Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Ogni giorno siamo frastornati da spettacoli indecenti di ingiustizia: vediamo regnare la prepotenza e sopraffazione. I violenti e i malvagi vanno avanti. Vediamo l'apparente prosperità  degli empi, e questo ci addolora e ci disorienta. Una grande malinconia invade il nostro cuore. Non possiamo fare l'altro che alzare gli occhi al cielo e chiedere: "Perché, Signore?" Le ingiustizie si succedono a ritmo incessante sulla scena del mondo. Il male, il disordine, la violenza di ogni genere, continuano a dominare e ne siamo quasi annichiliti. Tuttavia, queste realtà  mostruose, per quanto terrificanti, sono provvisorie. Devo essere convinto della loro fine e della loro sconfitta nascosta proprio tra le pieghe del trionfo ostentato. L'apparente trionfo degli empi non è altro che frastuono del torrente che precipita nella valle e si perde nel mare. Allora non hai niente da invidiare agli empi. Se fai la volontà  di Dio, la tua angoscia cambierà  in balsamo di grazia. Se vivi in Dio, se vivi di Dio, vivrai per sempre! (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 17° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 27

1Venuto il mattino, tutti i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo tennero consiglio contro Gesù, per farlo morire.2Poi, messolo in catene, lo condussero e consegnarono al governatore Pilato.

3Allora Giuda, il traditore, vedendo che Gesù era stato condannato, si pentì e riportò le trenta monete d'argento ai sommi sacerdoti e agli anziani4dicendo: "Ho peccato, perché ho tradito sangue innocente". Ma quelli dissero: "Che ci riguarda? Veditela tu!".5Ed egli, gettate le monete d'argento nel tempio, si allontanò e andò ad impiccarsi.6Ma i sommi sacerdoti, raccolto quel denaro, dissero: "Non è lecito metterlo nel tesoro, perché è prezzo di sangue".7E tenuto consiglio, comprarono con esso il Campo del vasaio per la sepoltura degli stranieri.8Perciò quel campo fu denominato "Campo di sangue" fino al giorno d'oggi.9Allora si adempì quanto era stato detto dal profeta Geremia: 'E presero trenta denari d'argento, il prezzo del venduto, che i figli di Israele avevano mercanteggiato,10e li diedero per il campo del vasaio, come mi aveva ordinato il Signore.'

11Gesù intanto comparve davanti al governatore, e il governatore l'interrogò dicendo: "Sei tu il re dei Giudei?". Gesù rispose "Tu lo dici".12E mentre lo accusavano i sommi sacerdoti e gli anziani, non rispondeva nulla.13Allora Pilato gli disse: "Non senti quante cose attestano contro di te?".14Ma Gesù non gli rispose neanche una parola, con grande meraviglia del governatore.
15Il governatore era solito, per ciascuna festa di Pasqua, rilasciare al popolo un prigioniero, a loro scelta.16Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, detto Barabba.17Mentre quindi si trovavano riuniti, Pilato disse loro: "Chi volete che vi rilasci: Barabba o Gesù chiamato il Cristo?".18Sapeva bene infatti che glielo avevano consegnato per invidia.
19Mentre egli sedeva in tribunale, sua moglie gli mandò a dire: "Non avere a che fare con quel giusto; perché oggi fui molto turbata in sogno, per causa sua".20Ma i sommi sacerdoti e gli anziani persuasero la folla a richiedere Barabba e a far morire Gesù.21Allora il governatore domandò: "Chi dei due volete che vi rilasci?". Quelli risposero: "Barabba!".22Disse loro Pilato: "Che farò dunque di Gesù chiamato il Cristo?". Tutti gli risposero: "Sia crocifisso!".23Ed egli aggiunse: "Ma che male ha fatto?". Essi allora urlarono: "Sia crocifisso!".
24Pilato, visto che non otteneva nulla, anzi che il tumulto cresceva sempre più, presa dell'acqua, si lavò le mani davanti alla folla: "Non sono responsabile, disse, di questo sangue; vedetevela voi!".25E tutto il popolo rispose: "Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli".26Allora rilasciò loro Barabba e, dopo aver fatto flagellare Gesù, lo consegnò ai soldati perché fosse crocifisso.

27Allora i soldati del governatore condussero Gesù nel pretorio e gli radunarono attorno tutta la coorte.28Spogliatolo, gli misero addosso un manto scarlatto29e, intrecciata una corona di spine, gliela posero sul capo, con una canna nella destra; poi mentre gli si inginocchiavano davanti, lo schernivano: "Salve, re dei Giudei!".30E sputandogli addosso, gli tolsero di mano la canna e lo percuotevano sul capo.31Dopo averlo così schernito, lo spogliarono del mantello, gli fecero indossare i suoi vestiti e lo portarono via per crocifiggerlo.

32Mentre uscivano, incontrarono un uomo di Cirene, chiamato Simone, e lo costrinsero a prender su la croce di lui.33Giunti a un luogo detto Gòlgota, che significa luogo del cranio,34gli 'diedero da bere vino' mescolato con 'fiele'; ma egli, assaggiatolo, non ne volle bere.35Dopo averlo quindi crocifisso, 'si spartirono le' sue 'vesti tirandole a sorte'.36E sedutisi, gli facevano la guardia.37Al di sopra del suo capo, posero la motivazione scritta della sua condanna: "'Questi è Gesù, il re dei Giudei'".
38Insieme con lui furono crocifissi due ladroni, uno a destra e uno a sinistra.

39E quelli che passavano di là lo insultavano 'scuotendo il capo' e dicendo:40"Tu che distruggi il tempio e lo ricostruisci in tre giorni, salva te stesso! Se tu sei Figlio di Dio, scendi dalla croce!".41Anche i sommi sacerdoti con gli scribi e gli anziani lo schernivano:42"Ha salvato gli altri, non può salvare se stesso. È il re d'Israele, scenda ora dalla croce e gli crederemo.43'Ha confidato in Dio; lo liberi lui' ora, 'se gli vuol bene'. Ha detto infatti: Sono Figlio di Dio!".44Anche i ladroni crocifissi con lui lo oltraggiavano allo stesso modo.

45Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio si fece buio su tutta la terra.46Verso le tre, Gesù gridò a gran voce: "'Elì, Elì, lemà sabactàni?'", che significa: "'Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?'".47Udendo questo, alcuni dei presenti dicevano: "Costui chiama Elia".48E subito uno di loro corse a prendere una spugna e, imbevutala 'di aceto', la fissò su una canna e così gli 'dava da bere'.49Gli altri dicevano: "Lascia, vediamo se viene Elia a salvarlo!".50E Gesù, emesso un alto grido, spirò.
51Ed ecco il velo del tempio si squarciò in due da cima a fondo, la terra si scosse, le rocce si spezzarono,52i sepolcri si aprirono e molti corpi di santi morti risuscitarono.53E uscendo dai sepolcri, dopo la sua risurrezione, entrarono nella città santa e apparvero a molti.54Il centurione e quelli che con lui facevano la guardia a Gesù, sentito il terremoto e visto quel che succedeva, furono presi da grande timore e dicevano: "Davvero costui era Figlio di Dio!".
55C'erano anche là molte donne che stavano a osservare da lontano; esse avevano seguito Gesù dalla Galilea per servirlo.56Tra costoro Maria di Màgdala, Maria madre di Giacomo e di Giuseppe, e la madre dei figli di Zebedèo.

57Venuta la sera giunse un uomo ricco di Arimatéa, chiamato Giuseppe, il quale era diventato anche lui discepolo di Gesù.58Egli andò da Pilato e gli chiese il corpo di Gesù. Allora Pilato ordinò che gli fosse consegnato.59Giuseppe, preso il corpo di Gesù, lo avvolse in un candido lenzuolo60e lo depose nella sua tomba nuova, che si era fatta scavare nella roccia; rotolata poi una gran pietra sulla porta del sepolcro, se ne andò.61Erano lì, davanti al sepolcro, Maria di Màgdala e l'altra Maria.

62Il giorno seguente, quello dopo la Parasceve, si riunirono presso Pilato i sommi sacerdoti e i farisei, dicendo:63"Signore, ci siamo ricordati che quell'impostore disse mentre era vivo: Dopo tre giorni risorgerò.64Ordina dunque che sia vigilato il sepolcro fino al terzo giorno, perché non vengano i suoi discepoli, lo rubino e poi dicano al popolo: È risuscitato dai morti. Così quest'ultima impostura sarebbe peggiore della prima!".65Pilato disse loro: "Avete la vostra guardia, andate e assicuratevi come credete".66Ed essi andarono e assicurarono il sepolcro, sigillando la pietra e mettendovi la guardia.


Secondo libro delle Cronache 26

1Tutto il popolo di Giuda prese Ozia che aveva sedici anni e lo proclamò re al posto del padre Amazia.2Egli ricostruì Elat e la ricondusse sotto il dominio di Giuda, dopo che il re si era addormentato con i suoi padri.
3Ozia aveva sedici anni quando divenne re; regnò cinquantadue anni in Gerusalemme. Sua madre, di Gerusalemme, si chiamava Iecolia.4Egli fece ciò che è retto agli occhi del Signore come aveva fatto Amazia suo padre.5Egli ricercò Dio finché visse Zaccaria, che l'aveva istruito nel timore di Dio, e finché egli ricercò il Signore, Dio lo fece prosperare.
6Uscito in guerra contro i Filistei, smantellò le mura di Gat, di Iabne e di Asdòd; costruì piazzeforti nel territorio di Asdòd e in quello dei Filistei.7Dio lo aiutò contro i Filistei, contro gli Arabi abitanti in Gur-Baal e contro i Meuniti.8Gli Ammoniti pagavano un tributo a Ozia, la cui fama giunse sino alla frontiera egiziana, perché egli era divenuto molto potente.
9Ozia costruì torri in Gerusalemme alla porta dell'Angolo e alla porta della Valle e sul Cantone e le fortificò.10Costruì anche torri nella steppa e scavò molte cisterne perché possedeva numeroso bestiame nella pianura e nell'altipiano; aveva campagnoli e vignaioli sui monti e sulle colline, perché egli amava l'agricoltura.
11Ozia possedeva un esercito agguerrito e pronto per combattere, diviso in schiere, registrate sotto la sorveglianze dello scriba Ieiel e di Maaseia, commissario agli ordini di Anania, uno degli ufficiali del re.12Tutti i capi dei casati di quei prodi ammontavano a duemilaseicento.13Da loro dipendeva un esercito di trecentosettemilacinquecento guerrieri di grande valore, pronti per aiutare il re contro il nemico.14A loro, cioè a tutto l'esercito, Ozia fornì scudi e lance, elmi, corazze, archi e pietre per le fionde.15In Gerusalemme aveva fatto costruire macchine, inventate da un esperto, che collocò sulle torri e sugli angoli per scagliare frecce e grandi pietre. La fama di Ozia giunse in regioni lontane; divenne potente perché fu molto assistito.
16Ma in seguito a tanta potenza si insuperbì il suo cuore fino a rovinarsi. Difatti si mostrò infedele al Signore suo Dio. Penetrò nel tempio per bruciare incenso sull'altare.17Dietro a lui entrò il sacerdote Azaria con ottanta sacerdoti del Signore, uomini virtuosi.18Questi si opposero al re Ozia, dicendogli: "Non tocca a te, Ozia, offrire l'incenso, ma ai sacerdoti figli di Aronne che sono stati consacrati per offrire l'incenso. Esci dal santuario, perché hai commesso un'infrazione alla legge. Non hai diritto alla gloria che viene dal Signore Dio".19Ozia, che teneva in mano il braciere per offrire l'incenso, si adirò. Mentre sfogava la sua collera contro i sacerdoti, gli spuntò la lebbra sulla fronte davanti ai sacerdoti nel tempio presso l'altare dell'incenso.20Azaria sommo sacerdote, e tutti i sacerdoti si voltarono verso di lui, che apparve con la lebbra sulla fronte. Lo fecero uscire in fretta di lì; anch'egli si precipitò per uscire, poiché il Signore l'aveva colpito.21Il re Ozia rimase lebbroso fino al giorno della morte. Egli abitò in una casa di isolamento, come lebbroso, escluso dal tempio. Suo figlio Iotam dirigeva la reggia e governava il popolo del paese.
22Le altre gesta di Ozia, le prime come le ultime, le ha descritte il profeta Isaia, figlio di Amoz.23Ozia si addormentò con i suoi padri con i quali fu sepolto nel campo presso le tombe reali, perché si diceva: "È un lebbroso". Al suo posto divenne re suo figlio Iotam.


Proverbi 22

1Un buon nome val più di grandi ricchezze
e la benevolenza altrui più dell'argento e dell'oro.
2Il ricco e il povero si incontrano,
il Signore ha creato l'uno e l'altro.
3L'accorto vede il pericolo e si nasconde,
gli inesperti vanno avanti e la pagano.
4Frutti dell'umiltà sono il timore di Dio,
la ricchezza, l'onore e la vita.
5Spine e tranelli sono sulla via del perverso;
chi ha cura di se stesso sta lontano.
6Abitua il giovane secondo la via da seguire;
neppure da vecchio se ne allontanerà.
7Il ricco domina sul povero
e chi riceve prestiti è schiavo del suo creditore.
8Chi semina l'ingiustizia raccoglie la miseria
e il bastone a servizio della sua collera svanirà.
9Chi ha l'occhio generoso sarà benedetto,
perché egli dona del suo pane al povero.
10Scaccia il beffardo e la discordia se ne andrà
e cesseranno i litigi e gli insulti.
11Il Signore ama chi è puro di cuore
e chi ha la grazia sulle labbra è amico del re.
12Gli occhi del Signore proteggono la scienza
ed egli confonde le parole del perfido.
13Il pigro dice: "C'è un leone là fuori:
sarei ucciso in mezzo alla strada".
14La bocca delle straniere è una fossa profonda,
chi è in ira al Signore vi cade.
15La stoltezza è legata al cuore del fanciullo,
ma il bastone della correzione l'allontanerà da lui.
16Opprimere il povero non fa che arricchirlo,
dare a un ricco non fa che impoverirlo.

