Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 18° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Luca 20
1Un giorno, mentre istruiva il popolo nel tempio e annunziava la parola di Dio, si avvicinarono i sommi sacerdoti e gli scribi con gli anziani e si rivolsero a lui dicendo:2"Dicci con quale autorità fai queste cose o chi è che t'ha dato quest'autorità".3E Gesù disse loro: "Vi farò anch'io una domanda e voi rispondetemi:4Il battesimo di Giovanni veniva dal Cielo o dagli uomini?".5Allora essi discutevano fra loro: "Se diciamo "dal Cielo", risponderà: "Perché non gli avete creduto?".6E se diciamo "dagli uomini", tutto il popolo ci lapiderà, perché è convinto che Giovanni è un profeta".7Risposero quindi di non saperlo.8E Gesù disse loro: "Nemmeno io vi dico con quale autorità faccio queste cose".
9Poi cominciò a dire al popolo questa parabola: "Un uomo 'piantò una vigna', l'affidò a dei coltivatori e se ne andò lontano per molto tempo.10A suo tempo, mandò un servo da quei coltivatori perché gli dessero una parte del raccolto della vigna. Ma i coltivatori lo percossero e lo rimandarono a mani vuote.11Mandò un altro servo, ma essi percossero anche questo, lo insultarono e lo rimandarono a mani vuote.12Ne mandò ancora un terzo, ma anche questo lo ferirono e lo cacciarono.13Disse allora il padrone della vigna: Che devo fare? Manderò il mio unico figlio; forse di lui avranno rispetto.14Quando lo videro, i coltivatori discutevano fra loro dicendo: Costui è l'erede. Uccidiamolo e così l'eredità sarà nostra.15E lo cacciarono fuori della vigna e l'uccisero. Che cosa farà dunque a costoro il padrone della vigna?16Verrà e manderà a morte quei coltivatori, e affiderà ad altri la vigna". Ma essi, udito ciò, esclamarono: "Non sia mai!".17Allora egli si volse verso di loro e disse: "Che cos'è dunque ciò che è scritto:
'La pietra che i costruttori hanno scartata,
è diventata testata d'angolo'?
18Chiunque cadrà su quella pietra si sfracellerà e a chi cadrà addosso, lo stritolerà".19Gli scribi e i sommi sacerdoti cercarono allora di mettergli addosso le mani, ma ebbero paura del popolo. Avevano capito che quella parabola l'aveva detta per loro.
20Postisi in osservazione, mandarono informatori, che si fingessero persone oneste, per coglierlo in fallo nelle sue parole e poi consegnarlo all'autorità e al potere del governatore.21Costoro lo interrogarono: "Maestro, sappiamo che parli e insegni con rettitudine e non guardi in faccia a nessuno, ma insegni secondo verità la via di Dio.22È lecito che noi paghiamo il tributo a Cesare?".23Conoscendo la loro malizia, disse:24"Mostratemi un denaro: di chi è l'immagine e l'iscrizione?". Risposero: "Di Cesare".25Ed egli disse: "Rendete dunque a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio".26Così non poterono coglierlo in fallo davanti al popolo e, meravigliati della sua risposta, tacquero.
27Gli si avvicinarono poi alcuni sadducei, i quali negano che vi sia la risurrezione, e gli posero questa domanda:28"Maestro, Mosè ci ha prescritto: Se a qualcuno muore un fratello che ha moglie, ma senza figli, suo fratello si prenda la vedova e dia una discendenza al proprio fratello.29C'erano dunque sette fratelli: il primo, dopo aver preso moglie, morì senza figli.30Allora la prese il secondo31e poi il terzo e così tutti e sette; e morirono tutti senza lasciare figli.32Da ultimo anche la donna morì.33Questa donna dunque, nella risurrezione, di chi sarà moglie? Poiché tutti e sette l'hanno avuta in moglie".34Gesù rispose: "I figli di questo mondo prendono moglie e prendono marito;35ma quelli che sono giudicati degni dell'altro mondo e della risurrezione dai morti, non prendono moglie né marito;36e nemmeno possono più morire, perché sono uguali agli angeli e, essendo figli della risurrezione, sono figli di Dio.37Che poi i morti risorgono, lo ha indicato anche Mosè a proposito del roveto, quando chiama il Signore: 'Dio di Abramo, Dio di Isacco e Dio di Giacobbe'.38Dio non è Dio dei morti, ma dei vivi; perché tutti vivono per lui".39Dissero allora alcuni scribi: "Maestro, hai parlato bene".40E non osavano più fargli alcuna domanda.
41Egli poi disse loro: "Come mai dicono che il Cristo è figlio di Davide,42se Davide stesso nel libro dei Salmi dice:
'Ha detto il Signore al mio Signore:
siedi alla mia destra,'
43'finché io ponga i tuoi nemici
come sgabello ai tuoi piedi?'
44Davide dunque lo chiama Signore; perciò come può essere suo figlio?".
45E mentre tutto il popolo ascoltava, disse ai discepoli:46"Guardatevi dagli scribi che amano passeggiare in lunghe vesti e hanno piacere di esser salutati nelle piazze, avere i primi seggi nelle sinagoghe e i primi posti nei conviti;47divorano le case delle vedove, e in apparenza fanno lunghe preghiere. Essi riceveranno una condanna più severa".
Giudici 16
1Sansone andò a Gaza, vide una prostituta e andò da lei.2Fu detto a quelli di Gaza: "È venuto Sansone". Essi lo circondarono, stettero in agguato tutta la notte presso la porta della città e tutta quella notte rimasero quieti, dicendo: "Attendiamo lo spuntar del giorno e allora lo uccideremo".3Sansone riposò fino a mezzanotte; a mezzanotte si alzò, afferrò i battenti della porta della città e i due stipiti, li divelse insieme con la sbarra, se li mise sulle spalle e li portò in cima al monte che guarda in direzione di Ebron.
4In seguito si innamorò di una donna della valle di Sorek, che si chiamava Dalila.5Allora i capi dei Filistei andarono da lei e le dissero: "Seducilo e vedi da dove proviene la sua forza così grande e come potremmo prevalere su di lui per legarlo e domarlo; ti daremo ciascuno mille e cento sicli d'argento".6Dalila dunque disse a Sansone: "Spiegami: da dove proviene la tua forza così grande e in che modo ti si potrebbe legare per domarti?".7Sansone le rispose: "Se mi si legasse con sette corde d'arco fresche, non ancora secche, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque".8Allora i capi dei Filistei le portarono sette corde d'arco fresche, non ancora secche, ed essa lo legò con esse.9L'agguato era teso in una camera interna. Essa gli gridò: "Sansone, i Filistei ti sono addosso!". Ma egli spezzò le corde come si spezza un fil di stoppa, quando sente il fuoco. Così il segreto della sua forza non fu conosciuto.10Poi Dalila disse a Sansone: "Ecco tu ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; ora spiegami come ti si potrebbe legare".11Le rispose: "Se mi si legasse con funi nuove non ancora adoperate, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque".12Dalila prese dunque funi nuove, lo legò e gli gridò: "Sansone, i Filistei ti sono addosso!". L'agguato era teso nella camera interna. Egli ruppe come un filo le funi che aveva alle braccia.13Poi Dalila disse a Sansone: "Ancora ti sei burlato di me e mi hai detto menzogne; spiegami come ti si potrebbe legare". Le rispose: "Se tu tessessi le sette trecce della mia testa nell'ordito e le fissassi con il pettine del telaio, io diventerei debole e sarei come un uomo qualunque".14Essa dunque lo fece addormentare, tessé le sette trecce della sua testa nell'ordito e le fissò con il pettine, poi gli gridò: "Sansone, i Filistei ti sono addosso!". Ma egli si svegliò dal sonno e strappò il pettine del telaio e l'ordito.15Allora essa gli disse: "Come puoi dirmi: Ti amo, mentre il tuo cuore non è con me? Già tre volte ti sei burlato di me e non mi hai spiegato da dove proviene la tua forza così grande".16Ora poiché essa lo importunava ogni giorno con le sue parole e lo tormentava, egli ne fu annoiato fino alla morte17e le aprì tutto il cuore e le disse: "Non è mai passato rasoio sulla mia testa, perché sono un nazireo di Dio dal seno di mia madre; se fossi rasato, la mia forza si ritirerebbe da me, diventerei debole e sarei come un uomo qualunque".18Allora Dalila vide che egli le aveva aperto tutto il cuore, mandò a chiamare i capi dei Filistei e fece dir loro: "Venite su questa volta, perché egli mi ha aperto tutto il cuore". Allora i capi dei Filistei vennero da lei e portarono con sé il denaro.19Essa lo addormentò sulle sue ginocchia, chiamò un uomo adatto e gli fece radere le sette trecce del capo. Egli cominciò a infiacchirsi e la sua forza si ritirò da lui.20Allora essa gli gridò: "Sansone, i Filistei ti sono addosso!". Egli, svegliatosi dal sonno, pensò: "Io ne uscirò come ogni altra volta e mi svincolerò". Ma non sapeva che il Signore si era ritirato da lui.21I Filistei lo presero e gli cavarono gli occhi; lo fecero scendere a Gaza e lo legarono con catene di rame. Egli dovette girare la macina nella prigione.
