Sotto il Tuo Manto

Martedi, 9 settembre 2025 - San Pietro Claver Sacerdote (Letture di oggi)

Gesù dice: "Chi ha visto me, ha visto il Padre." Come sarebbe bello se ogni sacerdote potesse dire lo stesso di sé. Sì, perché anche lui è chiamato alla paternità  spirituale per i propri fedeli, come lo era Gesù in mezzo ai Suoi discepoli. Gesù era immagine della paternità  divina, che si manifestava nella Sua Misericordia e nell'amore verso i peccatori, poveri, malati, bisognosi. Dovrebbe essere lo stesso per ogni sacerdote: la sua paternità  spirituale è un dono speciale per i fedeli. Solamente quando un sacerdote è "padre" che egli risponde alla sua vocazione e corrisponde al disegno d'amore che Dio ha su di lui. Più un sacerdote vive la sua paternità  spirituale, più assomiglia al suo Signore. Per ogni sacerdote la paternità  spirituale è motivo di gioia e via di guarigione interiore. (Don Nikola Vucic)

Liturgia delle Ore - Letture

Mercoledi della 15° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 13

1In quello stesso tempo si presentarono alcuni a riferirgli circa quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva mescolato con quello dei loro sacrifici.2Prendendo la parola, Gesù rispose: "Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subito tale sorte?3No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo.4O quei diciotto, sopra i quali rovinò la torre di Sìloe e li uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme?5No, vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo".

6Disse anche questa parabola: "Un tale aveva un fico piantato nella vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò.7Allora disse al vignaiolo: Ecco, son tre anni che vengo a cercare frutti su questo fico, ma non ne trovo. Taglialo. Perché deve sfruttare il terreno?8Ma quegli rispose: Padrone, lascialo ancora quest'anno finché io gli zappi attorno e vi metta il concime9e vedremo se porterà frutto per l'avvenire; se no, lo taglierai".

10Una volta stava insegnando in una sinagoga il giorno di sabato.11C'era là una donna che aveva da diciotto anni uno spirito che la teneva inferma; era curva e non poteva drizzarsi in nessun modo.12Gesù la vide, la chiamò a sé e le disse: "Donna, sei libera dalla tua infermità",13e le impose le mani. Subito quella si raddrizzò e glorificava Dio.
14Ma il capo della sinagoga, sdegnato perché Gesù aveva operato quella guarigione di sabato, rivolgendosi alla folla disse: "Ci sono sei giorni in cui si deve lavorare; in quelli dunque venite a farvi curare e non in giorno di sabato".15Il Signore replicò: "Ipocriti, non scioglie forse, di sabato, ciascuno di voi il bue o l'asino dalla mangiatoia, per condurlo ad abbeverarsi?16E questa figlia di Abramo, che satana ha tenuto legata diciott'anni, non doveva essere sciolta da questo legame in giorno di sabato?".17Quando egli diceva queste cose, tutti i suoi avversari si vergognavano, mentre la folla intera esultava per tutte le meraviglie da lui compiute.

18Diceva dunque: "A che cosa è simile il regno di Dio, e a che cosa lo rassomiglierò?19È simile a un granellino di senapa, che un uomo ha preso e gettato nell'orto; poi è cresciuto e diventato un arbusto, e gli uccelli del cielo si sono posati tra i suoi rami".

20E ancora: "A che cosa rassomiglierò il regno di Dio?21È simile al lievito che una donna ha preso e nascosto in tre staia di farina, finché sia tutta fermentata".

22Passava per città e villaggi, insegnando, mentre camminava verso Gerusalemme.23Un tale gli chiese: "Signore, sono pochi quelli che si salvano?". Rispose:24"Sforzatevi di entrare per la porta stretta, perché molti, vi dico, cercheranno di entrarvi, ma non ci riusciranno.25Quando il padrone di casa si alzerà e chiuderà la porta, rimasti fuori, comincerete a bussare alla porta, dicendo: Signore, aprici. Ma egli vi risponderà: Non vi conosco, non so di dove siete.26Allora comincerete a dire: Abbiamo mangiato e bevuto in tua presenza e tu hai insegnato nelle nostre piazze.27Ma egli dichiarerà: Vi dico che non so di dove siete. Allontanatevi da me voi tutti operatori d'iniquità!28Là ci sarà pianto e stridore di denti quando vedrete Abramo, Isacco e Giacobbe e tutti i profeti nel regno di Dio e voi cacciati fuori.29Verranno da oriente e da occidente, da settentrione e da mezzogiorno e siederanno a mensa nel regno di Dio.30Ed ecco, ci sono alcuni tra gli ultimi che saranno primi e alcuni tra i primi che saranno ultimi".

