Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

A proposito del divorzio: esiste anche il divorzio del cuore che si consuma alienandosi dal coniuge. Quando si fanno delle analisi della vita di coppia, ci si accorge sovente di essere in credito con il proprio partner: più anima più entusiasmo, più volontà , più cuore, più impegno profuso nell'andamento delle cose. E questo ti suggerisce sempre la stessa frase: "Io do' di più e prendo di meno!" Fare bene calcoli può essere prezioso nei rapporti di lavoro, di affari, di compravendita - perché ti evita di essere sfruttato - ma non nella vita di coppia. L'amore vive nel mondo della gratuità , nella sfera spirituale e non in quella materiale dove regnano i registri del dare e avere. Quando nella vita di coppia dai qualcosa con l'amore, non ti ritrovi con qualcosa in meno ma con qualcosa in più: più gioia, più soddisfazione nel cuore, e più amore da parte del tuo coniuge. "La vita di coppia" non è una giovane ragioniera che lavora in "Banca della convenienza" ma una ultrasecolare signora che non conosce calcoli né calcolatrici. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 16° settimana del tempo ordinario (Santa Brigida)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 5

1Intanto giunsero all'altra riva del mare, nella regione dei Gerasèni.2Come scese dalla barca, gli venne incontro dai sepolcri un uomo posseduto da uno spirito immondo.3Egli aveva la sua dimora nei sepolcri e nessuno più riusciva a tenerlo legato neanche con catene,4perché più volte era stato legato con ceppi e catene, ma aveva sempre spezzato le catene e infranto i ceppi, e nessuno più riusciva a domarlo.5Continuamente, notte e giorno, tra i sepolcri e sui monti, gridava e si percuoteva con pietre.6Visto Gesù da lontano, accorse, gli si gettò ai piedi,7e urlando a gran voce disse: "Che hai tu in comune con me, Gesù, Figlio del Dio altissimo? Ti scongiuro, in nome di Dio, non tormentarmi!".8Gli diceva infatti: "Esci, spirito immondo, da quest'uomo!".9E gli domandò: "Come ti chiami?". "Mi chiamo Legione, gli rispose, perché siamo in molti".10E prese a scongiurarlo con insistenza perché non lo cacciasse fuori da quella regione.
11Ora c'era là, sul monte, un numeroso branco di porci al pascolo.12E gli spiriti lo scongiurarono: "Mandaci da quei porci, perché entriamo in essi".13Glielo permise. E gli spiriti immondi uscirono ed entrarono nei porci e il branco si precipitò dal burrone nel mare; erano circa duemila e affogarono uno dopo l'altro nel mare.14I mandriani allora fuggirono, portarono la notizia in città e nella campagna e la gente si mosse a vedere che cosa fosse accaduto.
15Giunti che furono da Gesù, videro l'indemoniato seduto, vestito e sano di mente, lui che era stato posseduto dalla Legione, ed ebbero paura.16Quelli che avevano visto tutto, spiegarono loro che cosa era accaduto all'indemoniato e il fatto dei porci.17Ed essi si misero a pregarlo di andarsene dal loro territorio.18Mentre risaliva nella barca, colui che era stato indemoniato lo pregava di permettergli di stare con lui.19Non glielo permise, ma gli disse: "Va' nella tua casa, dai tuoi, annunzia loro ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ti ha usato".20Egli se ne andò e si mise a proclamare per la Decàpoli ciò che Gesù gli aveva fatto, e tutti ne erano meravigliati.

21Essendo passato di nuovo Gesù all'altra riva, gli si radunò attorno molta folla, ed egli stava lungo il mare.22Si recò da lui uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, vedutolo, gli si gettò ai piedi23e lo pregava con insistenza: "La mia figlioletta è agli estremi; vieni a imporle le mani perché sia guarita e viva".24Gesù andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno.
25Or una donna, che da dodici anni era affetta da emorragia26e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza nessun vantaggio, anzi peggiorando,27udito parlare di Gesù, venne tra la folla, alle sue spalle, e gli toccò il mantello. Diceva infatti:28"Se riuscirò anche solo a toccare il suo mantello, sarò guarita".29E subito le si fermò il flusso di sangue, e sentì nel suo corpo che era stata guarita da quel male.
30Ma subito Gesù, avvertita la potenza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: "Chi mi ha toccato il mantello?".31I discepoli gli dissero: "Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e dici: Chi mi ha toccato?".32Egli intanto guardava intorno, per vedere colei che aveva fatto questo.33E la donna impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità.34Gesù rispose: "Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va' in pace e sii guarita dal tuo male".
35Mentre ancora parlava, dalla casa del capo della sinagoga vennero a dirgli: "Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?".36Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: "Non temere, continua solo ad aver fede!".37E non permise a nessuno di seguirlo fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo.38Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava.39Entrato, disse loro: "Perché fate tanto strepito e piangete? La bambina non è morta, ma dorme".40Ed essi lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della fanciulla e quelli che erano con lui, ed entrò dove era la bambina.41Presa la mano della bambina, le disse: "Talità kum", che significa: "Fanciulla, io ti dico, alzati!".42Subito la fanciulla si alzò e si mise a camminare; aveva dodici anni. Essi furono presi da grande stupore.43Gesù raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e ordinò di darle da mangiare.


Secondo libro di Samuele 20

1Ora si trovava là un uomo iniquo chiamato Sèba, figlio di Bicrì, un Beniaminita, il quale suonò la tromba e disse:

"Non abbiamo alcuna parte con Davide
e non abbiamo un'eredità con il figlio di Iesse.
Ognuno alle proprie tende, Israele!".

2Tutti gli Israeliti si allontanarono da Davide per seguire Sèba, figlio di Bicrì; ma gli uomini di Giuda rimasero attaccati al loro re e lo accompagnarono dal Giordano fino a Gerusalemme.3Davide entrò nella reggia a Gerusalemme. Il re prese le dieci concubine che aveva lasciate a custodia della reggia e le mise in un domicilio sorvegliato; egli somministrava loro gli alimenti, ma non si accostava loro; rimasero così recluse fino al giorno della loro morte, in stato di vedovanza perenne.4Poi il re disse ad Amasà: "Radunami tutti gli uomini di Giuda in tre giorni; poi vieni qui".5Amasà dunque partì per adunare gli uomini di Giuda; ma tardò più del tempo fissato.6Allora Davide disse ad Abisài: "Sèba figlio di Bicrì ci farà ora più male di Assalonne; prendi i servi del tuo signore e inseguilo, perché non trovi fortezze e ci sfugga".7Abisài uscì per la spedizione, seguito dalla gente di Ioab, dai Cretei, dai Peletei e da tutti i prodi; uscirono da Gerusalemme per inseguire Sèba figlio di Bicrì.

8Si trovavano presso la grande pietra che è in Gàbaon, quando Amasà venne loro incontro. Ioab indossava la veste militare, sopra la quale portava la cintura con la spada pendente dai fianchi nel fodero; egli la fece uscire e cadere.9Ioab disse ad Amasà: "Stai bene, fratello mio?" e con la destra prese Amasà per la barba per baciarlo.10Amasà non fece attenzione alla spada che Ioab aveva nell'altra mano; Ioab lo colpì al basso ventre e ne sparse le viscere a terra; non lo colpì una seconda volta perché era già morto. Poi Ioab e Abisài suo fratello inseguirono Sèba, figlio di Bicrì.11Uno dei giovani di Ioab era rimasto presso Amasà e diceva: "Chi ama Ioab e chi è per Davide segua Ioab!".12Intanto Amasà si rotolava nel sangue in mezzo alla strada e quell'uomo si accorse che tutto il popolo si fermava. Allora trascinò Amasà fuori della strada in un campo e gli buttò addosso una veste, perché quanti gli arrivavano vicino lo vedevano e si fermavano.13Quando esso fu tolto dalla strada, tutti passarono al seguito di Ioab per dare la caccia a Sèba, figlio di Bicrì.
14Attraversarono il territorio di tutte le tribù d'Israele fino ad Abel-Bet-Maacà, dove tutti quelli della famiglia di Bicrì erano stati convocati ed erano entrati al seguito di Sèba.15Vennero dunque, assediarono Sèba in Abel-Bet-Maacà e innalzarono contro la città un terrapieno; tutto il popolo che era con Ioab scavava per demolire le mura.16Allora una donna saggia gridò dalla città: "Ascoltate, ascoltate! Dite a Ioab di avvicinarsi, gli voglio parlare!".17Quando egli si fu avvicinato, la donna gli chiese: "Sei tu Ioab?". Egli rispose: "Sì". Allora essa gli disse: "Ascolta la parola della tua schiava". Egli rispose: "Ascolto".18Riprese: "Una volta si soleva dire: Si interroghi bene ad Abèl e a Dan per sapere se sono venute meno le costumanze19stabilite dai fedeli d'Israele. Tu cerchi di far perire una città che è una madre in Israele. Perché vuoi distruggere l'eredità del Signore?".20Ioab rispose: "Lungi, lungi da me l'idea di distruggere e di rovinare.21La questione è diversa: un uomo delle montagne di Èfraim, chiamato Sèba, figlio di Bicrì, ha alzato la mano contro il re Davide. Consegnatemi lui solo e io mi allontanerò dalla città". La donna disse a Ioab: "Ecco, la sua testa ti sarà gettata dall'alto delle mura".22Allora la donna rientrò in città e parlò a tutto il popolo con saggezza; così quelli tagliarono la testa a Sèba, figlio di Bicrì, e la gettarono a Ioab. Egli fece suonare la tromba; tutti si dispersero lontano dalla città e ognuno andò alla propria tenda. Poi Ioab tornò a Gerusalemme presso il re.
23Ioab era a capo di tutto l'esercito d'Israele; Benaià, figlio di Ioiadà, era capo dei Cretei e dei Peletei;24Adoràm sovrintendeva ai lavori forzati; Giosafat, figlio di Achilùd, era archivista;25Seraià era scriba; Zadòk ed Ebiatàr erano sacerdoti e anche Ira lo Iairita era ministro di Davide.


Siracide 29

1Chi pratica la misericordia concede prestiti al
prossimo,
chi lo soccorre di propria mano osserva i comandamenti.
2Dà in prestito al prossimo nel tempo del bisogno,
e a tua volta restituisci al prossimo nel momento fissato.
3Mantieni la parola e sii leale con lui,
così troverai in ogni momento quanto ti occorre.
4Molti considerano il prestito come cosa trovata
e causano fastidi a coloro che li hanno aiutati.
5Prima di ricevere, ognuno bacia le mani del creditore,
parla con tono umile per ottenere gli averi dell'amico;
ma alla scadenza cerca di guadagnare tempo,
restituisce piagnistei e incolpa le circostanze.
6Se riesce a pagare il creditore riceverà appena la
metà,
e dovrà considerarla come una cosa trovata.
In caso contrario, il creditore sarà frodato dei suoi
averi
e avrà senza motivo un nuovo nemico;
maledizioni e ingiurie gli restituirà,
renderà insulti invece dell'onore dovuto.
7Molti perciò, per tale cattiveria, rifiutan di
prestare:
hanno paura di perdere i beni senza ragione.

8Tuttavia sii longanime con il misero,
e non fargli attender troppo l'elemosina.
9Per il comandamento soccorri il povero,
secondo la sua necessità non rimandarlo a mani vuote.
10Perdi pure denaro per un fratello e amico,
non si arrugginisca inutilmente sotto una pietra.
11Sfrutta le ricchezze secondo i comandi dell'Altissimo;
ti saranno più utili dell'oro.
12Rinserra l'elemosina nei tuoi scrigni
ed essa ti libererà da ogni disgrazia.
13Meglio di uno scudo resistente e di una lancia pesante,
combatterà per te di fronte al nemico.

14L'uomo buono garantisce per il prossimo,
chi ha perduto il pudore lo abbandona.
15Non dimenticare il favore di chi si è fatto garante,
poiché egli si è impegnato per te.
16Il peccatore dilapida i beni del suo garante,
l'ingrato di proposito abbandonerà chi l'ha salvato.
17La cauzione ha rovinato molta gente onesta,
li ha sballottati come onda del mare.
18Ha mandato in esilio uomini potenti,
costretti a errare fra genti straniere.
19Un peccatore che offre premurosamente garanzia
e ricerca guadagni, sarà coinvolto in processi.
20Aiuta il tuo prossimo secondo la tua possibilità
e bada a te stesso per non cadere.

