgente così abbondante sarebbe stata ridotta in modo da togliere dalla terra la produttività ottenuta senza alcuno sforzo e così aumentare la fatica degli agricoltori. Sebbene non la si trovi accennata in nessun passo della Scrittura, si potrebbe fare una simile supposizione umana, se non vi si opponesse il fatto che il peccato dell'uomo, al quale fu imposto il castigo del lavoro faticoso, fu commesso dopo che l'uomo aveva goduto le delizie del paradiso [terrestre]. Il paradiso inoltre aveva una sorgente sovrabbondante - di cui si dovrà parlare più accuratamente in seguito a suo luogo - sorgente unica per la sua origine, dalla quale, secondo quanto narra la Scrittura, sgorgavano i quattro fiumi noti a tutti gli uomini. Dov'era dunque questa sorgente e dov'erano questi fiumi, dal momento che quell'unica sorgente traboccante sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra? Poiché non era di certo allora il Ghion - ora chiamato Nilo --, uno dei quattro fiumi, a irrigare l'Egitto quando quella sorgente sgorgava dalla terra e innaffiava largamente non solo l'Egitto ma l'intera superficie della terra.

Seconda ipotesi della spiegazione.

7. 22. Dovremo forse credere che Dio volle da principio irrigare tutta la terra con le acque di un'unica enorme sorgente, affinché gli esseri, che aveva creati potenzialmente nella terra, nascessero da quel momento con il concorso delle acque anche nel volgere dei tempi in un numero diverso di giorni secondo la diversità della loro specie? Diremo forse che in seguito, dopo aver piantato il paradiso, ostruì la sorgente e con molte altre sorgenti riempì d'acqua la terra come la vediamo adesso? Diremo invece forse che dall'unica sorgente del paradiso fece scaturire quattro grandi fiumi distinti in modo che non solo la restante terra - piena di differenti specie delle sue creature le quali compiono il loro sviluppo nel tempo con ritmi appropriati a ciascuna specie - avesse anche le proprie sorgenti e i propri fiumi, ma che il paradiso, piantato in un luogo particolare, facesse sgorgare quei quattro fiumi da quella sorgente primordiale? Oppure si dovrà pensare che Dio con quell'unica sorgente del paradiso, che prima sgorgava più abbondante, irrigò tutta la terra e la fecondò perché, nel corso dei tempi, producesse le specie che vi aveva create senza intervalli di tempi e in seguito ridusse lì l'impetuosa ed enorme scaturigine delle acque in modo che ormai per tutta la terra si spandessero sorgenti e fiumi da diverse origini e in seguito, nel territorio di quella sorgente - che ormai non irrigava più tutta la terra ma faceva scaturire solo i quattro ben noti fiumi - piantò il paradiso per collocarvi l'uomo da lui creato?

Entro quali limiti si può congetturare su ciò che la Scrittura tace.

8. 23. La Scrittura non c'informa appieno in che modo, dopo la primordiale creazione degli esseri, trascorsero i tempi e, in seguito, furono governati gli esseri fatti nella creazione primordiale e portati a compimento il sesto giorno. La Scrittura invece ci dice solo - nella misura giudicata opportuna e sufficiente dallo Spirito che ispirava lo scrittore sacro - le notizie che potevano essere utili non solo alla conoscenza delle cose già create, ma anche alla prefigurazione di quelle future. Noi perciò, nella nostra ignoranza, possiamo solo congetturare i possibili eventi che l'autore sacro, pur non ignorandoli, tralasciò di narrare. Noi ci sforzeremo, nei limiti della nostra capacità e con l'aiuto [di Dio], di non dar motivo a pensare che nelle Sacre Scritture vi sia qualche assurdità o contraddizione che urti il sentimento del lettore che, reputando impossibili certi fatti narrati dalla Scrittura, s'allontani dalla fede o non vi si accosti.

Difficoltà riguardo alla "sorgente" di Gen 2, 6.

9. 24. Quando perciò, a proposito di questa sorgente, ci domandiamo come mai ciò che dice la Scrittura: Sgorgava dalla terra e ne irrigava tutta la superficie 20 può sembrare non impossibile, se le ipotesi relative da noi avanzate parranno a qualcuno incapaci [di risolvere il quesito], cerchi da se stesso un'altra spiegazione, purché sia messa in evidenza la veridicità della Scrittura che è senza dubbio verace anche se ciò non è del tutto chiaro. Se infatti vorrà addurre prove per dimostrare che la Scrittura è falsa, o non potrà dir nulla di vero riguardo alla creazione e al governo delle creature oppure, se dirà cose vere, la riterrà falsa poiché non la comprende. Così accadrebbe, se uno sostenesse che tutta la superficie della terra non si sarebbe potuta irrigare con una sola sorgente, per quanto si voglia abbondante, poiché, se non irrigava anche i monti, non sarebbe stata più un'erogazione di fecondità ma l'inondazione di un diluvio: se infatti allora la terra si fosse trovata in questo stato, tutto sarebbe stato mare e la terraferma non sarebbe ancora stata distinta dalle acque.

In che senso intendere quella sorgente.

10. 25. A questo tale si risponde che ciò potrebbe verificarsi in certi periodi di tempo come fa il Nilo che in determinati periodi dell'anno straripa inondando le pianure dell'Egitto e in altri rientra nel suo alveo. Se invece si pensa che il Nilo cresce ogni anno a causa delle acque e delle nevi invernali non so di qual parte ignota e lontana del mondo, che cosa potrebbe dirsi delle alterne maree dell'Oceano, che cosa di certi litorali che sono di volta in volta scoperti per largo tratto e ricoperti poi dalle acque? Per non parlare di quanto si narra della straordinaria intermittenza di certe sorgenti, che in determinati periodi dell'anno traboccano tanto da inondare tutta la regione in cui si trovano, mentre in altri periodi somministrano a mala pena acqua potabile sufficiente [attinta] dai pozzi più profondi? Perché dunque sarebbe incredibile che da una sola sorgente dell'abisso con l'alternanza di flusso e di riflusso fu irrigata allora tutta la terra? Ma forse è proprio questo immenso abisso che la Scrittura ha voluto chiamare "sorgente" e non "sorgenti" a causa dell'unica natura delle acque; non si tratta della massa d'acque chiamata mare, la quale con la sua enorme estensione visibile a tutti e con le sue acque salate lambisce le terre emerse, ma solo di quella contenuta nelle cavità nascoste della terra, dalle quali si diramano le sorgenti e i fiumi attraverso lunghi canaletti e vene e scaturiscono in differenti luoghi. Questa sorgente secondo la Scrittura scaturiva dalla terra attraverso innumerevoli fessure di caverne e di crepacci e irrigava tutta la superficie della terra spargendosi - per così dire - capillarmente, non formando però una superficie continua come quella del mare o di uno stagno, bensì allo stesso modo che vediamo scorrere le acque nel letto dei fiumi o nei meandri dei ruscelli e bagnare le terre vicine con il loro straripare. Chi non accoglierebbe questa congettura se non chi è pervaso da spirito litigioso? L'espressione della Scrittura infatti, secondo cui tutta la superficie della terra era bagnata, si può intendere anche nello stesso senso in cui si può dire che tutta la superficie di un vestito ha un dato colore anche se non ha una tinta unita ma ha quel colore qua e là; e ciò soprattutto perché, essendo allora la terra appena creata, si può pensare che almeno la maggior parte - se non tutta - era pianeggiante e per conseguenza i corsi d'acqua, che ne sgorgavano, potevano dividersi e spargersi più largamente.

Conclusione delle considerazioni sulla "sorgente" di Gen 2, 6.

10. 26. Per spiegare quindi l'estensione o l'abbondanza di questa sorgente possiamo avanzare varie ipotesi. O essa aveva una sola scaturigine in qualche parte della terra oppure la Scrittura parla di un'unica sorgente - che sgorgava dalla terra e con tutte le sue diramazioni si spargeva ed irrigava tutta la superficie della terra - per indicare un'unica massa d'acqua contenuta nelle occulte cavità della terra, dalle quali sgorga l'acqua di tutte le sorgenti grandi e piccole. Oppure, poiché la Scrittura non dice: "una sola sorgente scaturiva dalla terra", ma dice: Una sorgente scaturiva dalla terra 21, possiamo anche pensare, come ipotesi più probabile, che la Scrittura usi il singolare per il plurale per farci intendere in questo modo che c'erano molte sorgenti sparse su tutta la terra e irrigavano le loro proprie località e regioni, allo stesso modo che noi diciamo: "il soldato" per indicarne molti, come la Scrittura dice "la locusta" e "la rana" a proposito delle piaghe 22 con cui furono colpiti gli Egiziani, pur essendo sterminato il numero delle locuste e delle rane. Ma non dobbiamo affaticarci più oltre su questo problema.

Creazione del tempo e fuori del tempo.

11. 27. Noi invece dobbiamo considerare assai bene se possiamo ritenere del tutto sicura l'opinione in base alla quale affermavamo che diversa fu l'azione di Dio quando fece le creature nella creazione primordiale, dalle quali si riposò il settimo giorno, e diversa è quella con cui le governa e per cui continua a operare tutt'ora. Allora Dio agì creando tutti gli esseri simultaneamente, senza intervalli di tempo, ora invece, seguendo gli intervalli di tempo per i quali vediamo gli astri muoversi da levante ad occidente, le condizioni atmosferiche mutare dall'estate all'inverno, i semi germogliare, crescere, verdeggiare, disseccare in determinati periodi di giorni, allo stesso modo che anche gli animali son concepiti, sono formati, nascono nei limiti e periodi di tempo stabiliti, e percorrendo le varie età giungono alla vecchiaia e alla morte, e così tutti gli altri esseri temporali. Orbene, chi è che produce tutti questi cambiamenti se non Dio senza alcuno di simili movimenti da parte sua? Egli infatti non è soggetto al tempo. Di conseguenza, tra le opere, da cui Dio si riposò il settimo giorno, e quelle che continua a fare tutt'ora, la Scrittura, inserendo un inciso nel suo racconto, vuol mostrare d'aver terminato d'esporre le prime e comincia a descrivere le seconde. Ecco come la Scrittura mostra di avere esposto le prime: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra; quando fu fatto il giorno Dio creò il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima ch'esse fossero sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che germogliassero. Dio infatti non aveva ancora fatto piovere sulla terra e non c'era ancora l'uomo che la coltivasse 23. Ecco invece come comincia la descrizione delle seconde opere: Ora una sorgente sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra 24. Dalla menzione di quella sorgente e di poi, per tutto il racconto che segue, le cose ivi narrate sono fatte nel corso dei tempi, non tutte insieme.

