Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Non affannatevi per i cattivi pensieri. Altro è sentire altro è acconsentire. (San Francesco di Sales)

Liturgia delle Ore - Letture

Sabato della 16° settimana del tempo ordinario (SS. Gioacchino e Anna)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 8

1In seguito egli se ne andava per le città e i villaggi, predicando e annunziando la buona novella del regno di Dio.2C'erano con lui i Dodici e alcune donne che erano state guarite da spiriti cattivi e da infermità: Maria di Màgdala, dalla quale erano usciti sette demòni,3Giovanna, moglie di Cusa, amministratore di Erode, Susanna e molte altre, che li assistevano con i loro beni.

4Poiché una gran folla si radunava e accorreva a lui gente da ogni città, disse con una parabola:5"Il seminatore uscì a seminare la sua semente. Mentre seminava, parte cadde lungo la strada e fu calpestata, e gli uccelli del cielo la divorarono.6Un'altra parte cadde sulla pietra e appena germogliata inaridì per mancanza di umidità.7Un'altra cadde in mezzo alle spine e le spine, cresciute insieme con essa, la soffocarono.8Un'altra cadde sulla terra buona, germogliò e fruttò cento volte tanto". Detto questo, esclamò: "Chi ha orecchi per intendere, intenda!".

9I suoi discepoli lo interrogarono sul significato della parabola.10Ed egli disse: "A voi è dato conoscere i misteri del regno di Dio, ma agli altri solo in parabole, perché

'vedendo non vedano
e udendo non intendano'.

11Il significato della parabola è questo: Il seme è la parola di Dio.12I semi caduti lungo la strada sono coloro che l'hanno ascoltata, ma poi viene il diavolo e porta via la parola dai loro cuori, perché non credano e così siano salvati.13Quelli sulla pietra sono coloro che, quando ascoltano, accolgono con gioia la parola, ma non hanno radice; credono per un certo tempo, ma nell'ora della tentazione vengono meno.14Il seme caduto in mezzo alle spine sono coloro che, dopo aver ascoltato, strada facendo si lasciano sopraffare dalle preoccupazioni, dalla ricchezza e dai piaceri della vita e non giungono a maturazione.15Il seme caduto sulla terra buona sono coloro che, dopo aver ascoltato la parola con cuore buono e perfetto, la custodiscono e producono frutto con la loro perseveranza.

16Nessuno accende una lampada e la copre con un vaso o la pone sotto un letto; la pone invece su un lampadario, perché chi entra veda la luce.17Non c'è nulla di nascosto che non debba essere manifestato, nulla di segreto che non debba essere conosciuto e venire in piena luce.18Fate attenzione dunque a come ascoltate; perché a chi ha sarà dato, ma a chi non ha sarà tolto anche ciò che crede di avere".

19Un giorno andarono a trovarlo la madre e i fratelli, ma non potevano avvicinarlo a causa della folla.20Gli fu annunziato: "Tua madre e i tuoi fratelli sono qui fuori e desiderano vederti".21Ma egli rispose: "Mia madre e miei fratelli sono coloro che ascoltano la parola di Dio e la mettono in pratica".

22Un giorno salì su una barca con i suoi discepoli e disse: "Passiamo all'altra riva del lago". Presero il largo.23Ora, mentre navigavano, egli si addormentò. Un turbine di vento si abbatté sul lago, imbarcavano acqua ed erano in pericolo.24Accostatisi a lui, lo svegliarono dicendo: "Maestro, maestro, siamo perduti!". E lui, destatosi, sgridò il vento e i flutti minacciosi; essi cessarono e si fece bonaccia.25Allora disse loro: "Dov'è la vostra fede?". Essi intimoriti e meravigliati si dicevano l'un l'altro: "Chi è dunque costui che da' ordini ai venti e all'acqua e gli obbediscono?".

26Approdarono nella regione dei Gerasèni, che sta di fronte alla Galilea.27Era appena sceso a terra, quando gli venne incontro un uomo della città posseduto dai demòni. Da molto tempo non portava vestiti, né abitava in casa, ma nei sepolcri.28Alla vista di Gesù gli si gettò ai piedi urlando e disse a gran voce: "Che vuoi da me, Gesù, Figlio del Dio Altissimo? Ti prego, non tormentarmi!".29Gesù infatti stava ordinando allo spirito immondo di uscire da quell'uomo. Molte volte infatti s'era impossessato di lui; allora lo legavano con catene e lo custodivano in ceppi, ma egli spezzava i legami e veniva spinto dal demonio in luoghi deserti.30Gesù gli domandò: "Qual è il tuo nome?". Rispose: "Legione", perché molti demòni erano entrati in lui.31E lo supplicavano che non ordinasse loro di andarsene nell'abisso.
32Vi era là un numeroso branco di porci che pascolavano sul monte. Lo pregarono che concedesse loro di entrare nei porci; ed egli lo permise.33I demòni uscirono dall'uomo ed entrarono nei porci e quel branco corse a gettarsi a precipizio dalla rupe nel lago e annegò.34Quando videro ciò che era accaduto, i mandriani fuggirono e portarono la notizia nella città e nei villaggi.35La gente uscì per vedere l'accaduto, arrivarono da Gesù e trovarono l'uomo dal quale erano usciti i demòni vestito e sano di mente, che sedeva ai piedi di Gesù; e furono presi da spavento.36Quelli che erano stati spettatori riferirono come l'indemoniato era stato guarito.37Allora tutta la popolazione del territorio dei Gerasèni gli chiese che si allontanasse da loro, perché avevano molta paura. Gesù, salito su una barca, tornò indietro.38L'uomo dal quale erano usciti i demòni gli chiese di restare con lui, ma egli lo congedò dicendo:39"Torna a casa tua e racconta quello che Dio ti ha fatto". L'uomo se ne andò, proclamando per tutta la città quello che Gesù gli aveva fatto.

40Al suo ritorno, Gesù fu accolto dalla folla, poiché tutti erano in attesa di lui.41Ed ecco venne un uomo di nome Giàiro, che era capo della sinagoga: gettatosi ai piedi di Gesù, lo pregava di recarsi a casa sua,42perché aveva un'unica figlia, di circa dodici anni, che stava per morire. Durante il cammino, le folle gli si accalcavano attorno.43Una donna che soffriva di emorragia da dodici anni, e che nessuno era riuscito a guarire,44gli si avvicinò alle spalle e gli toccò il lembo del mantello e subito il flusso di sangue si arrestò.45Gesù disse: "Chi mi ha toccato?". Mentre tutti negavano, Pietro disse: "Maestro, la folla ti stringe da ogni parte e ti schiaccia".46Ma Gesù disse: "Qualcuno mi ha toccato. Ho sentito che una forza è uscita da me".47Allora la donna, vedendo che non poteva rimanere nascosta, si fece avanti tremando e, gettatasi ai suoi piedi, dichiarò davanti a tutto il popolo il motivo per cui l'aveva toccato, e come era stata subito guarita.48Egli le disse: "Figlia, la tua fede ti ha salvata, va' in pace!".
49Stava ancora parlando quando venne uno della casa del capo della sinagoga a dirgli: "Tua figlia è morta, non disturbare più il maestro".50Ma Gesù che aveva udito rispose: "Non temere, soltanto abbi fede e sarà salvata".51Giunto alla casa, non lasciò entrare nessuno con sé, all'infuori di Pietro, Giovanni e Giacomo e il padre e la madre della fanciulla.52Tutti piangevano e facevano il lamento su di lei. Gesù disse: "Non piangete, perché non è morta, ma dorme".53Essi lo deridevano, sapendo che era morta,54ma egli, prendendole la mano, disse ad alta voce: "Fanciulla, alzati!".55Il suo spirito ritornò in lei ed ella si alzò all'istante. Egli ordinò di darle da mangiare.56I genitori ne furono sbalorditi, ma egli raccomandò loro di non raccontare a nessuno ciò che era accaduto.


Numeri 23

1Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami qui sette giovenchi e sette arieti".2Balak fece come Balaam aveva detto; Balak e Balaam offrirono un giovenco e un ariete su ciascun altare.3Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò; forse il Signore mi verrà incontro; quel che mi mostrerà io te lo riferirò". Andò su di una altura brulla.
4Dio andò incontro a Balaam e Balaam gli disse: "Ho preparato i sette altari e ho offerto un giovenco e un ariete su ciascun altare".5Allora il Signore mise le parole in bocca a Balaam e gli disse: "Torna da Balak e parla così".6Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto: egli e tutti i capi di Moab.7Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Dall'Aram mi ha fatto venire Balak,
il re di Moab dalle montagne di oriente:
Vieni, maledici per me Giacobbe;
vieni, inveisci contro Israele!
8Come imprecherò, se Dio non impreca?
Come inveirò, se il Signore non inveisce?
9Anzi, dalla cima delle rupi io lo vedo
e dalle alture lo contemplo:
ecco un popolo che dimora solo
e tra le nazioni non si annovera.
10Chi può contare la polvere di Giacobbe?
Chi può numerare l'accampamento d'Israele?
Possa io morire della morte dei giusti
e sia la mia fine come la loro".

11Allora Balak disse a Balaam: "Che mi hai fatto? Io t'ho fatto venire per maledire i miei nemici e tu invece li hai benedetti".12Rispose: "Non devo forse aver cura di dire solo quello che il Signore mi mette sulla bocca?".
13Balak gli disse: "Vieni con me in altro luogo da dove tu possa vederlo: qui ne vedi solo un'estremità, non lo vedi tutto intero; di là me lo devi maledire".14Lo condusse al campo di Zofim, sulla cima del Pisga; costruì sette altari e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.15Allora Balaam disse a Balak: "Fermati presso il tuo olocausto e io andrò incontro al Signore".16Il Signore andò incontro a Balaam, gli mise le parole sulla bocca e gli disse: "Torna da Balak e parla così".17Balaam tornò da Balak che stava presso il suo olocausto insieme con i capi di Moab. Balak gli disse: "Che cosa ha detto il Signore?".18Allora Balaam pronunziò il suo poema e disse:

"Sorgi, Balak, e ascolta;
porgimi orecchio, figlio di Zippor!
19Dio non è un uomo da potersi smentire,
non è un figlio dell'uomo da potersi pentire.
Forse Egli dice e poi non fa?
Promette una cosa che poi non adempie?
20Ecco, di benedire ho ricevuto il comando
e la benedizione io non potrò revocare.
21Non si scorge iniquità in Giacobbe,
non si vede affanno in Israele.
Il Signore suo Dio è con lui
e in lui risuona l'acclamazione per il re.
22Dio, che lo ha fatto uscire dall'Egitto,
è per lui come le corna del bufalo.
23Perché non vi è sortilegio contro Giacobbe
e non vi è magìa contro Israele:
a suo tempo vien detto a Giacobbe
e a Israele che cosa opera Dio.
24Ecco un popolo che si leva come leonessa
e si erge come un leone;
non si accovaccia, finché non abbia divorato la preda
e bevuto il sangue degli uccisi".

25Allora Balak disse a Balaam: "Se proprio non lo maledici, almeno non benedirlo!".26Rispose Balaam e disse a Balak: "Non ti ho già detto, che quanto il Signore dirà io dovrò eseguirlo?".
27Balak disse a Balaam: "Vieni, ti condurrò in altro luogo: forse piacerà a Dio che tu me li maledica di là".28Così Balak condusse Balaam in cima al Peor, che è di fronte al deserto.29Balaam disse a Balak: "Costruiscimi qui sette altari e preparami sette giovenchi e sette arieti".30Balak fece come Balaam aveva detto e offrì un giovenco e un ariete su ogni altare.


Salmi 93

1Il Signore regna, si ammanta di splendore;
il Signore si riveste, si cinge di forza;
rende saldo il mondo, non sarà mai scosso.
2Saldo è il tuo trono fin dal principio,
da sempre tu sei.

3Alzano i fiumi, Signore,
alzano i fiumi la loro voce,
alzano i fiumi il loro fragore.
4Ma più potente delle voci di grandi acque,
più potente dei flutti del mare,
potente nell'alto è il Signore.
5Degni di fede sono i tuoi insegnamenti,
la santità si addice alla tua casa
per la durata dei giorni, Signore.


Salmi 105

1Alleluia.

Lodate il Signore e invocate il suo nome,
proclamate tra i popoli le sue opere.
2Cantate a lui canti di gioia,
meditate tutti i suoi prodigi.
3Gloriatevi del suo santo nome:
gioisca il cuore di chi cerca il Signore.

4Cercate il Signore e la sua potenza,
cercate sempre il suo volto.
5Ricordate le meraviglie che ha compiute,
i suoi prodigi e i giudizi della sua bocca:
6voi stirpe di Abramo, suo servo,
figli di Giacobbe, suo eletto.

7È lui il Signore, nostro Dio,
su tutta la terra i suoi giudizi.
8Ricorda sempre la sua alleanza:
parola data per mille generazioni,
9l'alleanza stretta con Abramo
e il suo giuramento ad Isacco.

10La stabilì per Giacobbe come legge,
come alleanza eterna per Israele:
11"Ti darò il paese di Cànaan
come eredità a voi toccata in sorte".
12Quando erano in piccolo numero,
pochi e forestieri in quella terra,
13e passavano di paese in paese,
da un regno ad un altro popolo,
14non permise che alcuno li opprimesse
e castigò i re per causa loro:
15"Non toccate i miei consacrati,
non fate alcun male ai miei profeti".

16Chiamò la fame sopra quella terra
e distrusse ogni riserva di pane.
17Davanti a loro mandò un uomo,
Giuseppe, venduto come schiavo.
18Gli strinsero i piedi con ceppi,
il ferro gli serrò la gola,
19finché si avverò la sua predizione
e la parola del Signore gli rese giustizia.

20Il re mandò a scioglierlo,
il capo dei popoli lo fece liberare;
21lo pose signore della sua casa,
capo di tutti i suoi averi,
22per istruire i capi secondo il suo giudizio
e insegnare la saggezza agli anziani.

23E Israele venne in Egitto,
Giacobbe visse nel paese di Cam come straniero.
24Ma Dio rese assai fecondo il suo popolo,
lo rese più forte dei suoi nemici.
25Mutò il loro cuore
e odiarono il suo popolo,
contro i suoi servi agirono con inganno
26Mandò Mosè suo servo
e Aronne che si era scelto.
27Compì per mezzo loro i segni promessi
e nel paese di Cam i suoi prodigi.

28Mandò le tenebre e si fece buio,
ma resistettero alle sue parole.
29Cambiò le loro acque in sangue
e fece morire i pesci.
30Il loro paese brulicò di rane
fino alle stanze dei loro sovrani.
31Diede un ordine e le mosche vennero a sciami
e le zanzare in tutto il loro paese.
32Invece delle piogge mandò loro la grandine,
vampe di fuoco sul loro paese.
33Colpì le loro vigne e i loro fichi,
schiantò gli alberi della loro terra.

34Diede un ordine e vennero le locuste
e bruchi senza numero;
35divorarono tutta l'erba del paese
e distrussero il frutto del loro suolo.
36Colpì nel loro paese ogni primogenito,
tutte le primizie del loro vigore.

37Fece uscire il suo popolo con argento e oro,
fra le tribù non c'era alcun infermo.
38L'Egitto si rallegrò della loro partenza
perché su di essi era piombato il terrore.
39Distese una nube per proteggerli
e un fuoco per illuminarli di notte.

40Alla loro domanda fece scendere le quaglie
e li saziò con il pane del cielo.
41Spaccò una rupe e ne sgorgarono acque,
scorrevano come fiumi nel deserto,
42perché ricordò la sua parola santa
data ad Abramo suo servo.

43Fece uscire il suo popolo con esultanza,
i suoi eletti con canti di gioia.
44Diede loro le terre dei popoli,
ereditarono la fatica delle genti,
45perché custodissero i suoi decreti
e obbedissero alle sue leggi.

Alleluia.


Geremia 48

1Su Moab.
Così dice il Signore degli eserciti,
Dio di Israele:
"Guai a Nebo poiché è devastata,
piena di vergogna e catturata è Kiriatàim;
sente vergogna, è abbattuta la roccaforte.
2Non esiste più la fama di Moab;
in Chesbòn tramano contro di essa:
Venite ed eliminiamola dalle nazioni.
Anche tu, Madmèn, sarai demolita,
la spada ti inseguirà.
3Una voce, un grido da Coronàim:
Devastazione e rovina grande!
4Abbattuto è Moab,
le grida si fanno sentire fino in Zoar.
5Su per la salita di Luchìt vanno piangendo,
giù per la discesa di Coronàim
si ode un grido di disfatta.
6Fuggite, salvate la vostra vita!
Siate come l'asino selvatico nel deserto.
7Poiché hai posto la fiducia
nelle tue fortezze e nei tuoi tesori,
anche tu sarai preso e Camos andrà in esilio
insieme con i suoi sacerdoti e con i suoi capi.
8Il devastatore verrà contro ogni città;
nessuna città potrà scampare.
Sarà devastata la valle e la pianura desolata,
come dice il Signore.
9Date ali a Moab,
perché dovrà prendere il volo.
Le sue città diventeranno un deserto,
perché non vi sarà alcun abitante.
10Maledetto chi compie fiaccamente l'opera del Signore,
maledetto chi trattiene la spada dal sangue!
11Moab era tranquillo fin dalla giovinezza,
riposava come vino sulla sua feccia,
non è stato travasato di botte in botte,
né è mai andato in esilio;
per questo gli è rimasto il suo sapore,il suo profumo non si è alterato.
12Per questo, ecco, giorni verranno
- dice il Signore -
nei quali gli manderò travasatori a travasarlo,
vuoteranno le sue botti
e frantumeranno i suoi otri.

13Moab si vergognerà di Camos come la casa di Israele si è vergognata di Betel, oggetto della sua fiducia.