21Indispensabili alla vita sono l'acqua, il pane, il
vestito
e una casa che serva da riparo.
22È meglio vivere da povero sotto un tetto di tavole,
che godere di cibi sontuosi in case altrui.
23Del poco come del molto sii contento,
così non udirai il disprezzo come straniero.
24Triste vita andare di casa in casa,
non potrai aprir bocca, dove sarai come straniero.
25Avrai ospiti, mescerai vino senza un grazie,
inoltre ascolterai cose amare:
26"Su, forestiero, apparecchia la tavola,
se hai qualche cosa sotto mano, dammi da mangiare".
27"Vattene, forestiero, cedi il posto a persona onorata;
mio fratello sarà mio ospite, ho bisogno della casa".
28Tali cose sono dure per un uomo che abbia intelligenza:
i rimproveri per l'ospitalità e gli insulti di un
creditore.


Salmi 53

1'Al maestro del coro. Su "Macalat". Maskil. Di Davide.'

2Lo stolto pensa:
"Dio non esiste".
Sono corrotti, fanno cose abominevoli,
nessuno fa il bene.
3Dio dal cielo si china sui figli dell'uomo
per vedere se c'è un uomo saggio che cerca Dio.
4Tutti hanno traviato,
tutti sono corrotti;
nessuno fa il bene;
neppure uno.
5Non comprendono forse i malfattori
che divorano il mio popolo come il pane
e non invocano Dio?

6Hanno tremato di spavento,
là dove non c'era da temere.
Dio ha disperso le ossa degli aggressori,
sono confusi perché Dio li ha respinti.
7Chi manderà da Sion la salvezza di Israele?
Quando Dio farà tornare i deportati del suo popolo,
esulterà Giacobbe, gioirà Israele.


Geremia 46

1Parola del Signore che fu rivolta al profeta Geremia sulle nazioni.

2Per l'Egitto. Sull'esercito del faraone Necao re d'Egitto, a Càrchemis presso il fiume Eufrate, esercito che Nabucodònosor re di Babilonia vinse nel quarto anno di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda.

3Preparate scudo grande e piccolo
e avanzate per la battaglia.
4Attaccate i cavalli,
montate, o cavalieri.
Schieratevi con gli elmi,
lucidate le lance,
indossate le corazze!
5Che vedo?
Sono sbigottito,
retrocedono!
I loro prodi
sono sconfitti,
fuggono a precipizio
senza voltarsi;
il terrore è tutt'intorno.
Parola del Signore.
6Il più agile non scamperà
né il più prode si salverà.
A settentrione, sulla riva dell'Eufrate,
inciampano e cadono.
7Chi è che trabocca come il Nilo,
come un torrente dalle acque turbolente?
8È l'Egitto che trabocca come il Nilo,
come un torrente dalle acque turbolente.
Esso dice: "Salirò, ricoprirò la terra,
distruggerò la città e i suoi abitanti".
9Caricate, cavalli,
avanzate, carri!
Avanti o prodi!
uomini di Etiopia e di Put,
voi che impugnate lo scudo,
e voi di Lud che tendete l'arco.
10Ma quel giorno per il Signore Dio degli eserciti,
è un giorno di vendetta, per vendicarsi dei suoi nemici.
La sua spada divorerà,
si sazierà e si inebrierà del loro sangue;
poiché sarà un sacrificio per il Signore, Dio degli eserciti,
nella terra del settentrione, presso il fiume Eufrate.
11Sali in Gàlaad e prendi il balsamo,
vergine, figlia d'Egitto.
Invano moltiplichi i rimedi,
non c'è guarigione per te.
12Le nazioni hanno saputo del tuo disonore;
del tuo grido di dolore è piena la terra,
poiché il prode inciampa nel prode,
tutti e due cadono insieme.

13Parola che il Signore comunicò al profeta Geremia quando Nabucodònosor re di Babilonia giunse per colpire il paese d'Egitto.

14Annunziatelo in Egitto,
fatelo sapere a Migdòl,
fatelo udire a Menfi e a Tafni;
dite: "Alzati e preparati,
perché la spada divora tutto intorno a te".
15Perché mai Api è fuggito?
Il tuo toro sacro non resiste?
Il Signore lo ha rovesciato.
16Una gran folla vacilla e stramazza,
ognuno dice al vicino:
"Su, torniamo al nostro popolo,
al paese dove siamo nati,
lontano dalla spada micidiale!".
17Chiamate pure il faraone re d'Egitto:
Frastuono, che lascia passare il momento buono.
18Per la mia vita - dice il re
il cui nome è Signore degli eserciti -
uno verrà, simile al Tabor fra le montagne,
come il Carmelo presso il mare.
19Prepàrati il bagaglio per l'esilio,
o gente che abiti l'Egitto,
perché Menfi sarà ridotta a un deserto,
sarà devastata, senza abitanti.
20Giovenca bellissima è l'Egitto,
ma un tafano viene su di lei dal settentrione.
21Anche i suoi mercenari nel paese
sono come vitelli da ingrasso.
Anch'essi infatti han voltate le spalle,
fuggono insieme, non resistono,
poiché il giorno della sventura è giunto su di loro,
il tempo del loro castigo.
22La sua voce è come di serpente che sibila,
poiché essi avanzano con un esercito
e armati di scure vengono contro di lei,
come tagliaboschi.
23Abbattono la sua selva - dice il Signore -
e non si possono contare,
essi sono più delle locuste, sono senza numero.
24Prova vergogna la figlia d'Egitto,
è data in mano a un popolo del settentrione.

25Il Signore degli eserciti, Dio di Israele, dice: "Ecco, punirò Amòn di Tebe, l'Egitto, i suoi dèi e i suoi re, il faraone e coloro che confidano in lui.26Li consegnerò in potere di coloro che attentano alla loro vita, in potere di Nabucodònosor re di Babilonia e in potere dei suoi ministri. Ma dopo esso sarà abitato come in passato". Parola del Signore.

27"Ma tu non temere, Giacobbe mio servo,
non abbatterti, Israele;
poiché ecco, io ti libererò da un paese lontano
e la tua discendenza dal paese del suo esilio.
Giacobbe ritornerà e godrà in pace,
tranquillo e nessuno lo molesterà.
28Tu non temere, Giacobbe mio servo,
- dice il Signore - perché io sono con te.
Annienterò tutte le nazioni
tra le quali ti ho disperso,
ma di te non farò sterminio;
ti castigherò secondo equità,
ma non ti lascerò del tutto impunito".


Lettera ai Filippesi 1

1Paolo e Timoteo, servi di Cristo Gesù, a tutti i santi in Cristo Gesù che sono a Filippi, con i vescovi e i diaconi.2Grazia a voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Signore Gesù Cristo.

3Ringrazio il mio Dio ogni volta ch'io mi ricordo di voi,4pregando sempre con gioia per voi in ogni mia preghiera,5a motivo della vostra cooperazione alla diffusione del vangelo dal primo giorno fino al presente,6e sono persuaso che colui che ha iniziato in voi quest'opera buona, la porterà a compimento fino al giorno di Cristo Gesù.7È giusto, del resto, che io pensi questo di tutti voi, perché vi porto nel cuore, voi che siete tutti partecipi della grazia che mi è stata concessa sia nelle catene, sia nella difesa e nel consolidamento del vangelo.8Infatti Dio mi è testimonio del profondo affetto che ho per tutti voi nell'amore di Cristo Gesù.9E perciò prego che la vostra carità si arricchisca sempre più in conoscenza e in ogni genere di discernimento,10perché possiate distinguere sempre il meglio ed essere integri e irreprensibili per il giorno di Cristo,11ricolmi di quei frutti di giustizia che si ottengono per mezzo di Gesù Cristo, a gloria e lode di Dio.

12Desidero che sappiate, fratelli, che le mie vicende si sono volte piuttosto a vantaggio del vangelo,13al punto che in tutto il pretorio e dovunque si sa che sono in catene per Cristo;14in tal modo la maggior parte dei fratelli, incoraggiati nel Signore dalle mie catene, ardiscono annunziare la parola di Dio con maggior zelo e senza timore alcuno.15Alcuni, è vero, predicano Cristo anche per invidia e spirito di contesa, ma altri con buoni sentimenti.16Questi lo fanno per amore, sapendo che sono stato posto per la difesa del vangelo;17quelli invece predicano Cristo con spirito di rivalità, con intenzioni non pure, pensando di aggiungere dolore alle mie catene.18Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per ipocrisia o per sincerità, Cristo venga annunziato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene.19So infatti che tutto 'questo servirà alla mia salvezza', grazie alla vostra preghiera e all'aiuto dello Spirito di Gesù Cristo,20secondo la mia ardente attesa speranza che in nulla rimarrò confuso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia.
21Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno.22Ma se il vivere nel corpo significa lavorare con frutto, non so davvero che cosa debba scegliere.23Sono messo alle strette infatti tra queste due cose: da una parte il desiderio di essere sciolto dal corpo per essere con Cristo, il che sarebbe assai meglio;24d'altra parte, è più necessario per voi che io rimanga nella carne.25Per conto mio, sono convinto che resterò e continuerò a essere d'aiuto a voi tutti, per il progresso e la gioia della vostra fede,26perché il vostro vanto nei miei riguardi cresca sempre più in Cristo, con la mia nuova venuta tra voi.

27Soltanto però comportatevi da cittadini degni del vangelo, perché nel caso che io venga e vi veda o che di lontano senta parlare di voi, sappia che state saldi in un solo spirito e che combattete unanimi per la fede del vangelo,28senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari. Questo è per loro un presagio di perdizione, per voi invece di salvezza, e ciò da parte di Dio;29perché a voi è stata concessa la grazia non solo di credere in Cristo; ma anche di soffrire per lui,30sostenendo la stessa lotta che mi avete veduto sostenere e che ora sentite dire che io sostengo.


Capitolo XXXVII: L’assoluta e totale rinuncia a se stesso per ottenere libertà di spirito

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 1. O figlio, abbandona te stesso, e mi troverai. Vivi libero da preferenze, libero da tutto ciò che sia tuo proprio, e ne avrai sempre vantaggio; ché una grazia sempre più grande sarà riversata sopra di te, non appena avrai rinunciato a te stesso, senza volerti più riavere. O Signore, quante volte dovrò rinunciare, e in quali cose dovrò abbandonare me stesso? Sempre, e in ogni momento, sia nelle piccole come nelle grandi cose. Nulla io escludo: ti voglio trovare spogliato di tutto. Altrimenti, se tu non fossi interiormente ed esteriormente spogliato di ogni tua volontà, come potresti essere mio; e come potrei io essere tuo? Più presto lo farai, più sarai felice; più completamente e sinceramente lo farai, più mi sarai caro e tanto maggior profitto spirituale ne trarrai. Ci sono alcuni che rinunciano a se stessi, ma facendo certe eccezioni: essi non confidano pienamente in Dio, e perciò si affannano a provvedere a se stessi. Ci sono alcuni che dapprima offrono tutto; ma poi, sotto i colpi della tentazione, ritornano a ciò che è loro proprio, senza progredire minimamente nella virtù. Alla vera libertà di un cuore puro e alla grazia della rallegrante mia intimità, costoro non giungeranno, se non dopo una totale rinuncia e dopo una continua immolazione; senza di che non si ha e non si avrà una giovevole unione con me.

 2. Te l'ho detto tante volte, ed ora lo ripeto: lascia te stesso, abbandona te stesso e godrai di grande pace interiore. Da' il tutto per il tutto; non cercare, non richiedere nulla; sta' risolutamente soltanto in me, e mi possederai, avrai libertà di spirito, e le tenebre non ti schiacceranno. A questo debbono tendere il tuo sforzo, la tua preghiera, il tuo desiderio: a saperti spogliare di tutto ciò che è tuo proprio, a metterti nudo al seguito di Cristo nudo, a morire a te stesso, a vivere sempre in me. Allora i vani pensieri, i perversi turbamenti, le inutili preoccupazioni, tutto questo scomparirà. Allora scompariranno il timore dissennato, e ogni amore non conforme al volere di Dio.