22Intanto la capigliatura che gli avevano rasata, cominciava a ricrescergli.23Ora i capi dei Filistei si radunarono per offrire un gran sacrificio a Dagon loro dio e per far festa. Dicevano:
"Il nostro dio ci ha messo nelle mani
Sansone nostro nemico".
24Quando il popolo lo vide, cominciò a lodare il suo dio e a dire:
"Il nostro dio ci ha messo nelle mani
Sansone nostro nemico,
che ci devastava il paese
e che ha ucciso tanti dei nostri".
25Nella gioia del loro cuore dissero: "Chiamate Sansone perché ci faccia divertire!". Fecero quindi uscire Sansone dalla prigione ed egli si mise a far giochi alla loro presenza. Poi lo fecero stare fra le colonne.26Sansone disse al fanciullo che lo teneva per la mano: "Lasciami pure; fammi solo toccare le colonne sulle quali posa la casa, così che possa appoggiarmi ad esse".27Ora la casa era piena di uomini e di donne; vi erano tutti i capi dei Filistei e sul terrazzo circa tremila persone fra uomini e donne, che stavano a guardare, mentre Sansone faceva giochi.28Allora Sansone invocò il Signore e disse: "Signore, ricordati di me! Dammi forza per questa volta soltanto, Dio, e in un colpo solo mi vendicherò dei Filistei per i miei due occhi!".29Sansone palpò le due colonne di mezzo, sulle quali posava la casa; si appoggiò ad esse, all'una con la destra, all'altra con la sinistra.30Sansone disse: "Che io muoia insieme con i Filistei!". Si curvò con tutta la forza e la casa rovinò addosso ai capi e a tutto il popolo che vi era dentro. Furono più i morti che egli causò con la sua morte di quanti aveva uccisi in vita.31Poi i suoi fratelli e tutta la casa di suo padre scesero e lo portarono via; risalirono e lo seppellirono fra Zorea ed Estaol nel sepolcro di Manoach suo padre. Egli era stato giudice d'Israele per venti anni.
Sapienza 15
1Ma tu, nostro Dio, sei buono e fedele,
sei paziente e tutto governi secondo misericordia.
2Anche se pecchiamo, siamo tuoi,
conoscendo la tua potenza;
ma non peccheremo più, sapendo che ti apparteniamo.
3Conoscerti, infatti, è giustizia perfetta,
conoscere la tua potenza è radice di immortalità.
4Non ci indusse in errore
né l'invenzione umana di un'arte perversa,
né la sterile fatica dei pittori,
immagini deturpate di vari colori,
5la cui vista provoca negli stolti il desiderio,
l'anelito per una forma inanimata di un'immagine morta.
6Amanti del male e degni di simili speranze
sono coloro che fanno, desiderano e venerano gli idoli.
7Un vasaio, impastando con fatica la terra molle,
plasma per il nostro uso ogni sorta di vasi.
Ma con il medesimo fango modella
e i vasi che servono per usi decenti
e quelli per usi contrari, tutti allo stesso modo;
quale debba essere l'uso di ognuno di essi
lo stabilisce il vasaio.
8Quindi con odiosa fatica plasma
con il medesimo fango un dio vano,
egli che, nato da poco dalla terra,
tra poco ritornerà là da dove fu tratto,
quando gli sarà richiesto l'uso fatto dell'anima sua.
9Ma egli non si preoccupa di morire
né di avere una vita breve;
anzi gareggia con gli orafi e con gli argentieri,
imita i lavoratori del bronzo
e ritiene un vanto plasmare cose false.
10Cenere è il suo cuore,
la sua speranza più vile della terra,
la sua vita più spregevole del fango,
11perché disconosce il suo creatore,
colui che gli inspirò un'anima attiva
e gli infuse uno spirito vitale.
12Ma egli considera un trastullo la nostra vita,
l'esistenza un mercato lucroso.
Egli dice: "Da tutto, anche dal male,
si deve trarre profitto".
13Costui infatti più di tutti sa di peccare,
fabbricando di materia terrestre
fragili vasi e statue.
14Ma sono tutti stoltissimi
e più miserabili di un'anima infantile
i nemici del tuo popolo, che lo hanno oppresso.
15Essi considerarono dèi anche tutti gli idoli dei pagani,
i quali non hanno né l'uso degli occhi per vedere,
né narici per aspirare aria,
né orecchie per sentire,
né dita delle mani per palpare;
e i loro piedi sono incapaci di camminare.
16Un uomo li ha fatti,
li ha plasmati uno che ha avuto il respiro in prestito.
Ora nessun uomo può plasmare un dio a lui simile;
17essendo mortale, una cosa morta produce con empie mani.
Egli è sempre migliore degli oggetti che adora,
rispetto a essi possiede la vita, ma quelli giammai
18Venerano gli animali più ripugnanti,
che per stupidità
al paragone risultan peggiori degli altri;
19non sono tanto belli da invogliarsene,
come capita per l'aspetto di altri animali,
e non hanno avuto la lode e la benedizione di Dio.
Salmi 106
1Alleluia.
Celebrate il Signore, perché è buono,
perché eterna è la sua misericordia.
2Chi può narrare i prodigi del Signore,
far risuonare tutta la sua lode?
3Beati coloro che agiscono con giustizia
e praticano il diritto in ogni tempo.
4Ricordati di noi, Signore, per amore del tuo popolo,
visitaci con la tua salvezza,
5perché vediamo la felicità dei tuoi eletti,
godiamo della gioia del tuo popolo,
ci gloriamo con la tua eredità.
6Abbiamo peccato come i nostri padri,
abbiamo fatto il male, siamo stati empi.
7I nostri padri in Egitto
non compresero i tuoi prodigi,
non ricordarono tanti tuoi benefici
e si ribellarono presso il mare, presso il mar Rosso.
8Ma Dio li salvò per il suo nome,
per manifestare la sua potenza.
9Minacciò il mar Rosso e fu disseccato,
li condusse tra i flutti come per un deserto;
10li salvò dalla mano di chi li odiava,
li riscattò dalla mano del nemico.
11L'acqua sommerse i loro avversari;
nessuno di essi sopravvisse.
12Allora credettero alle sue parole
e cantarono la sua lode.
13Ma presto dimenticarono le sue opere,
non ebbero fiducia nel suo disegno,
14arsero di brame nel deserto,
e tentarono Dio nella steppa.
15Concesse loro quanto domandavano
e saziò la loro ingordigia.
16Divennero gelosi di Mosè negli accampamenti,
e di Aronne, il consacrato del Signore.
17Allora si aprì la terra e inghiottì Datan,
e seppellì l'assemblea di Abiron.
18Divampò il fuoco nella loro fazione
e la fiamma divorò i ribelli.
19Si fabbricarono un vitello sull'Oreb,
si prostrarono a un'immagine di metallo fuso;
20scambiarono la loro gloria
con la figura di un toro che mangia fieno.
21Dimenticarono Dio che li aveva salvati,
che aveva operato in Egitto cose grandi,
22prodigi nel paese di Cam,
cose terribili presso il mar Rosso.
23E aveva già deciso di sterminarli,
se Mosè suo eletto
non fosse stato sulla breccia di fronte a lui,
per stornare la sua collera dallo sterminio.
24Rifiutarono un paese di delizie,
non credettero alla sua parola.
25Mormorarono nelle loro tende,
non ascoltarono la voce del Signore.
26Egli alzò la mano su di loro
giurando di abbatterli nel deserto,
27di disperdere i loro discendenti tra le genti
e disseminarli per il paese.
28Si asservirono a Baal-Peor
e mangiarono i sacrifici dei morti,
29provocarono Dio con tali azioni
e tra essi scoppiò una pestilenza.
30Ma Finees si alzò e si fece giudice,
allora cessò la peste
31e gli fu computato a giustizia
presso ogni generazione, sempre.
32Lo irritarono anche alle acque di Meriba
e Mosè fu punito per causa loro,
33perché avevano inasprito l'animo suo
ed egli disse parole insipienti.
34Non sterminarono i popoli
come aveva ordinato il Signore,
35ma si mescolarono con le nazioni
e impararono le opere loro.
36Servirono i loro idoli
e questi furono per loro un tranello.
37Immolarono i loro figli
e le loro figlie agli dèi falsi.
