Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Non ci sono due modi buoni per servire Nostro Signore, ce n'è uno solo, è di servirlo come vuole essere servito. (Santo Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney))

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 16° settimana del tempo ordinario (Santa Brigida)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 8

1Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.2Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?".6Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".8E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?".11Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".

12Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".

13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera".14Gesù rispose: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado.15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.16E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.17Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera:18orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza".19Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".20Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.
21Di nuovo Gesù disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire".22Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".23E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati".25Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico.26Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui".27Non capirono che egli parlava loro del Padre.28Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.29Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite".30A queste sue parole, molti credettero in lui.

31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".33Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?".34Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.35Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre;36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.37So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi.38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!".39Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo". Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!40Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.41Voi fate le opere del padre vostro". Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!".42Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.43Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.46Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio".
48Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".49Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica.51In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".52Gli dissero i Giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte".53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".54Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!",55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".57Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?".58Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".59Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.


Deuteronomio 1

1Queste sono le parole che Mosè rivolse a tutto Israele oltre il Giordano, nel deserto, nella valle dell'Araba, di fronte a Suf, tra Paran, Tofel, Laban, Cazerot e Di-Zaab.2Vi sono undici giornate dall'Oreb, per la via del monte Seir, fino a Kades-Barnea.3Nel quarantesimo anno, l'undicesimo mese, il primo giorno del mese, Mosè parlò agli Israeliti, secondo quanto il Signore gli aveva ordinato di dir loro.4Dopo aver sconfitto Sicon, re degli Amorrei, che abitava in Chesbon, e Og, re di Basan, che abitava in Astarot e in Edrei,5oltre il Giordano, nel paese di Moab, Mosè cominciò a spiegare questa legge:
6"Il Signore nostro Dio ci ha parlato sull'Oreb e ci ha detto: Avete dimorato abbastanza su questa montagna;7voltatevi, levate l'accampamento e andate verso le montagne degli Amorrei e in tutte le regioni vicine: la valle dell'Araba, le montagne, la Sefela, il Negheb, la costa del mare, nel paese dei Cananei e nel Libano, fino al grande fiume, il fiume Eufrate.8Ecco, io vi ho posto il paese dinanzi; entrate, prendete in possesso il paese che il Signore ha giurato di dare ai vostri padri, Abramo, Isacco e Giacobbe, e alla loro stirpe dopo di essi.
9In quel tempo io vi ho parlato e vi ho detto: Io non posso da solo sostenere il carico del popolo.10Il Signore vostro Dio vi ha moltiplicati ed ecco oggi siete numerosi come le stelle del cielo.11Il Signore, Dio dei vostri padri, vi aumenti anche mille volte di più e vi benedica come vi ha promesso di fare.12Ma come posso io da solo portare il vostro peso, il vostro carico e le vostre liti?13Sceglietevi nelle vostre tribù uomini saggi, intelligenti e stimati, e io li costituirò vostri capi.

14Voi mi rispondeste: Va bene ciò che proponi di fare.15Allora presi i capi delle vostre tribù, uomini saggi e stimati, e li stabilii sopra di voi come capi di migliaia, capi di centinaia, capi di cinquantine, capi di decine, e come scribi nelle vostre tribù.16In quel tempo diedi quest'ordine ai vostri giudici: Ascoltate le cause dei vostri fratelli e giudicate con giustizia le questioni che uno può avere con il fratello o con lo straniero che sta presso di lui.17Nei vostri giudizi non avrete riguardi personali, darete ascolto al piccolo come al grande; non temerete alcun uomo, poiché il giudizio appartiene a Dio; le cause troppo difficili per voi le presenterete a me e io le ascolterò.18In quel tempo io vi ordinai tutte le cose che dovevate fare.
19Poi partimmo dall'Oreb e attraversammo tutto quel deserto grande e spaventoso che avete visto, dirigendoci verso le montagne degli Amorrei, come il Signore nostro Dio ci aveva ordinato di fare, e giungemmo a Kades-Barnea.20Allora vi dissi: Siete arrivati presso la montagna degli Amorrei, che il Signore nostro Dio sta per darci.21Ecco il Signore tuo Dio ti ha posto il paese dinanzi; entra, prendine possesso, come il Signore Dio dei tuoi padri ti ha detto; non temere e non ti scoraggiare!22Voi vi accostaste a me tutti e diceste: Mandiamo uomini innanzi a noi, che esplorino il paese e ci riferiscano sul cammino per il quale noi dovremo salire e sulle città nelle quali dovremo entrare.23La proposta mi piacque e scelsi dodici uomini tra di voi, uno per tribù.24Quelli si incamminarono, salirono verso i monti, giunsero alla valle di Escol ed esplorarono il paese.25Presero con le mani i frutti del paese, ce li portarono e ci fecero questa relazione: È buono il paese che il Signore nostro Dio sta per darci.26Ma voi non voleste entrarvi e vi ribellaste all'ordine del Signore vostro Dio;27mormoraste nelle vostre tende e diceste: Il Signore ci odia, per questo ci ha fatti uscire dal paese d'Egitto per darci in mano agli Amorrei e per distruggerci.28Dove possiamo andare noi? I nostri fratelli ci hanno scoraggiati dicendo: Quella gente è più grande e più alta di noi; le città sono grandi e fortificate fino al cielo; abbiamo visto là perfino dei figli degli Anakiti.
29Allora dissi a voi: Non spaventatevi e non abbiate paura di loro.30Il Signore stesso vostro Dio, che vi precede, combatterà per voi, come ha fatto tante volte sotto gli occhi vostri in Egitto31e come ha fatto nel deserto, dove hai visto come il Signore tuo Dio ti ha portato, come un uomo porta il proprio figlio, per tutto il cammino che avete fatto, finché siete arrivati qui.32Nonostante questo, non aveste fiducia nel Signore vostro Dio33che andava innanzi a voi nel cammino per cercarvi un luogo dove porre l'accampamento: di notte nel fuoco, per mostrarvi la via dove andare, e di giorno nella nube.
34Il Signore udì le vostre parole, si adirò e giurò:35Nessuno degli uomini di questa malvagia generazione vedrà il buon paese che ho giurato di dare ai vostri padri,36se non Caleb, figlio di Iefunne. Egli lo vedrà e a lui e ai suoi figli darò la terra che ha calcato, perché ha pienamente seguito il Signore.37Anche contro di me si adirò il Signore, per causa vostra, e disse: Neanche tu vi entrerai,38ma vi entrerà Giosuè, figlio di Nun, che sta al tuo servizio; incoraggialo, perché egli metterà Israele in possesso di questo paese.39E i vostri bambini, dei quali avete detto: Diventeranno oggetto di preda! e i vostri figli, che oggi non conoscono né il bene né il male, essi vi entreranno; a loro lo darò ed essi lo possiederanno.40Ma voi volgetevi indietro e incamminatevi verso il deserto, in direzione del Mare Rosso.
41Allora voi mi rispondeste: Abbiamo peccato contro il Signore! Entreremo e combatteremo in tutto come il Signore nostro Dio ci ha ordinato. Ognuno di voi cinse le armi e presumeste di salire verso la montagna.42Il Signore mi disse: Ordina loro: Non salite e non combattete, perché io non sono in mezzo a voi; voi sarete sconfitti davanti ai vostri nemici.43Io ve lo dissi, ma voi non mi ascoltaste; anzi vi ribellaste all'ordine del Signore, foste presuntuosi e osaste salire verso i monti.44Allora gli Amorrei, che abitano quella montagna, uscirono contro di voi, vi inseguirono come fanno le api e vi batterono in Seir fino a Corma.45Voi tornaste e piangeste davanti al Signore; ma il Signore non diede ascolto alla vostra voce e non vi porse l'orecchio.46Così rimaneste in Kades molti giorni, per tutto il tempo in cui vi siete rimasti.


Siracide 25

1Di tre cose mi compiaccio e mi faccio bella,
di fronte al Signore e agli uomini:
concordia di fratelli, amicizia tra vicini,
moglie e marito che vivono in piena armonia.
2Tre tipi di persone io detesto,
la loro vita è per me un grande orrore:
un povero superbo, un ricco bugiardo,
un vecchio adultero privo di senno.

3Nella giovinezza non hai raccolto;
come potresti procurarti qualcosa nella vecchiaia?
4Come s'addice il giudicare ai capelli bianchi,
e agli anziani intendersi di consigli!
5Come s'addice la sapienza ai vecchi,
il discernimento e il consiglio alle persone eminenti!
6Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice,
loro vanto il timore del Signore.

7Nove situazioni io ritengo felici nel mio cuore,
la decima la dirò con le parole:
un uomo allietato dai figli,
chi vede da vivo la caduta dei suoi nemici;
8felice chi vive con una moglie assennata,
colui che non pecca con la sua lingua,
chi non deve servire a uno indegno di lui;
9fortunato chi ha trovato la prudenza,
chi si rivolge a orecchi attenti;
10quanto è grande chi ha trovato la sapienza,
ma nessuno supera chi teme il Signore.
11Il timore del Signore è più di ogni cosa;
chi lo possiede a chi potrà esser paragonato?

12Qualunque ferita, ma non la ferita del cuore;
qualunque malvagità, ma non la malvagità di una donna;
13qualunque sventura, ma non la sventura
causata dagli avversari;
qualunque vendetta, ma non la vendetta dei nemici.
14Non c'è veleno peggiore del veleno di un serpente,
non c'è ira peggiore dell'ira di un nemico.
15Preferirei abitare con un leone e con un drago
piuttosto che abitare con una donna malvagia.
16La malvagità di una donna ne àltera l'aspetto,
ne rende il volto tetro come quello di un orso.
17Suo marito siede in mezzo ai suoi vicini
e ascoltandoli geme amaramente.
18Ogni malizia è nulla, di fronte alla malizia di una
donna,
possa piombarle addosso la sorte del peccatore!
19Come una salita sabbiosa per i piedi di un vecchio,
tale la donna linguacciuta per un uomo pacifico.
20Non soccombere al fascino di una donna,
per una donna non ardere di passione.
21Motivo di sdegno, di rimprovero e di grande disprezzo
è una donna che mantiene il proprio marito.
22Animo abbattuto e volto triste
e ferita al cuore è una donna malvagia;
23mani inerti e ginocchia infiacchite,
tale colei che non rende felice il proprio marito.
24Dalla donna ha avuto inizio il peccato,
per causa sua tutti moriamo.
25Non dare all'acqua un'uscita
né libertà di parlare a una donna malvagia.
26Se non cammina al cenno della tua mano,
toglila dalla tua presenza.


Salmi 30

1'Salmo. Canto per la festa della dedicazione del tempio. Di Davide'.

2Ti esalterò, Signore, perché mi hai liberato
e su di me non hai lasciato esultare i nemici.
3Signore Dio mio,
a te ho gridato e mi hai guarito.
4Signore, mi hai fatto risalire dagli inferi,
mi hai dato vita perché non scendessi nella tomba.

5Cantate inni al Signore, o suoi fedeli,
rendete grazie al suo santo nome,
6perché la sua collera dura un istante,
la sua bontà per tutta la vita.
Alla sera sopraggiunge il pianto
e al mattino, ecco la gioia.

7Nella mia prosperità ho detto:
"Nulla mi farà vacillare!".
8Nella tua bontà, o Signore,
mi hai posto su un monte sicuro;
ma quando hai nascosto il tuo volto,
io sono stato turbato.
9A te grido, Signore,
chiedo aiuto al mio Dio.

10Quale vantaggio dalla mia morte,
dalla mia discesa nella tomba?
Ti potrà forse lodare la polvere
e proclamare la tua fedeltà?
11Ascolta, Signore, abbi misericordia,
Signore, vieni in mio aiuto.

12Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
13perché io possa cantare senza posa.

Signore, mio Dio, ti loderò per sempre.


Michea 3

1Io dissi:
"Ascoltate, capi di Giacobbe,
voi governanti della casa d'Israele:
Non spetta forse a voi conoscere la giustizia?
2Nemici del bene e amanti del male,
voi strappate loro la pelle di dosso
e la carne dalle ossa".
3Divorano la carne del mio popolo
e gli strappano la pelle di dosso,
ne rompono le ossa e lo fanno a pezzi
come carne in una pentola, come lesso in una caldaia.
4Allora grideranno al Signore,
ma egli non risponderà;
nasconderà loro la faccia, in quel tempo,
perché hanno compiuto cattive azioni.