14Come potete dire:
Noi siamo uomini prodi
e uomini valorosi per la battaglia?
15Il devastatore di Moab sale contro di lui,
i suoi giovani migliori scendono al macello -
dice il re il cui nome è Signore degli eserciti.
16È vicina la rovina di Moab,
la sua sventura avanza in gran fretta.
17Compiangetelo, voi tutti suoi vicini
e tutti voi che conoscete il suo nome;
dite: Come si è spezzata la verga robusta,
quello scettro magnifico?
18Scendi dalla tua gloria, siedi sull'arido suolo,
o popolo che abiti a Dibon;
poiché il devastatore di Moab è salito contro di te,
egli ha distrutto le tue fortezze.
19Sta' sulla strada e osserva,
tu che abiti in Aroer.Interroga il fuggiasco e lo scampato,
domanda: Che cosa è successo?
20Moab prova vergogna, è in rovina;
urlate, gridate,
annunziate sull'Arnon
che Moab è devastato.

21È arrivato il giudizio per la regione dell'altipiano, per Colòn, per Iaaz e per Mefàat,22per Dibon, per Nebo e per Bet-Diblatàim,23per Kiriatàim, per Bet-Gamùl e per Bet-Meòn,24per Kiriòt e per Bozra, per tutte le città della regione di Moab, lontane e vicine.

25È infranta la potenza di Moab
ed è rotto il suo braccio.

26Inebriatelo, perché si è levato contro il Signore, e Moab si rotolerà nel vomito e anch'esso diventerà oggetto di scherno.27Non è stato forse Israele per te oggetto di scherno? Fu questi forse sorpreso fra i ladri, dato che quando parli di lui scuoti sempre la testa?

28Abbandonate le città e abitate nelle rupi,
abitanti di Moab,
siate come la colomba che fa il nido
nelle pareti d'una gola profonda.
29Abbiamo udito l'orgoglio di Moab,
il grande orgoglioso,
la sua superbia, il suo orgoglio, la sua alterigia,
l'altezzosità del suo cuore.

30Conosco bene la sua tracotanza - dice il Signore - l'inconsistenza delle sue chiacchiere, le sue opere vane.31Per questo alzo un lamento su Moab, grido per tutto Moab, gemo per gli uomini di Kir-Cheres.

32Io piango per te come per Iazèr,
o vigna di Sibma!
I tuoi tralci arrivavano al mare,
giungevano fino a Iazèr.
Sulle tue frutta e sulla tua vendemmia
è piombato il devastatore.
33Sono scomparse la gioia e l'allegria
dai frutteti e dalla regione di Moab.
È sparito il vino nei tini,
non pigia più il pigiatore,
il canto di gioia non è più canto di gioia.

34Delle grida di Chesbòn e di Elealè si diffonde l'eco fino a Iacaz; da Zoar si odono grida fino a Coronàim e a Eglat-Selisià, poiché le acque di Nimrìm son diventate una zona desolata.35Io farò scomparire in Moab - dice il Signore - chi sale sulle alture e chi brucia incenso ai suoi dèi.36Perciò il mio cuore per Moab geme come i flauti, il mio cuore geme come i flauti per gli uomini di Kir-Cheres, essendo venute meno le loro scorte.37Poiché ogni testa è rasata, ogni barba è tagliata; ci sono incisioni su tutte le mani e tutti hanno i fianchi cinti di sacco.38Sopra tutte le terrazze di Moab e nelle sue piazze è tutto un lamento, perché io ho spezzato Moab come un vaso senza valore. Parola del Signore.39Come è rovinato! Gridate! Come Moab ha voltato vergognosamente le spalle! Moab è diventato oggetto di scherno e di orrore per tutti i suoi vicini.

40Poiché così dice il Signore:
Ecco, come l'aquila egli spicca il volo
e spande le ali su Moab.
41Le città son prese, le fortezze sono occupate.
In quel giorno il cuore dei prodi di Moab
sarà come il cuore di donna nei dolori del parto.
42Moab è distrutto, ha cessato d'essere popolo,
perché si è insuperbito contro il Signore.
43Terrore, trabocchetto, tranello
cadranno su di te, abitante di Moab.
Oracolo del Signore.
44Chi sfugge al terrore cadrà nel trabocchetto;
chi risale dal trabocchetto
sarà preso nel tranello,
perché io manderò sui Moabiti tutto questo
nell'anno del loro castigo.
Oracolo del Signore.
45All'ombra di Chesbòn si fermano
spossati i fuggiaschi,
ma un fuoco esce da Chesbòn,una fiamma dal palazzo di Sicòn
e divora le tempie di Moab
e il cranio di uomini turbolenti.
46Guai a te, Moab,
sei perduto, popolo di Camos,
poiché i tuoi figli sono condotti schiavi,
le tue figlie portate in esilio.
47Ma io cambierò la sorte di Moab
negli ultimi giorni.
Oracolo del Signore".
Qui finisce il giudizio su Moab.


Lettera ai Colossesi 4

1Voi, padroni, date ai vostri servi ciò che è giusto ed equo, sapendo che anche voi avete un padrone in cielo.

2Perseverate nella preghiera e vegliate in essa, rendendo grazie.3Pregate anche per noi, perché Dio ci apra la porta della predicazione e possiamo annunziare il mistero di Cristo, per il quale mi trovo in catene:4che possa davvero manifestarlo, parlandone come devo.
5Comportatevi saggiamente con quelli di fuori; approfittate di ogni occasione.6Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno.

7Tutto quanto mi riguarda ve lo riferirà Tìchico, il caro fratello e ministro fedele, mio compagno nel servizio del Signore,8che io mando a voi, perché conosciate le nostre condizioni e perché rechi conforto ai vostri cuori.9Con lui verrà anche Onèsimo, il fedele e caro fratello, che è dei vostri. Essi vi informeranno su tutte le cose di qui.

10Vi salutano Aristarco, mio compagno di carcere, e Marco, il cugino di Bàrnaba, riguardo al quale avete ricevuto istruzioni - se verrà da voi, fategli buona accoglienza -11e Gesù, chiamato Giusto. Di quelli venuti dalla circoncisione questi soli hanno collaborato con me per il regno di Dio e mi sono stati di consolazione.12Vi saluta Èpafra, servo di Cristo Gesù, che è dei vostri, il quale non cessa di lottare per voi nelle sue preghiere, perché siate saldi, perfetti e aderenti a tutti i voleri di Dio.13Gli rendo testimonianza che si impegna a fondo per voi, come per quelli di Laodicèa e di Geràpoli.14Vi salutano Luca, il caro medico, e Dema.
15Salutate i fratelli di Laodicèa e Ninfa con la comunità che si raduna nella sua casa.16E quando questa lettera sarà stata letta da voi, fate che venga letta anche nella Chiesa dei Laodicesi e anche voi leggete quella inviata ai Laodicesi.17Dite ad Archippo: "Considera il ministero che hai ricevuto nel Signore e vedi di compierlo bene".
18Il saluto è di mia propria mano, di me, Paolo. Ricordatevi delle mie catene. La grazia sia con voi.


Capitolo XLVIII: La vita eterna e le angustie della vita presente

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1. O beata dimora della città suprema, o giorno spendente dell'eternità, che la notte non offusca; giorno perennemente irradiato dalla somma verità; giorno sempre gioioso e sereno; giorno, per sua essenza, immutabile! Volesse il cielo che tutte queste cose temporali finissero e che sopra di noi brillasse quel giorno; il quale già illumina per sempre, di splendida luce, i santi, mentre, per coloro che sono pellegrini su questa terra, esso splende soltanto da lontano e di riflesso! Ben sanno i cittadini del cielo quanto sia piena di gioia quell'età; lamentano gli esuli figli di Eva quanto, invece, sia grave e pesante l'età presente. Invero, brevi e duri, pieni di dolori e di angustie, sono i giorni di questo nostro tempo, durante i quali l'uomo è insozzato da molti peccati e irretito da molte passioni, oppresso da molte paure, schiacciato da molti affanni, distratto da molte curiosità, impicciato in molte cose vane, circondato da molti errori, atterrito da molte fatiche, appesantito dalle tentazioni, snervato dai piaceri, afflitto dal bisogno. Oh!, quando finiranno questi mali; quando mi libererò dalla miserevole schiavitù dei vizi; quando, nella mia mente avrò soltanto te, o Signore, e in te troverò tutta la mia gioia; quando godrò di libertà vera, senza alcun legame, senza alcun gravame della mente e del corpo; quando avrò pace stabile e sicura, da nulla turbata, pace interiore ed esteriore, pace non minacciata da alcuna parte? O buon Gesù, quando ti vedrò faccia a faccia; quando contemplerò la gloria del tuo regno; quando sarai il tutto per me (1Cor 15,28); quando sarò con te nel tuo regno, da te preparato dall'eternità per i tuoi diletti? Sono qui abbandonato, povero ed esule in terra nemica, ove ci sono continue lotte e immani disgrazie. Consola tu il mio esilio, lenisci il mio dolore, perché ogni mio desiderio si volge a te con sospiri. Infatti qualunque cosa il mondo mi offra come sollievo, essa mi è invece di peso. Desidero l'intimo godimento di te, ma non mi è dato di raggiungerlo; desidero star saldo alle cose celesti, ma le cose temporali e le passioni non mortificate mi tirano in basso; nello spirito, voglio pormi al di sopra di tutte le cose, ma, nella carne, sono costretto a subirle, contro mia voglia. E così, uomo infelice, combatto con me stesso e divento un peso per me stesso (Gb 7,20), ché lo spirito tende all'alto e la carne al basso.

2. Oh!, quale è l'intima mia sofferenza, quando, dentro di me, sto pensando alle cose del cielo e, mentre prego, di colpo, mi balza davanti la turba delle cose carnali. Dio mio, "non stare lontano da me" (Sal 70,12) e "non allontanarti in collera dal tuo servo" (Sal 26,9). "Lancia i tuoi fulmini", disperdi questa turba; "lancia le tue saette e saranno sconvolte le macchinazioni del nemico" (Sal 143,6). Fa' che i miei sentimenti siano concentrati in te; fa' che io dimentichi tutto ciò che appartiene al mondo; fa' che io cacci via e disprezzi le ingannevoli immagini con le quali ci appare il vizio. Vieni in mio aiuto, o eterna verità, cosicché nessuna cosa vana abbia potere di smuovermi; vieni, o celeste soavità; cosicché ogni cosa non pura fugga davanti al tuo volto. Ancora, perdonami e assolvimi, nella tua misericordia, ogni volta che, nella preghiera, vado pensando ad altro fuori che a te. In verità, confesso sinceramente di essere solitamente molto distratto; ché, ben spesso, io non sono là dove materialmente sto e seggo, ma sono invece là dove vengo portato dalla mente. Là dove è il mio pensiero, io sono; il mio pensiero solitamente è là dove sta ciò che io amo; è quello che fa piacere alla nostra natura, o ci è caro per abitudine, che mi viene d'un tratto alla mente. Per questo tu, che sei la verità, dicesti chiaramente: "dove è il tuo tesoro là è il tuo cuore" (Mt 6,21). Se amo il cielo, volentieri penso alle cose del cielo; se amo il mondo, mi rallegro delle gioie e mi rattristo delle avversità del mondo; se amo le cose carnali, di esse sovente vado. Fantasticando; se amo ciò che è spirito, trovo diletto nel pensare alle cose dello spirito. Qualunque siano le cose che io amo, di queste parlo e sento parlare volentieri; di queste riporto a casa il ricordo. Beato invece colui che, per te, o Signore, lascia andare tutto ciò che è creato, e che, facendo violenza alla natura, crocifigge i desideri della carne col fervore dello Spirito: così da poterti offrire, a coscienza tranquilla, una orazione pura; così da essere degno di prendere parte ai cori celesti, rifiutando, dentro e fuori di sé, ogni cosa terrena.


Le diverse questioni a Simpliciano - libro primo

Le diverse questioni a Simpliciano - Sant'Agostino d'Ippona

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PREFAZIONE.

Ti sei degnato, o padre Simpliciano, di sottopormi apertamente la piú gradita e delicata delle tue domande. Se mi rifiutassi di rispondere sarei non solo maleducato ma addirittura ingrato. Mi sono già occupato a trattare e scrivere qualcosa sulle difficoltà desunte dall'apostolo Paolo che tu mi hai proposto di chiarire. Tuttavia, insoddisfatto dell'indagine e della spiegazione precedente, ho approfondito piú seriamente e scrupolosamente le parole stesse dell'Apostolo e il loro contenuto dottrinale. Se la loro interpretazione fosse facile e ovvia, neppure tu ti preoccuperesti di indagarle.

PRIMA QUESTIONE: Perché la legge.

1. 1. La prima questione che hai voluto che io spiegassi inizia infatti dal punto in cui è scritto: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! fino al punto dove dice: La legge è quindi un bene per me quando la voglio e prosegue, credo, sino al passo: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore 1. Mi sembra che l'Apostolo in questo testo abbia rappresentato in se stesso l'uomo posto sotto la legge, facendo proprie le sue parole. E poiché poco prima aveva detto: Siamo stati liberati dalla legge sotto la quale eravamo morti incatenati, per servire nella novità dello spirito e non nella vetustà della lettera 2, per non dare l'impressione di aver biasimato la legge con queste parole, subito aggiunse: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge, né avrei conosciuto la concupiscenza se la legge non avesse detto: " Non desiderare " 3.

La concupiscenza accresciuta della legge.

1. 2. Qui sorge un nuovo problema. Se la legge non è peccato ma occasione di peccato, con queste parole è certamente adombrata una critica. Si deve pertanto intendere che la legge non è stata data per introdurre il peccato né per estirparlo ma solo per farlo conoscere e cosí accusare, mediante la stessa evidenza del peccato, l'anima umana che si riteneva sicura, per dire cosí, della propria innocenza; e poiché il peccato non si poteva vincere senza la grazia di Dio, l'anima, scossa dalla colpa, si disponesse ad accogliere la grazia. Infatti non dice: Non ho commesso il peccato se non mediante la legge, ma: Io non ho conosciuto il peccato se non per la legge 4. Inoltre non ripete: Io non avrei la concupiscenza se la legge non dicesse: Non desiderare, ma dice: Non avrei conosciuto la concupiscenza, se la legge non avesse detto: " Non desiderare " 5. Dal che appare che la concupiscenza non è stata introdotta ma dimostrata dalla legge.

1. 3.. Non avendo ancora ricevuta la grazia, era di conseguenza inevitabile non poter resistere alla concupiscenza, che anzi aumentava di forza. La concupiscenza infatti, con l'aggiunta della colpa della trasgressione, acquista maggior vigore quando va contro la legge che quando non c'è la proibizione della legge. Proprio per questo aggiunge: Prendendo pertanto occasione da questo comandamento, il peccato scatenò in me ogni sorta di desiderio 6. C'era anche prima della legge, ma non dispiegava tutta la forza, perché mancava ancora la colpa della trasgressione. Per ciò altrove dice: Dove non c'è la legge, non c'è nemmeno trasgressione 7.

Senza la legge il peccato era morto. Come ha ripreso vita?

1. 4. Ciò che poi aggiunge: Senza la legge infatti il peccato è morto 8, è come se dicesse: Il peccato è nascosto, vale a dire è ritenuto come morto. Lo spiegherà piú chiaramente in seguito. Dice: Anch'io un tempo vivevo senza legge 9, cioè non avevo alcun timore della morte causata dal peccato, poiché non appariva quando non c'era la legge. Ma, sopraggiunto il comandamento, il peccato ha preso vita 10, cioè si è manifestato. E io sono morto 11, cioè ho riconosciuto di essere morto oppure che la colpa della trasgressione provoca la sicura condanna di morte. Certamente con le parole: Sopraggiunto il comandamento il peccato ha preso vita 12, ha spiegato a sufficienza che il peccato ha avuto vita una volta in questo modo, ossia è stato conosciuto, come io ritengo, nella prevaricazione del primo uomo, perché anch'egli aveva ricevuto un ordine 13. In un altro passo afferma infatti: Ma la donna, ingannata, si rese colpevole di trasgressione 14. E ancora: Con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire 15. Non può infatti rivivere se non ciò che una volta viveva. Ma il peccato era morto, cioè stava nascosto, quando gli uomini mortali, nati senza il comandamento della legge, vivevano seguendo i desideri della carne senza alcuna conoscenza, perché non c'era alcun divieto. Dice pertanto: Io un tempo vivevo senza legge 16. Dal che rivela chiaramente di parlare non in nome proprio, ma in generale in nome dell' uomo. Ma, sopraggiunto il comandamento, il peccato ha ripreso vita. E io sono morto; la legge, che doveva servire per la vita, è diventata per me motivo di morte 17. Se infatti si obbedisce al comando, esso è sicuramente vita. Ma è diventato motivo di morte quando si agisce contro il comando: allora non solo si commette peccato - il che accadeva anche prima del comando -, ma si pecca in modo piú grave e colpevole, perché si pecca sapendo e volendo.

1. 5. Il peccato infatti - egli prosegue -, prendendo occasione dal comando, mi ha sedotto, e per suo mezzo mi ha dato la morte 18. Il peccato, abusando della legge e aumentando il desiderio a motivo della proibizione, si è fatto piú attraente e perciò ha sedotto. È infatti una dolcezza ingannatrice a cui seguono amarezze piú numerose e peggiori. Poiché gli uomini, che non hanno ancora ricevuto la grazia spirituale, commettono con maggior gusto ciò che è proibito, il peccato seduce con una falsa dolcezza. E poiché si aggiunge anche la colpa della trasgressione, causa la morte.

Chi usa male la legge.

1. 6. Cosí la legge è santa, e santo, giusto e buono è il comando 19. Ordina infatti ciò che è da comandare e vieta ciò che è da proibire. Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! 20 Il vizio è certamente in colui che abusa, non nel comandamento stesso che è buono. Infatti la legge è buona, se uno ne usa bene 21. Ora abusa della legge chi non si sottomette a Dio con pia umilità al fine di poterla adempiere per mezzo della grazia. Chi non ne fa giusto uso, la riceve all'unico scopo che il suo peccato, che prima del divieto era celato, cominci a manifestarsi per mezzo della trasgressione. E questo oltre misura 22: poiché si tratta non solo di peccato ma anche di opposizione al comando. Perciò prosegue e aggiunge: Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene perché apparisse colpevole oltre misura o peccato per mezzo del comandamento 23. Cosí spiega il senso di quanto ha detto precedentemente: Senza la legge il peccato è morto 24, non perché non esisteva, ma perché non appariva; e il senso delle parole: Il peccato ha ripreso vita 25, non perché fosse ciò che era già prima della legge, ma perché fosse manifesto che si agiva contro la legge, giacché afferma in questo luogo: Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene 26. Non dice infatti perché sia peccato, ma perché si riveli peccato.