38Versarono sangue innocente,
il sangue dei figli e delle figlie
sacrificati agli idoli di Canaan;
la terra fu profanata dal sangue,
39si contaminarono con le opere loro,
si macchiarono con i loro misfatti.
40L'ira del Signore si accese contro il suo popolo,
ebbe in orrore il suo possesso;
41e li diede in balìa dei popoli,
li dominarono i loro avversari,
42li oppressero i loro nemici
e dovettero piegarsi sotto la loro mano.
43Molte volte li aveva liberati;
ma essi si ostinarono nei loro disegni
e per le loro iniquità furono abbattuti.
44Pure, egli guardò alla loro angoscia
quando udì il loro grido.
45Si ricordò della sua alleanza con loro,
si mosse a pietà per il suo grande amore.
46Fece loro trovare grazia
presso quanti li avevano deportati.
47Salvaci, Signore Dio nostro,
e raccoglici di mezzo ai popoli,
perché proclamiamo il tuo santo nome
e ci gloriamo della tua lode.
48Benedetto il Signore, Dio d'Israele
da sempre, per sempre.
Tutto il popolo dica: Amen.
Ezechiele 38
1Mi fu rivolta questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, volgiti verso Gog nel paese di Magòg, principe capo di Mesech e Tubal, e profetizza contro di lui.
Annunzierai:3Dice il Signore Dio: Eccomi contro di te Gog, principe capo di Mesech e Tubal,4io ti aggirerò, ti metterò ganci alle mascelle e ti farò uscire con tutto il tuo esercito, cavalli e cavalieri tutti ben equipaggiati, truppa immensa con scudi grandi e piccoli, e tutti muniti di spada.5La Persia, l'Etiopia e Put sono con loro, tutti con scudi ed elmi.6Gomer e tutte le sue schiere, la gente di Togarmà, le estreme regioni del settentrione e tutte le loro forze, popoli numerosi sono con te.
7Sta' pronto, fa' i preparativi insieme con tutta la moltitudine che si è radunata intorno a te: sii a mia disposizione.8Dopo molto tempo ti sarà dato l'ordine: sul finire degli anni tu andrai contro una nazione che è sfuggita alla spada, che in mezzo a molti popoli si è radunata sui monti d'Israele, rimasti lungamente deserti. Essa rimpatriò dalle genti e tutti abitano tranquilli.9Tu vi salirai, vi giungerai come un uragano: sarai come un nembo che avvolge la terra, tu con tutte le tue schiere e con i popoli numerosi che sono con te.10Dice il Signore Dio: In quel giorno ti verranno in mente dei pensieri e concepirai progetti malvagi.11Tu dirai: Andrò contro una terra indifesa, assalirò genti tranquille che si tengono sicure, che abitano tutte in luoghi senza mura, che non hanno né sbarre né porte,12per depredare, saccheggiare, metter la mano su rovine ora ripopolate e sopra un popolo che si è riunito dalle nazioni, dedito agli armenti e ai propri affari, che abita al centro della terra.
13Saba, Dedan, i commercianti di Tarsis e tutti i suoi leoncelli ti domanderanno: Vieni per saccheggiare? Hai radunato la tua gente per venir a depredare e portar via argento e oro, per rapire armenti e averi e per fare grosso bottino?14Perciò predici, figlio dell'uomo, e annunzia a Gog: Così dice il Signore Dio: In quel giorno, quando il mio popolo Israele dimorerà del tutto sicuro, tu ti leverai,15verrai dalla tua dimora, dagli estremi confini del settentrione, tu e i popoli numerosi che sono con te, tutti su cavalli, una turba grande, un esercito potente.16Verrai contro il mio popolo Israele, come un nembo per coprire la terra. Sul finire dei giorni io ti manderò sulla mia terra perché le genti mi conoscano quando per mezzo tuo, o Gog, manifesterò la mia santità davanti ai loro occhi.17Così dice il Signore Dio: Non sei tu quegli di cui parlai nei tempi antichi per mezzo dei miei servi, i profeti d'Israele, i quali, in quei tempi e per molti anni, profetizzarono che io ti avrei mandato contro di loro?18Ma, quando Gog giungerà nel paese d'Israele - parola del Signore Dio - divamperà la mia collera.19Nella mia gelosia e nel mio furore ardente io vi dichiaro: In quel giorno ci sarà un gran terremoto nel paese di Israele:20davanti a me tremeranno i pesci del mare, gli uccelli del cielo, gli animali selvatici, tutti i rettili che strisciano sul terreno e ogni uomo che è sulla terra: i monti franeranno, le rocce cadranno e ogni muro rovinerà al suolo.
21Contro di lui, per tutti i monti d'Israele, chiamerò la spada. Parola del Signore Dio. La spada di ognuno di essi sarà contro il proprio fratello.22Farò giustizia di lui con la peste e con il sangue: farò piovere su di lui e le sue schiere, sopra i popoli numerosi che sono con lui, torrenti di pioggia e grandine, fuoco e zolfo.23Io mostrerò la mia potenza e la mia santità e mi rivelerò davanti a genti numerose e sapranno che io sono il Signore".
Lettera di Giacomo 2
1Fratelli miei, non mescolate a favoritismi personali la vostra fede nel Signore nostro Gesù Cristo, Signore della gloria.2Supponiamo che entri in una vostra adunanza qualcuno con un anello d'oro al dito, vestito splendidamente, ed entri anche un povero con un vestito logoro.3Se voi guardate a colui che è vestito splendidamente e gli dite: "Tu siediti qui comodamente", e al povero dite: "Tu mettiti in piedi lì", oppure: "Siediti qui ai piedi del mio sgabello",4non fate in voi stessi preferenze e non siete giudici dai giudizi perversi?
5Ascoltate, fratelli miei carissimi: Dio non ha forse scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno che ha promesso a quelli che lo amano?6Voi invece avete disprezzato il povero! Non sono forse i ricchi che vi tiranneggiano e vi trascinano davanti ai tribunali?7Non sono essi che bestemmiano il bel nome che è stato invocato sopra di voi?8Certo, se adempite il più importante dei comandamenti secondo la Scrittura: 'amerai il prossimo tuo come te stesso', fate bene;9ma se fate distinzione di persone, commettete un peccato e siete accusati dalla legge come trasgressori.10Poiché chiunque osservi tutta la legge, ma la trasgredisca anche in un punto solo, diventa colpevole di tutto;11infatti colui che ha detto: 'Non commettere adulterio', ha detto anche: 'Non uccidere'.
Ora se tu non commetti adulterio, ma uccidi, ti rendi trasgressore della legge.12Parlate e agite come persone che devono essere giudicate secondo una legge di libertà, perché13il giudizio sarà senza misericordia contro chi non avrà usato misericordia; la misericordia invece ha sempre la meglio nel giudizio.
14Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?15Se un fratello o una sorella sono senza vestiti e sprovvisti del cibo quotidiano16e uno di voi dice loro: "Andatevene in pace, riscaldatevi e saziatevi", ma non date loro il necessario per il corpo, che giova?17Così anche la fede: se non ha le opere, è morta in se stessa.18Al contrario uno potrebbe dire: Tu hai la fede ed io ho le opere; mostrami la tua fede senza le opere, ed io con le mie opere ti mostrerò la mia fede.19Tu credi che c'è un Dio solo? Fai bene; anche i demòni lo credono e tremano!20Ma vuoi sapere, o insensato, come la fede senza le opere è senza valore?21Abramo, nostro padre, non fu forse giustificato per le opere, quando offrì Isacco, suo figlio, sull'altare?22Vedi che la fede cooperava con le opere di lui, e che per le opere quella fede divenne perfetta23e si compì la Scrittura che dice: 'E Abramo ebbe fede in Dio e gli fu accreditato a giustizia', e fu chiamato amico di Dio.24Vedete che l'uomo viene giustificato in base alle opere e non soltanto in base alla fede.25Così anche Raab, la meretrice, non venne forse giustificata in base alle opere per aver dato ospitalità agli esploratori e averli rimandati per altra via?26Infatti come il corpo senza lo spirito è morto, così anche la fede senza le opere è morta.
Capitolo II: Nel Sacramento si manifestano all’uomo la grande bontà e l’amore di Dio
Leggilo nella BibliotecaParola del discepolo
1. O Signore, confidando nella tua bontà e nella tua grande misericordia, mi appresso infermo al Salvatore, affamato e assetato alla fonte della vita, povero al re del cielo, servo al Signore, creatura al Creatore, desolato al pietoso mio consolatore. Ma "per qual ragione mi è dato questo, che tu venga a me?" (Lc 1,43). Chi sono io, perché tu ti doni a me; come potrà osare un peccatore di apparirti dinanzi; come ti degnerai di venire ad un peccatore? Ché tu lo conosci, il tuo servo; e sai bene che in lui non c'è alcunché di buono, per cui tu gli dia tutto ciò. Confesso, dunque, la mia pochezza, riconosco la tua bontà, glorifico la tua misericordia e ti ringrazio per il tuo immenso amore. Infatti non è per i miei meriti che fai questo, ma per il tuo amore: perché mi si riveli maggiormente la tua bontà, più grande mi si offra il tuo amore e l'umiltà ne risulti più perfettamente esaltata. Poiché, dunque, questo ti è caro, e così tu comandasti che si facesse, anche a me è cara questa tua degnazione. E voglia il Cielo che a questo non sia di ostacolo la mia iniquità.
