Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 18° settimana del tempo ordinario (San Domenico)
Vangelo secondo Giovanni 14
1"Non sia turbato il vostro cuore. Abbiate fede in Dio e abbiate fede anche in me.2Nella casa del Padre mio vi sono molti posti. Se no, ve l'avrei detto. Io vado a prepararvi un posto;3quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, ritornerò e vi prenderò con me, perché siate anche voi dove sono io.4E del luogo dove io vado, voi conoscete la via".
5Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai e come possiamo conoscere la via?".6Gli disse Gesù: "Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me.7Se conoscete me, conoscerete anche il Padre: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto".8Gli disse Filippo: "Signore, mostraci il Padre e ci basta".9Gli rispose Gesù: "Da tanto tempo sono con voi e tu non mi hai conosciuto, Filippo? Chi ha visto me ha visto il Padre. Come puoi dire: Mostraci il Padre?10Non credi che io sono nel Padre e il Padre è in me? Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è con me compie le sue opere.11Credetemi: io sono nel Padre e il Padre è in me; se non altro, credetelo per le opere stesse.
12In verità, in verità vi dico: anche chi crede in me, compirà le opere che io compio e ne farà di più grandi, perché io vado al Padre.13Qualunque cosa chiederete nel nome mio, la farò, perché il Padre sia glorificato nel Figlio.14Se mi chiederete qualche cosa nel mio nome, io la farò.
15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti.16Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre,17lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere, perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete, perché egli dimora presso di voi e sarà in voi.18Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi.19Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete.20In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre e voi in me e io in voi.21Chi accoglie i miei comandamenti e li osserva, questi mi ama. Chi mi ama sarà amato dal Padre mio e anch'io lo amerò e mi manifesterò a lui".
22Gli disse Giuda, non l'Iscariota: "Signore, come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo?".23Gli rispose Gesù: "Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui.24Chi non mi ama non osserva le mie parole; la parola che voi ascoltate non è mia, ma del Padre che mi ha mandato.
25Queste cose vi ho detto quando ero ancora tra voi.26Ma il Consolatore, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, egli v'insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto.27Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi. Non sia turbato il vostro cuore e non abbia timore.28Avete udito che vi ho detto: Vado e tornerò a voi; se mi amaste, vi rallegrereste che io vado dal Padre, perché il Padre è più grande di me.29Ve l'ho detto adesso, prima che avvenga, perché quando avverrà, voi crediate.30Non parlerò più a lungo con voi, perché viene il principe del mondo; egli non ha nessun potere su di me,31ma bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato. Alzatevi, andiamo via di qui".
Secondo libro delle Cronache 4
1Salomone fece l'altare di bronzo lungo venticinque cubiti, largo venticinque e alto dieci.2Fece la vasca di metallo fuso del diametro di dieci cubiti, rotonda, alta cinque cubiti; ci voleva una corda di trenta cubiti per cingerla.3Sotto l'orlo, per l'intera circonferenza, la circondavano animali dalle sembianze di buoi, dieci per cubito, disposti in due file e fusi insieme con la vasca.4Questa poggiava su dodici buoi: tre guardavano verso settentrione, tre verso occidente, tre verso meridione e tre verso oriente. La vasca vi poggiava sopra e le loro parti posteriori erano rivolte verso l'interno.5Il suo spessore era di un palmo; il suo orlo era come l'orlo di un calice a forma di giglio. Conteneva tremila 'bat'.
6Fece anche dieci recipienti per la purificazione ponendone cinque a destra e cinque a sinistra; in essi si lavava quanto si adoperava per l'olocausto. La vasca serviva alle abluzioni dei sacerdoti.
7Fece dieci candelabri d'oro, secondo la forma prescritta, e li pose nella navata: cinque a destra e cinque a sinistra.
8Fece dieci tavoli e li collocò nella navata, cinque a destra e cinque a sinistra.
9Fece il cortile dei sacerdoti, il gran cortile e le porte di detto cortile, che rivestì di bronzo.10Collocò la vasca dal lato destro, a sud-est.
11Curam fece le caldaie, le palette e gli aspersori. Egli portò a termine il lavoro, eseguito nel tempio per il re Salomone:12le due colonne, i due globi dei capitelli sopra le colonne, i due reticolati per coprire i globi dei capitelli sopra le colonne,13le quattrocento melagrane per i due reticolati, due file di melagrane per ogni reticolato per coprire i due globi dei capitelli sopra le colonne,14le dieci basi e i dieci recipienti sulle basi,15l'unica vasca e i dodici buoi sotto di essa,16le caldaie, le palette, i forchettoni e tutti gli accessori che Curam-Abi fece di bronzo splendido per il re Salomone per il tempio.17Il re li fece fondere nella valle del Giordano, nella fonderia, fra Succot e Zereda.18Salomone fece tutti questi oggetti in grande quantità da non potersi calcolare il peso del bronzo.
19Salomone fece tutti gli oggetti destinati al tempio: l'altare d'oro e le tavole, su cui si ponevano i pani dell'offerta,20i candelabri e le lampade d'oro da accendersi, come era prescritto, di fronte alla cella,21i fiori, le lampade e gli spegnitoi d'oro, di quello più raffinato,22i coltelli, gli aspersori, le coppe e i bracieri d'oro fino. Quanto alle porte del tempio, i battenti interni verso il Santo dei santi e i battenti della navata del tempio erano d'oro.
Salmi 103
1'Di Davide.'
Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
2Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.
3Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
4salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
5egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.
6Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli oppressi.
7Ha rivelato a Mosè le sue vie,
ai figli d'Israele le sue opere.
8Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
9Egli non continua a contestare
e non conserva per sempre il suo sdegno.
10Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.
11Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
12come dista l'oriente dall'occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
13Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.
14Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
15Come l'erba sono i giorni dell'uomo,
come il fiore del campo, così egli fiorisce.
16Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce.
17Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli,
18per quanti custodiscono la sua alleanza
e ricordano di osservare i suoi precetti.
19Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e il suo regno abbraccia l'universo.
20Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
21Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi ministri, che fate il suo volere.
22Benedite il Signore, voi tutte opere sue,
in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia.
Salmi 78
1'Maskil. Di Asaf.'
Popolo mio, porgi l'orecchio al mio insegnamento,
ascolta le parole della mia bocca.
2Aprirò la mia bocca in parabole,
rievocherò gli arcani dei tempi antichi.
3Ciò che abbiamo udito e conosciuto
e i nostri padri ci hanno raccontato,
4non lo terremo nascosto ai loro figli;
diremo alla generazione futura
le lodi del Signore, la sua potenza
e le meraviglie che egli ha compiuto.
5Ha stabilito una testimonianza in Giacobbe,
ha posto una legge in Israele:
ha comandato ai nostri padri
di farle conoscere ai loro figli,
6perché le sappia la generazione futura,
i figli che nasceranno.
Anch'essi sorgeranno a raccontarlo ai loro figli
7perché ripongano in Dio la loro fiducia
e non dimentichino le opere di Dio,
ma osservino i suoi comandi.
8Non siano come i loro padri,
generazione ribelle e ostinata,
generazione dal cuore incostante
e dallo spirito infedele a Dio.
9I figli di Èfraim, valenti tiratori d'arco,
voltarono le spalle nel giorno della lotta.
10Non osservarono l'alleanza di Dio,
rifiutando di seguire la sua legge.
11Dimenticarono le sue opere,
le meraviglie che aveva loro mostrato.
12Aveva fatto prodigi davanti ai loro padri,
nel paese d'Egitto, nei campi di Tanis.
13Divise il mare e li fece passare
e fermò le acque come un argine.
14Li guidò con una nube di giorno
e tutta la notte con un bagliore di fuoco.
15Spaccò le rocce nel deserto
e diede loro da bere come dal grande abisso.
16Fece sgorgare ruscelli dalla rupe
e scorrere l'acqua a torrenti.
17Eppure continuarono a peccare contro di lui,
a ribellarsi all'Altissimo nel deserto.
18Nel loro cuore tentarono Dio,
chiedendo cibo per le loro brame;
19mormorarono contro Dio
dicendo: "Potrà forse Dio
preparare una mensa nel deserto?".
20Ecco, egli percosse la rupe e ne scaturì acqua,
e strariparono torrenti.
"Potrà forse dare anche pane
o preparare carne al suo popolo?".
21All'udirli il Signore ne fu adirato;
un fuoco divampò contro Giacobbe
e l'ira esplose contro Israele,
22perché non ebbero fede in Dio
né speranza nella sua salvezza.
23Comandò alle nubi dall'alto
e aprì le porte del cielo;
24fece piovere su di essi la manna per cibo
e diede loro pane del cielo:
25l'uomo mangiò il pane degli angeli,
diede loro cibo in abbondanza.
26Scatenò nel cielo il vento d'oriente,
fece spirare l'australe con potenza;
27su di essi fece piovere la carne come polvere
e gli uccelli come sabbia del mare;
28caddero in mezzo ai loro accampamenti,
tutto intorno alle loro tende.
29Mangiarono e furono ben sazi,
li soddisfece nel loro desiderio.
30La loro avidità non era ancora saziata,
avevano ancora il cibo in bocca,
31quando l'ira di Dio si alzò contro di essi,
facendo strage dei più vigorosi
e abbattendo i migliori d'Israele.
32Con tutto questo continuarono a peccare
e non credettero ai suoi prodigi.
33Allora dissipò come un soffio i loro giorni
e i loro anni con strage repentina.
34Quando li faceva perire, lo cercavano,
ritornavano e ancora si volgevano a Dio;
35ricordavano che Dio è loro rupe,
e Dio, l'Altissimo, il loro salvatore;
36lo lusingavano con la bocca
e gli mentivano con la lingua;
37il loro cuore non era sincero con lui
e non erano fedeli alla sua alleanza.
38Ed egli, pietoso, perdonava la colpa,
li perdonava invece di distruggerli.
Molte volte placò la sua ira
e trattenne il suo furore,
39ricordando che essi sono carne,
un soffio che va e non ritorna.
40Quante volte si ribellarono a lui nel deserto,
lo contristarono in quelle solitudini!
41Sempre di nuovo tentavano Dio,
esasperavano il Santo di Israele.
42Non si ricordavano più della sua mano,
del giorno che li aveva liberati dall'oppressore,
43quando operò in Egitto i suoi prodigi,
i suoi portenti nei campi di Tanis.
44Egli mutò in sangue i loro fiumi
e i loro ruscelli, perché non bevessero.
45Mandò tafàni a divorarli
e rane a molestarli.
46Diede ai bruchi il loro raccolto,
alle locuste la loro fatica.