Tre modi di considerare la creazione.

12. 28. Triplice è dunque il modo di essere delle creature: il primo è quello per cui sono nel Verbo di Dio le ragioni immutabili di tutte le creature, il secondo è quello delle opere fatte da lui e dalle quali si riposò il settimo giorno, il terzo è quello delle opere che continua a compiere tutt'ora dopo di quelle. Di questi tre modi di essere quello che ho ricordato per ultimo ci è noto in qualche maniera tramite i sensi del corpo e la nostra comune esperienza. I primi due invece non sono accessibili né ai nostri sensi né all'umana facoltà di pensare e perciò devono credersi anzitutto sull'autorità di Dio e poi conoscersi in qualche modo attraverso le realtà che ci sono note, secondo la maggiore o minore capacità di ciascun individuo sostenuto dall'aiuto di Dio affinché ci riesca.

a) Nella sapienza di Dio.

13. 29. La Sapienza di Dio, per mezzo della quale sono state create tutte le cose, conosceva queste cose prima che fossero create. I divini archetipi immutabili ed eterni sono attestati dalla sacra Scrittura che dice: In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio in Dio. Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui e nulla è stato fatto senza di lui 25. Chi sarà dunque tanto insensato da affermare che Dio ha fatto delle cose senza conoscerle? Ora, se le conosceva, come le conosceva se non in se stesso nel quale era il Verbo, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose? Poiché, se le conosceva fuori di sé, chi gliele aveva insegnate? Chi mai infatti ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi è mai stato suo consigliere? Chi mai gli ha dato qualcosa per primo e gli sarà dato il contraccambio? Poiché da lui, grazie a lui e in lui sono tutte le cose 26.

Tutto è stato creato mediante il Verbo, luce delle anime.

13. 30. D'altronde anche le parole che seguono nel Vangelo [di Giovanni] confermano assai chiaramente questa narrazione. Infatti l'Evangelista soggiunge: Ciò che è stato fatto è vita in lui e la vita era la luce degli uomini 27, poiché certamente le anime razionali, nella cui specie è incluso l'uomo fatto ad immagine di Dio, non hanno altra vera luce propria se non lo stesso Verbo di Dio, per mezzo del quale è stata fatta ogni cosa e della cui vita esse potranno divenire partecipi dopo che saranno purificate da ogni peccato ed errore.

In qual senso tutte le cose sono vita del Verbo.

14. 31. [La frase di Giovanni] perciò non dev'essere letta così: Ciò che è stato fatto in lui, è vita, separando con una virgola ciò che è stato fatto in lui e aggiungendo poi è vita. Non c'è nulla infatti che non sia stato fatto in lui, dal momento che la Scrittura, dopo aver enumerato molte creature, anche quelle della terra, dice in un Salmo: Hai fatto ogni cosa nella Sapienza 28, e l'Apostolo afferma: Poiché in lui sono state create tutte le cose nel cielo e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili 29. Ne verrà di conseguenza che, se punteggeremo il testo in quel modo, anche la stessa terra e tutto ciò ch'essa racchiude sono vita [in lui]. Ma se è assurdo dire che tutte quelle cose vivono, quanto più assurdo è dire che sono vita? E ciò soprattutto per il fatto che l'Evangelista determina con precisione di quale specie di vita parli quando soggiunge: e la vita era la luce degli uomini. Dobbiamo quindi separare la frase mettendo una virgola dopo le parole: Ciò che è stato fatto aggiungendo poi [l'inciso] è vita in lui, cioè non è vita in se stesso, vale a dire nella propria natura per cui è avvenuto che esso sia creazione e creatura, ma è vita nel Verbo, poiché tutte le cose che sono state fatte per mezzo di lui le conosceva prima che esistessero. Per conseguenza tutte le cose erano in lui non come creature fatte da lui ma come la vita e la luce degli uomini che non è se non la stessa Sapienza e lo stesso Verbo, cioè l'unigenito Figlio di Dio. Le creature sono dunque vita in Lui nello stesso senso che la Scrittura dice: Come il Padre ha la vita in se stesso, così ha dato al Figlio d'avere la vita in se stesso 30.

"Vita" delle anime razionali è la luce del Verbo.

14. 32. Non si deve inoltre tralasciare neppure il fatto che i manoscritti più corretti hanno: Ciò, che è stato fatto, era vita in lui, di modo che era vita s'intende nel medesimo senso della frase: In principio era il Verbo e il Verbo era in Dio e il Verbo era Dio 31. Perciò, ciò che è stato fatto, era già vita in lui, e non una vita qualsiasi - poiché anche delle bestie si dice che vivono, ma non possono godere d'essere partecipi della sapienza - ma la vita che era luce degli uomini. Infatti le anime razionali, una volta purificate dalla sua grazia, possono giungere alla visione di quella luce, di cui non c'è nulla di più eccellente e felice.

In che modo tutte le cose create erano conosciute dal Creatore.

15. 33. Ma anche se leggiamo e comprendiamo il passo [di Giovanni così]: Ciò, che è stato fatto, è vita in lui, resta il senso che ciò che per mezzo di lui è stato fatto è vita in lui, la vita per cui Egli vide tutte le cose quando le fece e come le vide così le fece, vedendole non al di fuori di se stesso, ma in se stesso enumerò tutte le cose fatte da lui. La visione che ha lui non è diversa da quella che ha il Padre ma è un'unica visione, come unica è la loro sostanza. Infatti anche nel libro di Giobbe si parla così della Sapienza, per mezzo della quale tutte le cose furono fatte: Ma dove si trova la Sapienza? E dov'è il luogo dell'Intelligenza? Il mortale ne ignora la via ed essa non si trova tra gli uomini 32. [L'autore sacro dice ancora] poco dopo: Abbiamo sentito parlare della sua gloria. Il Signore [solo] ne fa conoscere la via ed Egli [solo] sa dov'essa si trovi. Egli infatti vede perfettamente tutto ciò che è sotto il cielo e conosce ciò ch'esiste sulla terra, tutto ciò che Egli ha fatto; quando fece il peso dei venti e regolò le acque con misura, e come le vide così le enumerò 33. Con questi ed altri simili testi si dimostra che tutte le cose, prima d'essere fatte, erano nella conoscenza del Creatore e certamente in un modo superiore lì ove sono nella loro [piena] verità, eternità ed immutabilità. Sebbene debba esser sufficiente a ciascuno conoscere o credere senza esitazione che Dio ha fatto tutte queste cose, tuttavia non penso che ci sia qualcuno tanto stolto da credere che Dio abbia fatto cose che non conosceva. Inoltre, se le conosceva prima di farle, prima d'esser fatte erano certamente in lui, nel modo d'essere con cui vivono e sono vita [in lui] eternamente ed immutabilmente; tuttavia, in quanto cose create, esse hanno la loro esistenza come ogni altra creatura nella sua propria natura.

Con la mente percepiamo più facilmente Dio che le creature.

16. 34. La natura eterna e immutabile di Dio ha l'essere in se stesso come [da lui] fu detto a Mosè: Io sono colui che sono 34; egli cioè ha l'essere in un modo di gran lunga diverso da quello degli altri esseri che sono stati fatti, poiché esiste veramente e originariamente ciò che esiste sempre allo stesso modo e non solo non muta, ma non può mutare affatto, mentre nulla di ciò, ch'egli fece, esiste come lui e ha originariamente tutte le cose allo stesso modo che è lui. Poiché Dio non potrebbe fare gli altri esseri se, prima di farli, non li conoscesse; e non li conoscerebbe, se non li vedesse, e non li vedrebbe se non li avesse [in sé], e non avrebbe le cose ancora non fatte se non nel modo in cui è lui stesso che non è stato fatto. Sebbene - dico - la sostanza-natura di Dio non possa esprimersi con termini umani e non possa spiegarsi in un modo o in un altro senza ricorrere a espressioni relative allo spazio e al tempo, mentre essa esiste prima di tutti i tempi e fuori da tutti gli spazi, tuttavia è più vicino a noi, lui il Creatore, che non le molteplici cose fatte da lui. In lui infatti noi abbiamo la vita, il movimento e l'essere 35; la maggior parte di quelle cose, al contrario, sono lontane dal nostro spirito poiché, essendo materiali, hanno una natura diversa e il nostro spirito non è capace di vederle in Dio considerate nelle ragioni causali secondo le quali sono state fatte e perciò non possiamo conoscerne la quantità, la grandezza, la qualità pur non vedendole con i sensi del corpo. Quelle cose infatti sfuggono ai nostri sensi poiché ci sono inaccessibili o sono separate dalla nostra vista e dal nostro tatto ostacolati da altri esseri interposti od opposti. Per conseguenza occorre uno sforzo maggiore per scoprire le cose che non il loro Creatore. È infatti una felicità incomparabilmente superiore conoscere Dio con spirito religioso anche in minima parte che comprendere l'universo nella sua totalità. Ecco perché a ragione nel libro della Sapienza sono rimproverati coloro che indagano questo mondo: Se infatti - dice - furono capaci di sapere tanto da potere scrutare il mondo, come mai non trovarono più facilmente il suo Signore? 36 Poiché le fondamenta della terra sono fuori del nostro campo visivo, ma chi l'ha fondata è vicino al nostro spirito.

Un altro modo di considerare la creazione.