LIBRO DODICESIMO

La Trinità - Sant'Agostino

Leggilo nella Biblioteca

L’uomo esteriore e l’uomo interiore

1. 1. Vediamo ora dove si trovi ciò che è come il confine tra l’uomo esteriore e l’uomo interiore. Perché tutto ciò che nella nostra anima ci è comune con gli animali si dice, e a ragione, che appartiene ancora all’uomo esteriore. Infatti non solo il corpo costituisce l’uomo esteriore, ma va aggiunta questa specie di vita che dà vigore all’organismo corporeo e a tutti i sensi dei quali è dotato per sentire i corpi esterni; le immagini di questi corpi sentiti, fissate nella memoria e rappresentate con il ricordo, appartengono ancora all’uomo esteriore. In tutto questo non ci differenziamo dagli animali se non perché, per la conformazione del nostro corpo, non siamo proni ma eretti 1. Questo privilegio, secondo l’intenzione di Colui che ci ha creato, ci ammonisce di non essere con la nostra parte migliore, cioè con l’anima, simili agli animali, dai quali ci distingue la statura eretta. Non che noi dobbiamo fissare l’anima sui corpi che sono in alto, perché, cercare il riposo della volontà in tali cose, sarebbe ancora trascinare verso il basso l’anima. Ma come il nostro corpo, per natura, è eretto verso quelli che tra i corpi sono i più elevati, cioè verso i corpi celesti, così la nostra anima, che è sostanza spirituale, ha da volgersi verso quelle che sono le più elevate tra le realtà spirituali; non con un’esaltazione orgogliosa, ma con un pio amore della giustizia.

La conoscenza delle verità eterne

2. 2. Anche gli animali possono percepire, per mezzo dei sensi corporei, i corpi esteriori, ricordandosene dopo che si sono fissati nella memoria; desiderare, fra essi, quelli che sono utili, fuggire quelli che sono nocivi. Ma non possono invece fissare su di essi l’attenzione; ritenere, oltre ai ricordi spontaneamente captati dalla memoria, quelli che ad essa si affidano intenzionalmente; imprimerveli di nuovo, quando stanno già per cadere in dimenticanza, ricordandoli e pensandoli in modo che, come il pensiero si forma a partire dal contenuto della memoria, così lo stesso contenuto della memoria sia consolidato dal pensiero; costruire visioni immaginarie raccogliendo e, per così dire, ricucendo questi e quei ricordi presi di qui e di là; vedere come, in questo genere di cose, il verosimile si distingue dal vero, non nell’ordine spirituale, ma perfino nell’ordine materiale; tutti questi fenomeni, ed altri di tal genere, sebbene si svolgano e si trovino nell’ordine sensibile e nell’ordine delle conoscenze che l’anima ha attinto per mezzo dei sensi corporei, tuttavia non sono estranei alla ragione, né sono un qualcosa di comune agli uomini ed agli animali. Ma è compito della ragione superiore il giudicare di queste cose corporee, secondo le leggi incorporee ed eterne. Se queste non fossero al di sopra dello spirito umano, certamente non sarebbero immutabili; ma se esse non avessero alcun legame con quella parte di noi stessi che è loro sottomessa, non potremmo, in base ad esse, giudicare delle realtà corporee 2. Ora noi giudichiamo delle realtà corporee secondo la legge delle dimensioni e delle figure, legge di cui il nostro spirito conosce la persistenza immutabile.

La duplice funzione della ragione in un unico spirito

3. 3. Ma ciò che in noi, pur non essendoci comune con gli animali, presiede alle nostre attività di ordine materiale e temporale, appartiene senza dubbio alla ragione, ma di quella sostanza razionale del nostro spirito, che ci unisce e sottomette alla verità intelligibile e immutabile, è, come una derivazione e una applicazione nel trattamento e nel governo delle cose inferiori. Come infatti in tutto il regno animale non si trovò per l’uomo aiuto simile a lui, ma questo aiuto lo si formò da una parte di lui e gli fu dato in sposa, così per il nostro spirito che attinge la verità trascendente non esiste per regolare l’uso delle cose materiali nei limiti della natura umana un aiuto simile ad esso nelle parti che abbiamo comuni con le bestie. E perciò una parte della nostra ragione riceve un’incombenza speciale, che non ha lo scopo di creare una frattura, ma di fornire un aiuto in un campo subordinato. E come i due corpi dell’uomo e della donna non sono che una sola carne, così pure il nostro intelletto e l’azione, il consiglio e l’esecuzione, la ragione e l’appetito razionale (o se c’è qualche altro modo di dire che designi queste realtà in maniera più espressiva) sono compresi nell’unità della natura dello spirito; cosicché, come di quelli è stato detto: Saranno due in una sola carne 3; così di questi si possa dire: "Sono due in un solo spirito".

La trinità e l’immagine di Dio si trovano in quella parte dello spirito che contempla le verità eterne

4. 4. Quando dunque trattiamo della natura dello spirito umano, parliamo di una sola realtà: il duplice aspetto che ho distinto è solo in relazione alle due funzioni. E così, quando cerchiamo in esso una trinità, la cerchiamo nello spirito tutto intero e non separiamo la sua azione razionale sulle cose temporali dalla contemplazione delle cose eterne per cercare un terzo termine che completi la trinità. No, è nella natura dello spirito tutta intera che bisogna trovare una trinità, in modo che, anche se venga a mancare l’azione sulle cose temporali - opera alla quale è necessario un aiuto, per cui una parte dello spirito viene delegata all’amministrazione di queste cose inferiori -, possiamo trovare una trinità nello spirito uno e indiviso. Una volta distribuite così le funzioni, è nella sola regione dello spirito, che si dedica alla contemplazione delle realtà eterne, che troviamo non solo una trinità, ma anche l’immagine di Dio 4; invece nella regione dello spirito applicata alle nostre attività temporali, sebbene si possa trovare una trinità, tuttavia non si può trovare l’immagine di Dio.

La trinità del padre, della madre e del figlio non sembra essere immagine di Dio

5. 5. Perciò non mi pare abbastanza fondata l’opinione di coloro che ritengono che si possa riscontrare la trinità dell’immagine di Dio in una trinità di persone che riguarda l’ordine della natura umana; immagine che si realizzerebbe nel matrimonio dell’uomo e della donna e nella loro prole; cosicché l’uomo rappresenterebbe la persona del Padre; ciò che da lui procede per generazione, quella del Figlio; la terza persona, corrispondente allo Spirito sarebbe, dicono, la donna che procede dall’uomo senza essere tuttavia né suo figlio né sua figlia, sebbene concepisca e generi la prole 5. Disse infatti il Signore, dello Spirito Santo, che procede dal Padre 6, e tuttavia non è Figlio. In questa opinione erronea, l’unica affermazione ammissibile è che, se si considera l’origine della donna, come lo dimostra a sufficienza la testimonianza della Sacra Scrittura, non si può chiamare figlio ogni essere che trae origine da un’altra persona per essere persona a sua volta; è infatti dalla persona dell’uomo che trae la sua esistenza la persona della donna e tuttavia non si può chiamare sua figlia. Per il resto questa opinione è così assurda, anzi così falsa, che è estremamente facile confutarla. Passo sotto silenzio l’assurdo accostamento che fa dello Spirito Santo la madre del Figlio di Dio e la sposa del Padre; forse mi si potrà contestare che queste cose suscitano disgusto nell’ordine carnale, perché si pensa a concepimenti e a parti corporei. Sebbene anche queste cose i puri, per i quali tutto è puro, pensino con grandissima castità, per gli impuri invece e i non credenti, che hanno sia lo spirito che la coscienza contaminati, niente è puro 7, al punto che alcuni di essi si scandalizzano che Cristo sia nato secondo la carne, sia pure da una vergine. Ma tuttavia, in ciò che vi è di più elevato nell’ordine spirituale, dove non c’è nulla di contaminabile e corruttibile, né nascita nel tempo 8, né passaggio dall’informe al formato, se si parla di misteri ad immagine dei quali, sebbene in maniera assai lontana, sono generate le creature inferiori, essi non debbono turbare la riservatezza ed il ritegno di nessuno, affinché per evitare un vano orrore non si cada in un pernicioso errore. Ci si abitui a trovare nei corpi le vestigia delle realtà spirituali, in modo tale da non trascinare con sé nelle cose più elevate ciò che si disprezza in quelle più basse, quando, sotto la guida della ragione, si comincia quell’ascesa che, a partire dal temporale, ci dirige verso l’alto per farci giungere alla verità immutabile per mezzo della quale queste cose sono state fatte. Il fatto che il nome di sposa evochi al pensiero l’unione corruttibile necessaria alla generazione della prole non ha distolto lo scrittore sacro da scegliersi in sposa la sapienza, né la sapienza stessa è di sesso femminile, per il fatto che tanto in greco quanto in latino la si esprime con un vocabolo di genere femminile.

Confutazione dell’opinione precedente

6. 6. Non respingiamo dunque questa opinione perché temiamo di considerare questa santa, inviolabile ed immutabile carità come la sposa di Dio Padre, dal quale trae origine la sua esistenza, senza tuttavia essere sua prole destinata a generare il Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 9, ma perché la divina Scrittura ne mostra con evidenza la falsità. Infatti Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 10. E poco dopo è detto: E Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 11. La parola: nostra, essendo un plurale, sarebbe impropria, se l’uomo fosse stato fatto a immagine di una sola persona, sia quella del Padre, del Figlio o dello Spirito Santo. Ma poiché veniva fatto ad immagine della Trinità, per questo si ha l’espressione: ad immagine nostra. Al contrario, per evitare che ritenessimo di dover credere che ci sono tre dèi nella Trinità, dato che questa stessa Trinità è un solo Dio, la Scrittura dice: E Dio fece l’uomo a immagine di Dio; come se dicesse: Ad immagine sua 12.

6. 7. Le Scritture spesso usano espressioni tali, alle quali alcuni, sebbene affermino la loro fede cattolica, non fanno sufficientemente attenzione, cosicché intendono queste parole: Dio fece (l’uomo) ad immagine di Dio, come se fosse detto: "Il Padre fece (l’uomo) ad immagine del Figlio", volendo provare così che nelle sante Scritture anche il Figlio è chiamato Dio, come se mancassero altri testi probanti, assai sicuri ed assai chiari, in cui il Figlio è detto non solo Dio, ma vero Dio 13. Infatti, a proposito di questa testimonianza, mentre vogliono risolvere altre difficoltà, cadono in un tale groviglio dal quale non si possono districare. Perché se il Padre creò l’uomo a immagine del Figlio, cosicché l’uomo non sia immagine del Padre, ma del Figlio, il Figlio non è simile al Padre. Però se una pia fede ci insegna, come difatti ci insegna, che la somiglianza del Figlio al Padre giunge fino all’uguaglianza dell’essenza, ciò che è stato creato a somiglianza del Figlio è stato creato anche a somiglianza del Padre. Inoltre, se il Padre ha creato l’uomo, non a sua immagine, ma a immagine del Figlio, perché non disse: "Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza tua", ma invece: a immagine e somiglianza nostra 14, se non perché l’immagine della Trinità veniva prodotta nell’uomo in modo che così l’uomo fosse l’immagine del solo Dio 15, perché la Trinità stessa è un solo vero Dio? Simili espressioni sono innumerevoli nelle Scritture, ma basterà addurre le seguenti. Si legge nei Salmi: Dal Signore viene la salvezza e sul tuo popolo è la tua benedizione 16, come si parlasse ad un altro, non più a colui cui si diceva: Dal Signore viene la salvezza. E in un altro Salmo: Tu mi salverai dalla tentazione e nel mio Dio salterò il muro 17, come se le parole: tu mi salverai dalla tentazione fossero indirizzate ad un altro. Si legge ancora: I popoli cadranno ai tuoi piedi, nel cuore dei nemici del re 18, come se dicesse: "Nel cuore dei tuoi nemici". È proprio al re, cioè al Signore nostro Gesù Cristo, che il Salmista diceva: I popoli cadranno ai tuoi piedi, ed è a questo stesso re che volle alludere quando aggiunse: nel cuore dei nemici del re. Tali espressioni si trovano più raramente nel Nuovo Testamento. Tuttavia l’Apostolo scrive nella Lettera ai Romani: Del Figlio suo, nato dalla discendenza di David secondo la carne, che fu predestinato Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione, per mezzo della risurrezione dai morti di Gesù Cristo nostro Signore 19, come se all’inizio del passo avesse parlato di un altro. Chi è infatti il Figlio di Dio predestinato per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, se non lo stesso Gesù Cristo, che è stato predestinato ad essere il Figlio di Dio? Dunque quando leggiamo: Figlio di Dio nella potenza di Gesù Cristo, o Figlio di Dio secondo lo Spirito di santificazione di Gesù Cristo, o Figlio di Dio per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, mentre si sarebbe potuto dire, secondo il linguaggio corrente, "nella sua potenza" o "secondo lo Spirito della sua santificazione", "o Figlio di Dio per la sua risurrezione dai morti" o "dei suoi morti", niente ci obbliga a ritenere che si tratti di un’altra persona, ma si tratta invece di una sola e medesima Persona, cioè di quella del Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo. Così quando leggiamo: Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 20, sebbene si fosse potuto dire secondo il modo più corrente di esprimersi: a sua immagine 21, non siamo affatto obbligati a pensare che si tratti di un’altra persona distinta nella Trinità, ma si tratta della sola e medesima Trinità che è un solo Dio ad immagine della quale l’uomo è stato fatto 22.