31In quel momento si avvicinarono alcuni farisei a dirgli: "Parti e vattene via di qui, perché Erode ti vuole uccidere".32Egli rispose: "Andate a dire a quella volpe: Ecco, io scaccio i demòni e compio guarigioni oggi e domani; e il terzo giorno avrò finito.33Però è necessario che oggi, domani e il giorno seguente io vada per la mia strada, perché non è possibile che un profeta muoia fuori di Gerusalemme.

34Gerusalemme, Gerusalemme, che uccidi i profeti e lapidi coloro che sono mandati a te, quante volte ho voluto raccogliere i tuoi figli come una gallina la sua covata sotto le ali e voi non avete voluto!35Ecco, 'la vostra casa vi viene lasciata deserta'! Vi dico infatti che non mi vedrete più fino al tempo in cui direte: 'Benedetto colui che viene nel nome del Signore!'".


Giudici 20

1Allora tutti gli Israeliti uscirono, da Dan fino a Bersabea e al paese di Gàlaad, e il popolo si radunò come un sol uomo dinanzi al Signore, a Mizpa.2I capi di tutto il popolo e tutte le tribù d'Israele si presentarono all'assemblea del popolo di Dio, in numero di quattrocentomila fanti, che maneggiavano la spada.3I figli di Beniamino vennero a sapere che gli Israeliti erano venuti a Mizpa. Gli Israeliti dissero: "Parlate! Com'è avvenuta questa scelleratezza?".4Allora il levita, il marito della donna che era stata uccisa, rispose: "Io ero giunto con la mia concubina a Gàbaa di Beniamino per passarvi la notte.5Ma gli abitanti di Gàbaa insorsero contro di me e circondarono di notte la casa dove stavo; volevano uccidere me; quanto alla mia concubina le usarono violenza fino al punto che ne morì.6Io presi la mia concubina, la feci a pezzi e li mandai per tutto il territorio della nazione d'Israele, perché costoro hanno commesso un delitto e un'infamia in Israele.7Eccovi qui tutti, Israeliti; consultatevi e decidete qui stesso".8Tutto il popolo si alzò insieme gridando: "Nessuno di noi tornerà alla tenda, nessuno di noi rientrerà a casa.9Ora ecco quanto faremo a Gàbaa: tireremo a sorte10e prenderemo in tutte le tribù d'Israele dieci uomini su cento, cento su mille e mille su diecimila, i quali andranno a cercare viveri per il popolo, per quelli che andranno a punire Gàbaa di Beniamino, come merita l'infamia che ha commessa in Israele".
11Così tutti gli Israeliti si radunarono contro quella città, uniti come un sol uomo.
12Le tribù d'Israele mandarono uomini in tutta la tribù di Beniamino a dire: "Quale delitto è stato commesso in mezzo a voi?13Dunque consegnateci quegli uomini iniqui di Gàbaa, perché li uccidiamo e cancelliamo il male da Israele". Ma i figli di Beniamino non vollero ascoltare la voce dei loro fratelli, gli Israeliti.
14I figli di Beniamino uscirono dalle loro città e si radunarono a Gàbaa per combattere contro gli Israeliti.15Si passarono in rassegna i figli di Beniamino usciti dalle città: formavano un totale di ventiseimila uomini che maneggiavano la spada, senza contare gli abitanti di Gàbaa.16Fra tutta questa gente c'erano settecento uomini scelti, che erano ambidestri. Tutti costoro erano capaci di colpire con la fionda un capello, senza fallire il colpo.
17Si fece pure la rassegna degli Israeliti, non compresi quelli di Beniamino, ed erano quattrocentomila uomini in grado di maneggiare la spada, tutti guerrieri.18Gli Israeliti si mossero, vennero a Betel e consultarono Dio, dicendo: "Chi di noi andrà per primo a combattere contro i figli di Beniamino?". Il Signore rispose: "Giuda andrà per primo".19Il mattino dopo, gli Israeliti si mossero e si accamparono presso Gàbaa.20Gli Israeliti uscirono per combattere contro Beniamino e si disposero in ordine di battaglia contro di loro, presso Gàbaa.