17. 35. Consideriamo ormai le cose fatte da Dio tutte insieme e portate a termine il sesto giorno, dalle quali si riposò il settimo giorno; le sue opere, riguardo alle quali egli agisce fino al presente, saranno da noi considerate in seguito. Egli infatti è prima del tempo: diciamo invece che sono all'origine del tempo le cose che sono da quando cominciò il tempo, come il mondo, mentre diciamo esistenti nel tempo quelle che nascono nel mondo. La Scrittura dunque, dopo aver detto: Tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui non è stato fatto nulla, poco dopo soggiunge: Egli era in questo mondo, e il mondo è stato fatto per mezzo di lui 37. Di quest'opera di Dio la Scrittura in un altro passo dice che Dio aveva fatto il mondo a partire da una materia informe 38. Questo mondo - come abbiamo già ricordato - la Scrittura lo denota generalmente con il nome di "cielo e terra" e dice che è stato creato da Dio quando fu creato il "giorno". Spiegando quel passo ci siamo sforzati - nei limiti delle nostre possibilità - di mostrare che le due affermazioni della Scrittura riguardo alla creazione del mondo possono essere messe d'accordo, nel senso cioè ch'esso non solo fu portato a termine in sei giorni con tutte le cose che contiene, ma altresì che fu creato il "giorno"; in tal modo il racconto della creazione risulta d'accordo con l'affermazione della Scrittura che [Dio] fece ogni cosa simultaneamente 39.

b) nella simultaneità dell'atto creativo: La duplice conoscenza angelica.

18. 36. In questo universo creato da Dio sono molte cose che non conosciamo, sia perché troppo alte nel cielo per poter essere raggiunte dai nostri sensi, sia perché site in regioni della terra forse inabitabili, sia perché nascoste sotto la terra nelle profondità abissali del mare e nelle oscure cavità della terra. Queste cose dunque non esistevano certo prima d'essere fatte. In qual modo, allora, erano note a Dio se non esistevano? D'altronde, in che modo avrebbe fatto cose che gli erano ignote? In realtà Dio non ha fatto nulla che gli fosse ignoto. Dio pertanto ha fatto le cose che già conosceva, non le ha conosciute dopo averle fatte. Di conseguenza prima che fossero fatte, esse erano e non erano; erano nella conoscenza di Dio, ma non erano nella natura loro propria. Ecco perché fu creato il "giorno", al quale potessero farsi conoscere in entrambi i loro modi di essere: in Dio e in se stesse; in Dio mediante una conoscenza - diciamo così - mattutina o diurna, in se stesse mediante una specie di conoscenza vespertina. Quanto a Dio non m'arrischio di dire che egli le conoscesse, dopo averle fatte, in un modo diverso da quello in cui le conobbe per farle, poiché in lui non c'è variazione né ombra di mutamento 40.

Gli angeli sono messaggeri di Dio, esecutori dei suoi ordini.

19. 37. Per conoscere le cose del mondo di quaggiù Dio non ha certo bisogno di messaggeri come se egli potesse aumentare la sua conoscenza mediante il loro servizio. Egli invece conosce tutte le cose in un modo trascendente e meraviglioso mediante una conoscenza stabile e immutabile. Se Dio ha dei messaggeri, ciò è per il bene nostro e di loro stessi, poiché ubbidire in questo modo a Dio e servirlo per consultarlo circa le cose di quaggiù e ottemperare ai suoi superni precetti e comandi è per essi un bene conforme alla loro natura e sostanza. I messaggeri poi, con termine greco sono chiamati: , termine con cui è denotata l'intera Città celeste, che a nostro parere è il primo "giorno" creato.

Agli angeli fu rivelato il mistero del regno dei cieli dall'origine del tempo.

19. 38. Agli angeli non fu nascosto neppure il mistero del regno dei cieli, rivelato nel tempo opportuno per la nostra salvezza, quello cioè per cui, una volta liberati dal nostro terreno pellegrinaggio, ci uniremo alla loro schiera. Che non lo ignorassero risulta dal fatto che la discendenza, che venne al tempo opportuno, fu disposta per mezzo degli angeli nelle mani di un mediatore, cioè mediante il potere di Colui che è il loro Signore sia nella sua natura divina sia in quella di servo 41. L'Apostolo afferma ugualmente: A me, il minimo tra tutti i santi, è stata data questa grazia, d'annunciare ai pagani le insondabili ricchezze di Cristo e rivelare quale sia il piano provvidenziale del mistero nascosto dall'eternità nella mente di Dio, creatore dell'universo, affinché sia manifestato ai Principati e alle Potestà nei cieli mediante la Chiesa della multiforme sapienza di Dio, formata da lui in Cristo Gesù nostro Signore secondo il suo disegno eterno 42. Questo mistero dunque è rimasto nascosto dall'eternità in Dio in modo però che per mezzo della Chiesa della multiforme sapienza di Dio fosse manifestata ai Principati nel cielo. La Chiesa infatti esiste originariamente là dove, dopo la risurrezione, dev'essere riunita anche la Chiesa di quaggiù, affinché noi siamo simili agli angeli di Dio 43. Ad essi perciò questo mistero era noto fin dall'origine dei secoli, poiché nessuna creatura esiste prima dei secoli ma la creazione esiste dall'origine dei secoli in poi. I secoli stessi hanno cominciato ad esistere a partire dalla creazione e questa esiste dai secoli in poi poiché il suo inizio è l'inizio dei secoli. L'unigenito Figlio di Dio, al contrario, esiste prima dei secoli poiché questi sono stati fatti per mezzo di lui 44. Ecco perché, parlando come la Sapienza identificata con se stesso come la [seconda] Persona [della Trinità] egli dice: Dio mi ha stabilita prima dei secoli 45, affinché [per mezzo della Sapienza] facesse tutte le cose Colui al quale è stato detto: Tutte le cose tu hai fatto per mezzo della Sapienza 46.

19. 39. Tuttavia il mistero nascosto non è noto solo in Dio ma si manifesta loro anche sulla terra quando esso si compie e [così] si svela; ciò è attestato dal medesimo Apostolo che dice così: E senza dubbio grande è il mistero della bontà di Dio, che si manifestò nella carne, fu giustificato nello Spirito, fu visto dagli angeli, fu annunciato ai pagani, fu creduto nel mondo, fu assunto nella gloria 47. Inoltre, se non mi sbaglio, sarebbe strano, se tutto quanto la Scrittura afferma essere conosciuto da Dio come in un presente temporale, non lo affermasse nel senso che Dio lo fa conoscere non solo dagli angeli ma anche dagli uomini. Questo modo di esprimersi con cui l'effetto è indicato da chi lo effettua è frequente nelle Sante Scritture, soprattutto quando si attribuisce a Dio qualcosa che, preso in senso letterale, non gli si confà, come proclama il sentimento della verità che presiede alla nostra mente.

c) Nel divenire temporale.

20. 40. Ormai dunque dobbiamo distinguere le opere che Dio continua a compiere da quella da cui si riposò il settimo giorno. Poiché vi sono alcuni i quali pensano che da Dio è stato fatto solo il mondo e tutto il resto è ormai fatto dallo stesso mondo secondo il comando e l'ordine di Dio, mentre Dio non effettuerebbe più nulla. Contro l'opinione di costoro possiamo addurre l'affermazione del Signore: Mio Padre opera senza interruzione. Ma perché nessuno pensasse che il Padre agisca solo in se stesso e non anche in questo mondo, aggiunge: Il Padre che rimane in me compie le sue opere; e come il Padre risuscita i morti e dà loro la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole 48. Inoltre, siccome Dio compie non solo le opere grandi e importanti ma anche quelle infime di questa terra, l'Apostolo dice: Stolto! Ciò, che tu semini, non prende vita se prima non muore, e quello, che semini, non è il corpo che nascerà, ma un semplice chicco, per esempio di grano o di altra specie. Ma Dio gli dà un corpo come ha stabilito e dà a ciascun seme il proprio corpo 49. Che dunque Dio continui ad agire senza interruzione dobbiamo crederlo e, se possibile, comprenderlo nel senso che se la sua azione si sottraesse alle sue creature, queste cesserebbero d'esistere.

In qual senso Dio non crea nuove specie di esseri.

20. 41. Se però noi supponessimo che Dio crea ora una creatura non appartenente alle specie costituite nella creazione primordiale, contraddiremmo senz'altro apertamente alla Scrittura, la quale afferma che Dio portò a termine tutte le sue opere il sesto giorno 50. È infatti evidente che Dio, conforme alle specie da lui create all'origine, crea un gran numero d'esseri nuovi che non aveva creati allora. Ma non si può logicamente credere che Dio crei nuove specie d'esseri, poiché terminò di crearle tutte allora. Dio pertanto, mediante la sua occulta potenza imprime un impulso a tutto l'universo delle sue creature; è proprio in virtù di questo impulso che tutte le creature son messe in movimento, quando gli angeli compiono gli ordini di Dio, quando gli astri compiono la loro orbita, quando i venti soffiano ora in una direzione ora in un'altra, quando l'abisso è agitato dal precipitare delle acque e anche dai vapori condensati turbinanti nell'aria, quando il regno vegetale germoglia e sviluppa i suoi semi, quando gli animali nascono e passano la propria vita secondo il loro proprio istinto, quando ai malvagi è permesso di tormentare i giusti. È così che Dio dispiega i secoli che aveva, per così dire, ripiegati nella creazione primordiale. Quei secoli non si svolgerebbero nel loro corso, se Colui, che li ha creati, cessasse di esercitare il suo governo provvidenziale su di essi.

Tutto è governato dalla divina Provvidenza.