6. 8. Stando così le cose 23, se noi troviamo questa stessa immagine della Trinità non in un solo uomo, ma in tre - nel padre, nella madre e nel figlio - allora l’uomo non era stato fatto ad immagine di Dio 24 prima che gli fosse stata data una donna e che avessero tutti e due procreato un figlio, perché non c’era ancora trinità. Qualcuno dirà forse: "C’era già trinità, perché, sebbene non possedesse ancora la sua forma propria, anche la donna era già presente, secondo la natura che ne sarebbe stata l’origine, nel costato dell’uomo ed il figlio nei lombi del padre"? Ma allora perché, dopo aver detto: Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 25, la Scrittura aggiunge nel contesto immediato: Dio lo fece maschio e femmina; li fece e li benedisse 26? Bisogna forse dividere così le parti della frase: Dio fece l’uomo, continuare poi: lo fece ad immagine di Dio, e aggiungere infine: lo fece maschio e femmina? Alcuni hanno timore di dire: lo fece maschio e femmina, perché non si intendesse un essere mostruoso, simile a quelli che si chiamano ermafroditi 27, mentre si può, senza forzare il senso, vedere in questo singolare un’allusione all’uomo e alla donna, in quanto è detto: Due in una sola carne 28. Perché dunque, per riprendere il mio ragionamento, nella natura umana fatta ad immagine di Dio, la Scrittura non menziona che l’uomo e la donna? Perché l’immagine della Trinità fosse completa, avrebbe dovuto aggiungere anche il figlio, sebbene fosse ancora racchiuso nei lombi del padre, come la donna lo era nel suo costato 29. O si deve intendere che la donna era già stata creata e che la Scrittura, in un’espressione concisa, ora menziona soltanto ciò che si riserva di spiegare poi più dettagliatamente come sia stato creato e non poté menzionare il figlio, perché non era ancora nato? Come se lo Spirito Santo non avesse potuto designare con la stessa concisione il figlio, riservandosi di raccontarne la nascita al momento voluto, allo stesso modo che racconta poi, al momento voluto, come la donna è stata tratta dal costato dell’uomo senza omettere tuttavia di nominarla in questo passo.

Perché anche la donna non è immagine di Dio?

7. 9. Dunque non dobbiamo intendere che l’uomo è stato creato ad immagine della Trinità suprema, cioè ad immagine di Dio 30, nel senso che questa immagine si riscontri in una trinità di persone umane: tanto più che l’Apostolo dice che l’uomo (vir) è immagine di Dio e per questo gli proibisce di velarsi il capo, mentre ordina alla donna di farlo. Dice infatti: L’uomo non deve velarsi il capo, perché è l’immagine e la gloria di Dio. La donna invece è la gloria dell’uomo 31. Che dire di questo? Se la donna da parte sua contribuisce a completare l’immagine della Trinità perché, una volta che essa è stata tolta dal costato dell’uomo (vir), questi è ancora detto immagine 32? E se in questa trinità di persone umane, una di esse, considerata a parte, può essere detta immagine di Dio, allo stesso modo che nella suprema Trinità ciascuna Persona è Dio, perché anche la donna non è immagine di Dio? Ora sembra che essa non lo è, perché le si prescrive di velarsi il capo, cosa proibita all’uomo, perché egli è immagine di Dio.

Interpretazione figurata e mistica del detto dell’Apostolo: l’uomo è immagine di Dio, la donna gloria dell’uomo

7. 10. Ma vediamo bene come l’affermazione dell’Apostolo secondo cui non la donna, ma l’uomo è immagine di Dio, non sia contraria a ciò che è detto nel Genesi: Dio fece l’uomo, lo ha fatto ad immagine di Dio; lo ha fatto maschio e femmina e li ha benedetti 33. Secondo il Genesi è la natura umana in quanto tale che è stata fatta ad immagine di Dio, natura che si compone dei due sessi e quindi non esclude la donna, quando si tratta di intendere l’immagine di Dio. Infatti, dopo aver detto che Dio ha fatto l’uomo ad immagine di Dio, aggiunge: Lo fece maschio e femmina, o distinguendo diversamente: li fece maschio e femmina. Come può dunque l’Apostolo dire che l’uomo (vir) è immagine di Dio e per questo non deve velarsi il capo, ma che la donna non lo è per cui deve velarsi il capo 34? Il motivo è, ritengo, quello che ho già indicato, quando ho trattato della natura dello spirito umano: la donna è con suo marito immagine di Dio 35, cosicché l’unità di quella sostanza umana forma una sola immagine; ma quando è considerata come aiuto, proprietà che è esclusivamente sua, non è immagine di Dio; al contrario l’uomo, in ciò che non appartiene che a lui, è immagine di Dio 36, immagine così piena ed intera, come quando la donna gli è congiunta a formare una sola cosa con lui. È ciò che abbiamo detto della natura dello spirito umano: quando si dedica tutto alla contemplazione della verità è immagine di Dio, ma quando qualcosa di esso si distacca e una parte dell’attenzione si applica all’azione delle cose temporali, nondimeno lo spirito, nella parte di esso che vede e consulta la verità, resta immagine di Dio, ma nella parte invece che si applica all’azione sulle realtà inferiori, non è immagine di Dio. E, poiché esso quanto più si estende verso ciò che è eterno, tanto più ne è "formato" 37 ad immagine di Dio, e perciò non si deve in questo costringerlo a moderarsi e a contenersi; per tal motivo l’uomo non deve velarsi il capo 38. Ma poiché per l’azione razionale sulle cose temporali c’è il rischio di lasciarsi trascinare eccessivamente verso le realtà inferiori, per questo essa deve avere un potere sopra il suo capo, indicato dal velo, che significa che dev’essere contenuta 39. È un simbolo, questo, mistico e pio, gradito agli Angeli santi. Dio da parte sua non vede nel tempo e nessun elemento nuovo viene a modificare la sua visione e la sua scienza, quando avviene qualche avvenimento temporale e transitorio, come ne sono affetti i sensi carnali degli animali e degli uomini, o anche quelli spirituali degli Angeli.

7. 11. Che con questa chiara distinzione del sesso maschile e femminile l’Apostolo abbia simboleggiato un più profondo mistero, si può anche comprendere da questo fatto che, dicendo egli in un altro passo che la vedova vera è desolata senza figli e senza nipoti e tuttavia deve sperare nel Signore e perseverare nella preghiera notte e giorno 40, in questa stessa Epistola egli dice che la donna sedotta, caduta nella prevaricazione, si salva mediante la generazione dei figli, e aggiunge: se essi persevereranno nella fede, nella carità e nella santità con modestia 41. Come se potesse nuocere alla buona vedova il non aver dei figli o, avendone, il fatto che questi si rifiutino di perseverare nei buoni costumi. Ma, poiché quelle che sono chiamate le buone opere sono come i figli della nostra vita, in riferimento alla quale si domanda quale vita conduca ciascuno, cioè come compia queste azioni temporali - vita che i greci chiamano non , ma , e queste buone azioni si praticano ordinariamente nelle opere di misericordia, ma le opere di misericordia non sono di alcuna utilità ai Pagani né ai Giudei che non credono a Cristo, né agli eretici e scismatici di qualsiasi specie, che non hanno né fede né amore, né santità accompagnata alla temperanza 42 - risulta chiaro il pensiero dell’Apostolo. Egli parla in un senso figurato e mistico dell’obbligo che ha la donna di velare il capo 43; se queste parole non si riferissero a qualche mistero nascosto, sarebbero prive di senso.

7. 12. Come ce lo mostra non solo la retta ragione, ma anche l’autorità dello stesso Apostolo, l’uomo fu creato ad immagine di Dio 44, non secondo la forma del corpo, ma secondo la sua anima razionale 45. È una opinione grossolana e vana quella secondo cui si ritiene che Dio è circoscritto e limitato da una configurazione di membra corporee. Per di più il beato Apostolo non dice: Rinnovatevi nella vostra anima spirituale e rivestitevi dell’uomo nuovo, quello che è stato creato a immagine di Dio 46, e altrove, ancor più chiaramente non dice: Spogliatevi dell’uomo vecchio e delle sue azioni, rivestitevi dell’uomo nuovo che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che lo ha creato 47? Se dunque ci rinnoviamo nella nostra anima spirituale e l’uomo nuovo è colui che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creato, non c’è alcun dubbio che non è secondo il corpo, né secondo una qualsiasi parte dell’anima, ma secondo l’anima razionale la quale può conoscere Dio, che l’uomo è stato fatto ad immagine di Colui che l’ha creato. Inoltre per questo rinnovamento noi diventiamo altresì figli di Dio, con il battesimo di Cristo e rivestendoci dell’uomo nuovo, ci rivestiamo di Cristo per mezzo della fede 48. Chi dunque potrebbe pretendere di escludere le donne da questa partecipazione, dato che esse sono nostre coeredi della grazia e visto che l’Apostolo dice in un altro passo: Voi siete infatti tutti figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né Giudeo, né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, perché siete tutti uno solo in Gesù Cristo 49? Si dovrà dunque pensare che le donne che credono hanno perduto il loro sesso? No, ma poiché si rinnovano ad immagine di Dio 50, là dove non entra il sesso, perciò, ivi stesso ove il sesso non entra, l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio 51, cioè nella sua anima spirituale 52. Perché allora l’uomo non deve velare il suo capo perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna deve velarlo, perché è gloria dell’uomo 53, come se la donna non si rinnovasse nella sua anima spirituale, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creata 54? Perché, essendo la donna differente dall’uomo per il suo sesso, poté giustamente raffigurarsi nel velo del suo capo quella parte della ragione che si abbassa a dirigere le attività temporali. L’immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell’uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene, parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne 55.

L’oscuramento dell’immagine di Dio

8. 13. Dunque nei loro spiriti si riconosce una natura comune, nei loro corpi è invece raffigurata una diversità di funzioni di questo solo e medesimo spirito. Salendo perciò interiormente alcuni gradini attraverso le varie parti dell’anima con la riflessione, dove cominciamo a trovare in essa qualcosa che non ci è comune con gli animali, lì incomincia la ragione, in cui si può già riconoscere l’uomo interiore. Anche questi, se sotto l’influsso di quella ragione che è stata delegata all’amministrazione delle cose temporali scivola eccessivamente, con rapido cammino, verso le cose esteriori, con il consenso del suo "capo", cioè senza che lo trattenga e lo raffreni quella parte della ragione che comanda nella specola del consiglio e compie in qualche modo la funzione dell’uomo, invecchia in mezzo ai suoi nemici 56, i demoni invidiosi della sua virtù, con il loro principe, il diavolo, e la visione delle cose eterne è sottratta allo stesso "capo", che con la sua sposa mangia il frutto proibito, cosicché la luce dei suoi occhi non è più con lui 57. Così, spogliati ambedue di quella illuminazione della verità, ed essendo aperti gli occhi della loro coscienza per vedere quanto siano rimasti disonesti e laidi, uniscono insieme delle belle parole senza il frutto delle buone opere, cosicché, pur vivendo male, nascondono la loro turpitudine sotto l’apparenza di buone parole, come unendo insieme delle foglie che annunciano dolci frutti, ma senza questi stessi frutti 58.

