Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Al di là  delle belle parole che possiamo dire, ciò che ci rende i discepoli del Signore - con i quali Egli condivide i segreti intimi del Suo cuore - è fare la volontà  di Dio. Se davvero ami il Signore, allora fai tutto per piacere a Lui, fai tutto per la Sua gloria. Se manca questa intenzione le opere buone perdono il loro valore soprannaturale, sono opere vuote che somigliano ai fiori di plastica. L'amore verso il Signore si manifesta nell'esatta regolarità  di ciò che si fa: bisogna fare nel modo migliore quello che esige il tuo dovere. Molte anime pie trascurano il proprio dovere per fare quello che più piace a loro; sono disordinate e così diventano causa di lamenti e di peccati in famiglia. L'amore per Dio è concreto e si alimenta con le continue attenzioni. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 19° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 2

1In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra.2Questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio.3Andavano tutti a farsi registrare, ciascuno nella sua città.4Anche Giuseppe, che era della casa e della famiglia di Davide, dalla città di Nàzaret e dalla Galilea salì in Giudea alla città di Davide, chiamata Betlemme,5per farsi registrare insieme con Maria sua sposa, che era incinta.6Ora, mentre si trovavano in quel luogo, si compirono per lei i giorni del parto.7Diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo depose in una mangiatoia, perché non c'era posto per loro nell'albergo.
8C'erano in quella regione alcuni pastori che vegliavano di notte facendo la guardia al loro gregge.9Un angelo del Signore si presentò davanti a loro e la gloria del Signore li avvolse di luce. Essi furono presi da grande spavento,10ma l'angelo disse loro: "Non temete, ecco vi annunzio una grande gioia, che sarà di tutto il popolo:11oggi vi è nato nella città di Davide un salvatore, che è il Cristo Signore.12Questo per voi il segno: troverete un bambino avvolto in fasce, che giace in una mangiatoia".13E subito apparve con l'angelo una moltitudine dell'esercito celeste che lodava Dio e diceva:

14"Gloria a Dio nel più alto dei cieli
e pace in terra agli uomini che egli ama".

15Appena gli angeli si furono allontanati per tornare al cielo, i pastori dicevano fra loro: "Andiamo fino a Betlemme, vediamo questo avvenimento che il Signore ci ha fatto conoscere".16Andarono dunque senz'indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, che giaceva nella mangiatoia.17E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.18Tutti quelli che udirono, si stupirono delle cose che i pastori dicevano.19Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore.
20I pastori poi se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro.

21Quando furon passati gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima di essere concepito nel grembo della madre.

22Quando venne il tempo della loro purificazione secondo la Legge di Mosè, portarono il bambino a Gerusalemme per offrirlo al Signore,23come è scritto nella Legge del Signore: 'ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore';24e per offrire in sacrificio 'una coppia di tortore o di giovani colombi', come prescrive la Legge del Signore.
25Ora a Gerusalemme c'era un uomo di nome Simeone, uomo giusto e timorato di Dio, che aspettava il conforto d'Israele;26lo Spirito Santo che era sopra di lui, gli aveva preannunziato che non avrebbe visto la morte senza prima aver veduto il Messia del Signore.27Mosso dunque dallo Spirito, si recò al tempio; e mentre i genitori vi portavano il bambino Gesù per adempiere la Legge,28lo prese tra le braccia e benedisse Dio:

29"Ora lascia, o Signore, che il tuo servo
vada in pace secondo la tua parola;
30perché i miei occhi han visto la tua salvezza,
31preparata da te davanti a tutti i popoli,
32luce per illuminare le genti
e gloria del tuo popolo Israele".

33Il padre e la madre di Gesù si stupivano delle cose che si dicevano di lui.34Simeone li benedisse e parlò a Maria, sua madre: "Egli è qui per la rovina e la risurrezione di molti in Israele, segno di contraddizione35perché siano svelati i pensieri di molti cuori. E anche a te una spada trafiggerà l'anima".

36C'era anche una profetessa, Anna, figlia di Fanuèle, della tribù di Aser. Era molto avanzata in età, aveva vissuto col marito sette anni dal tempo in cui era ragazza,37era poi rimasta vedova e ora aveva ottantaquattro anni. Non si allontanava mai dal tempio, servendo Dio notte e giorno con digiuni e preghiere.38Sopraggiunta in quel momento, si mise anche lei a lodare Dio e parlava del bambino a quanti aspettavano la redenzione di Gerusalemme.

39Quando ebbero tutto compiuto secondo la legge del Signore, fecero ritorno in Galilea, alla loro città di Nàzaret.40Il bambino cresceva e si fortificava, pieno di sapienza, e la grazia di Dio era sopra di lui.

41I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua.42Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l'usanza;43ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero.44Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti;45non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme.46Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava.47E tutti quelli che l'udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte.48Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: "Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo".49Ed egli rispose: "Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?".50Ma essi non compresero le sue parole.

51Partì dunque con loro e tornò a Nàzaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore.52E Gesù 'cresceva' in sapienza, età 'e grazia davanti a Dio e agli uomini'.


Numeri 32

1I figli di Ruben e i figli di Gad avevano bestiame in numero molto grande; quando videro che il paese di Iazer e il paese di Gàlaad erano luoghi da bestiame,2i figli di Gad e i figli di Ruben vennero a parlare a Mosè, al sacerdote Eleazaro e ai principi della comunità e dissero:3"Atarot, Dibon, Iazer, Nimra, Chesbon, Eleale, Sebam, Nebo e Beon,4terre che il Signore ha sconfitte alla presenza della comunità d'Israele, sono terre da bestiame e i tuoi servi hanno appunto il bestiame".5Aggiunsero: "Se abbiamo trovato grazia ai tuoi occhi, sia concesso ai tuoi servi il possesso di questo paese: non ci far passare il Giordano".
6Ma Mosè rispose ai figli di Gad e ai figli di Ruben: "Andrebbero dunque i vostri fratelli in guerra e voi ve ne stareste qui?7Perché volete scoraggiare gli Israeliti dal passare nel paese che il Signore ha dato loro?8Così fecero i vostri padri, quando li mandai da Kades-Barnea per esplorare il paese.9Salirono fino alla valle di Escol e, dopo aver esplorato il paese, scoraggiarono gli Israeliti dall'entrare nel paese che il Signore aveva loro dato.10Così l'ira del Signore si accese in quel giorno ed egli giurò:11Gli uomini che sono usciti dall'Egitto, dall'età di vent'anni in su, non vedranno mai il paese che ho promesso con giuramento ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe, perché non mi hanno seguito fedelmente,12se non Caleb, figlio di Iefunne, il Kenizzita, e Giosuè figlio di Nun, che hanno seguito il Signore fedelmente.13L'ira del Signore si accese dunque contro Israele; lo fece errare nel deserto per quarant'anni, finché fosse finita tutta la generazione che aveva agito male agli occhi del Signore.14Ed ecco voi sorgerete al posto dei vostri padri, razza di uomini peccatori, per aumentare ancora l'ira del Signore contro Israele.15Perché se voi non volete più seguirlo, il Signore continuerà a lasciarlo nel deserto e voi farete perire tutto questo popolo".
16Ma quelli si avvicinarono a lui e gli dissero: "Costruiremo qui ovili per il nostro bestiame e città per i nostri fanciulli;17ma, quanto a noi, ci terremo pronti in armi, per marciare davanti agli Israeliti, finché li avremo condotti al luogo destinato loro; intanto, i nostri fanciulli dimoreranno nelle fortezze per timore degli abitanti del paese.18Non torneremo alle nostre case finché ogni Israelita non abbia preso possesso della sua eredità;19non possiederemo nulla con loro al di là del Giordano e più oltre, perché la nostra eredità ci è toccata da questa parte del Giordano, a oriente".
20Allora Mosè disse loro: "Se fate questo, se vi armate per andare a combattere davanti al Signore,21se tutti quelli di voi che si armeranno passeranno il Giordano davanti al Signore finché egli abbia scacciato i suoi nemici dalla sua presenza,22se non tornerete fin quando il paese vi sarà sottomesso davanti al Signore, voi sarete innocenti di fronte al Signore e di fronte a Israele e questo paese sarà vostra proprietà alla presenza del Signore.23Ma, se non fate così, voi peccherete contro il Signore; sappiate che il vostro peccato vi raggiungerà.24Costruitevi pure città per i vostri fanciulli e ovili per i vostri greggi, ma fate quello che la vostra bocca ha promesso".
25I figli di Gad e i figli di Ruben dissero a Mosè: "I tuoi servi faranno quello che il mio signore comanda.26I nostri fanciulli, le nostre mogli, i nostri greggi e tutto il nostro bestiame rimarranno qui nelle città di Gàlaad;27ma i tuoi servi, tutti armati per la guerra, andranno a combattere davanti al Signore, come dice il mio signore".
28Allora Mosè diede per loro ordini al sacerdote Eleazaro, a Giosuè figlio di Nun e ai capifamiglia delle tribù degli Israeliti.29Mosè disse loro: "Se i figli di Gad e i figli di Ruben passeranno con voi il Giordano tutti armati per combattere davanti al Signore e se il paese sarà sottomesso davanti a voi, darete loro in proprietà il paese di Gàlaad.30Ma se non passano armati con voi, avranno la loro proprietà in mezzo a voi nel paese di Canaan".31I figli di Gad e i figli di Ruben risposero: "Faremo come il Signore ha ordinato ai tuoi servi.32Passeremo in armi davanti al Signore nel paese di Canaan, ma il possesso della nostra eredità resti per noi di qua dal Giordano".
33Mosè dunque diede ai figli di Gad e ai figli di Ruben e a metà della tribù di Manàsse, figlio di Giuseppe, il regno di Sicon, re degli Amorrei, e il regno di Og, re di Basan: il paese con le sue città comprese entro i confini, le città del paese che si stendeva intorno.34I figli di Gad ricostruirono Dibon, Atarot, Aroer,35Aterot-Sofan, Iazer, Iogbea,36Bet-Nimra e Bet-Aran, fortezze, e fecero ovili per i greggi.37I figli di Ruben ricostruirono Chesbon, Eleale, Kiriataim,38Nebo e Baal-Meon, i cui nomi furono mutati, e Sibma e diedero nomi alle città che avevano ricostruite.39I figli di Machir, figlio di Manàsse, andarono nel paese di Gàlaad, lo presero e ne cacciarono gli Amorrei che vi abitavano.40Mosè allora diede Gàlaad a Machir, figlio di Manàsse, che vi si stabilì.41Anche Iair, figlio di Manàsse, andò e prese i loro villaggi e li chiamò villaggi di Iair.42Nobach andò e prese Kenat con le dipendenze e la chiamò Nobach.


Qoelet 3

1Per ogni cosa c'è il suo momento, il suo tempo per ogni faccenda sotto il cielo.
2C'è un tempo per nascere e un tempo per morire,
un tempo per piantare e un tempo per sradicare le piante.
3Un tempo per uccidere e un tempo per guarire,
un tempo per demolire e un tempo per costruire.
4Un tempo per piangere e un tempo per ridere,
un tempo per gemere e un tempo per ballare.
5Un tempo per gettare sassi e un tempo per raccoglierli,
un tempo per abbracciare e un tempo per astenersi dagli abbracci.
6Un tempo per cercare e un tempo per perdere,
un tempo per serbare e un tempo per buttar via.
7Un tempo per stracciare e un tempo per cucire,
un tempo per tacere e un tempo per parlare.
8Un tempo per amare e un tempo per odiare,
un tempo per la guerra e un tempo per la pace.

9Che vantaggio ha chi si dà da fare con fatica?
10Ho considerato l'occupazione che Dio ha dato agli uomini, perché si occupino in essa.11Egli ha fatto bella ogni cosa a suo tempo, ma egli ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine.12Ho concluso che non c'è nulla di meglio per essi, che godere e agire bene nella loro vita;13ma che un uomo mangi, beva e goda del suo lavoro è un dono di Dio.14Riconosco che qualunque cosa Dio fa è immutabile; non c'è nulla da aggiungere, nulla da togliere. Dio agisce così perché si abbia timore di lui.15Ciò che è, già è stato; ciò che sarà, già è; Dio ricerca ciò che è già passato.
16Ma ho anche notato che sotto il sole al posto del diritto c'è l'iniquità e al posto della giustizia c'è l'empietà.17Ho pensato: Dio giudicherà il giusto e l'empio, perché c'è un tempo per ogni cosa e per ogni azione.18Poi riguardo ai figli dell'uomo mi son detto: Dio vuol provarli e mostrare che essi di per sé sono come bestie.19Infatti la sorte degli uomini e quella delle bestie è la stessa; come muoiono queste muoiono quelli; c'è un solo soffio vitale per tutti. Non esiste superiorità dell'uomo rispetto alle bestie, perché tutto è vanità.20Tutti sono diretti verso la medesima dimora:

tutto è venuto dalla polvere
e tutto ritorna nella polvere.

21Chi sa se il soffio vitale dell'uomo salga in alto e se quello della bestia scenda in basso nella terra?22Mi sono accorto che nulla c'è di meglio per l'uomo che godere delle sue opere, perché questa è la sua sorte. Chi potrà infatti condurlo a vedere ciò che avverrà dopo di lui?


Salmi 45

1'Al maestro del coro. Su "I gigli...". Dei figli di Core.'
'Maskil. Canto d'amore.'

2Effonde il mio cuore liete parole,
io canto al re il mio poema.
La mia lingua è stilo di scriba veloce.

3Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
ti ha benedetto Dio per sempre.
4Cingi, prode, la spada al tuo fianco,
nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte,
5avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
6La tua destra ti mostri prodigi:
le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re;
sotto di te cadono i popoli.