Solo gli spirituali osservano la legge. I carnali.

1. 7. Poi spiega la ragione perché sia cosí; dice: Sappiamo infatti che la legge è spirituale, mentre io sono di carne 27. Qui mostra a sufficienza che la legge può essere osservata solo dagli [uomini] spirituali, che sono tali per grazia. Infatti quanto piú uno diventa simile alla legge spirituale, ossia quanto piú si eleva all'amore spirituale, tanto piú la osserva; egli allora gioisce maggiormente in essa, non essendo piú oppresso dal suo peso ma irrobustito nella sua luce: perché il comando del Signore è limpido, dà luce agli occhi, e la legge del Signore è perfetta, rinfranca l'anima 28; con la grazia, che perdona i peccati e infonde lo spirito di carità, la pratica della giustizia non è affatto penosa ma addirittura gradevole. Avendo detto: Ma io sono di carne 29, ha spiegato saggiamente anche il termine " carnale". Infatti in certo modo si chiamano carnali anche coloro che sono già costituiti in grazia, già redenti dal sangue del Signore e rinati mediante la fede. A costoro lo stesso Apostolo dice: Io, fratelli, sinora non ho potuto parlare a voi come uomini spirituali, ma come ad uomini carnali, come a neonati in Cristo vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido 30. Con queste parole mostra con evidenza che erano già rinati mediante la grazia coloro che erano piccoli in Cristo e dovevano essere nutriti di latte e tuttavia li chiama ancora carnali. Chi invece non è ancora sotto la grazia, ma sotto la legge, è cosí carnale da non essere ancora redento dal peccato ma venduto al peccato, perché abbraccia, a prezzo di un piacere mortale, quella dolcezza ingannatrice e inoltre si compiace di andare contro la legge con tanto maggior piacere quanto meno è lecito. Non può godere di questa dolcezza come ricompensa della sua condizione, a meno che non sia costretto a servire la passione come uno schiavo venduto. Si sente infatti schiavo del desiderio che lo domina colui al quale è proibito e sa che gli è giustamente proibito, e tuttavia lo fa.

1. 8. Io non so ciò che faccio 31, egli dice. Non so qui non significa che non sa di peccare. Altrimenti sarebbe in contraddizione con ciò che ha detto: Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene 32; e anche con il passo precedente: Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge 33. Come dunque si rivela il peccato o come egli ha conosciuto ciò che ignora? Ora l'Apostolo ha detto cosí, come il Signore dirà agli empi: Non vi conosco 34. Nulla infatti si cela a Dio, perché il volto del Signore contro i malfattori, per cancellarne dalla terra il ricordo 35. Anche noi a volte diciamo d'ignorare ciò che disapproviamo. Per questo dice: Ignoro ciò che faccio, ossia non l'approvo. Lo dimostra dicendo quanto segue: Infatti non faccio ciò che voglio, ma quello che detesto 36. Detesto e ignoro hanno quindi lo stesso significato. Anche di coloro, ai quali il Signore dirà: Non vi conosco, si dice a lui: Tu detesti, Signore, chi fa il male 37.

La pena del peccato originale.

1. 9. Ora, se faccio quello che non voglio, riconosco che la legge è buona 38. Non vuole di certo ciò che neppure la legge vuole: infatti la legge lo proibisce. Egli è dunque d'accordo con la legge, non in quanto fa ciò che essa proibisce ma in quanto non vuole ciò che fa. Non ancora liberato dalla grazia, è vinto, anche se già sa, mediante la legge, di agire male e non lo vuole. Quanto poi segue: Quindi non sono piú io a farlo, ma il peccato che abita in me 39, non lo dice perché non acconsente a compiere il peccato, quantunque sia d'accordo con la legge a riprovarlo. Egli parla ancora secondo l'uomo che è sotto l'influsso della legge e non della grazia; che, dominato dalla concupiscenza e ingannato dalla dolcezza del peccato proibito, è di certo trascinato a fare il male, anche se, grazie alla conoscenza della legge, lo disapprova. Per questo dice: Non sono piú io a farlo, perché agisce da vinto. Lo compie sicuramente la passione tiranna, alla quale si è piegato. Ora la grazia, di cui parlerò in seguito, fa sí che egli non ceda e l'anima umana si opponga piú efficacemente alla passione.

La legge del peccato.

1. 10. Io so infatti che in me, cioè nella mia carne, non abita il bene 40. Riguardo alla conoscenza è d'accordo con la legge; riguardo all'azione soggiace al peccato. Se qualcuno domandasse com'è che nella sua carne non abita il bene ma il peccato: da dove deriva se non dalla radice della mortalità e dalla persistenza della sensualità? L'una è la pena del peccato originale, l'altra la punizione del peccato ripetuto. Con quella noi entriamo in questa vita, questa l'alimentiamo vivendo. Unite insieme, la natura e l'abitudine, rendono assai vigorosa e invincibile la concupiscenza, che egli chiama peccato e dice che abita nella sua carne, possiede cioè una specie di dominio e di tirannia. Ecco perché nel Salmo si legge: Ho preferito essere disprezzato nella casa del Signore piuttosto che abitare nelle tende dei peccatori 41. Come se colui, che ivi è disprezzato, in qualunque luogo si trovi, non vi abita, sebbene ci sia. Insinua perciò che per abitazione deve intendersi un qualche dominio. Ma se la grazia opera in noi ciò che afferma altrove: Che non regni il peccato nel nostro corpo mortale, sí da sottometterci ai suoi desideri 42, allora si può dire certamente che non vi abita piú.

Testi in cui la legge sembra cattiva.

1. 11. C'è in me infatti - prosegue - il desiderio del bene, ma non la capacità di attuarlo 43. A quanti non intendono rettamente sembra, con queste parole, quasi sopprimere il libero arbitrio. Ma come lo elimina quando dice: Il volere è alla mia portata? Certamente infatti lo stesso volere è in nostro potere, perché è alla nostra portata; però il non potere fare il bene è conseguenza del peccato originale. Questa non è infatti la natura originaria dell'uomo ma la pena del peccato: da essa è derivata la stessa mortalità come una seconda natura, dalla quale ci libera la grazia del Creatore, quando ci sottomettiamo a lui mediante la fede. Ma queste sono parole dell'uomo posto sotto la legge e non ancora sotto la grazia. Infatti chi non è ancora sotto la grazia non compie il bene, ma fa il male che non vuole sotto la tirannia della concupiscenza, rafforzata non solo dal vincolo della mortalità ma anche dal peso dell'abitudine. Ora se fa ciò che non vuole, non è piú lui a farlo ma il peccato che abita in lui, come si è detto e spiegato precedentemente.

La legge è buona.

1. 12. Io trovo dunque in me questa legge - egli dice - che quando io voglio fare il bene, il male è accanto a me 44; ossia io constato che la legge è bene per me quando voglio fare ciò che la legge prescrive, perché il male è accanto a me e facile a compiersi. Quando precedentemente ha detto: Il volere è alla mia portata, si riferiva alla facilità. Cosa è piú facile all'uomo, costituito sotto la legge, che volere il bene e compiere il male? Infatti vuole il bene senza difficoltà, quantunque non compia tanto facilmente quanto facilmente vuole; e consegue facilmente il male che odia, sebbene non lo voglia; cosí trascinato, scivola facilmente nell'abisso anche se non vuole e lo detesta. Ho detto questo a proposito dell'espressione " è accanto ". L'uomo sottoposto alla legge e non ancora liberato dalla grazia rende pertanto testimonianza alla bontà della legge; dà piena testimonianza per il fatto stesso che si rimprovera di agire contro la legge: riconosce inoltre che è bene per lui, desideroso di fare ciò che comanda ma incapace a causa della concupiscenza che lo domina. Allora si vede cosí prigioniero del crimine della trasgressione da implorare per questo la grazia del Liberatore.

La legge delle membra

1. 13. Continua: Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio, a quella legge che dice: Non desiderare. Ma - egli dice - nelle mie membra vedo un'altra legge, che muove guerra alla legge della mia mente e mi rende schiavo della legge del peccato che è nelle mie membra 45. Chiama legge nelle sue membra lo stesso fardello della mortalità, il cui peso ci fa gemere 46. Infatti il corpo che si corrompe appesantisce l'anima 47. Per questo molto spesso succede che il proibito attiri invincibilmente. Chiama legge questo fardello pesante e opprimente, perché secondo il divino giudizio è stata assegnata e imposta come giusta punizione da colui che aveva preavvertito l'uomo, dicendo: Il giorno in cui mangerete [dell'albero], voi morirete 48. Questa legge si oppone alla legge dello spirito che dice: Non desiderare; in essa si allieta l'uomo, che è secondo l'uomo interiore. E prima che qualcuno sia sotto la grazia, la legge si oppone a tal punto da renderlo schiavo della legge del peccato, cioè di se stessa. Quando poi dice: che è nelle mie membra, mostra che è la stessa di cui ha detto prima: Vedo un'altra legge nelle mie membra 49.

Sono uno sventurato!

1. 14. Ora tutto ciò è detto per dimostrare all'uomo incatenato che non deve presumere delle proprie forze. Per questo rimproverava ai Giudei, che si gloriavano orgogliosamente delle opere della legge, di lasciarsi trascinare dalla concupiscenza a cose illecite, mentre la legge, di cui si gloriavano, prescrive: Non desiderare. Deve dunque dire umilmente l'uomo vinto, condannato, incatenato e, dopo aver ricevuto la legge, piú trasgressore che vincitore, deve esclamare umilmente: Sono uno sventurato! Chi mi libererà da questo corpo di morte? La grazia di Dio per mezzo di Gesú Cristo nostro Signore 50. Ecco infatti ciò che rimane al libero arbitrio in questa vita mortale: che l'uomo non adempia la giustizia secondo la sua volontà, ma che si volga con pietà supplicante a colui che gli dona di poterla attuare.

La legge non domina coloro che sono sotto la grazia.

1. 15. A proposito di tutto il contesto del discorso dell'Apostolo, di cui abbiamo trattato, qualcuno ritiene che Paolo ha considerato cattiva la legge, perché afferma: La legge sopraggiunse perché sovrabbondasse il delitto 51; e: Il ministero della morte inciso in lettere di pietra 52; e: La forza del peccato è la legge 53; e: Voi siete morti alla legge mediante il corpo di Cristo, per appartenere ad un altro che è risorto dai morti; e: Le passioni peccaminose, stimolate dalla legge, si scatenavano nelle nostre membra al fine di portare frutti per la morte; ora però siamo stati liberati dalla legge di morte, sotto la quale eravamo tenuti, per servire nella novità dello Spirito e non nella vetustà della lettera 54; e se troviamo che l'Apostolo ha detto altre cose simili, riflette dunque che sono state dette per mostrare che la legge rinvigorisce la concupiscenza con la proibizione e incatena il reo con la trasgressione, comandando ciò che gli uomini a causa della debolezza non possono compiere, a meno che non ricorrano devotamente alla grazia di Dio. Per questo si dice che stanno sotto la legge che li domina. Ora essa domina quelli che punisce e punisce tutti i trasgressori. D'altra parte quelli che hanno ricevuto la legge, la trasgrediscono a meno che non ottengano per grazia di adempiere ciò che comanda. Cosí ora avviene che non domina piú su coloro che sono sotto la grazia e l'osservano mediante la carità, i quali, prima soggetti al suo timore, erano condannati.

Errore dei Manichei sulla Legge Antica.

1. 16. Se poi le affermazioni precedenti spingono a ritenere che l'Apostolo biasima la legge, che faremo di queste parole: Infatti acconsento nel mio intimo alla legge di Dio 55? Cosí dicendo elogia senza dubbio la legge. Sentendo questo, essi rispondono che l'Apostolo qui parla di un'altra legge, cioè della legge di Cristo non di quella data ai Giudei. Chiediamo dunque loro a quale legge si riferisce: La legge poi sopraggiunse perché abbondasse il delitto 56. Rispondono che si tratta senza alcun dubbio di quella ricevuta dai Giudei. Vedi dunque se è la stessa di cui si dice: Prendendo occasione dal comandamento, il peccato ha prodotto in me ogni concupiscenza 57. Che altro è: Ha prodotto in me ogni concupiscenza, se non ciò che si ritrova qui: perché abbondasse il peccato? Vedi ancora se concorda anche questa affermazione: perché il peccato apparisse oltremisura peccaminoso per mezzo del comandamento 58. In effetti la frase: perché apparisse oltre misura peccaminoso è identica a questa: perché abbondasse il peccato. Se avremo dunque dimostrato che è buono il comandamento da cui il peccato, prendendo occasione, ha prodotto ogni concupiscenza per oltrepassare ogni misura, dimostreremo ugualmente che è buona la legge che è sopraggiunta perché abbondasse il delitto, vale a dire perché il peccato producesse ogni concupiscenza e oltrepassasse ogni misura. Ascoltino pertanto lo stesso Apostolo che dice: Che diremo dunque? Che la legge è peccato? No certamente! 59 Questo, essi affermano, si dice della legge di Cristo, cioè della legge della grazia. Rispondano allora di quale legge intendono ciò che segue: Però io non ho conosciuto il peccato se non per la legge. Infatti non conoscevo la concupiscenza, se la legge non avesse detto: " Non desiderare ". Prendendo pertanto occasione dal comandamento il peccato ha prodotto in me ogni concupiscenza 60. Ecco che lo stesso contesto delle parole indica a sufficienza di quale legge ha detto: La legge è peccato? No certamente! Evidentemente di quella per la quale il comandamento diede occasione al peccato, scatenando ogni concupiscenza. Di quella che sopraggiunse perché abbondasse il delitto e che essi ritengono cattiva. Ma cosa c'è di piú chiaro di ciò che dice poco dopo: Cosí la legge è santa e santo, giusto e buono è il comandamento 61? Essi ripetono ancora che non si tratta della legge data ai Giudei ma del Vangelo. La perversità dei Manichei è quindi cieca oltre ogni dire. Non si preoccupano affatto del seguito molto chiaro ed evidente: Ciò che è bene è allora diventato morte per me? No davvero! Ma il peccato, per rivelarsi peccato, mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché il peccato apparisse oltre misura peccaminoso per mezzo del comandamento 62, cioè per mezzo del comandamento santo, giusto e buono, che è sopraggiunto perché abbondasse il peccato, ossia apparisse peccato oltre misura.

Spiegazione dei testi in cui la legge sembra cattiva.

1. 17. Se la legge è buona, perché dunque è detta: ministero della morte 63? Perché il peccato per rivelarsi peccato mi ha dato la morte servendosi di ciò che è bene. Non meravigliarti, poiché della stessa predicazione del Vangelo è detto: Noi siamo davanti a Dio il buon profumo di Cristo per quelli che si salvano e per quelli che si perdono; per gli uni odore di vita per la vita e per gli altri odore di morte per la morte 64. La legge è stata infatti chiamata ministero di morte per i Giudei: per essi è stata scritta anche sulla pietra a significare la loro durezza, non per coloro che l'osservano con amore. Infatti pieno compimento della legge è l'amore 65. La medesima legge, impressa in lettere di pietra, dice infatti: Non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare 66, ecc. L'Apostolo afferma che questa legge si osserva con amore, quando dice: Perché chi ama il suo simile ha adempiuto la legge. Infatti non commettere adulterio, non uccidere, non rubare, non desiderare e qualsiasi altro comandamento si riassume in queste parole: " Amerai il prossimo tuo come te stesso " 67; perché anche questo sta scritto nella medesima legge. Se la legge è buona, perché la forza del peccato è la legge 68? Perché il peccato ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, per apparire oltre misura, cioè per rafforzarsi maggiormente a causa della trasgressione. Se la legge è buona, perché siamo morti alla legge mediante il corpo di Cristo 69? Perché siamo morti al dominio della legge, liberati da quel desiderio che la legge punisce e condanna. Nel modo piú comune si chiama infatti legge quando minaccia, atterrisce, castiga. Per questo lo stesso comando è legge per chi teme, è grazia per chi ama. Di qui il detto evangelico: La legge fu data per mezzo di Mosé, la grazia e la verità vennero per mezzo di Gesú Cristo 70. La stessa legge, che fu data per mezzo di Mosé per ispirare timore, è quindi diventata per mezzo di Gesú Cristo grazia e verità per osservarla. Dire: Siete morti alla legge è dunque uguale a dire: Siete morti al castigo della legge mediante il corpo di Cristo, grazie al quale sono perdonati i peccati, meritevoli di giusto castigo. Se la legge è buona, perché [sussistono] le passioni peccaminose stimolate dalla legge? 71 Per quelle passioni peccaminose, di cui si è già frequentemente parlato, ha qui voluto intendere l'aumento della concupiscenza a causa del divieto e il reato della pena a causa della trasgressione; vale a dire che [il peccato] ha dato la morte servendosi di ciò che è bene, perché fosse oltre misura peccaminoso o peccato per mezzo del comandamento 72. Se la legge è buona, perché siamo stati liberati dalla legge di morte, che ci teneva prigionieri, per servire nel regime nuovo dello spirito e non nel regime vecchio della lettera 73? Perché la legge è lettera per chi non l'osserva mediante lo spirito di amore, con cui appartiene al Nuovo Testamento. Per questo i morti al peccato sono liberati dalla lettera che tiene prigionieri coloro che non adempiono quanto sta scritto. La legge infatti è semplice lettera per coloro che la sanno leggere e non possono osservarla. Non è infatti sconosciuta a coloro per i quali è stata scritta; ma poiché è conosciuta soltanto in quanto si legge scritta e non in quanto si osserva con amore, per costoro non è altro che lettera: lettera che non aiuta i lettori ma accusa i peccatori. Dalla sua condanna sono quindi immuni coloro che sono rinnovati nello spirito al fine di non essere piú obbligati al castigo della lettera ma uniti allo spirito mediante la giustizia. Di qui il detto: La lettera uccide, lo spirito invece dà vita 74. La legge infatti, letta soltanto e non compresa o non osservata, certamente uccide: per questo si chiama lettera. Lo Spirito invece dà vita, perché pienezza della legge è la carità, che è stata riversata nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato 75.