21. 42. Gli esseri, che si formano e nascono nel tempo, ci devono insegnare come dobbiamo considerare queste cose. Non senza ragione infatti la Scrittura dice che la Sapienza si mostra benignamente a coloro che l'amano nei loro sentieri e va loro incontro con la sua infallibile provvidenza 51. Noi inoltre non dobbiamo ascoltare coloro, i quali pensano che dalla divina provvidenza sono governate solo le regioni più alte del mondo, quelle cioè che sono al margine esterno e al di sopra della nostra atmosfera più densa, ma che la parte più bassa che è la terra e il mare, come pure quella dell'atmosfera terrestre più vicina, che s'impregna d'umidità a causa delle esalazioni terrestri e marine - in cui si formano i venti e le nubi - sia piuttosto il gioco del caso e agitata da moti fortuiti. Contro questi tali parla il Salmo, che dopo aver espresso la lode [a Dio] degli esseri celesti, si rivolge anche a quelli della terra e dice: Lodate il Signore dalla terra, mostri marini e voi tutti, abissi; fuoco e grandine, neve e ghiaccio, venti di bufera che adempiono il suo comando 52. Ora, nulla pare essere tanto regolato dal caso quanto tutti questi fenomeni burrascosi e turbolenti, da cui è deformato e sconvolto l'aspetto di queste regioni inferiori del cielo - che non senza ragione è denotato anche con il nome di "terra" - ma quando [il Salmo] soggiunge: che adempiono il suo comando, mostra assai bene che anche l'ordinamento di questi fenomeni, soggetto al comando di Dio, anziché mancare alla natura dell'universo, sfugge piuttosto alla nostra intelligenza. Che dire dunque? Il Salvatore non ha forse detto di propria bocca che non cade in terra nemmeno un passero senza il permesso di Dio 53 e che Dio riveste tuttavia l'erba dei campi sebbene destinata poco dopo ad essere gettata nel forno 54? Dicendo così, nostro Signore non ci assicura forse che non solo tutta questa parte del mondo assegnata agli esseri mortali e corruttibili ma anche le particelle più spregevoli e umili sono governate dalla divina provvidenza?

Argomenti comprovanti la divina Provvidenza.

22. 43. Ma coloro che negano questa verità e non credono nella grande autorità delle Sacre Scritture, pensano che la parte del mondo abitata da noi è soggetta a movimenti dovuti al caso anziché governata dalla Sapienza del sommo Dio; per provarlo ricorrono ingiustamente a due argomenti: quello della variabilità delle stagioni, da me più sopra ricordato, o quello della felicità o infelicità degli uomini che capita loro ma non corrisponde ai meriti acquisiti nella vita. Se però osservassero il meraviglioso ordine che appare nelle membra del corpo d'un qualunque essere vivente - non dico ai medici, che per la necessità della loro professione le scrutano con cura dopo averle messe a nudo e identificate sezionandole, a un individuo qualunque d'intelligenza e riflessione mediocre - non esclamerebbero forse che questi corpi non cessano neppure un istante d'essere governati da Dio, autore d'ogni regola di misura, d'ogni armonia di numeri, d'ogni misura di pesi? Quale opinione può essere più assurda e più stolta di quella secondo la quale l'universo creato sarebbe sottratto alla volontà e al governo della Provvidenza, quando si vede che le creature più infime e spregevoli sono formate con un ordine così straordinario che, se ci si riflette più attentamente, suscitano un indicibile timore reverenziale e ammirazione? Dato poi che la natura dell'anima è superiore a quella del corpo, che c'è di più insensato che pensare che la provvidenza di Dio non giudica affatto il comportamento degli uomini, dal momento che nel loro corpo appaiono con straordinaria evidenza tante prove della sapiente cura che Dio ha delle creature? Ma siccome queste piccole creature sono alla portata dei nostri sensi e possiamo indagarle facilmente, risulta evidente in esse l'ordine che le regola, mentre quelle di cui non possiamo vedere l'ordine, sono giudicate prive di ordine da coloro che pensano non esista nient'altro all'infuori di ciò che possono vedere oppure, se credono che esista, lo suppongono della stessa natura di ciò che sono soliti vedere.

Come Dio ha creato simultaneamente ogni cosa eppure opera senza interruzione.

23. 44. Noi invece, i cui passi sono guidati dalla medesima divina provvidenza mediante la sacra Scrittura affinché non cadiamo in quell'errore, dovremmo sforzarci d'indagare, considerando le opere di Dio con il suo aiuto, dove egli aveva creato simultaneamente queste cose quando si riposò dalle opere che aveva portato a termine e delle quali produce fino al tempo presente le forme visibili attraverso la successione dei tempi. Consideriamo dunque la bellezza di un albero qualunque nel suo tronco, nei suoi rami, nelle sue foglie e nei suoi frutti; questa forma non è certo uscita all'improvviso dalla terra tale e quale in tutta la sua grandezza, ma piuttosto in seguito ad un processo di crescita che ci è noto. Esso infatti spuntò da una radice che un germe aveva piantato precedentemente nella terra e di poi tutti quegli elementi crebbero dopo aver preso la loro forma ed essersi sviluppati nelle diverse loro parti. Il germe inoltre proveniva da un seme: nel seme dunque erano originariamente tutti quegli elementi non già quanto alle dimensioni della loro massa corporea, ma come una forza e una potenza causale. Poiché le dimensioni [raggiunte dall'albero] si formarono grazie a una quantità di terra e di umidità. Ma più meravigliosa e più eccellente è l'energia insita in un piccolo granello, grazie alla quale l'umidità circostante, mescolata alla terra, forma - per così dire - una materia capace di cambiarsi in legno di tale natura, in rami che si spandono, in foglie verdi e di forma appropriata, in frutti attraenti e abbondanti, il tutto in un'ordinata diversità di tutte le sue parti. In realtà che cosa spunta o pende da un albero che non sia stato estratto o ricavato da quella sorta di tesoro nascosto che è il seme? Il seme però deriva da un albero, anche se non da quello ma da un altro, e quello deriva a sua volta da un altro seme; alle volte però l'albero deriva da un altro quando se ne toglie un virgulto e lo si trapianta. Non solo dunque il seme deriva dall'albero ma anche l'albero deriva dal seme e l'albero dall'albero, ma il seme non può derivare mai dal seme se non per tramite di un albero; un albero invece può derivare da un albero anche senza il tramite del seme. Così dunque l'uno deriva dall'altro attraverso alterne generazioni, ma l'uno e l'altro provengono dalla terra, mentre la terra non deriva da essi, ai quali perciò è anteriore la terra che li genera. Ciò vale anche per gli animali: può rimanere il dubbio se il germe viene dagli animali o viceversa ma, qualunque sia il primo di essi, è tuttavia assolutamente certo ch'esso viene dalla terra.

Potenzialità e causalità nella creazione.

23. 45. Nel granello dunque erano già presenti invisibilmente tutti insieme gli elementi che nel corso del tempo si sarebbero sviluppati per formare l'albero; allo stesso modo dobbiamo immaginare che il mondo, quando Dio creò simultaneamente tutte le cose, conteneva simultaneamente tutti gli elementi creati in esso e con esso quando fu fatto il giorno: conteneva cioè non solo il cielo con il sole, la luna e le stelle - la cui forma specifica rimane inalterata durante il loro moto circolare - ma anche il mare e gli abissi che sono soggetti a movimenti - per così dire - incostanti ed essendo situati al di sotto [del cielo] costituiscono l'altra parte del mondo; conteneva inoltre gli esseri che l'acqua e la terra produssero virtualmente e causalmente, prima che comparissero nel corso dei tempi e che noi ormai conosciamo come opere che Dio continua a compiere fino al presente.

Conclusione.

23. 46. In questo senso quindi [è detto]: Questo è il libro della creazione del cielo e della terra; quando fu creato il giorno, Dio fece il cielo e la terra e ogni specie di piante selvatiche prima ch'esistessero sulla terra e ogni specie di piante coltivate prima che germogliasse 55. Dio fece non già come agisce fino al presente mediante la pioggia e la lavorazione della terra praticata dagli uomini; per questo infatti [la Scrittura] aggiunge: Poiché Dio non aveva ancora fatto piovere, e non c'era ancora l'uomo che coltivasse la terra 56; ma nel modo in cui creò tutti gli esseri simultaneamente e li portò a termine in sei giorni presentando sei volte agli esseri da lui creati il giorno che aveva creato e lo presentò non già nell'avvicendarsi successivo di periodi di tempi, ma in un piano fatto conoscere qual era nelle sue cause. Dio si riposò dalle sue opere il settimo giorno, degnandosi di rivelare il suo riposo anche al "giorno" perché questo gioisse nel conoscerlo. Ecco perché Dio benedisse e dichiarò sacro quel giorno non a causa di alcuna sua opera ma del suo riposo. Da allora perciò Dio non crea più alcun'altra creatura ma agisce continuamente in quanto governa e guida con l'azione della sua assistenza tutte le creature da lui fatte simultaneamente mentre si riposa e agisce allo stesso tempo, come è stato già spiegato. Delle opere che Dio continua a compiere e che si devono sviluppare lungo il volgersi dei secoli la sacra Scrittura comincia in certo qual modo a narrarli dicendo: Una sorgente sgorgava dalla terra e irrigava tutta la superficie della terra 57. Poiché di questa sorgente abbiamo già detto tutto ciò che abbiamo creduto necessario dire, dobbiamo considerare adesso le cose seguenti come da una specie di nuovo inizio.

 


 

1 - Gn 2, 4-6.

2 - Gn 1, 1.

3 - Gn 2, 4.

4 - Gn 2, 5.

5 - Sal 145, 6.

6 - Cf. Sir 18, 1.

7 - Gn 2, 5.

8 - Gn 1, 12.

9 - Gn 1, 11-12.

10 - Cf. Gv 5, 17.

11 - Cf. Gn 2, 8-9.

12 - Cf. Rm 11, 36.

13 - Cf. Is 11, 2-3.

14 - Gn 1, 1.

15 - Gn 2, 5.

16 - 1 Cor 3, 7.

17 - Gn 2, 6.

18 - Gn 2, 5.

19 - Gn 2, 6.

20 - Gn 2, 6.

21 - Gn 2, 6.

22 - Cf. Sal 104, 34.

23 - Gn 2, 4-5.

24 - Gn 2, 6.

25 - Gv 1, 1-3.

26 - Rm 11, 34-36.

27 - Gv 1, 4.

28 - Sal 103, 24.

29 - Col 1, 16.

30 - Gv 5, 26.

31 - Gv 1, 1. 4.

32 - Gb 28, 12-13.

33 - Gb 28, 22-25.

34 - Es 3, 14.

35 - At 17, 28.

36 - Sap 13, 9.