5Così dice il Signore
contro i profeti che fanno traviare il mio popolo,
che annunziano la pace
se hanno qualcosa tra i denti da mordere,
ma a chi non mette loro niente in bocca
dichiarano la guerra.
6Quindi per voi sarà notte
invece di visioni,
tenebre per voi invece di responsi.
Il sole tramonterà su questi profeti
e oscuro si farà il giorno su di essi.
7I veggenti saranno ricoperti di vergogna
e gli indovini arrossiranno;
si copriranno tutti il labbro,
perché non hanno risposta da Dio.
8Mentre io son pieno di forza
con lo spirito del Signore,
di giustizia e di coraggio,
per annunziare a Giacobbe le sue colpe,
a Israele il suo peccato.

9Udite questo, dunque, capi della casa di Giacobbe,governanti della casa d'Israele,
che aborrite la giustizia e storcete quanto è retto,
10che costruite Sion sul sangue
e Gerusalemme con il sopruso;
11i suoi capi giudicano in vista dei regali,
i suoi sacerdoti insegnano per lucro,
i suoi profeti danno oracoli per denaro.
Osano appoggiarsi al Signore dicendo:
"Non è forse il Signore in mezzo a noi?
Non ci coglierà alcun male".
12Perciò, per causa vostra,
Sion sarà arata come un campo
e Gerusalemme diverrà un mucchio di rovine,
il monte del tempio un'altura selvosa.


Lettera agli Ebrei 4

1Dobbiamo dunque temere che, mentre ancora rimane in vigore la promessa di entrare nel suo riposo, qualcuno di voi ne sia giudicato escluso.2Poiché anche a noi, al pari di quelli, è stata annunziata una buona novella: purtroppo però ad essi la parola udita non giovò in nulla, non essendo rimasti uniti nella fede a quelli che avevano ascoltato.3Infatti noi che abbiamo creduto possiamo entrare in quel riposo, secondo ciò che egli ha detto:

'Sicché ho giurato nella mia ira:
Non entreranno nel mio riposo!'

Questo, benché le sue opere fossero compiute fin dalla fondazione del mondo.4Si dice infatti in qualche luogo a proposito del settimo giorno: 'E Dio si riposò nel settimo giorno da tutte le opere sue'.5E ancora in questo passo: 'Non entreranno nel mio riposo!'6Poiché dunque risulta che alcuni debbono ancora entrare in quel riposo e quelli che per primi ricevettero la buona novella non entrarono a causa della loro disobbedienza,7egli fissa di nuovo un giorno, 'oggi', dicendo in Davide dopo tanto tempo:

'Oggi, se udite la sua voce,
non indurite i vostri cuori!'

8Se Giosuè infatti li avesse introdotti in quel riposo, Dio non avrebbe parlato, in seguito, di un altro giorno.9È dunque riservato ancora un riposo sabatico per il popolo di Dio.10Chi è entrato infatti nel suo riposo, riposa anch'egli dalle sue opere, come Dio dalle proprie.
11Affrettiamoci dunque ad entrare in quel riposo, perché nessuno cada nello stesso tipo di disobbedienza.
12Infatti la parola di Dio è viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell'anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.13Non v'è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a lui noi dobbiamo rendere conto.

14Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede.15Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato.16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per ricevere misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno.


Capitolo VI: Chi ha vero amore, come ne dà prova

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1. Figlio, ancora non sei forte e saggio nell'amore. Perché, o Signore? Perché, per una piccola contrarietà lasci la strada intrapresa e troppo avidamente cerchi consolazione. Chi è forte nell'amore, regge alle tentazioni e non crede alla suadente furbizia del nemico. Come gli sono caro nella prosperità, così gli sono caro nelle avversità. Chi è saggio nell'amore non guarda tanto al pregio del dono, quanto all'amore di colui che dona. Guarda più all'affetto che al prezzo, e pone tutti i doni al di sotto della persona amata. Chi è nobile nell'amore non si appaga nel dono, ma si appaga in me, al di sopra di qualunque dono. Se talvolta, verso di me, o verso i miei santi, hai l'animo meno ben disposto di quanto vorresti, non per questo tutto è perduto. Quell'amore che talora senti, buono e dolce, è effetto della grazia presente in te; è, per così dire, un primo assaggio della patria celeste. Ma è cosa su cui non bisogna fare troppo conto, perché non è ferma e costante.  

2. Segno di virtù e di grande merito, è questo: lottare quando si affacciano cattivi impulsi dell'animo, e disprezzare le suggestioni del diavolo. Dunque non lasciarti turbare da alcun pensiero che ti venga dal di fuori, di qualsivoglia natura. Saldamente mantieni, invece, i tuoi propositi, con l'animo diretto a Dio. Non è una vana illusione che, talvolta, tu sia d'un tratto portato fino all'estremo rapimento, per poi ritornare subito alle consuete manchevolezze spirituali; queste infatti non dipendono da te, ma le subisci contro tua voglia. Anzi, fino a che tali manchevolezze ti disgustano, e ad esse resisti, questo è cosa meritoria, non già rovinosa per l'anima. Sappi che l'antico avversario tenta in ogni modo di ostacolare il tuo desiderio di bene, distogliendoti da qualsiasi esercizio di devozione; distogliendoti, cioè dal culto dei santi, dal pio ricordo della mia passione, dall'utile pensiero dei tuoi peccati, dalla vigilanza del tuo cuore; infine dal fermo proponimento di progredire nella virtù. L'antico avversario insinua molti pensieri perversi, per molestarti e spaventarti, per distoglierti dalla preghiera e dalle sante letture. Lo disgusta che uno umilmente si confessi; se potesse, lo farebbe disertare dalla comunione. Non credergli, non badargli, anche se ti avrà teso sovente i lacci dell'inganno. Ascrivile a lui, quando ti insinua cose cattive e turpi. Digli: vattene, spirito impuro; arrossisci, miserabile. Veramente immondo sei tu, che fai entrare nei miei orecchi cose simili. Allontanati da me, perfido ingannatore; non avrai alcun posto in me: presso di me starà Gesù, come un combattente valoroso; e tu sarai svergognato. Preferisco morire e patire qualsiasi pena, piuttosto che cedere a te. Taci, ammutolisci; non ti ascolterò più, per quante insidie tu mi possa tendere. "Il Signore è per me luce e salvezza; di chi avrò paura? (Sal 26,1). Anche se fossero eretti contro di me interi accampamenti, il mio cuore non vacillerà (Sal 26,3). Il Signore è il mio alleato e il mio redentore" (Sal 18,15).  

3. Combatti come un soldato intrepido. E se talvolta cadi per la tua debolezza, riprendi forza maggiore, fiducioso in una mia grazia più grande, guardandoti però attentamente dalla vana compiacenza e dalla superbia: è a causa di esse che molti vengono indotti in inganno, cadendo talora in una cecità pressoché incurabile. E' questa rovina degli uomini superbi, stoltamente presuntuosi, che ti deve indurre a prudenza e ad indefettibile umiltà.


Omelia 42: Io sono uscito e vengo da Dio. E non sono venuto da me stesso, ma egli mi ha mandato.

Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona

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[La parola di Dio fa presa in noi, se ci lasciamo prendere.]

1. Nostro Signore non era schiavo sebbene ne rivestisse la forma, ed anche in quella forma era il Signore: (quella sua forma umana era, sì, servile, ma sebbene avesse l'aspetto di carne del peccato (cf. Rm 8, 3), non era peccatrice). Ebbene, egli promise la libertà ai credenti in lui. I Giudei, però, orgogliosi della propria libertà, disdegnarono di diventare liberi, pur essendo schiavi del peccato. Dissero che erano liberi perché erano stirpe di Abramo. Nella lettura di oggi abbiamo sentito la risposta che diede loro il Signore. So - disse - che siete stirpe di Abramo, ma cercate di uccidermi perché la mia parola non penetra in voi (Gv 8, 37). Riconosco che siete figli di Abramo, ma voi cercate di uccidermi. Riconosco la vostra origine carnale, ma non trovo in voi la fede del cuore. Siete figli di Abramo, ma secondo la carne. Per questo cercate di uccidermi, perché la mia parola non ha presa in voi. Se la mia parola fosse da voi accolta, a sua volta vi accoglierebbe; se vi accogliesse, come pesci rimarreste presi nella rete della fede. Che vuol dire la mia parola non ha presa in voi? Vuol dire che non prende il vostro cuore, perché il vostro cuore non l'accoglie. La parola di Dio è, e così dev'essere per i fedeli, ciò che l'amo è per i pesci: li prende quando questi abboccano. Non si reca danno a coloro che restano presi, dato che vengono presi per la loro salvezza, non per la loro rovina. Ecco perché il Signore disse ai suoi discepoli: Seguitemi e vi farò pescatori di uomini (Mt 4, 19). Non erano così i Giudei che pure erano figli di Abramo: uomini iniqui, pur essendo figli di un uomo di Dio. Erano suoi discendenti secondo la carne, ma erano degenerati per il fatto che non imitavano la fede del padre loro.

2. Certamente avete sentito il Signore dire: So che siete figli di Abramo; sentite ora cosa dice più avanti: Io dico ciò che ho veduto presso il Padre mio; e anche voi fate ciò che avete visto fare dal padre vostro (Gv 8, 38). Prima aveva detto: So che siete figli di Abramo. Ma che cosa vogliono fare? Ciò che egli aveva detto: voi cercate di uccidermi. Questo non l'avevano certo imparato da Abramo. Il Signore, però, affermando: Io dico ciò che ho veduto presso il Padre mio, vuol far capire che Dio è suo Padre. Cioè, ho veduto la verità, dico la verità, perché sono la verità. Se infatti il Signore dice la verità che ha veduto presso il Padre, ha veduto se stesso, dice se stesso, perché egli stesso è la verità del Padre che ha veduto presso il Padre: egli infatti è il Verbo, il Verbo che è presso il Padre. E allora, quelli, dove hanno veduto il male che fanno e che il Signore rimprovera e condanna? Presso il padre loro. Quando nelle parole che seguono, sentiremo più esplicitamente chi è il padre loro, ci renderemo conto che cosa abbiano veduto presso un tal padre: finora non ha fatto il nome del padre loro. Poco prima egli ha ricordato Abramo, ma a motivo dell'origine carnale, non per la somiglianza della vita. Ora dirà chi è quell'altro loro padre, che non li ha generati né, creandoli, li ha fatti uomini; ma essi tuttavia erano figli suoi in quanto erano malvagi, non in quanto erano uomini; per averlo imitato, non per essere stati da lui creati.

3. Gli replicarono: Il padre nostro è Abramo (Gv 8, 39), come a dire: che cosa hai da dire contro Abramo? oppure: provati, se hai il coraggio, a criticare Abramo. Non che il Signore non osasse criticare Abramo, ma perché Abramo era tale non solo da non meritare da parte del Signore alcun rimprovero, ma da meritare anzi ogni encomio; essi però avevano tutta l'aria di volerlo provocare a parlar male di Abramo e avere così il pretesto per fare ciò che avevano in animo di fare. Il padre nostro è Abramo.

4. Sentiamo come risponde il Signore, lodando Abramo e condannando quelli: Dice loro Gesù: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora, invece, voi cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità che ho udito da Dio; questo Abramo non lo ha fatto! (Gv 8, 39-40). Abramo viene lodato, ed essi sono condannati. Abramo non era certo un omicida. Non vi dico, afferma, che io sono il Signore di Abramo; benché se lo dicessi, direi la verità. In altra circostanza, infatti, disse: Prima che Abramo fosse, io sono (Gv 8, 58), tanto che essi volevano lapidarlo; ora non dice questo. Per ora io sono ciò che voi vedete e contemplate, sono soltanto ciò che voi credete, e cioè un uomo: perché volete uccidere un uomo che vi dice ciò che ha udito da Dio, se non perché non siete figli di Abramo? E tuttavia dianzi ha detto: so che siete figli di Abramo. Non contesta la loro origine, ma condanna le loro opere; la loro carne proveniva da Abramo, ma la loro vita no.

