Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Un'anima devota dev'essere casta e pura nelle mani, nelle labbra, negli occhi e in tutto il corpo. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 16° settimana del tempo ordinario (SS. Gioacchino e Anna)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 14

1In quel tempo il tetrarca Erode ebbe notizia della fama di Gesù.2Egli disse ai suoi cortigiani: "Costui è Giovanni il Battista risuscitato dai morti; per ciò la potenza dei miracoli opera in lui".

3Erode aveva arrestato Giovanni e lo aveva fatto incatenare e gettare in prigione per causa di Erodìade, moglie di Filippo suo fratello.4Giovanni infatti gli diceva: "Non ti è lecito tenerla!".5Benché Erode volesse farlo morire, temeva il popolo perché lo considerava un profeta.
6Venuto il compleanno di Erode, la figlia di Erodìade danzò in pubblico e piacque tanto a Erode7che egli le promise con giuramento di darle tutto quello che avesse domandato.8Ed essa, istigata dalla madre, disse: "Dammi qui, su un vassoio, la testa di Giovanni il Battista".9Il re ne fu contristato, ma a causa del giuramento e dei commensali ordinò che le fosse data10e mandò a decapitare Giovanni nel carcere.11La sua testa venne portata su un vassoio e fu data alla fanciulla, ed ella la portò a sua madre.12I suoi discepoli andarono a prendere il cadavere, lo seppellirono e andarono a informarne Gesù.

13Udito ciò, Gesù partì di là su una barca e si ritirò in disparte in un luogo deserto. Ma la folla, saputolo, lo seguì a piedi dalle città.14Egli, sceso dalla barca, vide una grande folla e sentì compassione per loro e guarì i loro malati.
15Sul far della sera, gli si accostarono i discepoli e gli dissero: "Il luogo è deserto ed è ormai tardi; congeda la folla perché vada nei villaggi a comprarsi da mangiare".16Ma Gesù rispose: "Non occorre che vadano; date loro voi stessi da mangiare".17Gli risposero: "Non abbiamo che cinque pani e due pesci!".18Ed egli disse: "Portatemeli qua".19E dopo aver ordinato alla folla di sedersi sull'erba, prese i cinque pani e i due pesci e, alzati gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione, spezzò i pani e li diede ai discepoli e i discepoli li distribuirono alla folla.20Tutti mangiarono e furono saziati; e portarono via dodici ceste piene di pezzi avanzati.21Quelli che avevano mangiato erano circa cinquemila uomini, senza contare le donne e i bambini.

22Subito dopo ordinò ai discepoli di salire sulla barca e di precederlo sull'altra sponda, mentre egli avrebbe congedato la folla.23Congedata la folla, salì sul monte, solo, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava ancora solo lassù.
24La barca intanto distava già qualche miglio da terra ed era agitata dalle onde, a causa del vento contrario.25Verso la fine della notte egli venne verso di loro camminando sul mare.26I discepoli, a vederlo camminare sul mare, furono turbati e dissero: "È un fantasma" e si misero a gridare dalla paura.27Ma subito Gesù parlò loro: "Coraggio, sono io, non abbiate paura".28Pietro gli disse: "Signore, se sei tu, comanda che io venga da te sulle acque".29Ed egli disse: "Vieni!". Pietro, scendendo dalla barca, si mise a camminare sulle acque e andò verso Gesù.30Ma per la violenza del vento, s'impaurì e, cominciando ad affondare, gridò: "Signore, salvami!".31E subito Gesù stese la mano, lo afferrò e gli disse: "Uomo di poca fede, perché hai dubitato?".
32Appena saliti sulla barca, il vento cessò.33Quelli che erano sulla barca gli si prostrarono davanti, esclamando: "Tu sei veramente il Figlio di Dio!".

34Compiuta la traversata, approdarono a Genèsaret.35E la gente del luogo, riconosciuto Gesù, diffuse la notizia in tutta la regione; gli portarono tutti i malati,36e lo pregavano di poter toccare almeno l'orlo del suo mantello. E quanti lo toccavano guarivano.


Deuteronomio 9

1Ascolta, Israele! Oggi tu attraverserai il Giordano per andare a impadronirti di nazioni più grandi e più potenti di te, di città grandi e fortificate fino al cielo,2di un popolo grande e alto di statura, dei figli degli Anakiti che tu conosci e dei quali hai sentito dire: Chi mai può resistere ai figli di Anak?3Sappi dunque oggi che il Signore tuo Dio passerà davanti a te come fuoco divoratore, li distruggerà e li abbatterà davanti a te; tu li scaccerai e li farai perire in fretta, come il Signore ti ha detto.4Quando il Signore tuo Dio li avrà scacciati dinanzi a te, non pensare: A causa della mia giustizia, il Signore mi ha fatto entrare in possesso di questo paese; mentre per la malvagità di queste nazioni il Signore le scaccia dinanzi a te.5No, tu non entri in possesso del loro paese a causa della tua giustizia, né a causa della rettitudine del tuo cuore; ma il Signore tuo Dio scaccia quelle nazioni dinanzi a te per la loro malvagità e per mantenere la parola che il Signore ha giurato ai tuoi padri, ad Abramo, a Isacco e a Giacobbe.6Sappi dunque che non a causa della tua giustizia il Signore tuo Dio ti dà il possesso di questo fertile paese; anzi tu sei un popolo di dura cervice.
7Ricordati, non dimenticare, come hai provocato all'ira il Signore tuo Dio nel deserto. Da quando usciste dal paese d'Egitto fino al vostro arrivo in questo luogo, siete stati ribelli al Signore.8Anche sull'Oreb provocaste all'ira il Signore; il Signore si adirò contro di voi fino a volere la vostra distruzione.9Quando io salii sul monte a prendere le tavole di pietra, le tavole dell'alleanza che il Signore aveva stabilita con voi, rimasi sul monte quaranta giorni e quaranta notti, senza mangiare pane né bere acqua;10il Signore mi diede le due tavole di pietra, scritte dal dito di Dio, sulle quali stavano tutte le parole che il Signore vi aveva dette sul monte, in mezzo al fuoco, il giorno dell'assemblea.11Alla fine dei quaranta giorni e delle quaranta notti, il Signore mi diede le due tavole di pietra, le tavole dell'alleanza.12Poi il Signore mi disse: Scendi in fretta di qui, perché il tuo popolo, che hai fatto uscire dall'Egitto, si è traviato; presto si sono allontanati dalla via che io avevo loro indicata: si sono fatti un idolo di metallo fuso.13Il Signore mi aggiunse: Io ho visto questo popolo; ecco, è un popolo di dura cervice;14lasciami fare; io li distruggerò e cancellerò il loro nome sotto i cieli e farò di te una nazione più potente e più grande di loro.15Così io mi volsi e scesi dal monte, dal monte tutto in fiamme, tenendo nelle mani le due tavole dell'alleanza.16Guardai ed ecco, avevate peccato contro il Signore vostro Dio; vi eravate fatto un vitello di metallo fuso; avevate ben presto lasciato la via che il Signore vi aveva imposta.17Allora afferrai le due tavole, le gettai con le mie mani e le spezzai sotto i vostri occhi.18Poi mi prostrai davanti al Signore, come avevo fatto la prima volta, per quaranta giorni e per quaranta notti; non mangiai pane né bevvi acqua, a causa del gran peccato che avevate commesso, facendo ciò che è male agli occhi del Signore per provocarlo.19Io avevo paura di fronte all'ira e al furore di cui il Signore era acceso contro di voi, al punto di volervi distruggere. Ma il Signore mi esaudì anche quella volta.20Anche contro Aronne il Signore si era fortemente adirato, al punto di volerlo far perire; io pregai in quell'occasione anche per Aronne.21Poi presi l'oggetto del vostro peccato, il vitello che avevate fatto, lo bruciai nel fuoco, lo feci a pezzi, frantumandolo finché fosse ridotto in polvere, e buttai quella polvere nel torrente che scende dal monte.
22Anche a Tabera, a Massa e a Kibrot-Taava, voi provocaste il Signore.23Quando il Signore volle farvi partire da Kades-Barnea dicendo: Entrate e prendete in possesso il paese che vi dò, voi vi ribellaste all'ordine del Signore vostro Dio, non aveste fede in lui e non obbediste alla sua voce.24Siete stati ribelli al Signore da quando vi ho conosciuto.
25Io stetti prostrato davanti al Signore, quei quaranta giorni e quelle quaranta notti, perché il Signore aveva minacciato di distruggervi.26Pregai il Signore e dissi: Signore Dio, non distruggere il tuo popolo, la tua eredità, che hai riscattato nella tua grandezza, che hai fatto uscire dall'Egitto con mano potente.
27Ricordati dei tuoi servi Abramo, Isacco e Giacobbe; non guardare alla caparbietà di questo popolo e alla sua malvagità e al suo peccato,28perché il paese da dove ci hai fatti uscire non dica: Poiché il Signore non era in grado di introdurli nella terra che aveva loro promessa e poiché li odiava, li ha fatti uscire di qui per farli morire nel deserto.29Al contrario essi sono il tuo popolo, la tua eredità, che tu hai fatto uscire dall'Egitto con grande potenza e con braccio teso.