7Il tuo trono, Dio, dura per sempre;
è scettro giusto lo scettro del tuo regno.
8Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.

9Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia,
dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre.

10Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.

11Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
12al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui.
13Da Tiro vengono portando doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.

14La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.
15È presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte;
16guidate in gioia ed esultanza
entrano insieme nel palazzo del re.

17Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.
18Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.


Ezechiele 39

1"E tu, figlio dell'uomo, profetizza contro Gog e annunzia: Così dice il Signore Dio: Eccomi contro di te, Gog, principe capo di Mesech e di Tubal.2Io ti sospingerò e ti condurrò e dagli estremi confini del settentrione ti farò salire e ti condurrò sui monti d'Israele.3Spezzerò l'arco nella tua mano sinistra e farò cadere le frecce dalla tua mano destra.4Tu cadrai sui monti d'Israele con tutte le tue schiere e i popoli che sono con te: ti ho destinato in pasto agli uccelli rapaci d'ogni specie e alle bestie selvatiche.5Tu sarai abbattuto in aperta campagna, perché io l'ho detto. Oracolo del Signore Dio.
6Manderò un fuoco su Magòg e sopra quelli che abitano tranquilli le isole: sapranno che io sono il Signore.7Farò conoscere il mio nome santo in mezzo al mio popolo Israele, e non permetterò che il mio santo nome sia profanato; le genti sapranno che io sono il Signore, santo in Israele.8Ecco, questo avviene e si compie - parola del Signore Dio -: è questo il giorno di cui ho parlato.9Gli abitanti delle città d'Israele usciranno e per accendere il fuoco bruceranno armi, scudi grandi e piccoli e archi e frecce e mazze e giavellotti e con quelle alimenteranno il fuoco per sette anni.10Non andranno a prendere la legna nei campi e neppure a tagliarla nei boschi perché faranno il fuoco con le armi: spoglieranno coloro che li avevano spogliati e deprederanno coloro che li avevano saccheggiati. Parola del Signore Dio.
11In quel giorno assegnerò a Gog come sepolcro un luogo famoso in Israele, la valle di Abarìm, a oriente del mare: essa chiude il passo ai viandanti. Lì sarà sepolto Gog e tutta la sua moltitudine e quel luogo si chiamerà Valle della moltitudine di Gog.12La casa di Israele darà loro sepoltura per sette mesi per purificare il paese.13Lì seppellirà tutto il popolo del paese e sarà per loro glorioso il giorno in cui manifesterò la mia gloria. Parola del Signore Dio.14Saranno scelti uomini che percorreranno di continuo il paese per seppellire con l'aiuto dei viandanti quelli che son rimasti a fior di terra, per renderla pura; cominceranno le ricerche alla fine del settimo mese.15Quando percorrendo il paese vedranno ossa umane, vi porranno un segnale, finché i becchini non le seppelliscano nella valle della moltitudine di Gog:16Hamonà sarà chiamata la città. Così purificheranno il paese.17A te, figlio dell'uomo, dice il Signore Dio: Annunzia agli uccelli d'ogni specie e a tutte le bestie selvatiche: Radunatevi, venite; raccoglietevi da ogni parte sul sacrificio che offro a voi, sacrificio grande, sui monti d'Israele. Mangerete carne e berrete sangue;18mangerete carne d'eroi, berrete sangue di prìncipi del paese: montoni, agnelli, capri e tori grassi di Basàn, tutti.19Mangerete grasso a sazietà e berrete fino all'ebbrezza il sangue del sacrificio che preparo per voi.20Alla mia tavola vi sazierete di cavalli e cavalieri, di eroi e di guerrieri d'ogni razza. Parola del Signore Dio.

21Fra le genti manifesterò la mia gloria e tutte le genti vedranno la giustizia che avrò fatta e la mano che avrò posta su di voi.22La casa d'Israele da quel giorno in poi saprà che io, il Signore, sono il loro Dio.23Le genti sapranno che la casa d'Israele per la sua iniquità era stata condotta in schiavitù, perché si era ribellata a me e io avevo nascosto loro il mio volto e li avevo dati in mano ai loro nemici, perché tutti cadessero di spada.24Secondo le loro nefandezze e i loro peccati io li trattai e nascosi loro la faccia.
25Perciò così dice il Signore Dio: Ora io ristabilirò la sorte di Giacobbe, avrò compassione di tutta la casa d'Israele e sarò geloso del mio santo nome.26Quando essi abiteranno nella loro terra tranquilli, senza che alcuno li spaventi, si vergogneranno di tutte le ribellioni che hanno commesse contro di me.
27Quando io li avrò ricondotti dalle genti e li avrò radunati dalle terre dei loro nemici e avrò mostrato in loro la mia santità, davanti a numerosi popoli,28allora sapranno che io, il Signore, sono il loro Dio, poiché dopo averli condotti in schiavitù fra le genti, li ho radunati nel loro paese e non ne ho lasciato fuori neppure uno.29Allora non nasconderò più loro il mio volto, perché diffonderò il mio spirito sulla casa d'Israele". Parola del Signore Dio.


Atti degli Apostoli 13

1C'erano nella comunità di Antiòchia profeti e dottori: Bàrnaba, Simeone soprannominato Niger, Lucio di Cirène, Manaèn, compagno d'infanzia di Erode tetrarca, e Saulo.2Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: "Riservate per me Bàrnaba e Saulo per l'opera alla quale li ho chiamati".3Allora, dopo aver digiunato e pregato, imposero loro le mani e li accomiatarono.

4Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, discesero a Selèucia e di qui salparono verso Cipro.5Giunti a Salamina cominciarono ad annunziare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei, avendo con loro anche Giovanni come aiutante.6Attraversata tutta l'isola fino a Pafo, vi trovarono un tale, mago e falso profeta giudeo, di nome Bar-Iesus,7al seguito del proconsole Sergio Paolo, persona di senno, che aveva fatto chiamare a sé Bàrnaba e Saulo e desiderava ascoltare la parola di Dio.8Ma Elimas, il mago, - ciò infatti significa il suo nome - faceva loro opposizione cercando di distogliere il proconsole dalla fede.9Allora Saulo, detto anche Paolo, pieno di Spirito Santo, fissò gli occhi su di lui e disse:10"O uomo pieno di ogni frode e di ogni malizia, figlio del diavolo, nemico di ogni giustizia, quando cesserai di sconvolgere le vie diritte del Signore?11Ecco la mano del Signore è sopra di te: sarai cieco e per un certo tempo non vedrai il sole". Di colpo piombò su di lui oscurità e tenebra, e brancolando cercava chi lo guidasse per mano.12Quando vide l'accaduto, il proconsole credette, colpito dalla dottrina del Signore.

13Salpati da Pafo, Paolo e i suoi compagni giunsero a Perge di Panfilia. Giovanni si separò da loro e ritornò a Gerusalemme.14Essi invece proseguendo da Perge, arrivarono ad Antiòchia di Pisidia ed entrati nella sinagoga nel giorno di sabato, si sedettero.15Dopo la lettura della Legge e dei Profeti, i capi della sinagoga mandarono a dire loro: "Fratelli, se avete qualche parola di esortazione per il popolo, parlate!".

16Si alzò Paolo e fatto cenno con la mano disse: "Uomini di Israele e voi timorati di Dio, ascoltate.17Il Dio di questo popolo d'Israele scelse i nostri padri ed esaltò il popolo durante il suo esilio in terra d'Egitto, 'e con braccio potente li condusse via di là'.18Quindi, 'dopo essersi preso cura di loro per circa quarant'anni nel deserto',19'distrusse sette popoli nel paese di Canaan e concesse loro in eredità' quelle terre,20per circa quattrocentocinquanta anni. Dopo questo diede loro dei Giudici, fino al profeta Samuele.21Allora essi chiesero un re e Dio diede loro Saul, figlio di Cis, della tribù di Beniamino, per quaranta anni.22E, dopo averlo rimosso dal regno, suscitò per loro come re Davide, al quale rese questa testimonianza: 'Ho trovato Davide', figlio di Iesse, 'uomo secondo il mio cuore'; egli adempirà tutti i miei voleri.
23Dalla discendenza di lui, secondo la promessa, Dio trasse per Israele un salvatore, Gesù.24Giovanni aveva preparato la sua venuta predicando un battesimo di penitenza a tutto il popolo d'Israele.25Diceva Giovanni sul finire della sua missione: Io non sono ciò che voi pensate che io sia! Ecco, viene dopo di me uno, al quale io non sono degno di sciogliere i sandali.
26Fratelli, figli della stirpe di Abramo, e quanti fra voi siete timorati di Dio, a noi è stata mandata questa parola di salvezza.27Gli abitanti di Gerusalemme infatti e i loro capi non l'hanno riconosciuto e condannandolo hanno adempiuto le parole dei profeti che si leggono ogni sabato;28e, pur non avendo trovato in lui nessun motivo di condanna a morte, chiesero a Pilato che fosse ucciso.29Dopo aver compiuto tutto quanto era stato scritto di lui, lo deposero dalla croce e lo misero nel sepolcro.30Ma Dio lo ha risuscitato dai morti31ed egli è apparso per molti giorni a quelli che erano saliti con lui dalla Galilea a Gerusalemme, e questi ora sono i suoi testimoni davanti al popolo.
32E noi vi annunziamo la buona novella che la promessa fatta ai padri si è compiuta,33poiché Dio l'ha attuata per noi, loro figli, risuscitando Gesù, come anche sta scritto nel salmo secondo:

'Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato.'

34E che Dio lo ha risuscitato dai morti, in modo che non abbia mai più a tornare alla corruzione, è quanto ha dichiarato:

'Darò a voi le cose sante promesse a Davide, quelle
sicure.'

35Per questo anche in un altro luogo dice:

'Non permetterai che il tuo santo subisca la
corruzione.'

36Ora Davide, dopo aver eseguito il volere di Dio nella sua generazione, morì e fu unito ai suoi padri e subì la corruzione.37Ma colui che Dio ha risuscitato, non ha subìto la corruzione.38Vi sia dunque noto, fratelli, che per opera di lui vi viene annunziata la remissione dei peccati39e che per lui chiunque crede riceve giustificazione da tutto ciò da cui non vi fu possibile essere giustificati mediante la legge di Mosè.40Guardate dunque che non avvenga su di voi ciò che è detto nei Profeti:

41'Mirate, beffardi,
stupite e nascondetevi,
poiché un'opera io compio ai vostri giorni,
un'opera che non credereste, se vi fosse
raccontata'!".

42E, mentre uscivano, li pregavano di esporre ancora queste cose nel prossimo sabato.43Sciolta poi l'assemblea, molti Giudei e proseliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, li esortavano a perseverare nella grazia di Dio.

44Il sabato seguente quasi tutta la città si radunò per ascoltare la parola di Dio.45Quando videro quella moltitudine, i Giudei furono pieni di gelosia e contraddicevano le affermazioni di Paolo, bestemmiando.46Allora Paolo e Bàrnaba con franchezza dichiararono: "Era necessario che fosse annunziata a voi per primi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco noi ci rivolgiamo ai pagani.47Così infatti ci ha ordinato il Signore:

'Io ti ho posto come luce per le genti,
perché tu porti la salvezza sino all'estremità della
terra'".

48Nell'udir ciò, i pagani si rallegravano e glorificavano la parola di Dio e abbracciarono la fede tutti quelli che erano destinati alla vita eterna.49La parola di Dio si diffondeva per tutta la regione.50Ma i Giudei sobillarono le donne pie di alto rango e i notabili della città e suscitarono una persecuzione contro Paolo e Bàrnaba e li scacciarono dal loro territorio.51Allora essi, scossa contro di loro la polvere dei piedi, andarono a Icònio,52mentre i discepoli erano pieni di gioia e di Spirito Santo.


Capitolo XIX: La capacità di sopportare le offese e la vera provata pazienza

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1. Che è quello che vai dicendo, o figlio? Cessa il tuo lamento, tenendo presenti le sofferenze mie e quelle degli altri santi. "Non hai resistito ancora fino al sangue" (Eb 12,4). Ciò che tu soffri è poca cosa, se ti metti a confronto con coloro che patirono tanto gravemente: così fortemente tentati, così pesantemente tribolati, provati in vari modi e messi a dura prova. Occorre dunque che tu rammenti le sofferenze più gravi degli altri, per imparare a sopportare le tue, piccole. Che se piccole non ti sembrano, vedi se anche questo non dipenda dalla tua incapacità di sopportazione. Comunque, siano piccoli o grandi questi mali, fa' in modo di sopportare tutto pazientemente. Il tuo agire sarà tanto più saggio, e tanto più grande sarà il tuo merito, quanto meglio ti sarai disposto al patire; anzi lo troverai anche più lieve, se, intimamente e praticamente, sarai pronto e sollecito. E non dire: questo non lo posso sopportare; non devo tollerare cose simili da una tale persona, che mi fa del male assai, e mi rimprovera cose che non avevo neppure pensato; da un altro, non da lui, le tollererei di buon grado, e riterrei giusto doverle sopportare. E' una stoltezza un simile ragionamento. Esso non tiene conto della virtù della pazienza, né di colui a cui spetta di premiarla; ma tiene conto piuttosto delle persone e delle offese ricevute. Vero paziente non è colui che vuole sopportare soltanto quel che gli sarà sembrato giusto, e da chi gli sarà piaciuto. Vero paziente, invece, è colui che non guarda da quale persona egli venga messo alla prova: se dal superiore, oppure da un suo pari, o da un inferiore; se da un uomo buono o santo, oppure da un malvagio, o da persona che non merita nulla. Vero paziente è colui che indifferentemente - da qualunque persona, e per quante volte, gli venga qualche contrarietà - tutto accetta con animo grato dalla mano di Dio; anzi lo ritiene un vantaggio grande, poiché non c'è cosa, per quanto piccola, purché sopportata per amore di Dio, che passi senza ricompensa, presso Dio.  