37 - Gv 1, 3. 10.

38 - Sap 11, 18.

39 - Sir 18, 1.

40 - Gc 1, 17.

41 - Cf. Gal 3, 19.

42 - Ef 3, 8-11.

43 - Cf. Mt 22, 30.

44 - Cf. Eb 1, 2.

45 - Prv 8, 23 (sec. LXX).

46 - Sal 103, 24.

47 - 1 Tm 3, 16.

48 - Gv 5, 17.20-21.

49 - 1 Cor 15, 36-38.

50 - Cf. Gn 2, 2.

51 - Sap 6, 17.

52 - Sal 148, 7-8.

53 - Cf. Mt 10, 29.

54 - Cf. Mt 6, 30.

55 - Gn 2, 4.

56 - Gn 2, 5.

57 - Gn 2, 6.


14 - Si narrano la conversione di san Paolo

La mistica Città di Dio - Libro settimo - Suor Maria d'Agreda

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248. La nostra madre Chiesa, guidata dallo Spirito San­to, celebra la conversione di san Paolo come uno dei mira­coli più considerevoli e a consolazione dei peccatori, perché questi da persecutore, violento e bestemmiatore, in base a quello che egli stesso afferma, grazie alla misericordia divi­na divenne un apostolo. A ciò partecipò anche la Regina , così che non si può tralasciare nella sua Storia questa rara meraviglia, la cui eccellenza si comprenderà meglio spie­gando in che condizioni egli si trovasse quando il suo no­me era Saulo, ed esponendo le ragioni per le quali era fau­tore dei decreti di Mosè e nemico di quelli di sua Maestà.

249. Per due motivi si contraddistingueva nel giudai­smo: l'uno era la sua indole naturale e l'altro l'astuzia del demonio che l'aveva saputa individuare. Aveva un cuore grande, era magnanimo, solerte, attivo, efficiente e co­stante in quello che si prefiggeva; inoltre, aveva acqui­stato parecchie buone qualità e si vantava di essere un profondo conoscitore e maestro della legge, anche se in realtà ne era ignorante poiché la sua scienza era soltan­to umana e terrena e, come tanti altri israeliti, la inten­deva solo esteriormente senza l'illuminazione celeste ne­cessaria per penetrarla con verità. Siccome credeva che la sua fosse autentica sapienza ed era accanito nel so­stenere le tradizioni dei padri, stimava indegno e incoe­rente che contro di esse si divulgassero dei nuovi pre­cetti, inventati da un uomo crocifisso come reo, mentre il liberatore dall'Egitto li aveva ricevuti sul monte diret­tamente da Dio. Per questo iniziò a disprezzare e odiare il Nazareno, le sue parole e i suoi discepoli. Le doti mo­rali che aveva, se si possono chiamare tali perché prive di carità, contribuivano a confermarlo nell'errore: con es­se presumeva di sé osservando che in altro dava nel se­gno e giudicava e agiva rettamente, come accade fre­quentemente a molti figli di Adamo che si compiacciono quando compiono qualcosa di positivo e con questa sod­disfazione non si sforzano di correggersi in vizi maggio­ri. Viveva e operava così ingannato e, attaccato com'era alle antiche prescrizioni, era convinto di onorare l'Altis­simo, mentre non aveva capito che quelle, nei riti e nel­le immagini, erano transitorie e non eterne e che sareb­be nato un profeta più forte e saggio di Mosè, secondo quanto era stato preannunciato.

250. Al suo importuno zelo e alla sua innata irruenza si aggiunse la malizia di Lucifero e dei suoi ministri, che provavano a irritarlo, a metterlo in movimento e ad au­mentare il suo sdegno verso il nostro Salvatore. Ho parla­to spesso delle loro macchinazioni infernali, e una di que­ste consisteva proprio nel cercare con attentissima vigi­lanza chi fosse più adatto per tendenze e consuetudini ad essere strumento della loro malvagità. Essi, anche se pos­sono tentare le anime singolarmente, da soli non sono in grado di innalzare in pubblico lo stendardo, facendosi ca­pi di qualche setta o scovando chi si schieri contro l'On­nipotente; per ciò, infatti, si devono servire di alcuni tra i mortali, che a loro volta vengano seguiti da altri ugual­mente ciechi e abbagliati. Il dragone era furibondo nel ve­dere il felice principio della cristianità e ne temeva il pro­gresso, bruciando inoltre di smisurata invidia poiché an­che gli esseri inferiori erano sollevati alla partecipazione della gloria del Signore, che egli, per la sua superbia, non aveva meritato. Riconobbe le inclinazioni, le abitudini e lo stato della coscienza del giovane, e ritenne che tutto qua­drasse con la sua brama di mandare in rovina la comu­nità ecclesiale per mano di alcuni increduli adeguati per tale abominio.

251. Satana consultò i suoi e insieme decisero di assi­stere continuamente il futuro fedele per insinuare in lui suggestioni e ragioni conformi all'indignazione che egli ave­va verso il gregge del nostro pastore. Erano sicuri che le avrebbe accettate tutte se avessero dato loro l'aspetto di al­trettanti suoi trionfi, eccitandolo con qualche falsa e illu­soria sembianza di virtù, e attuarono il loro intento senza perdere né tempo né occasione alcuna. Saulo disapprova­va gli insegnamenti evangelici dall'inizio della predicazio­ne, ma finché il Redentore rimase quaggiù non si dichiarò un custode così ardente della legge e la sua collera si ma­nifestò solo dopo la lapidazione di santo Stefano. In quella circostanza il serpente trovò il suo cuore pronto ad ese­guire tutte le perversità che fomentava in lui, e diventò tan­to arrogante nella propria malignità che gli parve di non poter desiderare di meglio e che costui si sarebbe piegato a qualunque scelleratezza.

252. Pretese allora che ammazzasse di persona tutti gli apostoli e, temerarietà ancor più raccapricciante, addirit­tura la stessa Maria. La sua crudeltà arrivò sino a questo punto, ma in tale follia si sbagliò perché egli, che era d'in­dole nobile e generosa, ponderando la cosa interiormente ritenne che non fosse degno di lui macchiarsi di un simi­le tradimento da vile sicario, mentre avrebbe potuto an­nientare la dottrina di Gesù con l'intelligenza e il diritto. Il cittadino di Tarso avvertì una grande ripugnanza a pen­sare di sopprimere la beatissima Madre, sia per il rispetto che le si doveva come donna sia perché era stata ammi­revole e costante nella passione del suo Unigenito e gli sem­brava che le spettasse venerazione; la compativa, poi, per tutte le pene acerbissime che aveva sopportato. La pietà per la sofferenza di lei contribuì ad accelerare la sua con­versione. Per queste riflessioni non accolse quell'inumano suggerimento e non acconsentì neppure all'uccisione dei Dodici, anche se aveva l'apparenza di un'impresa confa­cente al suo audace coraggio. Rifiutando di compiere que­ste atrocità si propose, però, di superare tutti i giudei nel­l'oppressione della Chiesa, fino alla sua distruzione.

253. Il principe delle tenebre e i suoi si accontentarono di tale risoluzione, poiché non potevano conseguire di più. Affinché si comprenda la loro ira verso il Creatore e le sue opere, sia noto che in quello stesso giorno ci fu un altro conciliabolo per discutere sul modo in cui riuscire a man­tenere a lungo l'esistenza terrena di un individuo così adat­to per mettere in atto le loro iniquità. Avevano chiaro di non possedere nessuna autorità sulla vita, né per donarla né per toglierla, se non con la licenza dell'Altissimo in qualche caso speciale, ma ugualmente si vollero costituire suoi medici e tutori, stimolando la sua immaginazione perché stesse lontano da quanto lo danneggiava e facesse uso di quello che gli giovava, e applicando altre cause naturali per conservargli la salute. Nonostante tante attenzioni, non fu­rono in grado di impedire che la grazia agisse in lui, da­to che questa era volontà divina; per altro, non si preoc­cupavano di quel particolare, non sospettando affatto che egli avrebbe accettato la lieta novella e che la sua presen­za sarebbe stata utile proprio per la loro disfatta. È la sa­pienza superna che ordina ciò, inducendo in errore il de­monio affinché cada nella fossa e nel laccio che ha teso e le sue macchinazioni vadano a favore dei disegni celesti, senza che possa opporsi.

254. Sua Maestà aveva stabilito che la conversione di Paolo fosse più mirabile e gloriosa, e dunque permise che egli, incitato da Lucifero con l'evento del primo martirio, si recasse dal sommo sacerdote, minacciando strage con­tro i cristiani dispersi fuori da Gerusalemme e sollecitan­do lettere al fine di essere autorizzato a imprigionare in città chiunque avesse rintracciatoti. Il giovane si disse di­sposto a dare se stesso e i suoi beni, facendo a proprie spese e senza nessun salario quel viaggio in difesa dei pre­cetti dei suoi antenati, perché non prevalessero i nuovi. Questa offerta inclinò maggiormente il suo interlocutore ad accondiscendere alla richiesta e fu subito mandato a Damasco, dove si erano ritirati alcuni dei discepoli. Anda­rono anche i ministri della giustizia e qualche soldato, ma la compagnia più cospicua era costituita da numerose le­gioni di diavoli usciti dall'inferno per assisterlo in una si­mile avventura, convinti com'erano che in questa maniera, avvalendosi di lui, avrebbero soffocato la fede una volta per tutte. In realtà tale era la mira che egli aveva e che sa­tana suggeriva a lui e a chi era con lui; per adesso, però, lasciamolo su questa strada.