21Allora i figli di Beniamino uscirono e in quel giorno sterminarono ventiduemila Israeliti,22ma il popolo, gli Israeliti, si rinfrancarono e tornarono a schierarsi in battaglia dove si erano schierati il primo giorno.23Gli Israeliti andarono a piangere davanti al Signore fino alla sera e consultarono il Signore, dicendo: "Devo continuare a combattere contro Beniamino mio fratello?". Il Signore rispose: "Andate contro di loro".24Gli Israeliti vennero a battaglia con i figli di Beniamino una seconda volta.25I Beniaminiti una seconda volta uscirono da Gàbaa contro di loro e sterminarono altri diciottomila uomini degli Israeliti, tutti atti a maneggiar la spada.26Allora tutti gli Israeliti e tutto il popolo andarono a Betel, piansero e rimasero davanti al Signore e digiunarono quel giorno fino alla sera e offrirono olocausti e sacrifici di comunione davanti al Signore.27Gli Israeliti consultarono il Signore - l'arca dell'alleanza di Dio in quel tempo era là28e Pincas, figlio di Eleazaro, figlio di Aronne, prestava servizio davanti a essa in quel tempo - e dissero: "Devo continuare ancora a uscire in battaglia contro Beniamino mio fratello o devo cessare?". Il Signore rispose: "Andate, perché domani ve li metterò nelle mani".
29Israele tese quindi un agguato intorno a Gàbaa.
30Gli Israeliti andarono il terzo giorno contro i figli di Beniamino e si disposero a battaglia presso Gàbaa come le altre volte.31I figli di Beniamino fecero una sortita contro il popolo, si lasciarono attirare lontano dalla città e cominciarono a colpire e ad uccidere, come le altre volte, alcuni del popolo d'Israele, lungo le strade che portano a Betel e a Gàbaon, in aperta campagna: ne uccisero circa trenta.32Già i figli di Beniamino pensavano: "Eccoli sconfitti davanti a noi come la prima volta". Ma gli Israeliti dissero: "Fuggiamo e attiriamoli dalla città sulle strade!".33Tutti gli Israeliti abbandonarono la loro posizione e si disposero a battaglia a Baal-Tamar, mentre quelli di Israele che erano in agguato sbucavano dal luogo dove si trovavano, a occidente di Gàbaa.34Diecimila uomini scelti in tutto Israele giunsero davanti a Gàbaa. Il combattimento fu aspro: quelli non si accorgevano del disastro che stava per colpirli.35Il Signore sconfisse Beniamino davanti ad Israele; gli Israeliti uccisero in quel giorno venticinquemila e cento uomini di Beniamino, tutti atti a maneggiare la spada.
36I figli di Beniamino si accorsero d'essere sconfitti. Gli Israeliti avevano ceduto terreno a Beniamino, perché confidavano nell'agguato che avevano teso presso Gàbaa.37Quelli che stavano in agguato infatti si gettarono d'improvviso contro Gàbaa e, fattavi irruzione, passarono a fil di spada l'intera città.38C'era un segnale convenuto fra gli Israeliti e quelli dell'imboscata: questi dovevano fare salire dalla città una colonna di fumo.39Gli Israeliti avevano dunque voltato le spalle nel combattimento e gli uomini di Beniamino avevano cominciato a colpire e uccidere circa trenta uomini d'Israele. Essi dicevano: "Ormai essi sono sconfitti davanti a noi, come nella prima battaglia!".40Ma quando il segnale, la colonna di fumo, cominciò ad alzarsi dalla città, quelli di Beniamino si voltarono indietro ed ecco tutta la città saliva in fiamme verso il cielo.41Allora gli Israeliti tornarono indietro e gli uomini di Beniamino furono presi dal terrore, vedendo il disastro piombare loro addosso.42Voltarono le spalle davanti agli Israeliti e presero la via del deserto; ma i combattenti li incalzavano e quelli che venivano dalla città piombavano in mezzo a loro massacrandoli.43Circondarono i Beniaminiti, li inseguirono senza tregua, li incalzarono fino di fronte a Gàbaa dal lato di oriente.44Caddero dei Beniaminiti diciottomila uomini, tutti valorosi.
45I superstiti voltarono le spalle e fuggirono verso il deserto, in direzione della roccia di Rimmon e gli Israeliti ne rastrellarono per le strade cinquemila, li incalzarono fino a Ghideom e ne colpirono altri duemila.46Così il numero totale dei Beniaminiti, che caddero quel giorno, fu di venticinquemila, atti a maneggiare la spada, tutta gente di valore.47Seicento uomini, che avevano voltato le spalle ed erano fuggiti verso il deserto, raggiunsero la roccia di Rimmon, rimasero alla roccia di Rimmon quattro mesi.48Intanto gli Israeliti tornarono contro i figli di Beniamino, passarono a fil di spada nella città uomini e bestiame e quanto trovarono, e diedero alle fiamme anche tutte le città che incontrarono.