9. 14. Innamorata del suo potere l’anima scivola dall’universale, che è comune a tutti, al particolare, che le è proprio per quella superbia che è forza di separazione, chiamata inizio del peccato 59, mentre, se avesse seguito Dio come guida nell’universalità della creazione, avrebbe potuto essere governata in maniera perfetta dalla legge divina. Desiderando invece qualcosa di più dell’universo, e avendo preteso di governarlo con la propria legge, precipita nella cura del particolare, perché non c’è nulla al di là dell’universo e così, desiderando qualcosa di più, diminuisce ; per questo l’avarizia è chiamata radice di tutti i mali 60; e questo tutto in cui essa si sforza di agire in maniera sua propria contro le leggi dalle quali è governato l’universale, lo regge con il suo corpo, che può avere solo un possesso parziale; e così affascinata dalle forme e dai movimenti corporei, dato che non li possiede nella sua interiorità, si involge nelle loro immagini, che ha fissato nella memoria, e si inquina vergognosamente per la fornicazione dell’immaginazione, riferendo tutte le sue attività a quei fini per cui cerca con inquietudine le cose corporee e temporali per mezzo dei sensi corporei, o, con fasto orgoglioso, affetta di essere superiore alle altre anime dedite ai sensi corporei o si immerge nel gorgo fangoso della voluttà carnale.

Le tappe della caduta

10. 15. Quando dunque l’anima con retta intenzione cerca, sia per sé, sia per gli altri, di attingere i beni interiori e superiori che sono posseduti con casto amplesso, non come un qualcosa di privato, ma come un qualcosa di comune, senza esclusione od invidia, da tutti coloro che li amano, anche se essa sbaglia in qualche punto per ignoranza delle cose temporali, dato che compie questo nel tempo, e non agisce come si deve, si tratta di una tentazione umana 61. Ed è gran cosa passare questa vita, che è come una via che prendiamo per ritornare, senza lasciarci sorprendere da nessuna tentazione, se non umana. Questo peccato infatti è esteriore al corpo 62; non è considerato come fornicazione e per questo ottiene molto facilmente perdono. Quando invece compie qualcosa per conseguire quegli oggetti che sono percepiti per mezzo del corpo, per desiderio di farne esperienza, di eccellervi, di entrare con essi in contatto, in vista di riporre in essi il fine del suo bene, qualunque cosa faccia, agisce in maniera turpe e fornica, peccando contro il proprio corpo 63, e trasportando all’interno di sé le immagini menzognere delle cose corporee e combinandole in vane fantasticherie, così da giungere al punto che niente le apparisca divino se non quello che è sensibile, egoisticamente avara, si riempie di errori e, egoisticamente prodiga, si svuota di forze 64. Né si precipita sin dall’inizio tutto d’un colpo in una fornicazione così turpe e miserevole, ma come è scritto: Colui che disprezza le piccole cose, a poco a poco cadrà 65.

Quando l’uomo pretende di essere come Dio cade in ciò che vi è di più basso, in ciò che fa la gioia delle bestie

11. 16. Allo stesso modo infatti che il serpente non avanza a passi franchi, ma striscia con l’invisibile movimento delle sue squame, così il movimento scivoloso della caduta trascina a poco a poco quelli che si abbandonano e, cominciando dal desiderio perverso di rassomigliare a Dio, giunge fino a far rassomigliare agli animali 66. Ecco perché, spogliati della stola prima, i progenitori hanno meritato 67, divenuti mortali, di rivestire tuniche di pelle 68. Infatti il vero onore dell’uomo consiste nell’essere l’immagine e la somiglianza di Dio 69, immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è impressa. Ne consegue che tanto più ci si unisce a Dio, quanto meno si ama ciò che si possiede in proprio. Ma il desiderio di fare esperienza del proprio potere fa ricadere, per un suo capriccio, l’uomo su se stesso come su un grado intermedio. Così quando pretende di essere come Dio, a nessuno sottoposto, per punizione viene precipitato, lontano persino da quel grado intermedio che è lui stesso, in ciò che vi è di più basso, cioè in ciò che fa la felicità degli animali. E così, consistendo il suo onore nell’essere l’immagine di Dio, il suo disonore nell’essere immagine della bestia: L’uomo posto in dignità, non lo comprese; si è assimilato agli animali senza ragione ed è divenuto simile a loro 70. Per dove compirebbe dunque un così lungo tragitto che porta dalle vette più alte alle cose più basse, se non passando per quel grado intermedio che è lui stesso? Infatti quando, trascurando l’amore della sapienza, che rimane sempre immutabile, si desidera la scienza che viene dall’esperienza delle cose mutevoli e temporali, scienza che gonfia, non edifica 71, l’anima, per questo, soccombendo come al suo peso, e cacciata dalla beatitudine e facendo esperienza di quel grado intermedio che è essa stessa, apprende, per il suo castigo, quale differenza separa il bene che ha abbandonato dal male che ha commesso e per l’effusione e la perdita delle sue forze non è capace di ritornare indietro, se non per la grazia del suo Creatore che la chiama alla penitenza e le rimette i peccati. Chi libererà infatti l’anima infelice da questo corpo di morte, se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 72? Di questa grazia parleremo a suo luogo, quando egli ce lo concederà.

Interpretazione allegorica del primo peccato: matrimonio misterioso nell’uomo interiore

12. 17. Completiamo ora, con l’aiuto del Signore, lo studio intrapreso circa quella parte della ragione alla quale appartiene la scienza, cioè la conoscenza delle cose temporali e mutevoli, necessaria per esplicare le attività di questa vita. Come nella storia da tutti conosciuta della prima coppia umana, il serpente non mangiò del frutto proibito, ma soltanto persuase a mangiarne, e la donna non fu la sola a mangiarne, ma ne diede a suo marito, e ne mangiarono insieme, sebbene abbia parlato da sola con il serpente e sia stata la sola ad essere sedotta da esso 73, così anche in quest’altro matrimonio misterioso e segreto, che si attua e si riconosce pure in ogni uomo considerato individualmente, il movimento carnale o, per dir così, il movimento sensuale dell’anima, che pone tutta la sua attenzione ai sensi del corpo e ci è comune con gli animali, è estraneo alla ragione che si applica alla sapienza. Il senso corporeo infatti percepisce le cose corporee, la ragione che si applica alla sapienza ha l’intelligenza delle cose immutabili e spirituali. Ora l’appetito è vicino alla ragione che si applica alla scienza, in quanto la scienza, detta dell’azione, ragiona sulle stesse cose corporee percepite dai sensi del corpo; ma se il suo ragionamento è buono lo fa per riferire quella conoscenza al fine del Bene sommo, se è invece cattivo lo fa per fruire di quelle cose come di beni tali in cui si possa riposare in una beatitudine menzognera. Quando dunque questa attenzione dello spirito, che esercita la sua funzione attiva sulle cose temporali e corporee con la vivacità propria al ragionamento, si lascia attirare dal senso carnale od animale a fruire di sé, cioè a fruire di un bene egoistico e particolare, non del bene generale e comune, qual è il bene immutabile, allora è come se il serpente parlasse alla donna. Consentire a questa attrattiva è mangiare del frutto proibito. Però se questo consenso si limita ad una semplice compiacenza del pensiero, ma l’autorità di una decisione superiore trattiene le membra dall’abbandonarsi al peccato come strumenti d’iniquità 74, allora, mi sembra, è come se la donna sola mangiasse del frutto proibito. Se, al contrario, consentendo al cattivo uso delle cose percepite per mezzo dei sensi del corpo si risolve di commettere qualunque peccato, anche col corpo, se ne ha il potere, bisogna allora intendere che quella donna ha dato al marito da mangiare, insieme a lei, del cibo proibito. Infatti non si può decidere con lo spirito non solamente di compiacersi nel peccato di pensiero, ma anche di commetterlo con un atto, se l’attenzione dello spirito, che ha il potere assoluto di far agire le membra o di impedire che agiscano, non ceda e si abbandoni alla cattiva azione.

12. 18. Certamente non si può negare che ci sia peccato, quando lo spirito si compiace solamente con il pensiero di cose proibite, deciso, è vero, a non commetterle, ma compiacendosi a trattenere e a ripensare delle immagini che avrebbe dovuto cacciare al primo loro apparire; ma questo peccato è molto minore che se si decidesse di doverlo anche mettere in atto. Perciò si deve domandare perdono anche di tali pensieri, percuotersi il petto e dire: Rimetti a noi i nostri debiti, fare ciò che segue e aggiungere nella preghiera: come noi li rimettiamo ai nostri debitori 75. Non è infatti come nel caso dei primi due uomini, quando ciascuna persona era responsabile per sé, e perciò se solo la donna avesse mangiato del frutto proibito, essa sola sarebbe stata condannata alla pena di morte. Quando si tratta di un uomo solo, il caso è diverso. Se il solo pensiero, compiacendosene, si pasce dei piaceri proibiti, da cui avrebbe dovuto distogliersi immediatamente, né si decide a compiere queste azioni cattive, ma si limita a ritenerne ed assaporarne le immagini, questo caso non si può paragonare a quello della donna che può essere punita senza l’uomo; guardiamoci bene dal crederlo. Qui c’è una sola persona, un solo uomo, e sarà condannato tutto intero, a meno che questi che sono ritenuti peccati del solo pensiero, perché commessi senza il proposito di scendere all’azione, ma tuttavia con il proposito di trovarne diletto interiormente, non siano rimessi per mezzo della grazia del Mediatore.

12. 19. In tutta questa discussione in cui abbiamo cercato di mostrare che esiste, nello spirito di ciascun uomo, una specie di matrimonio tra la ragione contemplativa e la ragione attiva, con l’attribuzione a ciascuna di funzioni diverse, ma senza compromettere l’unità dello spirito - e questo senza recar pregiudizio alla verità della narrazione della divina Scrittura che ci racconta dei due primi uomini, marito e moglie, origine del genere umano -, non avevamo altro fine che far intendere che l’Apostolo, dicendo che l’uomo solo, non la donna, è immagine di Dio, ha voluto, sebbene sotto l’immagine della distinzione di sesso tra due esseri umani, significare qualcosa che si deve cercare in ogni essere umano, considerato individualmente 76.

Altra interpretazione simbolica: l’opinione che l’uomo significhi lo spirito, la donna i sensi

13. 20. Non ignoro che, prima di noi, illustri difensori della fede cattolica 77 e commentatori delle divine Scritture, cercando questi due principi nell’uomo individuale, la cui anima, buona nel suo insieme, considerarono come una specie di paradiso, affermarono che l’uomo rappresenta lo spirito, la donna il senso del corpo. E se si accetta poi questa distinzione che vede nell’uomo l’immagine dello spirito, nella donna quella del senso del corpo, tutto sembra accordarsi in maniera perfetta qualora si considerino attentamente le cose, ma con questa riserva però: che è scritto che fra tutte le bestie e tutti gli uccelli non è stato trovato per l’uomo un aiuto simile a lui 78, ed allora fu creata la donna traendola dal suo costato 79. Per questo non ho creduto di dover considerare la donna come simbolo del senso corporeo che, come sappiamo, ci è comune con le bestie, ma ho voluto vedere in lei il simbolo di qualcosa che le bestie non avessero; così ho pensato che si dovesse invece vedere nel serpente il simbolo del senso corporeo; il serpente che è, secondo la Scrittura, il più astuto degli animali della terra 80. Fra quei beni naturali, che vediamo esserci comuni con gli animali, eccelle per la sua vivacità il senso, non quel senso di cui parla l’Epistola agli Ebrei, quando dice: Il nutrimento solido è per gli uomini perfetti, i cui sensi sono esercitati dall’abitudine a discernere il bene dal male 81, perché questi sono sensi della natura razionale ed appartengono all’intelligenza; quello invece è un senso corporeo che si divide in cinque sensi e mediante il quale non solo noi, ma anche le bestie, percepiscono le forme e i movimenti corporei.

13. 21. Ma sia che si debba intendere in questo o in quel modo, o in un altro ancora, ciò che l’Apostolo dice quando afferma che l’uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece gloria dell’uomo 82, in ogni caso appare chiaro che, quando viviamo secondo Dio, il nostro spirito, teso verso le perfezioni invisibili di Dio, deve progressivamente ricevere la sua forma modellandosi sulla sua eternità, sulla sua verità, sulla sua carità, ma che una parte della nostra attenzione razionale, cioè dello stesso spirito, deve essere diretta verso l’uso delle cose mutevoli e corporee, senza di che non si può vivere questa vita; ma non per conformarci a questo mondo 83, ponendo il nostro fine in questi beni e deviando su di essi il nostro appetito di felicità, ma perché, quanto facciamo razionalmente nell’uso dei beni temporali, lo facciamo senza cessare di contemplare i beni eterni da conseguire, passando attraverso quelli, unendoci a questi.

Sapienza e scienza

14. 21. Perché anche la scienza è benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole gonfiare è dominato dall’amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come sappiamo, edifica 84. Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere quella eterna, che è veramente beata.