2. Gesù, pieno di dolcezza e di benignità, quanta venerazione ti dobbiamo, e gratitudine e lode incessante, per il fatto che riceviamo il tuo santo corpo, la cui grandezza nessuno può comprendere pienamente. Ma quali saranno i miei pensieri in questa comunione con te, in questo avvicinarmi al mio Signore; al mio Signore che non riesco a venerare nella misura dovuta e che tuttavia desidero accogliere devotamente? Quale pensiero più opportuno e più salutare di quello di abbassarmi totalmente di fronte a te, esaltando, su di me la tua bontà infinita? Ti glorifico, o mio Dio, e ti esalto in eterno; disprezzo me stesso, sottoponendomi a te, dal profondo della mia pochezza. Ecco, tu sei il santo dei santi, ed io una sozzura di peccati. Ecco, tu ti abbassi verso di me, che non sono degno neppure di rivolgerti lo sguardo. Ecco, tu vieni a me, vuoi stare con me, mi inviti al tuo banchetto; tu mi vuoi dare il cibo celeste, mi vuoi dare da mangiare il pane degli angeli: nient'altro, veramente, che te stesso, "pane vivo, che sei disceso dal cielo e dai la vita al mondo (Gv 6,33.51). Se consideriamo da dove parte questo amore, quale degnazione ci appare; quanto profondi ringraziamenti e quante lodi ti si debbono!
3. Quanto fu utile per la nostra salvezza il tuo disegno, quando hai istituito questo sacramento; come è soave e lieto questo banchetto, nel quale hai dato in cibo te stesso! Come è ammirabile questo che tu fai; come è efficace la tua potenza e infallibile la tua verità. Infatti, hai parlato "e le cose furono" (Sal 148, 5); e fu anche questo sacramento, che tu hai comandato. Mirabile cosa, degna della nostra fede; cosa che oltrepassa la umana comprensione che tu, o Signore Dio mio, vero Dio e uomo, sia tutto sotto quella piccola apparenza del pane e del vino; e che tu sia mangiato senza essere consumato. "Tu, o Signore di tutti", che, di nessuno avendo bisogno, hai voluto, per mezzo del Sacramento, abitare fra noi (2 Mac 14,35), conserva immacolato il mio cuore e il mio corpo, affinché io possa celebrare sovente i tuoi misteri, con lieta e pura coscienza; e possa ricevere, a mia salvezza eterna, ciò che tu hai stabilito e istituito massimamente a tua glorificazione e perenne memoria di te.
4. Rallegrati, anima mia, e rendi grazie a Dio per un dono così sublime, per un conforto così straordinario, lasciato a te in questa valle di lacrime. In verità, ogni qualvolta medito questo mistero e ricevi il corpo di Cristo, lavori alla tua redenzione e ti rendi partecipe di tutti i meriti di Cristo. Mai non viene meno, infatti, l'amore di Cristo; né si esaurisce la grandezza della sua intercessione. E' dunque con animo sempre rinnovato che ti devi disporre a questo Sacramento; è con attenta riflessione che devi meditare il mistero della salvezza. E quando celebri la Messa, o l'ascolti, ciò deve apparirti un fatto così grande, così straordinario e così pieno di gioia, come se, in quello stesso giorno, scendendo nel seno della Vergine, Cristo si facesse uomo, patisse e morisse pendendo dalla croce.
Omelia 71: Chi crede in me farà anch'egli le opere che io fo; ne farà anzi di più grandi.
Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca1. Ascoltate con le orecchie e accogliete nell'anima, o dilettissimi, mediante le parole che noi vi rivolgiamo, l'insegnamento che c'imparte colui che mai si allontana da noi. Nel passo che avete sentito, il Signore dice: Le parole che io vi dico, non le dico da me; ma il Padre che è in me, è lui stesso che agisce (Gv 14, 10). Quindi anche le parole sono opere? Certamente. Colui che edifica il prossimo con la parola compie un'opera buona. Ma che significa non vi parlo da me, se non questo: io che vi parlo non sono da me? Ciò che egli fa lo attribuisce a colui dal quale, egli che agisce, procede. Dio Padre infatti non ha origine da un altro, il Figlio invece, che pure è uguale al Padre, tuttavia è da Dio Padre. Il Padre è Dio, ma non da Dio; è luce, ma non da luce; il Figlio invece è Dio da Dio, luce da luce.
2. Riguardo a queste due affermazioni, delle quali una dice: Non parlo da me e l'altra dice: Il Padre, che è in me, è lui stesso che agisce, ci attaccano due opposti movimenti ereticali: i quali, basandosi su una soltanto delle due e volendo tirarle in direzioni contrarie, sono usciti fuori della via della verità. Gli ariani infatti dicono: Ecco che il Figlio non è uguale al Padre, in quanto egli non parla da sé. I sabelliani, cioè i patripassiani, al contrario dicono: Ecco che il Padre e il Figlio sono la medesima persona; che significa infatti: Il Padre, che è in me, compie le opere, se non: io che opero rimango in me? Sostenete cose contrarie; ma non come il vero è contrario al falso, bensì come due cose false contrarie tra loro. Avete sbagliato ambedue andando in direzioni opposte: la via che avete abbandonato sta in mezzo. Vi siete separati tra di voi con una distanza maggiore di quella che esiste tra ciascuna delle vostre vie e la giusta che avete abbandonato. Voi da una parte e voi dall'altra, venite qui entrambi; non passate gli uni dalla parte dell'altro, ma venendo a noi da una parte e dall'altra ritrovatevi insieme. Voi, sabelliani, riconoscete colui che negate; voi, ariani, riconoscete uguale colui che abbassate nei confronti dell'altro e camminerete con noi sulla via retta. C'è qualcosa che ciascuno di voi può raccomandare all'altro. Sabelliano, ascolta: La persona del Figlio è talmente distinta da quella del Padre che l'ariano sostiene che il Figlio non è uguale al Padre. Ariano, ascolta: Il Figlio è tanto uguale al Padre che il sabelliano sostiene che sono la medesima persona. Tu, sabelliano, aggiungi ciò che hai tolto, e tu, ariano, riporta all'uguaglianza ciò che hai abbassato, ed entrambi convenite con noi; poiché né tu devi eliminare, per convincere il sabelliano, colui che è una persona distinta dal Padre, né tu abbassare, per convincere l'ariano, colui che è uguale al Padre. Ad entrambi il Signore grida: Io e il Padre siamo una cosa sola (Gv 10, 30). Gli ariani tengano conto che egli dice una cosa sola, i sabelliani tengano conto che egli dice siamo; e non si rendano ridicoli, i primi negando l'uguaglianza di natura, i secondi negando la distinzione delle persone. E se poi l'affermazione: Le parole che io dico non le dico da me, vi fa pensare che il suo potere è limitato, tanto che non può fare ciò che vuole, tenete conto dell'altra sua affermazione: Come il Padre resuscita i morti e li fa vivere, così anche il Figlio fa vivere chi vuole (Gv 5, 21). Così, se la sua affermazione: Il Padre, che è in me, compie le opere, vi fa pensare che il Padre e il Figlio non sono due persone distinte, tenete presente l'altra sua affermazione: Quanto il Padre fa, il Figlio similmente lo fa (Gv 5, 19); e concludete che non si tratta di una sola persona menzionata due volte ma di una natura in due persone. E siccome uno è uguale all'altro, in modo tuttavia che uno ha origine dall'altro, perciò il Figlio non parla da sé, perché non è da sé; e perciò è il Padre a compiere in lui le opere, poiché colui per mezzo del quale e col quale il Padre agisce non è se non dal Padre. Infine il Signore aggiunge: Non credete che io sono nel Padre e il Padre è in me? Se non altro, credetelo a motivo delle mie opere (Gv 14, 11-12). Prima aveva rimproverato solo Filippo, adesso invece fa vedere che non era solo lui a meritare il rimprovero. A motivo delle opere credete che io sono nel Padre e il Padre è in me; e infatti, se fossimo separati, non potremmo in alcun modo operare inseparabilmente come facciamo.
[Cristo promette che farà opere maggiori delle sue.]