Giobbe 14

1L'uomo, nato di donna,
breve di giorni e sazio di inquietudine,
2come un fiore spunta e avvizzisce,
fugge come l'ombra e mai si ferma.
3Tu, sopra un tal essere tieni aperti i tuoi occhi
e lo chiami a giudizio presso di te?
4Chi può trarre il puro dall'immondo? Nessuno.
5Se i suoi giorni sono contati,
se il numero dei suoi mesi dipende da te,
se hai fissato un termine che non può oltrepassare,
6distogli lo sguardo da lui e lascialo stare
finché abbia compiuto, come un salariato, la sua
giornata!
7Poiché anche per l'albero c'è speranza:
se viene tagliato, ancora ributta
e i suoi germogli non cessano di crescere;
8se sotto terra invecchia la sua radice
e al suolo muore il suo tronco,
9al sentore dell'acqua rigermoglia
e mette rami come nuova pianta.
10L'uomo invece, se muore, giace inerte,
quando il mortale spira, dov'è?
11Potranno sparire le acque del mare
e i fiumi prosciugarsi e disseccarsi,
12ma l'uomo che giace più non s'alzerà,
finché durano i cieli non si sveglierà,
né più si desterà dal suo sonno.
13Oh, se tu volessi nascondermi nella tomba,
occultarmi, finché sarà passata la tua ira,
fissarmi un termine e poi ricordarti di me!
14Se l'uomo che muore potesse rivivere,
aspetterei tutti i giorni della mia milizia
finché arrivi per me l'ora del cambio!
15Mi chiameresti e io risponderei,
l'opera delle tue mani tu brameresti.
16Mentre ora tu conti i miei passi
non spieresti più il mio peccato:
17in un sacchetto, chiuso, sarebbe il mio misfatto
e tu cancelleresti la mia colpa.
18Ohimè! come un monte finisce in una frana
e come una rupe si stacca dal suo posto,
19e le acque consumano le pietre,
le alluvioni portano via il terreno:
così tu annienti la speranza dell'uomo.
20Tu lo abbatti per sempre ed egli se ne va,
tu sfiguri il suo volto e lo scacci.
21Siano pure onorati i suoi figli, non lo sa;
siano disprezzati, lo ignora!
22Soltanto i suoi dolori egli sente
e piange sopra di sé.


Salmi 103

1'Di Davide.'

Benedici il Signore, anima mia,
quanto è in me benedica il suo santo nome.
2Benedici il Signore, anima mia,
non dimenticare tanti suoi benefici.

3Egli perdona tutte le tue colpe,
guarisce tutte le tue malattie;
4salva dalla fossa la tua vita,
ti corona di grazia e di misericordia;
5egli sazia di beni i tuoi giorni
e tu rinnovi come aquila la tua giovinezza.

6Il Signore agisce con giustizia
e con diritto verso tutti gli oppressi.
7Ha rivelato a Mosè le sue vie,
ai figli d'Israele le sue opere.

8Buono e pietoso è il Signore,
lento all'ira e grande nell'amore.
9Egli non continua a contestare
e non conserva per sempre il suo sdegno.
10Non ci tratta secondo i nostri peccati,
non ci ripaga secondo le nostre colpe.

11Come il cielo è alto sulla terra,
così è grande la sua misericordia su quanti lo temono;
12come dista l'oriente dall'occidente,
così allontana da noi le nostre colpe.
13Come un padre ha pietà dei suoi figli,
così il Signore ha pietà di quanti lo temono.

14Perché egli sa di che siamo plasmati,
ricorda che noi siamo polvere.
15Come l'erba sono i giorni dell'uomo,
come il fiore del campo, così egli fiorisce.
16Lo investe il vento e più non esiste
e il suo posto non lo riconosce.

17Ma la grazia del Signore è da sempre,
dura in eterno per quanti lo temono;
la sua giustizia per i figli dei figli,
18per quanti custodiscono la sua alleanza
e ricordano di osservare i suoi precetti.
19Il Signore ha stabilito nel cielo il suo trono
e il suo regno abbraccia l'universo.

20Benedite il Signore, voi tutti suoi angeli,
potenti esecutori dei suoi comandi,
pronti alla voce della sua parola.
21Benedite il Signore, voi tutte, sue schiere,
suoi ministri, che fate il suo volere.
22Benedite il Signore, voi tutte opere sue,
in ogni luogo del suo dominio.
Benedici il Signore, anima mia.


Geremia 50

1Parola che il Signore pronunziò contro Babilonia, contro il paese dei Caldei, per mezzo del profeta Geremia.

2"Proclamatelo fra i popoli e fatelo sapere,
non nascondetelo, dite:
Babilonia è presa,
Bel è coperto di confusione,
è infranto Marduch;
sono confusi i suoi idoli,
sono sgomenti i suoi feticci.

3Poiché dal settentrione sale contro di essa un popolo che ridurrà la sua terra a un deserto, non vi abiterà più nessuno; uomini e animali fuggono, se ne vanno.4In quei giorni e in quel tempo - dice il Signore - verranno gli Israeliti insieme con i figli di Giuda; cammineranno piangendo e cercheranno il Signore loro Dio.5Domanderanno di Sion, verso cui sono fissi i loro volti: Venite, uniamoci al Signore con un'alleanza eterna, che non sia mai dimenticata.6Gregge di pecore sperdute era il mio popolo, i loro pastori le avevano sviate, le avevano fatte smarrire per i monti; esse andavano di monte in colle, avevano dimenticato il loro ovile.7Quanti le trovavano, le divoravano e i loro nemici dicevano: Non commettiamo nessun delitto, perché essi hanno peccato contro il Signore, pascolo di giustizia e speranza dei loro padri.

8Fuggite da Babilonia,
dalla regione dei Caldei,
uscite e siate come capri
in testa al gregge.
9Poiché, ecco io suscito e mando contro Babilonia
una massa di grandi nazioni
dal paese del settentrione;
queste le si schiereranno contro,
di là essa sarà presa.
Le loro frecce sono come quelle di un abile arciere,
nessuna ritorna a vuoto.
10La Caldea sarà saccheggiata,
tutti i suoi saccheggiatori saranno saziati.
Parola del Signore.
11Gioite pure e tripudiate,
saccheggiatori della mia eredità!
Saltate pure come giovenchi su un prato
e nitrite come destrieri!
12La vostra madre è piena di confusione,
e coperta di vergogna colei che vi ha partorito.
Ecco è l'ultima delle nazioni,
un deserto, un luogo riarso e una steppa.
13A causa dell'ira del Signore non sarà più abitata,
sarà tutta una desolazione.
Chiunque passerà vicino a Babilonia rimarrà stupito
e fischierà davanti a tutte le sue piaghe.
14Disponetevi intorno a Babilonia,
voi tutti che tendete l'arco;
tirate contro di essa, non risparmiate le frecce,
poiché essa ha peccato contro il Signore.
15Alzate il grido di guerra contro di essa, da ogni parte.
Essa tende la mano,
crollano le sue torri,
rovinano le sue mura,
poiché questa è la vendetta del Signore.
Vendicatevi di lei,
trattatela come essa ha trattato gli altri!
16Sterminate in Babilonia chi semina
e chi impugna la falce al momento della messe.
Di fronte alla spada micidiale
ciascuno ritorni al suo popolo
e ciascuno fugga verso il suo paese.
17Una pecora smarrita è Israele,i leoni le hanno dato la caccia;
per primo l'ha divorata il re di Assiria,
poi il re di Babilonia ne ha stritolato le ossa.
18Perciò, dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Ecco, io punirò il re di Babilonia e il suo paese, come già ho punito il re di Assiria,19e ricondurrò Israele nel suo pascolo, pascolerà sul Carmelo e sul Basàn; sulle montagne di Èfraim e di Gàlaad si sazierà.20In quei giorni e in quel tempo - dice il Signore - si cercherà l'iniquità di Israele, ma essa non sarà più, si cercheranno i peccati di Giuda, ma non si troveranno, perché io perdonerò a quanti lascerò superstiti.