17Porgi l'orecchio e ascolta le parole dei sapienti
e applica la tua mente alla mia istruzione,
18perché ti sarà piacevole custodirle nel tuo intimo
e averle tutte insieme pronte sulle labbra.
19Perché la tua fiducia sia riposta nel Signore,
voglio indicarti oggi la tua strada.
20Non ti ho scritto forse trenta
tra consigli e istruzioni,
21perché tu sappia esprimere una parola giusta
e rispondere con parole sicure a chi ti interroga?
22Non depredare il povero, perché egli è povero,
e non affliggere il misero in tribunale,
23perché il Signore difenderà la loro causa
e spoglierà della vita coloro che li hanno spogliati.
24Non ti associare a un collerico
e non praticare un uomo iracondo,
25per non imparare i suoi costumi
e procurarti una trappola per la tua vita.
26Non essere di quelli che si fanno garanti
o che s'impegnano per debiti altrui,
27perché, se poi non avrai da pagare,
ti si toglierà il letto di sotto a te.
28Non spostare il confine antico,
posto dai tuoi padri.
29Hai visto un uomo sollecito nel lavoro?
Egli si sistemerà al servizio del re,
non resterà al servizio di persone oscure.


Salmi 45

1'Al maestro del coro. Su "I gigli...". Dei figli di Core.'
'Maskil. Canto d'amore.'

2Effonde il mio cuore liete parole,
io canto al re il mio poema.
La mia lingua è stilo di scriba veloce.

3Tu sei il più bello tra i figli dell'uomo,
sulle tue labbra è diffusa la grazia,
ti ha benedetto Dio per sempre.
4Cingi, prode, la spada al tuo fianco,
nello splendore della tua maestà ti arrida la sorte,
5avanza per la verità, la mitezza e la giustizia.
6La tua destra ti mostri prodigi:
le tue frecce acute
colpiscono al cuore i nemici del re;
sotto di te cadono i popoli.

7Il tuo trono, Dio, dura per sempre;
è scettro giusto lo scettro del tuo regno.
8Ami la giustizia e l'empietà detesti:
Dio, il tuo Dio ti ha consacrato
con olio di letizia, a preferenza dei tuoi eguali.

9Le tue vesti son tutte mirra, aloè e cassia,
dai palazzi d'avorio ti allietano le cetre.

10Figlie di re stanno tra le tue predilette;
alla tua destra la regina in ori di Ofir.

11Ascolta, figlia, guarda, porgi l'orecchio,
dimentica il tuo popolo e la casa di tuo padre;
12al re piacerà la tua bellezza.
Egli è il tuo Signore: pròstrati a lui.
13Da Tiro vengono portando doni,
i più ricchi del popolo cercano il tuo volto.

14La figlia del re è tutta splendore,
gemme e tessuto d'oro è il suo vestito.
15È presentata al re in preziosi ricami;
con lei le vergini compagne a te sono condotte;
16guidate in gioia ed esultanza
entrano insieme nel palazzo del re.

17Ai tuoi padri succederanno i tuoi figli;
li farai capi di tutta la terra.
18Farò ricordare il tuo nome
per tutte le generazioni,
e i popoli ti loderanno in eterno, per sempre.


Ezechiele 3

1Mi disse: "Figlio dell'uomo, mangia ciò che hai davanti, mangia questo rotolo, poi va' e parla alla casa d'Israele".2Io aprii la bocca ed egli mi fece mangiare quel rotolo,3dicendomi: "Figlio dell'uomo, nutrisci il ventre e riempi le viscere con questo rotolo che ti porgo". Io lo mangiai e fu per la mia bocca dolce come il miele.4Poi egli mi disse: "Figlio dell'uomo, va', recati dagli Israeliti e riferisci loro le mie parole,5poiché io non ti mando a un popolo dal linguaggio astruso e di lingua barbara, ma agli Israeliti:6non a grandi popoli dal linguaggio astruso e di lingua barbara, dei quali tu non comprendi le parole: se a loro ti avessi inviato, ti avrebbero ascoltato;7ma gli Israeliti non vogliono ascoltar te, perché non vogliono ascoltar me: tutti gli Israeliti sono di dura cervice e di cuore ostinato.8Ecco io ti do una faccia tosta quanto la loro e una fronte dura quanto la loro fronte.9Come diamante, più dura della selce ho reso la tua fronte. Non li temere, non impaurirti davanti a loro; sono una genìa di ribelli".
10Mi disse ancora: "Figlio dell'uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore e ascoltale con gli orecchi:11poi va', recati dai deportati, dai figli del tuo popolo, e parla loro. Dirai: Così dice il Signore, ascoltino o non ascoltino".
12Allora uno spirito mi sollevò e dietro a me udii un grande fragore: "Benedetta la gloria del Signore dal luogo della sua dimora!".13Era il rumore delle ali degli esseri viventi che le battevano l'una contro l'altra e contemporaneamente il rumore delle ruote e il rumore di un grande frastuono.14Uno spirito dunque mi sollevò e mi portò via; io ritornai triste e con l'animo eccitato, mentre la mano del Signore pesava su di me.15Giunsi dai deportati di Tel-Avìv, che abitano lungo il canale Chebàr, dove hanno preso dimora, e rimasi in mezzo a loro sette giorni come stordito.

16Al termine di questi sette giorni mi fu rivolta questa parola del Signore: "Figlio dell'uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d'Israele.17Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia.18Se io dico al malvagio: Tu morirai! e tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te.19Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato.
20Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l'iniquità, io porrò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l'avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te.21Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato".

22Anche là venne sopra di me la mano del Signore ed egli mi disse: "Alzati e va' nella valle; là ti voglio parlare".23Mi alzai e andai nella valle; ed ecco la gloria del Signore era là, simile alla gloria che avevo vista sul canale Chebàr, e caddi con la faccia a terra.24Allora uno spirito entrò in me e mi fece alzare in piedi ed egli mi disse: "Va' e rinchiuditi in casa.25Ed ecco, figlio dell'uomo, ti saranno messe addosso delle funi, sarai legato e non potrai più uscire in mezzo a loro.26Ti farò aderire la lingua al palato e resterai muto; così non sarai più per loro uno che li rimprovera, perché sono una genìa di ribelli.27Ma quando poi ti parlerò, ti aprirò la bocca e tu riferirai loro: Dice il Signore Dio: chi vuole ascoltare ascolti e chi non vuole non ascolti; perché sono una genìa di ribelli".


Prima lettera di Giovanni 4

1Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo.2Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio;3ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell'anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo.4Voi siete da Dio, figlioli, e avete vinto questi falsi profeti, perché colui che è in voi è più grande di colui che è nel mondo.5Costoro sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta.6Noi siamo da Dio. Chi conosce Dio ascolta noi; chi non è da Dio non ci ascolta. Da ciò noi distinguiamo lo spirito della verità e lo spirito dell'errore.

7Carissimi, amiamoci gli uni gli altri, perché l'amore è da Dio: chiunque ama è generato da Dio e conosce Dio.8Chi non ama non ha conosciuto Dio, perché Dio è amore.9In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui.10In questo sta l'amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati.
11Carissimi, se Dio ci ha amato, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri.12Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l'amore di lui è perfetto in noi.13Da questo si conosce che noi rimaniamo in lui ed egli in noi: egli ci ha fatto dono del suo Spirito.14E noi stessi abbiamo veduto e attestiamo che il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo.15Chiunque riconosce che Gesù è il Figlio di Dio, Dio dimora in lui ed egli in Dio.16Noi abbiamo riconosciuto e creduto all'amore che Dio ha per noi. Dio è amore; chi sta nell'amore dimora in Dio e Dio dimora in lui.
17Per questo l'amore ha raggiunto in noi la sua perfezione, perché abbiamo fiducia nel giorno del giudizio; perché come è lui, così siamo anche noi, in questo mondo.18Nell'amore non c'è timore, al contrario l'amore perfetto scaccia il timore, perché il timore suppone un castigo e chi teme non è perfetto nell'amore.
19Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.20Se uno dicesse: "Io amo Dio", e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede.21Questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche il suo fratello.


Capitolo VII: Proteggere la grazia sotto la salvaguardia dell’umiltà

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1. O figlio, è per te cosa assai utile e sicura tenere nascosta la grazia della devozione; non insuperbirne, non continuare a parlarne e neppure a ripensarci molto. Disprezza, invece, temendo questa grazia come data a uno che non ne era degno. Non devi attaccarti troppo forte a un tale slancio devoto, che subitamente può trasformarsi in un sentimento contrario. Nel tempo della grazia ripensa a quanto, di solito, sei misero e povero senza la grazia. Un progresso nella vita spirituale non lo avrai raggiunto quando avrai avuto la grazia della consolazione, ma quando, con umiltà, abnegazione e pazienza, avrai saputo sopportare che essa ti sia tolta. Cosicché, neppure allora, tu sia pigro nell'amore alla preghiera o lasci cadere del tutto le abituali opere di pietà; anzi, tu faccia volenterosamente tutto quanto è in te, come meglio potrai e saprai, senza lasciarti andare del tutto a causa dell'aridità e dell'ansietà spirituale che senti.  

2. Molti, non appena accade qualcosa di male, si fanno tosto impazienti e perdono la buona volontà. Ma le vie dell'uomo non dipendono sempre da lui. E' Dio che può dare e consolare, quando vuole e quanto vuole e a chi egli vuole; nella misura che gli piacerà e non di più. Molti, poi, fattisi arditi per il fatto che sentivano la grazia della devozione, procurarono la loro rovina: essi vollero fare di più di quanto era nelle loro possibilità, non considerando la propria pochezza e seguendo l'impulso del cuore piuttosto che il giudizio della ragione. Presunsero di poter fare più di quello che era nella volontà di Dio; perciò d'un tratto persero la grazia. Essi, che avevano posto il loro nido nel cielo, restarono a mani vuote, abbandonati alla loro miseria; cosicché, umiliati e spogliati, imparassero, a non volare con le loro ali, ma a star sotto le mie ali, nella speranza. Coloro che sono ancora novellini e inesperti nella via del Signore facilmente si ingannano e cadono, se non si attaccano al consiglio di persone elette. E se vogliono seguire quello che loro sembra giusto, anziché affidarsi ad altri più esperti, finiranno male, a meno che non vogliano ritrarsi dal proprio interno. Coloro che si credono sapienti di per sé, di rado si lasciano umilmente guidare da altri. Sennonché uno scarso sapere e una modesta capacità di comprendere, accompagnati dall'umiltà, valgono di più di un gran tesoro di scienza, accompagnato dal vuoto compiacimento di sé. E' meglio per te avere poco, piuttosto che molto; del molto potresti insuperbire.

Non agisce con sufficiente saggezza colui che, avendo la grazia, si dà interamente alla gioia, senza pensare alla sua miseria di prima e alla purezza che si deve aver nel timore di Dio; timore cioè di perdere quella grazia che gli era stata data. Così non dimostra di avere sufficiente virtù colui che, al momento dell'avversità o in altra circostanza che lo opprima, si dispera eccessivamente e concepisce, nei confronti, pensieri e sentimenti di fiducia meno piena di quanto mi si dovrebbe. Al momento della lotta, si troverà spesso estremamente abbattuto e pieno di paura proprio colui che, in tempo di quiete, avrà voluto essere troppo sicuro. Se tu, invece, riuscissi a restare umile e piccolo in te stesso, e a ben governare e dirigere il tuo spirito non cadresti così facilmente nel pericolo e nel peccato. Un buon consiglio è questo, che, quando hai nell'animo uno speciale ardore spirituale, tu consideri bene quello che potrà accadere se verrà meno tale luce interiore. Quando poi ciò accadesse, pensa che poi di nuovo possa tornare quella luce che per un certo tempo ti ha tolta, per tua sicurezza e per la mia gloria. Infatti, subire una simile prova è spesso a te più utile che godere stabilmente di una situazione tranquilla, secondo il tuo piacere. In verità i meriti non si valutano secondo questo criterio, che uno abbia frequenti visioni, o riceva particolari gioie interiori, o sia posto in un grado più alto. Ma piuttosto secondo questo criterio, che uno sia radicato nella vera umiltà e ripieno dell'amore divino; che ricerchi sempre soltanto e interamente di rendere gloria a Dio; che consideri se stesso un nulla; che si disprezzi veramente e preferisca perfino essere disprezzato ed umiliato dagli altri, anziché essere onorato.