47Distrusse con la grandine le loro vigne,
i loro sicomori con la brina.
48Consegnò alla grandine il loro bestiame,
ai fulmini i loro greggi.
49Scatenò contro di essi la sua ira ardente,
la collera, lo sdegno, la tribolazione,
e inviò messaggeri di sventure.
50Diede sfogo alla sua ira:
non li risparmiò dalla morte
e diede in preda alla peste la loro vita.
51Colpì ogni primogenito in Egitto,
nelle tende di Cam la primizia del loro vigore.
52Fece partire come gregge il suo popolo
e li guidò come branchi nel deserto.
53Li condusse sicuri e senza paura
e i loro nemici li sommerse il mare.
54Li fece salire al suo luogo santo,
al monte conquistato dalla sua destra.
55Scacciò davanti a loro i popoli
e sulla loro eredità gettò la sorte,
facendo dimorare nelle loro tende le tribù di Israele.
56Ma ancora lo tentarono,
si ribellarono a Dio, l'Altissimo,
non obbedirono ai suoi comandi.
57Sviati, lo tradirono come i loro padri,
fallirono come un arco allentato.
58Lo provocarono con le loro alture
e con i loro idoli lo resero geloso.
59Dio, all'udire, ne fu irritato
e respinse duramente Israele.
60Abbandonò la dimora di Silo,
la tenda che abitava tra gli uomini.
61Consegnò in schiavitù la sua forza,
la sua gloria in potere del nemico.
62Diede il suo popolo in preda alla spada
e contro la sua eredità si accese d'ira.
63Il fuoco divorò il fiore dei suoi giovani,
le sue vergini non ebbero canti nuziali.
64I suoi sacerdoti caddero di spada
e le loro vedove non fecero lamento.
65Ma poi il Signore si destò come da un sonno,
come un prode assopito dal vino.
66Colpì alle spalle i suoi nemici,
inflisse loro una vergogna eterna.
67Ripudiò le tende di Giuseppe,
non scelse la tribù di Èfraim;
68ma elesse la tribù di Giuda,
il monte Sion che egli ama.
69Costruì il suo tempio alto come il cielo
e come la terra stabile per sempre.
70Egli scelse Davide suo servo
e lo trasse dagli ovili delle pecore.
71Lo chiamò dal seguito delle pecore madri
per pascere Giacobbe suo popolo,
la sua eredità Israele.
72Fu per loro pastore dal cuore integro
e li guidò con mano sapiente.
Ezechiele 40
1Al principio dell'anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci del mese, quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo giorno, la mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là.2In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno.3Egli mi condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, in piedi sulla porta, con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare.4Quell'uomo mi disse: "Figlio dell'uomo: osserva e ascolta attentamente e fa' attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui perché io te lo mostri e tu manifesti alla casa d'Israele quello che avrai visto".
5Ed ecco il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, d'un cubito e un palmo ciascuno. Egli misurò lo spessore del muro: era una canna, e l'altezza una canna.
6Poi andò alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era una canna di larghezza.7Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di larghezza, da una stanza all'altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia del portico dal lato dell'atrio della porta stessa, verso l'interno, era di una canna.8Misurò l'atrio della porta: era di otto cubiti;9i pilastri di due cubiti. L'atrio della porta era verso l'interno.
10Le stanze della porta a oriente erano tre da una parte e tre dall'altra, tutt'e tre della stessa grandezza, come di una stessa misura erano i pilastri da una parte e dall'altra.11Misurò la larghezza dell'apertura del portico: era di dieci cubiti; l'ampiezza della porta era di tredici cubiti.12Davanti alle stanze vi era un parapetto di un cubito, da un lato e dall'altro; ogni stanza misurava sei cubiti per lato.13Misurò poi il portico dal tetto di una stanza al suo opposto; la larghezza era di venticinque cubiti; da un'apertura all'altra;14i pilastri li calcolò alti sessanta cubiti, dai pilastri cominciava il cortile che circondava la porta.15Dalla facciata della porta d'ingresso alla facciata dell'atrio della porta interna vi era uno spazio di cinquanta cubiti.16Le stanze e i pilastri avevano finestre con grate verso l'interno, intorno alla porta, come anche vi erano finestre intorno che davano sull'interno dell'atrio. Sui pilastri erano disegnate palme.
17Poi mi condusse nel cortile esterno e vidi delle stanze e un lastricato costruito intorno al cortile; trenta erano le stanze lungo il lastricato.18Il lastricato si estendeva ai lati delle porte per una estensione uguale alla larghezza delle porte stesse: era il lastricato inferiore.19Misurò lo spazio dalla facciata della porta inferiore da oriente a settentrione alla facciata della porta interna, erano cento cubiti.
20Poi misurò la lunghezza e la larghezza della porta che guarda a settentrione e conduce al cortile esterno.21Le sue stanze, tre da una parte e tre dall'altra, i pilastri, l'atrio avevano le stesse dimensioni della prima porta: cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.22Le finestre, l'atrio e le palme avevano le stesse dimensioni di quelle della porta che guarda a oriente. Vi si accedeva per sette scalini: l'atrio era davanti.23Di fronte al portico di settentrione vi era la porta, come di fronte a quello di oriente; misurò la distanza fra portico e portico: vi erano cento cubiti.
24Mi condusse poi verso mezzogiorno: ecco un portico rivolto a mezzogiorno. Ne misurò i pilastri e l'atrio; avevano le stesse dimensioni.25Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre uguali alle altre finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.26Vi si accedeva per sette gradini: il vestibolo stava verso l'interno. Sui pilastri, da una parte e dall'altra, vi erano ornamenti di palme.27Il cortile interno aveva un portico verso mezzogiorno; egli misurò la distanza fra porta e porta in direzione del mezzogiorno; erano cento cubiti.
28Allora mi introdusse nell'atrio interno, per il portico meridionale, e misurò questo portico; aveva le stesse dimensioni.29Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le medesime misure. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.
30Intorno vi erano vestiboli di venticinque cubiti di lunghezza per cinque di larghezza.
31Il suo vestibolo era rivolto verso l'atrio esterno; sui pilastri c'erano ornamenti di palme; i gradini per i quali si accedeva erano otto.
32Poi mi condusse al portico dell'atrio interno che guarda a oriente e lo misurò: aveva le solite dimensioni.33Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.34Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno: sui pilastri, da una parte e dall'altra vi erano ornamenti di palme: i gradini per i quali si accedeva erano otto.
35Poi mi condusse al portico settentrionale e lo misurò: aveva le solite dimensioni,36come le stanze, i pilastri e l'atrio. Intorno vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.37Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno; sui pilastri, da una parte e dall'altra, c'erano ornamenti di palme: i gradini per cui vi si accedeva erano otto.
38C'era anche una stanza con la porta vicino ai pilastri dei portici; là venivano lavati gli olocausti.39Nell'atrio del portico vi erano due tavole da una parte e due dall'altra, sulle quali venivano sgozzati gli olocausti e i sacrifici espiatori e di riparazione.40Altre due tavole erano sul lato esterno, a settentrione di chi entra nel portico, e due tavole all'altro lato presso l'atrio del portico.41Così a ciascun lato del portico c'erano quattro tavole da una parte e quattro tavole dall'altra: otto tavole in tutto. Su di esse si sgozzavano le vittime.42C'erano poi altre quattro tavole di pietre squadrate, per gli olocausti, lunghe un cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito: su di esse venivano deposti gli strumenti con i quali si immolavano gli olocausti e gli altri sacrifici.43Uncini d'un palmo erano attaccati all'interno tutt'intorno; sulle tavole si mettevano le carni delle offerte.
44Fuori del portico interno, nell'atrio interno, vi erano due stanze: quella accanto al portico settentrionale guardava a mezzogiorno, l'altra accanto al portico meridionale guardava a settentrione.45Egli mi disse: "La stanza che guarda a mezzogiorno è per i sacerdoti che hanno cura del tempio,46mentre la stanza che guarda a settentrione è per i sacerdoti che hanno cura dell'altare: sono essi i figli di Zadòk che, tra i figli di Levi, si avvicinano al Signore per il suo servizio".
47Misurò quindi l'atrio: era un quadrato di cento cubiti di larghezza per cento di lunghezza. L'altare era di fronte al tempio.
48Mi condusse poi nell'atrio del tempio e ne misurò i pilastri: erano ognuno cinque cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra; la larghezza del portico: tre cubiti da una parte e tre cubiti dall'altra.49La lunghezza del vestibolo era di venti cubiti e la larghezza di dodici cubiti. Vi si accedeva per mezzo di dieci gradini; accanto ai pilastri c'erano due colonne, una da una parte e una dall'altra.
Prima lettera a Timoteo 4
1Lo Spirito dichiara apertamente che negli ultimi tempi alcuni si allontaneranno dalla fede, dando retta a spiriti menzogneri e a dottrine diaboliche,2sedotti dall'ipocrisia di impostori, già bollati a fuoco nella loro coscienza.3Costoro vieteranno il matrimonio, imporranno di astenersi da alcuni cibi che Dio ha creato per essere mangiati con rendimento di grazie dai fedeli e da quanti conoscono la verità.4Infatti tutto ciò che è stato creato da Dio è buono e nulla è da scartarsi, quando lo si prende con rendimento di grazie,5perché esso viene santificato dalla parola di Dio e dalla preghiera.
6Proponendo queste cose ai fratelli sarai un buon ministro di Cristo Gesù, nutrito come sei dalle parole della fede e della buona dottrina che hai seguito.7Rifiuta invece le favole profane, roba da vecchierelle.
8Esèrcitati nella pietà, perché l'esercizio fisico è utile a poco, mentre la pietà è utile a tutto, portando con sé la promessa della vita presente come di quella futura.9Certo questa parola è degna di fede.10Noi infatti ci affatichiamo e combattiamo perché abbiamo posto la nostra speranza nel Dio vivente, che è il salvatore di tutti gli uomini, ma soprattutto di quelli che credono.11Questo tu devi proclamare e insegnare.
12Nessuno disprezzi la tua giovane età, ma sii esempio ai fedeli nelle parole, nel comportamento, nella carità, nella fede, nella purezza.13Fino al mio arrivo, dèdicati alla lettura, all'esortazione e all'insegnamento.14Non trascurare il dono spirituale che è in te e che ti è stato conferito, per indicazioni di profeti, con l'imposizione delle mani da parte del collegio dei presbiteri.15Abbi premura di queste cose, dèdicati ad esse interamente perché tutti vedano il tuo progresso.16Vigila su te stesso e sul tuo insegnamento e sii perseverante: così facendo salverai te stesso e coloro che ti ascoltano.