Differenza tra la sapienza e la scienza

14. 22. C’è tuttavia una differenza tra la contemplazione delle cose eterne e l’azione con la quale facciamo buon uso delle cose temporali: quella si attribuisce alla sapienza, questa alla scienza. Sebbene infatti anche la sapienza possa venir chiamata scienza, come lo mostra l’affermazione dell’Apostolo, che dice: Ora conosco parzialmente, allora conoscerò come sono conosciuto 85, per questa scienza egli intende certamente la contemplazione di Dio, che sarà il premio supremo dei santi; tuttavia dove l’Apostolo dice: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 86, distingue, senza dubbio, l’una dall’altra, benché non spieghi la natura della loro differenza, e i caratteri che permettano di distinguerle. Ma dopo aver scrutato le molteplici ricchezze delle sante Scritture, trovo scritta nel libro di Giobbe questa sentenza del santo uomo: Ecco, la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza 87. Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la contemplazione, la scienza l’azione. In questo passo Giobbe identifica la pietà con il culto di Dio, che in greco si dice . È questa la parola che si trova presso i codici greci in questo passo. E fra le cose eterne che vi è di più eccellente di Dio, che solo possiede una natura immutabile? E che è il culto di Dio, se non l’amore di lui, amore che ci fa desiderare di vederlo, che ci fa credere e sperare che lo vedremo, perché nella misura in cui progrediamo lo vediamo ora per mezzo di uno specchio, in enigma, ma un giorno lo vedremo nella sua piena manifestazione? È ciò che dice l’apostolo Paolo quando parla della "visione" faccia a faccia 88; è anche quello che dice l’apostolo Giovanni: Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è 89. In questi passi e in passi simili si tratta proprio, mi pare, della sapienza 90. Astenersi invece dal male 91, ciò che Giobbe chiama scienza, appartiene certamente all’ordine delle cose temporali. Perché è in quanto siamo nel tempo che siamo soggetti al male, che dobbiamo evitare, per giungere ai beni eterni. Perciò tutto quanto compiamo con prudenza, forza, temperanza e giustizia, appartiene a quella scienza o regola di condotta, che guida la nostra azione nell’evitare il male e nel desiderare il bene; e le appartiene pure tutto ciò che, come esempio da evitare o da imitare e come conoscenza necessaria tratta da avvenimenti adatti ad illuminare la nostra vita, raccogliamo attraverso la conoscenza della storia.

La sapienza è conoscenza delle cose eterne

14. 23. Quando si parla di queste cose mi pare che il discorso riguardi la scienza e vada distinto da quello che concerne la sapienza 92 alla quale non appartengono né le cose passate né le future, ma quelle che sono presenti, e a causa di quella eternità in cui esistono, si chiamano passate, presenti e future senza alcuna mutazione di tempo. Infatti non sono passate in modo che abbiano cessato di esistere, o future come se non esistessero ancora, ma esse hanno avuto sempre lo stesso essere e sempre l’avranno. Permangono infatti, non però fisse in un’estensione spaziale come i corpi; ma nella loro natura incorporea le realtà intelligibili sono presenti allo sguardo dello spirito, come i corpi sono visibili e tangibili ai sensi corporei. Ma non soltanto le ragioni intelligibili e incorporee delle cose sensibili, situate nello spazio, sussistono indipendentemente da ogni estensione, bensì anche quelle dei movimenti che passano nel tempo permangono indipendenti da ogni divenire temporale, essendo intelligibili, non sensibili. Giungere ad attingerle con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi e quando vi si giunge, nei limiti del possibile, non vi permane colui stesso che vi è giunto, ma ne è come respinto dallo stesso offuscamento dello sguardo, e si ha così un pensiero passeggero di una cosa che non passa. Tuttavia questo pensiero, avanzando attraverso quelle discipline che istruiscono l’anima, è affidato alla memoria, cosicché abbia dove ritornare, esso che è costretto ad allontanarsi. Tuttavia se il pensiero non ritornasse alla memoria e se non vi ritrovasse ciò che le aveva affidato, come un ignorante sarebbe ricondotto a questo, come vi era stato condotto prima, e lo troverebbe dove l’aveva trovato prima, cioè in quella verità incorporea, da cui trarrebbe di nuovo una specie di copia che fisserebbe nella memoria. Infatti non allo stesso modo, per esempio, che permane la ragione incorporea ed immutabile di un corpo quadrato, può permanere ad essa unito il pensiero dell’uomo, supponendo tuttavia che vi sia potuto giungere senza rappresentazione spaziale. O ancora, se si coglie il ritmo di un’armonia melodiosa che scorre nel tempo, come immobile al di fuori del tempo in una specie di segreto e di profondo silenzio 93, vi si può pensare almeno per il periodo di tempo in cui si può udire quel canto; tuttavia quanto di ciò ha trattenuto lo sguardo, sebbene fugace, dello spirito ed ha depositato nella memoria, come inghiottendolo nello stomaco, esso potrà con il ricordo in qualche modo ruminarlo e far diventare conoscenza metodica ciò che abbia in tal modo appreso. Se la dimenticanza ha tutto cancellato, sotto la guida dell’insegnamento si può di nuovo giungere a ciò che era interamente scomparso e così lo si ritroverà com’era.

Confutazione della reminiscenza sostenuta da Platone e da Pitagora

15. 24. Per questo Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, più che conoscenza di qualcosa di nuovo 94. Infatti racconta che, un fanciullo, interrogato su argomenti di geometria, rispose come un maestro assai versato in quella disciplina. Interrogato per gradi e ad arte vedeva ciò che doveva vedere e diceva ciò che aveva visto 95. Ma se si trattasse qui di un ricordo di cose anteriormente conosciute, non sarebbe possibile a tutti o a quasi tutti rispondere a domande di tal genere. Infatti non tutti furono geometri nella loro vita anteriore, essendo i geometri così rari tra gli uomini che a mala pena se ne può trovare qualcuno. Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell’anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l’ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intellegibili, le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l’occhio carnale percepisce ciò che lo circonda, nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce ed ad essa ordinato. Infatti non è a dire che egli distingua, anche senza l’aiuto di un maestro, il bianco dal nero per il motivo che conosceva già queste cose prima di esistere in questo corpo. Infine perché soltanto a riguardo delle cose intelligibili può accadere che qualcuno risponda, se lo si interroga ad arte, su ciò che appartiene a qualsiasi disciplina, sebbene la ignori del tutto? Perché nessuno può far questo, riguardo alle cose sensibili, se non per quelle che ha visto una volta unito al suo corpo o per quelle cui ha creduto sulla testimonianza di coloro che le sapevano e le hanno comunicate per iscritto o con le loro parole? Non si ha da credere infatti a coloro che raccontano che Pitagora di Samo si sarebbe ricordato di certe cose di cui aveva fatto esperienza quando viveva quaggiù in un altro corpo 96; altri narrano che alcuni altri avrebbero sperimentato nei loro spiriti qualcosa di simile. Si tratta di false reminiscenze simili a quelle che proviamo per lo più nel sonno, quando ci sembra di ricordare, come se lo avessimo fatto o visto, ciò che non abbiamo né fatto né visto, e accade che simili affezioni si producano anche nell’anima di persone sveglie, per influsso degli spiriti maligni e ingannatori che si preoccupano di confermare e far nascere delle false opinioni sulla migrazione delle anime per ingannare gli uomini; lo si può provare a partire dal fatto che, se si ricordassero veramente le cose viste quaggiù prima, quando si viveva uniti ad altri corpi, si tratterebbe di un’esperienza comune a molti o a quasi tutti, perché, secondo tale opinione, si suppone un passaggio incessante dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, come dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia.

La giusta distinzione tra sapienza e scienza; anche nella scienza si trova una trinità

15. 25. Se dunque la vera differenza tra la sapienza e la scienza consiste in questo: che alla sapienza appartiene la conoscenza intellettiva delle cose eterne, alla scienza invece la conoscenza razionale delle cose temporali, non è difficile giudicare a quale si debba dare la precedenza, a quale l’ultimo posto. Supponendo che si debba usare un altro criterio per distinguere queste due cose, che l’Apostolo senza alcun dubbio distingue, quando afferma: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 97, tuttavia anche in tal caso rimane assai chiara la distinzione che abbiamo fatto tra le due, per cui una cosa è la conoscenza intellettiva delle cose eterne, altra cosa la conoscenza razionale delle cose temporali; e nessuno dubita che bisogna preferire la prima alla seconda.

Lasciando dunque da parte ciò che appartiene all’uomo esteriore e desiderando elevarci interiormente al di sopra di ciò che abbiamo in comune con gli animali, prima di giungere alla conoscenza delle realtà intelligibili e supreme, che sono eterne, incontriamo la conoscenza razionale delle cose temporali. Anche in essa sforziamoci dunque di vedere, se ci è possibile, una trinità, come ne abbiamo trovata una nei sensi corporei e un’altra nelle cose che per mezzo di essi sono entrate nell’anima e nel nostro spirito sotto forma di immagini; in luogo delle cose corporee che attingiamo dal di fuori, con i sensi corporei, avevamo in questo secondo caso le similitudini dei corpi impresse nella memoria, immagini che informavano il pensiero, intervenendo la volontà come terzo elemento che univa questo a quelle, a somiglianza di come era informato al di fuori lo sguardo degli occhi, che la volontà dirigeva verso la cosa visibile per produrre la visione, unendo l’uno all’altra, aggiungendosi, essa stessa, anche in questo caso, come terzo elemento. Ma non facciamo entrare forzatamente tale argomento in questo libro, affinché, nel seguente, se Dio ci aiuterà, lo si possa indagare con pieno agio e si possa esporre ciò che avremo trovato.


1 - Cf. Sallustio, Catil. 1, 1; Cicerone, De leg. 1, 9, 26; Ovidio, Metam. 1, 84-86.

2 - Cf. Agostino, De div. qq. 83 66, 2: NBA, VI/2.

3 - Gn 2, 24; Mt 19, 5; 1 Cor 6, 16; Ef 5, 31.

4 - 1 Cor 11, 7; Gn 1, 26 27; 9, 6; Sap 2, 23; Eccli 17, 1.

5 - Cf. Ireneo, Adv. haeres. 1, 30, 1; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 57, 7 - 58, 14.

6 - Gv 15, 26.

7 - Tt 1, 15.

8 - Ambrogio, De fide 4, 9, 99.

9 - Gv 1, 3.

10 - Gn 1, 26.

11 - Gn 1, 27.

12 - Ibid.

13 - Cf. 1 Gv 5, 20; Gv 17, 3.

14 - Gn 1, 26.

15 - 1 Cor 11, 7; Gn 1, 26, 27; 9, 6; Sap 2, 23; Eccli 17, 1.

16 - Sal 3, 9.

17 - Sal 17, 30.

18 - Sal 44, 6.

19 - Rm 1, 3, 4.

20 - Gn 1, 27; 5, 1.

21 - Eccli 17, 1.

22 - Dt 6, 4; Ml 2, 10; Mc 12, 29-32; Gv 17, 3; Rm 3, 30; Gal 3, 20; Ef 4, 6; 1 Tm 2, 5; Gc 2, 19.

23 - Cicerone, In Catil. 1, 5, 10.

24 - Gn 9, 6.

25 - Gn 1, 27; 5, 1.

26 - Gn 1, 27-28; 5, 2.

27 - Cf. Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 64.

28 - Gn 2, 24; Mt 19, 5; 1 Cor 6, 16; Ef 5, 31.

29 - Cf. Gn 2, 21-22.

30 - Gn 1, 26.27; 5, 1; 9, 6.

31 - 1 Cor 11, 7.

32 - Cf. Gn 2, 21-22; 1 Cor 11, 5-7.

33 - Gn 1, 27.28; 5, 1 2.

34 - Cf. 1 Cor 11, 5-7.

35 - Gn 1, 27; 5, 1; 9, 6.

36 - 1 Cor 11, 7.

37 - Cf. Agostino, De Gen. ad litt. 3, 20: NBA, IX/2.

38 - 1 Cor 11, 7.

39 - Cf. 1 Cor 11, 5.

40 - 1 Tm 5, 5.

41 - 1 Tm 2, 15.

42 - Cf. Agostino, De spir. et litt. 28: NBA, XVII/1.

43 - Cf. 1 Cor 11, 5.

44 - Gn 1, 26.27; 5, 1; 9, 6.

45 - Cf. Origene, In Gen. hom. 1, 3; 13, 4; Ambrogio, Hexaem. 6, 7, 40 - 8, 45.