LIBRO QUARTO: CLASSIFICAZIONE E REGOLE DEL METRO

La Musica - Sant'Agostino

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Classificazione dei metri (1, 1 - 12, 15)

Indifferenza se l'ultima sillaba del metro è breve o lunga.
1. 1. M. - Torniamo dunque all'esame del metro. Soltanto a motivo del suo sviluppo in lunghezza sono stato costretto ad esporre qualche nozione sul verso. Ma l'occasione di trattarne viene in seguito. Per prima cosa ti chiedo se respingi l'opinione dei poeti e dei loro critici, i grammatici, che non ha alcuna importanza se l'ultima sillaba, la quale chiude il metro, sia lunga o breve.
D. - La rifiuto decisamente perché non mi sembra ragionevole.
M. - Dimmi, scusa, qual è il metro più corto in pirrichi?
D. - Tre brevi.
M. - Quale pausa dunque si deve osservare, mentre si torna a ripeterlo?
D. - Un tempo che è la durata di una breve.
M. - Batti dunque questo metro non con la voce, ma con la percussione.
D. - Fatto.
M. - Batti anche in questo modo l'anapesto.
D. - Fatto anche questo.
M. - Secondo te, in che cosa differiscono?
D. - In nulla, proprio.
M. - E puoi dirmene il motivo?
D. - Mi pare abbastanza chiaro. Il tempo, che nel pirrichio è dato alla pausa, nell'anapesto è dato alla lunghezza dell'ultima sillaba, poiché allo stesso modo nel primo si batte l'ultima breve e nel secondo la lunga e dopo il medesimo intervallo si ritorna a capo. Ma nel primo si fa una pausa fino a completare la durata del piede pirrichio, nel secondo la durata della sillaba lunga. Così la pausa è uguale nelle due parti e dopo averla interposta si ritorna.
M. - Dunque non irrazionalmente i grammatici vollero che non avesse importanza se l'ultima sillaba è lunga o breve. Quando si termina, segue appunto una pausa sufficiente perché il metro sia completo. Ovvero pensi che al caso avrebbero dovuto tener conto della ripetizione o del ritorno a capo e non solamente del fatto che il metro è terminato, come se non ci fosse altro da dire?
D. - Ora riconosco che l'ultima sillaba va considerata senza distinzione di lunga o breve.
M. - Bene. Il fatto avviene per motivo della pausa, giacché il termine viene considerato, come se chi ha terminato non abbia altro da aggiungere. Inoltre in considerazione di questa durata assai lunga nella pausa è indifferente quale sillaba sia posta in fine. Non ne consegue dunque che l'alterna possibilità, consentita alla sillaba finale a causa della lunga durata, abbia per risultato che, sia essa breve o lunga, l'udito la percepisca come lunga?
D. - Capisco chiaramente che consegue.

Il metro più breve è il pirrichio di quattro tempi.
2. 2. M. - Ma quando si dice che il metro più corto è il pirrichio di tre sillabe brevi, sicché si ha la pausa di una sola breve mentre si torna a capo, capisci anche che non ha importanza se si ripete questo metro o piedi anapesti?
D. - Me ne sono accorto poco fa con quella percussione.
M. - Non ritieni dunque che con una determinata regola si debba conferire ordine a simile anomalia?
D. - Sì, lo ritengo.
M. - E dimmi se conosci altra regola la quale dia ordine alle nozioni in parola, se non quella che il metro pirrichio più corto non è, come tu credevi, di tre brevi, ma di cinque. Infatti l'analogia con l'anapesto, come è stato già detto, non ci consente dopo un piede e un semipiede di fare la pausa di quel semipiede che si richiede per completare il piede e così tornare al principio e stabilire che questo è il metro pirrichio più corto. Dunque, se si vogliono evitare confusioni, occorrono due piedi e un semipiede per fare la pausa di un solo tempo.
D. - Ma perché non due pirrichi sono il metro più corto in pirrichi, o magari quattro sillabe brevi, dopo le quali non sia necessario far la pausa, piuttosto che cinque che la richiedono?
M. - Sei sveglio, eh! Però non badi che te lo può vietare il proceleusmatico, come l'anapesto nell'altro caso.
D. - È vero.
M. - Ammetti dunque il limite minimo in cinque brevi e nella pausa di un tempo?
D. - Sì.
M. - Mi pare che tu abbia dimenticato ciò che abbiamo detto sul modo di giudicare se si scandisce col pirrichio o col proceleusmatico.
D. - Me ne avvisi opportunamente. Abbiamo stabilito che questi metri devono esser distinti con la percussione. Pertanto non temo più in questo caso il proceleusmatico che mediante la percussione potrò distinguere dal pirrichio.
M. - Perché dunque non ti sei accorto che bisognava usare la percussione per distinguere l'anapesto dalle tre brevi, cioè un pirrichio e un semipiede, dopo il quale occorreva la pausa di un tempo?
D. - Ora capisco e torno sulla via giusta. Confermo che il metro pirrichio più corto è di tre sillabe brevi che con la pausa occupano il tempo di due pirrichi.
M. - Il tuo udito gradisce dunque questo schema ritmico: Si aliqua/ bene vis,/ bene dic,/ bene fac,/ Animus, / si aliquid/ male vis, / male vic, / male fac,/ Animus/ medium est.
D. - Assai, soprattutto perché ho ricordato in qual modo bisogna segnar la percussione per non confondere piedi anapesti col metro pirrichio.

L'ultima sillaba del metro nella norma e nella licenza poetica.
2. 3. M. - Esamina anche questi: Si aliquid es,/ age bene./ Male qui agit,/ nihil agit/ et ideo/ miser erit.
D. - Anche essi si ascoltano con gradimento, tranne nel punto in cui la fine del terzo si incontra con l'inizio del quarto.
M. - È proprio questo che mi aspettavo dal tuo udito. Non senza motivo il senso è contrariato quando attende un solo tempo di tutte le sillabe senza interposizione di pausa. Invece l'incontro delle due consonanti t ed n, che rendono lunga la sillaba precedente e le danno la durata di due tempi, ingannano simile attesa. È questa la forma che i grammatici chiamano sillaba lunga per posizione. Ma a causa dell'indeterminatezza dell'ultima sillaba nessuno trova difettoso questo metro, benché un udito rigidamente disciplinato lo condanna anche senza accusatore. Infatti puoi osservare quanta sia la differenza se invece di Male qui agit,/nihil agit, si dica: Male qui agit,/homo perit.
D. - Questo metro è veramente genuino.
M. - Custodiamo dunque a causa della purezza della musica ciò che i poeti trascurano per facilitare la composizione poetica. Ad esempio, ogni volta che ci sia indispensabile porre in un contesto metri, in cui non è richiesto un compenso al piede mediante la pausa, si devono porre per ultimo le sillabe che richiede la legge di quel ritmo, per non tornare dalla fine all'inizio con fastidio dell'udito e contaminazione della misura. Si dà tuttavia licenza ai poeti di terminare i metri come se non dovessero dire altro di seguito e perciò di porre indifferentemente come ultima sillaba tanto una lunga che una breve. Essi infatti nella sequenza metrica saranno avvertiti dal giudizio dell'udito di porre in ultimo la sillaba che si deve porre in base alla norma logica del metro stesso. La sequenza regolare si ha appunto quando al piede non manca qualche cosa, per cui si è costretti alla pausa.
D. - Capisco e ti son grato perché mi stai promettendo esempi, in cui l'orecchio non subisce alcun fastidio.

Quattordici esempi di metri pirrichi e...
3. 4. M. - Ed ora dimmi la tua opinione sui seguenti pirrichi, l'un dopo l'altro:
Quid e/rit ho/mo
Qui amat/ homi/nem,
Si amet/ in e/o
Fragi/le quod/ est?
Amet/ igi/tur
Ani/mum homi/nis,
Et e/rit ho/mo
Ali/quid a/mans.
Che te ne sembra?
D. - Debbo ammettere che si svolgono con una perfezione che piace.
M. - E questi?
Bonus/ erit/ amor,
Ani/ma bo/na sit,
Amor/ inha/bitat
Et a/nima/ domus.
Ita/ bene ha/bitat,
Ubi/ bona/ domus,
Ubi/ mala,/ male.
D. - Anche questi ascolto con diletto nella loro sequenza.
M. - Ed ora ascolta metri con tre piedi e mezzo:
Ani/mus ho/minis/ est
Mala/ bona/ve agi/tans.
Bona/ volu/it ha/bet,
Mala/ volu/it habet.
D. - Anche essi, mediante la pausa di un tempo, sono esteticamente ben fatti.
M. - Seguono quattro pirrichi completi. Ascoltali e giudica:
Ani/mus ho/minis/ agit
Ut ha/beat/ ea/ bona,
Quibus/inha/bitet/ homo,
Nihil/ ibi/ metu/itur.
D. - Anche in essi la misura è esatta e dilettosa.
M. - Ascolta ora nove sillabe brevi; ascolta e giudica:
Homo/ malus/ amat/ et e/get,
Malus/ete/nim ea/ bona a/mat,
Nihil/ ubi/ sati/at e/um
D. - Declama ora cinque pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ bona,
Qui amat/ homo/ simi/liter/ habet.
D. - È sufficiente e li giudico buoni. Ora aggiungi un semipiede.
M. - Sì.
Vaga/ levi/a fra/gili/a bo/na,
Qui amat/ homo/ simi/lis e/rit e/is.
D. - Proprio bene. Aspetto ora sei pirrichi.
M. - Ascoltali:
Vaga/ levi/cula/ fragi/lia/ bona,
Qui ada/mat ho/mo si/milis/erit/ eis.
D. - È sufficiente, aggiungi un semipiede.
M. - Flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na
Quae ada/mat a/nima/ simi/lis e/rit e/is.
D. - È sufficiente e va bene. Componi ora sette pirrichi.
M. - Levi/cula/ fragi/lia/ graci/lia/ bona,
Quae ada/mat a/nimu/la si/milis/ erit/ eis.
D. - Sia aggiunto un semipiede. Dona al buon gusto.
Vaga flui/da le/vicu/la fra/gili/a bo/na
Quae ada/mat a/nimu/la fit/ ea/ simi/lis e/is.
D. - Penso che restino soltanto gli otto piedi per uscire da questi particolari. E sebbene l'udito trovi belli per la genuina misura ritmica i metri che hai declamati, non vorrei tuttavia che ti affanni a cercare tante sillabe brevi. Se non sbaglio, trovarle riunite in una frase è più difficile che se si avesse licenza di mescolarvi delle lunghe.
M. - Non sbagli proprio e per provarti la mia gioia perché ci si permette di proseguire oltre, comporrò il restante metro di questa forma con un pensiero più felice:
Soli/da bo/na bo/nus am/at et/ea/ qui amat/ habet
Ita/que nec/ eget/ amor/ et e/a bo/na De/us est.
D. - Ho in abbondanza i metri composti del pirrichio. Seguono i metri giambici. Di essi mi son sufficienti due esempi per ciascuno. Mi piacerebbe ascoltarli senza intermissione.

...giambici...
4. 5. M. - Ti accontenterò. Ma quanti sono i metri che abbiamo già esaminato?
D. - Quattordici.
M. - E quanti pensi che siano i giambici?
D. - Quattordici egualmente.
M. - Ma se volessi sostituire il tribraco al giambo, le varie forme non sarebbero più numerose?
D. - È chiaro, ma io desidero ascoltare esempi soltanto in giambi, per non portarla troppo alle lunghe. È facile apprendimento che in luogo di ogni sillaba lunga si possono porre due brevi.
M. - Farò ciò che vuoi e gradisco che alleggerisci la mia fatica con la docilità dell'intelligenza. Ma rendi attento l'udito ai metri giambici.
D. - Son pronto, comincia.
M. - Bonus/ vir
bea/tus.
Malus/ miser
sibi est/ malum.
Bonus/ bea/tus,
Deus/ bonum e/ius.
Bonus/ bea/tus est,
Deus/ bonum e/ius est.
Bonus/vir est/ bea/tus,
videt/ Deum/ bea/te.
Bonus/ vir et/ sapit/ bonum
videns/ Deum/ bea/tus est.
Deum/ vide/re qui/ cupi/scit,
bonus/que vi/vit, hic/ vide/bit.
Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem,
bonus/ sit hic/, vide/bit et/ Deum.
Bonum/ vide/re qui/ cupit/ diem il/lum,
bonus/ sit hic/, vide/bit et/ Deum il/lic.
Bea/tus est/ bonus/, fruens/ enim est/ Deo,
malus/ miser/, sed i/pse poe/na fit/sua.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ cupit/ plus,
malus/ bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ ege/stas.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ boni am/plius,
malus/ bonum/ foris/ requi/rit, hinc/ eget/ miser.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/ boni am/plius/ vult,
malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/ ege/nus, er/rat.
Bea/tus est/ videns/ Deum/, nihil/boni am/plius/ volet,
malus/ foris/ bonum/ requi/rit, hinc/ eget/ miser/ bono.

...trocaici...
5. 6. D. - Segue il trocheo, componi metri trocaici; i precedenti trocaici sono perfetti.
M. - Lo farò, e nello stesso modo che per i giambici.
Opti/mi
non e/gent.
Veri/tate
non e/getur.
Veri/tas sat/ est,
semper/ haec ma/net.
Veri/tas vo/catur
ars De/i su/premi.
Veri/tate/ factus/ est
mundus/ iste/ quem vi/des.
Veri/tate/ facta/ cuncta
quaequel gigni/er vi/demus.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt
omni/umque/ forma/ veri/tas.
Veri/tate/ cuncta/facta/ cerno,
veri/tas ma/net, mo/ventur/ ista.
Veri/tate/ facta/ cernis/ omni/a
veri/tas ma/net, mo/ventur/ omni/a.
Veri/tate/ facta/ cernis/ ista/ cuncta,
veri/tas ta/men ma/net, mo/ventur/ ista.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ cernis/ opti/me,
veri/tas ma/net, mo/ventur/ haec sed/ ordi/ne.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ cernis/ ordi/nata,
veri/tas ma/net, no/vans mo/vet quod/ inno/vatur.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ sunt,
veri/tas no/vat ma/nens, mo/ventur/ ut no/ventur/ haec.
Veri/tate/ facta/ cuncta/ sunt et/ ordi/nata/ cuncta,
veri/tas ma/ nens no/vat, mo/ventur/ ut no/ventur/ ista.