2. Sii dunque preparato al combattimento, se vuoi ottenere vittoria. Senza lotta non puoi giungere ad essere premiato per la tua sofferenza. Se rifiuti la sofferenza, rifiuti anche il premio; se invece desideri essere premiato, devi combattere da vero uomo e saper sopportare con pazienza. Come al riposo non si giunge se non dopo aver faticato, così alla vittoria non si giunge se non dopo aver combattuto. Oh, Signore, che mi diventi possibile, per tua grazia, quello che mi sembra impossibile per la mia natura: tu sai che ben scarsa è la mia capacità di soffrire, e che al sorgere di una, sia pur piccola, difficoltà, mi trovo d'un colpo atterrato. Che mi diventi cara e desiderabile, in tuo nome, qualsiasi prova e qualsiasi tribolazione: soffrire ed essere tribolato per amor tuo, ecco ciò che è grandemente salutare all'anima mia.


LIBRO PRIMO: L'UOMO E IL LIBERO ARBITRIO

Il libero arbitrio - Sant'Agostino

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Il male e il suo principio.

1. 1. EVODIO - Dimmi, ti prego, se Dio non è principio del male.
AGOSTINO - Te lo dirò se mi precisi di quale male intendi chiedere. Di solito si considera il male sotto due aspetti: uno, quando si dice che un individuo ha agito male; l'altro, quando lo ha sofferto.
E. - Dell'uno e dell'altro vorrei sapere.
A. - Ma se tu hai scienza o fede che Dio è buono, e non è lecito pensare diversamente, Dio non agisce male. Ancora, se ammettiamo che è giusto, ed è sacrilego negarlo, come distribuisce il premio ai buoni, così anche la pena ai malvagi. Certamente tali pene sono un male per coloro che le subiscono. Ora la pena non si subisce ingiustamente. Bisogna crederlo perché crediamo anche che l'universo è governato dalla divina provvidenza. Dunque Dio non è principio della prima categoria di male, ma della seconda ne è principio.
E. - V'è dunque un altro principio di quel male se è evidente che Dio non lo è?
A. - Certamente. Sarebbe assurdo che si faccia da solo. Se poi insisti nel chiedere chi ne è l'autore, è impossibile risponderti. Non è un essere determinato, ma ciascun malvagio è principio della propria azione malvagia. Se ne dubiti, rifletti sul motivo or ora detto, che le azioni malvagie sono punite dalla giustizia di Dio. Non sarebbero punite giustamente se non fossero compiute con atto di volontà.

Il male non si apprende.

1. 2. E. - Non so se si pecca senza averlo appreso. E se è vero, chiedo chi è l'essere, da cui si apprende a peccare.
A. - Pensi che l'apprendimento sia un determinato bene?
E. - E chi oserebbe dire che l'apprendimento è un male?
A. - E se non fosse né bene né male?
E. - A me sembra un bene.
A. - Certamente. Per la sua mediazione si genera o si fa rivivere il sapere e non si apprende se non mediante l'apprendimento. La pensi diversamente?
E. - Io ritengo che con l'apprendimento si apprende soltanto il bene.
A. - Bada bene dunque di non dire che si apprende il male poiché l'apprendimento è denominato dall'apprendere.
E. - Come dunque si commette il male dall'uomo se non è appreso?
A. - Forse perché si estrania totalmente dall'apprendimento, cioè dall'apprendere. Ma sia questa la ragione o un'altra, è certamente evidente l'impossibilità che si apprenda il male perché l'apprendimento è un bene e l'apprendimento è denominato dall'apprendere. Se al contrario il male si apprende, è oggetto dell'apprendimento e così l'apprendimento non sarebbe un bene. Ma, anche per tuo consenso, è un bene. Quindi il male non si apprende e tu cerchi invano un essere da cui si apprende ad agir male. Oppure se il male si apprende, si apprende per evitarlo, non per farlo. Dunque agir male è esclusivamente deviare dall'apprendimento.

Intelligenza e apprendimento del male.

1. 3. E. - Io penso addirittura che esistano due apprendimento: uno per cui si apprende ad agir bene e un altro per cui si apprende ad agir male. Ma mentre mi chiedevi se l'apprendimento è un bene, l'amore del bene in sé ha mosso il mio interesse. Ho dunque tenuto presente l'apprendimento relativo all'agir bene e per questo ho risposto che esso è un bene. Ed ora rifletto che ve n'è un altro, ritengo fermamente che è un male e ne chiedo il principio.
A. - Ma, secondo te, almeno l'intelligenza è un bene in senso assoluto?
E. - La ritengo tanto buona da non sembrarmi che nell'uomo vi possa essere qualche cosa di più nobile e non direi proprio che una qualche intelligenza possa esser cattiva.
A. - E quando un individuo viene istruito, se non usa l'intelligenza, secondo te viene istruito?
E. - Assolutamente impossibile.
A. - Dunque se l'intelligenza è in sé buona e non si apprende se non si compie un atto d'intelligenza, nell'apprendere si agisce bene perché nell'apprender si compie un atto d'intelligenza e nel compierlo si agisce bene. Quindi nell'indagare sul principio per cui un qualche cosa si apprende, s'indaga indiscutibilmente sul principio per cui si agisce bene. Smettila dunque. di investigare su non saprei quale cattivo educatore. Se è cattivo, non educa, se educa non è cattivo.

L'esperienza di Agostino e il male.

2. 4. E. - Allora, giacché mi costringi proprio a confessare che non si apprende ad agire male, dimmelo tu il principio per cui si agisce male.
A. - Poni appunto il problema che mi ha fortemente inquietato nella prima gioventù e che sfiduciato mi ha costretto a cadere nell'eresia. Sono rimasto così fortemente abbattuto dalla mia caduta e sotterrato da mucchi di vuote favole che, se il desiderio di trovare il vero non mi avesse ottenuto l'aiuto divino, non avrei potuto uscirne fuori e tornare a respirare nell'originaria libertà della ricerca. E poiché ho riflettuto diligentemente per risolvere il problema, userò con te il metodo con cui io stesso mi sono reso libero. Dio ci aiuterà e ci farà conseguire con l'intelletto quanto abbiamo accettato per fede. Abbiamo piena coscienza di seguire il procedimento stabilito dal Profeta che ha detto: Se non crederete, non conseguirete con l'intelletto 1. Ora per fede ammettiamo che tutte le cose che sono, sono da Dio e che egli tuttavia non è principio del male. Una difficoltà però turba il pensiero, e cioè perché non si debbano quasi immediatamente attribuire a Dio i peccati, se i peccati derivano dalle anime create da Dio e le anime da Dio.

Principi generali di teodicea.

2. 5. E. - Hai espresso con chiarezza ciò che turba assai il mio pensiero e mi ha costretto e spinto alla presente ricerca.
A. - Sii forte e continua a credere ciò che credi. È il migliore atto di fede, anche se la spiegazione è al di sopra della nostra esperienza. Avere di Dio un altissimo concetto è il più vero inizio di religiosità. E non se ne ha un concetto altissimo, se non si crede che è totalità del possibile e assolutamente immutabile, creatore inoltre di tutti i beni, ai quali è superiore, ordinatore di tutte le cose che ha creato, non aiutato nel creare da altra natura, quasi non fosse l'assoluto. Ne consegue che dal nulla ha creato l'universo e che da sé non ha creato, ma ha generato un principio che gli è eguale. Noi lo diciamo unico Figlio di Dio e lo denominiamo Virtù di Dio e Sapienza di Dio, quando tentiamo di farcene un concetto più accessibile. In lui ha creato tutte le cose che dal nulla sono state create. Su questo fondamento, con l'aiuto di Dio, portiamoci nella seguente maniera all'intelligenza dell'argomento da te proposto.

Perché l'adulterio è male?

3. 6. Tu chiedi appunto il principio per cui si agisce male. Dunque prima si deve discutere che cosa significa agir male. Di' quel che ne pensi. Se non ne puoi esporre in breve a parole una teoria, per lo meno citando alcune cattive azioni in particolare, fammi comprendere la tua opinione.
E. - Ma a chi non sembrano cattive azioni gli adulteri, gli omicidi e i sacrilegi, per tacere di altre? Per enumerarle non sono disponibili né tempo né memoria.
A. - Dimmi prima di tutto perché ritieni cattiva azione l'adulterio. Perché lo vieta la legge?
E.- Non è male perché è vietato dalla legge, ma è vietato dalla legge perché è male.
A. - Ma supponi che un tizio ci importuni esagerando il piacere dell'adulterio e chiedendoci perché lo giudichiamo un male e degno di biasimo. Pensi davvero che individui, i quali intendono accettare per fede ma anche giustificare con la ragione, debbano ricorrere all'autorità della legge? Ma anche io accetto con te, e fermamente accetto, e grido che i cittadini di tutte le nazioni debbono accettare che l'adulterio è un male. Ma ora intendiamo avere, con atto di ragione, scienza innegabile di quanto abbiamo accettato con la fede. Rifletti dunque, per quanto ne sei capace, e dimmi per quale ragione hai ritenuto l'adulterio un male.
E. - So che è un male perché non lo sopporterei in mia moglie. Agisce male infatti chi fa agli altri ciò che non vuole gli sia fatto.
A. - E se un tizio fosse tanto libertino da offrire la propria moglie ad un altro e tollerasse che sia da lui violata perché desidera avere eguale soddisfazione sulla donna dell'altro, ti sembra che non faccia nulla di male?
E. - Anzi moltissimo.
A. - Ma egli pecca fuori della tua norma, che non fa ciò che non vorrebbe ricevere. Devi dunque cercare un altro motivo per dimostrare che l'adulterio è un male.

Non perché è condannato dalla legge...

3. 7. E. - Mi sembra male perché spesso ho visto individui condannati per questo delitto.
A. - Ma non si danno parecchi casi di individui condannati per azioni buone? Per non rimandarti ad altri libri, consulta la storia stessa che si fregia della inspirazione divina. Vi troverai quanto male dovremmo giudicare gli Apostoli e tutti i martiri se ritenessimo che la condanna è certo criterio di azione malvagia. Eppure essi furono giudicati degni di condanna per aver dato testimonianza della propria fede. Pertanto se è malvagia l'azione di chi subisce condanna, era male in quel tempo credere in Cristo e professare la fede. Se poi non è male ogni azione che subisce condanna, cerca di trovare un altro principio, da cui dedurre che l'adulterio è un male.
E. - Non so che rispondere.

ma perché dettato dalla passione.

3. 8. A. - Dunque forse nell'adulterio è male la passione. Ma tu ne restringi il concetto se cerchi il male nell'atto esteriore già visibile. E per comprendere che nell'adulterio è male la passione, pensa che se un tizio non ha possibilità di dormire con la donna di altri, ma appare che lo desidera e che, data la possibilità, lo farà, non è meno reo che se fosse sorpreso in flagrante.
E. - È del tutto evidente e veggo ormai che non v'è bisogno di un lungo discorso per persuadermi sull'omicidio, il sacrilegio e in definitiva su tutti i peccati. È chiaro che soltanto la passione è determinante del generale concetto di azione malvagia.

Passione e desiderio disordinato.

4. 9. A. - Sai anche che la passione con altro termine si chiama anche desiderio immoderato?
E. - Sì.
A. - E secondo te, fra esso e il timore non v'è alcuna differenza o sì?
E. - Secondo me, differiscono moltissimo.
A. - Lo supponi, penso, perché il desiderio è tendenza, il timore fuga.
E. - Sì, come tu dici.
A. - Dunque se un tale uccide un uomo non per il desiderio immoderato di conseguire un intento, ma perché teme che gli avvenga un male, è omicida?
E. - Certamente; ma non per questo il fatto cessa di essere nella categoria del desiderio immoderato. Chi uccide un uomo perché lo teme desidera vivere senza timore.
A. - E ti sembra un bene da poco vivere senza timore?
E. - È un grande bene, ma non può essere conseguito dall'omicida in virtù del suo delitto.
A. - Non chiedo che cosa gli possa avvenire, ma che cosa desidera. Ovviamente desidera un bene chi desidera la vita libera dal timore. Pertanto questo desiderio in sé è immune da colpa, altrimenti dovremmo considerare colpevoli tutti quelli che vogliono un bene. Siamo dunque costretti ad ammettere che v'è omicidio, nel quale non si può reperire come determinante il desiderio malvagio e sarà falso il principio che la passione è determinante in tutti i peccati perché siano un male; oppure vi sarà un determinato omicidio che potrebbe non esser peccato.
E. - Certo se l'omicidio è uccidere un uomo, può esser commesso in qualche caso senza peccato; ad esempio, il soldato uccide il nemico, il giudice o il suo esecutore il delinquente, quegli a cui per involontaria imprudenza sfugge un dardo di mano. Secondo me, costoro non peccano quando uccidono un uomo.
A. - D'accordo; ma non è costume considerare costoro omicidi. Rispondi dunque se colui che ha ucciso il padrone, da cui temeva per sé gravi pene, sia, a tuo giudizio, da porsi fra coloro che uccidono un uomo con tale titolo che non sono degni neanche del nome di omicidi.
E. - Per me è evidente che differisce molto da loro. Coloro lo fanno in virtù delle leggi o per lo meno non contro di esse, ma nessuna legge può legittimare il misfatto di costui.

Desiderio illecito determinante il male.