21Avanza nella terra di Meratàim,
avanza contro di essa
e contro gli abitanti di Pekòd.
Devasta, annientali - dice il Signore -
eseguisci quanto ti ho comandato!
22Rumore di guerra nella regione,
e grande disastro.
23Perché è stato rotto e fatto in pezzi
il martello di tutta la terra?
Perché è diventata un orrore
Babilonia fra le nazioni?
24Ti ho teso un laccio e ti ci sei impigliata,
Babilonia, senza avvedertene.
Sei stata sorpresa e afferrata,
perché hai fatto guerra al Signore.
25Il Signore ha aperto il suo arsenale
e ne ha tratto le armi del suo sdegno,
perché il Signore Dio degli eserciti
ha un'opera da compiere nel paese dei Caldei.
26Venite ad essa dall'estremo limite,
aprite i suoi granai;
fatene dei mucchi come covoni, sterminatela,
non ne rimanga neppure un resto.
27Uccidete tutti i suoi tori, scendano al macello.
Guai a loro, perché è giunto il loro giorno,
il tempo del loro castigo!
28Voce di profughi e di scampati dal paese di Babilonia
per annunziare in Sion
la vendetta del Signore nostro Dio,
la vendetta per il suo tempio.

29Convocate contro Babilonia gli arcieri,
quanti tendono l'arco.
Accampatevi intorno ad essa
in modo che nessuno scampi.
Ripagatela secondo le sue opere,
fate a lei quanto ha fatto agli altri,
perché è stata arrogante con il Signore,
con il Santo di Israele.
30Perciò cadranno i suoi giovani nelle sue piazze
e tutti i suoi guerrieri periranno in quel giorno".
Parola del Signore.
31"Eccomi a te, o arrogante,
- oracolo del Signore degli eserciti -
poiché è giunto il tuo giorno,
il tempo del tuo castigo.
32Vacillerà l'arrogante e cadrà,
nessuno la rialzerà.
Io darò alle fiamme le sue città,
esse divoreranno tutti i suoi dintorni.

33Dice il Signore degli eserciti: Oppressi sono i figli di Israele e i figli di Giuda tutti insieme; tutti i loro deportatori li trattengono e rifiutano di lasciarli andare.34Ma il loro vendicatore è forte, Signore degli eserciti è il suo nome. Egli sosterrà efficacemente la loro causa, per rendere tranquilla la terra e sconvolgere gli abitanti di Babilonia.

35Spada, sui Caldei
e sugli abitanti di Babilonia,
sui suoi capi
e sui suoi sapienti!
36Spada, sui suoi indovini
ed essi impazziscano!
Spada, sui suoi prodi,
ed essi s'impauriscano!
37Spada, sui suoi cavalli e sui suoi carri,
su tutta la gentaglia che è in essa,
diventino come donne!
Spada, sui suoi tesori
ed essi siano saccheggiati!
38Spada, sulle sue acque
ed esse si prosciughino!
Poiché essa è una terra di idoli;
vanno pazzi per questi spauracchi.

39Perciò l'abiteranno animali del deserto e sciacalli, vi si stabiliranno gli struzzi; non sarà mai più abitata, né popolata di generazione in generazione.40Come quando Dio sconvolse Sòdoma, Gomorra e le città vicine - oracolo del Signore - così non vi abiterà alcuna persona né vi dimorerà essere umano.

41Ecco, un popolo viene dal settentrione, un popolo grande, e molti re sorgono dalle estremità della terra.42Impugnano arco e dardo, sono crudeli, non hanno pietà; il loro tumulto è come il mugghio del mare. Montano cavalli, sono pronti come un sol uomo a combattere contro di te, figlia di Babilonia.43Il re di Babilonia ha sentito parlare di loro e le sue braccia sono senza forza; lo ha colto l'angoscia, un dolore come di donna nel parto.44Ecco, come un leone sale dalla boscaglia del Giordano verso i prati sempre verdi, così in un batter d'occhio io li farò fuggire al di là e vi metterò sopra colui che mi piacerà. Poiché chi è come me? Chi può citarmi in giudizio? Chi è dunque il pastore che può resistere davanti a me?45Per questo ascoltate il progetto che il Signore ha fatto contro Babilonia e le decisioni che ha prese contro il paese dei Caldei. Certo, trascineranno via anche i più piccoli del gregge e per loro sarà desolato il loro prato.46Al fragore della presa di Babilonia trema la terra, ne risuonerà il clamore fra le nazioni".


Apocalisse 1

1Rivelazione di Gesù Cristo che Dio gli diede per render noto ai suoi servi le cose che devono presto accadere, e che egli manifestò inviando il suo angelo al suo servo Giovanni.2Questi attesta la parola di Dio e la testimonianza di Gesù Cristo, riferendo ciò che ha visto.3Beato chi legge e beati coloro che ascoltano le parole di questa profezia e mettono in pratica le cose che vi sono scritte. Perché il tempo è vicino.

4Giovanni alle sette Chiese che sono in Asia: grazia a voi e pace da Colui che è, che era e che viene, dai sette spiriti che stanno davanti al suo trono,5e da Gesù Cristo, il testimone fedele, il primogenito dei morti e il principe dei re della terra.
A Colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue,6che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio e Padre, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen.

7'Ecco, viene sulle nubi' e ognuno 'lo vedrà;'
anche quelli che lo 'trafissero
e tutte le nazioni della terra si batteranno per lui il
petto'.

Sì, Amen!
8Io sono l'Alfa e l'Omega, dice il Signore Dio, Colui che è, che era e che viene, l'Onnipotente!

9Io, Giovanni, vostro fratello e vostro compagno nella tribolazione, nel regno e nella costanza in Gesù, mi trovavo nell'isola chiamata Patmos a causa della parola di Dio e della testimonianza resa a Gesù.10Rapito in estasi, nel giorno del Signore, udii dietro di me una voce potente, come di tromba, che diceva:11Quello che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette Chiese: a Èfeso, a Smirne, a Pèrgamo, a Tiàtira, a Sardi, a Filadèlfia e a Laodicèa.12Ora, come mi voltai per vedere chi fosse colui che mi parlava, vidi sette candelabri d'oro13e in mezzo ai candelabri c'era uno 'simile a figlio di uomo, con un abito lungo fino ai piedi' e 'cinto' al petto con una fascia 'd'oro'.14'I capelli della testa erano candidi, simili a lana' candida, 'come neve. Aveva gli occhi' fiammeggianti come fuoco,15'i piedi avevano l'aspetto del bronzo splendente' purificato nel crogiuolo. 'La voce era simile al fragore di grandi acque'.16Nella destra teneva sette stelle, dalla bocca gli usciva una spada affilata a doppio taglio e il suo volto somigliava al sole quando splende in tutta la sua forza.
17Appena lo vidi, caddi ai suoi piedi come morto. Ma egli, posando su di me la destra, mi disse: Non temere! Io sono il Primo e l'Ultimo18e il Vivente. Io ero morto, ma ora vivo per sempre e ho potere sopra la morte e sopra gli inferi.19Scrivi dunque le cose che hai visto, quelle che sono e quelle che accadranno dopo.20Questo è il senso recondito delle sette stelle che hai visto nella mia destra e dei sette candelabri d'oro, eccolo: le sette stelle sono gli angeli delle sette Chiese e le sette lampade sono le sette Chiese.


Capitolo III: Chi é colui che ama il bene e la pace

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1. Se, in primo luogo, manterrai te stesso nella pace, potrai dare pace agli altri; ché l'uomo di pace è più utile dell'uomo di molta dottrina. Colui che è turbato dalla passione trasforma anche il bene in male, pronto com'è a vedere il male dappertutto; mentre colui che ama il bene e la pace trasforma ogni cosa in bene. Chi è pienamente nella pace non sospetta di alcuno. Invece chi è inquieto e turbato sta sempre in agitazione per vari sospetti. Non è tranquillo lui, né permette agli altri di esserlo; dice sovente cose che non dovrebbe dire e tralascia cose che più gli converrebbe fare; sta attento a ciò che dovrebbero fare gli altri, e trascura ciò a cui sarebbe tenuto lui stesso. Sii dunque zelante, innanzi tutto , con te stesso; solo così potrai essere giustamente zelante con il tuo prossimo. Tu sei molto abile nel trovare giustificazioni per quello che fai e nel farlo apparire sotto una certa luce, mentre rifiuti di accettare le giustificazioni negli altri. Sarebbe invece più giusto che tu accusassi te stesso e scusassi il tuo fratello. Se vuoi essere sopportato, sopporta gli altri anche tu.  