3. Vediamo ora di capire quello che segue: In verità, in verità vi dico: chi crede in me farà anch'egli le opere che io faccio; ne farà, anzi, di più grandi, perché io vado al Padre e qualunque cosa chiederete in nome mio la farò. Affinché il Padre sia glorificato nel Figlio, se domanderete qualche cosa nel mio nome io la farò (Gv 14, 12-14). Annuncia quindi che sarà lui a compiere queste opere più grandi. Non s'innalzi il servo al di sopra del Signore, né il discepolo al di sopra del Maestro (cf. Gv 13, 16): egli dice che i discepoli faranno opere più grandi di quelle fatte da lui, ma è sempre lui che agirà in essi e per mezzo di essi; non essi da se medesimi. E' per questo che a lui si canta: Ti amo, Signore, mia forza (Sal 17, 2). Ma quali sono queste opere più grandi? Forse perché, al loro passaggio, bastava la loro ombra a guarire gli infermi (cf. At 5, 15)? E' cosa più grande infatti operare guarigioni con l'ombra del corpo invece che con la frangia del mantello (cf. Mt 14, 36). Nel primo caso era lui direttamente che operava la guarigione, nel secondo caso era lui per mezzo dei discepoli, ma nel primo come nel secondo caso era sempre lui ad agire. In questo suo discorso, però, egli si riferisce all'opera della sua parola; infatti disse: Le parole che io vi dico non le dico da me, ma il Padre, che è in me, compie le sue opere. Di quali opere intendeva parlare se non di queste, cioè delle parole che diceva? I discepoli ascoltavano e credevano in lui, e la loro fede era il frutto di quelle parole. Ma quando i discepoli cominciarono ad annunciare il Vangelo, non credettero soltanto poche persone come appunto erano loro, ma popoli interi: queste sono, senza dubbio, opere più grandi. E' da notare che non dice: Voi farete opere più grandi di queste, come se soltanto agli Apostoli fosse concesso di farle, ma: Chi crede in me - egli dice - farà anch'egli le opere che io faccio, anzi, di più grandi. Dunque, chiunque crede in Cristo fa le opere che Cristo fa, anzi di più grandi? Non sono cose, queste, da trattarsi di passaggio, né frettolosamente e superficialmente; ma dovendo ormai chiudere questo discorso, siamo costretti a rimandare il commento.
17 - Mi fu fatta comprendere la prima parte del capitolo ventunesimo dell'Apocalisse
La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca243. Il beneficio della concezione immacolata di Maria santissima racchiude tanti e così imperscrutabili misteri che, per rendermi più capace di penetrarlo, sua Maestà me ne rivelò molti di quelli che san Giovanni pone nel capitolo ventunesimo dell'Apocalisse, rimettendomi alla comprensione che di essi mi era data. Per dichiarare qualcosa di ciò che mi fu manifestato, dividerò la spiegazione di quel capitolo in tre parti, al fine di evitare un poco la molestia che potrebbe causare se si trattasse tutto insieme. Darò prima la versione letterale, che è la seguente:
244. Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il Dio-con-loro. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate». E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse:
«Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco sono compiute! Io sono l'Alfa e l'Omega, il Principio e la Fine. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni; io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e per tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e zolfo. È' questa la seconda morte».
245. Questa è la prima delle tre parti del testo letterale ed io la spiegherò in questo capitolo dividendola nei suoi versetti. Vidi poi - dice l'Evangelista - un nuovo cielo e una nuova terra. Essendo già uscita Maria santissima dalle mani di Dio onnipotente e trovandosi così già nel mondo la materia immediata da cui si sarebbe formata l'umanità santissima del Verbo che doveva morire per l'uomo, l'Evangelista dice che vide un cielo nuovo e una nuova terra. Non senza grande proprietà poterono chiamarsi cielo nuovo quella natura e il seno verginale in cui e da cui si formò. In questo cielo, infatti, Dio cominciò ad abitare in un modo nuovo, ben differente da quello in cui aveva fino allora abitato nel cielo antico ed in tutte le creature. Si chiamò cielo nuovo anche quello dei santi dopo il mistero dell'incarnazione, poiché da questa ebbe origine per esso la novità di venire abitato dai mortali, cosa che prima non accadeva, e di venire rinnovato dalla gloria dell'umanità santissima di Cristo, nonché da quella della sua purissima Madre. Tale gloria fu tanto grande, dopo quella essenziale, che bastò per rinnovare i cieli e dare loro nuova bellezza e splendore. Benché qui stessero gli angeli buoni, questa era già come cosa antica e vecchia, per cui fu grande novità che l'Unigenito del Padre con la sua morte restituisse agli uomini il diritto alla gloria perduto per il peccato e li introducesse nel cielo, da cui erano stati esclusi, impotenti a riacquistarlo da se stessi. Siccome questa novità per il cielo cominciò da Maria santissima quando l'Evangelista la vide concepita senza il peccato, che impediva tutto ciò, questi disse che aveva visto un nuovo cielo.
246. Vide anche una nuova terra, perché la terra antica di Adamo era maledetta, macchiata e rea della colpa e della condanna eterna, mentre la terra santa e benedetta di Maria fu terra nuova, scevra dalla colpa e dalla maledizione di Adamo. Fu terra talmente nuova che dall'epoca della prima formazione, cioè quella di Adamo ed Eva, non si era vista né conosciuta al mondo altra terra nuova sino a Maria santissima. Fu terra talmente nuova e scevra dalla maledizione di quella antica e vecchia che in questa terra benedetta si rinnovò anche tutta l'altra dei figli di Adamo. Veramente per la terra benedetta di Maria, e con essa ed in essa, restò benedetta, rinnovata e vivificata quella di Adamo, che fino allora era stata maledetta ed era invecchiata nella sua maledizione. Si rinnovò tutta per Maria santissima e per la sua innocenza. Essendo cominciato in lei questo nnnovamento della natura umana e terrena, san Giovanni dice che in Maria concepita senza peccato vide un cielo nuovo ed una terra nuova. Quindi prosegue:
247. Perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi. Venendo al mondo ed apparendo in esso la nuova terra ed il nuovo cielo di Maria santissima e di suo Figlio, uomo e Dio vero, era conseguente che sparissero l'antico cielo e la terra invecchiata della natura umana e terrena con il peccato. Ci fu un nuovo cielo per la Divinità nella natura umana, che, preservata e libera dalla colpa, dava una nuova abitazione al medesimo Dio mediante l'unione ipostatica nella persona del Verbo, mentre cessò di esistere il primo cielo, che Dio aveva creato in Adamo, ma che si era macchiato rendendosi inadatto ad essere abitato da Dio. Questo scomparve e subentrò un altro cielo nuovo con la venuta di Maria. Cominciò anche ad esistere un nuovo cielo della gloria per la natura umana, non perché fosse stato rimosso o fosse scomparso l'empireo, ma perché questo cessò di essere senza uomini come era stato per tanti secoli. Quanto a questo, cessò di essere il primo cielo e divenne un cielo nuovo per i meriti di Cristo, che già cominciavano a risplendere nell'aurora della grazia, Maria santissima sua madre. Così, scomparvero il primo cielo e la prima terra, che sino allora era stata senza rimedio. Anche il mare non c'era più, poiché con la venuta di Maria santissima e di Cristo venne meno il mare di abominazioni e peccati che inondava il mondo e sommergeva la terra della nostra natura. In verità, il mare del sangue di Cristo sovrabbondò e superò quello dei peccati, essendo di valore tale che in comparazione nessuna colpa ha peso. Se i mortali volessero approfittare di questo mare infinito della misericordia divina e del merito di Gesù Cristo nostro Signore, cesserebbero di esistere tutti i peccati del mondo, essendo l'Agnello di Dio venuto per cacciarli e distruggerli tutti.
248. Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Poiché tutti questi misteri cominciavano da Maria santissima e si fondavano su lei, l'Evangelista dice che la vide sotto la forma della città santa di Gerusalemme, parlando della regina con questa metafora. Gli fu concesso di vederla in tale forma affinché conoscesse meglio il tesoro che ai piedi della croce gli era stato raccomandato ed affidato e lo custodisse con degna stima; infatti, anche se nessuna predisposizione del discepolo poteva essere tale da supplire alla mancanza della presenza del Figlio della Vergine, poiché san Giovanni prendeva il suo posto, era conveniente che fosse illuminato in modo conforme alla dignità ed all'ufficio che riceveva venendo sostituito al Figlio naturale.