4. 10. A. - Mi richiami ancora all'autorità. Dovresti ricordare che or ora ci siamo impegnati a giustificare con la ragione ciò che riteniamo opinabile. Ora le leggi le riteniamo opinabili. Ci dobbiamo dunque impegnare, se comunque ne siamo capaci, a giustificare razionalmente il medesimo tema, se la legge che punisce il fatto, lo punisce secondo ragione.
E. - Non lo punisce certamente contro ragione perché punisce chi volontariamente e coscientemente uccide il padrone. Non è il caso degli altri.
A. - Ma non hai detto poco fa che la passione è determinante di ogni cattiva azione e che per questo è male?
E. - Certo che lo ricordo.
A. - E non hai ammesso ugualmente che chi desidera vivere senza timore non ha un desiderio cattivo?
E. - Anche questo ricordo.
A. - Quando dunque lo schiavo uccide il padrone con questo desiderio, non lo uccide per colpevole desiderio. Dunque non abbiamo ancora risolto perché questo delitto è un male. È emerso infatti dal nostro dialogo che le cattive azioni sono cattive perché sono commesse per passione, cioè per desiderio riprovevole.
E. - A questo punto mi sembra che il tizio sia condannato ingiustamente. Non oserei dirlo se trovassi altro da dire.
A. - È così allora? Ti sei fatto la convinzione che un misfatto così grosso doveva rimanere impunito prima di considerare che lo schiavo poteva avere il desiderio illecito di liberarsi dal timore del padrone per soddisfare le proprie passioni. Desiderare di vivere senza timore non è soltanto dei buoni, ma anche dei malvagi di ogni categoria. La differenza consiste in questo, che i buoni lo conseguono distogliendo la volontà dalle cose che non si possono avere senza pericolo di perderle, al contrario i cattivi tentano di rimuovere gli ostacoli per sdraiarsi con tranquillità nel goderle. Conducono quindi una vita piena di misfatti. Sarebbe meglio chiamarla morte.
E. - Mi ravvedo e godo assai di aver compreso tanto facilmente che cosa sia quel colpevole desiderio che si dice passione. Ed evidentemente è l'amore di cose che l'uomo può perdere anche se non vuole.

L'omicidio è sempre colpevole?

5. 11. Ora dunque, se vuoi, esaminiamo se la passione è determinante anche nel sacrilegio. Osserviamo invece che molti se ne commettono per superstizione.
A. - Rifletti se non sia prematuro. Mi parrebbe che prima si debba discutere se un nemico che assale o un sicario che insidia possano essere uccisi indipendentemente dalla passione per difendere la vita, la libertà o l'onore.
E. - E come posso giudicare liberi da passione costoro che con le armi difendono beni che possono perdere anche se non vogliono? E se non possono perderli che bisogno c'è di giungere per essi fino all'omicidio?
A. - Dunque non sarebbe giusta la legge che dà facoltà al viandante di uccidere il ladro per non rimanere ucciso lui stesso o anche a un uomo o a una donna, se è possibile, di far fuori, prima della violenza, un tizio che attentasse con la forza al loro onore. Anche al soldato si ordina dalla legge di uccidere il nemico e, se si astiene dall'uccidere, viene punito dal comandante. Oseremo dunque dire che queste leggi sono ingiuste o piuttosto che non sono leggi? Già, perché secondo me è legge soltanto quella giusta.

Ingiusto aggressore.

5. 12. E. - Mi pare però che la legge sia abbastanza difesa contro tale accusa perché ha concesso ai cittadini amministrati il permesso di commetter delitti più piccoli affinché ne siano evitati dei maggiori. È molto più sopportabile che sia ucciso l'individuo che attenta alla vita altrui anziché quello che difende la propria ed è assai più grave che un individuo subisca violenza carnale contro il proprio volere anziché colui che la commette sia ucciso da chi è costretto a subirla. Il soldato poi, nell'uccidere il nemico, è esecutore della legge. Dunque è facile che possa compiere il proprio dovere indipendentemente dalla passione. Inoltre non è possibile che la legge, promulgata per difendere i cittadini, sia imputata di passione. Chi l'ha promulgata infatti, se lo ha fatto per ordine di Dio, cioè perché lo ha disposto l'eterna giustizia, può averla promulgata libero da ogni passione. Se poi ha stabilito la legge perché mosso da qualche passione, non ne consegue che sia necessario con la passione obbedire alla legge. Una buona legge può esser promulgata anche da un individuo non buono. Ad esempio un tale, che esercita il potere tirannicamente, riceve denaro da un cittadino, che a sua volta ne trae vantaggio, perché stabilisca che a nessuno è lecito rapire una donna, sia pure a scopo di nozze. La legge non sarà cattiva per il fatto che l'ha promulgata un individuo ingiusto e corrotto. È possibile dunque obbedire senza passione alla legge, la quale ordina, per la difesa dei cittadini, che la violenza di un nemico sia respinta ugualmente con la violenza. Il principio si applica a tutti gli esecutori che per ordinamento giuridico obbediscono a un determinato potere. Ma non veggo come gli altri, pur essendo senza colpa la legge, possano essere senza colpa. La legge non li costringe ad uccidere, ma concede loro la facoltà. Essi dunque rimangono liberi di non uccidere per la difesa di beni che possono perdere contro il loro volere e che per questo non debbono amare. Può rimanere a qualcuno un dubbio circa la vita nell'ipotesi che non venga sottratta all'anima con la corruzione del corpo. Ma se può essere tolta, si deve disprezzare, se non lo può, nulla da temere. Circa il pudore poi non si può dubitare che è nella coscienza perché è virtù. Pertanto non può essere sottratto dall'individuo che usa violenza. Dunque ogni bene, che stava per toglierci l'uccisore, non è in nostro potere. Non capisco pertanto come si possa considerarlo nostro. Non riprovo quindi la legge che permette l'uccisione degli aggressori, ma non trovo con quale criterio giustificare coloro che li uccidono.

Legge e divina provvidenza.

5. 13. A. - A più forte ragione io non riesco a trovare il motivo per cui cerchi una difesa per individui che nessuna legge considera rei.
E. - Nessuna forse, ma delle leggi positive e che possono esser raccolte dagli uomini. Non saprei se non siamo soggetti a un'altra legge più potente e occultissima, supposto che non vi sia cosa che non sia governata dalla divina provvidenza. Come sarebbero infatti liberi davanti a lei dal peccato se si son macchiati di omicidio per difendere beni che si devono disprezzare? Mi pare dunque che la legge, promulgata per governare il popolo, ragionevolmente permette questi atti e che la divina provvidenza li proibisce. Alla legge civile infatti compete punire determinati atti per stabilire il rapporto sociale fra la massa, e nei limiti possibili alla umana legislazione. Al contrario le colpe, di cui sopra, hanno pene congruenti, dalle quali, secondo me, soltanto la sapienza ci può liberare.
A. - Lodo e accetto questa tua distinzione, sebbene appena abbozzata e meno perfetta, comunque fiduciosa e implicante un ordine superiore. A te sembra infatti che questa legge, la quale si promulga per l'amministrazione dello stato, non contempli e lasci impunite molte colpe che saranno comunque punite, e giustamente, dalla divina provvidenza. La legge non fa tutto, ma non per questo si deve riprovare quel che fa.

La legge temporale è mutevole.

6. 14. Ma esaminiamo diligentemente, se lo desideri, fino a qual punto si devono punire le azioni malvagie dalla legge che unisce i cittadini nella vita terrena e poi cosa rimane che sia inevitabilmente e occultamente punito dalla divina provvidenza.
E. - Lo desidero assai purché sia possibile arrivare ai confini di un argomento tanto esteso. Io personalmente, lo credo senza confini.
A. - Anzi abbi coraggio e sorretto dalla pietà mettiti sul cammino della ragione. Non ve n'è alcuno infatti tanto erto e malagevole che con l'aiuto di Dio non diventi piano e molto agevole. Fissi in lui e chiedendogli aiuto esaminiamo il tema iniziato. E prima di tutto dimmi se la legge promulgata in un codice provvede agli uomini che vivono la vita terrena.
E. - È chiaro. I popoli e gli stati son formati da individui in tale condizione.
A. - E gli uomini e i popoli sono della medesima durata del mondo sicché non possono perire o mutare e sono addirittura eterni, ovvero sono mutevoli e soggetti al divenire?
E. - E chi dubiterebbe che le cose umane sono mutevoli e soggette al tempo?
A. - Ma supponi che un popolo sia formato alla moderazione e alla saggezza e sia custode diligente del comune benessere sicché ciascuno stima di meno il proprio interesse che quello pubblico. In tal caso non è ragionevolmente costituita la legge che consente al popolo di eleggere i propri magistrati, dai quali sia curato il suo interesse, cioè quello pubblico?
E. - Sì certo, ragionevolmente.
A. - Ma supponiamo ancora che il medesimo popolo, gradualmente depravatosi, anteponga l'interesse privato al pubblico, permetta il broglio elettorale e, corrotto dagli ambiziosi, affidi il governo di se stesso a disonesti e delinquenti. In tal caso, se v'è una persona onesta che abbia molto prestigio, non dovrebbe, egualmente secondo ragione, togliere al popolo il potere di conferire le cariche e ridurlo al potere illimitato di pochi onesti o anche di uno solo?.
E. - Anche in tal caso secondo ragione.
A. - Dunque queste due leggi sembrano tanto opposte che una contempla il potere nel popolo di conferire le cariche, l'altra glielo toglie. Questa seconda poi è così concepita che è assolutamente impossibile la loro consistenza nel medesimo stato. Dovremmo dunque dire che una delle due è ingiusta e che non doveva essere promulgata?
E. - No certamente.
A. - Possiamo dunque chiamare, se ti va, temporale questa legge poiché, quantunque giusta, può giustamente esser cambiata secondo i tempi.
E. - Sì.

La legge eterna è immutabile.

6. 15. A. - E la legge che si considera come suprema ragione, alla quale sempre si deve obbedire, secondo cui i cattivi meritano l'infelicità e i buoni la felicità, per cui la legge, che abbiamo stabilito di chiamar temporale, secondo ragione si stabilisce e secondo ragione si muta, può sembrare a chiunque usa l'intelligenza non eternamente immutabile? Ovvero può in un qualche tempo essere ingiusto che i cattivi siano infelici, i buoni felici, che un popolo moderato e prudente si elegga i magistrati ed uno disonesto e iniquo sia privo di questo diritto?
E. - Mi è evidente che questa è legge eternamente immutabile.
A. - Ti è evidente anche, suppongo, che nella legge temporale non v'è alcuna disposizione giusta che gli uomini non abbiano derivato dalla legge eterna. Un popolo, in un determinato periodo giustamente conferisce le cariche, in un altro giustamente non le conferisce. Ora questo avvicendamento nel tempo, perché sia giusto, è derivato dall'ordinamento eterno, da cui è sempre giusto che un popolo ben ordinato conferisca le cariche, un popolo male ordinato non le conferisca. La pensi diversamente?
E. - No.
A. - Debbo dunque esporre brevemente, per quanto mi è possibile a parole, la nozione di legge eterna che è stata impressa in noi. È la legge per cui è giusto che tutte le cose siano in un ordinamento perfetto. Se la pensi diversamente, dillo.
E. - È vero quel che dici, quindi non ho da obiettare.
A. - Essa è una sola e da essa derivano nella loro varietà le leggi temporali per ordinare gli uomini al fine. È possibile dunque che anche essa sia variabile?
E. - Capisco che è assolutamente impossibile. Nessun potere, nessun accadimento, nessuna mutazione del reale potranno mai avere come effetto che non sia giusto il perfetto ordinamento del tutto.

La mente come dominio (7, 16 - 11, 23)

Vivere ed esser coscienti di vivere.

7. 16. A. - Ed ora esaminiamo come l'individuo umano sia pienamente ordinato in se stesso poiché il popolo è composto di più individui uniti da una medesima legge. E questa legge, come è stato detto, è temporale. Dimmi se sei proprio certo di vivere.
E. - Che cosa dovrei rispondere di più certo?
A. - E puoi distinguere che altro è vivere ed altro essere coscienti di vivere?
E. - So che non si è coscienti di vivere se non si vive, ma non so se ogni vivente è cosciente di vivere.
A. - Tu ora ritieni opinabile che le bestie son prive di ragione; vorrei proprio che ne avessi scienza. La nostra discussione eliminerebbe subito questo problema. Ma poiché affermi di non averne scienza, susciti un lungo discorso. Non è un argomento che, sfuggito, ci consentirebbe di raggiungere i risultati propostici con quella logica consequenzialità che giudico necessaria. Abbiamo spesso visto le bestie domate dagli uomini, intendi che non soltanto il corpo della bestia, ma anche l'anima è talmente assoggettata all'uomo da divenire, per una certa sensitività e addestramento, strumento del suo volere. Dimmi dunque se è possibile, secondo te, che una qualsiasi bestia enorme, o per forza ferina o per mole, oppure particolarmente sviluppata in qualche aspetto della sensitività, tenti ugualmente a sua volta di assoggettarsi l'uomo. Eppure molte bestie sono capaci, o per forza o per insidia, ad uccidere il suo corpo.
E. - Ritengo che è assolutamente impossibile.
A. - Bene. Ma dimmi anche, giacché è chiaro che l'uomo è facilmente superato da molte bestie per forza o altre energie fisiche, qual è il potere per cui l'uomo è superiore, sicché nessuna bestia può dominarlo ed egli molte ne domina? È quella che comunemente si chiama ragione o anche intelligenza?.
E. - Non trovo altro perché è nell'animo la facoltà per cui siamo superiori alle bestie. Se esse fossero inanimate, direi che siamo superiori perché abbiamo l'anima. Ma anche esse sono animate. Quindi quella facoltà che non esiste nella loro anima, la quale quindi ci può esser soggetta, esiste nella nostra e per questo siamo superiori. E poiché è evidente a tutti che non è né un nulla né una piccola cosa, logicamente la chiamerai ragione.
A. - Osserva quanto è stato facile con l'aiuto di Dio ciò che gli uomini giudicano molto difficile. Io avevo creduto, te lo confesso, che questo problema, il quale, secondo me, ha avuto la sua soluzione, ci avrebbe trattenuto tanto a lungo quanto forse i vari argomenti trattati dall'inizio della discussione. Adesso ascolta perché in seguito la dimostrazione sia concludente. Non ignori, suppongo, che il concetto di scienza non è altro che avere certa rappresentazione dell'oggetto mediante pensiero.
E. - Sì.
A. - Chi dunque è cosciente di vivere, non è privo di pensiero.
E. - È conseguente.
A. - Ora le bestie vivono e, come è emerso, son prive di pensiero.
E. - È chiaro.
A. - Conosci dunque, e avevi detto di no, che non ogni vivente è cosciente di vivere, quantunque è necessariamente vivente l'essere che è cosciente di vivere.