5. E noi, o carissimi, veniamo dalla stirpe di Abramo, o in qualche modo Abramo è stato nostro padre secondo la carne? E' la carne dei Giudei che trae origine dalla sua carne, non la carne dei Cristiani: noi proveniamo da altre genti, e tuttavia, imitando lui, siamo diventati figli di Abramo. Ascolta l'Apostolo: Ad Abramo e alla sua discendenza furono fatte le promesse. Non dice la Scrittura - continua l'Apostolo - ai discendenti, come si trattasse di molti, ma "e alla tua discendenza", come a uno solo, cioè Cristo. E se appartenete a Cristo, siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa (Gal 3, 16 29). Noi dunque siamo diventati discendenti di Abramo per grazia di Dio. Non tra i discendenti della carne di Abramo Dio scelse a lui degli eredi. Questi li diseredò, quelli li adottò: e dall'albero di ulivo, la cui radice si trova nei patriarchi, tagliò i superbi rami naturali innestandovi al loro posto l'umile olivo selvatico (cf. Rm 11, 17). E così, quando i Giudei si recarono da Giovanni per farsi battezzare, egli si scagliò contro di loro chiamandoli razza di vipere. Appunto perché essi si gloriavano della loro nobile origine, egli li chiamò razza di vipere; non solo razza di uomini, ma di vipere. Egli vedeva la loro figura umana, ma sapeva che dentro avevano il veleno. Essi venivano per cambiar vita, e per questo volevano essere battezzati: e tuttavia Giovanni li apostrofò: Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire all'ira che sta per venire? Fate, dunque, frutti degni di penitenza, e non crediate di poter dire dentro di voi: Noi abbiamo per padre Abramo, perché io vi dico che Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo (Mt 3, 7-9). Se non fate frutti degni di penitenza, non contate sulla vostra origine, perché Dio può condannare voi senza privare Abramo di figli. Egli è in grado di suscitare figli ad Abramo; e diventeranno suoi figli coloro che ne avranno imitato la fede: Dio può da queste pietre far sorgere figli ad Abramo. Siamo noi questi figli: eravamo pietre nei nostri padri, quando adoravamo le pietre al posto di Dio, ed è suscitandoci da tali pietre che Dio ha formato per Abramo una nuova famiglia.

[Un vanto vano e vuoto.]

6. Perché innalzarsi, allora, con vuota e vana iattanza? La smettano di gloriarsi di essere figli di Abramo; hanno sentito ciò che meritavano: Se siete figli di Abramo, dimostratelo con i fatti, non con le parole. Cercate di uccidere me uomo, per ora non dico Figlio di Dio, non dico Dio, non dico il Verbo, perché il Verbo non può morire; dico me uomo, che voi vedete; perché potete uccidere solo ciò che vedete, e offendere ciò che non vedete. Questo, Abramo non lo ha fatto! Voi fate le opere di vostro padre (Gv 8, 40-41). E ancora non dice chi è questo loro padre.

7. Vediamo ora che cosa risposero quelli. Cominciarono comunque a rendersi conto che il Signore non parlava della generazione carnale, ma della condotta di vita. E siccome era consuetudine della Scrittura, che essi leggevano, chiamare fornicazione in senso spirituale il fatto che l'anima si assoggettasse come una prostituta ai molti e falsi dèi, così risposero: Noi non siamo nati da fornicazione, noi abbiamo un solo Padre, Dio! (Gv 8, 41). Ecco che Abramo non contava più. Sono stati respinti, come meritavano, dalla bocca della verità; perché Abramo serviva soltanto per gloriarsi di essere suoi discendenti, non per imitarne la condotta. Hanno cambiato la risposta, credo in base a questa considerazione: ogni volta che nominiamo Abramo ci dirà: perché non imitate colui del quale vi gloriate di essere discendenti? Noi non possiamo imitare un uomo così santo, così giusto, così innocente, così grande; diciamo che nostro padre è Dio, e vediamo che cosa ci risponde.

8. La falsità ha trovato cosa dire, e la verità non saprà come rispondere? Sentiamo ciò che dicono e ciò che si sentono rispondere. Essi dicono: Noi abbiamo un solo padre, Dio! E Gesù ad essi: Se Dio fosse padre vostro, mi amereste; io, infatti, da Dio sono uscito e vengo, né sono venuto da me stesso, ma è stato lui a mandarmi (Gv 8, 42). Dite che Dio è vostro padre, riconoscete me almeno come fratello. Con tutto ciò egli innalzò il cuore di quanti erano in grado d'intendere le sue parole, giungendo a quell'affermazione a lui tanto familiare: Non sono venuto da me stesso, è stato lui a mandarmi, da Dio sono uscito e vengo. Ricordate ciò che siamo soliti ripetere: che è venuto da Dio, e colui da cui procede è venuto con lui. Che Cristo è stato mandato vuol dire che Cristo si è incarnato. La processione del Verbo da Dio è processione eterna: non è soggetto al tempo colui per mezzo del quale il tempo è stato creato. Nessuno dica in cuor suo: prima che il Verbo fosse, come era Dio? Non dire: prima che il Verbo fosse. Mai Dio fu senza il Verbo perché il Verbo è permanente, non transeunte; è Dio, non un suono; per mezzo di lui sono stati creati il cielo e la terra, e non è un suono che è passato assieme alle cose che sono state create sulla terra. Egli procede da Dio come Dio, come uguale a lui, come Figlio unigenito, come Verbo del Padre, ed è venuto a noi perché il Verbo si è fatto carne per abitare fra noi (cf. Gv 1, 14). E' venuto in quanto si è fatto uomo, dimora presso il Padre in quanto è Dio. La sua divinità è la meta cui tendiamo, la sua umanità è la via che dobbiamo percorrere. Se egli per noi non si fosse fatto via per cui camminare, mai avremmo potuto pervenire a lui che permane presso il Padre.

9. Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete sentire la mia parola (Gv 8, 43). Non potevano comprendere perché non potevano ascoltare. E non potevano ascoltare, perché non volevano correggersi credendo in lui. E questo perché? Voi avete per padre il diavolo (Gv 8, 44). Fino a quando continuerete a nominare vostro padre? Fino a quando continuerete a cambiare padre? Ora è Abramo, ora è Dio. Ascoltate dalla bocca del Figlio di Dio, di chi siete figli: Voi avete per padre il diavolo.

[Attenzione al Manicheismo.]

10. Qui bisogna guardarsi dall'eresia dei manichei, la quale sostiene l'esistenza di un principio cattivo e di una razza tenebrosa che, con i suoi capi, ha osato combattere contro Dio; contro questa razza nemica che intendeva distruggere il suo regno, Dio inviò - dicono ancora i manichei - i principi della luce da lui generati; quella razza tenebrosa fu sconfitta ma da essa ebbe origine il diavolo. E da essa - dicono - trae origine anche la nostra carne. E' in questo senso che essi interpretano le parole del Signore: Voi avete per padre il diavolo; voi siete malvagi per natura, in quanto discendete da quella razza tenebrosa e ostile a Dio. E così essi cadono nell'errore, diventano ciechi, da se stessi si fanno gente tenebrosa, in quanto credono il falso contro colui che li ha creati. Infatti tutta la natura è buona; viziata è la natura dell'uomo, ma per sua cattiva volontà. Ciò che Dio ha creato non può essere cattivo, e neppure l'uomo, se non lo diventa di sua volontà. Certo, però, che il Creatore è il Creatore, e la creatura resta la creatura: la creatura non può essere uguagliata al Creatore. Distinguete colui che creò da ciò che creò. Non si può confondere il tavolo con il falegname, né la colonna con lo scultore: anche se il falegname che ha fatto il tavolo non ha creato il legno. Il Signore nostro Dio, invece, che è onnipotente, per mezzo del Verbo fece quanto fece; non aveva niente per fare le cose che fece, e tuttavia le fece. Furon fatte perché volle, furon fatte perché diede l'ordine; ma le cose fatte non sono da paragonare a chi le ha fatte. Se cerchi qualcosa da paragonare al Creatore, non trovi che il Figlio unico. Perché dunque i Giudei erano figli del diavolo? Perché lo imitavano, non perché fossero nati da lui. Ascoltate come solitamente si esprime la Scrittura. Dice il profeta ai Giudei: Tuo padre era un Amorreo, tua madre una Hittita (Ez 16, 3). Gli Amorrei erano un popolo da cui non provenivano affatto i Giudei; e gli Hittiti erano popolazioni a sé, completamente estranee ai Giudei. Siccome, però, gli Amorrei e gli Hittiti erano empi, e i Giudei imitavano le loro forme di empietà, li avevano come padri, non perché fossero nati da loro, ma perché, seguendone i costumi, ne condividevano la condanna. Forse vi domanderete quale è allora l'origine del diavolo. Egli ha la stessa origine degli altri angeli. Se non che gli altri angeli rimasero nell'obbedienza, mentre questo, per la sua disobbedienza e superbia, decadde e da angelo diventò diavolo.

11. Ma ascoltate ora che cosa dice il Signore: Voi avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro (Gv 8, 44). Ecco perché siete suoi figli, perché avete gli stessi suoi desideri, non perché siete nati da lui. Quali sono i suoi desideri? Egli è stato omicida fin da principio. Ecco cosa significa volete fare i desideri del padre vostro; voi cercate di uccidere me, che sono un uomo che vi dico la verità. Anche il diavolo ebbe invidia dell'uomo e lo uccise. Essendo infatti invidioso dell'uomo, in forma di serpente si rivolse alla donna, e, mediante la donna, avvelenò anche l'uomo. Essi morirono per aver ascoltato il diavolo (cf. Gn 3, 1). E non l'avrebbero ascoltato se avessero dato ascolto al Signore; l'uomo, che si trovava tra chi lo aveva creato e l'angelo decaduto, avrebbe dovuto obbedire al Creatore, non all'impostore. Dunque egli è stato omicida fin da principio (Gv 8, 44). Considerate in che senso egli era omicida. Il diavolo vien detto omicida non perché si sia presentato all'uomo armato di spada e corazzato di acciaio, ma perché seminò in lui una parola perversa e così lo uccise. Non credere dunque di poter sfuggire all'accusa di omicidio quando spingi tuo fratello al male: se lo induci al male, tu lo uccidi. E affinché ti renda conto che in tal modo lo uccidi, ascolta il salmo: I figli degli uomini hanno lance e frecce per denti, e per lingua una spada affilata (Sal 56, 5). Voi dunque volete compiere i desideri del padre vostro; per questo infierite nella carne, non potendo farlo nello spirito. Egli è stato omicida fin da principio: sì, perché è stato omicida nei confronti del primo uomo; cioè appena fu possibile compiere un omicidio, appena fu creato l'uomo; perché non avrebbe potuto uccidere l'uomo, se l'uomo non fosse esistito. Quindi egli è stato omicida fin da principio. E per qual motivo è stato omicida? E non stette fermo nella verità. Dunque egli era nella verità, ma non vi si mantenne e cadde. E perché non si mantenne nella verità? Perché in lui non è la verità. La verità non è in lui, come invece è in Cristo, che è la stessa verità. Se fosse rimasto nella verità, egli sarebbe rimasto in Cristo; ma non stette fermo nella verità, perché in lui non è la verità.

12. Quando dice menzogna, parla del suo, perché egli è menzognero e padre di menzogna. Che significa questo? Avete ascoltato le parole del Vangelo, le avete considerate attentamente: le ripeto, affinché sappiate bene cosa dovete respingere. Il Signore dice del diavolo ciò che di lui doveva dire. E' vero che egli era omicida fin da principio, perché uccise il primo uomo, e non stette fermo nella verità perché dalla verità defezionò. Quando dice menzogna - continua il Signore parlando del diavolo - parla del suo, perché egli è menzognero e padre di menzogna. Al sentir queste parole, taluni hanno creduto che il diavolo avesse un padre, e si sono chiesti chi potesse essere il padre del diavolo. Il detestabile errore dei manichei trova qui un appiglio per ingannare gli sprovveduti. I manichei infatti dicono: tu ritieni che il diavolo sia stato un angelo che defezionò; il peccato dunque, come voi dite, ha avuto origine da lui; ma chi era suo padre? Noi rispondiamo: Chi di noi ha mai detto che il diavolo ha un padre? Essi replicano: Lo dice il Signore quando, come riferisce il Vangelo, parlando del diavolo, afferma: Egli è stato omicida fin da principio, e non stette fermo nella verità; perché in lui non è la verità. Quando dice menzogna, parla del suo, perché egli è menzognero e padre di menzogna (Gv 8, 44).

[Abbracciare la verità per raggiungere la libertà.]