Capitolo X: La santa Comunione non va tralasciata con leggerezza
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1. A questa sorgente della grazia e della misericordia divina, a questa sorgente della bontà e di ogni purezza devi ricorrere frequentemente, fino a che tu non riesca a guarire dalle tue passioni e dai tuoi vizi; fino a che tu non ottenga di essere più forte e più vigilante contro tutte le tentazioni e gli inganni del diavolo. Questi, il nemico, ben sapendo quale sia il beneficio e il rimedio grande insito nella santa Comunione, tenta in ogni modo e in ogni momento di ostacolare, per quanto può, le anime fedeli e devote, distogliendole da essa. Taluni, infatti, quando vogliono prepararsi alla santa Comunione, subiscono i più forti assalti del demonio. Lo spirito del male - come è detto nel libro di Giobbe (1,6; 2,1) - viene in mezzo ai figli di Dio, per turbarli, con la consueta sua perfidia, e per renderli troppo timorosi e perplessi, finché non abbia affievolito il loro slancio o abbia loro strappato, di forza, la fede: nella speranza che essi lascino del tutto la Comunione o vi si accostino con poco fervore. Ma non ci si deve curare per nulla delle sue astuzie e delle sue suggestioni, per quanto turpi e terrorizzanti, Su di lui bisogna ritorcere le immaginazioni che provengono da lui. Va disprezzato e deriso, quel miserabile. Per quanti assalti egli compia e per quante agitazioni egli susciti, la santa Comunione non deve essere tralasciata. Talora avviene che siano di ostacolo alla Comunione persino una eccessiva preoccupazione di essere sufficientemente devoti e una certa angustia dubbiosa sul confessarsi. Ma tu agisci secondo il consiglio dei saggi, tralasciando ansie e scrupoli, che costituiscono impedimento alla grazia divina e distruggono lo spirito di devozione. Non lasciare la santa Comunione, per ogni piccola difficoltà o stanchezza. Ma va subito a confessarti e perdona di cuore agli altri ogni offesa ricevuta; che se tu hai offeso qualcuno e chiedi umilmente scusa, il Signore prontamente avrà misericordia di te.
2. Che giova ritardare tanto la confessione o rimandare la santa Comunione? Purificati al più presto; sputa subito il veleno; corri a prendere il rimedio: ti sentirai meglio che se tu avessi differito tutto ciò. Se oggi, per una piccola cosa, rinunci, domani forse accadrà qualcosa di più grave: così ti potrebbe essere impossibile per lungo tempo, la Comunione e potresti diventare ancora più indegno. Scuotiti al più presto dalla stanchezza e dall'inerzia, in cui oggi ti trovi: non serve a nulla restare a lungo nell'ansietà e tirare avanti nel turbamento, separandoti, in tal modo, per questi quotidiani ostacoli, dalle cose divine. Anzi è molto dannoso rimandare tanto la Comunione, perché ciò suole anche ingenerare grave torpore. Avviene persino - cosa ben dolorosa - che taluni, nella loro tiepidezza e leggerezza, accettino di buon grado questi ritardi della confessione, e desiderino di ritardare così la santa Comunione, proprio per non essere obbligati a una più severa custodia di sé. Oh!, come è scarso l'amore, come è fiacca la devozione di coloro che rimandano tanto facilmente la Comunione. E come è felice e caro a Dio colui che vive in modo da custodire la sua coscienza in una tale limpidezza da essere pronto e pieno di desiderio di comunicarsi anche ogni giorno, se gli fosse consentito e se potesse farlo senza essere criticato. Se uno qualche volta si astiene dalla Comunione per umiltà, o per un giusto impedimento, gli va data lode, a causa del suo rispettoso timore. Se invece fa questo per una sorta di torpore, che si è insinuato in lui, deve scuotersi e agire, quanto gli è possibile: il Signore aderirà al suo desiderio, grazie alla buona volontà, alla quale Dio guarda in modo speciale.
3. Se, invece, uno è trattenuto da ragioni valide, ma avrà la buona volontà e la devota intenzione di comunicarsi, costui non mancherà dei frutti del Sacramento. Giacché ognuno che abbia spirito di devozione può, in ogni giorno e in ogni ora, darsi salutarmente, senza che alcuno glielo impedisca, alla comunione spirituale con Cristo; pur dovendo, in certi giorni e nel tempo stabilito, con reverente affetto, prendere sacramentalmente in cibo il corpo del suo Redentore, mirando più a dare lode e onore a Dio che ad avere consolazione per sé. Infatti questo invisibile ristoro dell'anima, che è la comunione spirituale, si ha ogni volta che uno medita con devozione il mistero dell'incarnazione e della passione di Cristo, accendendosi di amore per lui. Chi si prepara soltanto perché è imminente il giorno festivo, o perché la consuetudine lo sospinge, è per lo più tutt'altro che pronto. Beato colui che si offre a Dio in sacrificio ogni qualvolta celebra la Messa o si comunica.
4. Nel celebrare, non essere né troppo prolisso né troppo frettoloso; ma osserva il ragionevole uso, comune a coloro con i quali ti trovi a vivere. Non devi, infatti, ingenerare in altri fastidio e noia; devi mantenere invece la via consueta, secondo la volontà dei superiori, e badare più all'utile degli altri, che alla tua devozione e al tuo sentimento.
Diciassette Questioni sul Vangelo di Matteo
Sant'Agostino - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaQUESTIONE 1. Nell’espressione: Furono uccisi dei bambini da due anni in giù, si allude agli umili che hanno la carità nel suo duplice aspetto 1; e si dice che essi, come quei bambini di due anni, sono in grado di morire per Cristo.
2. Quello che vi dico nelle tenebre, cioè mentre vi possiede ancora il timore carnale (poiché il timore si ha quando ci sono le tenebre), ditelo nella luce, cioè animati dalla fiducia nella verità che avrete una volta ricevuto lo Spirito Santo. E ciò che ascoltate all’orecchio predicatelo sopra i tetti. Significa che quanto avete udito nel segreto predicatelo mettendovi sotto i piedi la dimora della corporeità.
3. Non crediate che sia venuto a recare la pace sulla terra. Non sono venuto a recare la pace ma la spada. Sono venuto infatti a separare l’uomo da suo padre: cosa che avviene quando uno rinunzia al diavolo, che antecedentemente era stato suo padre 2. E la figlia da sua madre, cioè il popolo di Dio dalla città terrestre, intendendo con essa la disgraziata struttura sociale dell’umanità, che la Scrittura chiama ora Babilonia, ora Egitto, ora Sodoma 3 o in altre ed altre maniere. E la nuora dalla suocera, cioè la Chiesa dalla Sinagoga, anche se questa partorì secondo la carne Cristo 4, sposo della Chiesa. Tale divisione poi si effettua mediante la spada dello Spirito, che è la parola di Dio 5. E i domestici dell’uomo diverranno suoi nemici. Li chiama domestici perché antecedentemente condivideva con loro lo stesso genere di vita.
4. Disceso dal monte, dove aveva impartito precetti ai discepoli e alla folla 6, stese la mano e immediatamente risanò un lebbroso. Vuol significare che quanti dubitavano di poter eseguire quelle ingiunzioni egli col suo aiuto li purifica da tale lebbra.
5. Il Signore disse allo scriba che voleva seguirlo: Le volpi hanno le tane e gli uccelli del cielo i ripari, mentre il Figlio dell’uomo non ha dove poggiare il capo. Ci si lascia intendere che quel tale voleva seguire il Signore perché impressionato dai suoi miracoli; era tuttavia mosso anche da vana ostentazione, raffigurata appunto dagli uccelli. Egli poi fece mostra di quel rispetto che sogliono avere i discepoli, finzione significata dal nome di volpi. Viceversa, nel presentarsi come uno che china la testa il Signore allude alla propria umiltà, dote che mancava completamente a quell’uomo finto e superbo.
6. Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti. Chiama morti i non credenti, e loro morti coloro che, nonostante tutto, se ne erano andati da questo mondo privi di fede.
7. Scuotete la polvere dai vostri piedi. Ciò a conferma del lavoro materiale cui si erano inutilmente sobbarcati per il bene degli uditori o anche come segno che essi non cercavano da loro alcun vantaggio materiale, tanto che non tolleravano nemmeno che la polvere della loro terra si attaccasse ai propri piedi.
8. Siate dunque prudenti come i serpenti, quando si tratta d’evitare il male per salvaguardare il capo, cioè Cristo 7. Il serpente infatti, a chi infierisce contro di lui, presenta tutto il resto del corpo ma non la testa. Il medesimo serpente poi si caccia in spazi ristretti per deporre la pelle vecchia e così rinnovarsi: la qual cosa fanno quando, imitando coloro ai quali è stato detto: Entrate per la porta stretta 8, depongono l’uomo vecchio 9. Se infatti avesse voluto esortarli ad opporre una resistenza violenta ai cattivi e così evitare il male, non avrebbe detto in antecedenza: Io vi mando come pecore in mezzo ai lupi. Volle ancora che fossero semplici come colombe, nel senso che non avrebbero dovuto nuocere a nessuno. Questo genere di uccelli infatti non uccide assolutamente nessun animale: non solo tra i grandi, contro i quali non ha forze sufficienti, ma nemmeno fra i più piccoli, dei quali invece si nutrono perfino i passeri, sebbene siano anche loro assai piccoli. C’è quindi anche fra gli animali irragionevoli una specie di vicendevole società, come ce n’è una propria fra gli esseri razionali, cioè gli uomini, associati non solo tra loro ma anche con gli angeli. Imparino dunque gli uomini dall’immagine della colomba a non nuocere assolutamente a nessuno fra quanti appartengono alla loro società in quanto partecipe della stessa natura razionale.
9. Confesso a te, Padre, Signore del cielo e della terra. Notare come qui si parli di una confessione di lode a Dio. Il Signore infatti non confessava i suoi peccati poiché non ne aveva nessuno 10 e per di più perché un altro evangelista ci dice che egli pronunziò tali parole esultando 11. Del resto le stesse parole che pronuncia non permettono di dubitare che siano state dette a lode di Dio. Ne segue che, quando la Scrittura parla di confessione, ne parla in senso generico per dire che una cosa è enunziata in forma palese, cioè così come la si vede. Così è delle parole: Se uno mi confesserà dinanzi agli uomini, anch’io lo confesserò dinanzi al Padre mio 12, o come si legge altrove: Dinanzi agli angeli di Dio 13. È ovvio che chi confessa Cristo non confessa i peccati. E se qualcuno pensasse che si parli di confessione perché al tempo delle persecuzioni nominare Cristo era considerato un delitto, forse che anche Cristo confessa in questo senso, dinanzi al Padre o dinanzi agli angeli, la persona che lo ha confessato? Inoltre c’è da ricordare il testo dell’Ecclesiastico: Nella vostra confessione direte così: Tutte le opere del Signore sono infinitamente buone 14. È indubitato che in questo passo si esaltano le lodi di Dio. Dico questo riferendomi all’ignoranza di certi fratelli che, quando nella lettura ascoltano il termine confessione subito si battono il petto, senza badare al senso del testo e ritenendo che non ci possa essere altra confessione se non quella dei peccati.