...spondaici...
6. 7. D. - Capisco che viene lo spondeo; il trocheo ha soddisfatto l'udito.
M. - Questi sono i metri dello spondeo:
Magno/rum est
liber/tas.
Magnum est/ munus
liber/tatis.
Solus/ liber/ fit
qui erro/rem vi/cit.
Solus/ liber/ vivit
qui erro/rem iam/ vicit.
Solus/ liber/ vere/ fit
qui erro/ris vinclum vi/cit.
Solus/liberl vere/ vivit
qui erro/ris vin/clum iam/ vicit.
Solus/ liber/ non fal/so vi/vit
qui erro/ris vin/clum iam/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ vere/ vivit
qui erro/ris vin/clum ma/gnus de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so vi/vit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ vere/ magnus/ vivit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ iam de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so ma/gnus vi/vit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ prudens/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curus/ vivit
qui erro/ris vin/clum fu/nestum/ prudens/ iam de/vicit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curus/ iam vi/vit
qui erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/ prudens/ devi/cit.
Solus/ liber/ iure ac/ non fal/so se/curam/ vitam/ vivit
qui erro/ris vin/clum te/trum ac fu/nestum/lprudens/ iam de/vicit.

Ventuno esempi di metri tribraci.
7. 8. D. - Anche sullo spondeo non ho nulla da chiedere. Passiamo al tribraco.
M. - Sì. Ma poiché i quattro piedi precedenti, di cui è stato parlato, hanno dato origine a quattordici metri ciascuno, che nel totale divengono cinquantasei, dal tribraco ce n'è da aspettarsene di più. Nei precedenti infatti, poiché è in pausa soltanto la durata di un semipiede, non si richiede la pausa di più d'una sillaba. Nel tribraco invece, quando si richiede la pausa, essa, secondo te, deve durare soltanto lo spazio di una sola breve, oppure è possibile protrarla nella sosta di due brevi? Non si ha dubbio appunto che di esso si ha una duplice divisione, cioè o comincia da una breve e si termina con due, o viceversa se ha inizio da due, si termina con una. Sarebbe necessario dunque comporre ventuno metri.
D. - È proprio vero. Essi infatti cominciano da quattro brevi così da avere due tempi di pausa, poi si hanno cinque brevi, in cui la pausa è di un tempo, al terzo posto sei, in cui non si ha pausa, al quarto sette, in cui di nuovo si deve la pausa di due tempi, al quinto otto con un tempo di pausa, al sesto nove, in cui non si ha pausa. E così aggiungendo via via una sillaba fino ad arrivare a ventiquattro, che sono otto tribraci, si compongono in tutto ventuno metri.
M. - Con molta celerità hai eseguito il computo. Ma, secondo te, dobbiamo proprio presentare esempi per ciascuno, oppure quelli presentati per i primi quattro piedi si devono ritenere sufficienti a lumeggiare anche gli altri?
D. - A mio giudizio bastano.
M. - E io non chiedo altro che il tuo giudizio. Ma tu sai bene che, cambiando la cadenza, nei metri pirrichi si possono scandire dei tribraci. Vorrei sapere dunque se il primo metro del pirrichio può contenere anche un metro del tribraco.
D. - No, perché il metro deve essere maggiore di un piede.
M. - E il secondo?
D. - Sì, perché quattro brevi formano due pirrichi, cioè un tribraco e un semipiede, quindi non si ha pausa nel pirrichio e due tempi di pausa nel tribraco.
M. - Cambiando dunque la cadenza hai nei pirrichi anche esempi di metri tribraci fino a sedici sillabe, cioè a cinque tribraci e un semipiede. Devi contentarti. Gli altri li puoi svolgere da solo o con la voce o con la percussione, se ritieni ancora di dover esaminare simili metri con l'udito.
D. - Farò ciò che riterrò opportuno. Esaminiamo i rimanenti.

Dopo il dattilo la pausa è di due tempi.
8. 9. M. - Segue il dattilo che può essere diviso in un solo modo. O non sei d'accordo?
D. - Sì, certamente.
M. - Quanta sua parte dunque può essere in pausa?
D. - Mezza, naturalmente.
M. - E se ponendo un trocheo dopo il dattilo, si vuole fare la pausa di un tempo che si richiede come sillaba breve per avere un dattilo completo, che cosa potremo obiettare? Infatti non possiamo dire che la pausa non deve essere inferiore a un semipiede. La dimostrazione esposta dianzi al contrario ci aveva convinto che si deve evitare la pausa non inferiore ma superiore ad un semipiede. Infatti si ha una pausa inferiore a un semipiede nel coriambo, se dopo il coriambo stesso è posto un bacchio, come in questo esempio: Fonticolae/puellae. Puoi renderti conto che facciamo la pausa della durata di una sillaba breve, quanto si richiede per completare i sei tempi.
D. - È vero.
M. - Se dunque si pone il trocheo dopo il dattilo, sarà lecito anche fare la pausa di un solo tempo?
D. - Son costretto a dir di sì.
M. - Nessuno ti costringerebbe, se tu ricordassi quanto è stato detto. Ciò ti accade perché hai dimenticato quanto è stato esposto sulla indeterminatezza dell'ultima sillaba e sul motivo per cui l'udito richiede che la sillaba finale sia lunga, se rimane lo spazio in cui divenir lunga, anche se è breve.
D. - Capisco. Dunque se l'udito percepisce come lunga l'ultima sillaba breve, qualora si abbia la pausa, come abbiamo appreso dalle precedenti dimostrazioni e dagli esempi, non ha importanza alcuna se dopo il dattilo si pone un trocheo o uno spondeo. Pertanto quando il ritorno a capo deve essere marcato dalla pausa, bisogna porre dopo il dattilo una sillaba lunga per avere la pausa di due tempi.
M. - E se dopo il dattilo si pone il pirrichio, pensi che è fatto bene?
D. - No, perché non fa differenza se è un pirrichio o un giambo. E bisognerebbe proprio considerarlo un giambo a causa dell'ultima che l'udito richiede lunga, giacché si ha la pausa. E chi non capirebbe che il giambo non deve essere posto dopo il dattilo a causa della diversità del levare e del battere che non possono, né l'uno né l'altro, avere nel dattilo tre tempi?

Il bacchio e gli altri sesquati meno adatti alla poesia.
9. 10. M. - Segui con molta intelligenza. Ma che ne pensi dell'anapesto? È il medesimo discorso?
D. - Sì, certamente.
M. - Ma passiamo orinai al bacchio, se vuoi. Dimmi qual è il suo primo metro.
D. - Di quattro sillabe, penso, e cioè una breve e tre lunghe, di cui due appartengono al bacchio e l'ultima all'inizio del piede che può essere unito al bacchio, sicché ciò che manca sia in pausa. Vorrei tuttavia esaminarlo con l'udito mediante un esempio.
M. - È facile presentare degli esempi; non penso però che ne sarai dilettato come dai precedenti. I piedi di cinque tempi, come quelli di sette, non hanno la sequenza ritmica di quelli che si dividono in parti eguali o nel rapporto di uno a due o di due a uno. È grande appunto la differenza tra i movimenti sesquati e i movimenti eguali o moltiplicati, di cui abbiamo abbastanza discorso nel primo libro. Pertanto come i poeti considerano questi piedi di cinque e sette tempi con grande disprezzo, così ben volentieri li usa la prosa. Lo potrai rilevare più facilmente negli esempi che hai richiesto. Eccone uno: Laborat/ magister/ docens tar/dos. Ripetilo interponendo una pausa di tre tempi. Per fartela percepire meglio, ho posto dopo i tre piedi una lunga che è l'inizio di un cretico, il quale può essere congiunto al bacchio. Non ho dato un esempio per il primo metro che è di quattro sillabe, ritenendo che un solo piede non fosse sufficiente per avvertire il tuo udito della durata che la pausa deve avere dopo di esso ed una lunga. Ora li compongo e li ripeterò in modo che nella pausa tu possa percepire tre tempi: Labor nul/lus, // Amor ma/gnus.
D. - È chiaro che questi piedi sono più adatti per la prosa ed è inutile elencare gli altri con esempi.
M. - Dici bene. Ma, a tuo avviso, quando si deve osservare la pausa, si può mettere soltanto una lunga dopo il bacchio?
D. - No, certamente, ma anche una breve e una lunga, che costituiscono il primo semipiede di un bacchio. Ci è stato permesso cominciare con un cretico perché può essere congiunto con un bacchio, a più forte ragione dunque ti sarà permesso di farlo col bacchio, soprattutto perché non abbiamo posto tutta la seconda parte del cretico, che è eguale in tempi alla prima parte del bacchio.

Metri pausa ed uguaglianza dei tempi.
10. 11. M. - Ed ora, se sei d'accordo, mentre io ascolterò per giudicare, tu da te passa in rassegna gli altri ed esponi per tutti i rimanenti piedi che cosa si pone dopo un piede completo, quando la parte mancante di un altro si completa con la pausa.
D. - La esposizione che chiedi, secondo me, è assai breve e facile. Intanto ciò che è stato detto del bacchio può dirsi anche del peone II. Dopo un cretico può esser posta una sillaba lunga, un giambo o uno spondeo, si avrà così una pausa di tre tempi, di due e di un tempo. Ciò che si è detto del cretico vale anche per il peone I e IV [a causa delle due divisioni]. Dopo il palimbacchio può esser posta una lunga o uno spondeo, pertanto anche in questo metro si avrà la pausa di tre e un tempo. È il medesimo caso del peone III. Certo in ogni caso, in cui si pone lo spondeo, di norma può esser posto anche l'anapesto. Dopo il molosso, in attinenza alla sua divisione, si pone o una lunga con pausa di quattro tempi, o due lunghe con pausa di due tempi. Ma dall'udito e dal ragionamento è stato verificato che si possono porre in sequenza con il molosso tutti i piedi di sei tempi. Di seguito ad esso dunque vi è posto per un giambo, e si avranno tre tempi di pausa, o per un cretico, e si avrà pausa di un tempo, e alla stessa condizione per il bacchio. Ma se si scomporrà in due brevi la prima lunga del cretico e la seconda del bacchio, si potrà porre anche il peone IV. Quanto ho detto per il molosso vale anche per gli altri piedi di sei tempi. Il proceleusmatico, secondo me, deve essere rapportato agli altri piedi di quattro tempi, salvo quando dopo di esso si pongono tre brevi. Ed è lo stesso che porre un anapesto a causa dell'ultima sillaba che con la pausa di solito si considera lunga. All'epitrito I normalmente son posti di seguito il giambo, il bacchio, il cretico e il peone IV. Ciò valga anche per l'epitrito II e la pausa sarà di quattro e due tempi. Lo spondeo e il molosso possono normalmente seguire gli altri due epitriti, a condizione che sia lecito scomporre in due brevi la prima dello spondeo e la prima o la seconda del molosso. In questi metri si avrà dunque la pausa di tre o un tempo. Resta il dispondeo. Se dopo di esso si porrà uno spondeo, si deve stare in pausa quattro tempi, se un molosso, due, con la possibilità di scomporre in due brevi una lunga, eccettuata l'ultima, tanto nello spondeo che nel molosso. Ecco quanto tu hai voluto che io passassi in rassegna. Trovi delle mende?

Metri con piedi di sei tempi...
11. 12. M. - Non io, ma tu, se porgi attento l'orecchio a giudicare. Ti chiedo appunto, mentre io pronuncio con la percussione questi tre metri: Verus opti/mus,/ Verus opti/morum,/ e Veritatis/inops, se il tuo udito percepisce quest'ultimo con la medesima ritmicità degli altri due. Li potrai giudicare facilmente ripetendoli e usando le percussioni con le dovute pause.
D. - Percepisce ritmici i primi due, aritmico l'ultimo, è chiaro.
M. - Dunque di norma non si pone il giambo dopo il dicoreo.
D. - No.
M. - Si deve ammettere al contrario che può regolarmente esser posto dopo tutti gli altri piedi, se i seguenti metri si ripetono con la norma delle dovute pause:
Fallacem/ cave
Male castum/ cave.
Multiloquum/ cave.
Fallaciam/ cave.
Et invidum/ cave.
Et infirmum/ cave.
D. - Intendo ciò che dici e son d'accordo.
M. - Esaminiamo anche se ti infastidisce il metro seguente, poiché con l'interposizione della pausa di due tempi, nel ritorno a capo si svolge con cadenza aritmica. Può esso esser ritmico come i seguenti?
Veraces/ regnant.
Sapientes/ regnant.
Veriloqui/ regnant.
Prudentia/ regnat.
Boni in bonis/ regnant.
Pura cuncta/ regnant..
D. - No, questi si svolgono con cadenza ritmica regolare, l'altro è aritmico.
M. - Terremo presente dunque che nei metri di sei tempi il dicoreo si chiude irregolarmente con il giambo e l'antispasto con lo spondeo.
D. - Sì, certamente.