13. Ascolta e intendi bene; non ti mando lontano, da queste medesime parole potrai intendere bene. Il Signore dice che il diavolo è il padre della menzogna. Che significa questo? Ascolta, rifletti su queste parole e intendile bene. Non chiunque mentisce, quindi, è padre della menzogna. Se infatti tu hai ascoltato da un altro una menzogna e l'hai proferita, tu sei un mentitore in quanto hai detto una menzogna, però non sei il padre di quella menzogna, perché l'hai ricevuta da un altro. Il diavolo, invece, è mentitore da se stesso; egli stesso ha generato la sua menzogna, non l'ha ricevuta da altri. Così come il Padre ha generato il Figlio che è la verità, il diavolo, dopo la sua caduta, ha generato quasi come figlia la menzogna. Detto questo, riprendi a meditare le parole del Signore; renditi conto, o anima cattolica, di ciò che hai udito, poni attenzione a quanto egli dice. Egli - egli chi? il diavolo - è stato omicida fin da principio. Lo sappiamo, uccise Adamo. E non stette fermo nella verità. Lo sappiamo, defezionò dalla verità. Perché in lui non è la verità. E' vero, allontanandosi dalla verità, si è privato della verità. Quando egli proferisce menzogna parla del suo. Non prende da altri ciò che dice. Quando egli proferisce menzogna parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna. E' mentitore e padre della menzogna. Forse anche tu sei mentitore perché dici menzogne, ma non sei il padre della menzogna. Se infatti ciò che dici l'hai ricevuto dal diavolo e in lui hai creduto, sei menzognero non padre di menzogna; il diavolo, invece, che non ha ricevuto da altri la menzogna, con cui uccide l'uomo come fa il serpente con il veleno, è padre della menzogna così come Dio è Padre della verità. Tenetevi lontani dal padre della menzogna, correte verso il Padre della verità; abbracciate la verità onde poter giungere alla libertà.

14. Quei Giudei dunque avevano visto presso il padre loro ciò che dicevano: cosa avevano visto, se non la menzogna? Il Signore invece aveva visto presso suo Padre ciò che andava dicendo: e che cosa aveva visto se non se stesso? che cosa, se non il Verbo del Padre e quindi l'eterna verità del Padre, eterna insieme al Padre? Egli - dunque - era stato omicida fin da principio, e non stette fermo nella verità, perché la verità non è in lui; quando dice menzogna, parla del suo, perché egli è mentitore. E non solo è mentitore, ma è suo padre; cioè è padre della stessa menzogna che dice, perché egli stesso ha generato la sua menzogna. E a me voi non credete perché dico la verità. Chi di voi può convincermi di peccato? (Gv 8, 45-46), mentre invece lo posso io nei riguardi vostri e di vostro padre. Se vi dico la verità, perché non mi credete? Non mi credete perché siete figli del diavolo.

15. Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio; e voi non le ascoltate perché non siete da Dio (Gv 8, 47). Ancora una volta non state a considerare la natura, ma il peccato. Costoro sono da Dio e non sono da Dio: come natura sono da Dio, come peccato non sono da Dio. Fate attenzione, vi supplico: nel Vangelo trovate la medicina contro gli errori velenosi e nefasti degli eretici. E' da queste parole che i manichei colgono pretesto per dire: Vedete, ci sono due nature, una buona e una cattiva: Lo dice il Signore. Che cosa dice? Voi non ascoltate perché non siete da Dio. Questo dice il Signore. Tu, mi si domanda, che cosa dici di fronte a questo? Ascolta che cosa dico. Gli uomini sono da Dio e non sono da Dio: quanto alla natura sono da Dio, quanto al peccato non sono da Dio. La natura, che in quanto è stata creata da Dio è buona, peccò deliberatamente cedendo alle suggestioni del diavolo e si è viziata; per questo cerca il medico, perché è malata. E' questo che io dico. Ti sembra impossibile che siano da Dio e insieme non siano da Dio: renditi conto che non è impossibile. Sono da Dio e non sono da Dio, allo stesso modo che sono e non sono figli di Abramo. Sta scritto qui nel Vangelo, c'è poco da dire. Ascolta il Signore stesso, che ha detto loro: So che siete figli di Abramo. Forse che il Signore può mentire? Certo che no. Allora è vero quanto dice il Signore? E' vero. Allora è vero che i Giudei erano figli di Abramo? E' vero. Ebbene, ascolta come il Signore neghi ciò; egli che aveva detto: Siete figli di Abramo, ora afferma il contrario: Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo! Ora, invece, voi cercate di uccidere me che sono un uomo che vi ho detto la verità che ho udito da Dio; questo, Abramo non lo ha fatto! Voi fate le opere del padre vostro, cioè del diavolo. Sicché, erano o non erano figli di Abramo? Il Signore ha dimostrato che lo erano e non lo erano: erano figli di Abramo quanto all'origine carnale, e insieme non lo erano a causa del peccato proveniente dalla tentazione del diavolo. E altrettanto dicasi nei confronti del Signore Dio nostro: essi erano da lui, e non erano da lui. In che senso erano da lui? Perché egli creò l'uomo dal quale essi erano nati. In che senso ancora erano da lui? In quanto egli è il creatore della natura, il creatore del corpo e dell'anima. In che senso, allora, non erano da lui? In quanto per loro colpa si erano pervertiti: non erano da lui perché, imitando il diavolo, erano diventati figli del diavolo.

16. Il Signore Iddio è venuto dunque all'uomo peccatore. Hai sentito due termini: uomo e peccatore. In quanto uomo egli è da Dio, in quanto peccatore non è da Dio. La natura e il peccato sono due cose distinte: riconosci la natura per lodare il creatore, riconosci il peccato per invocare il medico. Il Signore, dicendo: Chi è da Dio, ascolta le parole di Dio: e voi non le ascoltate perché non siete da Dio, non suppone vari ordini di meriti naturali, non avendo trovato, ad eccezione della sua anima e del suo corpo, un'altra natura umana che non fosse viziata dal peccato; ma siccome sapeva già chi erano quelli che avrebbero creduto, disse che questi erano da Dio, perché sarebbero rinati da Dio in virtù dell'adozione della rigenerazione. Ad essi si riferisce dicendo: Chi è da Dio ascolta le parole di Dio. Ciò che segue: e voi non ascoltate perché non siete da Dio, si riferisce a coloro che, oltre ad essere contaminati dal peccato (male comune a tutti), egli già sapeva che non avrebbero creduto, con quella fede che sola avrebbe potuto liberarli dai vincoli del peccato. Perciò sapeva già che coloro ai quali rivolgeva tali parole, sarebbero rimasti fermi in ciò che erano divenuti imitando il diavolo, cioè sarebbero morti nei loro peccati e nell'empietà che li rendeva a lui somiglianti; e non sarebbero giunti alla rigenerazione, in virtù della quale sarebbero diventati figli di Dio, nascendo da quel Dio, che li aveva creati uomini. Il Signore ha parlato così tenendo conto di questa predestinazione; non perché avesse trovato qualche uomo che secondo la rigenerazione fosse già da Dio, o che secondo la natura non fosse più da Dio.


Novelle e racconti

San Giovanni Bosco - San Giovanni Bosco

Leggilo nella Biblioteca

Al benigno lettore

 

            Crediamo di fare un' opera cara ai nostri lettori pubblicando una piccola raccolta di novelle e racconti scelti da varii autori; i quali per purità di lingua e chiarezza di stile si rendono più commendevoli. Ve ne sono alcuni tolti dal prezioso libro di Silvio Pellico intitolato: I doveri degli Uomini: libro veramente aureo e che vorremmo vedere in mano di molti, per il gran bene che ne verrebbe. Era poi nostro desiderio di far precedere a vita di lui; ma il lettore la può avere nel fascicolo delle Letture Cattoliche publicato nel mese di dicembre del 1862, o nella Storia d'Italia del Sac. Bosco Giovanni[1]. {3 [395]}

            Dopo ve ne sono alcuni tanto ameni ed istruttivi di Cesare Cantù ed alcuni di Giuseppe Manzoni, chiaro autore di lodate novellette. La gioventù specialmente ama, e lo conosciamo per esperienza, brevi fatti, che la commovano ed istruiscano; ed in ciò speriamo di averne intesa ed interpretata la volontà.

            Viene infine una raccolta di aneddoti che si riferiscono alla veneranda persona del Capo della Chiesa. Prima avete il sano precetto di morale, dopo ne vedete l' applicazione. E nella speranza di poter dare una vita intiera di Colui che il mondo Cattolico venera come Sommo Pontefice, e suo Pastore, cominciamo a preparar l' animo dei lettori con alcuni fattarelli divoti e speciali di cui è piena la sua gloriosa vita. Possa questa tenue nostra fatica tornar gradita a tutti e specialmente alla gioventù. Tutto a maggior gloria di Dio. Vivete felici.

 

LA DIREZIONE. {4 [396]}

 

 

I.  Rispetto ai vecchi.

 

            « Non è malvagio se non l'uomo inverecondo verso la vecchiaia, le donne e la sventura » diceva Parini. E Parini giovavasi pur molto dell'autorità che aveva su' suoi discepoli per tenerli ossequiosi alla vecchiaia. Una volta egli era adirato con un giovane del quale gli era stato riferito qualche grave torto. Avvenne che l'incontrò per una strada nell'atto che quel giovane, sostenendo un vecchio cappuccino, gridava con decoro contro alcuni mascalzoni, dai quali era stato urtato. Parini si mise a gridare concordemente e gettate le braccia al collo {5 [397]} del giovane gli disse: « Un momento fa io ti riputava perverso; or che son testimonio della tua pietà pei vecchi, ti ricredo capace di molta virtù.»

 

 

II. I capricci d'un padroncino.

 

            Una madre troppo tenera guastava un suo figliuoletto col soddisfare quanti capricci potevano venirgli in capo alla giornata. Una sera il fanciullo, mentre stava giuocando nel giardino con una cameriera, si mise a piangere e ad urlare. Non l'ebbe si tosto udito la madre, che affacciatasi ad una finestra, le ordinò di dare a suo figlio quant'ei voleva. - « Affè, signora mia, rispose la cameriera, questa volta è impossibile ch'io lo compiaccia. - Come? insolente! vattene tosto di casa mia. - Si calmi per amor del cielo, signora: suo figlio ha vista la luna nella fontana, e vuol ch' io gliela dia. » - La madre arrossì, e la lezione non fu perduta. {6 [398]}

 

 

III. È meglio salvare l'onore che la vita.

 

            Era imposto ad un ufficiale di recarsi ad una pericolosissima spedizione; un suo amico, temendo pei giorni di lui, gli andava pur suggerendo plausibili pretesti di esentarsi dall'esecuzione di quell'ordine. « Avete ragione, disse l'ufficiale, così salverei certamente la mia vita, ma l'onor mio sarebbe morto. »

 

 

IV. Il detrattore.

 

            Un litigante, per rendersi il giudiee favorevole, gli palesò che il suo avversario lo andava mettendo in ridicolo in ogni luogo. « Che importa a te, s' egli mi mette in ridicolo? rispose il giudice onesto; narrami soltanto i torti che ha fatti a te, perch'io debbo dar sentenza sulle ingiurie tue, e non sulle mie. » {7 [399]}

 

 

V. I tre grandi medici.

 

            Un celebre medico era all'agonia; molti de' suoi confratelli lo circondavano, e deploravano sì gran perdita. « Signori, disse loro il moribondo, non vi affannate; lascio dopo di me, tre grandi medici. » I suoi confratelli il pregarono di nominarli, giacchè ognun di loro credeasi di essere in quel numero. « Sono essi, rispose, la dieta, l'acqua e l'esercizio. »

 

 

VI. Onorare i genitori.

 

            Un esempio insigne di figliale rispetto leggesi nella vita di Lorenzo Celso, il quale, essendo doge della repubblica di Venezia, e sapendo che il padre suo, qual membro del senato, non avrebbe potuto dispensarsi dal piegare le ginocchia avanti di lui, siccome {8 [400]} era ai senatori prescritto dalla solenne cerimonia, mise sul proprio berretto ducale una croce, affinchè l'umil atto potesse considerarsi fatto dal padre non già verso la persona del figliuolo, ma verso quell'augusto simbolo di religione. Tutti i successori del Celso aggiunsero da quell' epoca, una croce d'oro alla dignità dei loro vestimenti.

 

 

VII. La Provvidenza.

 

            Una povera vedova inferma si desolava pensando ai figliolini suoi, e come potrebbero vivere e crescere senza genitori. Omobono le raccontò: « Vidi un giorno in un cespuglio una passera posata sovra i suoi pulcini ancora spennati. E venne il nibbio e la rapi. Ed io esclamai: Poveri pulcini! morranno dal freddo e dalla fame. Il domani tornai, e volli rivederli, ed ecco un' altra passera volava a portare {9 [401]} ad essi l'imbeccata. Iddio, che insegnò alle bestie ad amarsi e soccorrersi, vorrà abbandonare i figli vostri? » - La povera vedova inferma l'intese, e si consolò.