QUESTIONE SECONDA: Argomento dell'Epistola ai Romani.

2. 1. Ma ora è tempo, a mio parere, di passare all'altra questione che tu hai proposto sí da trattare tutto il contesto, che è senza dubbio molto oscuro, dal punto in cui è scritto: E non è tutto; c'è anche Rebecca che ebbe figli da un solo uomo, Isacco nostro padre. Quando essi non erano ancora nati e nulla avevano fatto di bene o di male 76, sino a quest'altro punto: Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo divenuti come Sodoma e resi simili a Gomorra 77. Certamente però, conoscendo i tuoi sentimenti nei miei riguardi, non mi avresti chiesto di chiarire questo testo, senza aver prima supplicato il Signore di poterlo fare. Reso piú fiducioso da questo aiuto, affronto la questione.

La grazia della fede precede le buone opere.

2. 2. Mi atterrò anzitutto all'intenzione dell'Apostolo, che anima tutta l'epistola, e la terrò presente. Ora questa è la sua intenzione: nessuno si glori dei meriti delle opere, come osano gloriarsi gli Israeliti perché avevano osservato la legge data loro e avevano ottenuto la grazia del Vangelo come ricompensa ai loro meriti, perché obbedivano alla legge. Per questo non volevano che la grazia fosse data ai Gentili, come indegni, a meno che non si attenessero alle osservanze giudaiche. Questa questione, allora sollevata, è risolta negli Atti degli Apostoli 78. Non riuscivano a capire che, per il fatto stesso che la grazia è evangelica, non dipende dalle opere: altrimenti la grazia non è piú grazia 79. In molti passi conferma questa idea, anteponendo la grazia della fede alle opere, non per annullare le opere ma per mostrare che le opere non precedono ma conseguono la grazia, perché nessuno ritenga di aver ricevuto la grazia per aver agito bene ma di non potere agire bene senza aver ricevuto la grazia mediante la fede. L'uomo infatti comincia a ricevere la grazia quando inizia a credere in Dio, spinto alla fede da un'esortazione interna od esterna. Ma importa distinguere in quali momenti o celebrazioni di misteri la grazia è infusa con maggiore pienezza ed evidenza. Anche i catecumeni infatti credono e certamente credeva in Dio Cornelio, quando con elemosine e preghiere si rendeva degno dell'invio di un angelo 80; egli però non si sarebbe in alcun modo comportato cosí, se prima non avesse creduto; e neppure avrebbe creduto, se non fosse stato chiamato sia da segrete esortazioni, per mezzo di visioni della mente o dello spirito, che da piú sensibili esortazioni per mezzo dei sensi del corpo. In alcuni però la grazia della fede è insufficiente a ottenere il regno dei cieli, come nei catecumeni, e nello stesso Cornelio prima di essere incorporato alla Chiesa mediante la partecipazione dei Sacramenti. In altri invece è cosí grande da appartenere già al corpo di Cristo e al santo tempio di Dio. Perché - dice [l'Apostolo] - santo è il tempio di Dio che siete voi 81. E lo stesso Signore: Se uno non nasce da acqua e da Spirito Santo non entrerà nel Regno dei cieli 82. C'è dunque un inizio della fede simile al concepimento: per arrivare alla vita eterna non basta essere concepito ma bisogna anche nascere. Nessuna di queste cose si ottiene senza la grazia della misericordia di Dio: perché, come si è detto, anche le opere, se sono buone, seguono e non precedono questa grazia.

Giacobbe ed Esaù

2. 3. L'Apostolo, volendo confermare questa verità, come dice in un altro luogo: Non viene da noi ma è dono di Dio, né viene dalle opere, perché nessuno si esalti 83, ha pertanto proposto l'insegnamento riguardante i due che non erano ancora nati. Nessuno potrebbe infatti sostenere che Giacobbe, non ancora nato, aveva meritato per le sue opere di sentirsi divinamente dire dal Signore: E il maggiore servirà il minore 84. Dunque l'Apostolo prosegue: Non solo fu promesso Isacco quando fu detto: " Tornerò in questo periodo e Sara avrà un figlio " 85; invero neppure costui aveva meritato per qualche opera che Dio promettesse la sua nascita e in Isacco fosse tratta una discendenza ad Abramo, che sarebbero cioè appartenuti alla sorte dei santi, che è in Cristo, coloro che fossero riconosciuti figli della promessa, senza gloriarsi dei propri meriti ma attribuendo alla grazia della chiamata l'essere eredi di Cristo. Quando infatti fu promessa la loro esistenza, essi, che non erano ancora, non avevano alcun merito: Ma Rebecca li ebbe da un solo rapporto con Isacco nostro padre 86. Sottolinea molto accuratamente da un solo rapporto - erano stati infatti concepiti gemelli -, perché non si attribuisse ai meriti del padre, come se uno per caso dicesse: Il figlio è nato cosí perché il padre era in una tale disposizione quando ingravidò il grembo della madre, oppure la madre era cosí disposta quando lo concepí. Il padre infatti generò simultaneamente i due che la madre concepí simultaneamente. A richiamare questa affermazione dice: da un solo rapporto, per togliere ogni pretesto agli astrologi, o meglio a quelli chiamati esperti di oroscopi, i quali congetturano caratteri ed eventi dalle circostanze della nascita. Dicano dunque perché da un unico concepimento, nel medesimo istante, sotto quella disposizione del cielo e delle stelle, sí da non poter assolutamente attribuire a nessuno dei due qualche differenza, vi sia stata tanta diversità tra i due gemelli. Non trovano affatto la spiegazione: sanno invece facilmente, se vogliono, che le predizioni, che vendono ai poveracci, non provengono da alcuna scienza ma da fortuite congetture. Ma, tornando piuttosto all'argomento che trattiamo, vengono richiamate queste cose al fine di reprimere e abbattere l'orgoglio degli uomini ingrati alla grazia di Dio, i quali osano vantarsi dei propri meriti. Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene e di male, non in virtú delle opere ma per volontà di colui che chiama, le fu detto: " Il maggiore sarà sottomesso al minore " 87. È grazia dunque di colui che chiama, le buone opere sono pertanto conseguenza di chi riceve la grazia: non suscitano la grazia ma sono prodotte dalla grazia. Il fuoco infatti non scalda per ardere, ma perché arde; ugualmente la ruota non gira bene per essere rotonda, ma perché è rotonda; cosí nessuno, di conseguenza, agisce bene per ricevere la grazia, ma perché l'ha ricevuta. Come infatti può vivere giustamente chi non è stato giustificato? E vivere santamente chi non è stato santificato? O semplicemente vivere chi non è stato vivificato? Ora la grazia giustifica perché il giustificato possa vivere giustamente. Prima è quindi la grazia, poi le opere buone, come dice altrove: Ora a chi lavora il salario non viene calcolato come un dono, ma come debito 88. Tale è l'immortalità che segue le opere buone, che può essere reclamata come dovuta, secondo le parole dello stesso Apostolo: Ho combattuto la buona battaglia, ho terminato la corsa, ho conservato la fede; ora mi resta solo la corona di giustizia che il Signore, giusto giudice, mi consegnerà in quel giorno 89. Avendo detto: consegnerà, sembra trattarsi di debito. Invece quando, ascendendo in cielo ha portato con sé la schiavitú, non ha consegnato, ma ha distribuito doni agli uomini 90. Come potrebbe infatti l'Apostolo osare di richiedere il dovuto, senza aver prima ricevuto la grazia non dovuta al fine di essere giustificato e combattere la buona battaglia? Era stato infatti un bestemmiatore e un violento, ma gli è stata usata misericordia, come confessa egli stesso 91, credendo in colui che non giustifica il pio ma l'empio 92, per renderlo pio con la giustizia.

Elezione di Giacobbe e rifiuto di Esaù.

2. 4. Afferma: Non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, fu dichiarato a Rebecca: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ". A questo si riferiscono le parole: Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, al fine di poter dire: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama. Qui viene in mente di chiedere: perché ha detto: Perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione 93? Come infatti può essere giusta o semplicemente esserci elezione, dove non c'è alcuna differenza? Perché se Giacobbe è stato scelto senza alcun merito, prima ancora di nascere e senza aver fatto niente, non poteva affatto essere scelto senza che ci fosse qualche diversità per sceglierlo. Allo stesso modo se Esaú è stato rigettato senza alcun demerito, perché anche lui non era nato e non aveva fatto nulla, quando si diceva: Il maggiore sarà sottomesso al minore, come può dirsi giusta la sua riprovazione? Con quale distinzione dunque o con quale regola d'equità intenderemo ciò che segue: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaú 94? Queste parole invero sono scritte in un Profeta che le annunziò molto piú tardi, dopo la nascita e la morte di quei due, ma esse sembrano ricordare la sentenza pronunziata prima che essi nascessero e operassero qualcosa: E il maggiore sarà sottomesso al minore. Da dove viene dunque questa elezione o che scelta è, se non c'è alcuna occasione di meriti in coloro che non sono ancora nati e non hanno fatto nulla? C'è forse una differenza di natura? Chi lo ammetterà a proposito di uno stesso padre, di una stessa madre, di un unico rapporto coniugale, dello stesso Creatore? O si dirà forse che come lo stesso Creatore ha tratto dalla medesima terra una diversità di esseri animati che si riproducono, cosí dallo stesso matrimonio umano e dallo stesso rapporto coniugale ha fatto nascere nei gemelli figli differenti, uno da amare e l'altro da odiare? Non c'è dunque alcuna elezione, prima che vi sia qualcosa da scegliere. Se infatti Giacobbe è stato creato buono al fine di piacere, per quale motivo piacque prima di esistere per essere creato buono? Allora non è stato scelto per diventare buono, ma, creato buono, ha potuto essere scelto.

Elezione di Giacobbe e prescienza.

2. 5. Oppure secondo l'elezione significa che Dio, poiché sa tutto in anticipo, ha visto in Giacobbe, non ancora nato, anche la fede futura; di modo che, sebbene nessuno possa essere giustificato dalle sue opere, dato che nessuno se non è giustificato può agire bene, tuttavia, poiché Dio giustifica i pagani per la fede 95 e nessuno crede senza libera adesione, Dio, prevedendo la futura volontà di credere, nella sua prescienza ha scelto anche chi non era ancora nato per giustificarlo? Se dunque la scelta avviene per prescienza, allora Dio ha previsto la fede di Giacobbe; come provi che Dio non l'abbia scelto anche per le opere? Se pertanto non erano ancora nati e non avevano fatto nulla di bene o di male, allo stesso modo nessuno di loro aveva ancora la fede. Egli ha allora previsto chi avrebbe creduto? Ugualmente poteva prevedere cosa avrebbe compiuto, se qualcuno dice che è stato scelto in vista della fede futura, che Dio prevedeva, un altro potrebbe allo stesso modo affermare che è stato scelto piuttosto per le azioni future che Dio prevedeva senz'altro. Pertanto come l'Apostolo dimostra che le parole: Il maggiore sarà sottomesso al minore, si riferiscono alle opere? Poiché se non erano ancora nati, le parole non solo non riguardano le opere ma neppure la fede, perché né l'una né le altre esistevano nei gemelli non ancora nati. L'Apostolo pertanto non ha voluto intendere che l'elezione del minore, di modo che il maggiore gli fosse sottomesso, avvenisse in vista della previsione. Per questo, volendo infatti mostrare che non dipendeva dalle opere, ha aggiunto le parole: quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male 96. Diversamente si poteva dirgli: Ma Dio già sapeva che cosa ognuno avrebbe fatto. Si cerca pertanto quale sia il motivo di quella scelta: poiché se non proviene dalle opere, che non esistevano nei gemelli non ancora nati, né dalla fede, che neppure c'era, allora da dove viene?

L'elezione dipende dalla grazia di Dio.

2. 6. Si dirà forse che non c'è stata nessuna scelta poiché nel grembo non c'era alcuna differenza di fede, di opere, di meriti? Però è detto: perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione 97. Sono proprio queste parole a stimolare la ricerca. Salvo che non si debba forse dividere diversamente l'affermazione: Non in base alle opere, ma alla volontà di colui che chiama, fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ", perché rimanesse fermo il disegno divino, cosí da riferire il passo in questione piuttosto ai fanciulli non ancora nati, senza che qui si possa intendere qualche elezione. Quando essi ancora non erano nati e nulla avevano fatto di bene o di male, perché rimanesse fermo il disegno divino fondato sull'elezione 98. Questo significa che essi non avevano fatto nulla di bene o di male per determinare, a motivo di questa azione, la scelta di chi aveva agito bene; non essendoci dunque alcuna elezione di chi aveva agito bene, perché rimanesse fermo il disegno di Dio non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, cioè di colui che, chiamando alla fede, giustifica l'empio per grazia, le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ". Il disegno divino quindi non rimane fermo a causa dell'elezione, ma l'elezione dipende dal disegno: in altre parole il suo disegno di giustificazione rimane fermo non perché Dio trova negli uomini che sceglie opere buone, ma perché il disegno di giustificare i credenti rimane fermo, perché trova opere che egli sceglie per il Regno dei cieli. Se non ci fosse infatti l'elezione, non vi sarebbero eletti e non si potrebbe ragionevolmente dire: Chi accuserà gli eletti di Dio? 99 Pertanto non l'elezione precede la giustificazione, ma la giustificazione l'elezione. Nessuno infatti viene scelto se prima non è separato da colui che è rifiutato. Non vedo quindi come si possa dire, senza la prescienza, quanto sta scritto: Dio ci ha scelti prima della creazione del mondo 100. Inoltre ha voluto che quello che dice qui: Non in base alle opere ma alla volontà di colui che chiama, le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore ", s'intendesse non dell'elezione in base ai meriti, che sorgono dopo la giustificazione della grazia, ma della liberalità dei doni di Dio, perché nessuno si vanti delle opere: Per grazia di Dio infatti siamo salvi, e ciò non viene da noi ma è dono di Dio; né viene dalle opere, perché nessuno possa vantarsene 101.

La fede è un dono della grazia.

2. 7. Si può anche domandare se è la fede a meritare la giustificazione dell'uomo oppure se sono i meriti della fede a precedere la misericordia di Dio o anche la stessa fede è invece da annoverarsi tra i doni della grazia. Perché anche in questo passo, dopo aver detto: non dalle opere, non aggiunge: Ma dalla fede le fu dichiarato: " Il maggiore sarà sottomesso al minore "; ma dice: per volere di colui che chiama. Nessuno infatti crede se non è chiamato. Ora è Dio nella sua misericordia a chiamare, e lo fa indipendentemente dai meriti della fede, perché i meriti della fede seguono e non precedono la chiamata. Infatti come credono in colui che non hanno sentito? E come sentiranno se nessuno predica? 102 Se la misericordia di Dio non precede chiamando, nessuno può credere per iniziare da qui ad essere giustificato e ottenere la facoltà di ben operare. Infatti: Cristo è morto per gli empi 103. Per volere di colui che chiama il minore, senza alcun merito delle sue opere, ottenne dunque che il maggiore gli fosse sottomesso e anche ciò che è scritto: Ho amato Giacobbe, deriva dalla chiamata di Dio, non dalle opere di Giacobbe.

Il rifiuto di Esaù.

2. 8. Che dire allora di Esaú, che è sottomesso al minore e di cui sta scritto: Ho odiato Esaú 104? Per quale dei suoi misfatti lo ha meritato, quando senza ancora essere nato e senza aver fatto nulla di bene o di male, gli fu detto: E il maggiore sarà sottomesso al minore? O forse come di Giacobbe è stato detto senza alcun merito di buone azioni, cosí Esaú si è reso odioso senza alcun demerito di cattive azioni? Ora se Dio, prevedendo le sue cattive opere future, lo predestinò per questo motivo a servire il minore, allo stesso modo, con la prescienza delle sue buone azioni future, predestinò anche Giacobbe, perché il maggiore lo servisse; allora è falso ciò che dice l'Apostolo: non in base alle opere. Se invece è vero che non è in base alle opere, e lo comprova il fatto che è detto di coloro che non erano ancora nati e nulla ancora avevano fatto, e neppure in base alla fede, poiché non c'era assolutamente in chi non era ancora nato, per quale motivo Esaú è odioso ancor prima di nascere? Che Dio abbia infatti creato cose da amare, è fuori discussione. Se invece diciamo che Dio ha creato cose da odiare, è un'assurdità come dice un altro passo della Scrittura: Poiché non hai in odio le cose esistenti e nulla disprezzi di quanto hai creato 105. Per quale pregio il sole è stato creato sole? Per quale colpa la luna è stata creata tanto inferiore a lui o per quale merito è stata creata piú luminosa delle altre stelle? Ma tutte queste sono state create buone, ciascuna nel suo genere. Dio non potrà infatti dire: Ho amato il sole e ho odiato la luna, o: Ho amato la luna e ho odiato le stelle, come ha detto: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaú. Ma ha amato tutte le creature, quantunque ordinate in diversi gradi di eccellenza, poiché Dio vide che erano buone, dopo averle create con la sua parola 106. Che poi abbia odiato Esaú, a motivo della sua iniquità, è ingiusto. Se ammettiamo questo, anche Giacobbe viene ad essere amato in virtú della giustizia. Se questo è vero, allora è falso che non dipende dalle opere. Dipende forse dalla giustizia della fede? Come può dunque aiutarti la frase: quando essi ancora non erano nati? Poiché in colui che non è ancora nato non poteva esserci la giustizia della fede.

La fede è dono della misericordia di Dio.