10. Sul fatto che i giudei ritennero illecito l’operato dei discepoli quando, in giorno di sabato, strapparono le spighe. Notare che a loro fu replicato con un primo esempio, preso da Davide cioè dall’autorità regale, e poi con un altro, preso dall’autorità sacerdotale cioè da quei sacerdoti che nell’esercizio del loro ministero nel tempio contravvengono alle norme sul sabato. Ne derivava che l’avere strappato le spighe di sabato era una colpa ancora meno grave per lui, vero re e vero sacerdote, e quindi padrone del sabato.
11. 1. Mentre gli uomini dormivano venne un suo nemico e in mezzo al grano gettò i semi della zizzania e se ne andò. In un tempo in cui le persone poste a capo della Chiesa agivano con negligenza, o anche dopo che gli apostoli si furono addormentati nella morte, venne il diavolo e buttò la semente di quella genìa che il Signore denomina figli cattivi. Al riguardo è giusto chiedersi se si tratti degli eretici o dei cattolici dalla cattiva condotta. Potrebbero infatti chiamarsi figli cattivi anche gli eretici perché traggono origine dallo stesso seme del Vangelo e portano il nome di Cristo, anche se poi per opinioni devianti aderiscono a dogmi falsi. Tuttavia, siccome precisa che sono seminati in mezzo al grano, sembrerebbe piuttosto che vi si rappresentino coloro che vivono nella stessa comunione. In direzione opposta orienta però il fatto che il Signore, spiegando cosa sia il campo, dice che non è la Chiesa ma il mondo: per cui nella zizzania si possono vedere gli eretici i quali, sebbene in questo mondo non siano mescolati ai buoni 15 per l’appartenenza all'unica Chiesa o per la professione dell'unica fede, lo sono tuttavia perché portano lo stesso nome di cristiani. Quanto poi a coloro che vivono male pur professando la stessa fede cattolica, li si deve identificare con la paglia piuttosto che con la zizzania, poiché la paglia ha in comune con il frumento anche lo stelo e la radice. Mi sembra pertanto non assurdo se in quella rete dove sono inclusi pesci buoni e pesci cattivi 16 questi ultimi li si identifichi con i cattivi cattolici. Una cosa infatti è il mare, che simboleggia questo mondo, e un’altra la rete, che, a quanto sembra, rappresenta la comunione nell'unica fede e nell'unica Chiesa. Tra gli eretici e i cattivi cattolici infatti c’è questa differenza: gli eretici credono in false dottrine, gli altri, pur credendo nella verità, non vivono in conformità con la loro fede.
11. 2. Si suole indagare sulla differenza fra scismatici ed eretici. La conclusione è che si diventa scismatici non perché si crede in verità differenti ma perché si rompe l’unità della comunione. E si può dubitare se gli scismatici siano o no da computarsi tra la zizzania. Sembrerebbero infatti rassomigliare di più alle spighe guaste, di cui sta scritto: Il figlio cattivo sarà guastato dal vento 17, ovvero anche agli steli staccati dalla spiga o rotti e avulsi dalla pianta, i quali più sono alti, cioè superbi, più sono fragili e sottili. Da ciò tuttavia non segue che ogni eretico o scismatico sia corporalmente separato dalla Chiesa. Ecco, ad esempio, uno che ha false idee su Dio o su qualche altro articolo della dottrina che rientra nell’edificio della fede 18. In ciò egli non si modera rimanendo nell’atteggiamento di attesa proprio di chi è in ricerca, ma dissente con la convinzione erronea di uno che crede indubitatamente, pur non comprendendo nulla di nulla. Costui è un eretico, e con l’animo è fuori, sebbene corporalmente sembri dentro. E di gente simile la Chiesa ne contiene molta, e sono tutti coloro che difendono la loro falsa dottrina senza richiamare l’attenzione del pubblico, poiché se facessero anche questo sarebbero espulsi. Analogamente è di coloro che, odiando i buoni, cercano tutte le occasioni per farli escludere o degradare e sono pronti a difendere ad ogni costo i loro crimini. Se tali colpe vengono scoperte e loro rinfacciate, essi pensano di dover suscitare conventicole di separatisti e sommosse nella Chiesa. Ebbene, costoro sono già scismatici e nel cuore separati dall’unità ecclesiale, anche se, per mancanza di occasioni o perché sanno nascondere le loro malefatte, rimangono nella disciplina esterna uniti al sacramento della Chiesa.
11. 3. A parlare quindi con proprietà, sono cattolici, anche se cattivi, coloro che in materia di fede credono conforme a verità e in ciò che eventualmente non sanno si ritengono in obbligo di fare ricerche e discuterne col dovuto rispetto, senza mai contrapporsi alla verità. Essi inoltre amano i buoni e coloro che ritengono buoni; li amano e come meglio possono li onorano, anche se poi in concreto essi stessi vivono in gravi abusi o delitti, in opposizione con il genere di vita che secondo la loro fede dovrebbero condurre. Costoro, se vengono pubblicamente accusati o corretti o magari anche scomunicati, conforme esigono la disciplina della Chiesa e la loro salvezza eterna, non pensano affatto essere il caso d’interrompere la comunione con la Chiesa cattolica ma cercano il modo di riparare il male, qualunque sia il genere di penitenza che viene loro assegnato. Attraverso questa penitenza succede a volte che si cambino in buon frumento: cosa che avviene mediante la correzione o la segregazione o magari solo perché spaventati dalla parola di Dio, senza che alcun uomo intervenga direttamente accusandoli o rimproverandoli. Succede anche, a volte, che nella stessa condizione di penitenti seguitino a vivere com’erano soliti o non molto meno, alcuni anzi peggio; tuttavia in nessun modo si separano dall’unità cattolica. Che se la morte li sorprende in questo loro genere di vita, sono da ritenersi paglia che brucerà sino alla fine. Di questo sono persuasi loro stessi poiché se pensassero diversamente e a tale opinione fossero tenacemente attaccati, sarebbero per ciò stesso da collocarsi fra gli eretici. Riterrebbero infatti che alla fine Dio accorderà il perdono a tutti, anche a coloro che rimangono ostinatamente e sino alla fine della vita in gravi colpe, per il solo fatto che si sono mantenuti nell’unità della Chiesa mossi non da un amore sincero - altrimenti comincerebbero a vivere bene - ma piuttosto dal timore del castigo. Costoro dunque non credono a cose come queste né in ciò è ferma la loro convinzione, anche se forse ciò si chiedono in forma dubitativa. Quel che li fa cadere in errore è la speranza d’avere del tempo. Credono di vivere a lungo e così poter cambiare in meglio i loro perversi costumi. Contro di loro è detto: Non tardare a convertirti a Dio né rimandarlo di giorno in giorno; improvvisa infatti sopraggiungerà la sua ira e nel tempo della vendetta ti spazzerà via 19. Ora questo convertirsi è attuato da coloro che cominciano a vivere bene, poiché convertirsi è tornare a Dio. Al contrario coloro che seguono le loro concupiscenze e non se ne staccano, in certo qual modo volgono a Dio le spalle 20, sebbene per il fatto di rimanere nell’unità della Chiesa spesso tentano di guardare a lui, sia pure a collo torto. In realtà anche costoro, come afferma il profeta, sono carne e spirito che passano e non ritornano 21; tuttavia, come si diceva sopra, e per l’identità della fede e per l’unità ecclesiale non si possono collocare fra la zizzania, la quale ha radici estranee. E non si possono collocare nemmeno tra la paglia delle spighe, dal momento che con aspri dissensi e grande, per quanto fragile, superbia osano sovrapporsi al buon grano. Sebbene quindi siano la stoppia sistemata in basso nello stelo del frumento, occorrerà comunque annoverarli fra quella paglia che verrà separata nell’ultima trebbiatura 22.
11. 4. Buoni cattolici sono coloro che posseggono una fede integra e buoni costumi. Quanto alla dottrina della fede, se sorge in loro un qualche problema, fanno le debite ricerche evitando ogni alterco che sia pericoloso o a chi chiede la spiegazione o a colui al quale la chiede o a coloro che ascoltano il dibattito. Se invece hanno un qualche insegnamento da impartire, quando si tratta di cose già entrate nell’uso e assodate, le presentano con grande sicurezza, molto risolutamente e usando tutta la dolcezza possibile. Se viceversa si tratta di cose nuove, anche se loro personalmente le hanno comprese mediante una indubitata penetrazione della verità, tuttavia per la debolezza dell’uditore le insegnano come chi è in ricerca e non come uno che detta legge o parla da maestro. In effetti se una verità è così carica di significato da superare le capacità di chi la deve apprendere, bisogna interrompersi finché non sia maturo colui che sta crescendo; né deve succedere che la verità imposta schiacci chi è ancora bambino. A ciò si riferisce il detto del Signore: Cosa credi? Quando il Figlio dell’uomo verrà, troverà la fede sulla terra? 23 A volte occorre anche tenere nascosta [la verità], esortando però [gli uditori] e infondendo loro speranza, affinché la mancanza di fiducia non li raffreddi ma il desiderio li dilati. Fa a proposito il detto del Signore: Avrei da dirvi molte cose, ma per il momento non siete in grado di sostenerle 24. Riguardo poi alla condotta, ecco espresso con esattezza e brevità quel che bisogna dire: Occorre lottare contro l’amore per i beni terreni perché non prenda il sopravvento; lo si deve anzi domare e assoggettare perché, nel caso che tenti di sollevarsi, lo si reprima con facilità, o lo si estingua al punto che non sollevi in nessuna maniera i suoi moti. Con ciò si spiega il fatto che per la verità alcuni affrontano la morte con coraggio, alcuni solo rassegnati, mentre altri con animo lieto. Questi tre comportamenti sono le tre misure diverse del terreno fertile: del trenta, del sessanta e del cento per uno 25. In una di queste tre categorie deve trovarsi al momento della morte chiunque si propone di passare degnamente da questa all’altra vita.