 

 

VIII. Pensateci prima.

 

            Mi ricordo che essendo io ragazzino, mia madre mi mandò a l'accogliere le ova nel pollaio: uscendo non badai alla porticina, e percossi d'una forte capata, sicchè più giorni portai l'ammaccatura. Omobono mi disse: Tientela a mente per sapere poi nel mondo alzarli e abbassarli a tempo.

            Un altro di, volendo varcare un fossatello troppo largo, vi cascai. Egli dopo che m'ebbe tratto fuori, rasciutto e consolato, mi disse: Da qui innanzi ti ricorda sempre di far il passo secondo la gamba.

            Mio fratello aveva avuto in regalo una pianta di limone, e vedendola {10 [402]} carica di fiori, li colse e ne fece un mazzolino che mostrava a tutti, che a tutti facea annasare. Ma venne l'estate, e il limone di mio fratello non portò verun frutto, ond' egli se ne lamentava. Omobono gli disse: Figlimi mio, chi vuol aver frutti non colga tutti i fiori.

 

 

IX. L' ozio.

 

            Ad un tale, che non voleva far nulla per paura di rovinarsi la salute, Omobono mostrò due chiavi, una bella lucida, l'altra nera arrugginita, e disse: Questa lustra l'adopero tutti i dì, l'altra la tenni in serbo. Così le forze nostre: l'ozio le corrode, l'esercizio le tien fresche e le aumenta.

 

 

X. Le voglie.

 

            A quelli che ripetono sempre: « O me beato se giungessi ad ottener questo! {11 [403]} - Non mi mancherebbe che quello ad esser felice! - Se raggiungo quel posto, non desidero più altro. Omobono segna a dito una montagna e dice: « Anch' io credeva che quella montagna nulla avesse di più alto, e che di là toccherei il cielo col dito. M' arrampicai anelando fino alla sua vetta; ma che? allora vidi intorno altri monti più eccelsi, e mi trovai lontano dal cielo quanto n'era distante in pianura. Tali sono i desiderii nostri; più v' innalzate, e vedete altre condizioni sempre più alte della vostra e sempre egualmente lontane dalla felicità. »

 

 

XI. L' annegato.

 

            Omobono nuotava un giorno con alcuni amici, quando all'un d'essi girò il capo, sicchè andò al fondo ed affogò. I compagni si posero a far il duolo e disperarsi. Omobono pensò che conveniva soccorrere e non piangere: {12 [404]} buttossi al fiume, il trasse fuori, se lo prese sulle ginocchia alquanto inclinato perchè vomitasse l'acqua, ma senza scuoterlo troppo nè capovolgerlo. Poi subito il trasportò nella vicina osteria, collocandolo in un letto ben caldo, colla testa alta ed appoggiato sul lato destro; e si diede a stropicciargli il corpo con pannilani e con vino caldo, ponendogli anche in bocca qualche stilla d'aceto, stuzzicandogli l'interno delle narici e la gola con una penna intrisa nell' acquavite, e tenendogli scaldate le piante dei piedi. Altri intanto era corso pel medico, il quale coll'arte sua ravvivò quell'infelice.

 

 

XII. II bambino caritatevole.

 

            Io conosco un caro bambino, che ogni sabbato porta il suo vino ad un vecchio infermo, ed ogni solennità ripone per esso quel di più che in quel giorno apparecchiano a mensa. {13 [405]} Ne conosco un altro, che ogni giorno, invece di companatico per colezione, si fa dare dalla mamma tre soldi: e così tutte le domeniche porta alla sua balia ventun soldi, coi quali essa può quel giorno avere una libra di carne sul povero desco.

 

 

XIII. Il cittadino modesto.

 

            Roma era piena de' maggiori disordini. Il popolo languente nella miseria non voleva obbedire al Senato; questo si ostinava nell' aggravare la infelice condizione della plebe immersa nei debiti; e spesso furono le due fazioni del popolo e del Senato in procinto di venire alle mani.

            Per finire quelle discordie, che non cessavano mai, si pensò alfine di eleggere console un certo Quinzio Cincinnato, uomo fatto alla buona, ma riputatissimo per modestia, saviezza e valore. {14 [406]}

            Fu inviata una deputazione di senatori romani al console nuovamente eletto, il quale abitava in villa, ove conduceva una vita semplice e affatto rustica. Stava questi nel suo campo, con un berretto di lana in capo lavorando la terra, quando gli si avvicinarono i senatori. Alla vista del corteggio Cincinnato ferma i buoi aggiogati all'aratro, e come può meglio accoglie la comitiva. I senatori esposero la cagione dell' ambasciata, e rivestirono il virtuoso agricoltore della nuova dignità.

            L' uomo grande non si gonfiò per l'onore compartitogli; anzi volgendo uno sguardo affettuoso al campicello, lo raccomandò alla moglie, poichè molto gli rincresceva di doverlo abbandonare. E solo ciò fece per amore de' concittadini, i quali avean bisogno del suo senno e del braccio in servizio della Repubblica.

            Quinzio Cincinnato accomodò le differenze delle parti contrarie, e amministrò ogni affare con soddisfazione di tutti. Spirato il tempo della sua {15 [407]} magistratura, volevano i cittadini e i grandi che egli continuasse in quella carica; ma Quinzio ricusò l'offerta facendo sentire al Senato, che non si deve mai permettere la violazione delle leggi. E queste non concedevano a lui di esercitare più lungamente il Consolato. - Appena Quinzio usci di carica ritornò al suo aratro e ai semplici costumi della campagna.

 

 

XIV. La concordia.

 

            Federico Barbarossa essendo ritornato in Germania, i suoi avari ministri angariavano crudelmente i sudditi. Convennero perciò i deputati di molte città lombarde nel monistero di Pontida, villaggio nella provincia di Bergamo, e là giurarono di soccorrere coll' armi i Milanesi, e rimediare ai mali comuni. A tal fine Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova, Verona, Ferrara, Treviso e altre città conchiusero {16 [408]} un'alleanza, che ebbe il nome di Lega Lombarda. Il primo obbligo che s'imposero gli alleati, fu di riedificare Milano. Spedirono perciò della gente al luogo, ove era stata demolita la ricca e popolosa città, per ricostruirne immediatamente le mura. Come ben dovevasi congetturare, i Milanesi rifuggiti nei dintorni accorsero a rifabbricar le lor case; e così Milano rinacque in breve sulle proprie rovine. Appena Federico Barbarossa fu avvertito della formazione della Lega raccolse l'esercito e precipitò in Italia. Prima d'accingersi a ridurre le città ribellate alla obbedienza, mosse alla volta di Roma per costringere il Papa a seguire il suo partito. Ma il Sommo Pontefice fuggì, e così deluse la violenza dell' Imperatore.

            Invano il Barbarossa per cinque anni combattè e affaticossi nel soggiogare i coraggiosi uomini di Lombardia che ricusavano di riconoscerlo per sovrano. Erano troppi ed ostinati gli avversari ch' avea a combattere qua e là. Un giorno egli vinceva il nemico, e non  {17 [409]} di rado avveniva che il domani egli era lo sconfitto. Finalmente nel 1176 toecò una rotta micidiale a Legnano sul fiume Olòna. In quella battaglia i Milanesi fecero prodigi di valore. La vittoria fu si completa che per poco pigliavano anche l'imperatore. Solamente allora Federico si persuase del valore e della fermezza degl'Italiani: cosicchè deliberò di finir la guerra e d' intavolare, su condizioni eque, il trattato di quella pace, che sett'anni dopo fu conchiusa in Germania nella città di Costanza[2].

 

 

XV. Il pittore.

 

            Nella villa di Vespignano, quattordici miglia fuor di Firenze, correndo l'anno 1179, nacque ad un certo Bondone, lavorator di campi, un bambino, cui pose il nome di Giotto. Il buon uomo allevò costumatamente il figliuolo, {18 [410]} e questi per la straordinaria sua prontezza d'ingegno era carissimo non solo ai genitori, ma a tutti quelli che lo conoscevano.

            Appena Giotto ebbe compito i dieci anni che il padre gli diede a pascere le pecore. Il buon fanciullo le conduceva qua e là ne' prati, e piuttosto che starsene oziosamente sdraiato, come, pur troppo! mal usano molti pastorelli, prendeva diletto a delineare nell'arena o sulle pietre i contorni delle cose naturali che più gli ferivano la fantasia.

            Un dì stava egli disegnando con un sasso appuntato su di una lastra liscia e pulita una sua agnellina. Passò in quella un pittore chiamato Cimabue, e stupì vedendo come un fanciullo senza studio alcuno sapesse figurare sì bene una pecora. Allettato dalla manifesta disposizione all'arte, e dalle pronte risposte di Giotto, gli domandò se voleva venire a star con lui. Giotto che rispettava sopratutto i suoi parenti, gli rispose: « Volontieri, o signore; ma prima è necessario che se {19 [411]} ne contenti mio padre, cui per nessuna cosa al mondo io disubbidirei. »

            Cimabue andò allora dal Bondone, gli dimandò il figliuolo: e il padre glielo concedè. Lo condusse quindi a Firenze, ove prese ad istruirlo con amore, nella pittura.

            Il giovanetto era sì attento e docile agli ammaestramenti di Cimabue, che presto si fece avanti nell' arte, e diventò il primo pittore de' suoi tempi[3]. {20 [412]}

 

 

XVI. Il coraggio dell'artista.

 

            L'anno 1527, quando i Medici vennero cacciati da Firenze, tutta la città fu in trambusto. Una folla di cittadini aveva dato di piglio alle armi, e corse tosto al palazzo della Signoria; ma le guardie chiusero le porte. S'appiccò {21 [413]}

 

la zuffa, e quelli di dentro gettarono d'alto una panca sovra gli avversari, e la panca percosse in vece un braccio al David del Buonarroti (statua situata innanzi al palazzo), e lo ruppe in tre pezzi. Tre giorni stettero quei pezzi per terra, senza che nessuno pensasse a raccoglierli: ma appena li vide il giovane pittore Checchino De-Rossi, andò al Ponte Vecchio ove abitava il suo condiscepolo Giorgio Vasari, e con gran dolore gli narrò della statua mutilata. {22 [414]} Subito dopo furono veduti Giorgio e Checchino venir in piazza, e di mezzo ai soldati, non badando ai pericoli, toglier su i pezzi di quel braccio, e portarseli a casa. In tal modo i due giovani pittori ci conservarono quei rottami preziosi; i quali furono coll'andar del tempo ricongiunti alla statua per comando del Duca. {23 [415]}

 

 

XVII. Mangiar pece.

 

            Luigi Cornaro, da Venezia, erasi abbandonato in gioventù all'ubbriacchezza, e ne pativa le solite conseguenze: mali di stomaco e di fianco, gotte, ed una febbricciatola che alla bella età di 35 anni lo traeva a passo lento al sepolcro. I medici gli fecero intendere che, per allungare i suoi giorni, l'unica strada era una vita sobria, tutta opposta all' antecedente.

            Vi diede ascolto, e ridottosi ad un metodo preciso di mangiare e bere, in capo d'un anno si riebbe. Allora, ben lontano dal tornare sui primi stravizzi, si propose un viver regolato, che mai non abbandonò. Conoscendo bugiardo quel proverbio: « Ciò che piace alla bocca fa bene allo stomaco, » mai non mangiava se non quel che digeriva facilmente, e serbava sempre un po' di appetito. Gli eccessi di caldo e di freddo, il turbare i sonni ordinari, ed altri disordini che succedono {24 [416]} nel vivere, fanno assai men male a chi sa regolare la bocca. « Chi vuol mangiare assai, diceva a' suoi amici, deve mangiar poco. Fa miglior pro quel cibo che uno lascia di mangiare dopo sazio, che non quello mangiato.

            « La miglior medicina, diceva ancora, è la vita ordinata. » E ben lo provò egli, che con questa a 86 anni si trovava sano e rubizzo, camminava lungamente a piedi anche per le colline, montava di per se a cavallo, studiava e conversava allegro.