2. 9. Ora l'Apostolo ha previsto cosa potevano suscitare queste parole nell'animo dell'ascoltatore o del lettore, e subito ha aggiunto: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! E quasi ad insegnare come non vi sia, prosegue: Egli infatti dice a Mosé: " Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla " 107. Con queste parole egli ha sciolto la questione o non l'ha piuttosto complicata ulteriormente? È proprio questo infatti ad agitarci enormemente: se userà misericordia con chi vorrà e avrà pietà di chi vorrà averla, perché Esaú fu privato di questa misericordia, grazie alla quale anch'egli sarebbe stato buono come per la stessa fu reso buono Giacobbe? O forse per questo le parole: Userò misericordia con chi vorrò e avrò pietà di chi vorrò averla, significano che Dio userà la stessa misericordia per chiamarlo e per portarlo alla fede: e a chi avrà usato misericordia, per portarlo alla fede, garantirà la misericordia, ossia lo renderà misericordioso anche per operare il bene? Per questo siamo ammoniti che non conviene ad alcuno gloriarsi e vantarsi delle stesse opere di misericordia, quasi che da esse, come da cose proprie, abbia meritato il favore di Dio, dal momento che egli, che userà misericordia con chi vorrà, gli ha concesso di ottenere questa misericordia. Che se qualcuno si vanta di averla meritata per la fede, sappia che gli è stata donata per credere e che Dio ha usato misericordia ispirando la fede e ha avuto pietà di uno ancora infedele chiamandolo. Allora infatti si distingue il fedele dall'empio. Che cosa mai possiedi - egli dice - che tu non abbia ricevuto? E se l'hai ricevuto perché te ne vanti come non lo avessi ricevuto? 108

Esaù non ha il dono della fede.

2. 10. È certamente giusto. Ma perché questa misericordia è stata rifiutata ad Esaú per non essere chiamato e, dopo la chiamata, venirgli concessa la fede e con la fede divenire misericordioso per ben operare? Forse perché non ha voluto? Se dunque Giacobbe ha creduto perché ha voluto, Dio non gli ha donato la fede ma se l'è procurata da se stesso volendo e ha ottenuto qualcosa senza averla ricevuta. Forse perché nessuno può credere se non vuole, né volere se non è chiamato, né meritare di essere chiamato, chiamando Dio dona anche la fede? Forse perché senza chiamata nessuno può credere, sebbene nessuno creda suo malgrado? Infatti come potranno credere senza averne sentito parlare? O come potranno sentirne parlare senza che uno lo annunzi? 109 Nessuno quindi crede se non è chiamato, però non tutti i chiamati credono. Molti infatti sono chiamati, ma pochi eletti 110. Sono certamente coloro che non hanno disprezzato colui che li chiamava ma lo hanno seguito con fede e senza dubbio hanno creduto acconsentendo. Che vuol dunque dire ciò che segue: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia 111? Forse che non possiamo neppure volere se non siamo chiamati e che il nostro volere è inefficace se Dio non ci aiuta a perfezionarlo? Bisogna dunque volere e correre. Altrimenti sarebbe vano dire: Pace in terra agli uomini di buona volontà 112; e: Correte in modo da conquistare il premio 113. Pertanto non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, ottenere ciò che si desidera e arrivare dove si vuole. Esaú quindi non ha voluto e non ha corso: se invece avesse voluto e avesse corso, sarebbe arrivato con l'aiuto di Dio che, chiamandolo, gli avrebbe dato sia il volere che il correre, a meno che, rifiutata la chiamata, si fosse reso degno di riprovazione. In un modo Dio concede infatti il volere, in un altro ciò che abbiamo chiesto. Ha voluto infatti che il volere fosse opera sua e nostra: sua, chiamando; nostra, seguendo la chiamata. Lui solo concede invece ciò che abbiamo chiesto, ossia di poter bene operare e di vivere eternamente felici. Esaú tuttavia prima di nascere non poteva volere o rifiutare alcuna di queste cose. Perché dunque è stato riprovato mentre era nel seno materno? Si ritorna alle stesse difficoltà che ci angustiano maggiormente non solo per la loro oscurità ma anche per le nostre cosí frequenti ripetizioni.

La prescienza della volontà futura spiega l'elezione di Giacobbe e il rifiuto di Esaù.

2. 11. Perché mai Esaú, ancor prima di nascere, è stato riprovato, quando non poteva credere a chi lo chiamava, né disprezzare la chiamata, né compiere nulla di bene e di male? Se questo dipende dalla prescienza di Dio riguardo alla sua futura cattiva volontà, perché allora Giacobbe non è stato favorito da Dio in previsione della sua futura buona volontà? Una volta ammesso che uno possa venire approvato o riprovato non a causa di ciò che non c'è ancora in lui ma perché Dio sa in anticipo ciò che sarà, ne deriva che Giacobbe ha potuto essere approvato anche a motivo delle azioni future che Dio prevedeva in lui, sebbene non avesse fatto ancora nulla. E non ti aiuterà affatto minimamente che i due non fossero ancora nati, quando è stato dichiarato: Il maggiore sarà sottomesso al minore, perché tu possa dimostrare che qui non si tratta delle opere, dato che non aveva ancora fatto nulla.

La buona volontà in noi è opera di Dio.

2. 12. Se poi esamini attentamente le parole: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia 114, non sembra che l'Apostolo le abbia dette semplicemente perché con l'aiuto di Dio noi otteniamo ciò che vogliamo ma anche con l'intenzione espressa in un altro passo: Attendete alla vostra salvezza con timore e tremore; è Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare, secondo i suoi benevoli disegni 115. Qui mostra chiaramente che anche la stessa buona volontà è suscitata in noi da Dio. Infatti se le parole: Non dipende da chi vuole, ma da Dio che usa misericordia, sono state dette solamente perché la volontà umana da sola è insufficiente a vivere con giustizia e rettitudine, senza l'aiuto della misericordia di Dio, si potrebbe dire anche cosí: Non dipende quindi da Dio che usa misericordia ma dall'uomo che vuole, perché la misericordia di Dio da sola è insufficiente, senza il consenso della nostra volontà. Se Dio infatti usa misericordia anche noi vogliamo: il nostro volere è senz'altro opera della stessa misericordia. È Dio infatti che suscita in noi il volere e l'operare, secondo il suo beneplacito. Se noi infatti domandiamo se la buona volontà è dono di Dio, sarebbe una stranezza se qualcuno osi negarlo. Orbene, poiché la buona volontà non precede la chiamata ma la chiamata la buona volontà, si attribuisce pertanto giustamente a Dio il nostro buon volere, ma non si può attribuire a noi l'essere chiamati. Per questo le parole: Non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, non si devono intendere nel senso che noi, senza il suo aiuto, non possiamo conseguire ciò che vogliamo, ma piuttosto che noi, senza la sua chiamata, non possiamo neppure volere.

La chiamata causa la buona volontà.

2. 13. Ma se questa chiamata è la causa della buona volontà, di modo che ogni chiamato la segua, come sarà vero il detto: Molti i chiamati, pochi gli eletti 116? Se questo è vero, e il chiamato di conseguenza non obbedisce, poiché è in potere della sua volontà non obbedire, si può anche ragionevolmente affermare: Quindi non dipende da Dio che usa misericordia, ma dall'uomo che vuole e corre, perché la misericordia di Dio è insufficiente se non segue l'obbedienza del chiamato. O forse i chiamati in questa maniera che non acconsentono, potrebbero, chiamati in maniera diversa, conformare la volontà alla fede, di modo che sia vero il detto: Molti i chiamati, pochi gli eletti? E cosí, sebbene molti siano stati chiamati in un solo modo, tuttavia perché non tutti sono stati toccati allo stesso modo, seguono la chiamata solo coloro che sono ritenuti idonei a riceverla, di modo che non sia meno vero il detto: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, il quale ha chiamato nel modo che era appropriato a coloro che hanno corrisposto alla chiamata? Anche ad altri poi è giunta la chiamata; ma poiché era tale che essi non potevano corrispondere ed erano incapaci di intenderla, anche di essi si può dire che erano chiamati ma non eletti. Similmente non è neppure vero che non dipende da Dio che usa misericordia ma dall'uomo che vuole e corre, perché l'effetto della misericordia di Dio non può essere in potere dell'uomo di modo che la sua misericordia sia vana se l'uomo non acconsente; perché, se egli volesse usare misericordia anche a costoro, li potrebbe chiamare ugualmente in un modo adatto a loro perché si muovano, comprendano e obbediscano. È dunque vero: Molti i chiamati, pochi gli eletti. Sono infatti eletti quanti sono stati chiamati in modo appropriato, quelli invece che non hanno corrisposto né obbedito alla chiamata, benché chiamati, non sono stati eletti, perché non l'hanno seguita. È ugualmente vero: Non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, perché, anche se chiama molti, usa tuttavia misericordia a coloro che chiama nel modo adatto a loro perché lo seguano. È falso allora dire: Quindi non dipende da Dio che usa misericordia, ma dall'uomo che vuole e corre, perché a nessuno Dio usa misericordia invanamente. A chi poi usa misericordia, egli lo chiama nel modo che ritiene conveniente a lui, perché non respinga colui che chiama.

Perché Esaù non è stato chiamato.

2. 14. A questo punto qualcuno dirà: Perché Esaú non è stato chiamato in modo da voler corrispondere? Noi vediamo infatti che davanti ad identiche realtà, manifeste o spiegate, gli uomini sono diversamente spinti a credere. Cosí, ad esempio, Simeone credette nel nostro Signore Gesú Cristo e lo riconobbe, mentre era ancora piccolo bambino, per rivelazione dello Spirito 117. Natanaele, da una sola frase che udí da lui: Prima che Filippo ti chiamasse, io ti ho visto quando eri sotto il fico, rispose: Rabbi, tu sei il Figlio di Dio, tu sei il Re d'Israele 118. Molto piú tardi, alla stessa confessione, Pietro meritò di sentire che era beato e che gli sarebbero state date le chiavi del Regno dei cieli 119. Per il miracolo compiuto a Cana di Galilea, che l'evangelista Giovanni ricorda come l'inizio dei segni, cioè l'acqua tramutata in vino, i suoi discepoli credettero in lui 120. Egli invitò alla fede molti con la parola; molti non credettero neppure davanti ai morti risuscitati. Perfino i discepoli, spaventati dalla croce e dalla sua morte, vacillarono; il ladro invece allora credette, vedendolo non potente nelle opere ma accomunato nel supplizio della croce 121. Uno dei discepoli, dopo la sua risurrezione, credette non tanto ai membri viventi quanto alle recenti cicatrici 122. Molti tra coloro che lo crocifissero e lo disprezzavano, quando operava miracoli, credettero alla predicazione dei discepoli e ai miracoli da loro compiuti nel suo nome 123. Quando dunque uno in un modo e l'altro in un altro è spinto a credere e spesso una stessa cosa detta in un modo impressiona e detta in un altro non impressiona, scuote l'uno e non scuote l'altro, chi oserà affermare che sia mancato a Dio il mezzo di chiamare per portare anche l'animo di Esaú, con il concorso della volontà, a quella fede da cui è stato giustificato Giacobbe? Che se l'ostinazione della volontà può essere tanto forte da eccitare l'avversione dell'animo contro ogni forma di chiamata, c'è da domandarsi se questa ostinazione non sia un castigo divino, nel senso che Dio lo abbandona quando non chiama in modo tale da spingere alla fede. Chi infatti dirà che anche all'Onnipotente è mancato il mezzo per convincerlo a credere?

L'indurimento del cuore da parte di Dio.

2. 15. Ma perché ricercare questo, quando l'Apostolo stesso aggiunge: Dice infatti la Scrittura al Faraone : " Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra " 124? Ora l'Apostolo ha addotto questo testo per provare ciò che ha detto precedentemente: Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia 125. Egli risponde come se gli venisse domandato: Da dove questo insegnamento? Dice infatti la Scrittura al Faraone: " Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra ". Qui egli prova chiaramente che non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia. E conclude cosí: Dio quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole 126; due cose che non ci sono prima. Infatti, come non è stato annunziato: non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia, cosí è stato anche detto: Non dipende da chi non vuole né da chi disprezza, ma da Dio che indurisce. Dal che si dà ad intendere che l'alternativa proposta in seguito quindi usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, può cosí corrispondere all'affermazione precedente di modo che l'indurimento da parte di Dio consiste nel non volere usare misericordia, senza infliggere nulla che renda l'uomo peggiore ma semplicemente non concedere nulla che lo renda migliore. Se questo avviene senza alcuna distinzione di meriti, chi non uscirà fuori nell'obiezione che lo stesso Apostolo si rivolge? Ma tu mi dirai: " Perché allora rimprovera? ". Chi può infatti resistere al suo volere? 127 Infatti, come appare da numerosi testi delle Scritture, Dio rimprovera frequentemente gli uomini che rifiutano di credere e di vivere rettamente. Per questo si dice che i fedeli e quanti compiono la volontà di Dio vivono irreprensibili 128; di essi la Scrittura non si lamenta. Ma l'Apostolo dice: Perché rimprovera? Chi può infatti resistere al suo volere? quando egli usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole? Non perdiamo però di vista ciò che precede al fine di ricavarne, per quanto il Signore ci assiste, il nostro parere.

Soluzione della questione.

2. 16. L'Apostolo ha detto infatti precedentemente: Che diremo dunque? C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 129 Questo principio rimanga dunque fermo e inalterabile nell'anima di retta pietà e stabile nella fede: in Dio non c'è affatto ingiustizia; si creda inoltre con assoluta energia e fermezza che Dio usa misericordia con chi vuole e indurisce chi vuole, cioè avere pietà di chi vuole e non averla di chi non vuole è parte di una misteriosa giustizia inaccessibile al metro umano, da riconoscere anche negli affari umani e nei contratti terreni; se in essi noi non serbiamo impressa qualche vestigio della suprema giustizia, giammai l'aspirazione della nostra debolezza oserebbe levare lo sguardo e l'ardente desiderio verso la dimora e il santuario santissimo e purissimo dei precetti spirituali. Beati coloro che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati 130. Noi in questo arido deserto della vita e della condizione mortale inaridiremmo quindi molto prima di sentire la sete, se non ci irrorasse dall'alto una qualche soavissima brezza di giustizia. Per questo, come la società umana si relaziona dando e ricevendo scambievolmente le cose, dovute o no, che si danno e ricevono, chi non vede che non si può accusare di ingiustizia uno che esige ciò che gli è dovuto? E tantomeno colui che vuole condonare ciò che gli è dovuto? E questo è forse in potere di coloro che sono debitori o non piuttosto nella volontà del creditore? Questa immagine o, come ho detto sopra, questo vestigio, proveniente dalla maestà suprema della giustizia, è stato impresso nei rapporti umani. Tutti gli uomini dunque - poiché come afferma l'Apostolo: Tutti muoiono in Adamo 131, a partire dal quale il peccato originale è passato in tutto il genere umano - sono una massa di peccato soggetta al castigo della divina e suprema giustizia; non c'è nessuna iniquità se il castigo viene inferto o viene condonato. Ma i debitori giudicano orgogliosamente a chi si deve dare il castigo e a chi il condono, come gli operai condotti alla vigna si sono ingiustamente indignati perché veniva dato agli altri lo stesso salario che essi avevano ricevuto 132. Anche l'Apostolo reprime in questi termini l'impudenza della domanda: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? 133 Infatti l'uomo cosí disputa con Dio, quando gli dispiace che Dio rimprovera i peccatori, come se Dio costringesse qualcuno a peccare, quando nega ad alcuni peccatori la misericordia della sua giustificazione: questo è il motivo per cui si dice che indurisce alcuni peccatori, perché non usa loro misericordia non perché li costringe a peccare. Egli poi non usa misericordia a coloro che non giudica degni di misericordia, secondo una giustizia assai misteriosa e molto lontana dai sentimenti umani. Infatti i suoi giudizi sono imperscrutabili e inaccessibili le sue vie 134. A ragione dunque rimprovera i peccatori, perché egli non li costringe a peccare. Rimprovera ugualmente coloro ai quali usa misericordia, perché anch'essi avvertano questa chiamata e, mentre Dio deplora i peccatori, siano contriti di cuore e ricorrano alla sua grazia. Egli rimprovera dunque con giustizia e con misericordia.

Tutti gli uomini sono una massa di peccato.

2. 17. Ma se questo ci turba, che nessuno resiste alla sua volontà, poiché aiuta chi vuole e abbandona chi vuole, quando l'uno e l'altro, l'aiutato e l'abbandonato, appartengono alla stessa massa di peccatori, e sebbene entrambi meritino il castigo, a uno tuttavia è inferto e all'altro condonato; se dunque questo ci turba: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? 135 Ritengo infatti che il termine uomo sia qui impiegato secondo lo stesso significato che ha in questo altro testo: Non siete forse uomini e non camminate alla maniera umana? 136 Con questo termine infatti sono qui designati gli uomini carnali e naturali, ai quali è detto: Io non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali; e ancora: Perché non eravate ancora capaci. E neanche ora lo siete perché siete ancora carnali 137; e ancora: L'uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio 138. A costoro dunque viene detto: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? Forse il vaso dice a colui che l'ha plasmato: " Perché mi hai fatto cosí? ". Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e uno per uso volgare? 139 Dal che si deduce chiaramente che l'Apostolo si rivolge all'uomo carnale, perché questo significa il fango stesso da cui è stato formato il primo uomo; e perché tutti, come ho già ricordato a detta del medesimo Apostolo, muoiono in Adamo, egli dice che è una sola la pasta di tutti. E sebbene un vaso sia adibito ad uso nobile e l'altro ad uso volgare, tuttavia anche quello di uso nobile ha necessariamente un inizio carnale prima di giungere in seguito all'età spirituale. Certamente [i Corinzi] erano già diventati vasi di onore e già erano nati in Cristo, ma, poiché si dirige loro come a fanciulli, li chiama ancora carnali, dicendo: Non ho potuto parlare a voi come a uomini spirituali, ma come ad esseri carnali. Come a neonati in Cristo vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci. E neanche ora lo siete, perché siete ancora carnali 140. Quindi anche se li chiama carnali erano però già rinati in Cristo e in lui erano fanciulli da nutrire con latte. E quello che aggiunge: E neanche ora siete capaci, indica che stanno crescendo per poterlo essere in futuro, perché, ormai rinati spiritualmente, la grazia cominciava ad operare in essi. Erano dunque già vasi di uso nobile coloro ai quali tuttavia si diceva con ragione: O uomo, tu chi sei per disputare con Dio? E se è giusto dirlo a costoro, a maggior ragione si dice di coloro che o non sono ancora rigenerati o sono plasmati per uso volgare. Solo si deve ritenere con solida fede che non c'è iniquità in Dio, sia che condoni sia che esiga il debito; né colui, dal quale lo esige, può ragionevolmente lamentarsi della sua ingiustizia, né colui, al quale lo condona, deve gloriarsi dei propri meriti. Quegli paga infatti ciò che deve, questi ha solamente ciò che ha ricevuto.