11. 5. Prima di tutto è necessario sopportare la zizzania fino al tempo della mietitura: dove per zizzania intendiamo il seme gettato in un secondo momento dal diavolo, quando cioè egli sparse perniciosi errori e false dottrine o, in altre parole, disseminò le eresie là dove era stato predicato il nome di Cristo. Questo egli fece di nascosto e poi si rese totalmente occulto, come dice il testo: Egli si dileguò. Fino alla trebbiatura 26 occorre però sopportare anche la paglia. Non c’è infatti modo più valido per provare il peso del frumento che l’essere agitato dalla paglia. Se tali urti non si possono evitare difendendo la verità, li si deve tollerare per conservare l’unità. Per questo il Signore, nella conclusione della parabola, dà ad intendere che col nome di zizzania si indicano non alcuni ma tutti gli scandali e tutti coloro che operano l’iniquità.
11. 6. Quando crebbero le pianticelle e produssero il frutto, allora apparve anche la zizzania. Si riferisce all’uomo che, quando comincia ad essere spirituale e quindi capace di giudicare ogni cosa 27, comincia anche ad accorgersi degli errori. Ma i servi gli dissero: Vuoi che andiamo a raccoglierla? Questi servi saranno forse coloro che un po’ dopo chiamerà mietitori? Nella spiegazione della parabola egli però disse che i mietitori sono gli angeli. E allora chi oserà dire, senza essere tacciato di faciloneria, che gli angeli non sapevano chi avesse seminato la zizzania e che questa apparve loro solo quando lo stelo produsse il frutto? O non bisognerà piuttosto intendere che in questo passo col nome di servi si indichino gli stessi fedeli, che vengono designati anche col nome di buon seme? Non è strano che gli stessi individui vengano chiamati e buon seme e servi del padrone di casa. Basti pensare che il Signore, parlando di se stesso, dice che è la porta e nello stesso tempo il pastore 28. Presa con significati diversi una stessa cosa può usarsi per parecchie e differenti similitudini. Inoltre, riguardo ai servi di cui sopra, notiamo che, rivolgendo loro la parola, non dice: Nel tempo della mietitura vi dirò: Raccogliete prima la zizzania, ma: Dirò ai mietitori. Da cui si comprende che l’incarico di raccogliere la zizzania e bruciarla è diverso dall’altro e che nessun figlio della Chiesa deve presumere che questo incarico spetti a lui.
11. 7. Ne consegue che quando uno entra nel numero degli spirituali, si accorge subito degli errori in cui incappano gli eretici, e li giudica con competenza sapendo distinguere, per averlo udito o letto, quanto ripugna con la norma della verità. Tuttavia, finché non abbia raggiunto la perfezione propria degli stessi spirituali e in certo qual modo non diventi frutto maturo quello che lo stelo ha prodotto, può restare sorpreso di come mai sotto il nome cristiano siano potuti sorgere tanti eretici e tante falsità. È questo il motivo per cui i servi chiesero: Non hai tu forse seminato del buon seme nel tuo campo? Come dunque c’è la zizzania? In un secondo momento quell’uomo s’accorge che si tratta di una truffa del diavolo, il quale, sentendosi impotente di fronte all’autorità del nome di Cristo, nascose le sue menzogne sotto il nome di lui. Al che può sorgere nel suo cuore la voglia di spazzar via di fra mezzo agli uomini e alle loro attività individui di questa fatta, sempre supponendo che il tempo glielo consenta. Prima tuttavia di stabilire se abbia l’obbligo di fare ciò, egli consulta Dio e la sua giustizia per vedere se glielo comanda o permetta e se voglia che un tale compito spetti o no agli uomini. In ordine a questo i servi chiedono: Vuoi che andiamo a raccoglierla? Ad essi la verità personificata risponde che nella vita presente l’uomo mai può esser certo di come sarà in seguito colui che al momento attuale vede essere nell’errore né quale utilità possa ricavarsi dal suo errore per il progresso dei buoni. Pertanto non bisogna eliminare i cattivi durante la vita presente, perché non succeda che, mentre si tenta di uccidere i cattivi, si uccidano i buoni, quali loro stessi potrebbero diventare, o si danneggino quei buoni, ai quali anche se loro malgrado essi arrecano dei vantaggi. Questa eliminazione è giusto che avvenga alla fine, quando non c’è più tempo per cambiar vita o per penetrare meglio la verità in base e mediante il confronto con l’errore altrui. Allora però questa mansione non sarà più espletata da uomini ma da angeli. Per questo motivo il padrone risponde: No, perché non succeda che raccogliendo la zizzania sradichiate anche il frumento; ma nel tempo della mietitura dirò ai mietitori, ecc. In tal modo li rende pazientissimi e tranquillissimi.
11. 8. Un problema può porsi circa le parole: Legatela in piccoli fasci e bruciatela, e cioè perché non abbia detto di fare della zizzania un unico fascio o mucchio. L’affermazione sembra motivata dalla diversità delle eresie, che differiscono non solo dal buon grano ma anche fra loro. Egli pertanto col nome di piccoli fasci volle rappresentare le congreghe proprie di ciascuna eresia, stretti come sono fra loro nella propria comunione i singoli eretici. In vista di ciò essi già al presente cominciano ad essere legati per la condanna al fuoco eterno. Ciò avviene già quando, separandosi dalla comunione cattolica, cominciano ad avere le loro proprie chiese, per chiamarle così. Se pertanto la loro condanna al fuoco avverrà alla fine dei tempi, la legatura in fasci avviene adesso. Tuttavia, se le cose stessero realmente così, non ci potrebbero essere quei tanti che rinsavendo e tornando alla Chiesa cattolica si distaccano dall’errore. Per cui è da concludersi che anche l’essere legati in fasci avverrà alla fine, con la conseguenza che la punizione non avverrà in maniera indiscriminata ma secondo la perversione di ciascuno e la pertinacia con cui ritenne l’errore.
11. 9. Perché non succeda che, raccogliendo la zizzania, sradichiate anche il buon grano. Può per un verso significare che anche i buoni, quando sono ancora deboli, per qualche verso hanno bisogno della presenza dei cattivi: o perché siano messi alla prova o perché dal confronto con i cattivi ricavino uno stimolo pressante a tendere al meglio. Se infatti venissero eliminati i cattivi, la grandezza della carità, come sradicata, si affloscerebbe: e ciò appunto significa il termine sradicare, come l’intende anche l’Apostolo quando scrive: Radicati e fondati nella carità, possiate comprendere 29. Per un altro verso però potrebbe dirsi che il buon grano viene sradicato quando si va a togliere la zizzania: e cioè in relazione al fatto che molti in un primo tempo sono zizzania e solo più tardi diventano buon grano. Ora, se costoro quando sono cattivi non li si tollerasse con pazienza, non giungerebbero al cambiamento in meglio che elogiamo. Se fossero stati strappati prima, si sarebbe sradicato anche il buon grano: ciò infatti essi sarebbero diventati se non fossero stati recisi.
12. [13.] Il Regno dei cieli è simile a un mercante che va in cerca di perle preziose. Trovata una perla preziosa, se ne va, vende tutto ciò che possiede e la compra. Fa problema il passaggio dal numero plurale al singolare: quell’uomo, che cercava perle preziose, ne trova una veramente di gran pregio e, venduto tutto ciò che possedeva, la compra. Questo tale, dunque, nel ricercare uomini buoni con i quali vivere con profitto, ne incontra soprattutto uno che è senza alcun peccato 30: il mediatore fra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù 31. Forse anche egli era alla ricerca di precetti, osservando i quali potesse comportarsi bene con gli uomini, e incontrò l’amore del prossimo, nel quale da solo, al dire dell’Apostolo, sono contenuti tutti gli altri. Infatti non uccidere, non commettere adulterio, non rubare, non dire falsa testimonianza e ogni altro comandamento sono le singole perle che si riassumono in questa massima: Ama il prossimo tuo come te stesso 32. O, forse, si tratta di un uomo che è alla ricerca di concetti intellegibili e trova colui nel quale tutti sono contenuti, cioè il Verbo, che era in principio, era presso Dio ed era Dio 33: il Verbo luminoso per lo splendore della verità, stabile perché immutabile nella sua eternità e sotto ogni aspetto simile a se stesso per la bellezza della divinità: quel Verbo che quanti riescono a oltrepassare la copertura della carne identificano con Dio. C’è stato infatti un uomo che raggiunse questa perla, per un certo tempo nascosta negli spessi veli della mortalità che ne ostacolava la vista come un guscio e la cacciava nelle profondità del secolo presente e tra la durezza dei giudei, paragonabile a quella della pietra. Quest’uomo dunque, che aveva toccato con mano quella perla è colui che poteva dire: Che se anche abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, ora non lo conosciamo più così 34. In effetti nessuna concezione merita assolutamente il nome di perla all’infuori di quella a cui si perviene eliminando tutti gli involucri terreni. Dico di ciò che lo copre a motivo di parole umane o di similitudini artefatte, per cui non è dato vederlo con certezza di motivazioni puro, solido e mai diverso da sé. Ora tutti i concetti veri, stabili e perfetti li contiene quell’unico Verbo, ad opera del quale sono state fatte tutte le cose35, e cioè il Verbo di Dio. Ognuna di queste tre spiegazioni, come pure altre che possano venire in mente, è ben raffigurata dall’unica perla preziosa della quale siamo prezzo noi stessi. Per ottenere però il suo possesso noi non siamo liberi ma dobbiamo conseguire la nostra liberazione disprezzando tutto ciò che possediamo a livello materiale. Vendendo queste nostre cose non ricaviamo alcun compenso maggiore del possesso di noi stessi, i quali quando eravamo impastoiati in cose materiali non eravamo di nostra proprietà. Diamo dunque noi stessi in cambio di quella perla, non perché tale è il suo valore ma perché noi non possiamo dare di più.