            E campò fino a 98 anni, e come era vissuto placido e temperato, così morì nel 1565. « L' ottimo vecchio, racconta un suo amico, sentendosi finire la vita, non riguardava, il gran passaggio con ispavento; ma come avesse dovuto mutarsi da una casa in un'altra. Sedea nel letticciuolo, avendo presente Veronica moglie sua poco meno vecchia di lui, e con voce chiara e sonora mi parlava di lasciare la vita con animo gagliardo: e scrisse ad un amico nostro lettere di consiglio e di conforto. » {25 [417]}

 

 

XVIII. I più poverini.

 

            Era venuto il mese di marzo. Quantunque i terreni ancor non mostrassero frutti o grani di sorta, spuntavano su d'ogni colle le violette, verdeggiavano i campi, i prati, gli alberi: l' aria si era fatta meno fredda, e il cielo sereno. Quindi Giannetto col maggior piacere del mondo usciva di casa per godersi la primavera, e gaio più del consueto si recava saltellando alla scuola. In tale stagione v'intervenivano anche i fanciulli più mal vestiti, e quelli che abitavano nei casolari un poco lontani, sparsi intorno al paesetto.

            A mezzo la scuola soleva il maestro concedere un' ora di ricreazione. In quel frattempo ogni scolaro tirava fuori la colezioncella, che la mamma gli aveva posta nel canestrino, e molti fanciulli se la mangiavano allegramente, senza che nemmeno passasse loro pel capo esservi tra i condiscepoli alcuni si poveretti, i quali non aveano donde satollare la fame. {26 [418]}

            Il maestro, che ben sapeva quale de' suoi scolari era agiato e quale non l'era, con bei ragionamenti li persuadeva a dividere i panetti, le mele, le pere co' più miserabili fra'  loro compagni. Appena il maestro terminò di parlare, Faustino, che era uno de' meglio forniti di cibo, girò l'occhio intorno e visto in un cantuccio Tonietto, ch'era stracciato e scalzo, disse fra se: questi è miserabile! » e corse a porgergli una porzione della sua colezioncella. Quell' esempio, fu tosto seguito dagli altri fanciulli: sicchè Tonietto non solo saziò la fame, ma ebbe roba anche d' avanzo; e la portò ai suoi parenti, i quali pure pativano la fame.

            Ne' giorni successivi il maestro non disse cosa alcuna, e molti scolari non pensavano più al misero Tonietto. Non così però facevano Anselmuccio, Faustino, e cinque o sei buoni fanciulli, i quali ogni mattina risparmiavano o un frutto, o un dolce, o un tozzo di pane per darlo a Tonietto; e costui volea tanto bene a'  suoi benefattori, come se fossero stati suoi fratelli. Faustino {27 [419]} e i suoi compagni, dal canto loro erano contentissimi di giovare al prossimo con sì tenue dono; tutti si compiacevano nel veder quel povero figliuolo a sfamarsi colle porzioncine dei loro cibi; e meglio le godevano così, che se le avessero mangiate essi stessi.

            Venne l' estate. Un bel di che la scuola era piena di ragazzi, ecco entrarvi Tonietto accompagnato da un vecchierello curvato sul bastone. Il pover uomo era magro, calvo in fronte, con una zazzera di capelli bianchi: ma tanto pulito, e di un fare così soave che imponeva rispetto. Fattosi egli avanti, s'inchinò al maestro e si mise a dire: Signore, voi vedete in me un misero contadino che deve la sua vita alla vostra carità e al bel cuore dei vostri scolari. Essi non solo hanno soccorso per due mesi questo mio caro nipotino, ma ancor me, sapete? Uomo virtuoso! io vi ringrazio. Fanciulli benedetti, il cielo vi dia una vita lunga e onorata! - Fecesi accennare da Tonietto qual era stato il più generoso {28 [420]} di quei fanciulli: egli additò Faustino, e il vecchierello accostatosi a lui, esclamò: - Oh fanciullo benefico! io non posso dimostrarvi la mia gratitudine, che abbracciandovi teneramente, chiamandovi figlio, e pregandovi a condurmi dai vostri genitori, ai quali voglio attestare la vostra gran bontà.

            La voce tremola e pietosa del vecchio avea penetrato le belle anime di quei fanciulli; onde, quando lo videro partire insieme con Faustino, e che al maestro cadde una lacrima di tenerezza, essi furono molto commossi, e tutti si proposero di essere sempre caritatevoli.

 

 

XIX. La roba d'altri.

 

            Faustino e Giannetto entrarono in un giardino, e colà videro certi susini, ch' era bisognato puntellare acciocchè il peso delle frutta non ne schiantasse i rami. A quella vista Giannetto esclamò: - « Oh I qui possiamo {29 [421]} saziar la sete col più dolce sugo del mondo. Nessuno ci vede: su via, spicchiamo un ramoscello carico, e scappiamo.»

            « Oibò, rispose Faustino: questo non è lecito, perchè le piante non sono nostre. » - Che importa ciò? riprese Giannetto: il padrone non saprebbe accorgersi ove mangiassimo anche cento susine. Ve' quante sono! Chi le può contare? - Tant' è, non va bene pigliarsi la roba altrui, riprese Faustino, ancorchè sia una piccolezza. Non ti ricordi quello che dice il signor maestro? Figliuoli, guardatevi dal metter mano a ciò che non vi spetta; guardatevi dal cogliere un frutto, un fiore che non sia vostro; perchè s'incomincia dal poco e si finisce col molto; » e così dicendo gli rammentava il settimo comandamento del decalogo. - Giannetto vi pensò un poco, e disse: « Hai ragione, caro Faustino; andiamocene a bocca asciutta. Se avessimo colto una sola di queste susine, saremmo chiamati ladri a giusta ragione. » - Egli era stato in procinto {30 [422]} di far del male, tentando di soddisfare l'arsura della sete e l'ingordigia colle frutta che non erano sue.

 

 

XX. Onore ai maestri.

 

            Teodosio il grande, Imperatore romano, conoscendo quanto poco valgano la nascita illustre e le ricchezze senza la buona educazione, mandò per tutti i suoi regni a cercare il miglior sapiente. E fu trovato essere il filosofo Arsenio, al quale Teodosio affidò suo figliuolo Arcadio, perchè lo allevasse nella virtù e nel sapere. Il giovinetto, superbo, perchè figlio di un imperatore, durante la lezione stava seduto, e faceva rimanere il filosofo in piedi avanti a sè. Ciò avendo veduto Teodosio, gli disse in tuono di rimprovero: « Alzati, e cedi quel posto al tuo maestro. Le ricchezze e la nascita sono un caso; e tu non ne hai merito veruno, e Dio può ritogliertele da oggi {31 [423]} a dimani. Ma la sapienza è vero merito di quel filosofo, che sempre e dappertutto sarà riverito e venerato. Alzati, e cedi quel posto al tuo maestro. » Ed io ho veduto degli scolari che tengono poco conto del loro maestro, solo perchè egli è un povero uomo, ed essi sono figli del possidente, del dottore, o del giudice!

 

 

XXI. Le bolle di sapone.

 

            Una volta Neuton[4] vide un ragazzino che, sbattuto del sapone nell'acqua, con una cannuccia ne levava una stilla, poi soffiandola fuori ne formava de' globi più o meno grossi e leggerissimi. Il fanciullo non badava che al suo giuocherello, ma Neuton pose mente ai bellissimi colori che si {32 [424]} dipingevano su quelle bolle come nell' arco baleno, ed immaginò che la luce (un corpo tanto sottile!) potesse anch' essa decomporsi. Fece e rifece esperimenti, e trovò difatti in essa sette colori primari: violetto, celeste, turchino, verde, giallo, ranciato, rosso. Se tu osservi traverso ad un cristallo faccettato, come sarebbe i turaccioli delle bottiglie, o quelli che tu chiami gemme, distinguerai tutti quei colori. Secondo che un corpo rimanda un o l'altro colore, si dice esser verde, indaco, rancio, o altro. I corpi che rimandano all' occhio tutti i raggi si chiamano bianchi; e quelli che li assorbiscono tutti si chiamano neri.

            Neuton, giovane di soli 22 anni, avea fatto molte importantissime scoperte, e domandandogli alcuno in qual modo fosse riuscito a trovar cose tanto fine, rispose: « Col pensarvi giorno e notte. »

            E questo, o mio buon giovinetto, è l' unico modo di riuscire a qualche cosa di bene; far attenzione a tutto ciò che cade sott'occhi. {33 [425]}

 

 

XXII. Il giovinette industrioso.

 

            Federico e Leopoldo erano stati mandati dal loro padre alla campagna a soprantendere alla mietitura. Tornati, il padre chiese a Federico: - Hanno finito di segare? - Nol so.

            Il grano era ben maturo? - Non ci ho badato.

            Al vecchio fattore cessò la febbre? - Non sapeva che gli venisse.

            Vuol continuare il bel tempo? - Non capisco.

            Leopoldo invece avea preso notizia degli operanti, rese conto che il grano era poco stagionato, e però conveniva venderlo o farlo macinare: che dai vicini aveva inteso come il raccolto fosse scarso, onde si potea cavarne un buon prezzo; che aveva fatto raccogliere le frutta per venderle sul mercato, e delle migliori n'aveva portato un panierino al fattore malato, il quale gli avea dato mille benedizioni. Era {34 [426]} presente uno zio dei due giovanetti, il quale disse: « Leopoldo ha gli occhi in capo: il voglio con me. » E lo pose in un suo negozio ben avviato: impratichito, divenne capo di quello; indi lo zio fra pochi anni glielo cedette. Ora Leopoldo è uno de' negozianti più agiati.

            Federico andava sempre a scivolare sur uno stagno gelato. Una volta non osservò che il freddo era scemato, e che v'erano de' crepacci: andò innanzi senza far mente, e il ghiaccio gli si ruppe sotto. Povero giovinetto!

 

 

XXIII. I due matti.

 

            Due matti imbacuccati nei loro man telli, tremando di freddo entrano in certa osteria, e pregano l'oste ad accendere una fascina, e così ristorarli. L'oste pronto al focolare li mena ed attizza un gran fuoco, poi se ne va. Intanto uno di quelli s'acconcia presso {35 [427]} il fuoco per modo, che, se fosse stato di paglia, e' si sarebbe incenerito allora allora. L' altro si ferma in capo della grande stanza, e tratte fuori dal ferraiolo le mani, sta colle braccia tese al focolare per riscaldarsi. Indi a poco quegli ch'era in sulla brage esclama: Maledetto fuoco! ei mi brucia. Questi che era lontano soggiunse: Oh! io son freddo freddo come prima; e chiamano l'oste. Vien egli, il domandano tutti e due che fuoco, che legna fossero quelle? perchè l'uno diceva d'abbruciarsi, e l'altro non sentirvi punto di calore. Rispose l' uomo, accortosi che non istavano bene in cervello: Il male non è nel fuoco, è in voi. Tu accostati al fuoco quattro passi e ti riscalderai: e tu due tanto rittirati che non ti brucerà di certo. Come egli disse fecero: quindi preso un poco di conforto se ne partirono, lodando il fuoco, le legna, e l'avviso dell'oste. - Questi due pazzi sono il ritratto di quelli che non sapendo usare le cose, come richiede la loro natura, le credono male, tuttochè buonissime, e se ne lamentano. {36 [428]} Non basta il bene a chi non sa farne buon uso. Son lodevoli le ricchezze: ma diventano biasimo nelle mani di chi, o prodigo le getta in istravizi e gozzoviglie, od avaro, le tiene in uno scrigno di ferro.