Dio non odia l'uomo ma il peccato.

2. 18. Ma a questo punto noi dobbiamo sforzarci, coll'aiuto di Dio, di conciliare la verità di questo testo: Nulla disprezzi di quanto hai creato 141, con quell'altro: Ho amato Giacobbe e ho odiato Esaú 142. In effetti se Dio ha pertanto odiato Esaú, perché era stato plasmato quale vaso per uso volgare, e lo stesso vasaio ha plasmato un vaso per uso nobile e un altro per uso volgare, come può essere che nulla disprezzi di quanto hai creato? Ecco infatti che odia Esaú, che egli stesso ha plasmato per uso volgare. Questa difficoltà si risolve, tenendo presente che Dio è l'artefice di tutte le creature. Ora ogni creatura di Dio è buona 143; e ogni uomo è creatura, in quanto è uomo, non in quanto è peccatore. Dio è dunque creatore del corpo e dell'anima dell'uomo. Nessuna di queste due realtà è male e Dio non le disprezza, poiché nulla disprezza di quanto ha creato. Ora l'anima è superiore al corpo; ma Dio, artefice e creatore di entrambi, nell'uomo odia solo il peccato. Ora il peccato dell'uomo è disordine e perversione, vale a dire lontananza dal Creatore supremo e attaccamento alle creature inferiori. Quindi Dio non odia l'uomo Esaú ma il peccatore Esaú. Cosí si dice anche del Signore: Venne fra la sua gente, ma i suoi non l'hanno accolto 144; similmente egli dice loro: Per questo voi non ascoltate, perché non siete da Dio 145. Come sono suoi e come non sono da Dio, se non perché la prima frase è riferita agli uomini che Dio stesso ha creato e la seconda ai peccatori che il Signore stesso accusava? Gli uomini e i peccatori sono tuttavia i medesimi: uomini per creazione di Dio, peccatori per volontà propria. Che poi abbia amato Giacobbe, significa forse che non era peccatore? Ma in lui amava non la colpa che cancellava, ma la grazia che donava. Cristo infatti è morto per gli empi 146, non perché rimanessero empi, ma perché, giustificati, si convertissero dall'empietà, credendo in colui che giustifica l'empio 147, perché Dio odia l'empietà. Per questo in alcuni la punisce condannando, in altri la distrugge giustificando, come egli giudica che si deve fare nei suoi imperscrutabili giudizi. E che poi dal numero degli empi che non giustifica plasmi vasi per uso volgare, non per questo odia in essi ciò che fa. In quanto sono empi sono detestabili; in quanto poi sono vasi, sono plasmati per qualche utilità, di modo che, mediante le loro giuste punizioni, i vasi plasmati per uso nobile progrediscono. Quindi Dio non li odia, né in quanto sono uomini, né in quanto sono vasi, ossia non odia ciò che ha fatto in essi creandoli, né ciò che ha fatto in essi ordinandoli, perché nulla odia di quanto ha fatto. Che poi li faccia vasi di perdizione, lo fa a correzione degli altri. In essi odia infatti l'empietà che egli non ha fatto. Come il giudice nell'uomo odia il furto, ma non odia che sia condannato alle miniere: quello lo compie il ladro, questa la pronunzia il giudice. Cosí Dio, plasmando dalla massa degli empi vasi di perdizione, non disprezza ciò che fa, cioè l'opera ordinatrice da lui stabilita a condanna dei reprobi, nella quale coloro ai quali egli usa misericordia trovano un'occasione di salvezza. Cosí è stato detto al Faraone: Ti ho fatto sorgere per manifestare in te la mia potenza e perché il mio nome sia proclamato in tutta la terra 148. Questa manifestazione della potenza divina e la proclamazione del suo nome in tutta la terra è utile a coloro che corrispondono a tale chiamata, al fine di temere e correggere le loro vie. Di conseguenza cosí prosegue l'Apostolo: Se pertanto Dio, volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza, ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione 149, è qui sottinteso: Tu chi sei per disputare con Dio? 150 Unendo questa affermazione alle parole precedenti, il senso è il seguente: Se Dio, volendo mostrare la sua ira, ha sopportato vasi di collera, tu chi sei per disputare con Dio? Ma non dice soltanto: Volendo manifestare la sua ira e far conoscere la sua potenza ha sopportato con grande pazienza vasi di collera, già pronti per la perdizione, ma anche ciò che segue: per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso vasi di misericordia 151. Che cosa invero giova ai vasi pronti per la perdizione, che Dio li sopporti con pazienza per perderli secondo l'ordine stabilito e si serva di essi a strumento di salvezza per coloro ai quali usa misericordia? Ma giova sicuramente a coloro per la cui salvezza cosí utilizza questi strumenti, come sta scritto: Il giusto laverà le mani nel sangue del peccatore 152, cioè sarà purificato dalle opere cattive per mezzo del timore di Dio, vedendo i castighi dei peccatori. Dunque il testo: volendo manifestare la sua ira, ha sopportato vasi di collera, serve ad ispirare agli altri un salutare timore e far conoscere le ricchezze della sua gloria verso vasi di misericordia, da lui predisposti alla gloria 153. L'ostinazione degli empi mostra infatti due cose: ciò che si deve temere perché ognuno si converta piamente a Dio e i ringraziamenti dovuti alla misericordia di Dio, che nel castigo degli uni mostra quanto dona agli altri. Se poi è ingiusto il castigo che esige da alcuni, allora non rimette agli altri la pena che non esige. Ma, poiché è giusto il castigo e non c'è alcuna ingiustizia in Dio che punisce, chi potrà mai ringraziare a sufficienza colui che rimette la colpa, che nessuno potrebbe ragionevolmente dire di non meritare, se Dio la volesse esigere?

I vasi di perdizione sono a correzione degli altri.

2. 19. L'Apostolo continua: Noi, che egli ha chiamati non solo tra i Giudei, ma anche tra i pagani 154, vale a dire quelli che ha resi vasi di misericordia predisposti alla gloria. Non ha chiamato tutti i Giudei, ma tra i Giudei, e neppure tutti gli uomini delle nazioni pagane, ma tra i pagani. Da Adamo infatti una sola è la massa dei peccatori e degli empi, nella quale, esclusa la grazia di Dio, sia i Giudei che i pagani appartengono alla stessa pasta. Ora se il vasaio fa con la medesima pasta un vaso per uso nobile e un altro per uso volgare, è chiaro allora che tra i Giudei, come tra i pagani, ci sono vasi preziosi e vasi ignobili. È logico intendere che appartengono tutti alla medesima pasta. L'Apostolo inizia quindi a portare le testimonianze profetiche, invertendo l'ordine delle singole razze. Infatti prima aveva detto: tra i Giudei, poi: tra i pagani. Ora riporta dapprima la testimonianza a favore dei pagani, poi dei Giudei. Esattamente come dice Osea: " Chiamerò mio popolo quello che non era mio popolo e mia diletta quella che non era la diletta ". E avverrà nel luogo dove è stato detto: " Voi non siete mio popolo ", là saranno chiamati figli del Dio vivente 155. Qui si allude ai pagani, che non avevano un luogo specifico per i sacrifici come i Giudei a Gerusalemme. Ora gli Apostoli sono stati inviati ai pagani perché credessero ciascuno nel suo paese e, dove avevano abbracciato la fede, lí offrissero un sacrificio di lode coloro ai quali ha dato potere di diventare figli di Dio 156. Prosegue: E quanto a Israele Isaia esclama. Perché non si creda di nuovo che tutti gli Israeliti siano andati in perdizione, insegna ancora che tra loro furono plasmati vasi preziosi e vasi ignobili. Egli dice: Se anche il numero dei figli d'Israele fosse come la sabbia del mare, sarà salvato solo un resto. Quindi la moltitudine è costituita di vasi pronti per la perdizione. Continua Isaia: Perché con pienezza e rapidità il Signore compirà la sua parola sopra la terra 157; cioè Dio, per la scorciatoia della fede, salverà i credenti mediante la grazia e non mediante le innumerevoli osservanze alle quali era pesantemente sottomessa quella moltitudine. Infatti mediante la grazia ha compiuto per noi con pienezza e rapidità la sua parola sopra la terra, dicendo: Il mio giogo è leggero e il mio carico soave 158. Il che è detto anche qui poco dopo: Vicino a te è la parola, sulla tua bocca e nel tuo cuore: cioè la parola della fede che noi predichiamo. Poiché se confesserai con la tua bocca che Gesú è il Signore e crederai con il tuo cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo. Con il cuore infatti si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per avere la salvezza 159. Questa è la parola che il Signore ha compiuto sulla terra con pienezza e rapidità. Con tale pienezza e rapidità è stato giustificato il ladro il quale, avendo confitte alla croce tutte le membra, eccetto questi due organi, col cuore credette per essere giustificato e con la bocca professò la fede per avere la salvezza. E subito meritò di udire: Oggi sarai con me in paradiso 160. Se, dopo aver ricevuto la grazia, fosse vissuto a lungo tra gli uomini, sarebbero certamente seguite le sue opere buone. Non c'erano però state in precedenza cosí da meritare la grazia: dal furto era stato affisso alla croce, dalla croce trasferito in paradiso. Continua: E ancora secondo ciò che predisse Isaia: " Se il Signore degli eserciti non ci avesse lasciato una discendenza, saremmo divenuti come Sodoma e resi simili a Gomorra " 161. Quanto dice qui: Se non ci avesse lasciato una discendenza, corrisponde a quanto detto precedentemente: un resto sarà salvato. Gli altri invece, come vasi di perdizione, sono periti secondo il meritato castigo. E che tutti non siano periti, come a Sodoma e Gomorra, non è dipeso dai loro meriti ma dalla grazia di Dio che ha lasciato un seme da cui germogliasse un'altra messe in tutta la terra. Lo esprime inoltre piú avanti: Cosí anche al presente c'è un resto, salvato per un'elezione di grazia. E se lo è per grazia, non lo è per le opere; altrimenti la grazia non sarebbe piú grazia. Che dunque? Israele non ha ottenuto quello che cercava: lo hanno ottenuto invece gli eletti; gli altri sono stati accecati 162. I vasi di misericordia l'hanno ottenuta, i vasi di collera sono stati accecati: erano tuttavia della medesima pasta, come nella totalità dei pagani.

Non tutti sono chiamati: i chiamati appartengono ai Giudei e ai Gentili.

2. 20. C'è un passo della Scrittura strettamente congiunto alla questione di cui ora trattiamo, che conferma con ammirevole armonia le idee che abbiamo esposto. In quel libro, che alcuni chiamano Siracide e altri Ecclesiastico, è scritto cosí: Anche gli uomini provengono tutti dalla polvere e dalla terra fu creato Adamo. Il Signore li ha distinti nella sua grande sapienza e ha assegnato loro diversi destini. Alcuni li ha benedetti ed esaltati, altri li ha santificati e avvicinati a sé, altri li ha maledetti e umiliati e li ha messi in opposizione tra loro. Come l'argilla nelle mani del vasaio che la forma e dispone a suo piacimento tutte le sue vie, cosí l'uomo nelle mani di colui che lo ha creato, per retribuirlo secondo la sua giustizia. Di fronte al male c'è il bene e di fronte alla morte la vita; cosí di fronte al giusto il peccatore. Considera perciò tutte le opere dell'Altissimo: due a due, una di fronte all'altra 163. Qui all'inizio è messa in risalto la Sapienza divina: Con grande sapienza - dice - li ha distinti, escludendoli dalla felicità del paradiso. E ha assegnato loro diversi destini, perché ormai vivessero da mortali. Allora di tutti è stata costituita un'unica massa, che deriva dal tralcio del peccato e dalla pena della mortalità, anche se Dio forma e crea cose buone. In tutti infatti c'è bellezza e l'unità tra le membra del corpo è cosí armoniosa che da essa l'Apostolo trae il paragone per raccomandare la carità 164. Tutti possiedono anche lo spirito di vita che anima le membra del corpo e tutta la natura dell'uomo è ordinata con meravigliosa disposizione tra la supremazia dell'anima e la sottomissione del corpo. Ma la concupiscenza carnale, che ormai domina per castigo del peccato, aveva rimescolato tutta l'umanità come in un'unica e medesima pasta a causa del peccato originale che si insinua dappertutto. La Scrittura pertanto prosegue: Alcuni di loro li ha benedetti ed esaltati, altri li ha santificati e avvicinati a sé, altri li ha maledetti e umiliati e li ha messi in opposizione tra loro 165. Il che concorda con l'Apostolo che afferma: Forse il vasaio non è padrone dell'argilla, per fare con la medesima pasta un vaso per uso nobile e un vaso per uso volgare? 166 Anche il seguito offre la stessa similitudine: Come l'argilla nelle mani del vasaio che la forma e dispone tutte le sue vie a suo piacimento, cosí l'uomo nelle mani di colui che l'ha creato 167. Ma in conformità alle parole dell'Apostolo: C'è forse ingiustizia da parte di Dio? 168 vedi cosa qui aggiunge [il Siracide]: Egli darà secondo la sua giustizia 169. Ma quando ai condannati è inflitto un giusto castigo, poiché questo stesso castigo torna a vantaggio e progresso di coloro ai quali è usata misericordia, considera il seguito: Di fronte al bene c'è il male, e di fronte alla morte la vita; cosí di fronte al giusto il peccatore. Considera perciò tutte le opere dell'Altissimo due a due, una di fronte all'altra 170. Sicuramente dice cosí perché dal contrasto con le cose peggiori risaltino e si accrescano le migliori. Tuttavia, poiché esse sono migliori per grazia, è come se dicesse: Un resto sarà salvato 171; prosegue e dice in nome di questo resto: Io mi sono destato per ultimo, come un racimolatore dietro i vendemmiatori 172. E come prova che non dipende dai suoi meriti ma dalla misericordia di Dio? Nella benedizione del Signore - dice - ho posto la mia speranza e come un vendemmiatore ho riempito il tino 173. Infatti anche se egli si è destato per ultimo, poiché tuttavia, com'è scritto, gli ultimi saranno i primi 174, sperando nella benedizione del Signore, il popolo racimolato dal resto d'Israele ha riempito il tino con abbondante vendemmia, che fruttifica da tutta la terra.

Intenzione dell'Apostolo nella lettera.

2. 21. Dunque solo questa è l'intenzione dell'Apostolo e di tutti i giustificati, attraverso i quali ci è stato spiegato il significato della grazia: chi si vanta, si vanti nel Signore 175. Chi discuterà infatti le opere del Signore, perché da una medesima pasta condanna uno e giustifica l'altro? Conta moltissimo il libero arbitrio della volontà; esiste senz'altro, ma che valore ha per coloro che sono venduti come schiavi del peccato 176?. La carne - egli dice - ha desideri contrari allo spirito e lo spirito ha desideri contrari alla carne. Sicché voi non fate quello che volete 177. Ci viene ordinato di vivere rettamente, con la promessa della ricompensa, di vivere eternamente felici, ma chi può vivere rettamente e fare il bene senza essere giustificato dalla fede? Ci è ordinato di credere affinché, ricevuto il dono dello Spirito Santo, possiamo fare il bene mediante l'amore, ma chi può credere senza ricevere una chiamata, cioè senza qualche segno tangibile delle cose? Chi può disporre che il suo animo venga colpito da una cosí forte impressione da muovere la sua volontà alla fede? Chi poi si attacca col cuore a una cosa che non lo attira? E chi ha il potere d'imbattersi in qualcosa che possa attirarlo o di essere attirato se l'incontra? Quando dunque ci attrae qualcosa che ci porta a Dio, questo è ispirato e donato dalla grazia di Dio e non dipende dalla nostra volontà e attività né dai meriti delle nostre azioni. Perché vi sia atto di volontà, intensità di interesse o azioni ferventi di carità, è Dio ad accordarlo e a donarlo. Ci viene comandato di chiedere per ottenere, di cercare per trovare, di bussare perché ci sia aperto 178. Talvolta la nostra stessa preghiera non è forse cosí tiepida o addirittura fredda e quasi nulla, anzi a volte totalmente nulla, che neppure ce ne dispiace? Se invece ne siamo amareggiati, già preghiamo! Che altro dunque ci viene rivelato se non che colui che ci comanda di chiedere, cercare e bussare è lo stesso che ci dona di farlo? Quindi non dipende da chi vuole né da chi corre, ma da Dio che usa misericordia 179, giacché noi non possiamo né volere né correre se egli non ci muove e non ci stimola.

L'elezione misteriosa della grazia.

2. 22. Se qui si fa una scelta, come comprendiamo dal testo: Un resto è stato salvato per un'elezione di grazia 180, non si tratta della scelta dei giustificati per la vita eterna ma della scelta di quelli che saranno giustificati. Certamente questa scelta è cosí misteriosa che ci è assolutamente impossibile scorgerla nella medesima pasta o, se è percepita da qualcuno, io confesso la mia incapacità su questo punto. Se mi è permessa una qualche opinione sull'indagine di questa scelta, non trovo infatti altri motivi nella scelta degli uomini in vista della grazia salvifica all'infuori o del maggiore ingegno o della minore colpevolezza o di entrambe le cose. Aggiungiamo pure, se piace, una formazione dottrinale fruttuosa e onesta. Sembra quindi che la scelta per la grazia debba cadere su chi è irretito e macchiato solo da colpe veniali (chi mai ne è esente?), è di notevole ingegno ed è versato nelle arti liberali. Ma dopo aver stabilito queste condizioni, colui che ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti e gli stolti per confondere i sapienti 181 mi irriderà a tal punto che, fissandolo e corretto dalla vergogna, anch'io mi prenderò gioco di molti, e i piú casti rispetto a certi peccatori e gli oratori rispetto a certi pescatori. Non vediamo molti nostri fedeli che camminano nella via di Dio e non possono affatto paragonarsi per ingegno, non dico a certi eretici ma neppure ai commedianti? Non vediamo inoltre persone di ambo i sessi che vivono nella castità coniugale senza lamentarsi, e tuttavia sono eretici o pagani o, pur vivendo nella vera fede e nella vera Chiesa, sono cosí tiepidi da essere superati, con nostra meraviglia, non solo nella pazienza e temperanza ma anche nella fede, speranza e carità, dalle prostitute e dai commedianti appena convertiti? La scelta dunque è ristretta alla volontà. Ma anche la volontà non può assolutamente muoversi, se non sopraggiunge qualcosa che attrae e invita l'animo; che questo poi avvenga non è in potere dell'uomo. Saulo che cosa voleva, se non aggredire, trascinare via, imprigionare, uccidere? Quanta rabbia, quanta furia, quanta cecità nella sua volontà! Eppure, sbattuto a terra da una sola parola dall'alto e colpito da tale apparizione, la sua mente e la sua volontà, infranta ogni violenza, si è cambiata e rivolta alla fede. In un attimo da furioso persecutore diventò un piú insigne predicatore del Vangelo 182. E tuttavia: Che diremo? C'è forse ingiustizia da parte di Dio, il quale esige il debito da chi vuole e lo condona a chi vuole? Egli non esige mai l'indebito e neppure dona l'alieno. C'è forse ingiustizia da parte di Dio? No certamente! 183 E perché mai con uno agisce cosí e non con un altro? O uomo, tu chi sei? 184 Se tu non paghi il debito, hai di che ringraziare; se paghi, non hai da lamentarti. Crediamo soltanto, anche se siamo incapaci di comprendere, che chi ha creato e fatto tutte le cose, sia le spirituali che le materiali, tutto dispone con misura, calcolo e peso 185. Ma imperscrutabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie 186. Diciamo: Alleluia e intoniamo il canto di lode senza dire: Che è questo? Perché quello? Perché tutte le cose sono state create a suo tempo 187.