13. 1. [14.] E chiusero i loro occhi per non vedere con gli occhi. Vuol dire che essi furono la causa per cui Dio chiuse loro gli occhi. Dice infatti un altro evangelista: Accecò i loro occhi. Ma questo accadde perché non vedessero mai o perché ad un certo momento avessero a vedere? Rammaricandosi cioè della loro cecità e di ciò addolorati, umiliati e presi da inquietudine si sarebbero indotti a confessare i propri peccati e a cercare fiduciosamente Dio. Marco infatti si esprime così: Affinché non succeda che una buona volta si convertano e vengano loro rimessi i peccati 36, dove si lascia intendere che essi con i loro peccati avevano meritato di non capire. Ciò tuttavia fu un tratto di misericordia loro usato perché riconoscessero i propri peccati e convertendosi meritassero il perdono. Riferendosi allo stesso detto Giovanni scrive: Non potevano credere perché a più riprese Isaia aveva detto: Egli accecò i loro occhi e indurì il loro cuore affinché non vedessero con gli occhi né credessero col cuore e si convertissero e io li potessi guarire 37. L’affermazione sembra contrastare con la soluzione proposta ed escluderla del tutto, per cui le parole del Vangelo: Affinché non succeda che abbiano a vedere con gli occhi non si dovrebbero intendere nel senso che " almeno così una buona volta vedano con gli occhi ", ma in maniera radicale: " Essi non potranno mai vedere ". Dice infatti espressamente: Per questo essi non vedranno con gli occhi. E anche l’altra espressione: Per questo non potevano credere mostra con sufficiente chiarezza che il loro accecamento non avvenne perché, sconvolti e addolorati del fatto di non riuscire a comprendere, alla fine si sarebbero pentiti e ravveduti. Questo infatti non sarebbe potuto avvenire senza la fede: credendo si sarebbero convertiti, convertiti sarebbero stati risanati, sanati avrebbero compreso. Viceversa, essi furono effettivamente accecati e così non poterono credere. Dice infatti apertamente: Per questo non potevano credere.
13. 2. Se pertanto le cose stanno veramente così, chi non vorrà levarsi in difesa dei giudei, proclamandoli esenti da colpa quando non hanno creduto? In realtà essi non potevano credere perché aveva accecato i loro occhi 38. Ma di Dio dobbiamo assolutamente ritenere che in lui non c’è colpa; e quindi dobbiamo ammettere che essi stessi per altri peccati, qualunque siano stati, meritarono l’accecamento e che per questo accecamento non potevano raggiungere la fede. Così infatti suonano le parole di Giovanni: Essi non potevano credere perché a più riprese Isaia aveva detto: Egli accecò i loro occhi. È inutile quindi proporre la spiegazione che essi furono accecati perché si convertissero, quando è detto che non potevano convertirsi perché non credevano e credere non potevano perché erano accecati. Probabilmente dunque riteniamo non assurdo dire che alcuni fra i giudei erano sulla via della salvezza ma, gonfi di superbia, incorsero nel pericolo di non saper valutare, in un primo tempo, i vantaggi della fede e così restarono accecati. Non compresero il Signore allorché parlava in parabole; non comprendendo le parabole non credettero in lui; non credendo in lui lo crocifissero, uniti in ciò a coloro che erano senza speranza. Si convertirono solo dopo la sua resurrezione. Fu allora che, profondamente umiliati della colpa di aver ucciso il Signore, amarono con ardente slancio colui che aveva loro perdonato un così grave delitto, e furono pieni di gioia sentendo che la loro superbia, certo assai grande, era stata abbattuta da una così profonda umiliazione. Qualcuno potrebbe pensare che tutto questo lo diciamo a vanvera; ma leggendo gli Atti degli Apostoli si riscontra che le cose accaddero proprio così 39. Ne segue che le parole di Giovanni: Essi non potevano credere perché egli accecò i loro occhi in modo che non vedessero non ripugnano con quell’interpretazione secondo la quale riteniamo che furono accecati perché si convertissero 40. Ciò significa che il pensiero del Signore fu nascosto nell’oscurità delle parabole affinché dopo la resurrezione tornassero in se stessi con un pentimento ancor più salutare. Accecati dall’oscurità del suo parlare, non capirono quanto il Signore voleva dire. Non comprendendo non credettero in lui; non credendo in lui lo crocifissero; ma dopo la sua resurrezione, spaventati dai miracoli che si compivano in suo nome, si sentirono trafiggere dalla responsabilità aggravata del loro delitto e umiliati se ne pentirono. Ricevuto il perdono, si convertirono e con amore ancor più ardente si sottomisero alla fede.
13. 3. Ci furono comunque alcuni ai quali quella cecità che derivava dal linguaggio parabolico non fu di giovamento in ordine alla conversione. Di loro in un altro passo il profeta dice quanto ricorda l’Apostolo allorché parla dell’oscurità delle lingue: Parlerò a questo popolo in altre lingue e in altri accenti, ma nemmeno così mi ascolteranno, dice il Signore 41. Non avrebbe detto: Nemmeno così mi ascolteranno se l’intenzione non fosse stata quella che almeno così lo avrebbero dovuto ascoltare, cioè che la cosa avrebbe dovuto produrre un’umile confessione, una premurosa ricerca, una docile conversione e un fervente amore. Con tali motivazioni si ricorre anche alle medicine corporali. Molte medicine infatti, usate certo per guarire, in principio arrecano dolore. Così il collirio che si usa per gli occhi: lo si versa all’esterno e non può giovare se prima non annebbi e turbi l’organo della vista.
13. 4. Né impressioni quanto dice lo stesso profeta: Se non crederete non comprenderete 42, né lo si creda contrario alle parole di Giovanni: Per questo non potevano credere perché egli accecò i loro occhi 43, perché cioè le parabole erano dette in modo che non potevano essere da loro comprese. Qualcuno infatti potrebbe obiettare: Se per comprendere avevano bisogno di credere, come si fa a dire che non potevano credere perché non capivano, cioè perché Egli aveva accecato i loro occhi? In effetti le parole di Isaia: Se non crederete non comprenderete sono dette di quella comprensione delle cose ineffabili di cui godremo in eterno. Se invece ci si dicono altre cose che occorre credere, non le si può credere se non si comprende quel che ci vien detto. Insomma, se si tratta di cose che si possono esprimere a parole, per crederle occorre comprendere quanto ci vien detto; se invece si tratta di cose ineffabili, per comprenderle occorre credere a quel tanto che la parola può esprimere.
14. [15.] E senza parabole non parlava loro: non nel senso che non si espresse mai in linguaggio proprio ma in quanto in ogni discorso, o quasi, la spiegazione stessa comprende elementi parabolici, anche se non mancano parti dove è usato il senso proprio. Ne segue che s’incontrano spesso discorsi interi composti di sole parabole, mentre non se ne trova nessuno espresso totalmente in linguaggio proprio. Parlo dei discorsi completi, cioè quelli nei quali il Signore comincia a parlare partendo da un’occasione che gli si presenta e conclude esponendo tutto ciò che ad essa si riferisce, per passare poi ad un altro argomento. Da notare in proposito che talvolta un evangelista collega fra loro cose che un altro riferisce essere state dette in altro tempo. Ciascuno di loro infatti ordinò il racconto che intendeva comporre non secondo l’ordine reale dei fatti ma piuttosto come gli era consentito dal ricordo che ne serbava.
15. [16.] Avete capito tutte queste cose? Gli rispondono: Sì. Replicò loro: Perciò ogni scriba istruito sul regno dei cieli è simile a un padrone di casa che dal suo tesoro tira fuori cose nuove e cose vecchie. Ci si chiede se con questa conclusione abbia o no voluto spiegare che cosa intendeva chiamare col nome di tesoro nascosto nel campo 44. Con esso infatti ci si intendono le sacre Scritture, raccolte in quelli che si chiamano i due Testamenti, il Nuovo e il Vecchio, conforme sembra abbia egli voluto designare in quella spada doppiamente tagliente 45 di cui si parla nell’altro evangelista. Bisogna però tener presente che egli aveva parlato in parabole e che, avendo chiesto ai discepoli se le avessero capite, essi avevano risposto di sì. In tal caso con quest’ultima immagine, quella del padrone di casa che dal suo tesoro tira fuori cose nuove e cose vecchie, volle forse mostrare che nella Chiesa deve ritenersi dotto colui che comprende anche le Scritture antiche, spiegate per mezzo di parabole, ricavando norme di vita attraverso queste nuove forme. È quel che faceva lo stesso nostro Signore quando illustrava mediante parabole. È vero infatti che Cristo è il fine 46 di tutte le realtà del Vecchio Testamento e che in lui esse sono giunte a compimento; tuttavia egli, nel quale tutto si compiva e palesava, seguitò a parlare in parabole finché la sua Passione non squarciò il velo 47, sicché non restò nulla di occulto che non fosse rivelato 48. A molto maggior ragione dobbiamo ritenere che erano celate dal velo della parabola tutte quelle cose che furono scritte molto tempo prima sul suo conto affinché fosse apprezzato il grande mistero della salvezza. Tali cose i giudei seguitano ancora a prenderle alla lettera e non hanno mai voluto istruirsi sul Regno dei cieli né passare a Cristo, perché fosse tolto il velo posto sopra il loro cuore 49.
16. 1. [17.] Non sono forse suoi fratelli Giacomo e Giuseppe, Simone e Giuda, e le sue sorelle non sono forse tutte in mezzo a noi? Donde vengono allora a costui tutte queste cose? E si scandalizzavano di lui. Presso i giudei si è soliti chiamare fratelli tutti i parenti. È una cosa dimostrata. E si chiama così non solo chi è imparentato con uguale grado di affinità come i figli dei fratelli e delle sorelle (costoro, anche noi in via del tutto ordinaria li chiamiamo fratelli), ma anche lo zio e il figlio di sua sorella, come erano Giacobbe e Labano, che la Scrittura chiama fratelli 50. Non è quindi da stupirsi se siano stati chiamati fratelli del Signore tutti i parenti del casato di sua madre; anzi alcuni del parentado stesso di Giuseppe poterono essere chiamati suoi fratelli da quanti credevano che Giuseppe fosse realmente padre di lui.
16. 2. Pecca contro la comune giustizia in primo luogo colui che, schiavo di voglie disordinate, contravviene alle norme della convivenza umana, come chi commette furto, rapina, adulterio, incesto e cose simili. Altrettanto colui che pecca contro natura, ad esempio con le colpe di vilipendio, strage, omicidio, sodomia, bestialità. Ovvero colui che nelle stesse cose lecite non sa moderarsi, come ad esempio colpire più del necessario il servo o il figlio, esagerare nel mangiare, bere oltre misura, essere sfrenato nei rapporti coniugali, e cose del genere.
16. 3. È facile comprendere il motivo per cui lo Spirito Santo diede per primo agli uomini il dono delle lingue 51. Queste sono state istituite dagli uomini stessi con una loro convenzione arbitraria e si apprendono dal di fuori attraverso i sensi del corpo con l’ascolto assiduo. In tal modo lo Spirito voleva mostrare la grande facilità con cui poteva renderli sapienti della sapienza di Dio, che risiede all’interno dell’uomo.