Pensare è vivere più elevato.

7. 17. E. - Per me non v'è più dubbio. Continua verso il tuo obiettivo. So con certezza che altro è vivere ed altro esser coscienti di vivere.
A. - Quale ti sembra più elevato?
E. - Certamente la coscienza di vivere.
A. - E ti sembra più elevata la coscienza della vita che la vita stessa? Oppure pensi che la coscienza è una vita più elevata e pura poiché soltanto un soggetto che pensa ne può esser cosciente? E che cos'è pensare se non vivere più consapevolmente e perfettamente nella luce dell'intelligenza? Pertanto tu, salvo mio errore, non hai anteposto alla vita un altro concetto, ma ad una certa vita una vita più elevata.
E. - Proprio bene hai compreso ed esposto il mio pensiero, se tuttavia non è mai possibile che la coscienza sia un male.
A. - Assolutamente impossibile, salvo quando figuratamente si dice coscienza in luogo di esperienza. Avere esperienza non sempre è un bene, come avere esperienza di tormenti. Come potrebbe essere un male quella che, con termine adeguatamente proprio, si chiama coscienza? Essa si attua appunto con atto di puro pensiero.
E. - Comprendo anche questa differenza; continua.

La mente è dominio.

8. 18. A. - Questo voglio dire. V'è nell'uomo una determinata facoltà, per cui è superiore agli animali, si chiama mente o spirito o meglio l'uno e l'altro. Nei Libri divini si trova appunto l'uno e l'altro. Se essa domina pienamente su tutte le facoltà da cui è costituito l'uomo allora egli è pienamente razionale. Si può constatare infatti che noi abbiamo molte proprietà in comune non solo con gli animali ma anche con le piante e le erbe. Si constata appunto che nutrirsi, crescere, riprodursi e irrobustirsi è dato anche agli alberi che hanno il grado più basso di vita. Si osserva inoltre e si deve ammettere che le bestie, e parecchie con maggiore acutezza di noi, possono vedere, udire e percepire i sensibili con l'olfatto, il gusto e il tatto. Aggiungi la forza, l'energia e la robustezza delle membra, la celerità e gli agilissimi movimenti, nei quali alcune ne superiamo, con altre ci eguagliamo, da talune siamo perfino superati. Noi tuttavia abbiamo in comune con le bestie certamente un determinato genere di fenomeni. Ogni attività della vita del bruto consiste appunto nel tendere alle soddisfazioni fisiologiche e nell'eliminare il bisogno. Vi sono altre manifestazioni che non sembrano spettare alle bestie, ma anche nell'uomo non sono le più elevate, come scherzare e ridere. Sono cose umane, ma le giudica infime chi secondo ragione giudica la natura umana. Vi sono poi l'amore della lode e della gloria e la frenesia di dominare. Non appartengono alle bestie; eppure non si deve presumere di essere superiori alle bestie in base al desiderio immoderato di questi beni. Tale inclinazione infatti, quando non è soggetta alla ragione, rende infelici. E nessuno ha mai pensato di esser più perfetto di un altro perché infelice. Quando dunque la ragione domina simili movimenti psicologici, l'uomo deve esser considerato nell'ordine razionale. Infatti non si deve considerare razionalità piena, ma addirittura neanche razionalità, se le cose migliori sono soggette alle peggiori. Non ti sembra?
E. - È chiaro.
A. - Quando dunque la ragione, oppure mente o spirito, guida i movimenti irrazionali, domina nell'uomo quel principio, al quale il dominio è dovuto per legge che abbiamo considerata eterna.
E. - Comprendo pienamente.

La mente nell'individuo non sempre è dominio.
9. 19. A. - Dunque allorché l'individuo è così stabilito nell'ordine, secondo te, è sapiente?.
E. - Non saprei quale altro individuo, secondo me, lo sia, se non lo è lui.
A. - Sai anche, suppongo, che parecchi uomini sono insipienti.
E. - Anche questo è abbastanza noto.
A. - Avendo noi già il concetto di sapiente, comprendi ormai chi sia l'insipiente se insipiente è opposto a sapiente.
E. - Ma a chi non è evidente che sarà colui, nel quale la mente non ha il dominio sovrano?
A. - Che dire, quando l'uomo si trova in simili condizioni? Che gli manca la mente, oppure, sebbene sia in lui, che è priva di dominio?
E. - Ovvio, quel che hai detto per secondo.
A. - Vorrei proprio udire da te con quali prove dimostreresti con certezza che la mente è in un individuo senza esercitare il suo dominio.
E. - Vorresti difendere tu la tesi. Per me non è facile provare il tuo assunto.
A. - Ti deve esser facile ricordare però quel che abbiamo detto dianzi, in che modo le bestie ammansite dagli uomini li servono facilmente. Gli uomini a loro volta, come è stato provato, potrebbero subire questa condizione dalle bestie se non fossero superiori in qualche cosa. Questo qualche cosa non l'abbiamo trovato nei corpo. E siccome ci è sembrato evidente che è nello spirito, abbiamo trovato che si deve chiamare ragione. In seguito abbiamo ricordato che si chiama anche mente e spirito. Ma nell'ipotesi che altro sia la ragione, altro la mente, è assolutamente certo che la mente ha per funzione la ragione. Se ne conclude che se si ha la ragione non si può esser privi di mente.
E. - Ricordo bene e son d'accordo.
A. - Credi dunque che i domatori di bestie siano necessariamente sapienti? Considero sapienti soltanto quelli che la verità consente, quelli cioè che con l'assoggettamento della passione hanno conseguito la serenità nel dominio della mente.
E. - È degno di scherno ritenere sapienti costoro che in gergo popolare si chiamano ammansatori, come pure i pastori, i mandriani e i cocchieri, sebbene sia possibile osservare che gli animali addestrati sono loro soggetti e che i non addestrati sono costretti alla soggezione dalla loro abilità.
A. - Ed ecco che hai una prova irrefutabile per dimostrare che si può dare nell'uomo la mente senza dominio. In costoro essa c'è poiché compiono azioni che è impossibile compiere senza la mente. Tuttavia non domina perché sono insipienti. Ed è assiomatico che il dominio spirituale è soltanto dei sapienti.
E. - Mi stupisco che il tema era stato già chiarito da noi e che io non sono stato capace di ricordare cosa rispondere.

Il dominio nello spirito sapiente...

10. 20. Ma continuiamo nel sistemare altri concetti. È stato già accertato che la sapienza umana è dominio della mente umana, ma che questa può anche non avere dominio.
A. - Pensi che la passione sia più imperante della mente, alla quale, come abbiamo accertato, il dominio sulle passioni è stato concesso dalla legge eterna? Io dico di no, assolutamente. Non sarebbe affatto razionale che le cose meno imperanti dominassero sulle più imperanti. Penso che necessariamente abbia maggiore imperatività la mente che il desiderio immoderato per il fatto stesso che essa con perfetta giustizia domina sul desiderio.
E. - La penso così anche io.
A. - E si potrà dubitare di anteporre in senso assoluto la virtù al vizio sicché la virtù, quanto è più idealmente perfetta, tanto è più sicuramente invincibile?
E. - Che dubbio?
A. - Dunque lo spirito vizioso non può superare uno spirito armato di virtù.
E. - Verissimo.
A. - Non negherai, penso, che lo spirito sia assolutamente più perfetto e dominante del corpo.
E. - Non si può negare se si considera, ed è facile farlo, che la sostanza vivente è da giudicarsi più perfetta della non vivente, o meglio quella che dà la vita di quella che la riceve.
A. - Dunque a più forte ragione un corpo, quale sia, non può superare lo spirito dotato di virtù.
E. - Evidentissimo.
A. - E uno spirito giusto ed una mente che esercita la propria competenza al dominio possono forse gettare giù dalla fortificazione, per sottomettere alla passione, un'altra ragione che esercita il dominio con egual giustizia e virtù?
E. - No, assolutamente, non solo a motivo della medesima superiorità in entrambe, ma anche perché la prima mente decadrebbe dalla giustizia. Diviene viziosa una mente che volesse render tale un'altra e per ciò stesso sarebbe più debole.
...non gli è tolto se non vuole...

10. 21. A. - Bene. Ti rimane da rispondere, qualora tu ne sia in grado, se secondo te esiste un essere superiore a una ragione capace di pensiero sapienziale.
E. - No, salvo Dio, penso.
A. - Questa è anche la mia opinione. Ma l'argomento è difficile e non è questo il momento adatto ad esaminarlo per averne pura conoscenza, sebbene sia fondato su una fede incrollabile. Quindi rimanga in programma una discussione diligente e approfondita del problema.

...quindi se il dominio va alla passione...

11. 21. - Per adesso ci è possibile sapere, qualunque sia l'essenza divina, che non può assolutamente essere ingiusta perché è superiore alla mente dotata di virtù. Quindi neanche essa, sebbene ne abbia il potere, costringerà una mente ad essere schiava della passione.
E. - Questa verità si ammette universalmente senza esitazione.
A. - Rimane dunque che un essere eguale o superiore alla mente dotata d'imperatività e in possesso della virtù non la può rendere schiava della passione a causa della giustizia e che un essere inferiore non lo può a causa dell'insufficiente potere. Lo provano i motivi emersi dal nostro dialogo. Dunque nessuna altra cosa può rendere la mente compagna del desiderio disordinato se non la propria volontà e il libero arbitrio.
E. - È assolutamente logico.

...responsabile libero arbitrio.

11. 22. A. - Ma ora devi anche ritenere, per logica conseguenza, che essa giustamente subisce la pena per tanto peccato.
E. - Mi è impossibile dir di no.
A. - E allora si deve stimare leggera la pena che la passione la domini e defraudatala della ricchezza della virtù la trascini estremamente povera in opposte direzioni. Difatti ora accetta il falso in luogo del vero e talora ne tenta perfino la difesa, ora riprova quel che aveva accettato per finire tuttavia in altri errori, ora sospende il proprio assenso e spesso respinge dimostrazioni evidenti, ora dispera radicalmente di trovare il vero e s'immerge a fondo nelle tenebre dell'esperienza sensibile, ora si sforza verso la luce del puro pensare e di nuovo ripiega per stanchezza. Contemporaneamente il dominio della passione furoreggia dispoticamente e perturba l'intera vita spirituale dell'uomo con tempeste contrarie, da una parte col timore, dall'altra col desiderio, da una parte con l'ansietà, dall'altra con una letizia vuota e ingannevole, da una parte con l'irritazione per una cosa perduta, dall'altra con l'orgasmo di averne una che non si aveva, da una parte con lo sdegno per una ingiustizia ricevuta, dall'altra con la brama bruciante di vendicarla. E da ogni parte può renderla meschina l'avarizia, farla sperperare la prodigalità, asservirla l'ambizione, gonfiarla la superbia, tormentarla l'invidia, renderla inerte l'indolenza, eccitarla l'ostinazione, affliggerla la sconfitta e le altre innumerevoli perturbazioni che rendono vario e attuale il dominio della passione. E possiamo noi infine considerare inesistente la pena che, come vedi, subiscono tutti coloro i quali non s'adeguano alla sapienza?

Stato originario di sapienza?

11. 23. E. - Penso che è una pena grave e assolutamente giusta se un individuo, già posto nelle altezze della sapienza, avesse scelto di discenderne e rendersi schiavo della passione. Ma è soltanto opinabile che vi possa esser qualcuno che abbia voluto o voglia fare tale scelta. Noi per fede accettiamo che l'uomo da Dio è stato creato e stabilito nella felicità con tale ordinamento al fine che l'uomo stesso per propria volontà è caduto nelle sofferenze della vita mortale. Tuttavia, quantunque io accetti questa verità con fede assai ferma, non l'ho mai raggiunta con un atto di ragione. E se tu pensi di rimandare per ora l'attento esame di questo argomento, lo fai contro il mio desiderio.

Ragione e volontà buona (12, 24 - 16, 35)

Il volere è immediato e innegabile.

12. 24. Mi turba soprattutto il problema del motivo per cui si devono soffrire pene tanto grandi perché si è insipienti, nell'ipotesi che mai siamo stati sapienti. Sarebbe più giusto dire che si soffre per avere abbandonato il dominio della virtù e avere scelto la schiavitù sotto la passione. Non consento che tu differisca di chiarire con una trattazione il problema, se ti è possibile.
A. - Parli come se avessi la certezza che mai si è stati sapienti, perché consideri soltanto il tempo da cui si è nati alla vita terrena. Ma la sapienza è nello spirito. È quindi un gran problema di ordine metafisico e da trattarsi a suo luogo se lo spirito ha vissuto un'altra vita prima della unione col corpo e se allora è vissuto nella sapienza. Ciò non impedisce che si chiarisca, nei limiti possibili, l'argomento che abbiamo fra mano.