2. Vedi quanto sei ancora lontano dal vero amore e dalla umiltà di chi non sa adirarsi e indignarsi con alcuno, fuor che con se stesso. Non è grande merito stare con persone buone e miti; è cosa, questa, che fa naturalmente piacere a tutti, e nella quale tutti troviamo facile contentezza, giacché amiamo di più quelli che ci danno ragione. E' invece grande virtù, e lodevole comportamento, degno di un uomo, riuscire a vivere in pace con le persone dure e cattive, che si comportano senza correttezza e non hanno condiscendenza verso di noi. Ci sono alcuni che stanno, essi, nella pace e mantengono pace anche con gli altri. Ci sono invece alcuni che non stanno in pace essi, né lasciano pace agli altri: pesanti con il prossimo, e ancor più con se stessi. Ci sono poi alcuni che stanno essi nella pace e si preoccupano di condurre alla pace gli altri. La verità è che la vera pace, in questa nostra misera vita, la dobbiamo far consistere nel saper sopportare con umiltà, piuttosto che nel non avere contrarietà. Colui che saprà meglio sopportare, conseguirà una pace più grande. Vittorioso su se stesso e padrone del mondo, questi è l'amico di Cristo e l'erede del cielo.


LETTERA 155: Agostino risponde a Macedonio e gli dimostra quale debba essere il vero amico.

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta tra il 413 e il 414.

Agostino risponde a Macedonio e gli dimostra quale debba essere il vero amico (n. 1) e come la felicità non si trovi nella sapienza o nella virtù, come vorrebbero gli Stoici (nn. 2-3), ma unicamente in Dio, dal quale viene l'aiuto per superare le sventure terrene (nn. 4-9); si diffonde poi a parlare della vera sapienza e della perfetta virtù (nn. 10-13), dell'amore di Dio e del prossimo (nn. 14-15), della speranza cristiana e della pietà, ossia del vero culto di Dio (nn. 16-17).

AGOSTINO, SERVO DI CRISTO E DELLA SUA CHIESA, SALUTA NEL SIGNORE IL DILETTO FIGLIO MACEDONIO

La vera amicizia.

1. 1. Pur riconoscendo di non possedere la sapienza che mi attribuisci, sento nondimeno il dovere di ringraziarti assai della tua sincera e gran bontà a mio riguardo. Godo inoltre che le fatiche dei miei studi sono piaciute ad un personaggio così qualificato quale sei tu. Ma godo assai di più perché riconosco che il tuo animo, spinto dall'amore dell'eternità e della verità, nonché il sentimento amoroso del tuo cuore aspirano con avidità al possesso della città celeste; godo perché mi accorgo che si avvicinano a questa città e li tengo in gran pregio nel vederli ardere dalla brama di arrivare a possederla. Il re di questa città celeste, l'unica in cui si deve vivere per sempre e nella beatitudine, purché quaggiù si viva nella rettitudine e nella pietà religiosa, è Cristo. Da tali sentimenti ha origine anche la, vera amicizia che non dev'essere misurata sui vantaggi temporali ma deve essere valutata alla stregua d'un amore puro e disinteressato. Nessuno infatti può essere veramente amico dell'uomo se non è innanzi tutto amico della verità: questo amore se non è disinteressato non è assolutamente possibile.

Solo da Dio viene la felicità.

1. 2. Su tale argomento hanno discusso molto anche i filosofi, ma nei loro scritti non si trova alcun cenno del vero sentimento religioso, cioè del genuino culto del vero Dio. La causa di ciò è - a mio parere ? ch'essi hanno voluto fabbricarsi la felicità a modo loro e hanno creduto ch'era necessario procacciarsela da sé stessi anziché impetrarla, mentre Colui che la concede è soltanto Iddio, poiché rende felice l'uomo soltanto Chi l'ha creato. In realtà Chi elargisce ai buoni e ai cattivi si grandi beni della sua creazione vale a dire l'esistenza, la natura umana, la vigoria dei sensi, l'energia fisica, l'abbondanza delle ricchezze, darà sé stesso ai buoni affinché siano felici, poiché anche l'essere buoni è dono di Lui. Al contrario i filosofi i quali in questa vita piena d'affanni, con queste membra destinate alla morte, sotto il peso della carne corruttibile, hanno voluto essere autori e, per così dire, creatori della propria felicità come se potessero raggiungerla e quasi averla in possesso con le proprie virtù, senza chiederla e sperare di attingerla dalla fonte delle virtù, non hanno potuto affatto comprendere che Dio resisteva alla loro superbia. Son caduti perciò in un errore del tutto assurdo: mentre cioè affermano che il sapiente può esser felice perfino entro il toro di Falaride(l), son costretti d'altra parte ad ammettere che talvolta bisogna fuggire questa vita felice. In realtà essi cedono di fronte ai mali fisici divenuti eccessivi, e dichiarano che si deve partire da questa vita quando le molestie son troppo dolorose. Non voglio ora dire quale delitto commetterebbe un innocente col togliersi la vita da se stesso, dal momento che non si deve uccidere assolutamente neppure un delinquente: di quest'argomento ho trattato ampiamente già nel primo dei tre libri che tu hai letti con tanta benevolenza e ossequio 1. Vorrei però che almeno si considerasse e si giudicasse con modestia, senza orgoglio, in qual modo può esser felice la vita che il sapiente non gode mentre la possiede, ma è costretto a strapparsela con le proprie mani!

Il suicidio del sapiente.

1. 3. Nell'ultima parte del quinto libro delle Tusculane di Cicerone 2 - come tu sai - c'è un passo relativo a ciò che io sto dicendo e sul quale richiamo la tua attenzione. Trattando della cecità fisica e affermando che, quantunque cieco, il sapiente può esser felice, ricorda molte cose ascoltando le quali egli potrebbe trar godimento. Allo stesso modo, nel caso che uno fosse sordo, potrebbe trasferire agli occhi le occasioni dei suoi possibili godimenti. Cicerone però non osa esprimere la propria opinione nel caso che il sapiente rimanesse privo della vista e dell'udito e non osa chiamare felice un tal disgraziato; aggiunge invece che, se i più strazianti dolori fisici non togliessero di mezzo il sapiente, costui potrebbe uccidersi da se stesso per liberarsene coraggiosamente e giungere. così al porto dell'insensibilità 3. Il sapiente dunque cede ai più terribili mali e soccombe fino al punto che vien costretto a commettere. il suicidio. Chi mai risparmierebbe uno che non risparmia se stesso per liberarsi da quei mali? si, il, sapiente è sempre felice, si, non può perdere, a causa d'alcuna sventura, la felicità posta in suo potere; ma ecco che soppravvenendo la cecità o la sordità o atrocissimi dolori fisici, il sapiente perde la vita felice oppure, se anche nelle angustie di simili tormenti essa è ancor felice, ecco che per causa delle dissertazioni di siffatte cime di dotti, cotesta vita felice diviene talvolta tale che il sapiente non può sopportarla oppure, cosa ancor più assurda, il sapiente non deve sopportarla, anzi deve fuggirla, spezzarla, gettarla via e sbarazzarsene con la spada, col veleno o andando incontro ad altra morte volontaria al fine di giungere al porto dell'insensibilità e all'annullamento completo, come credettero gli Epicurei e altri filosofi, pazzi come loro, oppure sarebbe felice per essersi sbarazzato della vita felice come da un flagello. Oh! presunzione di spiriti orgogliosi! Se la vita perdura felice tra i dolori fisici, perché il sapiente non rimane in vita per goderla? Se invece è infelice, perché mai - ti domando io - salvo che la superbia glielo impedisca, il sapiente non lo ammette, non prega Dio, non supplica la giustizia e misericordia di Colui, che può allontanare o almeno mitigare i mali di questa vita, di darci forza per sopportarli oppure di liberarcene interamente per concederci, dopo tante sofferenze, la vera vita felice scevra d'ogni male e nella quale non si potrà mai perdere il sommo Bene?

La speranza cristiana sollievo nelle sofferenze.