...e con piedi di tre tempi in fine.
11. 13. M. - Ti accorgerai senz'altro della ragione, se terrai presente che il piede è diviso in due parti dall'arsi e dalla tesi, sicché, se si ha qualche sillaba di mezzo, una o due, viene attribuita o alla prima o alla seconda parte, oppure si divide nell'una e nell'altra.
D. - Lo so ed è vero, ma a che proposito?
M. - Fai attenzione a ciò che ti dico e allora comprenderai più facilmente ciò che chiedi. Ti è chiaro, penso, che alcuni piedi sono senza sillabe di mezzo, come il pirrichio e i rimanenti di due sillabe, ed altri in cui il medio è eguale per durata o alla prima parte o all'ultima o a entrambe o a nessuna delle due, alla prima come nell'anapesto, nel palimbacchio, nel peone I, all'ultima come nel dattilo, nel bacchio, nel peone IV, ad entrambe come nel tribraco, nel molosso, nel coriambo e nei due ionici, a nessuna delle due come nel cretico, nel peone II e III, nel digiambo, nel dicoreo e nell'antispasto. Infatti nei piedi che possono essere divisi in tre parti eguali, la parte media è eguale alla prima e all'ultima, in quelli invece che non possono essere divisi così, la parte media è eguale soltanto o alla prima parte o all'ultima o a nessuna delle due.
D. - So anche questo, ma vorrei sapere cosa sta ad indicare.
M. - Ma a farti capire che il giambo è posto irregolarmente con la pausa dopo il dicoreo, perché esso costituisce la parte mediana del dicoreo stesso, ma non è eguale né alla prima né all'ultima e pertanto discorda nell'arsi e nella tesi. Ciò s'intende anche per lo spondeo che egualmente non vuole esser posto con la pausa dopo l'antispasto. Hai da esporre qualche difficoltà contro queste nozioni?
D. - No, nessuna. Tuttavia il fastidio che si verifica nell'udito, quando i piedi suddetti sono posti con quella disposizione, si verifica nel confronto con quella euritmia che diletta l'udito, quando i medesimi piedi sono posti con la pausa dopo gli altri piedi di sei tempi. Infatti se tu mi chiedessi, dopo aver presentato degli esempi, come suonano, per tacere di altri, il giambo dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto con relativa pausa, ti dico lealmente che forse li approverei e loderei.
M. - Non ti contraddico. A me basta che tale disposizione, nel confronto con tali ritmi, ma più euritmici, come tu dici, ti dà fastidio. Ed essa è tanto più da riprovarsi perché non avrebbe dovuto essere in aritmia con quei piedi che, essendo della medesima forma, si svolgono, come dobbiamo ammettere, tanto ritmicamente se chiusi da quei semipiedi. E non ti pare che, in base alla medesima regola, neanche dopo l'epitrito II può esser posto un giambo con la pausa? Infatti anche di questo piede il giambo costituisce la parte mediana, ma in modo che non si eguaglia né ai tempi della prima né a quelli della seconda.
D. - Questa dimostrazione mi convince.

I piedi da due a cinque tempi danno 250 metri regolari...
12. 14. M. Ed ora, se vuoi, dimmi il numero di tutti i metri che abbiamo trattato finora, cioè di quelli che cominciano con i relativi piedi completi e sono chiusi invece, alcuni con i relativi piedi completi e quindi senza interposizione della pausa, mentre si torna a capo, ed altri che sono chiusi con piedi incompleti e quindi con la pausa. Ovviamente, come la dimostrazione ha accertato, gli incompleti devono essere in euritmia con i completi. La numerazione inizia da due piedi incompleti fino a otto completi, senza che siano oltrepassati i trentadue tempi.
D. - È faticoso ciò che mi imponi, ma ne vale la pena. Ma ricordo che poco fa eravamo già arrivati a settantasette metri dal pirrichio al tribraco. Infatti i piedi di due sillabe ne formano quattordici ciascuno, che nel totale sono cinquantasei, e il tribraco, a causa della duplice divisione, ne forma ventuno. A questi settantasette dunque si aggiungono quattordici metri dattilici e anapesti. Infatti se i piedi si pongono completi e senza pausa, giacché il metro comincia da due e arriva fino a otto piedi, essi formano sette metri ciascuno. Se poi si aggiungono un semipiede e la pausa, giacché il metro comincia da un piede e mezzo e arriva fino a sette e mezzo, se ne hanno altri sette ciascuno. E sono già in tutti centocinque metri. Il bacchio non può estendere il proprio metro fino agli otto piedi per non oltrepassare i trentadue tempi, e così ogni altro piede di cinque tempi, ma possono arrivare fino a sei piedi. Il bacchio dunque e il peone II, che gli è eguale per tempi e divisione, partendo dai due fino ai sei piedi, se completi e disposti senza pausa, formano cinque metri ciascuno; invece con la pausa, cominciando da uno fino a cinque semipiedi, formano altri cinque piedi ciascuno se dopo viene posta una lunga ed ugualmente cinque ciascuno se dopo si pongono una breve e una lunga. Formano dunque quindici metri ciascuno che addizionati divengono trenta. In tutti dunque sono già cento trentacinque metri. Il cretico e i peoni I e IV, che sono divisi egualmente, essendo ammesso porre dopo di essi una lunga, un giambo, uno spondeo e un anapesto, giungono a formare settantacinque metri. Infatti, giacché sono in tre, formano senza pausa cinque metri ciascuno e con la pausa ne formano venti ciascuno che nel totale divengono, come ho detto, settantacinque. Aggiungendoli alla somma precedente si arriva a duecentodieci. Il palimbacchio e il peone III, che gli è simile nella divisione, se completi senza pausa, danno cinque metri ciascuno, e con la pausa cinque ciascuno con una lunga, cinque ciascuno con uno spondeo, cinque ciascuno con un anapesto. Essi si aggiungono al totale maggiore e si avranno in tutto duecento cinquanta metri.

...e da sei a otto tempi altri 321, in tutto 571 meno tre.
12. 15. Il molosso e gli altri piedi di sei tempi, in tutti sette, se completi, formano quattro metri ciascuno; con la pausa invece, giacché si può porre dopo ciascuno di essi una lunga, un giambo, uno spondeo, un anapesto, un bacchio, un eretico e il peone IV, formano ventotto metri ciascuno, in tutti cento novantasei che, addizionati con i precedenti quattro per ciascuno, danno la somma di duecento ventiquattro. Bisogna però sottrarne otto poiché il giambo è posto irregolarmente dopo il dicoreo e lo spondeo dopo l'antispasto. Rimangono duecento sedici metri che aggiunti all'altra somma fanno in tutti quattrocento sessantasei metri. Non si è potuto rilevare la regola del proceleusmatico con i piedi con cui è in euritmia a causa dei numerosi semipiedi che dopo di esso si possono porre. Si possono aggiungere infatti una lunga con pausa come dopo il dattilo e gli altri di egual durata, di modo che si hanno due tempi di pausa, oppure tre brevi con un tempo di pausa, la quale fa sì che l'ultima breve sia considerata lunga. Gli epitriti, se completi, formano tre metri ciascuno, giacché il metro inizia da due piedi e arriva fino a quattro. Si supererebbero appunto i trentadue tempi, ed è inammissibile, se si aggiungesse un quinto piede, Con la pausa, gli epitriti I e II formano tre piedi ciascuno, se seguiti dal giambo, tre ciascuno se dal bacchio, tre ciascuno se dal eretico e tre ciascuno se dal peone IV. E fanno trenta con i tre per ciascuno senza pausa. Gli epitriti III e IV ne formano tre ciascuno prima della pausa, tre ciascuno con lo spondeo, tre ciascuno con l'anapesto, tre ciascuno col molosso, tre ciascuno con lo ionico minore, tre ciascuno con il coriambo. E sono, compresi quelli senza pausa, trentasei. Gli epitriti formano dunque in totale sessantasei metri che con ventuno proceleusmatici, addizionati alla somma precedente, fanno cinquecento cinquantatré metri. Resta il dispondeo che, se completo, produce anche esso tre metri, e aggiunta la pausa ne forma tre con lo spondeo e altrettanti con l'anapesto, il molosso, lo ionico minore e il coriambo. Ed essi, addizionati ai tre che si formano se completi, fanno diciotto metri. Sono dunque in tutti cinquecento settantuno metri.

Regole della pausa e cesura (13, 16 - 15, 29)

I semipiedi possono trovarsi all'inizio del metro...
13. 16. M. - Sarebbero tutti questi, se non si dovesse sottrarne tre giacché si è detto già che il giambo non può esser posto dopo l'epitrito II. Comunque la tua esposizione è buona. Ed ora dimmi come suona al tuo udito questo metro:
Triplici vides ut ortu
Triviae rotetur ignis 1
D. - Molto ritmicamente.
M. - Puoi anche dirmi di quali piedi è composto?
D. - No, e non trovo, mentre li scandisco, come sono in rapporto fra di loro. Se pongo all'inizio un pirrichio o un anapesto o un peone III, quelli che seguono non s'accordano ad essi. Posso ravvisare dopo il peone III un cretico e la sillaba finale lunga che il cretico non rifiuta, se è posta dopo. Questo metro però non può essere formato regolarmente da questi piedi, se non viene interposta la pausa di tre tempi, ma qui non si ha pausa perché il metro soddisfa l'udito col ritorno a capo.
M. - Esamina dunque se deve cominciare da un pirrichio, poi si scandisce un dicoreo e poi uno spondeo, che completa i sei tempi, di cui due sono all'inizio. Si può avere all'inizio anche un anapesto, poi essere scandito un digiambo in modo che la finale lunga con i quattro tempi dell'anapesto completi i sei tempi corrispondenti al digiambo. Da ciò puoi comprendere che sezioni di piedi possono esser posti non solo alla fine, ma anche all'inizio dei metri.
D. - Adesso capisco.

...e il piede compiuto alla fine.
13. 17. M. - E se io tolgo una sola sillaba lunga finale, così da avere questo metro: Segetes meus labor, non avverti che si ha il ritorno a capo con la pausa di due tempi? Da ciò è chiaro che si può porre una parte del piede all'inizio del metro, un'altra alla fine ed un'altra in pausa.
D. - Sì, anche questo è chiaro.
M. - Ed è ciò che accade se in questo metro si scandisce un dicoreo completo. Se invece un digiambo e si pone all'inizio un anapesto, si può osservare che la parte del piede posta in principio ha già quattro tempi e gli altri due richiesti sono in pausa alla fine. Da questa constatazione apprendiamo che il metro può iniziare con una sezione del piede e finire con un piede completo, ma non senza pausa.
D. - Anche questo è evidente.

Si dà anche la pausa non finale o cesura.
13. 18. M. - E puoi scandire il metro seguente e dire di quali piedi è formato?
Iam satis/ terris nivis/ atque dirae
Grandinis misit Pater et rubente
Dextera sacras iaculatus arces 2.
D. - Posso porre all'inizio un cretico e poi scandire altri due piedi di sei tempi, uno ionico maggiore e un dicoreo e fare la pausa di un tempo che si aggiunge al cretico per completare i sei tempi.
M. - Al tuo esame è mancato qualche cosa. Il dicoreo è alla fine e, data la pausa, la sua ultima sillaba che è breve passa per lunga. Dici di no?
D. - Anzi dico di sì.
M. - Non bisogna dunque porre in fine un dicoreo, salvo che non vi sia la pausa nel ritorno a capo, altrimenti l'udito non percepirebbe un dicoreo, ma un epitrito II.
D. - È chiaro.
M. - Come lo scandiremo dunque questo metro?
D. - Non lo so.
14. 18. M. - Poni attenzione dunque se il metro suona bene quando, nel pronunciarlo, dopo le prime tre sillabe faccio la pausa di un tempo. Così alla fine non sarà richiesto alcun tempo di modo che vi può esser regolarmente un dicoreo.
D. - Suona con molta euritmia.

Cesura mediana e finale.
14. 19. M. - Aggiungiamo anche questa regola all'arte poetica, e cioè che, quando si richiede, si osservi la pausa non soltanto alla fine, ma anche prima della fine. E si richiede quando, a causa dell'ultima breve, è irregolare alla fine la pausa in sostituzione dei tempi dei piedi, come nel caso citato, oppure quando si pongono due piedi incompleti, uno all'inizio, l'altra alla fine, come in questo metro:
Gentiles nostros// inter oberrat equos 3//.
Hai percepito, penso, che ho osservato la pausa di due tempi dopo le cinque sillabe lunghe e che si deve fare una pausa della medesima durata alla fine, mentre si torna a capo. Se infatti si scandisce questo metro con la regola dei sei tempi, si ha per primo uno spondeo, secondo un molosso, terzo un coriambo e infine un anapesto. Allo spondeo dunque e all'anapesto mancano due tempi per completare un piede di sei tempi. Pertanto si fa una pausa di due tempi dopo il molosso prima della fine e di due dopo l'anapesto alla fine. Se invece si scandisce con la regola dei quattro tempi, vi sarà una lunga all'inizio, poi si scandiscono due spondei e due dattili e infine chiuderà una lunga. Si fa dunque una pausa di due tempi dopo entrambi gli spondei prima della fine e di due alla fine, in maniera da completare i due piedi, le cui mezze parti sono state poste una al principio e una alla fine.

Metri senza cesura nei quali...
14. 20. Talora tuttavia l'intervallo che si deve ai due piedi incompleti posti in principio e in fine è dato soltanto dalla pausa finale, se essa è tale che non ecceda un semipiede, come in questi due versi:
Silvae la/borantes/ geluque
Flumina/ constiterint/ acuto 4.
Il primo metro infatti comincia da un palimbacchio, continua con un molosso e termina con un bacchio. Si hanno quindi due tempi di pausa. E se ne viene attribuito uno al bacchio, l'altro al palimbacchio, si avranno tre piedi di sei tempi ciascuno. Il secondo metro comincia al contrario con un dattilo, continua in un coriambo e si chiude con un bacchio. Si dovrà dunque osservare una pausa di tre tempi. Di essi uno sarà dato al bacchio, due al dattilo; così in tutti i piedi si avranno i sei tempi.