46 - Ef 4, 23-24.

47 - Col 3, 9-10.

48 - Gal 3, 26-27; Col 3, 10.

49 - Gal 3, 26-28.

50 - Col 3, 10.

51 - Gn 9, 6.

52 - Ef 4, 23.

53 - 1 Cor 11, 7.

54 - Col 3, 10; Ef 4, 23.

55 - Cf. 1 Cor 11, 5-7.

56 - Sal 6, 8.

57 - Sal 37, 11.

58 - Gn 3.

59 - Eccli 10, 15.

60 - 1 Tm 6, 10.

61 - 1 Cor 10, 13.

62 - 1 Cor 6, 18.

63 - Ibid.

64 - Cf. Agostino, Retract. 2, 41, 4: NBA, II.

65 - Eccli 19, 1.

66 - Cf. Gn 3, 5 6; Eccle 3, 18; Sal 48, 13.

67 - Gn 3, 7 21.

68 - Cf. Porfirio, Ad Aneb.; Plotino, Enn. 1, 6, 7, 4-9; Origene, Hom. in Lev. 6, 2.

69 - Gn 1, 26.27; 3, 21; 5, 1; 9, 6.

70 - Sal 48, 13.

71 - 1 Cor 8, 1; Sap 9, 15.

72 - Rm 7, 24-25.

73 - Cf. Gn 3, 1-6.

74 - Rm 6, 13.

75 - Mt 6, 12.

76 - Cf. 1 Cor 11, 7.

77 - Cf. Tertulliano, De anima 18; Ambrogio, Noe 92; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 62.

78 - Gn 2, 20.

79 - Cf. Gn 2, 20-22.

80 - Gn 3, 1.

81 - Eb 5, 14.

82 - Cf. 1 Cor 11, 7.

83 - Rm 12, 2.

84 - 1 Cor 8, 1.

85 - 1 Cor 13, 12.

86 - 1 Cor 12, 8.

87 - Gb 28, 28.

88 - 1 Cor 13, 12.

89 - 1 Gv 3, 2.

90 - 1 Cor 12, 8.

91 - Gb 28, 28.

92 - Cf. 1 Cor 12, 8.

93 - Cf. Virgilio, Aen. 10, 63; Orazio, Sat. 2, 6; 58; Ovidio, Metam. 1, 349; Quintiliano, Instit. 10, 3, 22.

94 - Cf. Agostino, Solil. 2, 20, 35: NBA, III/1; De quant. an. 20, 34: NBA, III/2; Ep. 7: NBA, XXI/1; Retract. 1, 8, 2: NBA, II.

95 - Cf. Cicerone, Tuscul. 1, 24, 57; Platone, Men. 81d-84; Phaido 72e; Phaed. 249c-250.

96 - Cf. Empedocle, Fragm. 129; Eracle Pontico, in Diogene Laerzio, De vir. ill. 8, 4.

97 - 1 Cor 12, 8.


11 - Con nuovi benefici il Signore sollevò Maria santissima.

La mistica Città di Dio - Libro ottavo - Suor Maria d'Agreda

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595. La Signora del cielo, trovandosi nella disposizione da me narrata nel capitolo ottavo, fu nutrita con il cibo assegnatole da Dio per i milleduecentosessanta giorni men­zionati dall'Evangelista nell'Apocalisse. Questo lasso di tempo corrisponde più o meno a tre anni e mezzo, tra­scorsi i quali Maria santissima compì sessant'anni. Ciò ac­cadde nel quarantacinquesimo anno del Signore. E come la pietra aumenta di velocità avvicinandosi al centro, ver­so il quale si muove naturalmente, così più la Regina del­l'universo si approssimava al termine della sua santa vita, più erano forti gli impeti del suo desiderio e rapidi i voli della sua anima purissima per giungere al centro della sua eterna pace. Nell'istante della sua immacolata concezione era uscita, simile a un ricco fiume, dall'oceano della Tri­nità, dalla quale era stata pensata da sempre e, grazie al­le correnti di molteplici doni, favori, virtù e meriti, era cre­sciuta in modo che ormai il mondo creato le risultava an­gusto. Con un movimento accelerato e quasi impaziente della sua sapienza e della sua carità, si affrettava a ritor­nare ad unirsi al mare dal quale era fluita per traboccare poi un'altra volta, con materna clemenza, sulla Chiesa.

596. Già negli ultimi anni, per la dolce violenza dell'a­more, ella viveva una sorta di martirio continuo. Infatti, è senza dubbio verità filosofica che in questi moti dello spi­rito il centro attragga con forza crescente ciò che gli si av­vicina. Ora, tra l'infinito, sommo Bene e la beatissima Vergine c'era una prossimità tale che solo il muro della mor­talità li separava - come ella disse nel Cantico - senza tut­tavia impedire loro di vedersi e guardarsi reciprocamente con amore; ed era un amore tanto impaziente di soffrire a causa degli ostacoli all'unione con l'oggetto amato da non volere altro che vincerli per giungere a realizzarla. Il Fi­glio bramava questa unione, ma lo tratteneva il bisogno della Chiesa di avere una simile maestra; anche la dolcis­sima Madre vi aspirava e, benché si trattenesse dal do­mandare di morire per conseguirla, non poteva raffredda­re il fervore che provava nell'intimo, per il quale sentiva acutamente il tormento della vita terrena e delle sue cate­ne che le frenavano il volo.

597. Ella intanto pativa i dolori dell'amore, che è forte come la morte, finché non fosse arrivato il tempo stabili­to dall'eterna Sapienza. In mezzo a quelle pene, chiamava l'amato perché uscisse fuori dalle sue stanze segrete, scen­desse nella campagna, si fermasse nel suo villaggio e ve­desse i fiori fragranti e i dolci frutti della sua vigna. Con le frecce dei suoi sguardi e dei suoi desideri ella ferì l'a­mato nell'intimo, lo fece volare dalle altezze e venire alla sua presenza. Un giorno avvenne che l'ardente anelito del­ la Tuttasanta crebbe talmente che ella poteva veramente af­fermare di essere malata d'amore. Infatti, pur non avendo i difetti delle nostre umane passioni, si ammalò per gli slan­ci del cuore, che si mosse dal suo posto. Il Signore lo per­mise affinché, come egli stesso era la causa dell'infermità, così lo fosse gloriosamente della guarigione. Gli spiriti ce­lesti che aiutavano la Regina , meravigliati per la forza e per gli effetti della sua carità, le parlarono con il linguaggio lo­ro proprio per darle un po' di sollievo con la sicura spe­ranza del bramato possesso dell'amato. Simili rimedi, però, non spegnevano la fiamma, ed anzi la ravvivavano mag­giormente. Sua Altezza li scongiurò di riferire al suo dilet­to che era malata d'amore ed essi replicarono consegnan­dole i contrassegni da lei desiderati; ma per la veemenza dei dolori, dovette essere sorretta dai suoi custodi lì pre­senti in forma visibile. In questa e in altre circostanze dei suoi ultimi anni, si realizzarono nell'unica e degna sposa tutti i misteri nascosti nel Cantico di Salomone.

598. Il Redentore scese dal paradiso a visitarla seduto su un trono di gloria e accompagnato da migliaia di ange­li che lo lodavano e magnificavano. Accostandosi alla gran Signora, la confortò nel suo struggimento e la rinvigorì, di­cendole allo stesso tempo: «Dilettissima Madre mia, scelta per il nostro beneplacito, i gemiti e i sospiri del vostro cuo­re amorevole hanno ferito il mio. Venite, mia colomba, al­la patria beata dove la vostra sofferenza si cambierà in gau­dio, le vostre lacrime in gioia; là vi riposerete dalle vostre pene». Subito le schiere celesti, per ordine del Signore, po­sero Maria santissima sul trono accanto a lui e tra musi­che divine salirono tutti all'empireo, dove ella adorò la Tri ­nità. L'umanità di Cristo nostro salvatore la teneva sempre vicino a sé, procurando giubilo accidentale ai cortigiani del cielo; quand'ecco che sua Maestà, mostrando di voler par­lare e quasi chiedendo - a nostro modo d'intendere - nuo­va attenzione ai santi, si rivolse così all'Eterno:

599. «Padre mio, questa è la donna che mi diede for­ma d'uomo nel suo talamo verginale, che mi nutrì al suo seno e mi sostentò col suo lavoro, che mi accompagnò nei miei affanni e cooperò con me alla redenzione umana, che fu sempre fedelissima e obbedì indefettibilmente alla no­stra volontà col nostro pieno compiacimento. È immaco­lata e pura, in quanto degna madre mia; per ciò che ha fatto ha raggiunto la santità perfetta che la nostra infini­ta potenza le ha comunicato. Quando aveva già conqui­stato il premio e avrebbe potuto goderne definitivamente, se ne privò per la sola nostra gloria, ritornando nella Chie­sa militante al fine di collaborare alla sua fondazione, al suo governo e al suo' magistero. Inoltre, poiché vivendo in essa sosteneva i fedeli, le abbiamo differito il riposo im­perituro di cui più volte avrebbe avuto il diritto. Nella som­ma benevolenza ed equità della nostra provvidenza, è giu­sto che ella venga ricompensata dell'amore e delle opere con cui ci obbliga più di tutti, né per lei deve valere la leg­ge comune agli altri esseri umani. Sebbene io abbia gua­dagnato loro premi e grazie senza misura, è giusto che co­lei che mi generò, la più alta delle creature, ne riceva di maggiori, giacché col suo agire corrisponde perfettamente alla nostra generosità e niente in lei ostacola la manife­stazione della forza del nostro braccio e la partecipazione, da parte sua, ai nostri tesori quale regina dell'universo».

600. A queste parole il Padre rispose: «Figlio mio, nel quale ho posto la mia compiacenza, voi siete il primoge­nito e il capo dei predestinati, ogni cosa ho messo nelle vostre mania affinché giudichiate rettamente le tribù, le ge­nerazioni e tutti i viventi'. Distribuite i miei inesauribili doni e comunicateli a vostro arbitrio alla nostra Diletta, che vi vestì di carne mortale, conformemente al suo titolo e al suo merito, tanto stimabili ai nostri occhi».

601. Il Redentore promise all'augusta genitrice che da allora in avanti, quando la domenica ella terminava gli eser­cizi corrispondenti alla risurrezione, fosse innalzata dagli angeli in paradiso e, stando alla presenza dell'Altissimo, ce­lebrasse là in anima e corpo il gaudio di quel mistero. Co­sì stabilì il Verbo incarnato con il beneplacito dell'Eterno e davanti ai santi; inoltre decise che al momento della co­munione le avrebbe mostrato la sua santissima umanità e divinità in un modo nuovo, mirabile, diverso dal prece­dente, cosicché tale beneficio fosse una ricca caparra del­la gloria che egli le aveva preparato nell'eternità. I beati conobbero quanto fosse giusto che, in onore di Dio e a di­mostrazione della sua grandezza, Maria santissima rice­vesse simili favori a motivo della propria santità e dignità e della conveniente retribuzione che ella sola rendeva per quelle azioni; e insieme agli spiriti celesti intonarono nuo­vi cantici di lode al Signore, che è santo, giusto e ammi­rabile in tutto ciò che compie.

602. Cristo nostro bene, poi, si rivolse alla gran Signo­ra: «Amatissima Madre mia, vi do la mia parola: finché ri­marrete sulla terra starò sempre con voi, in una maniera straordinaria sinora ignorata dagli uomini e dagli angeli. Con la mia presenza non proverete mai la solitudine; do­ve sono io, lì sarà la mia patria; in me troverete riposo dal­le vostre ansie amorose. Io compenserò il vostro esilio, che pure è di breve durata. Non siano più una pena i legami del corpo mortale, perché presto ne sarete libera. Fintan­toché non giungerà quel giorno, io sarò la fine delle vostre afflizioni e di tanto in tanto aprirò la cortina che impedi­sce la realizzazione delle vostre aspirazioni». La Vergine ascoltava tali promesse di grazia mantenendosi profonda­mente umile, lodando, esaltando e ringraziando l'Onnipo­tente per la generosità del grande beneficio accordatole, e ritenendosi un nulla. Un simile spettacolo non si può spie­gare né intendere in questa vita: Dio che innalza giustamente la sua degna Madre a così sublime altezza e nella sua sapienza e volontà tanto la stima, ed ella che è come in lotta col potere divino per abbassarsi e annientarsi, me­ritando proprio con ciò l'esaltazione che riceve!