Salmi 73

1'Salmo. Di Asaf.'

Quanto è buono Dio con i giusti,
con gli uomini dal cuore puro!
2Per poco non inciampavano i miei piedi,
per un nulla vacillavano i miei passi,
3perché ho invidiato i prepotenti,
vedendo la prosperità dei malvagi.

4Non c'è sofferenza per essi,
sano e pasciuto è il loro corpo.
5Non conoscono l'affanno dei mortali
e non sono colpiti come gli altri uomini.

6Dell'orgoglio si fanno una collana
e la violenza è il loro vestito.
7Esce l'iniquità dal loro grasso,
dal loro cuore traboccano pensieri malvagi.
8Scherniscono e parlano con malizia,
minacciano dall'alto con prepotenza.

9Levano la loro bocca fino al cielo
e la loro lingua percorre la terra.
10Perciò seggono in alto,
non li raggiunge la piena delle acque.
11Dicono: "Come può saperlo Dio?
C'è forse conoscenza nell'Altissimo?".
12Ecco, questi sono gli empi:
sempre tranquilli, ammassano ricchezze.
13Invano dunque ho conservato puro il mio cuore
e ho lavato nell'innocenza le mie mani,
14poiché sono colpito tutto il giorno,
e la mia pena si rinnova ogni mattina.

15Se avessi detto: "Parlerò come loro",
avrei tradito la generazione dei tuoi figli.
16Riflettevo per comprendere:
ma fu arduo agli occhi miei,
17finché non entrai nel santuario di Dio
e compresi qual è la loro fine.
18Ecco, li poni in luoghi scivolosi,
li fai precipitare in rovina.

19Come sono distrutti in un istante,
sono finiti, periscono di spavento!
20Come un sogno al risveglio, Signore,
quando sorgi, fai svanire la loro immagine.

21Quando si agitava il mio cuore
e nell'intimo mi tormentavo,
22io ero stolto e non capivo,
davanti a te stavo come una bestia.
23Ma io sono con te sempre:
tu mi hai preso per la mano destra.
24Mi guiderai con il tuo consiglio
e poi mi accoglierai nella tua gloria.

25Chi altri avrò per me in cielo?
Fuori di te nulla bramo sulla terra.
26Vengono meno la mia carne e il mio cuore;
ma la roccia del mio cuore è Dio,
è Dio la mia sorte per sempre.
27Ecco, perirà chi da te si allontana,
tu distruggi chiunque ti è infedele.
28Il mio bene è stare vicino a Dio:
nel Signore Dio ho posto il mio rifugio,
per narrare tutte le tue opere
presso le porte della città di Sion.


Salmi 132

1'Canto delle ascensioni.'

Ricordati, Signore, di Davide,
di tutte le sue prove,
2quando giurò al Signore,
al Potente di Giacobbe fece voto:
3"Non entrerò sotto il tetto della mia casa,
non mi stenderò sul mio giaciglio,
4non concederò sonno ai miei occhi
né riposo alle mie palpebre,
5finché non trovi una sede per il Signore,
una dimora per il Potente di Giacobbe".

6Ecco, abbiamo saputo che era in Èfrata,
l'abbiamo trovata nei campi di Iàar.
7Entriamo nella sua dimora,
prostriamoci allo sgabello dei suoi piedi.