...la pausa va a completare il piede finale.
14. 21. Prima dunque si accorda il tempo che si richiede a completare il piede finale, poi a quello posto all'inizio. L'udito non permette proprio che avvenga diversamente. E non c'è da meravigliarsene, giacché nel ritornare a capo si riporta all'inizio ciò che è alla fine. Ora nel metro già citato: Flumina/ constiterint/ acuto, mancano tre tempi per completare i sei di ciascun metro e se non si vogliono dare con la pausa ma col suono, possono essere impiegati con un giambo, un trocheo e un tribraco, giacché tutti hanno tre tempi. Tuttavia l'udito stesso non tollera proprio che essi siano dati mediante il trocheo perché in esso la prima è lunga e l'altra è breve. Bisogna al contrario che prima si percepisca ciò che è richiesto dal bacchio finale, cioè una sillaba breve e non una lunga che è richiesta dal dattilo iniziale. Il fatto si può verificare con questi esempi:
Flumina/ constiterint/ acuto/ gelu.
Flumina/ constiterint/ acute/ gelida.
Flumina/ constiterint/ in alta/ nocte.
Nessun dubbio che i primi due si svolgono ritmicamente e il terzo no.

La pausa di due tempi va distribuita fra i piedi incompiuti...
14. 22. Ed ugualmente quando piedi incompleti richiedono un tempo ciascuno, se si vuol rendere con il suono, l'udito non tollera e due tempi siano ridotti a una sola sillaba. Ed è giustizia degna di ammirazione. Non conviene infatti che ciò che deve esser dato separatamente, non sia posto anche separatamente. Pertanto nel metro: Silvae la/borantes/ geluque, se aggiungi alla fine una lunga in luogo della pausa, come in Silvae la/borantes/ gelu du/ro, l'udito non lo ammette, come al contrario ammette se si dice: Silvae la/borantes/ gelu et fri/gore. Lo percepirai con piena soddisfazione se li ripeterai uno per volta.

...e di essi il più piccolo va all'inizio.
14. 23. Così, quando si pongono due piedi incompleti, quello dell'inizio non deve essere più grande di quello della fine. L'orecchio lo rifiuta, come nel metro: Optimum/ tempus adest/ tandem, in cui il primo piede è un cretico, il secondo un coriambo, il terzo uno spondeo. Si hanno dunque tre tempi di pausa, di cui due vanno allo spondeo posto in fine perché si abbiano i sei tempi, ed uno va al cretico posto all'inizio. Se invece si dice: Tandem/ tempus adest/ optimum, introducendo la medesima pausa di tre tempi, ognuno può percepire che il metro torna a capo ritmicamente. Conviene pertanto che il piede incompleto alla fine abbia la medesima lunghezza di quello dell'inizio, come in questo: Silvae la/borantes/ geluque, oppure che il più corto sia in principio e il più lungo alla fine, come in Flumina/ constiterint/ acuto. E non a torto, perché da un lato se si ha l'uguaglianza non v'è disaccordo, e dall'altro se il numero è diverso, ma si va dal più piccolo al più grande, come si fa nella serie dei numeri, l'ordine stesso ristabilisce l'accordo.

Pausa mediana e finale.
14. 24. E si ha un altra conseguenza. Quando si impiegano i piedi catalettici, di cui stiamo trattando, se si fa pausa in due punti, cioè prima della fine e alla fine, la pausa prima della fine duri il tempo che è dovuto a completare l'ultimo piede e la pausa alla fine duri il tempo che si deve a completare il primo piede, giacché il mezzo tende alla fine e dalla fine si deve tornare al principio. E se a completare l'uno e l'altro piede è dovuto un tempo eguale, non v'è dubbio che si deve osservare una pausa eguale prima della fine e alla fine. E la pausa deve cadere dove termina un comma. Nei ritmi che si fanno senza parole, con degli strumenti a percussione o a fiato, oppure con suoni inarticolati, non fa differenza dopo quale suono o battuta di tempo si fa la pausa. Basta che si interponga la pausa regolare in base alle norme citate. Perciò il metro più corto può essere di due piedi catalettici purché la loro durata complessiva non sia inferiore ad un piede e mezzo. Abbiamo appunto detto dianzi che si possono disporre due piedi incompiuti, se ciò che si deve a completare entrambi non superi in durata mezzo piede. Ecco un esempio: Montes/ acuti. In esso si osserva una pausa di tre tempi alla fine, oppure di un tempo dopo lo spondeo e di due alla fine. Altrimenti questo metro non si potrebbe scandire come si deve.

Non si dà pausa mediana dopo sillaba breve.
15. 25. Si aggiunga anche alla nostra conoscenza che, quando si fa pausa prima della fine, non si deve avere in quel punto una parola che termina con sillaba breve. Altrimenti, secondo la regola spesso ricordata, l'udito, data la pausa che seguirebbe, la percepirebbe come lunga. Pertanto in questo metro: Montibus/ acutis, non si può fare la pausa di un tempo dopo il dattilo, come si poteva nel metro precedente dopo lo spondeo. In effetti non si percepirebbe un dattilo, ma un cretico e conseguentemente non sarebbero più due piedi incompiuti, come stiamo osservando, ma sembrerebbe un metro formato da un dicoreo completo e da uno spondeo finale, con una pausa di due tempi da porsi in fine.

Mobilità della pausa cesura...
15. 26. Si deve notare anche che se si pone un piede catalettico in principio, o si restituisce in quel punto stesso mediante la pausa ciò che è dovuto a completarlo, come in Iam satis// terris nivis atque dirae, oppure alla fine, come in Segetes/ meus labor//. Invece a un piede catalettico posto alla fine o si restituisce con la pausa in fine ciò che è dovuto a completarlo, come in Ite igitur/ Camoenae//, ovvero in uno dei punti mediani, come in questo: Ver blandum// viget arvis//, adest hospes hirundo 5//. Infatti il tempo dovuto a completare il bacchio finale, si può trascorrere in pausa o alla fine del ritmo, o dopo il primo piede che è un molosso, o dopo il secondo che è uno ionico minore. E ciò che si deve a completare piedi incompiuti posti in mezzo deve essere restituito in quello stesso punto, come in Tuba terribilem sonitum// dedit aere curvo 6//. Se infatti si scandisce questo metro in modo da considerare il primo piede un anapesto, il secondo uno dei due ionici con cinque sillabe, dopo aver scomposto, s'intende, la lunga del principio o della fine in due brevi, il terzo un coriambo e l'ultimo un bacchio, tre saranno i tempi da restituire, uno in fine al bacchio, due in principio all'anapesto, in modo che si abbiano sei tempi ciascuno. Ma l'intera durata dei tre tempi può essere posta in pausa alla fine. Se invece si comincia da un piede intero, scandendo cinque sillabe per uno dei due ionici, di seguito si ha un coriambo e poi non si troverà altro piede compiuto. Perciò si dovrà osservare la pausa per la durata di una lunga e, inseritala nel ritmo, si avrà un altro coriambo. A chiudere resta un bacchio, il cui tempo mancante si restituisce con la pausa in fine.

...secondo i vari modi di scandire.
15. 27. Dall'esposto risulta evidente, secondo me, che, quando si fa la pausa in punti mediani, si restituiscono tempi richiesti alla fine o tempi richiesti dove si fa la pausa. Ma talora non è normativo fare la pausa in mezzo al metro, quando il metro può essere scandito in varie maniere; come nell'esempio citato. Qualche altra volta invece è normativo, come in questo: Vernat temperies, aurae//, tepent//, sunt deliciae//. Intanto è chiaro che questo ritmo può scorrere con piedi di sei e quattro tempi. Se di quattro tempi, si deve far pausa di un tempo dopo l'ottava sillaba e di due alla fine. Si può scandire per primo uno spondeo, secondo un dattilo, terzo uno spondeo, quarto un dattilo se si inserisce nel ritmo una pausa dopo la lunga poiché non è possibile dopo la breve, quinto uno spondeo, sesto un dattilo, l'ultima lunga con cui si chiude il ritmo e che si completa con due tempi di pausa alla fine. Se invece si scandiscono piedi di sei tempi, si avrà per primo un molosso, secondo uno ionico minore, terzo un cretico che diviene un dicoreo per l'aggiunta della pausa di un tempo, quarto uno ionico maggiore, l'ultima lunga, dopo la quale si ha una pausa di quattro tempi. Si potrebbe scandire anche in altro modo. Si pone all'inizio una lunga, alla quale fanno seguito uno ionico maggiore, un molosso e un bacchio che diviene un antispasto; per l'aggiunta della pausa di un tempo, in ultimo un coriambo chiude il metro, sicché la pausa di quattro tempi alla fine va a completare la lunga sola posta all'inizio. Ma l'udito rifiuta questo sistema di scandire, giacché una parte di piede posta in principio, a meno che non superi il semipiede, non si completa regolarmente dopo un piede completo con la pausa finale nel punto dovuto. Noi sappiamo certamente, grazie agli altri piedi, il tempo che le è dovuto, ma non è percepita dal senso una pausa di determinata durata, se non è minore il tempo che si trascorre in pausa di quello che è occupato dal suono. Quando la voce infatti ha enunciato la parte più lunga d'un piede, la più corta che rimane si rileva facilmente dovunque.

Pause normative e facoltative.
15. 28. Pertanto v'è una scansione normativa, che abbiamo esposto, del metro presentato con l'esempio: Vernat temperies//, aurae// tepent//, sunt deliciae//; e si ha quando si fa pausa di un tempo dopo la decima sillaba e di quattro in fine. Ma ve n'è un'altra facoltativa, se si vuole osservare una pausa di due tempi dopo la sesta sillaba, di uno dopo l'undicesima e di due alla fine. Si avrebbe così all'inizio uno spondeo, cui fa seguito un coriambo, al terzo che è uno spondeo deve essere aggiunta la pausa di due tempi, sicché diventa un molosso o uno ionico minore, al quarto posto c'è un bacchio che con l'aggiunta della pausa di un tempo diviene un antispasto, con il coriambo al quinto posto si chiude il ritmo come suono, ma con due tempi in fine restituiti mediante la pausa allo spondeo collocato all'inizio. E vi è un'altra scansione. Se si vuole, si osserverà una pausa di un tempo dopo la sesta sillaba, di uno dopo la decima e l'undicesima e di due alla fine. Si ha così per primo uno spondeo, secondo un coriambo, terzo un palimbacchio che diviene antispasto inserendo nel ritmo la pausa di un tempo, quarto uno spondeo che diviene dicoreo con l'interposizione della pausa di un tempo, cui fa seguito un'altra pausa di un tempo, e ultimo il coriambo chiude il ritmo, di modo che si ha la pausa di due tempi dovuti allo spondeo iniziale. Esiste una terza scansione, se si osserva la pausa di un tempo dopo il primo spondeo e si mantiene il resto come nel sistema precedente. Alla fine però si avrà la pausa di un solo tempo, poiché lo spondeo, posto all'inizio, con la pausa di un tempo che lo segue è divenuto un palimbacchio, di modo che la pausa finale che serve a completarlo è di un solo tempo. Da ciò comprendi ormai che nei metri sono interposte delle pause, di cui alcune normative, altre facoltative. Sono normative quando è richiesto qualche cosa per completare il piede, facoltative quando i piedi sono regolarmente compiuti.

Varietà delle pause facoltative.
15. 29. Quanto si è detto dianzi, che cioè non si deve pausa superiore ai quattro tempi, è stato detto delle pause normative, poste nei punti in cui si devono completare i tempi richiesti. Al contrario in quelle che abbiamo definito pause facoltative è anche permesso enunciare un piede e percorrerne in pausa un altro. E se si farà con intervalli eguali, non si avrà più un metro, ma un ritmo, poiché non appare un limite determinato, da cui ricominciare. Pertanto se, ad esempio, si vuole mediante pause ottenere una certa varietà fino a fare in pausa dopo il primo piede i tempi del secondo, non si può tuttavia continuare così all'infinito. Ma è permesso con qualsiasi variazione, inserendo nel ritmo le pause, estendere il metro al numero stabilito di tempi, come in questo: Nobis// verum in/ promptu est//, tu si/ verum/ dicis. Si ha facoltà di fare in esso, dopo il primo spondeo, una pausa di quattro tempi e di altri quattro dopo i due seguenti, ma non si avrà la pausa dopo i tre spondei finali perché sono compiuti i trentadue tempi. Però è molto più conveniente e in certo senso anche più giusto far pausa soltanto alla fine, oppure nel mezzo e alla fine. E questo si può ottenere sopprimendo un piede, così da avere: Nobis// verum in/ promptu est//, tu dic/ verum//. Dunque anche nei metri degli altri piedi si deve osservare la seguente regola. Con le pause normative tanto alla fine che nel mezzo, si attribuiscono i tempi richiesti a completare i piedi, ma non si deve fare una pausa superiore alla parte del piede occupata dall'arsi e dalla tesi. Con le pause facoltative al contrario è concesso passare in pausa parti di piedi o piedi compiuti, come abbiamo dimostrato con gli esempi presentati dianzi. Ma a questo punto si chiuda l'argomento della interposizione delle pause.