255. Niente di ciò era nascosto alla Vergine, in quanto, oltre alle visioni con cui penetrava ogni più impercettibile pensiero, era informata di tutto dai Dodici. Da tempo sa­peva, inoltre, che Saulo sarebbe diventato apostolo, predi­catore delle genti e personaggio assai insigne ed esempla­re nella comunità dei credenti, e questo le era stato svela­to dal Signore come si è raccontato nella seconda parte della Storia. Provò un acuto dolore constatando che cre­sceva la persecuzione, che si faceva attendere il frutto che costui avrebbe apportato con tanta lode del supremo Re e che intanto i fedeli, ignorando l'imperscrutabile segreto, si rattristavano e si avvilivano molto perché erano al corren­te dello sdegno con cui erano ricercati. Stimò, allora, con la sua saggezza il peso di quella missione, e si rivestì di decisione e confidenza per domandare il rimedio della si­tuazione e la trasformazione dell'intimo di quell'avversario; prostrata al cospetto di Gesù levò questa supplica:

256. «Eccelso Figlio dell'eterno Padre, Dio vero da Dio vero, generato dalla sua stessa sostanza e nato dal mio grembo per vostra ineffabile benignità, mio tesoro, come vivrò io, vostra serva e custode della vostra Chiesa, se la violenza contro di essa prevale e non è sconfitta dal vostro straordinario potere? Come soffrirò vedendo spregiato il prezzo della vostra passione? Se voi mi affidate i vostri pic­coli, e io li curo e li proteggo con affetto materno, come potrò avere conforto scorgendoli oppressi perché confes­sano il vostro nome e vi amano sinceramente? A voi ap­partengono la grandezza e la potenza e non è opportuno che il drago, ostile calunniatore dei vostri fratelli, si vanti contro di voi. Confondete l'antica superbia di questo ser­pente, che torna a sollevarsi e a scagliarsi rabbiosamente sulle pecore del vostro gregge. Considerate in che inganno tenga irretito colui che voi avete designato come vostro in­viato. È ormai ora di dispiegare il vigore del vostro brac­cio e di redimere quell'anima, che deve magnificare voi e beneficare l'intero universo».

257. Maria perseverò a lungo in questa orazione, pron­ta a penare e a morire, se necessario, per la salvezza dei battezzati e per il rinnovamento interiore del futuro mis­sionario. Siccome il Redentore aveva determinato di ope­rare ciò attraverso la sua intercessione, discese dall'empi­reo e le apparve nel cenacolo, dove ella stava raccolta. Le si rivolse con la consueta tenerezza: «Mia diletta, in cui ho trovato la compiacenza del mio volere, che cosa chiedete? Che cosa bramate?». L'umile Principessa si abbassò ancora al suolo, come era solita fare davanti a lui, lo adorò e af­fermò: «Sovrano immenso, da sempre leggete le menti e i cuori delle creature, e le mie ansie sono palesi ai vostri oc­chi. La mia è l'invocazione di chi conosce la vostra illimi­tata bontà verso di noi e di chi è madre dei cristiani, av­vocata dei peccatori e vostra ancella. Dal momento che ho ricevuto tutto gratuitamente, non posso temere che le mie aspirazioni siano disprezzate. Volgete lo sguardo sull'affli­zione di coloro che avete generato col vostro sangue pre­zioso e soccorreteli prontamente come padre premuroso».

258. Egli desiderava ascoltare la sua voce e perciò in questa circostanza si lasciò implorare di più, come per mer­canteggiare quello che anelava di concederle; ebbe con lei alcuni fervidi colloqui e le parlò: «Carissima, in che modo sarà soddisfatta la mia equità, affinché io sia clemente con quell'uomo tanto scettico e malizioso, che è degno di ri­provazione e castigo poiché collabora con i miei nemici per eliminare i discepoli e cancellare il mio ricordo dal mondo?». Di fronte a una logica di giustizia così convin­cente, non mancò la soluzione alla Regina della prudenza e della misericordia: «Mio incommensurabile Unigenito, per l'elezione di Paolo non furono di impedimento le sue colpe, né queste acque spensero il fuoco del vostro amo­re$, come voi mi avete rivelato. Furono molto più efficaci i vostri meriti, grazie ai quali avete già predisposto la co­struzione della comunità ecclesiale; quindi, io non recla­mo niente che non sia già stato decretato. Mi duole che egli avanzi verso la rovina sua e degli altri, e che ritardi la vostra gloria, la gioia degli angeli' e dei santi, la conso­lazione dei retti, la fiducia dei rei e la confusione dei ten­tatori. Orsù, dunque, non ignorate i miei appelli ed ese­guite quanto avete stabilito, così che io vi veda esaltato, perché è giunto il tempo e l'occasione è propizia. Non tol­lero più che un simile bene resti lontano».

259. In questa elevazione la fiamma della carità av­vampò talmente nel suo petto che le avrebbe consumato la vita, se il Figlio stesso non gliel'avesse conservata pur permettendo che percepisse allora con i suoi sensi qualche dolore per essere in tale maniera obbligato da un ardore tanto acceso; ma egli, non potendo più resistere a questa forza che lo feriva intimamente, le diede sollievo assicu­rando: «Mia prescelta, si compia senza indugio la vostra volontà. Io farò con Saulo quanto domandate, ed egli di­venterà immediatamente difensore di ciò che ora combat­te e predicatore del Vangelo. Vado subito a renderlo par­tecipe della mia amicizia».

260. Quando fu sparito, ella continuò a pregare e ad os­servare chiaramente quello che stava succedendo. Poco do­po, sulla via di Damasco, sua Maestà si manifestò in una nuvola di splendore al giovane, che a cavallo si dirigeva velocemente là mentre la sua irritazione andava sempre crescendo. Questi fu avvolto dentro e fuori da un fulgore che lo avvinse senza che potesse opporsi. E cadendo a ter­ra udì una voce che gli diceva: «Saulo, Saulo, perché mi per­seguiti?». Rispose: «Chi sei, o Signore?». E la voce: «Io so­no Gesù, che tu perseguiti!». E ancora: «Duro è per te ri­calcitrare contro il pungolo». Ribatté di nuovo con più tre­more: «Signore, che cosa vuoi che io faccia?». I suoi ac­compagnatori sentirono tutto, ma non scorsero che la nu­be luminosa, rimanendo lungamente attoniti per un avve­nimento così inaspettato e repentino, e quasi tramortiti per lo spavento.

261. Questa singolare meraviglia fu mirabile più per il mutamento nascosto che per quello apparente; egli, infatti, non solo si trovò prostrato, cieco e inerte, tanto che se non avesse avuto il conforto superno sarebbe venuto meno, ma interiormente fu trasformato più di quando, dal nulla, ave­va cominciato ad esistere. Era in una condizione maggior­mente distante da quella precedente di quanto non lo sia­no la luce dalle tenebre e il cielo dalla terra, perché passò dall'immagine e somiglianza di un diavolo a quella di un serafino. La sapienza della Trinità dispose che in tale mi­racolo, in virtù della crocifissione, fosse schiacciata la ma­lizia del dragone, contrapponendo gli effetti della reden­zione alla caduta e alle sue conseguenze. Così accadde e, come Lucifero a causa della sua superbia da angelo si era tramutato in demonio, la santità di Cristo cambiò Saulo da demonio in angelo nella grazia: nella natura angelica la su­prema bellezza discese alla somma bruttezza e in quella umana la più grande bruttezza si sollevò alla più sublime bellezza; satana, nemico di Dio, discese dal più alto dei cie­li alle profondità della terra, mentre costui, amico dello stes­so Dio, ascese dalla terra al più alto dei cieli.

262. Siccome il trionfo non sarebbe stato sufficiente­mente glorioso se non fosse stato concesso a quest'ultimo più di ciò di cui era stato privato il principe del male, l'On­nipotente aggiunse tale eccellenza alla vittoria conseguita. Il serpente, anche se era precipitato da uno stato eminen­te, non aveva perso il godimento perpetuo poiché questo non gli era stato elargito ed egli non l'aveva guadagnato; a Paolo, invece, nel medesimo istante in cui fu reso giu­sto, venne comunicata anche la visione della Divinità, pur se transitoria. O efficacia insuperabile del potere infinito! O valore incommensurabile delle opere e della passione dell'Unigenito! Certamente era logico che, se la colpa in un attimo aveva fatto divenire demonio l'angelo, la grazia fos­se più sovrabbondante, innalzando tanto un mortale. Que­sto prodigio fu più eccelso che quello di aver dato origine all'universo e a quanti vi abitano, di aver dato la vista ai ciechi, la salute agli infermi e la risurrezione ai defunti. Noi, corrotti, ci dobbiamo rallegrare per la speranza che una simile remissione ci lascia; infatti, abbiamo come sal­vatore, padre e fratello quello stesso che lo liberò e che per noi non è meno forte di quanto non lo sia stato per lui.

263. Mentre egli stava abbassato al suolo, contrito per i suoi misfatti e rinnovato completamente dai numerosi doni infusi, fu opportunamente illuminato in tutte le sue facoltà. Venne sollevato così all'empireo, che definì terzo cielo, con­fessando di non sapere se tale rapimento fosse stato anche nel corpo o solo nello spirito. Qui contemplò l'Altissimo in­tuitivamente, ma di passaggio: apprese i suoi perfetti attributi, i misteri dell'incarnazione, del nostro riscatto, della Chiesa e della legge evangelica; capì, inoltre, il beneficio in­comparabile che aveva ricevuto, nonché le suppliche che per lui avevano fatto Stefano e Maria, la quale con i propri me­riti, uniti a quelli del Figlio, aveva accelerato e preparato nel consenso della Provvidenza la sua adesione alla fede. Da al­lora fu pieno di gratitudine verso di lei, che considerò sem­pre sua riparatrice. Intese ancora il mandato di apostolo al quale era chiamato e quanto in esso avrebbe dovuto fatica­re e tribolare sino al martirio. Insieme a questi gli furono rivelati molti altri arcani che, come egli stesso afferma, non gli era permesso di riferire. Volle adempiere, sacrificando tutto, ciò che era volontà del Signore, che accettò l'offerta delle sue labbra e in presenza della sua corte lo nominò pre­dicatore, dottore delle genti e vaso di elezione destinato a propagare ovunque il lieto annuncio.