1. 4. E' questo il premio dei giusti: nella speranza di ottenerlo noi passiamo la vita temporale e mortale più con pazienza che con piacere e ne sopportiamo i mali sorretti dai buoni propositi e dalla grazia di Dio, pieni di gioia per la fedele promessa di Dio e la nostra fiduciosa attesa dei beni eterni. L'apostolo Paolo, esortandoci a questi sentimenti, dice: Siate lieti per la speranza (del premio eterno), pazienti nelle afflizioni 4; dimostra in tal modo che il motivo d'essere pazienti nelle afflizioni sta in ciò che dice prima, d'essere cioè lieti nella speranza. A questa speranza ti esorto nel nome di Gesù Cristo nostro Signore. Questo stesso divino Maestro che teneva la gloria della sua maestà nascosta sotto l'aspetto della debolezza insita nell'umana natura, non solo c'insegnò la stessa cosa con la sua parola divina, ma ce la confermò pure con l'esempio della sua passione e della sua risurrezione. Con l'una c'insegnò che cosa dobbiamo sopportare, con l'altra che cosa dobbiamo sperare. Anche i filosofi potrebbero meritare questa grazia, se tronfi e gonfi d'orgoglio non si sforzassero invano di fabbricarsi da sé stessi la felicità che Dio soltanto ha promesso in modo veridico di concedere dopo questa vita ai suoi adoratori. Più assennata è l'altra massima di Cicerone che dice: Questa vita infatti è davvero una morte, per la quale ben potrei deplorare le miserie, sol che ne avessi voglia 5. Come mai dunque si dimostra che la vita è felice, se giustamente se ne deplorano le miserie? Non è piuttosto vero il contrario, che cioè se giustamente se ne deplorano le miserie si dimostra ch'essa è infelice? Ti scongiuro quindi, mio illustre amico, di abituarti intanto a esser felice nella speranza, per esserlo un giorno anche nella realtà, allorché sarà dato il premio dell'eterna felicità alla ferma tua perseveranza nella pietà.

La vera sapienza: adorare Dio per goderlo in eterno.

2. 5. Se io ti annoio con questa lunga lettera, il guaio l'hai combinato proprio tu 6, poiché mi hai chiamato sapiente. Ecco perché ho osato parlarti di questi argomenti, non per ostentare presso di te la sapienza che io non posseggo, ma per mostrarti quale dev'essere. Essa, nella vita presente, consiste nel vero culto del vero Dio, affinché nella vita futura il godimento di lui sia sicuro e intero: quaggiù la più perseverante pietà, lassù l'eterna felicità. Se possiedo un po' di questa sapienza, ch'è l'unica vera, non ho la presunzione che sia una mia proprietà ma l'ho attinta da Dio e spero che sarà portata a maturazione da Colui dal quale, umilmente si, ma con gioia, riconosco che me n'è stato infuso il germe: non sono poi incredulo riguardo a quanto non m'ha ancora elargito né ingrato per quanto per quanto m'ha già concesso. Se infatti ho qualche dote degna di lode, non lo devo alla mia indole né al mio merito, ma a un dono di Lui. Alcuni ingegni, molto acuti e superiori agli altri, son caduti in errori tanto più gravi con quanto maggior fiducia in sé stessi hanno voluto correre quasi con le proprie forze senza pregare con umiltà e sincerità Iddio di mostrar loro la vera strada! Quali meriti, al contrario, possono avere gli uomini, quali che essi siano, dal momento che Dio, venendo sulla terra non con la ricompensa dovuta ma con la grazia gratuita, li ha trovati tutti peccatori, mentre egli è l'unico ad essere immune da peccati e l'unico salvatore?

Impossibile aver la felicità in noi stessi.

2. 6. Se dunque troviamo la nostra gioia nella vera virtù, rivolgiamoci a Dio con le parole che leggiamo nelle sue Sacre Scritture: Te solo, o Signore, mia forza, io amerò 7: se vogliamo essere veramente felici - né possiamo non volerlo - teniamo bene a mente la massima imparata dalle stesse Sacre Scritture: Beato chi ripone la propria speranza nel Signore e non segue la falsità né le pazzie menzognere 8. Orbene, qual falsità, quale pazzia, qual menzogna non è che l'uomo, soggetto alla morte, che mena una vita piena d'affanni, oppresso da tanti peccati, esposto a tante tentazioni, schiavo di tante passioni e destinato a pene meritate, confidi in se stesso per essere felice, dal momento che non può preservar dall'errore neppure la parte più nobile del proprio essere, cioè la mente e la ragione senza l'aiuto di Dio, luce dell'intelligenza? Rigettiamo quindi, te ne prego, le stolte e pazze menzogne dei falsi filosofi, poiché non avremo la virtù senza l'aiuto di Dio né la felicità senza l'assistenza di Lui stesso, che sarà il nostro godimento, che mediante il dono dell'immortalità e dell'incorruttibilità distruggerà la parte mutevole e corruttibile del nostro essere, che per se stesso è molto debole e, per così dire, una miniera di miserie.

Solo in Dio la felicità degli stati e degl'individui.

2. 7. E poiché io conosco il tuo devoto attaccamento allo Stato, considera come la felicità delle singole persone e dello Stato ha la medesima origine. Infatti il Salmista, ispirato dallo Spirito Santo, prega in questi termini: Liberami dalle mani degli stranieri, la cui lingua pronuncia menzogne, la cui destra è piena d'iniquità. I loro figli sono come virgulti vigorosi nella loro giovinezza. Le loro figlie sono abbigliate e ornate a guisa d'un tempio. Le loro dispense sono piene e traboccano d'ogni bene. Le loro pecore sono feconde e si moltiplicano con i loro parti; le loro vacche sono pingui. Non v'è breccia o apertura nelle toro mura né pianto nelle loro piazze. Felice chiamano il popolo che possiede questi beni; felice invece è il popolo che per suo Dio ha il Signore 9.

La felicità non sta nei beni della terra o dell'animo.

2. 8. Ora tu vedi che un popolo non è proclamato felice per l'accumulazione dei beni terreni se non dagli estranei, cioè da coloro che non appartengono alla rigenerazione, mediante la quale diventiamo figli di Dio. Il Salmista prega d'essere liberato dalle mani di costoro, per non essere attratto nella loro mentalità e nei loro peccati d'empietà. Essi infatti con linguaggio mendace han chiamato felice il popolo, che possiede i beni ricordati del Salmista, beni che costituiscono l'unica felicità di cui vanno in cerca quelli che amano questo mondo. Ecco perché la toro destra è iniqua; perché costoro mettono al primo posto ciò che deve mettersi al secondo, come la destra è preferibile alla sinistra. Se infatti quei beni sono posseduti, non si deve far consistere in essi la felicità; devono servire, non dominare: seguire, non comandare! Il Salmista che pregava così e desiderava d'esser liberato e separato dagli stranieri che hanno chiamato felice il popolo che possiede quei beni, a una domanda che gli si sarebbe potuta rivolgere come questa: " Ma tu come la pensi? Qual popolo chiami felice? ", non risponde " felice è il popolo che ha la propria virtù in sé stesso ". Se avesse risposto in tal modo, avrebbe fatto bensì anche distinzione tra questo popolo e quello che ripone la felicità nella prosperità visibile e materiale, ma non avrebbe ancora oltrepassato tutte le falsità e le pazze menzogne. Maledetto, infatti, chi ripone la sua speranza nell'uomo 10, come insegnano le medesime Sacre Scritture in un altro passo; dunque nessuno deve riporre la speranza neppure in se stesso, poiché anch'egli è un uomo. Per oltrepassare quindi le linee di confine di tutte le falsità e pazzie menzognere e per collocare la felicità in ciò in cui veramente consiste, il Salmista soggiunse: Beato invece è il popolo che ha per suo Dio il Signore.

Pregare Dio per superar le sventure.

3. 9. Tu vedi dunque a Chi bisogna chiedere ciò che desiderano tutti, istruiti e ignoranti, e che molti, per ignoranza o superbia, non sanno a chi si debba chiedere e come si possa ottenere. In un salmo poi sono biasimati tanto coloro che confidano nella propria forza quanto coloro che si vantano dell'abbondanza delle loro ricchezze 11, cioè. non solo i filosofi di questo mondo, ma altresì quanti, pur lontani da tali scuole filosofiche, chiamano felice il popolo che sia ricco di beni terreni. Chiediamo quindi a Dio, nostro Signore, il quale ci ha creati, sia la forza per vincere i mali di questa vita, sia la felicità da godere nella sua eternità dopo la vita presente, affinché, secondo quanto dice l'Apostolo: chi si vuol vantare, si vanti nel Signore 12. Ecco quale dev'essere l'oggetto dei desideri per voi e per lo Stato, di cui siamo cittadini: in effetti una medesima origine ha la felicità dello Stato e quella dell'uomo, poiché uno Stato non è altro che la concorde società degli uomini.