Metri misti (16, 30 - 34)

Tradizione e teoria nell'arte poetica.
16. 30. Ora esponiamo qualche nozione sulla mescolanza dei piedi e sulla strofa metrica. Sono stati già esposti molti concetti quando abbiamo esaminato quali piedi si devono mescolare fra di loro. Per quanto attiene alla strofa metrica si dovranno esprimere alcuni concetti quando cominceremo a trattare del verso. In definitiva i piedi si uniscono in un contesto secondo le regole trattate nel secondo libro. Si deve sapere a proposito che tutte le forme di metro, che sono state rese celebri dai poeti, hanno i loro creatori e perfezionatori e che da essi sono state dettate leggi ben definite che è proibito abrogare. Dal momento infatti che le hanno stabilite con metodo razionale, non è conveniente derogare da esse, quantunque si potrebbe sempre nel rispetto della razionalità e senza offesa dell'estetica uditiva. La conoscenza di questo argomento non è affidata all'arte ma alla tradizione, quindi anziché avere conoscenza si accetta l'autorità. Non possiamo neanche avere scienza, se non saprei quale poeta di Falerii ha composto i metri che suonano così:
Quando flagel/la ligas, ita/ liga,
Vitis et ul/mus uti simul/ eant 7.
Possiamo soltanto accettare la tradizione ascoltandoli e leggendoli. È invece compito, che ci riguarda, dell'arte poetica esaminare se questo metro si compone di tre dattili e di un pirrichio finale, come suppongono molti inesperti di musica. Essi non hanno capacità d'intendere che il pirrichio non può esser posto dopo il dattilo o che piuttosto, come la teoria insegna, il primo piede in questo metro deve essere un coriambo, il secondo uno ionico con una lunga divisa in due brevi e l'ultimo un giambo, dopo il quale si avrà una pausa di tre tempi. Gli individui non del tutto incolti potrebbero constatarlo se il metro fosse pronunciato e cadenzato da un grammatico secondo i due modi citati. Così con gusto naturale e proprio di tutti giudicherebbero che cosa prescrive la regola dell'arte.

Metri variabili, invariabili e semivariabili.
16. 31. Comunque si deve rispettare la norma voluta dal suddetto poeta, che cioè, quando si usa questo metro, i ritmi rimangono invariabili. Infatti questo metro non delude l'udito. Non lo deluderebbe comunque, anche se si ponesse al posto del coriambo un digiambo o lo stesso ionico senza scomporre la lunga in brevi o qualunque altro fosse in euritmia. Dunque non si dovrà variare nulla in questo metro, non perché si deve evitare la mancanza di proporzione, ma perché si rispetta la tradizione. La teoria insegna che sono istituiti metri invariabili, ai quali, cioè, non bisogna cambiare nulla, come quelli di cui abbiamo già parlato abbastanza, altri invece variabili, nei quali si possono usare piedi in luogo di altri, come in questo: Troiae/ qui pri/mus ab o/ris, ar/ma virum/que cano. Infatti in esso è possibile sostituire in qualsiasi posto uno spondeo con un anapesto. Ve ne sono altri né totalmente invariabili né totalmente variabili, come questo:
Pendeat/ ex hume/ris dul/cis chelys,
Et nume/ros e/dat vari/os quibus
Assonet/ omne vi/rens la/te nemus,
Et tor/tis er/rans qui/ flexibus 8.
Puoi osservare che in esso si possono ovunque porre spondei e dattili, tranne che all'ultimo piede che l'autore del metro ha voluto fosse sempre un dattilo. E puoi osservare che in queste tre forme di metri la tradizione ha il suo peso.

Piedi misti conciliabili e inconciliabili...
16. 32. Per quanto riguarda, nella commischianza dei piedi, la competenza della facoltà razionale che sola può giudicare del dato sensibile, si deve tener presente ciò che segue. Le parti dei piedi che, quando si ha la pausa, sono poste aritmicamente dopo certi piedi, come il giambo dopo il ditrocheo o l'epitrito II, lo spondeo dopo l'antispasto, si collocano irregolarmente anche dopo altri piedi che ad essi sono mescolati. Infatti è chiaro che il giambo è posto regolarmente dopo il molosso, come indica il seguente metro se ripetuto più volte con pausa finale di tre tempi: Ver blandum/viret/ floribus. Ma se in luogo del molosso è posto un ditrocheo al principio, come in questo caso: Vere terra/ viret/floribus, l'udito lo rifiuta decisamente. Ed è facile mediante il giudizio dell'udito far la prova anche con altri metri. E se ne ha una motivazione evidente. Quando piedi fra loro congiungibili vengono congiunti, si devono aggiungere alla fine parti che si accordano con tutti i piedi collocati in quel contesto perché non nasca in qualche modo un contrasto fra i piedi commischiati.

...secondo il genere dattilico o dell'uguale...
16. 33. Il fatto che meraviglia di più è che, quantunque lo spondeo chiuda ritmicamente il digiambo e il ditrocheo, tuttavia quando entrambi questi piedi si trovano in una serie o soli o comunque mescolati con altri congiungibili ad essi, lo spondeo non può seguirli con il benestare dell'udito. Non v'è dubbio che l'udito percepisce con diletto questi due metri ripetuti ad uno ad uno e separatamente: Timenda res/ non est e Iam timere/ noli, ma se li congiungi così: Timenda res/ iam timere/ noli, non vorrei ascoltarli che in prosa. Non meno aritmico è il metro, se si congiunge in un punto qualsiasi un altro piede, come un molosso in questo modo: Vir fortis/, timenda res /, iam timere/ noli; o così: Timenda res /, vir fortis/, iam timere/ noli; o anche così: Timenda res/, iam timere/, vir fortis/, noli. E causa dell'aritmia è che il digiambo avrebbe anche la percussione del due e uno, mentre il ditrocheo dell'uno e due. Ora lo spondeo è eguale in tempi alle loro parti che hanno il due, ma poiché il digiambo attrae lo spondeo verso la propria parte iniziale e il ditrocheo a quella finale, ne nasce un certo contrasto. E in tal modo il ragionamento elimina la nostra meraviglia.

...o giambico ossia del doppio.
16. 34. Non minore stupore desta l'antispasto. Se nessun altro piede gli si unisce o il solo digiambo in un determinato modo, permette che il metro si chiuda col giambo, ma niente affatto se è accompagnato da altri piedi. Unito al dicoreo rifiuta il giambo a causa dello stesso dicoreo. E fin qui non me ne stupisco affatto. Ma non so proprio perché congiunto con altri piedi di sei tempi rifiuta alla fine il giambo che è di tre tempi. È forse una cagione più nascosta di quanto sia possibile a noi scoprirla con evidenza. Ma dimostro il fatto con questi esempi. Non si mette in dubbio che questi due metri: Potestate/placet e Potestate/potentium/placet, con una pausa di tre tempi alla fine si enunciano entrambi ritmicamente. Ma aritmicamente con la medesima pausa questi: Potestate/ praeclara/ placet, Potestate/ tibi multum/ placet, Potestate/ iam tibi sic/ placet, Potestate/ multum tibi placet, Potestate/ magnitudo/ placet. Per ciò che attiene alla facoltà percettiva, essa ha adempiuto alla propria funzione nel problema in parola e ha indicato ciò che ha accettato e ciò che ha rifiutato, ma sulla cagione del fenomeno bisogna consultare la facoltà razionale. E la mia in tanta oscurità non può che vederla in questi termini. L'antispasto ha la sua prima parte eguale a quella del digiambo poiché entrambi cominciano con una breve e una lunga, la seconda parte invece con un dicoreo perché sono chiusi entrambi da una lunga e una breve. Perciò l'antispasto posto da solo ammette alla fine del metro il giambo che corrisponde alla sua prima parte e lo ammette, anche se unito al digiambo col quale ha questa parte eguale. Ammetterebbe il giambo finale anche col dicoreo, se col dicoreo si accordasse tale chiusura. Unito con gli altri invece non lo ammette perché il giambo contrasta in tale congiungimento.

Considerazioni sulle strofe (17, 35 - 37)

Strofe differenti per tempi e per piedi...
17. 35. Per quanto attiene alla strofe metrica, basta tener presente per ora che in essa si possono congiungere metri differenti purché convengano nella percussione, cioè nell'arsi e nella tesi. E i metri possono esser differenti per lunghezza, se metri lunghi si congiungono con metri più corti, come in questo esempio:
Iam satis terris nivis atque dirae
Grandinis misit Pater et rubente
Dextera sacras iaculatus arces
Terruit ur/bem 9.
Puoi vedere infatti quanto l'ultimo di questi, conchiuso da un coriambo e da una sillaba lunga finale, sia più corto dei tre precedenti eguali fra loro. Inoltre i metri sono differenti per i piedi, come questi:
Grato/ Pyrrha sub an/tro,
Cui fla/vam religas/ comam 10.
Puoi osservare che il primo di questi due versi è formato da uno spondeo e un coriambo, ed una sillaba lunga in fine che è richiesta dallo spondeo per completare i sei tempi. Il secondo invece si compone di uno spondeo e un coriambo e le due ultime brevi che con lo spondeo iniziale completano i sei tempi. Sono dunque eguali nei tempi ma nei piedi hanno. qualche cosa di diverso.

...e per la presenza o assenza della pausa.
17. 36. Esiste un'altra differenza delle strofe metriche. Alcuni metri sono messi insieme in modo da non richiedere fra l'uno e l'altro la pausa, come negli ultimi due, altri invece richiedono che fra l'uno e l'altro si faccia una determinata pausa, come questo:
Vides ut alta stet nive candidum
Soracte, nec iam sustineant onus
Silvae laborantes, geluque
Flumina constiterint acuto 11.
Infatti se si ripetono ad uno ad uno, i primi due metri richiedono la pausa finale di un tempo, il terzo di due, il quarto di tre; ma se sono recitati l'uno dopo l'altro obbligano alla pausa di un tempo nel passare dal primo al secondo, di due dal secondo al terzo, di tre dal terzo al quarto. Se si torna dal quarto al primo, si farà la pausa di un tempo. Ma la norma che vale nel tornare al primo vale anche nel passare ad altra strofa. Giustamente noi latini chiamiamo questa forma di unione dei metri circuito che in greco si dice . Il circuito non può essere più piccolo di due membri, cioè due metri, ed hanno convenuto che non sia maggiore di quello che giunge fino a quattro membri. Si può dunque chiamare bimembre il più piccolo, trimembre quello di mezzo e quadrimembre l'ultimo. I greci li chiamano appunto  ,  , . Giacché tratteremo, come ho detto, il problema più accuratamente nel discorso che terremo sui versi, per ora basta.

Infinita possibilità di metri.
17. 37. Comprendi certamente, penso, che si hanno innumerevoli forme di metri. Noi ne abbiamo trovate cinquecento sessantotto. Però sono stati presentati modelli con le sole pause finali e non sono state considerate la commischianza dei piedi e la scomposizione delle lunghe in due brevi che prolunga il piede oltre le quattro sillabe. Ma se si volesse, usando tutte le possibili interposizioni di pausa, ogni possibile commischianza di piedi e scomposizione delle lunghe, calcolare il numero dei metri, esso risulta così grande da non potersi forse trovare il nome. E sebbene il poeta usandoli e l'universale facoltà estetica ascoltandoli rendano validi i modelli da noi presentati e tutti gli altri che è possibile comporre, tuttavia se non li affidasse all'udito la recitazione di un individuo colto ed esercitato e se il sentimento estetico di chi ascolta fosse più ottuso di quanto richiede la cultura letteraria, non è possibile considerare come vere le nozioni che abbiamo trattato. Ma ora riposiamoci per un po' di tempo e del verso trattiamo in seguito.
D. - Sì.

 


1 - PETRONIO, attr. Terenziano, De metris 2862-63: G. L. 6, 409; MARIO VITTORINO, Ars gramm. G. L. 6, 153, 34.

2 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-3.

3 - TERENZIANO, De metris 1796; G.L. 6, 379.

4 - ORAZIO, Odi 1, 9, 3-4.

5 - VARRONE, Sat. Men. fr. 89.

6 - TERENZIANO, De metris 1913; G.L. 6, 382.

7 - SETTIMIO SERENO, attr. Terenziano, De metris 2001; G.L. 6, 385; MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 122, 16-17; SERVIO, In Verg. Aen. 4, 291.

8 - POMPONIO, attr. Terenziano, De metris 2135-41: G.L. 6, 389; MARIO VITTORINO, Ars gramm., in G.L. 6, 115, 15-17.

9 - ORAZIO, Odi 1, 2, 1-4.

10 - ORAZIO, Odi 1, 5, 3-4.

11 - ORAZIO, Odi 1, 9, 1-4.


Terzo sogno missionario: viaggio aereo

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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Era prossima la spedizione missionaria del 1885 con 18 Salesiani e 6 Figlie di Maria Ausiliatrice. Don Bosco era afflitto dal pensiero di non poter dare loro l’addio paterno nella chiesa di Maria Ausiliatrice, come negli anni precedenti, perché i medici gli avevano ordinato assoluto riposo. Ed ecco che nella notte dal 31 gennaio al i febbraio il Signore lo consolò con un terzo sogno missionario, che si può definire un fantastico volo aereo quando di vie aeree non si parlava ancora. Lo presentiamo alquanto riassunto, usando però le parole di Don Bosco.

Gli parve di accompagnare i missionari nel loro viaggio. Essi lo circondavano e gli chiedevano consigli. E Don Bosco:
— Non con la scienza, non con la sanità, non con le ricchezze, ma con lo zelo e la pietà farete del gran bene, promuovendo la gloria di Dio e la salvezza delle anime.
Senza saper come e con quali mezzi, si trovarono quasi subito in America. I missionari si sparsero qua e là in una vastissima pianura, posta tra il Cile e la Repubblica Argentina, e Don Bosco si trovò solo.
In quella immensa pianura apparivano molte e lunghissime vie per le quali si vedevano sparse numerose case. Strade e case non erano come le strade e le case di questo mondo. Quelle strade erano percorse da mezzi di trasporto magnifici e stupendi. Don Bosco osservò con stupore che quei veicoli, giunti presso i villaggi e le città, passavano in alto, sicché chi viaggiava vedeva sotto di sé i tetti delle case. Di lassù si vedevano gli abitanti a muoversi nelle vie, nei cortili e nelle campagne.
Ciascuna di quelle strade faceva capo a una Missione, e Don Bosco, con un colpo d’occhio, vide tutte le case salesiane dell’Argentina, dell’Uruguay e del Brasile. In quell’istante apparve vicino a Don Bosco un personaggio di nobile aspetto, nel quale riconobbe la sua Guida.