 

 

XXIV. I tre amici.

 

            Aveva Fronimo stretta amicizia con due ben nate persone, ma nelle loro maniere affatto affatto contrarie. Immaginatevi un uomo cresciuto nella corte tutto gentile e grazioso; un altro allevato in città senza grande studio di galateo, senza politezza di vita; ed eccovi i due amici di Fronimo. Il primo costumando con lui, un altro lui sembrava; poichè ne' dolori di Fronimo sapeva cambiar colore di volto, mandar affievolita la voce, e mostrarsi più ch'egli stesso non era da dolore trafitto; nelle prospere fortune poi avreste detto ch'egli ne fosse il felice. {37 [429]} Conciofossecosachè spessi fossero al cielo i ringraziamenti ch'e' per l'amico faceva, spessi gli evviva che dalla bocca con festa mandava. Trinciava e in andando e in venendo all'amico riverenze profonde, tenea sempre piegato il capo agli inchini, gli stringeva di tempo in tempo la mano, con lui motteggiava leggiadramente; sicchè fu preso l' animo del buon Fronimo in guisa ch'egli per altro occhio non vedeva che per lui, e lui teneva per gemma da guardare con diligenza. Al contrario non passava il secondo nelle cerimonie oltr'a' saluti; e l'allegrezza od il dolore che per l'amico sentiva, più nel seno celava che di fuori mostrasse. Onde Fronimo abbagliato dagli artifiziosi modi dell'altro, con amichevole viso questo ricevea mosso dalla creanza piuttosto che dall'amore. Intervenne un giorno, che per certo interesse dovette pagare gran somma di danaro; nè tanto in scrigno n'aveva ch'a quello aggiugnesse. Entrando in isperanza che l' amico grazioso l' avrebbe del denaro servito, alla sua {38 [430]} casa avviossi. Picchia all'uscio, gli apre con parole assai amichevoli, e con lieto viso il riceve; ma dettogli perchè fosse venuto, il galante signore, bravo a negare con grazia, lo mandò senza conforto. Che ha da fare? Va alla casa dell' altro amico, ma senza punto di confidenza, per avventurare una domanda soltanto come i disperati il colpo, che se va va. Giuntovi, fa chiaro del suo bisogno l'amico, d'aiuto il prega. Vedi amicizia! questi senza più lo trasse allo scrigno e a lui portò le chiavi: Ecco, gli dice, fa ragion che sia tuo. - Le belle parole, i gentili modi non fanno l'amico vero, ma il cuore. È dolcezza di buon uomo creder amico un cortigiano affinato nell'arte di conversare galantemente. Nel fatto dell'amicizia ho più caro un addio, come si dice, alla carlona, che un numero infinito di complimenti alla francese. {39 [431]}

 

 

XXV. Il medico ed il fanciulle infermo.

 

            Essendo infermo di grande infermità un fanciullo, ed avendolo visitato il medico, gli ordinò un amarissimo beverone. Manda la madre dallo speziale per esso; ed avutolo il porge al figliuoletto, confidandosi per quello dover aver conforto le care sue viscere; ma ei nol vuole. La madre dolente gli mette davanti gli occhi il bene che ne gli verrebbe da tal medicina; gli promette denari, roba, e ricorre anco al timore, dicendo come non sarebbe uscito di letto, quando non l'avesse bevuto, e che morrebbe di certo. Quindi il pregava a non voler dare tanto dolore alla diletta sua mamma; e baciandolo, e careggiandolo s'ingegnava di muoverlo ad obbedienza; ma elle furono parole al vento, che l'ostinatello nemmen gustare il voleva. Che si ha da fare? che non s' ha da fare? Risolve d' aspettare {40 [432]} il Dottore; ed appunto picchia l'uscio allora. Trista la madre gli va incontro in capo alla scala, il fa inteso dell' ostinazione del figlio, e lo scongiura a trovar modo, sicchè inghiotta la medicina salubre. Disse il medico di farlo, purchè gli si desse del mele. Detto fatto, ecco il mele. Entra in camera del piccolo infermo; tinge con quello ben bene gli orli del bicchiere; e con eloquenza da Tullio il persuade a porvi sopra la bocca soltanto. Quegli, tra perchè metteva a lui rispetto la voce, il discorso, il portamento del medico, e perch'era pregato di poco, fra labbro e labbro si mise con certo mal garbo il bicchiere; ma appena s'accorse di tanta dolcezza, che addentato il vetro più giù trangugiò l'amaro liquore, e come l'ebbe in istomaco solo s'avvisò dell'inganno: e sputando, e tossendo dava segno dell'amarezza che il travagliava. Ma che? da sì bell'inganno ricevette la vita. - L'utile, che senza il dolce sarebbe avuto in ira e dispetto, mercè il dolce di buon grado s' accetta. {41 [433]}

 

 

XXVI. Il contadina ed i topi.

 

            Teneva un povero contadino nella sua casipola del freschissimo cacio, e per vendere e per nutricare con esso la misera famigliuola. Ma per affè che, trattivi all'odore certi sorci caserecci, l'addentarono e senza farsi coscienza del danno che recavano al povero uomo, presero, le notti principalmente, a roderlo quanto le erano lunghe. Se n'accorse il villano, ed arrabbiatosi contra gl'insolenti animali, sparse quinci e quindi arsenico presso al formaggio. Ed oh fatto e' non lo avesse! Avvegnachè i topi, fingendo i denti così avvelenati nel cacio, la morte loro ad altrui prepararono. Poichè per caso il villano padrone, mangiato della parte tocca dal veleno, se ne morì. - Nel procacciare a'  mali rimedio, ove bisogni sproni, guardisi l'uomo di usare di quelli che possano, spacciando piccolo male, germogliarne uno maggiore. {42 [434]}

 

 

XXVII. Una famiglia cristiana.

 

            S. S. Pio IX felicemente regnante fu nella sua gioventù Vicario apostolico nel Chilì, vasta provincia dell'America. In una delle sue corse apostoliche ben addentro a quelle terre, e lontano dalle contrade popolate, incontrò una misera capanna, dentro la quale stava per esalare l'ultimo respiro un uomo di cinquant' anni, padre di numerosa famiglia. Qui vi era un infelice a soccorrere, un'anima a salvare; bisognava assai di meno per determinare il ministro di Gesù Cristo a sospendere il suo cammino. Piantò dunque la sua tenda sopra la soglia di questa capanna, mettendola sotto la protezione della croce.

            L'infermo era preso da una di quelle malattie per cui ogni soccorso umano riesce indarno, il suo corpo già apparteneva alla terra. Il sacerdote di Dio più non pensò fuorchè a dare il cielo a {43 [435]} quell'anima. A questo scopo indirizzò tutte le potenze del suo cuore, poichè quando la morte si approssima, le ore volano. L'infermo fu così compunto dalla sua parola viva e calda, dalle lacrime che cadendo dagli occhi del prete caritatevole riscaldavano, prima d'arrivare al cuore, la sua fronte di già ghiacciata; fu così tocco dalla vista della celeste effigie inchiodata sopra una croce per riscattare gli uomini, che dimando egli stesso e ricevette con amore il battesimo. Sua moglie e i suoi figliuoli lo ricevettero anch'essi quasi ad un punto. Qual vago spettacolo offriva questa cerimonia religiosa, celebrata sotto la vôlta del cielo senza verun altro testimonio fuor quello di Dio! Là un uomo disteso sopra una pelle di bestia selvaggia e sull' orlo d'una tomba, qui una donna scioglientesi in lagrime e più in là fanciulli grandemente rattristati, l'uno sospendere il passo nel cammino dell'eternità, gli altri dar tregua alla loro disperazione per ascoltare con calma la voce di Dio che prometteva loro le {44 [436]} gioie celesti. Fu bello vederli allorchè, curvata un momento la fronte sotto la mano che versava l' acqua rigeneratrice, essi si rilevavano consolati, ripetendo col sacerdote queste magnifiche parole: « Io credo in un solo Dio, il Padre onnipotente che ha creato il cielo e la terra, il mare e le stelle. Io credo in un solo Signore Gesù Cristo, Figliuolo unico di Dio, nato dal Padre increato avanti i secoli, Dio di Dio, lume della luce, che non è stato fatto, ma generato consustanzialmente dal Padre per cui tutto fu fatto, che è disceso dai cieli per la salute degli uomini; io credo nello Spirito Santo che è eziandio Signore e dà la vita, che procede dal Padre e dal Figlio. Io credo nella Chiesa che è una, santa, cattolica, apostolica e romana. Io confesso che non v'ha che un battesimo per la remissione dei peccati. Io attendo la risurrezione dei morti e la vita dei secoli avvenire. »

            Qualche ora dopo, il capo della famiglia spirò tra le braccia dei prete cattolico, il quale volle assisterlo negli {45 [437]} ultimi suoi momenti e consolare la ferocia della sua natura parlandogli del cielo e di Dio, di Dio migliore degli uomini, del cielo più dilettoso della terra. Gli serrò gli occhi, lo seppellì colle proprie sue mani in una sua camicia che erasi strappata, e lo portò nella tomba che aveva egli stesso scavata appiè d' una verde quercia. Prima di partire volle eziandio piantare una croce di legno sopra il tumulo, e accanto alla croce un rosaio selvaggio. « Se i venti dell' uragano sterpano questa croce, disse alla famiglia desolata, ponetene un' altra, perchè essa è il segno della salute. Se l'uragano delle male passioni soffia nel vostro cuore, venite accanto ad essa a pregar Dio, il quale mette la calma ed il riposo nel luogo dell' uragano e delle tempeste. Pregate, amate questo buon Dio, non lo dimenticate giammai, e i dolci pensieri germoglieranno nella vostra anima, come queste rose selvaggie cresceranno sopra il monticello del defunto. Addio. » Partì colla borsa leggiera, ma portando {46 [438]} con se le benedizioni della vedova e degli orfani che aveva soccorsi e consolati.

 

 

XXVIII. Un bel cavallo.

 

            Un abitante del quartiere dei Monti in Roma possedeva una sola carretta e un vecchio cavallo che ebbe la sventura di perdere. Questo cavallo procacciava il sostentamento a lui e a sua madre, buona vecchia, della quale aveva gran cura. La sua pietà figliale gli diè animo a presentarsi al Quirinale, antica abitazione dei Pontefici, per manifestare al Papa stesso il suo infortunio e dimandargli il più vecchio e il più cattivo cavallo delle sue scuderie.

            « Se vi do un cavallo di rifiuto, gli disse il buon Pio, come potete farlo lavorare?

            - Lo aiuterò, santo Padre! son giovine e forte, e la più grossa parte la piglierò per me. {47 [439]}

            - Ma vostra madre è vecchia, non bisogna abusare della vostra forza, nè della vostra giovinezza; bisogna al contrario conservarvi per lei.

            - Ecco perchè son venuto a domandarvi un cavallo, santo Padre.

            - Ed io vi ringrazio d'aver pensato a me piuttosto che ad un altro. »

            Il Papa gli fece bentosto dare un buono e vigoroso cavallo con due monete d' oro di 20 franchi: il cavallo per lui, i 40 franchi per sua madre.

            Se la felicità non uccide, rende talvolta pazzo. Poco mancò che il poveretto non perdesse il cervello. Salito sul suo cavallo, fiero come un imperatore romano, galoppò tutto il dì pei quartieri dei Monti, colle due monete d'oro in mano, gridando con quanto aveva in gola; Viva Pio nono! Viva Pio nono!

 

 

XXIX. La croce d'oro.

 

            Uno de' suoi segreti agenti attraversando il ghetto, vide una giovinetta {48 [440]} sguizzare misteriosamente nella bottega di un ebreo, e potè seguirne tutti i movimenti senz' essere avvisato. Essa vendette una croce d' oro alla quale senza dubbio dava un gran prezzo perchè la sua mano tremava nel riceverne il danaro e i suoi occhi si bagnarono di una lacrima. Dovea ben essere infelice per ispogliarsi in tal guisa d'un ornamento sacro per tutte le donne romane. L'agente segreto si trovava sulla traccia d'una bella avventura pel suo augusto signore e determinò di condurla a buon fine. La giovinetta uscendo dalla bottega dell'ebreo corse immantinente presso un fornaio a comperare un grosso pane che nascose sotto il grembiale, poi ritornò, sempre correndo, nella via deserta ove abitava. L'agente non l'avea perduta di vista, e le tenne dietro lungo una scala oscura e tortuosa ch' ella saliva senza dubitare di essere spiata. Giunta sul pianerottolo, ella aprì un usciolo, che nella fretta non pensò di serrare. Quivi, in una camera nuda, una vecchia donna inferma languiva di fame. {49 [441]}

            « Prendete, mia buona madre, le disse la figliuola entrando, ecco del pane, mangiate.

            - E tu, mia fanciulla, le rispose la vecchia, divorando il pezzo di pane che riceveva, perchè non mangi mai?

            - Oh! io, e differente; ho desinato in casa di una delle mie compagne, e non ho fame. » Contenta della sua ingegnosa menzogna, la povera fanciulla, morendo anch' ella d' inedia, aggiunge:

            « Rincoratevi, mia madre, si dice che il lavoro diverrà abbondante; Pio IX, nostro buon padre, ha dato ordini per tale effetto.... Voi non avete più fame; via consolatevi; Iddio buono non ci abbandonerà, Pio IX veglia su noi. » Avea appena finite queste parole, che una moneta d'oro coll'effigie di Pio IX cadde a' suoi piedi; ella si slanciò verso l'uscio, ma l'agente protettore era scomparso. « Voi vedete, mia madre, che Iddio si commosse a pietà di noi, ripigliò ella facendo brillare a' suoi occhi la moneta d'oro; ci vengano ora dire che non si fanno più {50 [442]} miracoli! » Quest' avventura diverti assai Pio IX, il quale volle conchiuderla egli stesso.