Quando autentiche le virtù cardinali.

3. 10. Di conseguenza, se tutta la tua prudenza con cui ti sforzi di procurare il bene comune nel disbrigo delle faccende umane; se tutta la tua fortezza con cui ti mostri coraggioso nell'affrontare la malvagità degli avversari; se tutta la tua, temperanza con cui sai preservarti dalla corruzione in mezzo al fango dei più depravati costumi umani; se tutta la tua giustizia con cui nel giudicare dai a ciascuno il suo; se - dico - tutte queste virtù hanno di mira e tendono con ogni sforzo a salvaguardare l'incolumità fisica, la tranquillità e la sicurezza dagli attacchi dei malviventi per tutti coloro dei quali desideri il bene; se ti preoccupi solo che abbiano figli simili a virgulti vigorosi e rigogliosi e le figlie adorne come un tempio, le dispense traboccanti d'ogni ben di Dio, le pecore feconde, le vacche pingui, senza brecce nella cinta delle mura che guastino le loro proprietà, e che non risuonino nelle loro piazze le grida dei litiganti, le tue virtù non saranno autentiche, come non sarà autentica neppure la loro felicità. Non deve qui impedirmi di dir la verità la mia rispettosa discrezione, che tu hai elogiata con gentili espressioni nella tua lettera 13. Se la tua amministrazione - ripeto - di qualunque specie essa sia, dotata delle virtù su accennate, ha per unico scopo quello di preservare le persone da qualsiasi ingiustizia e molestia fisica e non reputi tuo dovere di conoscere a quale scopo esse facciano servire la tranquillità che ti sforzi di procurare ad esse, cioè - per parlar senza ambagi - in qual modo adorino il vero Dio nel quale risiede tutto il godimento di ogni vita tranquilla, tutti i tuoi sforzi non ti gioverebbero a nulla per raggiunger la vera felicità.

Più si è leali, più si è amici.

3. 11. Può darsi ch'io dica ciò con troppo poco rispetto e quasi dimentico dell'abitudine che ho nell'intercedere per gli altri. Ma se la riservatezza non è altro che un certo timore di dispiacere, non mi vergogno in questo caso d'aver timore, poiché temo con ragione di dispiacere prima a Dio e poi alla stessa amicizia che ti sei degnato di stringere meco, qualora usassi minor libertà nel darti i consigli che stimo assai utili alla salvezza della tua anima. Dovrò essere, certo, più riservato quando intercederò presso di te per gli altri, ma quando parlo per il bene di te stesso sarò tanto più franco quanto più ti sono amico, poiché ti sarò tanto più amico, quanto più ti sarò leale. Non ti direi d'altronde queste stesse cose, se non agissi con una certa riservatezza. Se è questa - come tu scrivi - " il mezzo più efficace per risolvere le difficoltà tra i galantuomini ", m'aiuti essa a farti del bene affinché io goda di te e con te di Colui che m'ha dato la possibilità d'entrare nella tua fiducia ed amicizia, soprattutto perché penso che i miei suggerimenti siano facili ad essere praticati dal tuo spirito, aiutato e fortificato da tanti favori divini.

Perfetta sapienza e felicità: aderire a Dio.

3. 12. Se infatti, persuaso che hai ricevuto da Dio le virtù che possiedi, te ne mostrerai riconoscente e le userai per servirlo con spirito di religione anche nelle tue alte cariche, incoraggerai e condurrai al suo servizio le persone soggette alla tua giurisdizione con l'esempio della tua vita religiosa e con lo stesso zelo con cui provvedi al loro bene, sia accordando loro dei favori sia incutendo loro il timore; se procurando loro tranquillità in questa vita, non hai altro scopo che quello di renderli degni di possedere Colui presso il quale potranno vivere felici, allora si che le tue virtù saranno autentiche. Non solo; ma col benigno aiuto di Colui, che te le ha largite, cresceranno e si perfezioneranno in modo da condurti sicuramente alla vita veramente felice, la quale non può essere se non eterna. Lassù non ci sarà bisogno della prudenza per distinguere il bene dal male, poiché questo non vi sarà, né della fortezza per sopportare le avversità, poiché vi saranno creature da amarsi, non da sopportarsi; non ci, sarà bisogno della temperanza per frenare le sensualità, poiché non ne sentiremo gli stimoli, né avremo bisogno della giustizia per venire in soccorso degli indigenti, poiché non vi sarà più alcun povero o indigente. Lassù ci sarà una sola virtù, che sarà nello stesso tempo premio della virtù, come s'esprime nelle Sacre Scritture il Salmista, che n'è innamorato: Il mio bene è stare unito a Dio 14. In ciò consisterà la piena ed eterna sapienza del paradiso e nello stesso tempo la genuina felicità, poiché è l'approdo all'eterno e sommo Bene; essere uniti in eterno ad esso è il culmine della nostra felicità. Ciò si. potrebbe chiamare anche prudenza, poiché sarà somma prudenza restare sempre uniti al bene che non si potrà mai perdere; sarà fortezza, poiché sarà un rimanere saldamente uniti al bene, dal quale non potremo essere staccati; sarà temperanza poiché ci uniremo con perfetta castità, al bene che non soffre corruzione; sarà infine giustizia poiché ci uniremo con somma rettitudine al bene al quale con tutta ragione dovremo sottometterci.

Non ama se stesso chi non ama Dio.

4. 13. Con tutto ciò, anche in questa vita la virtù non è altro che amare ciò che si deve amare: sceglierlo è prudenza, non esserne distaccati da nessuna molestia è fortezza, da nessuna lusinga è temperanza, da nessun sentimento di superbia è giustizia. Che cosa poi dovremmo scegliere come l'oggetto più degno del nostro amore, se non quello di cui non si, trova di meglio, cioè Dio? Se anteponiamo o uguagliamo a Lui nell'amore qualche altro oggetto, vuol dire che non sappiamo amare noi stessi. Tanto meglio, sarà per noi, quanto più ci, avvicineremo a Colui, del quale non, v'è nulla di meglio; verso di Lui poi si va non camminando ma amando, ed avremo Dio tanto più vicino al cuore quanto più puro sarà lo stesso amore che ci porta verso di Lui, poiché non si estende o è racchiuso entrò spazi fisici. Non coi piedi dunque, ma coi buoni costumi si può andare verso di Lui, ch'è dovunque presente ed intero ovunque. I nostri costumi inoltre di solito vengon giudicati non in base a ciò che sappiamo, ma a ciò che amiamo, e sono resi' buoni o cattivi dai buoni o cattivi affetti. E' dunque la nostra perversità ad allontanarci da Dio ch'è la rettitudine in persona; noi poi ci correggiamo amando la rettitudine per poter essere rettamente uniti alla rettitudine in persona.

Qual è il prossimo da amare per amare Dio.

4. 14. Adoperiamoci dunque con. tutti i nostri sforzi per far giungere, a Lui anche quelli che amiamo come noi stessi, se sappiamo già amare noi stessi mediante l'amore verso di Lu i. In realtà Cristo, cioè la Verità in persona, afferma che tutta la Legge e i Profeti dipendono da questi due comandamenti: amare cioè Dio con tutto il cuore con tutta l'anima, con tutta l'intelligenza e il prossimo come noi stessi 15. Il " prossimo ", di cui parla questo passo, non dobbiamo prenderlo nel senso di chi ci è congiunto per parentela carnale, ma per la comunanza della ragione che lega tra loro tutti gli uomini in un'unica società. Se infatti ci associa il rapporto del danaro, quanto più ci deve legare il rapporto della natura per la legge non d'un comune commercio, ma della comune provenienza. Ecco perché anche il famoso comico - giacché lo splendore della verità non difetta agli ingegni brillanti - in un dialogo, che immagina si svolga tra due vecchi, fa dire ad uno d'essi: I tuoi affari ti lasciano forse tanto tempo libero, da occuparti anche di quelli degli altri, che non ti riguardano affatto? Al che l'altro risponde: Sono uomo e penso che nessun fatto umano debba essermi indifferente! 16. Si narra altresì che l'intero teatro, pieno di gente stolta e ignorante, applaudì la suddetta battuta, tanto la comunanza delle anime umane aveva commosso il sentimento comune di tutti, che ciascuno dei presenti si sentì " prossimo " di qualunque altro uomo.

Solo amando Dio amiamo noi stessi.