La volontà buona e il bene.

12. 25. Ti chiedo allora se si ha in noi la volontà.
E. - Non lo so.
A. - Ma non vuoi saperlo?
E. - Non so neanche questo.
A. - Quindi non dialogare più con me.
E. - E perché?
A. - Prima di tutto perché, quando chiedi, non devo risponderti se non vuoi sapere ciò che chiedi. Inoltre se tu non volessi giungere alla sapienza, non si deve tenere con te un discorso su simili argomenti. Infine non potresti essermi amico se non volessi che io sia nel bene. Per quanto ti riguarda poi, te la vedrai tu se non hai alcun volere della tua felicità.
E. - È innegabile, lo ammetto, che abbiamo la volontà. Ma continua, vediamo un po' cosa ne concludi.
A. - Sì, ma dimmi prima se hai coscienza di avere anche la volontà buona.
E. - E che cos'è la volontà buona?
A. - È la volontà con cui si tende a vivere nella onestà morale e giungere alla perfetta sapienza. Ora esaminati se non tendi ad una vita moralmente onesta e se non desideri ardentemente di esser sapiente oppure se osi affermare che nel desiderare questi beni non si ha la volontà buona. E. - Non posso negare simili cose. Dunque ammetto che ho non soltanto la volontà, ma anche la volontà buona.
A. - E, scusa, quanto apprezzi questa volontà? Penseresti forse che le si possono mettere in confronto le ricchezze, gli onori o i piaceri sensibili o tutte queste cose insieme?
E. - Dio mi liberi da simile sciagurata pazzia.
A. - Ed è forse motivo di trascurabile godimento avere nello spirito un tale valore, intendo appunto la volontà buona, al cui paragone sono spregevoli i beni che abbiamo ricordati? Eppure si vede che un gran numero d'individui, per conquistarli, non rifiuta sofferenze e pericoli.
E. - È motivo di godimento, anzi di grandissimo godimento.
A. - E, secondo te, quelli che non sono in possesso di tale godimento, subiscono un danno leggero per la mancanza di tanto bene?
E. - Anzi gravissimo.

Volontà unico vero bene.

12. 26. A. - Puoi dunque già intendere, come penso, che si fondano sulla nostra volontà il possesso o la carenza di un così grande e vero bene. Che cosa infatti è così immediato alla volontà che la volontà stessa?. E chi ha buona la volontà ha un valore che si deve assolutamente anteporre a tutti i regni della terra e a tutti i piaceri sensibili. E chi ne è privo è privo certamente di un bene che, essendo più nobile di tutti i beni non dipendenti dal nostro volere, soltanto la volontà immediatamente potrebbe dargli. Costui si compiangerebbe come il più infelice di tutti gli uomini se perdesse una splendida fama, le grandi ricchezze ed altri beni terreni. E, sebbene sia ricolmo di questi beni, tu non lo compiangerai come il più infelice perché è intensamente attaccato a beni che può perdere e che non ha nell'atto che li vuole, mentre è privo della volontà buona che non si può confrontare con essi e che, pur essendo un grandissimo bene, basta soltanto volerlo per averlo?
E. - Sì, è vero.
A. - Con piena giustizia dunque gli uomini insipienti sono soggetti a simile infelicità, anche nell'ipotesi, peraltro discutibile e di ordine metafisico, che non furono mai sapienti.
E. - Son d'accordo.

Volontà buone e virtù.

13. 27. A. - Rifletti ora se è tua opinione che la prudenza è conoscenza razionale di cose che si devono desiderare e fuggire.
E. - Sì.
A. - E la fortezza è disposizione spirituale, con cui si disprezzano i disagi e la perdita di cose indipendenti dal nostro volere?
E. - Penso.
A. - Inoltre la temperanza è disposizione che frena e reprime il desiderio di cose che si desiderano disordinatamente. La pensi diversamente?
E. - Anzi la penso proprio come te.
A. - E come considereremo la giustizia se non come virtù per cui si distribuisce a ciascuno il suo?
E. - Non ho altra idea della giustizia.
A. - Ma poni che un individuo, il quale ha la volontà buona, della cui dignità da tempo stiamo parlando, con essa soltanto s'immedesimi per amore perché è il bene più alto che possiede, che di essa soltanto si diletti, che da essa tragga soddisfazione e godimento in quanto la tiene in pregio e ne apprezza il valore e che infine non gli possa essere sottratta né con la forza né con la lusinga contro il suo volere. Si potrà dubitare che egli si opponga a tutte le cose che son nemiche di questo unico bene?
E. - È logico che si opponga.
A. - E si può pensare che non sia dotato di prudenza egli che sa di dover desiderare questo bene ed evitare le cose che ad esso sono contrarie?
E. - Secondo me, è del tutto impossibile senza la prudenza.
A. - Bene, ma perché non gli accorderemo anche la fortezza? Infatti è impossibile che ami o stimi molto tutte le cose che non sono in nostro potere. Esse si amano con volontà cattiva, ma egli deve necessariamente resisterle perché è nemica del suo grande bene. Se non le ama, non si duole nel perderle e le disprezza addirittura. Ed è stato già logicamente dimostrato che questa è funzione della fortezza.
E. - Certo che dobbiamo accordargliela. Non so chi potrei considerare più veramente forte di colui che, con coscienza sempre eguale e serena, rimane privo di beni che non dipende da noi né conseguire né mantenere. Ed egli lo fa, come è stato detto.
A. - Considera se possiamo rifiutargli la temperanza giacché è la virtù che frena le passioni. Che cosa di tanto contrario dalla volontà buona che la passione? Ne concludi certamente che questo amatore della sua volontà buona si oppone con tenace resistenza alle passioni e che perciò giustamente si considera temperante.
E. - Va avanti, son d'accordo.
A. - Rimane la giustizia, ma non vedo come possa mancare a questo individuo. Chi ha ed ama la volontà buona e resiste alle cose che, come è stato detto, le sono contrarie, non può voler male ad alcuno. Ne seguirà che non fa ingiustizia, ma gli è impossibile non farla se non dà a ciascuno il suo. E ti ricordi, credo, di avere approvato quando ho detto che questa è competenza della giustizia.
E. - Me ne ricordo e ammetto che in questo individuo, il quale stima e ama la propria volontà buona, si trovano tutte e quattro le virtù, da te poco fa definite con la mia approvazione.

Volontà buona e felice.

13. 28. A. - Che cosa dunque ci impedisce di considerare moralmente degna la vita di questo uomo?
E. - Nulla, certamente, tutto ci invita a farlo, anzi costringe.
A. - E si può per qualche motivo ritenere che l'infelicità non si deve evitare?
E. - E principalmente, penso, anzi ritengo che altro non si deve fare.
A. - E certamente non ritieni che si deve evitare la dignità morale.
E. - Ritengo anzi che si deve conseguire con ogni impegno.
A. - Dunque la dignità morale non è infelicità.
E. - Sì, ne consegue.
A. - Dunque non ti rimane difficile, suppongo, affermare con certezza che la non infelicità è felicità.
E. - Evidentissimo.
A. - Stiamo stabilendo quindi che è felice l'individuo il quale ama la propria volontà buona e che in confronto disprezza ogni altro bene, la cui perdita possa avvenire, anche se persiste la volontà di possederlo.
E. - Perché non stabilire una conclusione se ad essa logicamente ci inducono le premesse accettate?
A. - Bene. Ma rispondi, ti prego: amare la propria volontà buona e considerarla tanto degna, come è stato detto, è buona volontà anche questa?
E. - Vero.
A. - E se con ragione si giudica felice costui, con altrettanta ragione non si giudica forse infelice chi è di opposta volontà?
E. - Con molta ragione.
A. - Che motivo si ha dunque di dover dubitare che, anche se in precedenza non siamo mai stati sapienti, per libera scelta si vive meritatamente una vita degna e felice, per libera scelta una vita indegna e infelice?.
E. - Ammetto che la conclusione è derivata da principi certi e innegabili.

Immediata la felicità nella volontà buona.

13. 29. A. - Esamina anche un altro tema. Credo che ricordi come abbiamo definito la volontà buona; mi pare che è stata definita quella con cui si tende a vivere secondo onestà morale.
E. - Sì, ricordo.
A. - Se dunque si amasse con dedizione la volontà buona con volontà ugualmente buona e si anteponesse a tutte le cose che avere non dipende dal volerle, ne consegue anche che le quattro virtù, come la dimostrazione ha accertato, orneranno lo spirito; e averle significa appunto vivere secondo onestà morale. Ne consegue che chi vuol vivere secondo onestà morale, se lo vuol volere in luogo dei beni caduchi, consegue un tanto bene con tanta immediatezza che il volere si identifica col conseguire l'oggetto voluto.
E. - Ti devo proprio dire che a stento mi trattengo dal gridare di gioia perché all'improvviso mi appare un bene tanto grande e raggiungibile con tanta immediatezza.
A. - Ora il godimento, che sorge dal conseguimento di tanto bene, nell'atto che in una continua serenità e pace nobilita lo spirito, si dice appunto felicità, a meno di una tua opinione che felicità non coincida col godimento di beni veri e stabili.
E. - No, la penso così.

Desiderio di felicità e onestà.

14. 30. A. - Bene. Ma penseresti che ogni individuo non scelga deliberatamente e con pieno impegno la felicità?
E. - Che dubbio che ogni individuo la vuole?
A. - Perché allora non tutti la conseguono? Avevamo detto, ed era emerso dal nostro dialogo, che gli uomini per volontà meritano la felicità, per volontà l'infelicità, e così la meritano da conseguirla. Ora sorge non saprei quale controsenso e se non indaghiamo attentamente, esso rischia di invalidare la precedente dimostrazione tanto diligentemente convalidata. Come è possibile che per volontà s'incorra nell'infelicità se nessuno assolutamente vuol vivere nell'infelicità? O come si consegue per volontà la felicità se molti sono infelici e tutti vogliono esser felici? Si arriva forse al punto che altro è il volere buono o malvagio e altro meritare qualche cosa con volontà buona o malvagia. Ma in verità coloro che sono felici, e perciò anche necessariamente buoni, non sono felici perché hanno voluto vivere nella felicità - lo vogliono anche i malvagi - ma perché, a differenza dei malvagi, l'hanno voluto secondo ragione. Non c'è da stupirsi dunque se gli uomini infelici non conseguono il fine voluto, cioè la felicità. Non vogliono infatti allo stesso modo l'oggetto che le è congiunto e senza di cui non si può esserne degni e conseguirla, cioè vivere ordinatamente. La legge eterna, alla quale è tempo di ricondurre l'attenzione, con invariabile durata ha stabilito che il merito consista nella volontà, il premio e la pena nella felicità e infelicità. Pertanto quando si dice che per volontà gli uomini sono infelici, non si dice nel senso che vogliono essere infelici, ma perché si costituiscono in una volontà, alla quale, anche contro il loro desiderio, necessariamente segue l'infelicità. Dunque non si oppone alla precedente dimostrazione il tema che tutti vogliono esser felici e non lo possono; il fatto sta che non tutti vogliono vivere secondo ragione. Soltanto a tale volere è dovuta la felicità. Non hai nulla da obiettare, suppongo.
E. - No, nulla.

Due categorie d'individui e due leggi.

15. 31. Ma esaminiamo ormai come questi concetti attengano al problema già proposto delle due leggi.
A. - Sì; ma prima rispondimi sulla condizione di chi sceglie di vivere secondo ragione e se ne diletta al punto che per lui non è soltanto secondo ragione, ma anche sorgente di soddisfazione. Ama costui la legge eterna e la tiene in onore perché sa che in virtù di lei è data la felicità alla buona volontà, l'infelicità alla malvagia?
E. - L'ama con amore totale perché proprio col seguirla vive così.
A. - E amandola ama un oggetto mutevole e temporale ovvero stabile ed eterno?
E. - Certamente eterno e immutevole.
A. - Ed è possibile che coloro, i quali, perseverando nella volontà malvagia desiderano nondimeno di esser felici, amino una legge che proprio a tali individui commina giustamente la pena?
E. - No assolutamente, penso.
A. - E non amano altro?
E. - Anzi moltissime cose e quelle proprio che la volontà malvagia persiste nel raggiungere oppure conservare.
A. - Penso che alludi alle ricchezze, onori, piaceri, alla bellezza fisica e a tutti gli altri beni che è possibile non raggiungere pur desiderandoli o perdere pur non desiderandolo.
E. - Proprio questi sono.
A. - E ritieni che siano eterni, quantunque li veda in balia del fluire del tempo?
E. - Ma chi, anche se veramente pazzo, lo penserebbe?
A. - Dunque è chiaro che vi sono alcuni uomini amanti delle cose eterne ed altri delle temporali. Abbiamo stabilito inoltre che si danno due leggi, una eterna, l'altra temporale. Dunque se hai sentimento d'equità, fra le due categorie quali uomini giudichi subordinati alla legge eterna e quali alla temporale?
E. - Penso che la risposta sia a portata. Ritengo che gli uomini felici mediante l'amore ai beni eterni si pongono sotto la legge eterna, agli infelici invece viene imposta la temporale.
A. - Giudichi rettamente purché tu ritenga assiomatico il principio, già reso evidente dalla dimostrazione, che coloro i quali sono schiavi della legge temporale non possono esser liberi dalla legge eterna, da cui deriva, come abbiamo detto, tutto ciò che è giusto e che con giustizia è nel divenire. Comprendi poi con certezza, in quanto evidente, che coloro i quali mediante la volontà buona si conformano alla legge eterna, non hanno bisogno della legge temporale.
E. - Ammetto ciò che dici.