264. Quello fu un momento di enorme felicità e di gau­dio accidentale per i beati, che composero nuovi cantici di lode per celebrare sua Maestà per un evento così straordi­nario; infatti, se la conversione di qualunque peccatore pro­voca ad essi tanta gioia, quale sarà stato il loro giubilo per questa che manifestava la magnificenza e la bontà del Crea­tore e che giovava a tutti? Al termine dell'estasi Saulo fu tra­sformato in san Paolo e, alzandosi, si accorse di non poter vedere. Fu guidato a Damasco, a casa di un suo conoscen­te, e tra l'ammirazione generale vi rimase per tre giorni sen­za prendere né cibo né bevanda ed in intensa orazione. Al­l'arrivo si inginocchiò e, pentito amaramente, anche se era già stato perdonato, con sofferenza e avversione per il suo passato proruppe in queste parole: «Ahimè, in quali tenebre ho vissuto e quanto velocemente sarei giunto alla perdizione! Oh, amore sconfinato! Oh, compassione senza misura! Oh, soavità dolcissima della tenerezza superna! Chi mai, im­menso sovrano, vi spinse a dar prova di una tale benevo­lenza verso questo vostro nemico e bestemmiatore? Ma chi lo avrebbe potuto se non voi stesso e l'intercessione di co­lei che è vostra madre e sposa? Quando io nell'oscurità vi perseguitavo, voi, benigno, mi siete venuto incontro; quan­do io andavo a spargere il sangue innocente, che avrebbe gridato per sempre contro di me, voi, clemente, mi avete la­vato col vostro e mi avete reso partecipe della vostra divi­nità. Come canterò in eterno le vostre misericordie? Come piangerò una condotta tanto ripugnante ai vostri occhi? Tut­to ciò che esiste esalti la vostra grandezza. Io diffonderò la buona novella e la difenderò in mezzo ai pagani». Ripeteva queste e altre espressioni con ineffabile dolore e con altri atti di ardentissima carità, umiltà e riconoscenza.

265. Trascorso quel tempo, Cristo comparve ad Anania, un credente della città, gli si rivolse confidenzialmente e gli indicò la strada per la dimora di un certo Giuda, dove avreb­be trovato in profondo raccoglimento Saulo di Tarso, che simultaneamente ebbe un'altra visione, nella quale scorse che tale discepolo gli si avvicinava e gli imponeva le mani per togliergli la cecità. Questi, però, non avendo avuto an­cora notizia di lui, rispose: «Riguardo a quest'uomo ho udi­to il male che ha già fatto ai vostri seguaci e, non ancora soddisfatto, è venuto qui con l'autorizzazione di arrestare tutti coloro che vi pregano. Ora comandate a me, sempli­ce pecorella, di cercare il lupo che mi vuole divorare?». Il Redentore replicò: «Va, perché egli è per me uno strumento eletto per portare il mio nome dinanzi ai popoli, ai re e ai fi­gli d'Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome»; gli palesò così tutto quello che era capitato.

266. Fidandosi di questo, egli si recò subito da lui e gli disse: «Saulo, fratello mio, mi ha mandato a te il Signore Gesù, che ti è apparso sulla via per la quale venivi, perché tu riacquisti la vista e sia colmo di Spirito Santo». Il gio­vane dopo aver ricevuto la comunione, che lo rinvigorì e lo rassicurò, rese grazie per tutti questi favori e si nutrì dopo molte ore di digiuno. Si fermò per un po' insieme ai fedeli di quel posto, domandando loro pietà e imploran­doli di accoglierlo come servo e fratello, benché fosse il più piccolo e il più indegno. Avuto il loro assenso, uscì im­mediatamente nelle sinagoghe a proclamare il Nazareno come salvatore del mondo, e lo faceva con tanto fervore e zelo che chi lo ascoltava si stupiva ed esclamava: «Ma co­stui non è quel tale che a Gerusalemme infieriva contro quel­li che invocano questo nome ed era venuto qua precisamente per condurli in catene dai sommi sacerdoti?».

267. Predicava con sempre più ardire e con rinnovate energie, confondendo i giudei a tal punto che essi fecero un complotto per ucciderlo. Questa miracolosa conver­sione avvenne il venticinque di gennaio, data in cui viene solennizzata, al compiersi del primo mese del trentaseiesi­mo anno dalla nascita del Messia, un anno e un mese do­po la lapidazione di Stefano, che infatti ebbe luogo il pri­mo giorno dopo la fine del trentaquattresimo anno da es­sa; in quel periodo san Giacomo era già impegnato nella sua missione.

268. Ritorniamo a interessarci della nostra Principessa, che tramite le consuete illuminazioni era informata di tut­to ciò che concerneva il nuovo apostolo: il suo infausto passato, il furore contro la Chiesa , la caduta da cavallo, il mutamento, il singolare beneficio di essere sollevato all'empireo e di contemplare l'Altissimo, e tutto il resto che stava avvenendo a Damasco. Era opportuno che le fosse rivelato questo sublime mistero, sia perché era Madre di Dio e della comunità ecclesiale, sia perché ella sola era ca­pace di glorificare convenientemente il supremo Re, più dello stesso Paolo e dell'intero corpo mistico; inoltre, non era ragionevole che un simile prodigio rimanesse senza la dovuta gratitudine. Ella fu la prima a celebrarlo con quel­la corrispondenza a cui poteva estendersi tutta l'umanità e invitò innumerevoli angeli, che scesero dal cielo per com­porre con lei un inno di lode per magnificare la potenza, la sapienza e la generosità del Padre, e un altro per esal­tare i meriti del suo Unigenito, per i quali era stata rea­lizzata tale meraviglia. Questi apprezzò la sua riconoscen­za e fedeltà e si compiacque di quanto aveva operato a vantaggio dei devoti.

269. Non si possono omettere le supposizioni dell'anti­co oppressore in relazione al posto che avrebbe occupato nell'intimo della Vergine e al giudizio che ella si sarebbe fatta di lui, prima così ostile al nostro Maestro; queste ri­flessioni nacquero non dall'ignoranza, ma dall'umiltà e dal rispetto che aveva per lei. Era all'oscuro che a Maria fos­se già noto l'accaduto e, anche se gli era stata manifesta­ta la sua clemenza di mediatrice, si abbatteva e sgomen­tava a causa della precedente immoralità considerandosi indegno della sua grazia. Gli sembrava che per cancellare colpe tanto gravi fosse indispensabile una misericordia in­finita, mentre ella era una semplice creatura; tuttavia, lo incoraggiava il fatto che avesse perdonato i crocifissori di Cristo. Gli altri gli raccontavano della sua dolcezza verso i malfattori e i bisognosi, e in lui si accendeva sempre di più il desiderio di vederla, di prostrarsi davanti a lei e di baciare il terreno che calpestava. Subito, però, era turba­to dalla vergogna di presentarsi a colei che aveva realmente generato il Redentore, che doveva essere estremamente offesa e che viveva in carne mortale. Si chiedeva se fosse buona cosa supplicarla di punirlo, perché ciò avrebbe po­tuto costituire una specie di riparazione, e nel medesimo tempo credeva che nella sua magnanimità non ci sarebbe stato spazio per la vendetta, in quanto ella, invece di far­si giustizia, aveva ottenuto per lui una ricca indulgenza.

270. Sua Maestà permise che tra siffatti ragionamenti il suo eletto sopportasse alcune amare ma soavi pene, e in­fine questi, parlando tra sé, proferì: «Fatti forza, uomo vi­le e traviato, poiché di sicuro ti accoglierà e scuserà quel­la stessa che intercedette per te, per essere vera madre di chi si offrì anche per il tuo riscatto. Si comporterà come lui, giacché entrambi sono benevoli e non disprezzano un cuore affranto e umiliato». Tali timori e pensieri non era­no nascosti alla nostra sovrana, che penetrando tutto con la sua scienza capì che egli per molto ancora non avreb­be avuto modo di andare da lei a Gerusalemme e quindi, mossa da caritatevole affetto, decise di dargli dal suo riti­ro la consolazione di cui aveva necessità. Per questo fece venire uno dei suoi custodi e affermò: «Spirito superno e ministro del mio Signore, ho compassione del dolore che Paolo sta provando. Vi prego di raggiungerlo in fretta e di confortarlo nelle sue paure; inoltre, vi rallegrerete con lui per la sua fortunata sorte e lo avvertirete che deve essere perennemente grato a chi lo ha attirato alla sua amicizia e lo ha prescelto, usando con lui solo tanta liberalità. A mio nome gli direte che in tutte le sue fatiche lo soccor­rerò premurosamente e sarò sua serva come lo sono di tut­ti gli apostoli e di quanti predicano la dottrina evangelica. Impartitegli la benedizione specificando che la invio da parte di colui che ha voluto prendere dimora nel mio grem­bo e alimentarsi al mio seno».

271. Il messaggero adempì puntualmente il comando, arrivando velocemente da lui, che continuava a stare in orazione, e apparendo in forma umana circondato di mi­rabile luce e bellezza. Era il giorno successivo al battesi­mo del giovane, quattro dopo la sua conversione. Questi ascoltò con incomparabile mansuetudine, riverenza e gioia e proclamò: «Angelo leggiadro, io, infimo tra tutti, vi imploro che, come vi sono palesi i miei torti verso l'Al­tissimo e la sua sconfinata benignità, così gli rendiate lo­de, poiché mi ha concesso la dignità di figlio anche se non la meritavo. Io mi allontanavo da lui ed egli mi ha seguito; io fuggivo ed egli mi è venuto incontro; io mi ab­bandonavo ciecamente alla morte ed egli mi ha donato la vita; io lo perseguitavo ed egli mi ha innalzato alla fa­miliarità con lui, contraccambiando le maggiori ingiurie con i più grandi benefici. Nessuno fu tanto odioso e in­fame come me, eppure nessuno fu tanto abbondante­mente favorito: mi tirò fuori dalla bocca del leone affin­ché fossi una pecorella del suo gregge. Voi siete testimo­ne di quello che dichiaro; aiutatemi, dunque, ad essere eternamente riconoscente. Vi scongiuro poi di riferire al­ la Regina che questo suo ignobile schiavo è ai suoi pie­di e venera il suolo da lei calcato, e che con animo con­trito le domanda fervidamente di rimettere i debiti a chi ha osato oltraggiare il suo Unigenito, scordandosi degli affronti e agendo con un simile bestemmiatore come don­na che, sempre vergine, concepì, partorì e allevò quello stesso che la trasse all'esistenza e tra tutti destinò pro­prio lei a ciò. È legittimo che mi sia dato il castigo per tanti errori e sono pronto a riceverlo; ma possa io speri­mentare l'indulgenza del suo sguardo, ella non mi re­spinga dalla sua protezione e mi ammetta nella Chiesa che ama immensamente, perché intendo dedicarmi tutto alla difesa di questa, obbedendo costantemente a colei che confesso mia liberatrice».