4. 15. Sebbene dunque si debba amare Dio, sé stessi e il prossimo con l'amore ch'esige la legge divina, non per questo furono dati tre precetti e non fu detto: " Da questi tre precetti ", ma Da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti, ossia dall'amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta l'intelligenza e il prossimo come se stessi. Con ciò Dio volle farci capire, naturalmente, che non esiste altro vero amore, con cui si ama se stessi, tranne quello di Dio. Deve infatti dirsi che amarsi in modo diverso è odiarsi. Poiché in tal modo l'uomo diventa malvagio e si priva della luce della giustizia per il fatto d'allontanarsi dal bene migliore e superiore e rivolgersi ai beni più meschini e inferiori, anche se si volge solo verso se stesso. Allora, a proposito di lui, s'avvera quanto sta scritto con verità: Chi ama la malvagità, odia se stesso 17. Poiché quindi nessuno ama se stesso se non amando Iddio, non era necessario che, oltre al precetto d'amare Dio, fosse dato anche quello d'amare se stessi, poiché chi ama Dio, ama anche se stesso. Dobbiamo dunque amare anche il prossimo come noi stessi in modo da condurre ad adorare Iddio chiunque ci sarà possibile consolare con la beneficienza, ammaestrare con la scienza, frenare col castigo, sapendo che da questi due precetti dipende tutta la Legge e i Profeti.

Come sopportano le sventure i santi.

4. 16. Con tali virtù largite da Dio mediante la grazia di Gesù Cristo Mediatore (fra Dio e gli uomini), Dio come il Padre e uomo come noi 18, per grazia del quale dopo l'inimicizia contratta col peccato veniamo riconciliati con Dio nello Spirito dell'amore, con tali virtù - dico - non solo ci è concesso di trascorrere una buona vita, ma ci viene poi anche data in premio la vita beata che non può essere se non eterna. Le medesime virtù, che quaggiù ispirano l'azione, lassù avranno il loro effetto; qui sono il movente delle opere, lassù ne saranno il premio; qui compiono il loro ufficio, lassù avranno il coronamento. Perciò tutti i buoni e i santi, anche in mezzo ai tormenti d'ogni specie, sorretti dall'aiuto divino, sono chiamati beati per la speranza di quel coronamento. Se infatti restassero sempre negli stessi, tormenti e dolori, atrocissimi, nessuno con la testa a posto esiterebbe a considerarli infelici pur con tutte le virtù possibili e immaginabili.

La salvezza nella pietà o vero culto di Dio.

4. 17. In conclusione la pietà, cioè il vero culto del vero Dio, è utile a tutto 19. Essa infatti ci aiuta ad allontanare o ad alleviare le molestie di questa vita e ci conduce alla vita e alla salvezza in cui non dovremo soffrire più alcun male, ma solo godere il sommo eterno Bene. Come esorto me stesso, così esorto anche te a conseguire più perfettamente e a conservare con fedele perseveranza questa pietà. Se tu non la possedessi e non credessi tuo dovere mettere al servizio di essa i tuoi onori e cariche temporali, non avresti detto nella tua ordinanza agli eretici Donatisti per farli tornare all'unità e alla pace di Cristo: " E' per il vostro bene che, si agisce così; è del vostro bene che si preoccupano i sacerdoti di fede incorrotta, del vostro bene si preoccupa l'Augusto imperatore, per voi ci diamo da fare anche noi, esecutori della sua giustizia "; così molte altre norme contenute nella medesima ordinanza mostrano che, indossando la fascia di giudice, tu pensi non poco alla patria celeste. Se quindi ho voluto intrattenermi con te un po' a lungo a parlare delle vere virtù e della vita veramente beata, non mi reputare molesto alle tue occupazioni - te ne prego -; anzi non credo d'esserlo neppure io, dal momento che tu hai un animo si grande e così degno da non trascurare le cure del governo e occuparti più volentieri e più abitualmente di quelle religiose.

 

 

1 - AUG., De civ. Dei, 1, 17 ss.

2 - CICER., Tuscul. disput. 38ss.

3 - CICER., Tuscul. disput. 40, 117: Portus enim praesto est aeternum nihil sentiendi receptaculum.

4 - Rm 12, 12.

5 - CICER., Tuscul. disput. 1, 31, 75.

6 - TERENT., Phorm. 318.

7 - Sal 17, 2.

8 - Sal 39, 5.

9 - Sal 143, 11-15.

10 - Ger 17, 5.

11 - Sal 48, 7.

12 - 2 Cor 10, 17.

13 - Ep. 154, 10.

14 - Sal 72, 28.

15 - Mt 22, 37 ss.

16 - TERENT., Heautontim. 1, 1, 75-77.

17 - Sal 10, 6.

18 - 1 Tm 2, 5.

19 - 1 Tm 4, 8.


Assiste a un conciliabolo di demòni

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

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Nella notte del 1° dicembre del 1884 il chierico Viglietti, che faceva da segretario a Don Bosco, fu svegliato di soprassalto da grida strazianti che venivano dalla camera del Santo. Balzò subito da letto e stette ad ascoltare. Don Bosco, con voce soffocata dal singhiozzo, gridava:
— Ohimè, ohimè, aiuto, aiuto!
Viglietti entrò e disse:
— Oh, Don Bosco, si sente male?
— Oh, Viglietti — rispose svegliandosi —; no, non sto male, ma non potevo più respirare. Ma basta: ritorna tranquillo a letto e dormi.
Al mattino, dopo la Messa,
— Oh, Viglietti, non ne posso proprio più, ho lo stomaco rotto dalle grida di questa notte. Sono quattro notti consecutive che faccio sogni che mi costringono a gridare e mi stancano all’eccesso.
E narrò che, tra l’altro, aveva sognato la morte di Salesiani a lui carissimi. Ma il sogno che l’aveva maggiormente impressionato era stato il seguente.
Gli era parso di essere in una grande sala dove diavoli in gran numero tenevano congresso e trattavano del modo di sterminare la Congregazione Salesiana. La loro figura era indeterminata e si avvicinava piuttosto alla figura umana. Parevano ombre che ora si abbassavano e ora si alzavano, si accorciavano, si stendevano, come farebbero molti corpi che dietro avessero un lume trasportato or da una parte or dall’altra, ora abbassato al suolo e ora sollevato. Ma quella fantasmagoria metteva spavento.
Ora ecco uno dei demòni avanzarsi e aprire la seduta. Per distruggere la Congregazione Salesiana propose un mezzo: la gola. Fece vedere le conseguenze di questo vizio: inerzia per il bene, corruzione dei costumi, scandalo, nessuno spirito di sacrificio, nessuna cura dei giovani. Ma un altro diavolo gli obiettò:
— Il tuo mezzo non è efficace perché la mensa dei religiosi sarà sempre parca e il vino misurato. La Regola fissa il loro vitto ordinario. I superiori invigilano per impedire che succedano disordini. No, non è questa l’arma per combattere i Salesiani. Procurerò io un altro mezzo che ci faccia ottenere meglio il nostro intento:
l’amore alle ricchezze. In una Congregazione religiosa quando entra l’amore alle ricchezze, entra insieme l’amore alle comodità, si cerca ogni via per avere un peculio, si rompe il vincolo della carità perché ognuno pensa a se stesso, si trascurano i poveri per occuparsi solo di quelli che hanno fortuna, si ruba alla Congregazione.
Costui voleva continuare, ma sorse un terzo demonio:
— Ma che gola! — esclamò —. Ma che ricchezze! Tra i Salesiani l’amore alle ricchezze può vincere pochi. Sono tutti poveri i Salesiani. In generale poi sono così immensi i loro bisogni per i tanti giovani e per le tante case, che qualsiasi somma, anche grossa, verrebbe consumata. Non è possibile che tesoreggino. Ma ho io un mezzo infallibile per rovinare la Società Salesiana e questo è la libertà. Indurre quindi i Salesiani a sprezzare le Regole, a rifiutare certi uffici pesanti e poco onorifici, spingerli a fare scismi dai loro superiori con opinioni diverse, ad andare a casa col pretesto d’inviti e simili.
Mentre i demòni parlamentavano, Don Bosco pensava: «Io sto ben attento, sapete, a quanto andate dicendo. Parlate, parlate pure, che così potrò sventare le vostre trame».
Intanto saltò su un quarto demonio:
— Ma che! — gridò —. Armi spezzate le vostre. I superiori sapranno frenare questa libertà, scacceranno via dalle case chi osasse dimostrarsi ribelle alle Regole. Qualcuno forse sarà trascinato dall’amore alla libertà, ma la gran maggioranza si manterrà fedele. Io ho un mezzo adatto per guastare tutto fin dalle fondamenta; un mezzo tale che a stento i Salesiani se ne potranno guardare:
sarà proprio un guasto in radice. Ascoltatemi con attenzione: persuaderli che l’essere dotti è quello che deve formare la loro gloria principale. Quindi indurli a studiare molto per sé, per acquistare fama, e non per praticare quello che imparano, non per usufruire della scienza a vantaggio del prossimo. Perciò boria nelle maniere verso gli ignoranti e i poveri, poltroneria nel sacro ministero. Non più oratori festivi, non più catechismi ai fanciulli, non più scuolette basse per istruire i poveri ragazzi abbandonati, non più lunghe ore di confessionale. Terranno solo la predicazione, ma rara e misurata, e questa sterile perché fatta a sfogo di superbia, col fine di ottenere le lodi degli uomini e non di salvare anime.
La proposta di costui fu accolta da applausi generali. Allora Don Bosco intravide il giorno in cui i Salesiani avrebbero potuto illudersi che il bene della Congregazione dovesse consistere unicamente nel sapere, e temette che non solo così praticassero, ma anche predicassero doversi così praticare.
Anche questa volta Don Bosco se ne stava in un angolo della sala ad ascoltare e a vedere tutto, quando uno dei demòni lo scoperse e gridando lo indicò agli altri. A quel grido tutti si avventarono contro di lui urlando:
— La faremo finita!
Era una ridda infernale di spettri, che lo urtavano, lo afferra- vano per le braccia e per la persona, ed egli a gridare:
— Lasciatemi! Aiuto!
Finalmente si svegliò con lo stomaco tutto sconquassato dal molto gridare .