Note:

1 - Rm 7, 7-25.

2 - Rm 7, 6.

3 - Rm 7, 7.

4 - Ibidem.

5 - Ibidem.

6 - Rm 7, 8.

7 - Rm 4, 15.

8 - Rm 7, 8.

9 - Rm 7, 9.

10 - Ibidem.

11 - Rm 7, 10.

12 - Rm 7, 9.

13 - Cf. Gn 2, 17.

14 - 1 Tm 2, 14.

15 - Rm 5, 14.

16 - Rm 7, 9.

17 - Rm 7, 9-10.

18 - Rm 7, 11.

19 - Rm 7, 12.

20 - Rm 7, 13.

21 - Cf. 1 Tm 1, 8.

22 - Rm 7, 13.

23 - Ibidem.

24 - Rm 7, 8.

25 - Rm 7, 9.

26 - Rm 7, 13.

27 - Rm 7, 14.

28 - Cf. Sal 18, 8-9.

29 - Rm 7, 14.

30 - 1 Cor 3, 1-2.

31 - Rm 7, 15.

32 - Rm 7, 13.

33 - Rm 7, 7.

34 - Mt 25, 12.

35 - Sal 33, 17.

36 - Rm 7, 15.

37 - Sal 5, 7.

38 - Rm 7, 16.

39 - Rm 7, 17.

40 - Rm 7, 18.

41 - Sal 83, 11.

42 - Rm 6, 12.

43 - Rm 7, 18.

44 - Rm 7, 21.

45 - Rm 7, 22-23.

46 - Cf. 2 Cor 5, 4.

47 - Cf. Sap 9, 15.

48 - Gn 2, 17.

49 - Rm 7, 23.

50 - Rm 7, 24-25.

51 - Rm 5, 20.

52 - 2 Cor 3, 7.

53 - 1 Cor 15, 56.

54 - Rm 7, 4-6.

55 - Rm 7, 22.

56 - Rm 5, 20.

57 - Rm 7, 8.

58 - Rm 7, 13.

59 - Rm 7, 7.

60 - Rm 7, 7-8.

61 - Rm 7, 12.

62 - Rm 7, 13.

63 - 2 Cor 3, 7.

64 - 2 Cor 2, 15-16.

65 - Rm 13, 10.

66 - Es 20, 13-17.

67 - Rm 13, 8-9.

68 - 1 Cor 15, 56.

69 - Rm 7, 4.

70 - Gv 1, 17.

71 - Rm 7, 5.

72 - Rm 7, 13.

73 - Rm 7, 6.

74 - 2 Cor 3, 6.

75 - Rm 5, 5.

76 - Rm 9, 10.

77 - Rm 9, 29.

78 - Cf. At 15.

79 - Rm 11, 6.

80 - Cf. At 10, 1-4.

81 - 1 Cor 3, 17.

82 - Gv 3, 5.

83 - Ef 2, 8-9.

84 - Gn 25, 23.

85 - Rm 9, 10; Gn 18, 10.

86 - Rm 9, 10.

87 - Rm 9, 11-12.

88 - Rm 4, 4.

89 - 2 Tm 4, 7-8.

90 - Ef 4, 8.

91 - Cf. 1 Tm 1, 13.

92 - Cf. Rm 4, 5.

93 - Rm 9, 11-12.

94 - Rm 9, 13.

95 - Cf. Gal 3, 8.

96 - Rm 9, 11.

97 - Ibidem.

98 - Rm 9, 11-12.

99 - Rm 8, 33.

100 - Ef 1, 4.

101 - Ef 2, 8-9.

102 - Rm 10, 14.

103 - Rm 5, 6.

104 - Rm 9, 13.

105 - Sap 11, 25.

106 - Cf. Gn 1.

107 - Rm 9, 14-15.

108 - 1 Cor 4, 7.

109 - Rm 10, 14.

110 - Mt 22, 14.

111 - Rm 9, 16.

112 - Lc 2, 14.

113 - 1 Cor 9, 24.

114 - Rm 9, 16.

115 - Fil 2, 12-13.

116 - Mt 20, 16; 22, 14.

117 - Cf. Lc 2, 25.

118 - Gv 1, 48-49.

119 - Cf. Mt 16, 16-19.

120 - Cf. Gv 2, 11.

121 - Cf. Lc 23, 40-42.

122 - Cf. Gv 20, 27.

123 - Cf. At 2-4.

124 - Rm 9, 17.

125 - Rm 9, 16.

126 - Rm 9, 18.

127 - Rm 9, 19.

128 - Cf. Lc 1, 6.

129 - Rm 9, 14.

130 - Mt 5, 6.

131 - 1 Cor 15, 22.

132 - Cf. Mt 20, 11.

133 - Rm 9, 20.

134 - Cf. Rm 11, 33.

135 - Rm 9, 20.

136 - 1 Cor 3, 3.

137 - 1 Cor 3, 1-3.

138 - 1 Cor 2, 14.

139 - Rm 9, 20-21.

140 - 1 Cor 3, 1-2.

141 - Sap 11, 25.

142 - Ml 1, 2-3

143 - Cf. 1 Tm 4, 4.

144 - Gv 1, 11.

145 - Gv 8, 47.

146 - Cf. Rm 5, 6.

147 - Cf. Rm 4, 5.

148 - Rm 9, 17.

149 - Rm 9, 22.

150 - Rm 9, 20.

151 - Rm 9, 22-23.

152 - Cf. Sal 57, 11.

153 - Rm 9, 22- 23.

154 - Rm 9, 24.

155 - Rm 9, 25-26.

156 - Cf. Gv 1, 12.

157 - Rm 9, 27-28.

158 - Mt 11, 30.

159 - Rm 10, 8-10.

160 - Lc 23, 43.

161 - Rm 9, 29.

162 - Rm 11, 5-7.

163 - Sir 33, 10-15.

164 - Cf. 1 Cor 12, 12 ss.

165 - Sir 33, 12.

166 - Rm 9, 21.

167 - Sir 33, 13.

168 - Rm 9, 14.

169 - Sir 33, 14.

170 - Sir 33, 15.

171 - Rm 9, 27.

172 - Sir 33, 16.

173 - Sir 33, 17.

174 - Mt 20, 16.

175 - 2 Cor 10, 17.

176 - Cf. Rm 7, 14.

177 - Gal 5, 17.

178 - Cf. Mt 7, 7.

179 - Rm 9, 16.

180 - Rm 11, 5.

181 - Cf. 1 Cor 1, 27.

182 - Cf. At 8, 3; 9, 1.

183 - Rm 9, 14.

184 - Rm 9, 20.

185 - Cf. Sap 11, 21.

186 - Cf. Rm 11, 33.

187 - Cf. Sir 39, 14-33.


13 - Pratiche particolari e interiori per quelli che vogliono diventare perfettoi

Trattato della vera devozione a Maria - San Luigi Maria Grignion de Montfort

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257. Queste pratiche esteriori che ho proposto, non devono essere omesse per negligenza, o per poca stima, secondo le possibilità della propria condizione. Oltre a queste, ecco ora delle pratiche interiori, che sono molto santificanti per coloro che lo Spirito Santo chiama a un'alta perfezione. Si tratta, in poche parole, di compiere tutte le proprie azioni per mezzo di Maria, con Maria, in Maria e per Maria, per poterle compiere più perfettamente per mezzo di Gesù Cristo, con Gesù Cristo, in Gesù e per Gesù.

Per mezzo di Maria
258. 1°. Bisogna compiere le proprie azione per mezzo di Maria; bisogna cioè obbedire in ogni cosa alla Santa Vergine e lasciarsi condurre sempre dal suo spirito, che è lo Spirito Santo di Dio: «Tutti quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, sono figli di Dio»; coloro che sono guidati dallo spirito di Maria, sono figli di Maria e quindi figli di Dio, come abbiamo dimostrato; tra tanti devoti della Vergine Santa, quelli autentici e fedeli sono coloro che si fanno guidare dal suo spirito. Ho detto che lo spirito di Maria è lo spirito di Dio: ella infatti non si è mai fatta guidare dal proprio spirito, ma sempre dallo spirito di Dio, il quale è talmente diventato suo ispiratore da diventare il suo stesso spirito. Per questo sant'Ambrogio dice: «Che l'anima di Maria sia in ciascuno per glorificare il Signore; che lo spirito di Maria sia in ognuno per rallegrarsi in Dio». Quanto è felice un'anima quando, sull'esempio del buon fratello gesuita Rodriguez, morto in concetto di santità, è tutta posseduta e guidata dallo spirito di Maria, che è uno spirito dolce e forte, zelante e prudente, umile e coraggioso, puro e fecondo!

259. Perché un'anima possa lasciarsi condurre da questo spirito di Maria, bisogna: 1°. Rinunciare al proprio spirito, al proprio modo di vedere e di volere, prima di fare qualcosa, per esempio prima di mettersi a pregare, prima di celebrare o di partecipare alla santa Messa, alla Comunione, ecc.; infatti se noi seguiamo le tenebre del nostro spirito e la malizia del nostro volere e agire, anche se ci sembrano buoni, mettiamo ostacolo al santo spirito di Maria. 2°. Dobbiamo affidarci allo spirito di Maria per esserne mossi e guidati nel modo che ella vorrà. Bisogna mettersi e lasciarsi andare tra le sue mani verginali, come uno strumento nella mani dell'operaio come un liuto nelle mani di un buon suonatore. Bisogna perdersi e abbandonarsi in lei, come una pietra gettata in mare: si fa in un attimo e con facilità, con una sola occhiata dello spirito, un lieve movimento della volontà, o con una parola, come per esempio: «Rinuncio a me stesso e mi dono a te, mia cara Madre». E anche se non si sente nessun gusto sensibile in questo atto di unione, rimane un gesto autentico; così come se uno dicesse con sincerità - Dio non voglia - «Mi do al demonio!», anche se lo dicesse senza alcuna emozione sensibile, rimane vero che apparterrebbe al demonio. 3°. Durante e dopo le proprie azioni, bisogna di tanto in tanto rinnovare il medesimo atto di offerta e di unione; più lo si farà, più presto ci si santificherà e più presto si arriverà all'unione con Gesù Cristo, che sempre necessaria-mente segue all'unione con Maria, infatti Io spirito di Maria è lo spirito di Gesù.

Con Maria
260. 2°. Bisogna compiere le proprie azioni con Maria; cioè nelle proprie azioni, bisogna guardare Maria come a un modello assoluto di ogni virtù e perfezione, formato dallo Spirito Santo in una semplice creatura per imitarlo secondo la nostra piccola portata. In ogni azione dobbiamo quindi pensare come l'ha compiuta Maria, o come la compirebbe se fosse al nostro posto. Per questo dobbiamo esaminare e meditare le grandi virtù che ella ha praticato durante la sua vita, particolarmente: 1°.la viva fede, per mezzo della quale ha creduto, senza esitare, la parola dell'angelo; ha creduto fedelmente e costantemente fino al piede della croce sul Calvaro; 2°. l'umiltà profonda, che l'ha condotta a rimanere nascosta, a tacere, ad accettare tutto e a mettersi all'ultimo posto; 3°. la purezza tutta divina, che non ha mai avuto, né mai avrà l'uguale sotto il cielo; e infine tutte le altre sue virtù. Lo ripeto un'altra volta: si ricordi che Maria è il grande e unico stampo di Dio, adatto a produrre delle immagini viventi di Dio con poca spesa e in poco tempo; l'anima che ha trovato questo stampo e vi si perde dentro, viene presto mutata in Gesù Cristo, che questo stampo riproduce così com'è.

In Maria
261. 3°. Bisogna compiere le proprie azioni in Maria. Per ben comprendere questa pratica, bisogna sapere che: 1°. La Santa Vergine è il vero paradiso terrestre del nuovo Adamo, di cui il vecchio paradiso terrestre non era che la figura. In questo paradiso terrestre vi sono dunque ricchezze, bellezze, rarità e dolcezze inspiegabili, che il nuovo Adamo, Gesù Cristo, vi ha lasciato. E' in questo paradiso che egli ha posto le sue compiacenze durante nove mesi, che ha operato le sue meraviglie e mostrato le sue ricchezze con la magnificenza di un Dio. Questo luogo santissimo è composto unicamente da una terra vergine e immacolata, dalla quale è stato formato e nutrito il nuovo Adamo, senza alcuna macchia nè bruttura, per l'opera dello Spirito Santo che vi abita. In questo paradiso terrestre che si trova veramente l'albero di vita, che ha portato Gesù Cristo, il frutto di vita; l'albero della scienza del bene e del male, che ha dato la luce al mondo. In questo luogo divino vi sono alberi piantati dalla mano di Dio e innaffiati dalla sua divina unzione, che hanno portato e portano ogni giorno frutti di un gusto divino; vi sono aiuole smaltate di fiori di virtù belli e variopinti, emananti un odore che profuma anche gli angeli. Vi sono in questo luogo dei prati verdi di speranza, torri inespugnabili di fortezza, costruzioni incantevoli di fiducia, ecc. Solo lo Spirito Santo può far conoscere la verità nascosta sotto queste figure di cose materiali. C'è in questo luogo un'aria pulita, senza inquinamento, di purezza; vi è il giorno luminoso, senza notte, dell'umanità santa; il sole splendente, senza ombre, della Divinità; una fornace ardente e perenne di carità, dove tutto il ferro che viene immerso è arroventato e trasformato in oro; vi è un fiume di umiltà che sgorga dalla terra, si divide in quattro rami e irriga tutto questo luogo incantato; sono le quattro virtù cardinali.

262. 2°. Lo Spirito Santo, per bocca dei santi Padri, chiama ancora la Santa Vergine: la porta orientale, attraverso cui il sommo sacerdote Gesù Cristo entra ed esce nel mondo; vi è entrato la prima volta per mezzo di lei e vi ritornerà la seconda; il santuario della Divinità, il riposo della santissima Trinità, il trono di Dio, la città di Dio, l'altare di Dio, il tempio di Dio, il mondo di Dio. Tutti questi diversi titoli e lodi sono molto veri, in riferimento alle tante meraviglie e grazie che l'Altissimo ha compiuto in Maria. Oh! quali ricchezze! Oh! quale gloria! Oh! quale piacere! Oh! quale gioia poter entrare e dimorare in Maria, dove l'Altissimo ha posto il trono della sua gloria suprema.

263. Ma quanto è difficile, per dei peccatori come noi siamo, avere il permesso, la capacità e la luce per entrare in questo luogo così alto e così santo, custodito non da un cherubino come l'antico paradiso terrestre, ma dallo Spirito Santo stesso, che ne è divenuto padrone assoluto; egli dice di lei: «Giardino chiuso tu sei, sorella mia, sposa, giardino chiuso, fontana sigillata». Maria è chiusa; Maria è sigillata; i miseri figli di Adamo e di Eva, cacciati dal paradiso terrestre, non possono entrare in esso, se non per una grazia speciale dello Spirito Santo, che essi devono meritare.

264. Dopo aver ottenuto questa grazia insigne, con la propria fedeltà, bisogna dimorare con piacere nello splendido interiore di Maria, riposarvisi in pace, appoggiarvisi con fiducia, nascondervisi in sicurezza e perdervisi senza riserva, affinché in questo grembo verginale: 1. l'anima venga nutrita del latte della sua grazia e misericordia materna; 2. vi venga liberata da ansie, paure e scrupoli; 3. vi si ritrovi in sicurezza contro tutti i propri nemici, il demonio, il mondo e il peccato, i quali non hanno mai avuto accesso: per questo ella dice: «Chi compie le mie opere non peccherà», cioè: chi in spirito dimora nella Santa Vergine, non commetterà peccati di rilievo; 4. perché sia formata in Gesù Cristo e Gesù Cristo in lei: infatti il suo grembo - come dicono i Padri - è la sala dei divini misteri, dove è stato formato Gesù Cristo e tutti gli eletti: «L'uno e l'altro é nato in essa»

Per Maria
265. 4°. Infine, bisogna compiere tutte le proprie azioni per Maria. Poiché infatti ci si è dedicati completamente al suo servizio, è giusto che si faccia tutto per lei, come un paggio, un servitore e uno schiavo; non che la si prenda per fine ultimo dei propri servizi, che è solo Gesù Cristo, ma come fine prossimo e come ambiente misterioso, come mezzo facile per andare a lui. Come un buon servitore e schiavo, non bisogna rimanere oziosi; bisogna invece, con il sostegno della sua protezione, intraprendere e realizzare grandi cose per questa augusta Sovrana. Bisogna difendere i suoi privilegi quando vengono messi in discussione; bisogna sostenere la sua gloria quando viene attaccata; bisogna attirare tutti, potendolo, al suo servizio e a questa devozione vera e solida; bisogna parlare e gridare contro coloro che abusano della sua devozione per offendere il Figlio suo, e nello stesso tempo occorre promuovere questa devozione autentica; non bisogna pretendere altro da lei, come ricompensa dei propri piccoli servizi, che l'onore di appartenere a una Principessa così amabile, e la gioia di essere, per mezzo di lei, unito a Gesù, suo Figlio, con un legame indissolubile nel tempo e nell'eternità. Gloria a Gesù in Maria! Gloria a Maria in Gesù! Gloria a Dio solo!