16. 4. La volontà del Verbo eterno è immutabile per sempre poiché possiede simultaneamente tutte le cose. La nostra volontà al contrario è instabile perché non possiede tutto contemporaneamente, sicché noi ora vogliamo questo ora quello. Pertanto erano già nel Verbo tutte le creature, e la stessa assunzione della natura umana nella sua Persona divina fu da lui conosciuta in antecedenza. Fece come un pittore che vuol dipingere tutt’intera una casa, e pensa e si rappresenta anche il luogo dove deve dipingere. Nell’arte, nella predisposizione e nella volontà egli ha già tutto quello che successivamente attuerà distribuendo ogni cosa a suo tempo. Così accade per ogni creatura; così è accaduto anche in quell’uomo che misteriosamente con una assunzione mirabile fu chiamato a reggere la persona stessa della Sapienza. Sebbene crei ogni cosa a suo tempo, egli da sempre era presente in questa Sapienza, che è come un’arte eterna di Dio, e si estende con forza da un confine all’altro e dispone ogni cosa con soavità 52 e, rimanendo stabile in se stessa, rinnova tutte le cose 53.
16. 5. Caso di uno che è giunto a voler morire come desiderava di voler morire. Se egli ha la retta fede e sa dove deve arrivare, progredisce anche con il lasciare di buon grado la vita presente. Non è infatti la stessa cosa sapere dove si deve arrivare e amare questa mèta e desiderare d’esserci arrivati.Certo, se nell’animo di qualcuno ci sono sentimenti di questo genere, è naturale che vada volentieri incontro alla morte. È pertanto immotivato quel che dicono certuni che pur hanno la retta fede, e cioè che essi non vogliono morire per poter progredire ancora, se è vero che tutto il progresso da loro fatto sta nel voler morire. Costoro, se vogliono esser sinceri, non possono dire: " Non voglio morire perché debbo progredire ancora ", ma piuttosto: " Non voglio morire, ho progredito poco ". Infatti il non voler morire non è, per i credenti, un atteggiamento che giova a progredire ma un segno che si è progredito poco. Questi tali dunque vogliano quel che, adducendo la scusa di doversi perfezionare ora non vogliono, e saranno davvero perfetti.
1 - Cf. Mt 22, 37-40.
2 - Cf. Gv 8, 44.
3 - Cf. Ap 11, 8.
4 - Cf. Rm 9, 5.
5 - Cf. Ef 6, 17.
6 - Cf. Mt 5-7.
7 - Cf. 1 Cor 11, 3.
8 - Mt 7, 13.
9 - Cf. Col 3, 9.
10 - Cf. 1 Pt 2, 22.
11 - Cf. Lc 10, 21.
12 - Mt 10, 32.
13 - Lc 12, 8.
14 - Sir 39, 20-21.
15 - Cf. Mt 3, 12.
16 - Cf. Mt 13, 47-50.
17 - Prv 10, 5.
18 - Cf. Ef 4, 29.
19 - Sir 5, 8-9.
20 - Cf. Ger 32, 33.
21 - Sal 77, 39.
22 - Cf. Mt 3, 11.
23 - Lc 18, 8.
24 - Gv 16, 12.
25 - Cf. Mt 13, 8. 23.
26 - Cf. Mt 3, 12.
27 - Cf. 1 Cor 2, 15.
28 - Cf. Gv 10, 7. 11.
29 - Ef 3, 17-18.
30 - Cf. 2 Cor 5, 21.
31 - Cf. 1 Tm 2, 5.
32 - Rm 13, 8-9.
33 - Cf. Gv 1, 1.
34 - 2 Cor 5, 16.
35 - Cf. Gv 1, 3.
36 - Mc 4, 12.
37 - Gv 12, 39-40.
38 - Gv 12, 39-40.
39 - Cf. At 2, 36-41.
40 - Cf. Mc 4, 12.
41 - 1 Cor 14, 21-25; Is 28, 11.
42 - Is 7, 9 (sec. LXX).
43 - Gv 12, 39-40.
44 - Cf. Mt 13, 44.
45 - Cf. Ap 1, 16.
46 - Cf. Rm 10, 4.
47 - Cf. Mt 27, 51.
48 - Cf. Mt 10, 26.
49 - Cf. 2 Cor 3, 15-16.
50 - Cf. Gn 29, 13-15.
51 - Cf. At 2, 4.
52 - Cf. Sap 8, 1.
53 - Cf. Sap 7, 27.
18 - Lo stile di vita di Maria santissima nella casa di sua cugina.
La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca231. Già santificato il precursore Giovanni e rinnovata sua madre santa Elisabetta con maggiori doni e benefici, scopo principale della visitazione, la grande regina Maria santissima determinò di ordinare le occupazioni cui doveva attendere a casa di Zaccaria, perché non in tutto potevano essere uguali a quelle di casa sua. Per questo, per orientare il suo desiderio con la direzione dello spirito divino, si raccolse e prostrò alla presenza dell'Altissimo e gli domandò, come soleva, di guidarla e di farle conoscere quello che doveva fare nel tempo in cui avrebbe abitato nella casa dei suoi servi Elisabetta e Zaccaria, perché tutto gli fosse accetto e si adempisse interamente il maggiore beneplacito della sua altissima maestà. Il Signore ascoltò la sua domanda e le rispose: «Sposa e colomba mia, io guiderò tutte le tue azioni, dirigerò i tuoi passi al mio maggiore servizio e compiacimento e ti indicherò il giorno in cui voglio che tu ritorni alla tua casa. Finché dimorerai presso la mia serva Elisabetta, fa' in modo di intrattenerti con lei; nel resto del tempo continua i tuoi esercizi e le tue preghiere, specialmente per la salvezza degli uomini e perché io non usi contro di loro la mia giustizia per le incessanti offese che moltiplicano contro la mia bontà. In questa preghiera mi offrirai per loro l'Agnello senza macchia' che porti in grembo, che toglie il peccato del mondo. Queste saranno per adesso le tue occupazioni».
232. Con questo insegnamento e nuovo precetto dell'Altissimo, la Principessa dei cieli ordinò tutte le sue attività a casa di sua cugina Elisabetta. Si alzava a mezzanotte, continuando sempre questo esercizio; in esso attendeva all'incessante contemplazione dei misteri divini, dando alla veglia ed al sonno ciò che corrispondeva perfettamente e nella giusta misura alle esigenze del corpo. In ciascuno di questi tempi riceveva nuovi favori, regali, illuminazioni ed elevazioni dall'Altissimo. Ebbe in quei tre mesi molte visioni di Dio in modo astrattivo, che era il più frequente; più ancora lo era la visione dell'umanità santissima del Verbo con l'unione ipostatica, perché il suo talamo verginale, dove lo portava, era il suo perpetuo altare ed oratorio. Lo guardava, vedendolo crescere ogni giorno; a tale vista ed a quella dei misteri che quotidianamente le venivano manifestati nel campo interminabile della Divinità e del potere divino, cresceva anche lo spirito di questa grande Signora, che molte volte per l'incendio del suo amore e dei suoi ardenti affetti sarebbe giunta a languirne sino a morire, se non fosse stata confortata dalla virtù del Signore. Attendeva, tra queste occupazi6ni nascoste, anche a tutte quelle necessarie per servire e consolare sua cugina santa Elisabetta, senza però spendervi un momento più di quello che la carità richiedeva. Subito, poi, tornava al suo ritiro ed alla solitudine, dove con maggiore libertà espandeva il suo spirito alla presenza del Signore.
233. Non rimaneva per questo oziosa all'esterno, perché nel medesimo tempo lavorava a lungo in alcune opere manuali. Fu in tutto fortunato il precursore Giovanni, perché questa grande Regina con le proprie mani gli fece e lavorò le fasce ed i pannicelli in cui fu avvolto. Gli ottennero questa felice sorte la devozione e l'attenzione di sua madre santa Elisabetta, la quale, con l'umiltà di serva che le dimostrava, supplicò di ciò l'umilissima Signora. Maria santissima lo fece con incredibile amore, per esercitarsi nell'ubbidienza verso colei che desiderava servire come l'ultima delle sue serve, perché sempre nell'umiltà e nell'ubbidienza superava tutti. Anche se santa Elisabetta cercava di affrettarsi in molte cose per servirla, ella, con la sua rara prudenza e la sua sapienza incomparabile, la preveniva in tutto, per guadagnare sempre il trionfo della virtù.
234. Le due cugine gareggiavano in questo con sommo compiacimento dell'Altissimo e con ammirazione da parte degli angeli. Santa Elisabetta era molto sollecita e premurosa nel servire la nostra Signora e grande regina e procurava che così facessero tutti quelli della sua famiglia; ma colei che era maestra delle virtù, Maria santissima, più attenta e diligente, preveniva ed ostacolava le sollecitudini della cugina. Le diceva: «Amica e cugina mia, io trovo la mia consolazione nel ricevere comandi e nell'ubbidire in tutta la mia vita; non è bene che il vostro amore mi privi del piacere che provo in questo, tanto più che, essendo io la più giovane, la ragione stessa vuole che io serva non solo voi come madre mia, ma tutti quelli della vostra casa. Trattatemi, dunque, come serva, finché starò in vostra compagnia». Santa Elisabetta rispose: «Signora e diletta mia, tocca piuttosto a me l'ubbidirvi ed a voi il comandarmi e dirigermi in tutto. Io chiedo questo con più giustizia, perché se voi, Signora, volete esercitare l'umiltà, io devo culto e ossequio al mio Dio e Signore che portate nel vostro grembo verginale e conosco bene la vostra dignità meritevole di ogni onore e riverenza». Replicava la prudentissima Vergine: «Il mio figlio e Signore non mi scelse come madre perché in questa vita mi venerassero come signora, perché il suo regno non è di questo mondo, né viene per essere servito, ma per servire, patire ed insegnare ai mortali ad ubbidire e ad umiliarsi, condannando la superbia ed il fasto. Ora, se sua Maestà altissima m'insegna questo e si definisce infamia degli uomini, come io, che sono sua schiava e non merito la compagnia delle creature, consentirò che mi servano esse, che sono formate a sua immagine e somiglianza?»