Don Bosco raccontando il sogno piangeva. Il chierico Viglietti gli prese la mano e stringendosela al cuore, gli disse: — Ah, Don Bosco, noi con l’aiuto di Dio le saremo sempre fedeli e buoni figliuoli!
— Caro Viglietti — rispose Don Bosco —‘ sta’ buono e preparati a vedere gli avvenimenti... Vi saranno di quelli che vorranno soprattutto la scienza che gonfia, che procaccia loro le lodi degli uomini e che li rende sprezzanti di chi essi vedono da meno di loro per sapere .


12-80 Gennaio 29, 1919 Dio compirà la terza rinnovazione della umanità, col manifestare ciò che faceva la sua Divinità nella sua Umanità.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Stavo facendo l’adorazione alle piaghe di Gesù benedetto, ed infine ho recitato il credo intendendo di entrare nell’immensità del Voler Divino, dove stanno tutti gli atti delle creature passate, presenti e future, e quegli stessi che la creatura dovrebbe fare e che per trascuratezza e malvagità non ha fatto, ed io dicevo: “Mio Gesù, amor mio, entro nel tuo Volere ed intendo con questo credo rifare, riparare tutti gli atti di fede che non hanno fatto le creature, tutte le miscredenze, l’adorazione dovuta a Dio come Creatore”. Mentre queste ed altre cose dicevo, mi sentivo sperdere la mia intelligenza nel Voler Divino, ed una luce che investiva il mio intelletto, in cui scorgevo dentro il mio dolce Gesù, e questa luce che diceva e diceva, ma chi può dire tutto? Dirò in confuso, e poi sento tale ripugnanza, che se l’ubbidienza non fosse così severa, ma più indulgente, non mi obbligherebbe a certi sacrifici, ma Tu, vita mia, dammi la forza e non lasciare a sé stessa la povera ignorantella. Ora pareva che mi diceva:

(2) “Figlia diletta mia, voglio farti sapere l’ordine della mia provvidenza, ogni corso di duemila anni ho rinnovato il mondo, nei primi lo rinnovai col diluvio; nei secondi duemila lo rinnovai con la mia venuta sulla terra, in cui manifestai la mia Umanità, cui come da tante fessure, traluceva la mia Divinità, ed i buoni e gli stessi santi dei secondi duemila anni son vissuti dei frutti della mia Umanità, ed a lambicco hanno goduto della mia Divinità. Ora siamo in circa del terzo duemila anni, e ci sarà una terza rinnovazione, ecco perciò lo scompiglio generale, non è altro che il preparativo alla terza rinnovazione, e se nella seconda rinnovazione manifestai ciò che faceva e soffriva la mia Umanità e pochissimo ciò che operava la Divinità, ora in questa terza rinnovazione, dopo che la terra sarà purgata ed in gran parte distrutta la generazione presente, sarò ancora più largo con le creature, e compirò la rinnovazione col manifestare ciò che faceva la mia Divinità nella mia Umanità, come agiva il mio Voler Divino col mio voler umano, come tutto restava concatenato in Me, come tutto facevo e rifacevo, ed anche un pensiero di ciascuna creatura era rifatto da Me e suggellato col mio Voler Divino. Il mio amore vuole sfogo, e vuol far conoscere gli eccessi che operava la mia Divinità nella mia Umanità a pro delle creature, che superano di gran lungo gli eccessi che operava esternamente la mia Umanità. Ecco pure perché ti parlo spesso del vivere nel mio Volere, cui finora non ho manifesto a nessuno, al più hanno conosciuto l’ombra della mia Volontà, la grazia, la dolcezza che il farla Essa contiene, ma penetrarvi dentro, abbracciare l’immensità, moltiplicarsi con Me e penetrare ovunque, anche stando in terra, e in Cielo e nei cuori, deporre i modi umani ed agire coi modi divini, questo non è conosciuto ancora, tanto che a non pochi comparirà strano, e chi non tiene aperta la mente alla luce della verità non ne comprenderà un’acca, ma Io a poco a poco mi farò strada manifestando ora una verità, ora un’altra di questo vivere nel mio Volere, che finiranno col comprenderlo. Ora, il primo anello che congiunse il vero vivere nel mio Volere fu la mia Umanità, la mia Umanità immedesimata con la mia Divinità nuotava nel Voler Eterno, ed andava rintracciando tutti gli atti delle creature per farli suoi, e dare al Padre da parte delle creature una gloria divina, e portare a tutti gli atti delle creature il valore, l’amore, il bacio del Voler Eterno. In questo ambiente del Voler Eterno Io vedevo tutti gli atti delle creature possibili a farsi e non fatti, gli stessi atti buoni malamente fatti, ed Io facevo i non fatti e rifacevo i malamente fatti. Ora, questi atti non fatti e fatti solo da Me, stanno tutti sospesi nel mio Volere, ed aspetto le creature che vengano a vivere nel mio Volere e che ripetano nella mia Volontà ciò che feci Io. Perciò ho scelto te come secondo anello di congiunzione con la mia Umanità, facendosi uno solo col mio, vivendo nel mio Volere, ripetendo i miei stessi atti, altrimenti da questo lato il mio amore rimarrebbe senza sfogo, senza gloria da parte delle creature di ciò che operava la mia Divinità nella mia Umanità, e senza il perfetto scopo della Creazione, cui deve racchiudersi e perfezionarsi nel mio Volere. Sarebbe come se avessi sparso tutto il mio sangue, sofferto tanto, e nessuno lo avrebbe saputo; chi mi avrebbe amato? Che cuore ne resterebbe scosso? Nessuno, e quindi in nessuno avrei avuto i miei frutti, la gloria della Redenzione”.

(3) Ed io interrompendo il dire di Gesù, ho detto: “Amor mio, se tanto bene c’è di questo vivere nel Voler Divino, perché non lo avete manifestato prima?”

(4) E Lui: “Figlia mia, dovevo prima far conoscere ciò che fece e soffrì la mia Umanità al di fuori, per poter disporre le anime a conoscere ciò che fece la mia Divinità al di dentro; la creatura è incapace di comprendere tutto insieme il mio operato, perciò vado a poco a poco manifestandomi. Poi dal tuo anello di congiunzione con Me saranno congiunti gli altri anelli delle creature, e avrò stuole di anime, che vivendo nel mio Volere rifaranno tutti gli atti delle creature, ed avrò la gloria di tanti atti sospesi fatti solo da Me, anche dalle creature, e queste di tutte le classi: Vergini, sacerdoti, secolari, a seconda del loro ufficio non più umanamente opereranno, ma penetrando nel mio Volere, i loro atti si moltiplicheranno per tutti in modo tutto divino, ed avrò la gloria divina da parte delle creature di tanti sacramenti ricevuti ed amministrati in modo umano, altri profanati, altri infangati dall’interesse, di tante opere buone in cui resto più disonorato che onorato. Lo sospiro tanto questo tempo, e tu prega e sospiralo insieme con Me, e non spostare il tuo anello di congiunzione col mio, incominciando tu per la prima”.