— Perché — chiese Don Bosco — i Salesiani che vedo qui sono così pochi?
— Ciò che non è, sarà — rispose la Guida.
«Io intanto — racconta Don Bosco —, sempre fermo in quella pianura, percorrevo con lo sguardo tutte quelle interminabili vie e contemplavo in modo chiarissimo, ma inesplicabile, i luoghi che sono e saranno occupati dai Salesiani.
Quante cose magnifiche io vidi! Vidi tutti i singoli collegi. Vidi come in un punto solo il passato, il presente e l’avvenire delle nostre Missioni. Siccome vidi tutto complessivamente in uno sguardo solo, è ben difficile rappresentare anche languidamente qualche ristretta idea di questo spettacolo. Solamente quello che io vidi in quella pianura del Cile, del Paraguay, del Brasile, della Repubblica Argentina richiederebbe un grosso volume. Vidi pure in quella vasta pianura la gran quantità di selvaggi che sono sparsi nel Pacifico, fino al Golfo di Ancud, nello stretto di Magellano, al capo Horn, nelle Isole Malvine. Tutta messe destinata per i Salesiani. Vidi che ora i Salesiani seminano soltanto, ma i nostri posteri raccoglieranno. Uomini e donne ci rinforzeranno e diverranno predicatori. I loro figli stessi che sembra quasi impossibile guadagnare alla fede, diverranno gli evangelizzatori dei loro parenti e amici.

I Salesiani riusciranno a tutto con l’umiltà, col lavoro, con la temperanza. Le cose che io vedevo in quel momento e che vidi in appresso, riguardano tutte i Salesiani, il loro stabilimento in quei paesi, il loro aumento meraviglioso, la conversione di tanti indigeni e di tanti europei colà stabiliti. L’Europa si riverserà nell’America del Sud.

Visto il campo che ci assegna il Signore e il glorioso avvenire della Congregazione Salesiana, mi parve di mettermi in viaggio per il ritorno in Italia. Io ero trasportato con rapidissimo volo per una via strana, altissima; e così giunsi in un attimo sopra l’Oratorio. Tutta Torino era sotto i miei piedi: le case, i palazzi, le torri mi sembravano basse casupole, tanto io mi trovavo in alto. Piazze, strade, giardini, le ferrovie, le mura di cinta, le campagne e le colline circostanti, le città, i villaggi della provincia, la gigantesca catena delle Alpi coperta di neve stavano sotto i miei piedi presentandomi uno stupendo panorama. Vedevo i giovani là in fondo all’Oratorio che sembravano tanti topolini. Ma il loro numero era straordinariamente grande: preti, chierici, studenti, capi d’arte occupavano tutto. Molti partivano in processione ed altri sottentravano a quelli che partivano. Era una continuata processione. Tutti andavano a raccogliersi in quella vastissima pianura tra il Cile e la Repubblica Argentina, nella quale ero tornato a volo in un batter d’occhio. Io li stavo osservando. Un giovane prete di un aspetto candido e di carnagione fanciullesca venne verso di me e, con aria affabile e parola cortese, mi disse:
— Ecco le anime e i paesi destinati ai figliuoli di San Francesco di Sales.

Qui noto che nel narrare il mio sogno vado per sommi capi: non mi è possibile precisare la successione esatta dei magnifici spettacoli che mi si presentavano. Lo spirito non regge, la memoria dimentica, la parola non basta. Oltre al mistero che avvolgeva quelle scene, queste si avvicendavano, talora si intrecciavano, sovente si ripetevano secondo il vario unirsi o dividersi o partire dei Missionari, e lo stringersi o allontanarsi da essi di quei popoli che erano chiamati alla fede o alla conversione. Lo ripeto: io vedevo in un punto solo il passato, il presente, l’avvenire di quelle Missioni, con tutte le fasi, i pericoli, le riuscite, le disdette o i disinganni che accompagneranno questo apostolato.
Ripigliando il racconto, dico che restai meravigliato nel vedere scomparire tanta moltitudine. Mons. Cagliero in quell’istante era al mio fianco. Alcuni Missionari erano a una certa distanza. Molti altri erano attorno a me con un bel gruppo di Cooperatori Salesiani. Allora il solito interprete venne verso di me e mi disse:
— Ascoltate e vedrete!

Ed ecco in quel momento la vasta pianura divenire una gran sala. Io non posso descriverne la magnificenza e la ricchezza. Dico solo che se uno si mettesse a descriverla, nessun uomo potrebbe sostenerne lo splendore neppure con l’immaginazione. L’ampiezza era tale che si perdeva a vista d’occhio e non si riusciva a vederne i muri laterali. La sua altezza non si poteva raggiungere. La volta terminava tutta con archi altissimi, larghissimi e splendidissimi, e non si vedeva sopra quale sostegno si appoggiassero. Non vi erano né pilastri né colonne. In generale sembrava che la cupola di quella gran sala fosse di un candidissimo lino a guisa di tappezzeria. Non vi erano lumi, nè sole, né luna, nè stelle, ma uno splendore generale diffuso ugualmente in ogni parte. Tutto intorno si spandeva una soavissima fragranza, che era una mescolanza di tutti i profumi più graditi.
Una gran quantità di tavole in forma di mensa, di una lunghezza straordinaria, si trovavano là. Ve n’erano in tutte le direzioni, ma concorrevano in un centro solo. Erano coperte da eleganti tovaglie e sopra stavano disposti in ordine bellissimi vasi cristallini, in cui erano disposti fiori molti e vari.
La prima cosa che notò mons. Cagliero fu:
— Le tavole ci sono, ma i commestibili dove sono?
Infatti non era apparecchiato nessun cibo e nessuna bevanda; anzi neppure vi erano piatti, coppe o altri recipienti nei quali porre le vivande.
Rispose allora l’amico interprete:
Quelli che vengono qui neque sitient neque esurient amplius (Quelli che vengono qui non avranno più nè sete né fame).
Detto questo, cominciò a entrare gente, tutta vestita di bianco, con una collana color rosa ricamata a fili d’oro. I primi che entrarono erano in numero limitato. Appena entrati, andavano a sedersi intorno a una mensa loro preparata, cantando: Evviva! Dopo questi si avanzavano altre schiere più numerose, cantanto: Trionfo! Allora cominciò a comparire una varietà di persone, grandi e piccole, uomini e donne di ogni generazione, diverse di colore, di forme, di atteggiamenti, e da tutte le parti risonavano cantici. Da quelli che erano già al loro posto si cantava: Evviva!; si cantava: Trionfo! da quelli che entravano. Ogni turba che entrava erano altrettante nazioni o parti di nazioni che saranno tutte convertite dai Missionari.
Ho dato un colpo d’occhio a quelle mense interminabili e conobbi che là sedute e cantando vi erano molte suore e gran numero di confratelli. Costoro però non avevano nessun distintivo di essere preti, chierici, suore, ma come gli altri avevano la veste bianca e la collana color rosa.

La mia meraviglia crebbe quando vidi uomini dall’aspetto ruvido col medesimo vestito degli altri, e li udii cantare: Evviva! Trionfo! In quel momento il nostro interprete disse:
— Gli stranieri, i selvaggi che bevettero la parola di Dio dai loro educatori, divennero banditori della parola di Dio.
Osservai pure in mezzo alla folla schiere di ragazzi dall’aspetto rozzo e strano; domandai:
— E questi ragazzi che hanno una pelle così ruvida, ma pure così bella e di un colore così risplendente, chi sono?
L’interprete rispose:
— Questi sono i figliuoli di Cam che non hanno rinunciato all’eredità di Levi. Il regno di Dio è giunto finalmente anche tra loro. Era piccolo il loro numero, ma i figli dei loro figli lo accrebbero. Quei giovanetti appartenevano alla Patagonia e all’Africa meridionale.
In quel mentre s’ingrossarono talmente le file di coloro che entravano in quella sala straordinaria, che ogni sedia pareva occupata. Le sedie non avevano forma determinata, ma prendevano quella forma che ciascuno desiderava. Ognuno era contento del seggio che occupava e del seggio che occupavano gli altri.

Ed ecco, mentre da tutti si cantava: Alleluia! Trionfo!, sopraggiungere una gran turba che veniva incontro a quelli già entrati, cantando: Alleluia, Gloria, Trionfo!
Quando la sala fu piena e la moltitudine non si poteva numerare, si fece un profondo silenzio, e quella turba cominciò a cantare divisa in vari cori.
Il primo coro: Appropinquavit in nos regnum Dei; Laetentur coeli et exultet terra; Dominus regnavi! super nos, alleluia (E venuto a noi il regno di Dio; si rallegrino i cieli ed esulti la terra; il Signore regna sopra di noi, alleluia).
Un terzo coro: Laudate Dominum omnes gentes, laudate eum omnespopuli (Genti tutte lodate il Signore, lodatelo popoli tutti).

Mentre cantavano queste e altre cose e si alternavano, a un tratto si fece per la seconda volta un profondo silenzio. Quindi cominciarono a risonare voci lontane che venivano dall’alto. Il senso del cantico, di un’armonia che non si può esprimere, era questo: Soli Deo honor et gloria in saecula saeculorum (A Dio solo l’onore e la gloria nei secoli dei secoli). Altri cori, sempre in alto e lontani, rispondevano a queste voci: Semper gratiarum actio il/i qui era!, est et qui venturus est. fIli eucharistia, illi soli honor sempiternus (Siano sempre rese grazie a colui che era, è e sarà. A lui rendimento di grazie, a lui solo onore eterno).

In quel momento quei cori si abbassarono e si avvicinarono. Tra quei musici celesti c’era anche Luigi Colle. Allora gli altri che stavano nella sala si unirono, si misero tutti a cantare e le voci si col- legarono insieme a somiglianza di straordinari strumenti musicali, con suoni la cui estensione non aveva limiti. Quella musica sembrava avesse contemporaneamente mille note, che si associavano a fare un solo accordo di voci. Le voci in alto salivano acute; le voci di coloro che erano nella sala scendevano sonore e rotonde. Tutti formavano un coro solo, una sola armonia con tale gusto e bellezza che io caddi in ginocchio ai piedi di mons. Cagliero esclamando: — Oh, Cagliero! Noi siamo in paradiso!
Mons. Cagliero mi prese per mano e mi rispose:
— Non è il paradiso, ma una semplice debolissima figura di ciò che in realtà c’è in paradiso.
Intanto le voci dei due grandiosi cori proseguivano unanimi e cantavano con inesprimibile armonia: Soli Deo honor et gloria, et triunphus, alleluia, in aeternum, in aeternum!
Qui ho dimenticato me stesso e non so più che cosa sia stato di me. Al mattino stentavo a levarmi da letto; appena appena potei richiamarmi a me stesso, quando andai a celebrare la Santa Messa.
Il pensiero principale che mi restò impresso dopo questo sogno, fu di dare a mons. Cagliero e ai miei cari Missionari un avviso di somma importanza, riguardante le sorti future delle nostre Missioni: «Tutte le sollecitudini dei Salesiani e delle Figlie di Maria Ausiliatrice siano rivolte a promuovere le vocazioni ecclesiastiche e religiose» .

Ogni volta che Don Bosco, raccontando il sogno, ripeteva quelle parole: Evviva! Trionfo! la sua voce prendeva un accento così vibrato che faceva trasalire. Quando poi, alla fine, nominò il suo diletto mons. Cagliero, sospese per un istante la narrazione, un singulto gli troncò la parola e i suoi occhi si riempirono di lacrime.
Don Costamagna, il futuro secondo Vescovo salesiano, dopo aver letto questo sogno, dall’America scriveva a Don Lemoyne:
« Dica pure a Don Bosco che non ubbidiremo a quelle sue parole scritte nell’ultima lettera a Monsignore: “Non credere a tutto ciò che dicono i miei sogni”, perché noi stiamo alle visioni del nostro Padre, il quale, non lo dimenticherò giammai, ebbe a dirmi un giorno.. “Fra tutte le Congregazioni e Ordini Religiosi, forse la nostra fu quella che ebbe più Parola di Dio”» .


9 ottobre 1942

Madre Pierina Micheli

Notte di lotta... ma poi Gesù ebbe pietà di me... combattuta in tutti i modi, specie di suicidio... non potendone più, ricordai che il Padre mi aveva detto di chiamare il Suo Angelo Custode. Allora lo supplicai a non abbandonarmi in mano al demonio... l'Angelo venne, i demoni fuggirono, e passai un momento in celeste conversazione. l'Angelo mi disse: non devi temere, perché quando tu combatti coi demoni, non ci vedi, ma tanti Angeli sono attorno a te per difenderti. Io Gli dissi di farsi vedere, perché io tante volte a essere sola ho paura, e l'Angelo soggiunse: Se ci vedessi sempre, non ci sarebbe più soffe­renza, sta però certa che se ci fosse bisogno, ci vedresti. Non vedi che sono venuto? - Come sei bello, Gli dissi, sei forse un serafino... e mi rispose: sì, io appartengo al coro dei Serafini, e così dicendo scompar­ve, lasciandomi una profonda pace.

Al momento della Comunione mi assalì il tormento che tutto era illu­sione e io era in peccato e non ebbi il coraggio di comunicare...