249. La santa città di Gerusalemme, per i misteri operati da Dio in essa, era il simbolo più conveniente di colei che era sua Madre, nonché centro e compendio di tutte le meraviglie dell'Onnipotente. Per questa stessa ragione è simbolo anche della Chiesa militante e di quella trionfante. La vista dell'aquila generosa che fu Giovanni si estese a tutte queste cose, per la corrispondenza e l'analogia che hanno tra loro queste mistiche città di Gerusalemme, ma contemplò soprattutto la Gerusalemme suprema che è Maria santissima, in cui stanno raccolte e riepilogate tutte le grazie, le meraviglie, i doni e le virtù della Chiesa militante e di quella trionfante. Tutto quello che fu operato nella Gerusalemme di Palestina e tutto ciò che essa ed i suoi abitanti significano si trova racchiuso in Maria purissima, città santa di Dio, in modo più mirabile ed eccellente che nel resto del cielo, della terra e di quanti lì vivono. La chiama nuova Gerusalemme per la novità di tutti i suoi doni, della sua grandezza e delle sue virtù, causa di nuova meraviglia per i santi; inoltre, perché venne dopo tutti i Padri antichi, i Patriarchi e i Profeti ed in lei si compirono e rinnovarono le loro voci, i loro oracoli, le loro promesse; ancora, perché viene senza il contagio della colpa e discende dalla grazia secondo un ordine tutto nuovo, distante dalla comune legge del peccato; infine, perché entra nel mondo trionfando sul demonio e sul primo inganno, e questa è la cosa più nuova che si sia vista nel mondo dal suo principio in poi.
250. Essendo ciò del tutto nuovo sulla terra e non potendo provenire da questa, san Giovanni dice che discendeva dal cielo. Anche se secondo l'ordine comune della natura discese da Adamo, non venne per la via battuta ed ordinaria della colpa per la quale erano passati tutti i suoi predecessori, figli di quel primo delinquente. Per questa sola Signora ci fu un decreto a parte nella divina predestinazione e si aprì un nuovo sentiero attraverso il quale venisse al mondo con il suo Figlio santissimo, senza essere compagna nell'ordine della grazia ad alcun altro mortale e senza che alcun altro fosse compagno a lei ed a Cristo nostro Signore. Così, scese nuova dal cielo della mente e della determinazione di Dio. Dalla terra, macchiati da essa, discendono tutti gli altri figli di Adamo, mentre questa Regina di tutto il creato venne dal cielo, discendendo solo da Dio per l'innocenza e la grazia. Comunemente diciamo che uno viene da quella casa o prosapia da cui discende e discende da dove ha ricevuto il suo essere. Ora, l'essere naturale che Maria santissima ricevette da Adamo si ravvisa appena nel contemplarla madre del Verbo eterno e quasi a lato dell'eterno Padre per la grazia e la partecipazione alla sua divinità che ricevette per tale dignità. Questo è in lei l'essere principale, per cui l'altro, quello che ha dalla natura, risulta accessorio e secondario. Per questo, l'Evangelista fissò lo sguardo su quello principale, che scese dal cielo, e non su quello accessorio, che venne dalla terra.
251. Prosegue dicendo che era pronta come una sposa adorna per il suo sposo. Per il giorno del matrimonio i mortali cercano il maggiore ornamento e l'abbigliamento più elegante che si possano trovare per abbellire la sposa terrena e non importa che i gioielli più ricchi si abbiano in prestito, purché niente le manchi. Quindi, se confessiamo, come è necessario confessare, che Maria purissima fu sposa della santissima Trinità ed allo stesso tempo madre della persona del Figlio e che per tali dignità fu adornata e preparata dal medesimo Dio onnipotente, infinito e ricco senza misura e limiti, quale ornamento, quale preparazione, quali gioielli saranno quelli con cui egli impreziosì la sua sposa e madre perché divenisse degna sposa e degna madre? Avrà forse riservato qualche gioiello nei suoi tesori? Le avrà negato qualche grazia di quelle con cui il suo potente braccio avrebbe potuto arricchirla ed abbellirla? L'avrà lasciata brutta, scomposta, macchiata in qualche parte o per qualche istante? Sarà stato scarso od avaro con la madre e sposa sua colui che elargisce prodigiosamente i tesori della sua divinità a tante anime che rispetto a lei sono meno che serve, meno che schiave della sua casa? Tutte loro confessano, con il medesimo Signore, che una sola è l'eletta e la perfetta, che le altre devono riconoscere, testimoniare e magnificare come immacolata e fortunatissima fra le donne e della quale piene di ammirazione con giubilo e lode domandano: «Chi è costei che sorge come l'aurora, bella come la luna, fulgida come il sole, terribile come schiere a vessilli spiegati?». È' Maria santissima, unica sposa e madre dell'Onnipotente, che discese nel mondo adorna e preparata come sposa della beatissima Trinità, per il suo sposo e figlio. Questo arrivo ed ingresso nel mondo avvenne con tanti doni della Divinità che la sua luce la rese più vaga dell'aurora, più bella della luna, più eletta e singolare del sole, senza che nessuna a lei si potesse paragonare, più forte e potente di tutti gli eserciti del cielo e dei santi. Discese adornata e preparata per Dio, che le diede tutto ciò che egli volle, volle darle tutto ciò che poté e poté darle tutto ciò che non era essere Dio, sebbene fosse quanto di più vicino alla sua divinità e di più distante dal peccato potesse trovarsi in una semplice creatura. Questo ornamento fu intero e perfetto; non sarebbe stato tale se le fosse mancato qualcosa e le sarebbe mancato se fosse esistita qualche istante senza l'innocenza e la grazia. Forse, senza questa, sarebbe bastato a renderla così bella che l'ornamento ed i brillanti della grazia fossero posti sopra un volto deforme, macchiato dalla colpa, o sopra una veste sudicia ed indecente? Vi sarebbe rimasta sempre qualche imperfezione, per cui, per quanti accorgimenti si fossero usati, non si sarebbe mai potuto togliere l'ombra o il segno della macchia. Tutto ciò era poco conveniente per Maria, madre e sposa di Dio, e quindi anche per lui, che non l'avrebbe affatto adornata e preparata con amore di sposo né con attenzione di figlio, se per vestire la madre e sposa sua avesse cercato una stoffa macchiata e vecchia, mentre ne aveva in casa una ricca e preziosa.
252. È' ormai tempo che l'intelletto umano si estenda e si dilati per onorare la nostra grande Regina e chi avesse opinioni contrarie su tale punto, fondate su percezioni diverse, si ritiri e si trattenga dallo spogliarla dell'ornamento della sua purezza immacolata nell'istante della sua divina concezione. Per la forza della verità e della luce in cui vedo questi ineffabili misteri, confesso una e più volte che tutti i privilegi, le grazie, le prerogative, i favori ed i doni di Maria santissima, incluso quello di essere madre di Dio - per come mi sono fatti conoscere - dipendono ed hanno origine dall'essere stata immacolata e piena di grazia nella sua concezione purissima, cosicché senza questo beneficio tutti gli altri apparirebbero informi e mancanti ovvero come un sontuoso edificio senza fondamento solido e proporzionato. Hanno tutti relazione secondo un certo ordine e collegamento con la purezza ed innocenza della concezione. Per questo si è dovuto necessariamente toccare tante volte questo mistero nel corso di questa Storia, cominciando dai decreti divini sulla formazione di Maria e del suo Figlio santissimo in quanto uomo. Non mi dilungo più su questo, ma avverto tutti che la Regina del cielo apprezzò talmente l'ornamento e la bellezza che il suo Figlio e sposo le diede nella sua purissima concezione che in proporzione di tale stima sarà la sua indignazione contro chi con ostinazione e perfidia pretenderà di spogliarla di ciò, infliggendole tale macchia mentre il suo Figlio santissimo si è degnato di manifestarla al mondo così adorna e bella, per gloria sua e speranza dei mortali.
253. Udii allora una voce potente che usciva dal trono:
«Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra loro ed essi saranno suo popolo ed egli sarà il "Dio-con-loro ». La voce dell'Altissimo è grande, forte, soave ed efficace per muovere ed attirare completamente a sé la creatura. Tale fu questa voce che san Giovanni udì uscire dal trono della santissima Trinità. Essa gli rapì tutta l'attenzione che era richiesta, dicendogli di fissare lo sguardo sul tabernacolo di Dio, affinché mediante il raccoglimento conoscesse perfettamente il mistero che gli veniva palesato vedendo la dimora di Dio con gli uomini: egli avrebbe vissuto con loro, sarebbe stato il loro Dio ed essi suo popolo. Tutto questo mistero era racchiuso nel vedere Maria santissima discendere dal cielo nella forma che ho detto, perché, stando questa dimora di Dio nel mondo, conseguiva che lo stesso Dio venisse a stare con gli uomini, vivendo ed abitando in essa senza allontanarsene. In verità, fu come dire all'Evangelista: «Il re ha già la sua casa e corte nel mondo, per cui è evidente che andrà ad abitare in essa». Ma in che modo abiterà in tale dimora? Prendendo da essa stessa la forma umana, per passare nel mondo ed abitare con gli uomini, essere loro Dio ed essi suo popolo, come eredità di suo padre ed allo stesso tempo di sua madre. Del Padre eterno fummo eredità per il suo Figlio santissimo non solo perché in lui e per lui creò tutte le cose e le diede a lui in eredità nell'eterna generazione, ma anche perché come uomo egli ci riscattò nella nostra stessa natura, facendoci suo popolo e sua eredità paterna e rendendoci suoi fratelli. Per la stessa ragione della natura umana fummo e siamo eredità legittima della sua santissima Madre, perché ella gli diede la forma della carne umana con cui ci acquistò per sé. Per questo ella, essendo sua Madre e figlia e sposa della santissima Trinità, veniva ad essere signora dell'intero creato, che il suo unigenito doveva ereditare. Certamente ciò che concedono le leggi umane, essendo basato sulla ragione naturale, non doveva mancare in quelle divine.