MODO DI PRATICARE QUESTA DEVOZIONE NELLA SANTA COMUNIONE


266. PRIMA DELLA COMUNIONE. 1°. Ti umilierai profondamente davanti a Dio. 2°. Rinuncerai al tuo fondo corrotto e alle tue disposizioni, per quanto buone te le faccia apparire il tuo amor proprio. 3°. Rinnoverai la consacrazione, dicendo: «Io sono tutto tuo, mia cara Sovrana, con tutto ciò che mi appartiene». 4°. Pregherai questa buona Madre di prestarti il suo cuore, per accogliervi il Figlio suo con le sue stesse disposizioni. Le dirai che ne va della gloria del Figlio suo, se verrà accolto in un cuore come il tuo, così macchiato e incostante, capace di sminuire la sua gloria o di allontanarsi da lui; ma che se ella vuoI venire ad abitare da te per ricevere il Figlio suo, lo potrà fare per il potere che ha sui cuori; e che il Figlio suo sarà, per mezzo di lei, ben accolto, senza macchia e senza pericolo di essere offeso, o respinto: «Dio sta in essa, non potrà vacillare». Le dirai in confidenza che tutto ciò che le hai dato, dei tuoi beni, è poca cosa per onorarla, ma che - con la santa Comunione - tu vuoi farle il medesimo dono che l'eterno Padre ha fatto a lei, e che questo le renderà più onore che non il donarle tutti i beni della terra; e che infine Gesù, che la ama in modo unico, desidera ancora prendere in lei la sua compiacenza e il suo riposo, sebbene sia nella tua anima, più sporca e più povera della stalla in cui Gesù non ha avuto difficoltà a venire perché vi era presente lei. Le chiederai il suo cuore con queste tenere parole: «Ti prendo per mio tutto. Dammi il tuo cuore, o Maria!».

267. DURANTE LA COMUNIONE. 2°. Pronto a ricevere Gesù Cristo, dopo il Padre nostro, dirai tre volte: «O Signore, non sono degno…», come se dicessi una prima volta all'eterno Padre che tu non sei degno di ricevere il Suo Figlio unico, a causa dei tuoi cattivi pensieri e ingratitudini nei confronti di un così buon Padre, ma che ecco Maria, la sua serva: «Ecco la serva del Signore!», che fa al posto tuo e ti dà fiducia e speranza singolare verso la sua Maestà: «Tu solo, o Signore, mi fai riposare al sicuro!»

268. Dirai al Figlio: «O Signore, non sono degno…». Che non sei degno di riceverlo, a causa delle tue parole inutili e cattive, e della tua infedeltà nel suo servizio; ma che tuttavia lo preghi di avere pietà di te, poiché lo fai entrare nella casa della sua Madre e della tua, e che non lo lascerai andarsene senza che sia venuto ad alloggiare presso di te: «Lo strinsi fortemente e non lo lascerò finché non l'abbia condotto in casa di mia madre, nella stanza della mia genitrice». Lo pregherai di alzarsi e di venire nel luogo del suo riposo e nell'arca della sua santificazione: «Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo, tu e l'arca della tua potenza». Gli dirai che tu non riponi alcuna fiducia nei tuoi meriti, nella tua forza e nella tua preparazione, come Esaù, ma in quelle di Maria, la tua cara Madre, come il piccolo Giacobbe nelle cure di Rebecca; che, pur essendo tu peccatore e come Esaù, osi avvicinarti alla sua santità, sostenuto e ornato dei meriti e delle virtù della sua santa Madre.

269. Dirai allo Spirito Santo: «O Signore, non sono degno...». Che non sei degno di ricevere il capolavoro della sua carità, a causa della tiepidezza e della cattiveria delle tue azioni e per le tue resistenze alle sue ispirazioni, ma che tutta la tua fiducia è Maria, la sua fedele Sposa; e dirai con san Bernardo: «Questa è la mia più grande fiducia; questa è tutta la ragione della mia speranza». Potrai anche pregarlo di venire ancora in Maria, sua indissolubile Sposa: che il suo grembo è puro come non mai, e il suo cuore sempre ardente; e che senza la sua venuta nella tua anima, né Gesù, né Maria saranno mai formati, né degnamente accolti.

270. DOPO LA SANTA COMUNIONE. Rimanendo interiormente raccolto e con gli occhi chiusi, dopo la santa Comunione farai entrare Gesù Cristo nel cuore di Maria. Lo consegnerai a sua Madre, che lo riceverà con amore, gli darà un posto d'onore, lo adorerà profondamente, lo amerà in modo perfetto, l'abbraccerà strettamente e gli renderà in spirito e verità molte delicatezze che sono sconosciute a noi nelle nostre fitte tenebre.

271. Oppure rimarrai profondamente umiliato nel tuo cuore, alla presenza di Gesù dimorante in Maria. O starai come uno schiavo alla porta del palazzo del Re, dove egli sta parlando con la Regina; e mentre essi parlano tra loro, senza aver bisogno di te, te ne andrai spiritualmente per cielo e per terra, invitando tutte le creature a ringraziare, adorare e amare Gesù e Maria al posto tuo: «Venite, prostrati adoriamo... ».

272. O ancora, chiederai tu stesso a Gesù, in unione a Maria, l'avvento del suo regno sulla terra per mezzo della sua santa Madre. oppure la divina sapienza, o il divino amore o il perdono dei tuoi peccati, o qualche altra grazia, ma sempre per mezzo di Maria e in Maria, dirai, togliendo lo sguardo da te stesso: «Signore, non guardare i miei peccati, ma gli occhi tuoi vedano in me solo i meriti e le virtù di Maria». E ricordando i tuoi peccati, aggiungerai: «Un nemico ha fatto questo…»; sono io stesso il mio peggior nemico che mi sta addosso e che ha commesso questi peccati, oppure: «Liberami dall’uomo iniquo e fallace», oppure: «Tu devi crescere e io invece diminuire». Gesù mio, bisogna che tu cresca nella mia anima e che io diminuisca. O Maria. bisogna che tu cresca presso di me e che io sia meno di quello che sono stato. «Siate fecondi e moltiplicatevi…» Gesù e Maria, crescete dentro di me e moltiplicatevi al di fuori, negli altri.

273. Vi è una quantità di altri pensieri che lo Spirito Santo ti suggerisce e ti ispirerà se davvero sarai raccolto. mortificato e fedele a questa grande e sublime devozione che ti ho ora insegnato. Ma ricordati che più lascerai agire Maria nella tua Comunione, e più Gesù sarà glorificato, più lascerai agire Maria per Gesù e Gesù in Maria, più tu sarai nell'umiltà profonda e li ascolterai con pace e silenzio, senza preoccuparti né di vedere, ne di gustare, né di sentire, poiché ovunque il giusto vive di fede, specialmente nella santa Comunione, che è un atto di fede: «Il mio giusto vivrà mediante la fede».

CONSACRAZIONE DI SE STESSI A GESU’ CRISTO, SAPIENZA INCARNATA PER LE MANI DI MARIA

O Sapienza eterna e incarnata! O mio Gesù, tanto amabile e adorabile, vero Dio e vero Uomo, unico Figlio dell'eterno Padre e di Maria, la Sempre vergine! Ti adoro profondamente nel seno e tra gli splendori del Padre tuo, durante l’eternità, e nel grembo verginale di Maria, tua degna Madre, nel tempo della tua incarnazione. Ti ringrazio perché ti sei voluto spogliare di te stesso, assumendo la condizione di schiavo, per liberare me dalla crudele schiavitù del demonio. Ti lodo e ti rendo gloria per aver voluto vivere sottomesso in tutto a Maria, tua santa Madre, per rendere me tuo schiavo fedele, per mezzo di lei. Ma io sono stato davvero ingrato e infedele; non ho mantenuto verso di te i voti e le promesse che avevo fatto solennemente nel mio battesimo e non ho onorato i miei impegni; non merito di essere chiamato tuo figlio, e neppure tuo schiavo: in me, tutto merita i tuoi rimproveri e la tua ira; da parte mia, non oso più avvicinarmi, da solo, alla tua santa e sovrana Maestà. Per questo faccio ricorso alla intercessione e alla misericordia della tua santa Madre, che mi hai dato come Mediatrice presso di te; per mezzo suo, ho speranza di ottenere da te la contrizione e il perdono dei miei peccati, e di acquistare e conservare la Sapienza. Saluto dunque te, o Maria immacolata, vivo tabernacolo della divinità, dove la Sapienza eterna, nascosta, vuole essere adorata dagli angeli e dagli uomini. Ti saluto, Regina del cielo e della terra: al tuo impero è sottomesso tutto ciò che al di sotto di Dio. Ti saluto, rifugio sicuro per i peccatori: la tua misericordia non è mai mancata per nessuno. Esaudisci i desideri che ho della divina Sapienza e ricevi per questo i voti e le offerte che nella mia pochezza ti presento. io ... peccatore infedele, rinnovo oggi e ratifico nelle tue mani i voti del mio battesimo: rinuncio per sempre a Satana, alle sue seduzioni e alle sue opere; mi do interamente a Gesù Cristo, la Sapienza incarnata, per portare dietro a lui la mia croce, tutti i giorni della mia vita, e per essergli più fedele che nel passato. Ti scelgo oggi, davanti a tutta la corte celeste, come mia Madre e Sovrana. Come uno schiavo, ti consegno e ti consacro il mio corpo e l'anima mia, i miei beni interiori ed esteriori, il valore stesso delle mie buone opere, passate, presenti e future; ti lascio il diritto pieno e totale di disporre di me e di tutto ciò che mi appartiene, senza eccezione, secondo il tuo volere e alla maggior gloria di Dio, per il tempo e per l'eternità. O Vergine benigna, ricevi questa piccola offerta della mia schiavitù: a imitazione e in onore della sottomissione che la Sapienza eterna ha voluto avere nella tua maternità; come riconoscimento del potere che tutti e due avete su di me, piccolo verme e misero peccatore; e in ringraziamento per i doni che la Santissima Trinità ti ha concesso. Dichiaro di volere ormai, come tuo vero schiavo, cercare il tuo onore e obbedirti in tutto. O Madre ammirabile, presentami al tuo caro Figlio, in qualità di schiavo per sempre: così egli mi riceverà per mezzo tuo, come per mezzo tuo mi ha riscattato. O Madre di misericordia, fammi la grazia di ottenere la vera Sapienza di Dio e di mettermi per questo nel numero di coloro che tu ami, istruisci, nutri e proteggi come tuoi figli e tuoi schiavi. O Vergine fedele! Rendimi in ogni cosa un così perfetto discepolo e schiavo della Sapienza incarnata, Gesù Cristo, tuo Figlio, da poter giungere, per la tua intercessione e sul tuo esempio, alla pienezza della sua età sulla terra e della sua gloria nei cieli. Amen.


29-10 Aprile 2, 1931 Come quello che tiene di più prezioso la creatura è la volontà. Potenza delle pene volontarie. Il puntello. Come si accende la fiammella nell’anima e come si alimenta.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Il mio abbandono continua nel Santo Volere, ma per quanto abbandonata, sento al vivo le mie ripugnanze nel cadere nello stato delle mie solite sofferenze, e queste ripugnanze sono causate dalle lotte e dalle imposizioni che ci sono sopra di me. Onde nell’amarezza dell’anima mia dicevo al mio dolce Gesù: “Amor mio, vuoi farmi cadere nelle sofferenze, fallo pure, ma da me non voglio mettere la mia volontà, lo farai Tu, sarò contenta, ma da me non ci voglio mettere nulla”. E Gesù tutto afflitto mi ha detto:

(2) “Figlia mia, che ne faccio delle tue pene senza della tua volontà? Non ho che farne né potranno servirmi a disarmare la Divina Giustizia, né a placare il mio giusto sdegno, perché quello che di più bello e di più prezioso tiene la creatura, è la volontà, essa è l’oro, tutto il resto di essa sono cose superficiali, cose senza sostanza, e le stesse pene senza valore. Invece se scorre il filo d’oro della volontà spontanea nelle pene, ha virtù di cambiarle in oro purissimo, degne di Colui che tutto volontariamente soffrì, e anche la stessa morte per amore delle creature. Se Io volessi pene senza volontà, ce ne sono tante abbondante nel mondo, che quando ne voglio ne potrei prendere, ma siccome manca il filo d’oro della loro volontà, non sono per Me, non mi attirano, non mi feriscono il cuore né trovo l’eco delle mie pene volontarie in esse, quindi non hanno virtù di cambiare i flagelli in grazia. Quindi le pene senza volontà sono svuotate di dentro, senza pienezza di grazia, senza bellezza, senza potenza sopra del mio divino cuore, basta un quarto d’ora di pene volontarie per supplire e sorpassare a tutte le pene più atroci che ci sono nel mondo, perché queste sono nell’ordine umano, le volontarie sono nell’ordine divino. E poi, della piccola figlia del mio Volere, non accetterei mai le sue pene senza la spontaneità della sua volontà; era questa che ti rendeva bella e aggraziata al mio cospetto, che apriva la corrente delle mie manifestazioni sulla mia Divina Volontà, e che con forza magnetica mi tirava a fare le mie visite così spesso all’anima tua. La tua volontà sacrificata volontariamente per amor mio, era il mio sorriso, il mio trastullo, e aveva virtù di cambiare i miei dolori in gioie. Quindi mi contenterò piuttosto di tenere solo per Me le pene, anziché farti soffrire senza l’accettazione spontanea della tua volontà. Oh! come ti degraderesti e scenderesti nel basso dei figli dell’umano volere, perdendo il nobile titolo, la preziosa caratteristica di figlia della mia Volontà. Nella mia Volontà non esiste lo sforzo, difatti, nessuno la sforzò nel creare il cielo, il sole, la terra, lo stesso uomo, ma fece volontaria senza che nessuno le dicesse nulla, per amore delle creature; eppure sapeva quanto ne doveva soffrire per causa loro, così voglio chi vuol vivere di mia Volontà; lo sforzo è della natura umana, lo sforzo è impotenza, è mutabilità, lo sforzo è il vero carattere dell’umana volontà. Perciò sii attenta figlia buona, non cambiamo le cose e non mi voler dare questo dolore al mio cuore troppo amareggiato”.

(3) Ond’io nella mia amarezza ho detto: “Mio Gesù, eppure quelli che stanno sopra di me mi dicono: come può essere mai possibile, per quattro, cinque persone che hanno voluto fare il male doveva mandare tanti castighi? Piuttosto che Nostro Signore ha ragione, che i peccati sono assai e perciò i flagelli, e tant’altre cose che dicono e che tu sai”. E Gesù tutto bontà ha soggiunto:

(4) “Figlia mia, come s’ingannano, non è per il peccato dei quattro o cinque che con tanta perfidia hanno giunto fino alle calunnie, questi saranno puniti individualmente, ma è il puntello che mi hanno tolto, le tue sofferenze mi servivano di puntello, toltomi il puntello la mia Giustizia non trova chi la sostiene e rimanendo senza appoggio ha fatto piovere nel tempo che tu sei stata libera dalle tue solite pene flagelli continui e terribili. Invece se ci fosse stato il puntello, anche a succedere sarebbero stato la decima, la quinta parte. Molto più che questo puntello era formato di pene volontarie e voluto da Me, e nelle pene volontarie ci entra una Forza divina, potevo dire che Io stesso nelle tue pene mi facevo puntello per sostenere la mia Giustizia, ora mancandomi le tue pene mi manca la materia per formare il puntello, e quindi la mia giustizia resta libera di fare quello che vuole. Da ciò dovrebbero comprendere il gran bene che ho fatto a tutti e al mondo intero nel tenerti per sì lunghi anni nello stato di pene volontarie. Perciò se non vuoi che la mia Giustizia continui a sconquassare la terra, non mi negare le tue pene volontarie, ed Io ti aiuterò; non temere, lasciami fare”.

(5) Dopo di ciò mi sono tutta abbandonata nel Fiat Divino, col timore che io potesse negare qualche cosa a Gesù e di poter mancare di fare sempre la Divina Volontà. Questo timore mi strappa l’anima e mi rende irrequieta, e solo alla presenza di Gesù mi sento la paciera d’una volta, ma come lo perdo di vista ritorno sotto alla tempesta dei timori, delle paure e ripugnanze, ed il mio dolce Gesù per sollevarmi ha soggiunto:

(6) “Figlia buona, coraggio, sollevati, non ti abbattere; vuoi tu conoscere come si forma la Luce della mia Divina Volontà nell’anima tua? I ripetuti desideri sono come tanti soffi che soffiando sull’anima tua chiamano la fiammella, le goccioline di luce ad accendersi dentro di essa, e quanto più intensamente desideri, tanto più soffia per alimentare la fiammella ed ingrandirla di più, se cessa il soffio c’è pericolo che la fiammella si smorza. Sicché per formare e accendere la fiammella ci vogliono i desideri veri ed incessanti, e per maturare ed ingrandire la luce si vuole l’amore che contiene il germe della luce, invano soffieresti coi tuoi desideri se mancasse la materia accendibile sopra dei tuoi soffi ripetuti. Ma chi mette al sicuro questa fiammella in modo da renderla imperitura, senza pericolo di smorzarsi? Gli atti fatti nella mia Divina Volontà, essi prendono la materia di accendere la fiammella dalla nostra luce eterna, che non è soggetta a smorzarsi, e la mantengono sempre viva e sempre crescente, e la volontà umana innanzi a questa luce si eclissa e diventa cieca, e vedendosi cieca non sente più il diritto d’agire e dà la pace alla povera creatura. Perciò non temere, ti aiuterò Io a soffiare, soffieremo insieme, così la fiammella sarà più bella e più fulgida”.