8Alzati, Signore, verso il luogo del tuo riposo,
tu e l'arca della tua potenza.
9I tuoi sacerdoti si vestano di giustizia,
i tuoi fedeli cantino di gioia.
10Per amore di Davide tuo servo
non respingere il volto del tuo consacrato.

11Il Signore ha giurato a Davide
e non ritratterà la sua parola:
"Il frutto delle tue viscere
io metterò sul tuo trono!

12Se i tuoi figli custodiranno la mia alleanza
e i precetti che insegnerò ad essi,
anche i loro figli per sempre
sederanno sul tuo trono".

13Il Signore ha scelto Sion,
l'ha voluta per sua dimora:
14"Questo è il mio riposo per sempre;
qui abiterò, perché l'ho desiderato.

15Benedirò tutti i suoi raccolti,
sazierò di pane i suoi poveri.
16Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti,
esulteranno di gioia i suoi fedeli.

17Là farò germogliare la potenza di Davide,
preparerò una lampada al mio consacrato.
18Coprirò di vergogna i suoi nemici,
ma su di lui splenderà la corona".


Ezechiele 13

1Mi fu rivolta ancora questa parola del Signore:2"Figlio dell'uomo, profetizza contro i profeti d'Israele, profetizza e di' a coloro che profetizzano secondo i propri desideri: Udite la parola del Signore:3Così dice il Signore Dio:
Guai ai profeti stolti, che seguono il loro spirito senza avere avuto visioni.4Come sciacalli fra le macerie, tali sono i tuoi profeti, Israele.5Voi non siete saliti sulle brecce e non avete costruito alcun baluardo in difesa degli Israeliti, perché potessero resistere al combattimento nel giorno del Signore.6Hanno avuto visioni false, vaticini menzogneri coloro che dicono: Oracolo del Signore, mentre il Signore non li ha inviati. Eppure confidano che si avveri la loro parola!7Non avete forse avuto una falsa visione e preannunziato vaticini bugiardi, quando dite: Parola del Signore, mentre io non vi ho parlato?8Pertanto dice il Signore Dio: Poiché voi avete detto il falso e avuto visioni bugiarde, eccomi dunque contro di voi, dice il Signore Dio.9La mia mano sarà sopra i profeti dalle false visioni e dai vaticini bugiardi; non avranno parte nell'assemblea del mio popolo, non saranno scritti nel libro d'Israele e non entreranno nel paese d'Israele: saprete che io sono il Signore Dio,10poiché ingannano il mio popolo dicendo: Pace! e la pace non c'è; mentre egli costruisce un muro, ecco essi lo intonacano di mota.11Di' a quegli intonacatori di mota: Cadrà! Scenderà una pioggia torrenziale, una grandine grossa, si scatenerà un uragano12ed ecco, il muro è abbattuto. Allora non vi sarà forse domandato: Dov'è la calcina con cui lo avevate intonacato?13Perciò dice il Signore Dio: Con ira scatenerò un uragano, per la mia collera cadrà una pioggia torrenziale, nel mio furore per la distruzione cadrà grandine come pietre;14demolirò il muro che avete intonacato di mota, lo atterrerò e le sue fondamenta rimarranno scoperte; esso crollerà e voi perirete insieme con esso e saprete che io sono il Signore.
15Quando avrò sfogato l'ira contro il muro e contro coloro che lo intonacarono di mota, io vi dirò: Il muro non c'è più e neppure gli intonacatori,16i profeti d'Israele che profetavano su Gerusalemme e vedevano per essa una visione di pace, mentre non vi era pace. Oracolo del Signore.

17Ora tu, figlio dell'uomo, rivolgiti alle figlie del tuo popolo che profetizzano secondo i loro desideri e profetizza contro di loro.18Dirai loro: Dice il Signore Dio: Guai a quelle che cuciono nastri magici a ogni polso e preparano veli per le teste di ogni grandezza per dar la caccia alle persone. Pretendete forse di dare la caccia alla gente del mio popolo e salvare voi stesse?19Voi mi avete disonorato presso il mio popolo per qualche manciata d'orzo e per un tozzo di pane, facendo morire chi non doveva morire e facendo vivere chi non doveva vivere, ingannando il mio popolo che crede alle menzogne.
20Perciò dice il Signore Dio: Eccomi contro i vostri nastri magici con i quali voi date la caccia alla gente come a uccelli; li strapperò dalle vostre braccia e libererò la gente che voi avete catturato come uccelli.21Straccerò i vostri veli e libererò il mio popolo dalle vostre mani e non sarà più una preda in mano vostra; saprete così che io sono il Signore.22Voi infatti avete rattristato con menzogne il cuore del giusto, mentre io non l'avevo rattristato e avete rafforzato il malvagio perché non desistesse dalla sua vita malvagia e vivesse.23Per questo non avrete più visioni false, né più spaccerete incantesimi: libererò il mio popolo dalle vostre mani e saprete che io sono il Signore".