235. Santa Elisabetta, tuttavia, insisteva: «Signora e rifugio mio, questo sarà per chi ignora il mistero che si racchiude in voi; ma io, che senza meritarlo ho ricevuto dal Signore questa conoscenza, sarei molto riprensibile alla sua presenza se non gli dessi in voi quella venerazione che gli devo come Dio e se non dessi a voi quello che vi devo come sua madre, perché è giusto che io serva entrambi come la schiava i suoi padroni». Rispose a questo Maria santissima: «Diletta e sorella mia, la riverenza che desiderate usare è dovuta al Signore che porto nel mio grembo, che è vero e sommo bene e salvatore nostro; ma quanto a me, che sono semplice creatura e fra le creature un povero vermiciattolo, reputatemi per quello che io sono da me stessa, benché adoriate il Creatore che mi ha eletta come povera per sua abitazione. Così con la medesima luce della verità darete a Dio quello che gli si deve ed a me ciò che mi spetta, cioè servire ed essere inferiore a tutti; vi domando questo per mia consolazione e per il medesimo Signore che porto nel mio grembo».
236. In queste felicissime gare, Maria santissima e la sua parente santa Elisabetta trascorrevano parte del loro tempo. La sapienza celeste della nostra Regina, però, la rendeva tanto accorta ed ingegnosa in materia di umiltà e di ubbidienza che sempre risultava vittoriosa, trovando modi e vie per ubbidire ed essere comandata. Così fece con santa Elisabetta per tutto il tempo in cui dimorarono insieme, ma in maniera tale che entrambe rispettivamente trattavano con magnificenza il mistero del Signore che stava nascosto nei loro cuori, depositato in Maria santissima come madre e signora delle virtù e della grazia, ed in sua cugina come in donna prudentissima e piena della luce divina dello Spirito Santo. Con tale luce santa Elisabetta dispose come doveva comportarsi con la Madre di Dio, compiacendola ed ubbidendole in ciò che poteva ed insieme venerando la sua dignità, ed in lei il suo Creatore. Propose nel suo cuore che, se avesse dovuto comandare qualcosa alla Madre di Dio, lo avrebbe fatto per ubbidirla e per soddisfare alla sua volontà; quando lo faceva, chiedeva licenza e perdono al Signore ed inoltre non le ordinava con imperio, ma pregandola. Solamente in ciò che stimava essere di sollievo alla celeste Regina, come nell'ordinarle che mangiasse e dormisse, lo faceva con maggiore forza. Ancora le chiese di eseguire per lei alcuni lavori manuali e Maria li fece; mai, però, la santa li usò, custodendoli con venerazione.
237. In questo modo, Maria santissima già praticava ciò che il Verbo incarnato veniva ad insegnare, umiliandosi, egli che era irradiazione della gloria del Padre eterno, impronta della sua sostanza e Dio vero da Dio vero, per prendere la forma e la condizione di servo. Questa Signora era madre di Dio, regina dell'intero creato, superiore in eccellenza e dignità a tutte le creature; tuttavia, fu sempre serva umile della più piccola di esse, mai accettò ossequio né servizio alcuno come se le fosse dovuto, mai si vantò né cessò di avere di sé un bassissimo concetto. Che dirà qui la nostra esecrabile presunzione e superbia? Quasi tutti noi, infatti, pur essendo pieni di abominevoli eccessi, siamo tanto insensati che con orribile follia giudichiamo che ci sia dovuta la venerazione di tutto il mondo. E se per caso ci è negata, perdiamo in un momento quel poco giudizio che le nostre passioni ci hanno lasciato. Tutta questa divina Storia è un ritratto dell'umiltà ed una sentenza contro la nostra superbia. Poiché, però, a me non spetta l'insegnare né il correggere, ma piuttosto l'essere istruita e guidata, prego e supplico tutti i fedeli, figli della luce: poniamo questo esempio dinanzi ai nostri occhi, per apprendere alla sua vista ad umiliarci!
238. Non sarebbe stato difficile al Signore allontanare la sua Madre santissima da tanti estremi di umiltà e da molte azioni con cui la esercitava; avrebbe, inoltre, potuto renderla giande presso le creature, disponendo che fosse acclamata, onorata e rispettata da tutte, con le dimostrazioni che sa fare il mondo verso quelli che vuole onorare e celebrare, come fece Assuero con Mardocheo. Se avesse dovuto regolare ciò il giudizio umano, avrebbe senza dubbio disposto che una donna, più santa di tutti gli ordini del cielo e che portava nel suo grembo il Creatore dei medesimi angeli e dei cieli, fosse sempre custodita, vivesse appartata e venisse venerata da tutti. Sarebbe parso loro indegno che ella si dedicasse ad attività umili e servili, piuttosto che comandare tutto e accettare ogni riverenza ed autorità. Sin qui arriva l'umana sapienza, se si può chiamare così quella che tanto poco conosce. Questo inganno, però, non può aver luogo nella conoscenza vera dei santi, partecipata dalla sapienza infinita del Creatore, che dà il nome ed il valore giusto agli onori e non scambia le sorti delle creature. Molto avrebbe tolto e poco avrebbe dato l'Altissimo alla sua diletta Madre in questa vita, se l'avesse privata delle opere di profondissima umiltà allontanandola da esse e l'avesse innalzata con il plauso esteriore degli uomini. E molto sarebbe mancato al mondo se non avesse avuto questo insegnamento, questa scuola in cui apprendere e questo esempio con cui umiliare e confondere la propria superbia.
239. Santa Elisabetta fu molto favorita dal Signore dal giorno in cui lo ebbe per ospite in casa sua nel grembo della sua Madre vergine. Come per i continui dialoghi ed il tratto familiare di questa divina Principessa andava conoscendo i misteri dell'incarnazione, così ancora andava crescendo in ogni genere di santità che beveva alla sua fonte. Talora meritava di vedere Maria santissima in orazione assorta e sollevata da terra e tutta così piena di divini splendori e di bellezza che non poteva guardarla in faccia, né avrebbe potuto resistere alla sua presenza se non le avesse dato forza la virtù divina. In queste occasioni ed in altre, quando poteva guardarla senza che Maria santissima se ne accorgesse, si prostrava e, genuflessa alla sua presenza, adorava il Verbo incarnato nel tempio del grembo verginale della beatissima madre. Custodì nel suo cuore tutti i misteri che conobbe per mezzo della luce divina e della conversazione con la grande Regina, come depositaria fedelissima e custode assai prudente di ciò che le era stato confidato. Solamente con suo figlio Giovanni e con Zaccaria, per quel tempo che visse dopo la nascita del figlio, santa Elisabetta poté parlare un po' di tali misteri, dei quali tutti loro erano già a conoscenza; in tutto fu donna forte, saggia e molto santa.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
240. Figlia mia, i benefici dell'Altissimo e la conoscenza dei suoi divini misteri inclinano le anime attente ad esercitare e stimare l'umiltà, che con forza soave ed efficace le conduce verso il loro luogo legittimo e naturale, come la leggerezza muove il fuoco e la gravità la pietra. Questo fa la vera luce, che colloca e stabilisce la creatura nella cognizione chiara di se stessa e riconduce le opere della grazia alla loro origine, da cui procede ogni dono perfetto, stabilendo così ciascuno nel suo centro. Questo è l'ordine rettissimo della buona ragione, che viene turbato e come violentato dalla presunzione dei mortali. Perciò la superbia, ed il cuore in cui essa vive, non sa desiderare il disprezzo né accettarlo, non sopporta superiori, anche degli uguali si offende e fa violenza a tutto per essere sola e sopra tutti. Il cuore umile, invece, ricevendo benefici maggiori, si annienta ancor più. Questi gli fanno nascere un'avidità ed un'ansia grande, sebbene tranquilla, di abbassarsi e cercare l'ultimo posto, cosicché soffre quando non lo occupa inferiore a tutti e quando gli manca l'umiliazione.
241. In me conoscerai, carissima, la vera pratica di questo insegnamento, poiché nessuno dei favori che la divina destra operò in me fu piccolo, eppure mai il mio cuore si innalzò sopra se stesso con presunzione, ne seppe bramare altro più che l'abbassamento e l'ultimo posto fra tutte le creature. Con speciale desiderio voglio da te questa imitazione e voglio che la tua sollecitudine consista nell'essere la minore fra tutte, nell'essere comandata, umiliata e reputata inutile; alla presenza del Signore e degli uomini, poi, ti devi stimare meno che la medesima polvere della terra. Non puoi negare che nessun'altra fu più beneficata di te e che nessuna l'ha meritato meno. Come pagherai questo grande debito se non ti umilii con tutti e più di tutti i figli di Adamo e se non ti formi concetti sublimi e sentimenti pieni di amore per l'umiltà? Buona cosa è ubbidire ai tuoi superiori e maestri e così devi fare sempre. Io, però, voglio che tu avanzi di più e che ubbidisca anche al più piccolo in tutto ciò che non sarà colpa, come ubbidiresti al maggiore dei superiore; in questo è mia volontà che tu sia molto diligente, come lo ero io.
242. Solamente con le tue suddite farai attenzione nel dispensarti da questa sottomissione con più cura, affinché non avvenga che esse, conoscendo il tuo desiderio di ubbidire, vogliano a volte che tu lo faccia in quello che non conviene. Anche senza che perdano la dovuta sottomissione puoi guadagnare molto dando loro esempio assoggettandoti sempre nel giusto, senza derogare all'autorità di superiora. Accetta con grande stima tutti i dispiaceri e le ingiurie, se toccano la tua persona solamente, senza dire niente per difenderti o lamentarti; rimprovera, però, le offese contro Dio, senza mischiare la tua causa con quella di sua Maestà, perché mai devi trovare motivo per difendere te stessa, ma per l'onore di Dio lo devi trovare sempre. In nessuno dei due casi, però, devi muoverti con ira o sdegno disordinato. Ancora, voglio che tu abbia 'grande prudenza nel dissimulare e nascondere i favori del Signore, perché il segreto del re non si deve manifestare con leggerezza e l'uomo naturale non è capace né degno dei misteri dello Spirito Santo. Imitami e seguimi in tutto, dal momento che desideri essere mia figlia carissima; ubbidendomi otterrai ciò e spingerai l'Onnipotente a fortificarti e ad indirizzare i tuoi passi verso ciò che egli vuole operare in te. Non gli resistere, ma disponi il tuo cuore in modo che sia docile e pronto ad ubbidire alla sua luce e grazia. Non permettere che questa stia oziosa in te, ma opera con diligenza, cosicché le tue azioni procedano piene di perfezione.
15 luglio 1941
Madre Pierina Micheli
Questa sera la Comunità entrò in Esercizi. Lo Spirito Santo faccia tanta luce nelle anime... Io non posso farli, ma farò tesoro di tutto, per elevarmi sempre più a Lui e vivere nella Divina Volontà.
- Voglio essere Tua o Gesù, Tuo malgrado
- Voglio essere Tua o Gesù, mio malgrado
- Voglio essere Tua o Gesù, malgrado tutte le creature.
S. Margherita Alacoque
Dalla predica di introduzione.