Funzione della legge civile...

15. 32. A. - Dunque la legge eterna ordina di distogliere l'amore dai beni temporali e volgerlo purificato ai beni eterni.
E. - Sì, certamente.
A. - E, secondo te, che cosa ordina la legge temporale se non che gli uomini posseggano, quando li richiedono per la soddisfazione del bisogno, quei beni che nel tempo si possono considerar propri con una norma tale che siano garantiti il rapporto e la società umana quanto è possibile in questo ordine di cose? Tali beni sono appunto, prima di tutto il corpo e quei fattori che sono considerati i suoi beni, come la salute, l'integrità dei sensi, le forze, la bellezza e altri se ve ne sono, alcuni indispensabili alle arti superiori e quindi più pregevoli e altri più ordinari. Viene in secondo luogo la libertà. Preciso che è vera libertà soltanto quella degli uomini felici e osservanti della legge eterna. Adesso però sto parlando della libertà per cui sono considerati liberi gli individui i quali non sono proprietà di altri individui e che è desiderata da coloro che vogliono essere emancipati dagli individui di cui son proprietà. In terzo luogo sono i genitori, i fratelli, il coniuge, i figli, i parenti, gli affini e familiari e tutti quelli che sono a noi congiunti con qualche vincolo. In quarto luogo la società civile che di solito è considerata una patria, e in essa gli onori, il prestigio e quella che si dice la celebrità. Infine viene la ricchezza. Con questo termine si comprendono tutte le cose, di cui siamo giuridicamente proprietari e nei cui confronti manifestiamo di avere il potere di vendere e donare. È arduo e lungo, e in definitiva non necessario al nostro intento, spiegare come la legge temporale, nell'ordine di questi beni, distribuisca a ciascuno il suo. Basta precisare che il potere coattivo della legge temporale si riduce a privare il reo dei beni suddetti o di parte di essi. Dunque reprime col timore e per raggiungere il proprio fine esercita una norma costrittiva sulla coscienza degli infelici, al cui ordinamento è stata predisposta. Ed essi, nell'atto che temono di perdere questi beni, nell'usarli osservano una determinata norma adatta al vincolo civile, quale può essere costituito da individui in quelle condizioni. Ma la legge non reprime la colpa quando si amano le cose temporali, ma quando si sottraggono illegalmente agli altri. Rifletti dunque se siamo giunti alla soluzione che sembrava senza limiti. Eravamo partiti appunto col chiederci in quali limiti la legge, con cui si amministrano i cittadini e gli stati, ha il diritto di punire.
E. - Sì, vi siamo giunti, lo veggo.

...sui beni che non dipendono da noi.

15. 33. A. - Dunque vedi pure che non vi sarebbe pena, tanto quella che si irroga agli uomini per ingiustizia come quella che si irroga per giustizia coattiva, se essi non amassero le cose che si possono sottrarre a chi non è consenziente.
E. - Veggo anche questo.
A. - Dunque un tizio usa male ed un altro bene le medesime cose. Quegli che le usa male, con amore si aggroviglia tenacemente ad esse e diviene appunto subordinato a cose che dovevano essere a lui subordinate e le riconosce come beni per lui mentre egli stesso doveva essere il bene per esse disponendole al fine e usandole bene. Chi al contrario ne usa secondo ragione riconosce, sì, che essi sono beni, ma non per lui perché non lo rendono né buono né più buono. Esse piuttosto lo divengono da lui. Quindi non si attacca ad esse con amore e non le considera come membra della propria coscienza, e questo avviene amandole, affinché non lo rendano deforme con una dolorosa piaga, quando dovranno essere amputate. Si deve al contrario elevare integralmente al di sopra di esse, pronto, se è necessario, a disporne ordinatamente, più pronto a perderle e non disporne. Ma stando così le cose, penseresti di accusare l'argento e l'oro per colpa degli spilorci, il cibo per colpa dei ghiottoni, il vino per colpa degli ubriaconi, la bellezza femminile per colpa dei libertini e degli adulteri, e così di seguito, anche perché puoi osservare che il medico usa bene il fuoco e l'avvelenatore usa il pane per il delitto?.
E. - Verissimo che non le cose ma gli uomini i quali le usano male sono colpevoli.

Male e peccato come pervertimento...

16. 34. A. - Giusto. Oramai, come suppongo, cominciamo a comprendere la funzione della legge eterna ed è accertato fino a qual punto possa giungere la legge temporale nella sanzione. Sono state inoltre distinte con sufficiente chiarezza due categorie di cose, quelle eterne e quelle temporali, come pure due categorie di individui, gli uni che scelgono ed amano le cose eterne, gli altri le temporali. È stato anche accertato che è dato dalla volontà l'oggetto che si sceglie per il conseguimento e il possesso e che soltanto dalla volontà la ragione viene destituita dalla rocca del dominio e dalla razionale finalità. Infine è chiaro che non si deve incolpare la cosa, qualora se ne usi male, ma chi ne usa male. Riportiamoci dunque, se vuoi, al problema posto al principio di questo discorso ed esaminiamo se ha avuto la sua soluzione. Ci eravamo proposti di indagare che cos'è agire male e in vista di questo assunto abbiamo esposto tutti i temi suddetti. Ora conseguentemente è possibile riflettere ed esaminare se agir male è essenzialmente trascurare le cose eterne che la ragione da sé possiede, da sé intuisce e che non può perdere se le ama per procurarsi come grandi e ammirevoli le cose temporali e i piaceri che si provano mediante il corpo, la parte più vile dell'uomo e che non possono essere stabili. In questa categoria mi pare che siano incluse tutte le azioni malvagie, cioè i peccati. Attendo di conoscere il tuo parere.

...e scelta del bene mutevole.

16. 35. E. - È come tu dici ed io confermo che tutti i peccati sono inclusi in questo unico concetto: distogliersi dal mondo immutevole dei valori e volgersi alle cose mutevoli del divenire. Queste tuttavia sono disposte razionalmente in un proprio ordine e sono espressioni di una certa bellezza. È dunque di una coscienza pervertita e derogante dalla finalità rendersi schiava di esse nel possederle poiché dall'ordinamento e legge divina è stata resa superiore ad esse per dominarle col proprio potere. E mi pare di vedere già definitivamente risolto anche il problema del principio per cui si agisce male. L'avevamo preso in esame in seguito all'altro problema del significato dell'agire male. Salvo errore, si agisce male, come ha confermato lo svolgimento della dimostrazione, per libero arbitrio della volontà. Ma ora mi pongo il problema se era opportuno che dal nostro creatore ci fosse dato il libero arbitrio giacché è chiaro che da esso proviene il potere di peccare. Sembra proprio che non si sarebbe peccato qualora se ne fosse stati privi. S'incorre anche nella difficoltà che Dio possa esser considerato autore delle nostre cattive azioni.
A. - Non spaventarti affatto per questa difficoltà. Si richiede però un momento più opportuno per trattarne diligentemente. Questo discorso chiede ormai misura e limite e vorrei tu credessi che con esso è stato picchiato, per così dire, alle porte di un problema di ordine superiore. Ma quando, con la guida di Dio, cominceremo a penetrare nell'interno, potrai apprezzare certamente la grande differenza fra la presente disputa e le seguenti e la maggiore importanza di queste, non soltanto per l'elevatezza della indagine ma anche per la dignità dell'argomento e la splendida luce della verità. Ci soccorra la fede affinché la divina provvidenza ci consenta di continuare e portare a termine il cammino che abbiamo intrapreso.
E. - Mi rimetto alla tua volontà e nell'apprezzamento e nell'augurio le associo molto volentieri la mia.


1 - Sal 13, 1; 52, 1.


Una ruota misteriosa e profetica

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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La notte del 10 maggio 1861 Don Bosco ebbe un sogno straordinario, sia per la lunghezza (durò circa 6 ore), sia per la varietà delle scene ammirate, delle quali molte riguardavano i singoli suoi ragazzi, mentre altre interessavano la sua nascente Congregazione, da lui contemplata nel suo avvenire con precisione profetica.
Nel raccontarlo Don Bosco impiegò tre «buone notti », nelle quali il discorsino di pochi minuti che soleva rivolgere ai suoi figliuoli dopo le preghiere della sera, per la circostanza, superò la mezz’ora.
Anche in questo sogno è presente una Guida, decisa però a non rivelare il suo nome. Essa reca una macchina fornita di una grossa ruota con manovella, che manovra una grande lente di un metro e mezzo circa, nella quale Don Bosco vede la coscienza dei suoi giovani e l’avvenire della sua Congregazione.
Delle prime due parti ci limitiamo a dare un riassunto e a rilevare che in esse appare evidente il dono dell’introspezione delle coscienze. Infatti, al comando della Guida, Don Bosco dà vari giri alla manovella e, dopo ogni giro, guardando nella lente misteriosa, vede i suoi ragazzi in pose e aspetti diversi: ora i buoni divisi dai cattivi, ora su questi segnato il vizio da cui sono macchiati; vede pure coloro che si fermeranno con lui, intenti al lavoro che sarebbe loro toccato; vede anche quelli che, dopo un momentaneo entusiasmo, lo avrebbero abbandonato. Al suo sguardo appare chiaramente presente lo stato di coscienza e la vocazione dei singoli.
Quanto aveva visto in questa prima parte del sogno lo comunicò ai suoi ragazzi, che nei giorni seguenti lo assediarono per sapere come li aveva visti nel sogno. E l’effetto morale sulla condotta dei ragazzi fu tale, a detta del biografo, quale appena si sarebbe potuto sperare da una missione delle più fruttuose.
Tra i consigli che la Guida diede a Don Bosco ci fu questo:
«Quando si dicono due parole dal pulpito, una sia sul far bene le confessioni».
Viene quindi la parte profetica del sogno, la più interessante; ma per Don Bosco non fu una novità assoluta, perché già nel 1856 aveva avuto un sogno breve ma significativo. Aveva sognato di trovarsi in una piazza dove c’era un ordigno somigliante a una specie di ruota della fortuna. La solita Guida gli aveva detto che rappresentava il suo Oratorio e gli aveva comandato di girare il manubrio. Al primo giro ne era uscito un rumore appena percettibile.
— Che cosa significa ciò? — chiese il Santo.
— Ogni giro — rispose la Guida — assomma dieci anni del tuo Oratorio. Gira ancora quattro volte.
A ogni giro il rumore cresceva. Don Bosco ebbe l’impressione che il secondo si udisse in Torino e in tutto il Piemonte, il terzo in Italia, il quarto in Europa, il quinto nel mondo intero.
Era stata una cosa rapida, un semplice accenno all’avvenire della nascente Congregazione. In questo secondo sogno invece non più un rumore confuso, ma chiarezza di circostanze e di persone. La lente prodigiosa, che la Guida gli aveva presentato, con un giro della ruota che le stava accanto, gli rendeva magicamente presente l’avvenire della sua Opera.
Una prima volta la Guida gli ordina:
— Fa’ fare dieci giri alla ruota; ricordati di contarli esattamente e poi guarda.
Don Bosco gira dieci volte il manubrio, poi accosta con una certa trepidazione l’occhio alla lente. Meraviglia! Vede ancora quasi tutti i suoi ragazzi, ma cresciuti in età: hanno già i baffi; qualcuno si è fatto crescere la barba.
— Ma come mai? — chiede stupito —. Ma se quello ieri era un bambino, come ha fatto a crescere così all’improvviso?
— Quanti giri hai dato? — domanda la Guida.
— Dieci.
— Ebbene, conta dieci anni. Siamo nel 1871: hanno dieci anni di più.
E non solo i ragazzi erano cresciuti; Don Bosco vide pure le sue case moltiplicate e abitate da giovani sconosciuti, sotto la guida di quei suoi figliuoli fatti adulti.
— Da’ altri dieci giri — disse la Guida — e balzeremo all’81.
Don Bosco fece fare i dieci giri prescritti, poi guardò. I suoi ragazzi erano ridotti a metà: alcuni con i capelli brizzolati, altri leggermente curvi. Il dispiacere che provò fu largamente compensato dalla consolazione che gli procurò la visione di paesi nuovi e regioni sconosciute e di tanti altri ragazzi guidati da maestri ignoti, ma alle dipendenze dei suoi attuali aiutanti dell’Oratorio giunti all’età matura.
Con ansia crescente diede altri dieci giri. I suoi giovani attuali, ridotti di un quarto, gli si presentavano avanti negli anni, con capelli e barba imbiancati. Si era nel 1891. Le case e i suoi figliuoli apparivano aumentati di numero. Tra i ragazzi ce n’erano di quelli di pelle e di colore diversi dai nostri.
Ancora dieci giri ed ecco il 1901 con nuovi motivi di dolore e di gioia. I primi ragazzi dell’Oratorio erano ridotti a pochi, invecchiati e magri, prossimi ormai al premio. In molte case il personale era tutto nuovo e i ragazzi erano aumentati smisuratamente. Don Bosco contemplava muto e incantato, quand’ecco la Guida gli fece premura:
— Da’ altri dieci giri e vedrai cose che ti consolano e ti angustiano.
Dieci rapidi giri e Don Bosco si trovò al 1911. Al suo sguardo apparvero «case nuove, giovani nuovi, direttori e maestri con abiti e costumi nuovi». Cercò in quella moltitudine se vi fosse qualcuno dei primi tempi e ne riconobbe uno solo, canuto e cadente, il quale, circondato da una bella corona di ragazzi, raccontava i princìpi dell’Oratorio e loro ripeteva le cose imparate da Don Bosco e ne mostrava il ritratto appeso alle pareti del parlatorio. (Qui Don Bosco accenna certamente a Don Francesia, che fino alla tarda età di 90 anni parlò continuamente di lui, ne scrisse in tutti i suoi libri, lo cantò in versi numerosissimi e infiorava di reminiscenze dell’amato Padre ogni sua predica e le sue piacevolissime conversazioni. Chi scrive ha avuto la gioia di ascoltarlo per alcuni anni).
Il lungo sogno volgeva ormai al termine e la Guida disse a Don Bosco di volerlo confortare con un’ultima visione.
— Volentieri — rispose Don Bosco.
— Dunque sta’ attento, gira la ruota in senso contrario, tanti giri quanti ne hai dati in precedenza.
La ruota girò per 50 giri, cinquant’anni più avanti. Don Bosco guardò. Ai suoi occhi increduli apparve una moltitudine numerosa di giovani, tutti nuovi e sconosciuti, dall’infinita varietà di costumi, paesi, fattezze e linguaggi, ma per quanto si sforzasse, non riuscì a vederne che una minima parte con i loro assistenti e maestri.
— Ma io non ne conosco affatto nessuno — disse rivolto alla Guida.
— Eppure sono tuoi figli. Ascoltali. Parlano dite e dei tuoi antichi figli e superiori, che da tempo non sono più in vita, e ricordano gli insegnamenti ricevuti da te e da loro.
Don Bosco contemplava, in preda a vivo stupore, il panorama del 1961: le sue case oltre il migliaio, i suoi figli a decine di migliaia, i suoi ragazzi a centinaia di migliaia. Un panorama vario e meraviglioso, perché ogni popolo della terra vi aveva recato le sue caratteristiche.
Una prova della natura profetica del sogno si ebbe anche nel l’avveramento delle profezie fatte sui singoli.
Così il chierico Molina, in questo sogno, fu visto da Don Bosco gettar via il cappello, saltare il fosso e poi fuggire. Il chierico ne chiese la spiegazione.
— Tu — rispose Don Bosco — farai non cinque, ma sei anni di teologia e poi deporrai l’abito ecclesiastico.
A Molina la risposta parve strana e ben lontana dalla verità; ma la profezia si avverò alla lettera: dopo sei anni di teologia il chierico approfittò di una visita in famiglia e non tornò più.
Il chierico Vaschetti fu visto nel sogno uscire dal campo e saltare il fosso. Quando Don Bosco glielo comunicò, rispose quasi in dispettito:
— Lei ha davvero sognato!
Infatti allora era ben lontano dal voler lasciare Don Bosco; ma qualche tempo dopo saltò realmente il fosso. Fu però un ottimo parroco in diocesi.
Il chierico Giuseppe Fagnano, da pochi mesi venuto dal Seminario di Asti, non conoscendo Don Bosco, pensò che si trattasse di fantasticherie; ma spinto dai compagni, domandò a Don Bosco che cosa avesse visto di lui in quella lente.
— Ti ho visto che lavoravi in mezzo a uomini nudi, ma così lontano che appena potevo riconoscerti.
Fu profeta: Mons. Fagnano fu il più grande missionario della Terra del Fuoco.
Terminato il racconto, Don Bosco parlò così: « Adesso che vi ho raccontato queste cose, penserete: “Chi sa! Don Bosco è un uomo straordinario, un santo sicuramente!”. Miei cari giovani, per impedire stolti giudizi intorno a me, stimo bene di dirvi che il Signore ha molti mezzi per manifestare la sua volontà. Alcune volte si serve degli strumenti più inetti e indegni, come si servì del l’asina di Balaam facendola parlare; e di Balaam, falso profeta, per predire molte cose riguardanti il Messia. Perciò lo stesso può accadere a me».