Prima lettera ai Tessalonicesi 3

1Per questo, non potendo più resistere, abbiamo deciso di restare soli ad Atene2e abbiamo inviato Timòteo, nostro fratello e collaboratore di Dio nel vangelo di Cristo, per confermarvi ed esortarvi nella vostra fede,3perché nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni. Voi stessi, infatti, sapete che a questo siamo destinati;4già quando eravamo tra voi, vi preannunziavamo che avremmo dovuto subire tribolazioni, come in realtà è accaduto e voi ben sapete.5Per questo, non potendo più resistere, mandai a prendere notizie sulla vostra fede, per timore che il tentatore vi avesse tentati e così diventasse vana la nostra fatica.

6Ma ora che è tornato Timòteo, e ci ha portato il lieto annunzio della vostra fede, della vostra carità e del ricordo sempre vivo che conservate di noi, desiderosi di vederci come noi lo siamo di vedere voi,7ci sentiamo consolati, fratelli, a vostro riguardo, di tutta l'angoscia e tribolazione in cui eravamo per la vostra fede;8ora, sì, ci sentiamo rivivere, se rimanete saldi nel Signore.9Quale ringraziamento possiamo rendere a Dio riguardo a voi, per tutta la gioia che proviamo a causa vostra davanti al nostro Dio,10noi che con viva insistenza, notte e giorno, chiediamo di poter vedere il vostro volto e completare ciò che ancora manca alla vostra fede?
11Voglia Dio stesso, Padre nostro, e il Signore nostro Gesù dirigere il nostro cammino verso di voi!12Il Signore poi vi faccia crescere e abbondare nell'amore vicendevole e verso tutti, come anche noi lo siamo verso di voi,13per rendere saldi e irreprensibili i vostri cuori nella santità, davanti a Dio Padre nostro, al momento della venuta del Signore nostro Gesù con tutti i suoi santi.


Capitolo VI: gli sregolati moti dell'anima

Leggilo nella Biblioteca

Ogni qual volta si desidera una cosa contro il volere di Dio, subito si diventa interiormente inquieti. Il superbo e l'avaro non hanno mai requie; invece il povero e l'umile di cuore godono della pienezza della pace. Colui che non è perfettamente morto a se stesso cade facilmente in tentazione ed è vinto in cose da nulla e disprezzabili. Colui che è debole nello spirito ed è, in qualche modo, ancora volto alla carne e ai sensi, difficilmente si può distogliere del tutto dalle brame terrene; e, quando pur riesce a sottrarsi a queste brame, ne riceve tristezza. Che se poi qualcuno gli pone ostacolo, facilmente si sdegna; se, infine, raggiunge quel che bramava, immediatamente sente in coscienza il peso della colpa, perché ha assecondato la sua passione, la quale non giova alla pace che cercava. Giacché la vera pace del cuore la si trova resistendo alle passioni, non soggiacendo ad esse. Non già nel cuore di colui che è attaccato alla carne, non già nell'uomo volto alle cose esteriori sta la pace; ma nel cuore di colui che è pieno di fervore spirituale.


La dottrina cristiana - Libro secondo

La Dottrina Cristiana - Sant'Agostino d'Ippona

Leggilo nella Biblioteca

Le cose in sé e come segno.

1. 1. Scrivendo delle cose, premisi l'avvertimento di non badare se non a ciò che esse sono in se stesse e non al fatto se significhino o meno qualche altro oggetto diverso da sé. Viceversa, parlando dei segni dico che bisogna considerare non ciò che sono in sé ma piuttosto il fatto che sono segni, cioè che significano qualcosa. Difatti il segno è una cosa che, oltre all'immagine che trasmette ai sensi di se stesso, fa venire in mente, con la sua presenza, qualcos'altro [diverso da sé]. Vedendo, ad esempio, delle impronte pensiamo che vi sia passato un animale di cui quelle sono appunto le orme; visto il fumo conosciamo che sotto c'è il fuoco; udita la voce di un essere animato, ne discerniamo lo stato d'animo; suonando la tromba, i soldati sono addestrati a discernere se occorra avanzare o retrocedere o fare qualche altra mossa richiesta dalla battaglia.