603. Dopo questo fu illuminata e le sue facoltà venne­ro accresciute - come già altre volte si è detto -, affinché fosse pronta per la visione beatifica. Fu aperto il velo e vi­de Dio intuitivamente, godendo per alcune ore la fruizio­ne e la gloria essenziale più di tutti i beati. Beveva le ac­que della vita alla loro stessa sorgente, appagava i suoi ar­dentissimi desideri, giungeva al suo centro e cessava quel movimento velocissimo per poi riprenderlo daccapo. Al ter­mine di quella visione rese grazie alla beatissima Trinità e ancora pregò per la Chiesa. Completamente rinnovata e confortata, fu ricondotta dagli spiriti celesti all'oratorio, do­ve sembrava che fosse rimasto il suo corpo - secondo le modalità da me narrate altre volte - perché non si venis­se a sapere della sua assenza. Appena scesa dalla nuvola nella quale era stata portata al cospetto della divina Mae­stà, si prostrò a terra come al suo solito e si umiliò più di quanto abbiano fatto i figli di Adamo riconoscendo la lo­ro indegnità in seguito al peccato. Da quel giorno si adempì in lei la promessa del Signore: ogni domenica, quando, pas­sata la mezzanotte, finiva gli esercizi della passione e giun­geva l'ora della risurrezione, veniva sollevata dai suoi an­geli su un trono di nube e trasportata in paradiso, dove suo Figlio le andava incontro e con una sorta d'ineffabile abbraccio la univa a sé. Non sempre le si manifestava in­tuitivamente la Divinità ; tuttavia quella visione, che non era gloriosa, aveva effetti analoghi che superavano ogni ca­pacità umana. In tali circostanze le schiere beate le can­tavano "Regina coeli, laetare, alleluia" e quello era giorno di grande festa per i santi, specialmente per san Giusep­pe, sant'Anna, san Gioacchino, per i più stretti congiunti della gran Signora e per i suoi angeli custodi. Ella subito parlava col Signore delle questioni più complesse della Chiesa, pregava per essa e per ciascuno degli apostoli e ri­tornava sulla terra colma di ricchezze, simile alla nave del mercante menzionata da Salomone nei Proverbi.

604. Maria aveva in qualche modo diritto a questo fa­vore, che pur restava singolare dono dell'Altissimo, per due motivi: primo, perché ella stessa aveva rinunciato volonta­riamente alla visione beatifica che le era dovuta per i suoi meriti; se ne era infatti privata per occuparsi del governo della Chiesa. L:intensità dell'amore e della brama di vede­re Dio la condusse molte volte vicino alla morte, cosicché il mezzo più adatto a conservarla in vita era quello di tra­sportarla di tanto in tanto alla sua presenza; e ciò che era possibile e opportuno veniva ad essere come debito del Fi­glio verso la Madre. L'altro motivo consisteva nel fatto che doveva risuscitare con Gesù, lei che ogni settimana ne rin­novava in sé la passione e in un certo senso moriva di nuo­vo con lui. Siccome sua Maestà si trovava già glorioso nel cielo, era logico che con la sua presenza rendesse la Ver ­gine partecipe e imitatrice del gaudio della risurrezione, affinché con quella gioia raccogliesse il frutto dei dolori e delle lacrime che aveva seminato.

605. Riguardo al secondo beneficio che Cristo le pro­mise a proposito dell'eucaristia, avverto che, fino al tem­po di cui sto parlando, in alcuni giorni la gran Regina non si cibava del pane celeste, come durante il viaggio ad Efe­so, o quando san Giovanni era assente, o se capitavano al­tri contrattempi. La sua profonda umiltà la obbligava ad adattarsi alle evenienze senza chiedere nulla agli apostoli, rimettendosi a quanto essi avrebbero disposto. In tutto in­fatti fu modello e maestra di perfezione, insegnandoci l'abbandono necessario anche in ciò che ci pare molto santo e opportuno. Ma il Salvatore, che riposa nei cuori sempli­ci e che soprattutto voleva dimorare in quello di sua Ma­dre rinnovandovi spesso i suoi prodigi, ordinò che ella si comunicasse quotidianamente per il resto della sua vita. Sua Altezza conobbe nel cielo la volontà del Figlio, ma, es­sendo prudentissima nell'agire, decise che questa si com­pisse per mezzo dell'obbedienza e di san Giovanni, al fine di comportarsi in ogni cosa che la riguardava come infe­riore, umile, soggetta a chi la guidava.

606. Per tale ragione non volle essere lei a manifestare all'Evangelista quello che sapeva del volere divino. Un gior­no accadde che il santo Apostolo fu molto occupato nella predicazione e l'ora consueta della comunione passò. L'u­milissima Signora consultò i santi angeli su ciò che do­vesse fare ed essi le risposero che si doveva eseguire il co­mando di Cristo, che avrebbero avvertito san Giovanni e gli avrebbero ingiunto l'ordine del Maestro. Subito uno di loro si recò dove egli stava predicando e apparendogli dis­se: «Giovanni, il Signore vuole che sua Madre, nostra re­gina, lo riceva sacramentato tutti i giorni finché vivrà nel mondo». All'udire il messaggio, l'Evangelista ritornò im­mediatamente nel cenacolo, dove Maria si trovava in rac­coglimento, aspettando la comunione. Le disse: «Madre e signora mia, un angelo mi ha manifestato l'ordine del no­stro Dio di amministrarvi ogni giorno il suo corpo sacra­mentato». Ed ella rispose: «Voi che cosa mi ordinate al proposito?». Replicò san Giovanni: «Che si faccia ciò che il vostro Figlio comanda». Ed ella: «Ecco la sua schiava pronta ad ubbidirvi». In seguito a questo episodio parte­cipò al sacro convito quotidianamente per tutto il resto del­la sua vita. Quanto ai tre giorni degli esercizi, soltanto il venerdì e il sabato riceveva l'eucaristia, perché - lo si è detto precedentemente - la domenica essa era sostituita dalla sua salita all'empireo.

607. Da allora in avanti, quando si cibava del pane di­vino, le si rivelava il Verbo come uomo, dell'età che egli aveva quando aveva istituito il santo sacramento. In tale circostanza, benché la Divinità le si svelasse solamente con la visione astrattiva che sempre aveva, l'umanità santissima le si manifestava gloriosa, molto più risplendente ed am­mirabile che nella trasfigurazione sul Tabor. Questa subli­me esperienza, di cui godeva per tre ore di seguito e con effetti inesprimibili a parole, fu il secondo beneficio che suo Figlio le aveva promesso per compensarla un po' della dilazione della gloria eterna preparata per lei. Sua Maestà operò quella meraviglia anche per essere ripagato anzitem­po dell'ingratitudine, della tiepidezza e della cattiva dispo­sizione che noi figli di Adamo avremmo avuto lungo i se­coli nell'accostarci al sacro mistero del suo corpo e del suo sangue. Se la Vergine immacolata non avesse supplito alla mancanza di tutte le creature, tale favore non sarebbe sta­to degnamente riconosciuto da parte della Chiesa e Cristo non sarebbe rimasto soddisfatto della corrispondenza che gli uomini gli devono per essersi d to a loro in questo sa­cramento.

 

Insegnamento della Regina del cielo

608. Figlia mia, quando i mortali giungono al termine del fugace corso della loro esistenza, fissato da Dio perché me­ritino quella imperitura, svaniscono anche i loro inganni con l'esperienza dell'eternità, nella quale entrano per ricevere la gloria o la pena senza fine. Allora conoscono i giusti la lo­ro felicità, i reprobi la loro perdizione. Oh, quanto è fortu­nata, figlia mia, l'anima che nel breve tempo della sua vita procura di acquistare anticipatamente la scienza divina di ciò che così presto dovrà imparare per esperienza! Questa è la vera sapienza: non aspettare di conoscere la meta alla con­clusione della corsa, ma farlo al principio per correre con qualche sicurezza e non con tanti dubbi di conseguirla. Ades­so, dunque, considera tu come si comporterebbero quelli che, all'inizio di una gara, guardassero all'inestimabile premio po­sto al traguardo e dovessero guadagnarlo correndo fin là con ogni diligenza. Certamente costoro correrebbero alla mas­sima velocità senza distrarsi e, se non lo facessero, sareb­bero considerati pazzi o ignari di quello che perdono.

609. Così è la vita terrena degli uomini: è limitata nel tempo ma le è preparata, quale ricompensa o punizione, un'eternità di gloria oppure di tormento, che mette termi­ne alla corsa. Si nasce per parteciparvi con l'uso della ra­gione e con il libero arbitrio; in tale verità nessuno può addurre la scusa dell'ignoranza, tantomeno i figli della Chiesa. Dov'è dunque il senno di quanti professano la fe­de cattolica? Perché si lasciano irretire dalla vanità? Per­ché o a quale scopo s'inviluppano nell'amore per ciò che è fallace? Perché ignorano pervicacemente la fine a cui giungeranno tanto in fretta? Come mai fingono di misco­noscere quello che li attende? Non sanno, forse, che na­scono per morire, che il loro passaggio sulla terra è velo­ce, la morte ineluttabile, il premio o il castigo inevitabile ed eterno? Che cosa rispondono a tutto questo coloro che vivono secondo la carne, che consumano la loro esistenza transeunte - giacché ogni vita lo è - acquistando beni, ac­cumulando onori, impiegando le proprie capacità ed ener­gie nel godere di piaceri corruttibili e vilissimi?

610. Guarda, figlia mia: è falso e sleale il mondo nel quale sei nata e che hai davanti agli occhi. Voglio che tu, abitando in esso, sia mia discepola ed imitatrice, parto dei miei desideri e frutto delle mie preghiere. Dimenticalo in­teramente con intima ripugnanza; non perdere di vista la meta verso cui cammini sollecita e il fine per cui il tuo Creatore ti formò dal nulla. Questa sia sempre la tua bra­ma, l'oggetto dei tuoi pensieri e dei tuoi desideri; non vol­gerti verso realtà vane e transitorie; viva in te solo la ca­rità divina e consumi tutte le tue forze, poiché quella che le lascia libere di amare un'altra cosa e non le assoggetta, doma e mortifica non è vera carità. In te essa sia forte co­me la morte, affinché tu venga rinnovata conforme al mio volere. Non ostacolare la volontà del mio Figlio santissimo in ciò che intende operare con te e sii certa della sua fe­deltà, che rimunera dando il cento per uno. Medita con umile venerazione in quale modo egli finora si sia mani­festato a te. Inoltre, ti esorto a fare ancora esperienza del­la sua verità, secondo il mio comando. Tenendo presenti queste finalità, appena avrai finito di scrivere questa Sto­ria continuerai i miei esercizi con attenzione sempre vigi­le. Rendi grazie al Signore per il grande e stimabile bene­ficio di aver disposto, per mezzo dei tuoi superiori, che tu lo riceva ogni giorno sacramentato e, preparandoti alla co­munione sul mio esempio, continua le preghiere che ti ho insegnato.


4-24 Ottobre 23, 1900 Il vero amore non sta mai solo.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Questa mattina, avendo fatto la comunione, il mio adorabile Gesù mi faceva vedere il confessore che metteva l’intenzione di farmi soffrire la crocifissione; la mia povera natura me la sentivo ripugnante, non perché non volessi soffrire, ma per altre ragioni che non è qui necessario descriverle, ma Gesù, come lamentandosi di me diceva al padre:

(2) “Non vuole sottomettersi”.

(3) Io mi sono intenerita al lamento, il padre ha rinnovato il comando e mi sono sottoposta. Dopo aver sofferto un poco, siccome vedevo il padre presente, il Signore ha detto:

(4) “Diletta mia, ecco il simbolo della Sacrosanta Trinità: Io, il padre, e tu. Il mio amore fino ab eterno non è stato mai solo, ma sempre unito in perfetta e scambievole unione con le Divine Persone, perché il vero amore non sta mai solo, ma produce altri amori e gode di essere riamato dagli amori che lui stesso ha prodotto, e se sta solo, o non è della natura dell’amor divino, oppure è solo apparente. Se sapessi quanto mi compiaccio e gusto di poter continuare nelle creature quell’amore che fin ab eterno regnava e regna tutt’ora nella Santissima Trinità. Ecco pure, perciò dico che voglio il consenso dell’intenzione del confessore unito con Me, per poter continuare più perfettamente quest’amore simbolico della Triade Sacrosanta”.