272. Maria udì con speciale giubilo tali parole dal mes­so del cielo, benché nella sua sapienza ne fosse già al cor­rente, ed esaltò l'Onnipotente per quanto aveva realizzato nel nuovo discepolo e per il vantaggio che ne sarebbe sca­turito per tutti i cristiani. Nel prossimo capitolo, nei limi­ti delle mie possibilità, comunicherò il turbamento e l'op­pressione che questo miracolo causò nei demoni e altri se­greti riguardanti la loro malizia.

 

Insegnamento della Regina del cielo

273. Carissima, nessuno deve ignorare che Dio avreb­be potuto trasformare il suo avversario senza tutte le me­raviglie che invece interpose, ma le fece per dimostrare agli uomini quanto la sua bontà sia incline a perdonarli e a sollevarli alla sua grazia, e per insegnare loro come debbano cooperare e rispondere alle sue chiamate sull'e­sempio di lui. Egli ridesta e interpella molti con la forza delle sue ispirazioni e del suo appoggio. Tanti sono doci­li, vengono giustificati e si accostano ai sacramenti; però, non tutti perseverano su questa via e sono ancora meno quelli che vanno oltre e avanzano verso la perfezione, co­sì che spesso, incominciando con lo spirito, declinano e finiscono con la carne. La ragione per cui non restano saldi e ripiombano subito nelle colpe è che al momento della loro adesione alla fede non affermano come Paolo: «Signore, che cosa ambite fare di me e che cosa devo fa­re io per voi?». Alcuni, certo, lo asseriscono con le lab­bra, ma non con tutto il loro essere, dove riservano sem­pre un po' di amore di se stessi, dell'onore, della roba, del piacere e dell'occasione del peccato, nel quale ritor­nano presto a inciampare e cadere.

274. LApostolo fu un vivo modello dei convertiti non solo perché passò da un estremo di perversione a un altro di straordinaria santità, ma anche perché collaborò intenzionalmente a tale vocazione, distaccandosi completamen­te dal suo empio stato e dal suo stesso volere e rimetten­dosi interamente a quello divino. Questa abnegazione e questo arrendersi al disegno della Provvidenza sono con­tenuti nell'espressione sopra riportata, che proferì con com­punzione e umiltà. In ciò consistette, per quanto dipende­va da lui, tutto il suo rimedio. Decise di non avere facoltà né sensi per l'avvenire, ove si trattasse di servire i rischi della vita materiale nella quale aveva vagato. Si rimise al beneplacito superno, in qualunque maniera l'avesse potu­to conoscere, per conformarsi ad esso senza ritardo né re­plica; in consonanza con questo adempì immediatamente il primo ordine, entrando in città e facendo tutto quello che Ananìa gli comandò. Siccome sua Maestà, che scruta la mente e saggia i cuori`, vide l'autenticità con cui egli corrispondeva e si abbandonava del tutto alle sue deter­minazioni, lo accettò con tanto compiacimento e moltiplicò in lui i suoi favori, che egli non sarebbe stato in grado di meritare e neanche di accogliere se non si fosse disposto in tal modo.

275. Tenendo conto di queste verità, esercitati con ogni pienezza in quello che parecchie volte ti ho intimato e pro­posto, cioè rinnega te stessa, allontanati da tutte le creatu­re e dimenticati di ogni realtà visibile, apparente e fallace. Ripeti spesso, più interiormente che con la voce: «Signore, che cosa ambite fare di me?»; infatti, se hai sete di effet­tuare oppure ammettere qualche atto o moto per la tua vo­lontà, non sarà credibile che aneli soltanto e in assoluto al­la sua. Un utensile non compie altre operazioni se non quel­le definite dai gesti dell'artefice, perché altrimenti potrebbe resistere a chi lo domina. Lo stesso avviene tra l'Altissimo e l'anima: se questa ha dei desideri e non aspetta di essere mossa, si oppone a quello di lui che, serbandole intatto il privilegio del libero arbitrio, la lascia errare poiché lo vuole e non attende di essere diretta dal suo Autore.

276. Giacché non conviene che egli conduca miracolo­samente tutte le azioni dei mortali, che in caso contrario potrebbero addurre di essersi ingannati, ha posto la legge nel loro intimo e poi nella Chiesa, così che regolandosi su di essa discernano ciò che gli è gradito e lo attuino. Ha stabilito poi tra i cattolici i superiori e i ministri, affinché dando ascolto a loro come a lui stesso, che li assiste, tut­ti gli obbediscano in essi e abbiano questa sicurezza. Tu ne possiedi in grande abbondanza e puoi benissimo non acconsentire ad alcun movimento, discorso, progetto o pensiero, né fare quello che agogni in qualunque cosa sen­za l'autorizzazione di chi ti governa, perché a loro ti in­via Dio, come Paolo ad Ananìa. Il tuo vincolo, però, è an­cora più stretto dato che egli ti ha guardato con speciale affetto e benevolenza e chiede che tu sia uno strumento nelle sue mani, sostenendoti e indirizzandoti da se stesso, per mezzo di me e dei custodi con fedeltà, attenzione e assiduità, come ti è noto. Medita, dunque, quanto sia giu­sto che tu muoia totalmente al tuo volere perché risusci­ti in te il suo, ed egli solo animi ciò che sei e ciò che fai. Arresta ogni tuo ragionamento e considera che, se anche nel tuo intelletto fossero sommati la sapienza dei più dot­ti, il consiglio dei più prudenti e tutta l'intelligenza natu­rale degli angeli, con tutto questo non riusciresti ad ese­guire i decreti celesti, né a intenderli confusamente, come invece accadrebbe se ti rassegnassi e ti consegnassi inte­gralmente a lui. Egli solo sa che cosa ti sia utile e con amore eterno lo brama, ha tracciato i tuoi sentieri e ti ac­compagna su di essi: permetti che la sua luce ti guidi senza perdere tempo a riflettere su quello che tu debba fare, poiché in questo sta il pericolo di sbagliare e nella mia dottrina tutta la tua tranquillità e la tua felice riuscita; scrivila dentro di te e mettila in pratica con tutte le for­ze, affinché tu possa guadagnarti la mia intercessione e per essa il Signore ti tragga a sé.


Valdragone di San Marino, 30 giugno 1982. Esercizi Spirituali dei Responsabili del M.S.M. Il segreto del mio Cuore Immacolato.

Don Stefano Gobbi

«Figli prediletti, ancora vi ho portato su questo monte, per una settimana di Cenacolo continuo con Me, vostra Celeste Condottiera. Voglio svelarvi il segreto del mio Cuore Immacolato, per farvi partecipare al mistero del mio amore materno. Mai, come in questi tempi, il mio Cuore trepida di amore purissimo verso coloro che Gesù mi ha consegnato, mentre ero sotto la Croce su cui Egli stava per morire.

La Chiesa oggi ha bisogno di sentirsi amata da me. L'umanità oggi ha bisogno di sentirsi amata da me. I miei poveri figli, peccatori e smarriti, oggi hanno bisogno di sentirsi amati da me. Voglio amare attraverso di voi. Io voglio aiutare l'umanità, la Chiesa e tutti i miei figli attraverso di voi, chiamati a penetrare nel mistero del mio Cuore Immacolato.

Per questo opero una unione sempre più profonda tra il mio Cuore di Mamma e i cuori di voi, miei figli sacerdoti. Il raggio luminoso, che parte dal mio Cuore, si diffonderà in ogni parte del mondo. Esso sarà come una potente ancora, cui tutti potranno aggrapparsi, con fiducia, per essere salvati nel momento della prova decisiva. Voglio soffrire attraverso di voi. Dilaterò il vostro cuore, perché possiate comprendere anche il mistero del mio dolore materno. Vedete se oggi vi è un dolore più grande del mio: mio figlio Gesù è oltraggiato, vilipeso; è ancora abbandonato e tradito dai suoi... I sacrilegi, che sempre più si diffondono, formano una nuova corona di spine, che circonda i Tabernacoli sparsi in ogni parte della terra. La Chiesa, suo mistico Corpo, viene ancora lacerata dalla divisione e minacciata dall'errore.

I figli fedeli sono chiamati a grandi sofferenze, ed a sopportare l'insulto e l'oltraggio da parte di coloro che non mi ascoltano. L'umanità, ribelle al Signore, corre inesorabilmente sulla strada del rifiuto di Dio: ciò la porta a cadere nell'abisso di morte e di desolazione. Quanti sono quelli che ogni giorno si perdono, travolti da questa generale e pericolosa confusione! Partecipate al mio dolore di Madre. Non giudicate nessuno, non condannate nessuno. Pregate, amate, portate la croce di questa sofferenza con Me, per la salvezza di tutti. Sono la vostra Celeste Condottiera. Sono la Donna vestita di sole. Vi ho ancora raccolti in questo Cenacolo straordinario di grazie, per ottenervi dal Padre, per mezzo di Gesù, la pienezza dello Spirito Santo.

Lui completerà in voi l'Opera da me incominciata. Lui formerà i vostri cuori alla perfezione dell'amore. Lui vi farà comprendere ogni cosa. Lui vi fortificherà e vi darà coraggio per la suprema testimonianza cui da Mamma vi ho formati. I tempi della grande prova sono giunti. Scendete da questo monte e diffondete, in ogni parte della terra, la Luce dell'amore misericordioso di Gesù, che si riversa oggi su tutta l'umanità attraverso le vie dell'amore e del dolore del mio Cuore Immacolato, in cui tutti, per sempre, vi ho racchiusi.Vi benedico nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».