254. Uscì questa voce dal trono regale per mezzo di un angelo che mi parve dicesse all'Evangelista: «Fa' bene attenzione e guarda la dimora di Dio con gli uomini, in cui vivrà con loro ed essi saranno suo popolo. Egli diventerà loro fratello prendendo la loro forma per mezzo di questo tabernacolo che è Maria, che vedi scendere dal cielo per la sua concezione e formazione». Noi possiamo rispondere con lieto sembiante a questi cortigiani del cielo che la dimora di Dio sta molto bene con noi, perché è nostra ed attraverso di essa diverrà nostro anche Dio. In essa riceverà vita e sangue da offrire per noi, facendoci suo popolo, vivendo con noi come in sua casa e dimora, poiché lo riceveremo come sacramento, resi così a nostra volta sua dimora. Siano contenti, questi divini spiriti e principi, di essere fratelli più grandi e meno bisognosi degli uomini. Noi siamo i piccoletti e deboli che abbiamo bisogno dei doni e dei favori del nostro Padre e fratello. Venga nella dimora della Madre sua e nostra, prenda la forma della carne umana dalle sue viscere verginali; la Divinità si rivesta e viva con noi ed in noi. Teniamocelo così vicino che egli sia nostro Dio e noi suo popolo e sua dimora. Ne stupiscano gli spiriti angelici e, rapiti da tali meraviglie, lo benedicano; godiamolo noi mortali, accompagnandoli nella medesima lode di ammirazione e di amore. Ora il testo continua:
255. E tergerà ogni lacrima dai loro occhi, non ci sarà più la morte, né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate. Mediante il frutto della redenzione umana, di cui ci fu dato pegno certo nella concezione di Maria santissima, si asciugarono le lacrime che il peccato aveva provocato negli occhi dei mortali. Per questo, per coloro che approfitteranno delle misericordie dell'Altissimo, del sangue e dei meriti di suo Figlio, dei suoi misteri e sacramenti, dei tesori della sua Chiesa e dell'intercessione della sua santissima Madre, non ci sarà morte, né dolore, né pianto, avendo cessato di esistere la morte causata dal peccato ed avendo avuto fine tutto ciò che da essa era conseguito. Il vero pianto se ne andò negli abissi con i figli della perdizione, dove non è rimedio. Il dolore delle tribolazioni temporali, poi, non è pianto né dolore vero, ma apparente; esso sta bene insieme alla vera e somma allegrezza ed anzi, accolto di buon animo, è di inestimabile valore. Come pegno di amore lo scelse per sé, per sua Madre e per i suoi fratelli lo stesso Figlio di Dio.
256. Neppure vi saranno grida e voci di lamento, perché i giusti ed i saggi sull'esempio del loro Maestro e della Madre umilissima devono imparare a tacere, come fa la semplice pecorella quando è condotta ad essere vittima e sacrificio. Al diritto che ha la fragile natura di cercare qualche sollievo in grida e lamenti devono rinunciare gli amici di Dio, che vedono sua Maestà, loro capo ed esempio, umiliato sino alla morte obbrobriosa della croce per riparare i danni della nostra poca capacità di soffrire e di sopportare. Di fronte ad un simile esempio, come si può permettere alla nostra natura di alterarsi e lamentarsi nelle tribolazioni? Come le si può accordare di muoversi in modo disordinato e contrario alla carità, mentre Cristo viene a stabilire la legge dell'amore fraterno? L'Evangelista torna a dire che non ci sarà più dolore, perché, se ne doveva restare uno negli uomini, era quello della cattiva coscienza, ma come rimedio a questo male fu medicina così soave l'incarnazione del Verbo nelle viscere di Maria santissima che già esso è piacevole e causa di allegrezza. Anzi, neanche merita il nome di dolore, perché contiene in sé il sommo e vero gaudio e con la sua introduzione nel mondo passarono le cose di prima, cioè i dolori ed i rigori inefficaci della legge antica, poiché si temperarono e terminarono con l'abbondanza della legge evangelica nel dare la grazia. Per questo, soggiunge: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose». Questa voce venne da Colui che stava assiso sul trono, poiché egli stesso si dichiarò artefice di tutti i misteri della nuova legge del Vangelo. Poiché questa novità cominciava da una cosa così singolare e non pensata dalle creature come l'incarnazione dell'Unigenito del Padre in una Madre vergine e purissima, era necessario che, se tutto doveva essere nuovo, non vi fosse in lei alcuna cosa vecchia, come è il peccato originale, antico quasi quanto la natura, per cui, se la madre del Verbo che stava per incarnarsi lo avesse avuto in sé, Dio non avrebbe fatto nuove tutte le cose.
257. E soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci. Ecco, sono compiute!». Per parlare umanamente, Dio soffre vivamente della dimenticanza delle grandi opere d'amore che egli fece per noi con la sua incarnazione e con la redenzione degli uomini. Perciò, in memoria di tanti benefici ed in riparazione della nostra ingratitudine, comanda che si scrivano. Così i mortali dovrebbero scriverle nei loro cuori e temere l'offesa che commettono contro Dio con una così villana ed esecrabile dimenticanza. Benché sia vero che i cattolici hanno fede in tali misteri, con la noncuranza che mostrano nel gradirli e con quella che fanno supporre nel dimenticarli, pare che tacitamente li neghino, vivendo come se non li credessero. Quindi, affinché abbiano un accusatore della loro triste ingratitudine, il Signore dice che queste parole sono certe e veraci. Ed essendo veramente tali, si vedano il torpore e la grettezza dei mortali nel non convincersi di verità che, come sono fedelissime, sarebbero efficaci per muovere il cuore umano e vincerne la ribellione, quando come vere e fedelissime si fissassero nella memoria, si ruminassero in essa e si ritenessero certe, infallibili ed operate da Dio per ciascuno di noi.
258. Per altro, non essendo i doni di Dio soggetti a pentimento, poiché non ritratta il bene che fa anche se disobbligato dagli uomini, dice che già è compiuto, quasi lasciasse intuire che, sebbene per la nostra ingratitudine lo abbiamo irritato, non vuole retrocedere nel suo amore. Anzi, avendo inviato al mondo Maria santissima senza la colpa originale, già dà per compiuto tutto quanto appartiene al mistero dell'incarnazione. Trovandosi, infatti, Maria purissima sulla terra, non pare che il Verbo eterno possa restare nel solo cielo senza scendere a prendere carne umana nel suo seno. Assicura maggiormente ciò soggiungendo: «Io sono l'Alfa e l'Omèga, la prima e l'ultima lettera, che come principio e fine racchiude la perfezione di tutte le opere, per cui, se do a queste principio, è per condurle fino alla perfezione del loro ultimo fine. Così farò per mezzo di questa opera di Cristo e Maria; come con essa diedi principio a tutte le opere della grazia, così attraverso di essa darò loro fine. E nell'uomo porterò e guiderò tutte le creature a me, come a loro ultimo fine e come a centro dove riposano».