            Fece ricomperare la croce venduta la sera avanti e la rimandò alla giovinetta con cinque monete d'oro accompagnate dalla presente lettera:

 

                        Mia cara figliuola,

 

            « Voi aveste ragione di sperare in Dio. Egli non abbandona giammai la pietà figliale. Voi avete ragione di sperare in Pio IX; egli veglierà affinchè vostra madre e voi non moriate di fame. »

 

 

XXX. Una tomba illustre.

 

            Il Sommo Pontefice recavasi un giorno al Vaticano in piccol treno, era solo nella Sua carozza di città; senza guardie nobili alle portiere, e senza accompagnamento d'onore, allorchè incontrò per via un convoglio {51 [443]} funebre, solitario, isolato, senza parenti, senz' amici. Un solo sacerdote camminava salmeggiando dietro la croce. « Convien dire che questo infelice fosse solo al mondo, disse il Papa, poichè vien portato all' ultima sua dimora senza lacrime e senza cordoglio. » Così dicendo, ordinò al suo cocchiere di fermarsi, discese dalla carrozza, e formando egli solo il corteggio del povero defunto, l'accompagnò sino al cimitero. Giunti quivi, gettò l' acqua benedetta e la prima gleba sulla fossa spalancata; piantò egli stesso la croce funeraria, e non si ritrasse che dopo aver recitato il De profundis sopra questa tomba modesta, più illustrata oggi che la tomba d'un re.

 

 

XXXI. Il fiasco rotto.

 

            Altra volta recandosi sconosciuto alla Madonna degli Angeli, vide una giovinetta affannata aggirantesi per una {52 [444]} via. La povera fanciulla strappava il cuore colle sue lacrime. Il Papa discendendo dalla carrozza, le chiese il motivo della sua disperazione.

            - Eh, signor abbate, disse ella, fui colpita da una grande sventura.

            - Quale, mia fanciulla? è riparabile?

            - Oh no! signor abbate.

            - Che è dunque?

            - La mamma mi ha dati cinque baiocchi per comprar vino, io sono caduta, il fiasco si è rotto e il vino versato; vedete, signor abate! non v'è che Dio buono che possa accomodare il mio fiasco e rendermi il mio vino.

            - Non bisogna piangere in tal modo per cinque baiocchi, mia fanciulla. È un accidente e non una sventura.

            - Non è per i baiocchi che piango; è per le botte che mi aspettano a casa se ritorno senza il fiasco pieno, la mamma, invece di abbracciarmi, mi batterà.

            - Gli è differente allora; tò, mia fanciulla, prendi questo. Compra un fiasco più grande che non era il rotto, fallo riempiere di vino d'Orvieto, e tua {53 [445]} madre invece di batterti, ti abbraccierà due volte. - Così dicendo il buon Pio le diede un grosso scudo nuovo di zecca.

            - Oh mio Dio! grazie, signor abbate! gridò la fanciulla che non avea mai avuto per avventura una così grossa fortuna nelle sue piccole mani. Grazie! Grazie!

            E mentre il Papa si accingeva a risalire nella modesta sua carrozza, la giovinetta lo afferrò alla sottana nera, dicendogli: « Il buon Dio e mamma non vogliono ch'io mentisca, perchè la bugia è un brutto peccato che fa piangere Gesù. Racconterò dunque a mamma la ventura che m'è capitata. Che dovrò dirle se mi dimanda il nome della persona che mi ha dato questa bella moneta d'argento?

            - Le dirai che gli è un povero prete che abita al Quirinale. Addio, mia fanciulla.

            - Addio, signor abbate. Stasera pregherò Gesù per voi. {54 [446]}

 

 

XXXII. Un orfanello e quattro scudi.

 

            Un altro fatto fece nuovamente risplendere l'immensa carità del sovrano Pontefice. Un povero fanciullo, tutto lagrimoso e frenato dalle guardie svizzere, tentava invano di giungere sino a lui; teneva in mano una supplica gridando con voce dolorosa:

            « Vi prego, miei buoni soldati, in nome di mia madre, lasciatemi parlare al Papa; mi si disse che egli è il padre de' fanciulli poveretti. »

            Pio IX si fermò, e fattosi rimettere la supplica, lesse:

 

                        « Santissimo Padre,

 

            « Mia madre è vecchia ed inferma; io... io sono troppo giovine per sostentare la sua e la mia vita, il nostro padrone, uomo cattivo, ci vuol cacciare domani se non gli paghiamo i quattro scudi, de' quali siamo debitori. Questi quattro scudi sarebbero {55 [447]} per noi una fortuna. Degnatevi prestarceli; io ve li renderò allorchè sarò più grandino. »

            L'alterezza infantile di questa supplica piacque a Pio IX.

            - Come ti chiami, mio buon fanciullo, e qual è la tua età? gli disse.

            - Io mi chiamo Paolo e ho dieci anni.

            - Che fa tuo padre!

            - Ci aspetta in Paradiso da dieci anni.

            - Tua madre!

            - Ricama e prega il buon Dio da mane a sera.

            - Ove dimorate?

            - Via de' Carbonari.

            - Bene, mio fanciullo! torna domani alle ore tre; io ti darò i quattro scudi di cui tua madre ha bisogno.

            - Voi ce li presterete, perchè noi ve li renderemo.

            Il santo Padre nello stesso di fa prenderne informazioni. Il piccolo supplicante aveva detta la verità; presentatosi l' indomane all' ora disegnata, {56 [448]} Pio IX, invece di quattro, gli diede dieci scudi.

            - Non vi ho chiesto dieci scudi, disse il fanciullo rendendone sei.

            - Riprendili, disse il buon Pio, portali a tua madre, e dille di non inquietarsi dell' avvenire; me ne incarico io.

 

 

XXXIII. Il vecchio Guidi.

 

            Il 28 marzo 1847 nel momento, in cui erano in gran vigore le misure di polizia messe dal governo pontificio per liberare la Capitale dai vagabondi e mendicanti più o meno pericolosi, i Carabinieri arrestarono vicino al palazzo papale un vecchio coperto di polvere e cencioso, il quale fu immantinente condotto all' ufficio di polizia.

            « Io non sono un ladro, disse, io mi chiamo Guidi, arrivo da Fano per vedere il nostro santo Padre, il Papa; voi non mi metterete in prigione prima {57 [449]} che l'abbia visto; dopo farete di me ciò che vi piacerà, perchè non avrò più nulla a desiderare per la mia povera vita. Vi prego dunque, miei cari signori, andate a dire a Pio IX, che il vecchio Guidi desidera vederlo. » - A Parigi i municipali avrebbero tolto quest'uomo per un insensato e l' avrebbero condotto a Charenton o almeno alla Prefettura della polizia. Qui invece i Carabinieri gli agevolarono il mezzo per raggiungere il suo desiderio; egli ottenne la felice ventura di essere ammesso all' udienza pubblica del santo Padre. Dal suo viso pallido e contraffatto da un lungo cammino traspariva una profonda emozione; le sue gambe stecchite tremavano sotto un corpo curvato da ottanta inverni. Al suo arrivo nell'anticamera, le sue forze non rispondendo al suo coraggio, oppresso forse dalle varie emozioni che lo agitavano, cadde privo di sensi ai piedi dei prelati e degli officiali pontificii, che lo trasportarono in una sala vicina.

            Avvertito di quanto succedeva, Pio {58 [450]} IX, non volendo privare il povero contadino del favore, al quale poneva un si gran prezzo, ordinò che gli si venisse presentato appena fosse in istato di comparire innanzi a lui. Alle ore quattro venne ammesso alla presenza di Sua Santità.

            - Che volete, disse il Papa dopo averlo rialzato da' suoi piedi, che avea coperto di baci e bagnati di lacrime, che volete, mio amico?

            - Raccontarvi una storia.

            - Parlate, vi ascolto. Il contadino cominciò:

            « Già sono moltissimi anni, una nobile e grande famiglia degli Stati romani s' era condotta, secondo l' uso, nel principio dell'ottobre, a una bella villa che possedeva a sei miglia da Sinigaglia. Il capo di questa famiglia aveva un grazioso fanciullino, vispo e allegro, chiamato Giovanni. Questo fanciullino pigliò ad amare un giovine contadino di vent'anni, acconciato al servizio della sua famiglia, il quale si prestava con tenerezza a tutti i suoi giuochi. Un giorno, passeggiando tutti {59 [451]} e due traverso i campi, correndo dietro una farfalla o fermandosi a coglier fiori, s'arrestarono sulla riva d'un lago piccolo ma profondo e pieno d'acqua stagnante. Erano in questo lago pesci rossi che nuotavano alla superficie. Il fanciullo li vide e trastullandosi de' loro allegri giuochi, volle pigliarli nelle sue piccole mani. S'avvicina più e più alla riva e già sta per afferrarli, quando ad un tratto gli fallisce sotto il piede il terreno macero e sdrucciolevole, cade nell' acqua e scompare. Ma per buona ventura la Provvidenza e il giovine contadino vegliavano su lui. Il contadino non esita un istante, senza badare al pericolo, si slancia vestito nel lago, vi s'immerge due volte, afferrò il fanciullo e lo rimena sano e salvo sulla riva. Quel fanciullo eravate voi.

            - Il contadino?

            - Era io.

            - Non ho dimenticato questo evento. Voi vi chiamate?

            - Guidi.

            - Gli è vero! dopo Dio, è a voi {60 [452]} ch'io debbo la vita e il trono. Voglio e debbo ricompensarverne. Che bramate?

            - Nulla per me, santissimo Padre, perchè di presente io sono il più ricco contadino de' vostri Stati; ho riveduto il piccolo Giovanni, ho ritrovato il gran Papa, io sono felice. »

            Il buon Pio, commosso fino alle lacrime da queste prove d'amore, raddoppiò la sua felicità concedendo per lui e per la sua famiglia una somma assai considerevole per vivere al disopra del bisogno.

            Tre giorni prima il sovrano Pontefice aveva indirizzato a tutti i patriarchi, arcivescovi, e vescovi un'enciclica concepita in termini calorosi, nella quale li esortava a pregare e far pregare in un divoto triduo il Dio delle misericordie, affinchè egli volgesse uno sguardo benigno sulle tribolazioni dell'Irlanda. Di più li invitava a raccogliere dalla pietà dei fedeli doni caritatevoli per soccorrere gl' Irlandesi nella desolazione della carestia e del tifo. {61 [453]}

 

 

XXXIV. Il mio ritratto.

 

            Nei primi tempi del pontificato di Pio IX, un venerabile sacerdote francese ottenne l'onore di visitarlo; egli fu così commosso dalla vita santa e inspiratrice di Pio IX, che gli cadde ai piedi senza potere articolar parola. Il Pontefice lo sollevò onorevolmente, confortandolo. Appena potè parlare, santo Padre, disse, fatemi dono del vostro ritratto. Pio IX prese in mano la croce, e alzando gli occhi al cielo, sclamò: Ecco il mio ritratto! Io porto sulla fronte la corona di Cristo[5].

 

Con permissione Ecclesiastica. {62 [454]}


Martedì, 31 luglio - Chiede a Gesù che le mandi la Mamma celeste, di cui ha gran bisogno.

Santa Gemma Galgani

Siamo a martedì; corro a far la santissima comunione, ma in quale stato! Ho promesso a Gesù di esser buona e cambiar vita; gliel'ho detto, ma lui non mi ha risposto nulla; gli ho detto pure che mi mandi la Mamma sua, e anche mia, e mi ha risposto: « Ne sei degna? ». Mi sono vergognata, e non ho detto altro. Ha aggiunto poi: « Sii buona, e verrà presto con confratel Gabriele ».

È da domenica che non mi sono potuta più raccogliere; in ogni modo ho ringraziato Gesù. Quando viene l'angelo custode, sono svegliata, e non via con la testa; Gesù, la Mamma mia e qualche volta confratel Gabriele, loro mi fanno andar via il capo; ma io resto sempre dove mi metto, mi trovo sempre al solito posto, ma la testa parte. Che gran bisogno che ho della Mamma mia! Se Gesù mi volesse contentare, dopo sarei più buona. Come devo fare a star tanto senza la Mamma?