35-24 Dicembre 25, 1937 La discesa del Verbo Divino. Come partì del Cielo e restò. Prodigi dell’Incarnazione. L’inizio della festa della Divina Volontà. Dio nelle sue opere mette da parte l’ingratitudine umana.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo seguendo gli atti della Divina Volontà, e la mia povera mente si è soffermata nell’atto della discesa del Verbo Divino sulla terra. Mio Dio, quante meraviglie, quante sorprese d’amore, di potenza, di sapienza divina, sono tali e tante, che non si sa da dove prendere a dire. Ed il mio amato Gesù, come inondato nel suo mare d’amore, che innalzando le sue onde, sorprendendomi mi ha detto:

(2) “Figlia mia benedetta, nella mia discesa sulla terra furono tali e tante le meraviglie, la nostra foga d’amore, che né agli angeli, né alle creature li è dato di comprendere ciò che operò la nostra Divinità nel mistero della mia Incarnazione. Ora, tu devi sapere che il nostro Ente Supremo possiede in natura il suo moto incessante. Se questo moto potesse cessare anche un istante, ciò che non può essere, tutte le cose resterebbero paralizzate e senza vita, perché tutte le cose, la vita, la conservazione, e tutto ciò che esiste in Cielo ed in terra, tutto da quel moto dipende. Quindi nello scendere dal Cielo in terra, Io, Verbo e Figlio del Padre, partii dal nostro moto primo, cioè, restai e partii; il Padre e lo Spirito Santo scesero con Me, furono concorrenti, né Io feci nessun atto che non lo facessi insieme con Loro, e restarono sul trono pieni di Maestà nelle regioni Celesti. Onde nel partire, la mia Immensità, il mio amore, la mia potenza, scendevano insieme con Me, ed il mio amore, che dà dell’incredibile e non si contenta se non forma della mia Vita tante Vite per quante creature esistono, non solo, ma dovunque e dappertutto formava la mia Vita, la moltiplicava, e tenendo la mia Immensità in suo potere, la riempiva di tante mie Vite, affinché ognuno avesse una Vita mia tutta propria, e la Divinità avesse la gloria, l’onore di tante nostre Vite Divine per quante cose e creature uscimmo alla luce del giorno. Ahi! il nostro amore ci pagava dell’opera della Creazione, e col formare tante Vite nostre, non solo ci ricambiava, ma ci dava di più di quello che avevamo fatto. La nostra Divinità restò rapita, ed ebbe un incanto sì dolce nel vedere i ritrovati, gli stratagemmi del nostro amore, nel vedere tante nostre Vite sparse, servendosi della nostra Immensità come circonferenza dove metterle; sicché, mentre si vedeva la mia Vita come centro, la mia Immensità e potenza come circonferenza in cui venivano depositate queste Vite innumerevoli, trovando tutto e tutti si davano per amarci e farsi amare”.

(3) Io sono restata sorpresa nel sentir ciò, ed il mio dolce Gesù, non dandomi tempo, subito ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, non ti meravigliare, Noi quando operiamo facciamo opere complete, in modo che nessuno deve poter dire: “Questo non lo ha fatto per me, la sua Vita non è tutta mia”. Ahi! l’amore non sorge quando le cose non sono proprie e non si tengono in proprio potere. E poi, non fa anche questo il sole, opera da Noi creata, che mentre si fa luce degli occhi, fino a riempirli tutti di luce, nel medesimo tempo è luce piena e intera alla mano che opera, al passo che cammina? In modo che tutti possono dire, cose create e creature: “Il sole è mio”. E mentre il centro del sole sta nell’alto dell’atmosfera, la sua luce parte e resta, e con la sua circonferenza di luce investe la terra e si fa vita e luce di ciascuno, fin del fiorellino e del piccolo filo d’erba. Il sole non è vita; luce tiene e luce dà, e tutti i beni che contiene la sua luce. La nostra Divinità è Vita, ed autrice e vita di tutto; quindi, nello scendere dal Cielo in terra dovevo fare atti completi, e più che sole fare sfoggio della mia Vita, e moltiplicarla in tante Vite, affinché Cielo e terra e tutti, potessero possedere la mia Vita. Non sarebbe stata opera della nostra sapienza e del nostro infinito amore se ciò non fosse”.

(5) Gesù ha fatto silenzio, ed io continuavo a pensare alla nascita del bambinello Gesù e Lui ha soggiunto:

(6) “Figlia piccola del mio Volere, la festa della mia nascita fu la festa e come l’inizio della festa della mia Divina Volontà. Come gli angeli cantavano gloria a Dio nei più alti dei Cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà, gli angeli, la Creazione, si atteggiarono a festa, e mentre festeggiavano la mia nascita, festeggiavano la festa della mia Divina Volontà, perché con la mia nascita riceveva la vera gloria, fin nei più alti dei Cieli la nostra Divinità, e gli uomini avranno la vera pace quando riconosceranno la mia Volontà, le daranno il dominio e la faranno regnare, allora la loro volontà si farà buona, sentiranno la forza divina. Allora canteranno insieme Cieli e terra gloria a Dio nei più alti dei Cieli, e pace in terra agli uomini che possederanno la Divina Volontà; tutto si abbonerà in loro e possederanno la vera pace”.

(7) Onde continuavo a pensare alla nascita del piccolo Re Gesù, e gli dicevo: “Carino bambinello, dimmi, che cosa facesti quando vedesti la tanta ingratitudine umana al tanto tuo amore? ” E Gesù:

(8) “Figlia mia, se avessi tenuto conto dell’ingratitudine umana al tanto mio amore, avrei preso la via per andarmene al Cielo; quindi avrei contristato e amareggiato il mio amore e cambiata la festa in lutto. Onde vuoi sapere che faccio nelle mie opere più grandi per farle più belle, con pompa e con lo sfoggio più grande del mio amore? Metto tutto da parte, l’ingratitudine umana, i peccati, le miserie, le debolezze, e do il corso alle mie opere più grandi come se queste non ci fossero. Se Io volessi badare ai mali dell’uomo, non avrei potuto fare opere grandi, né mettere in campo tutto il mio amore; resterei inceppato, soffocato nel mio amore. Invece, per essere libero nelle mie opere e per farle quanto più belle posso farle, metto tutto da parte, e se occorre, copro tutto col mio amore, in modo che non vedo che amore e Volontà mia, e così vado avanti nelle mie opere più grandi, e le faccio come se nessuno mi avesse offeso, perché per gloria nostra nulla deve mancare al decoro, al bello e alla grandezza delle nostre opere. Perciò vorrei che anche tu non ti occupassi delle tue debolezze e delle miserie, e dei tuoi mali, perché quanto più si pensano, tanto più debole si sente, tanto più i mali affogano la povera creatura, e le miserie si stringono più forte intorno ad essa. Col pensarle, la debolezza alimenta la debolezza, e la povera creatura va cadendo di più, i mali prendono più forza, le miserie la fanno morire di fame; invece col non pensarli, da per sé stessi svaniscono. Invece, tutto al contrario al bene, un bene alimenta l’altro bene; un atto d’amore chiama l’altro amore; un abbandono nel mio Volere fa sentire in sé la nuova Vita Divina. Sicché il pensiero del bene forma l’alimento, la forza, per fare l’altro bene. Perciò voglio che il tuo pensiero non si occupi di altro che di amarmi e di vivere di Volontà mia. Il mio amore brucerà le tue miserie e tutti i tuoi mali, ed il mio Voler Divino si costituirà vita tua, e delle tue miserie se ne servirà per formarsi lo sgabello dove erigere il suo trono”.

(9) Onde seguivo a pensare sul piccolo Gesù nato, ed oh! come mi si straziava il cuore nel vederlo piangere, singhiozzare, vagire, tremare di freddo, avrei voluto mettere un mio ti amo per ogni pena e lacrima del piccino divino, per riscaldarlo e quietargli il pianto. E Gesù ha soggiunto:

(10) “Figlia mia, chi vive nel mio Volere me lo sento nelle mie lacrime, nei miei vagiti; me lo sento scorrere nel mio singhiozzo di pianto, nei tremiti delle mie membra infantili, ed in virtù del mio Volere che possiede, mi cambia le lacrime in sorrisi, i singhiozzi in gioie di Cielo. Con le sue nenie d’amore mi riscalda e mi cambia le pene in baci ed abbracci. Anzi, tu devi sapere che chi vive nel mio Volere riceve continui innesti di tutto ciò che fa la mia Umanità: Se penso, innesto i suoi pensieri; se parlo e prego, innesto la sua parola; se opero, innesto le sue mani; non vi è cosa che faccia Io, che non formi innesto per innestare la creatura e farne di essa la ripetizione della mia Vita, molto più che stando la mia Divina Volontà in essa, trovavo la mia potenza, la mia santità, la mia stessa Vita, per farmi fare ciò che Io volevo di essa. Quanti prodigi non posso fare dove trovo la mia Volontà nella creatura? Io venni sulla terra per coprire tutto col mio amore, per affogare gli stessi mali e bruciare tutto col mio amore. Per giustizia volevo rifare il Padre mio, perché era giusto che venisse reintegrato nell’onore, nella gloria, nell’amore e gratitudine che tutti gli dovevano. Quindi il mio amore non si dava pace, riempie i vuoti della sua gloria, del suo onore, e giunge a tanto, che a via d’amore paga la Divinità, che aveva creato un cielo, un sole, un vento, un mare, una terra fiorita e tutto il resto, di cui l’uomo non aveva detto neppure un grazie dei tanti beni ricevuti, era stato il vero ladro, l’ingrato, l’usurpatore dei beni nostri. Il mio amore correva, correva per riempire gli abissi di distanza tra il Creatore e la creatura, pagava a via d’amore il mio Padre Celeste, e a via d’amore ricomprava tutte le umane generazioni, per ridonarle di nuovo la Vita della mia Divina Volontà; già aveva formato tante Vite di Essa per formarne il riscatto, e quando paga il mio amore, è tanto il suo valore, che può pagare per tutti e riacquistare ciò che vuole. Perciò sei già comprata dal mio amore, quindi lascia che ti goda e ti possieda”.