259. A colui che ha sete darò gratuitamente acqua della fonte della vita. Chi sarà vittorioso erediterà questi beni. Affinché s'intendesse che tutto quanto Dio fa ed ha fatto per gli uomini è gratuito e senza obbligazioni di sorta, disse l'Apostolo: Chi mai ha potuto conoscere il pensiero del Signore? O chi mai è stato suo consigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo, sì che abbia a riceverne il contraccambio?. L'origine di tutte le fonti non deve la sua corrente a nessuno di quelli che vanno a bere da esse, ma spontaneamente ed in modo gratuito vengono date a tutti quelli che vi accorrono. Se non tutti partecipano della sua acqua, ciò non è colpa della fontana, ma solo di chi non va a berne, mentre essa sta invitando tutti con abbondanza ed allegrezza. Anzi, poiché non vanno a lei e non la cercano, esce essa stessa a cercare chi la riceva e corre senza fermarsi. Tanto gratuitamente e spontaneamente si offre a tutti! Oh, tiepidezza riprensibile dei mortali! Oh, abominevole ingratitudine! Se niente ci deve il vero Signore Dio e se ci diede e ci dà ogni cosa per grazia, se tra tutti i benefici e le grazie il maggiore fu essersi fatto uomo ed essere morto per noi, poiché con tale beneficio ci diede tutto se stesso, correndo l'impeto della divinità fino ad incontrarsi con la nostra natura per unirsi con essa e con noi, com'è possibile che, essendo noi tanto assetati di onore, gloria e piaceri, non andiamo a bere tutto questo a tale fontana che ce lo offre gratuitamente? Così ne vedo la causa: non è della gloria vera e del vero onore e riposo che siamo assetati; perciò aneliamo a ciò che èingannevole ed apparente, disprezzando le fonti della grazia che ci aprì Gesù Cristo nostro bene con i suoi meriti e con la sua morte. A chi avrà sete della divinità e della grazia, però, il Signore promette che darà gratuitamente dell'acqua della vita. Oh, quale compassione e dolore che, essendosi scoperta la sorgente della vita, tanto pochi siano assetati di essa e tanti invece corrano alle acque di morte! Soltanto chi vincerà in se stesso il demonio, il mondo e la propria carne possederà queste cose. Dio aggiunge che costui le possederà, perché, essendo queste acque date a lui per grazia, potrebbe temere che venga un tempo in cui gli siano negate o tolte; quindi, per rassicurarlo, Dio dice che gli saranno date in possesso pieno ed illimitato.
260. Lo assicura, inoltre, con un'altra nuova e maggiore affermazione, dicendogli: Io sarò il suo Dio ed egli sarà mio figlio. Ora, se egli è per noi Dio e noi siamo figli, è evidente che con ciò egli ci ha fatto suoi figli. Essendo figli, consegue che siamo eredi dei suoi beni; ed essendo eredi, sebbene tutta questa eredità sia gratuita, è per noi sicura come lo sono per i figli i beni del loro padre. Di più, essendo egli allo stesso tempo Padre e Dio infinito negli attributi e nelle perfezioni, chi potrà dire quanti o quali siano i beni che ci offre facendoci suoi figli? Qui si comprendono l'amore paterno, l'esistenza, la vocazione, la storia e la giustificazione, i mezzi per raggiungerla e, come fine di tutto, la glorificazione ed uno stato di felicità che occhio non vide, né orecchio udì, né mai entrò in cuore di uomo. Tutto questo è riservato per quelli che vinceranno, mostrandosi figli coraggiosi e veri.
261. Ma per i vili e gl'increduli, gli abietti e gli omicidi, gl'immorali, i fattucchieri, gli idolatri e tutti i mentitori è riservato lo stagno ardente di fuoco e zolfo. È questa la seconda morte. In questo terribile elenco si sono iscritti con le loro stesse mani innumerevoli figli della perdizione, perché è infinito il numero degli stolti che ciecamente scelgono la morte, rinunciando al cammino della vita. Non accade perché questo è nascosto a quanti hanno occhi, ma perché li chiudono alla luce, lasciandosi sempre affascinare ed accecare dalle arti di satana, che, secondo le differenti inclinazioni e voglie degli uomini, offre loro il veleno nascosto in diverse bevande di vizi che appetiscono. I vili sono quelli che ora vogliono ed ora non vogliono, senza avere gustato la manna della virtù, che a loro si presenta insipida, e senza avere inoltrato il piede nel cammino della vita eterna, che appare loro un'impresa terribile, mentre il giogo del Signore è dolce ed il suo carico è leggero. Ingannati così da questo timore, si lasciano vincere prima dalla codardia che dalla fatica. Altri poi, increduli, o non ammettono le verità rivelate negando loro fede, come gli eretici, i pagani e gli infedeli, oppure, se le credono come cattolici, pare che le odano da lontano e che le credano per altri anziché per se stessi. Così, hanno una fede morta ed operano come se fossero increduli.
262. Gli abietti sono quelli che, seguendo senza ritegno né freno qualunque vizio, anzi gloriandosi delle malvagità e non facendo alcun caso di commetterle, si rendono spregevoli a Dio, esecrabili e maledetti, giungendo ad uno stato di ribellione che rende loro quasi impossibile fare il bene. Costoro, allontanandosi dal cammino della vita eterna come se non fossero creati per essa, si separano e si alienano da Dio, dai suoi benefici e dalle sue benedizioni, divenendo abominevoli allo stesso Signore ed ai suoi santi. Gli omicidi sono quelli che, senza timore né riverenza della divina giustizia, usurpano a Dio il diritto di supremo signore per governare l'universo e castigare e vendicare le ingiurie, meritando in tale modo di venire misurati e giudicati con la stessa misura con cui essi hanno voluto misurare gli altri e giudicarli. Gli immorali sono quelli che per un breve ed immondo piacere, aborrito appena compiuto senza che ne venga saziato il disordinato appetito, non si curano dell'amicizia di Dio e disprezzano le gioie eterne, le quali, saziando, sono desiderate sempre più e soddisfano senza che mai si debbano perdere. I fattucchieri sono quelli che credettero e sperarono nelle false promesse del serpente mascherato sotto l'apparenza di amico, restando così ingannati e pervertiti per ingannare e pervertire altri. Gli idolatri sono quelli che, andando in cerca della divinità, non la trovarono, mentre sta vicino a tutti. La attribuirono ad oggetti che non potevano averla, perché la davano loro quelli stessi che li fabbricavano: ombre inanimate della verità e cisterne screpolate, incapaci di contenere la grandezza del Dio vero. I mentitori sono quelli che si oppongono alla somma Verità che è Dio e, abbandonandosi all'estremo contrario, si privano della sua rettitudine e virtù; confidano più nel finto inganno che nello stesso autore della verità e di ogni bene.
263. L'Evangelista dice di avere udito che per tutti costoro è riservato lo stagno ardente di fuoco e di zolfo. E' questa la seconda morte. Avendo Dio giustificato la sua causa con la grandezza dei suoi benefici e delle sue misericordie senza numero, con lo scendere dal cielo a vivere e morire tra gli uomini per riscattarli con la sua medesima vita ed il suo sangue, con il lasciare tante sorgenti di grazia a nostro libero uso e gratuite nella santa Chiesa, e soprattutto la madre della medesima grazia e fonte della vita, Maria santissima, per mezzo della quale poterla ottenere, chi mai potrà redarguire la divina equità e giustizia, se di tutti questi benefici e tesori i mortali non hanno voluto approfittare e se hanno rinunciato all'eredità della vita per seguire con un momentaneo diletto quella della morte? È' naturale che raccolgano quello che hànno seminato e che la loro parte ed eredità sia il fuoco eterno in quell'abisso terribile di zolfo dove non è redenzione né più speranza di vita, per essere incorsi nella seconda morte. Questa è interminabile per la sua eternità, ma tuttavia meno abominevole della prima morte del peccato che i reprobi si attirarono volontariamente con le proprie mani, poiché fu morte alla grazia, causata dal peccato che si oppose alla bontà ed alla santità infinita di Dio offendendolo quando doveva essere adorato e riverito. Giusto castigo è la morte per chi merita di essere condannato; a lui l'applica la giustizia rettissima. Per mezzo di essa Dio viene glorificato e magnificato, come con il peccato fu disprezzato ed oltraggiato. Sia egli per tutti i secoli temuto ed adorato. Amen.
4-158 Dicembre 5, 1902 Vede una donna che piange lo stato dei popoli, questa le chiede non togliersi dal suo stato di vittima.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Trovandomi nel solito mio stato, il benedetto Gesù mi ha comunicato le sue pene, e stando io sofferente vedevo una donna che piangeva dirottamente e diceva: “I re si sono collegati insieme ed i popoli periscono, e questi non vedendosi aiutati, protetti, anzi spogliati, si smarriranno, ed i re senza dei popoli non possono sussistere. Ma quello che mi fa più piangere, che veggo mancare le fortezze della giustizia, quali sono le vittime, unico e solo sostegno che mantiene la giustizia in questi tempi tristissimi; almeno mi dai tu la parola di non toglierti da questo stato di vittima?”
(2) Ed io, non so il perché, mi sono sentita tanto risoluta che ho risposto: “Questa parola non la do, no, ma mi starò finché il Signore vorrà, ma non appena Lui me lo dirà ch’è finito il tempo di far questa penitenza, non vi starò neppure un minuto dopo”. E quella nel sentire la mia irremovibile volontà, più piangeva, quasi volendomi muovere col suo pianto a dire il sì, ed io più che mai risoluta ho detto: “No, no”.
(3) E quella piangendo ha detto: “Sicché ci sarà giustizia, castighi, strage, senza nessun risparmio”.
(4) Però, avendolo detto al confessore mi ha detto che per ubbidienza ritirasse il no.