Varie specie di segni.

1. 2. Dei segni, peraltro, alcuni sono naturali, altri intenzionali. Sono naturali quelli che, senza intervento di volontà umana né di intenzione volta a renderli significanti, di per se stessi fanno conoscere, oltre che se stessi, qualche altra cosa. Così il fumo richiama il fuoco. Fa ciò infatti non perché vuole significare [il fuoco] ma, per la riflessione o la nozione delle cose che noi abbiamo esperimentate, conosciamo che lì deve celarsi anche il fuoco dove si fa vedere solamente il fumo. Anche l'impronta dell'animale passato per un certo luogo appartiene a questa specie di segni. Così il volto dell'uomo adirato o triste palesa il suo stato d'animo, anche senza che lo voglia colui che è in preda all'ira o alla tristezza. Altrettanto si deve dire di qualsiasi altro sentimento, che si manifesta attraverso le tracce che lascia sul volto, anche se noi non facciamo nulla perché si manifesti. Ma di tutta questa categoria di segni non è mia intenzione trattarne adesso. Siccome però rientrava nella nostra divisione della materia, non la si poteva omettere completamente. L'averla menzionato in queste righe sarà sufficiente.

I segni intenzionali.

2. 3. Segni intenzionali sono quelli che gli esseri viventi si scambiano per indicare, quanto è loro consentito, i moti del loro animo, si tratti di sentimenti o di concetti. Nessun altro motivo abbiamo noi di significare, cioè di emettere segni, se non quello di palesare o trasmettere nell'animo altrui ciò che passa nell'animo di colui che dà il segno. Abbiamo stabilito di considerare ed esporre questa categoria di segni per quanto si riferisce agli uomini, poiché anche i segni dati da Dio che sono contenuti nelle sante Scritture sono stati resi manifesti a noi tramite gli uomini che li hanno scritti. Anche gli animali, è vero, hanno dei segni con cui comunicano i desideri del loro animo. Così il gallo, trovato che abbia del becchime, dà con la voce un segno alla gallina perché venga da lui. Così il colombo col suo gemere chiama la colomba o viceversa è chiamato da lei; e molte altre cose di questo genere si è soliti avvertire. Se poi il volto con la sua espressione o il grido di dolore seguono il moto dell'animo senza l'intenzione di significare alcunché o si emettono per significare davvero qualcosa è un'altra questione: una questione che non rientra nella materia di cui stiamo trattando. Per cui, questa parte di argomenti la tralasciamo nell'opera presente come cosa non necessaria.

Principe fra i segni è la parola.

3. 4. Dei segni con i quali gli uomini comunicano fra loro i propri sentimenti, alcuni dicono relazione alla vista, moltissimi all'udito, assai pochi agli altri sensi. Quando infatti facciamo cenni, non diamo segni se non agli occhi di colui che con tale segno vogliamo rendere partecipe del nostro volere. In effetti alcuni sogliono indicare moltissime cose con gesti delle mani. Così gli istrioni col movimento di tutte le membra fanno segni a chi è capace di comprenderli e, per così dire, dialogano con i loro occhi. Così le bandiere e le insegne militari tramite gli occhi significano ai soldati le decisioni dei condottieri. Sono, tutti questi segni, come delle parole visibili. Quanto ai segni che hanno pertinenza con l'orecchio, sono, come ho detto, i più numerosi, specie se vi si includono le parole. È vero infatti che la tromba, il flauto, la cetra, spesso emettono un suono che non solo è gradevole ma che racchiude anche un significato. Ma tutti questi segni, paragonati con le parole, sono pochissimi. In realtà, fra gli uomini le parole hanno il primo posto in senso assoluto quando si tratta di manifestare le cose concepite nell'animo, supposto che le si voglia palesare. Certamente il Signore diede un significato anche al profumo dell'unguento con cui furono profumati i suoi piedi 1, e alla sunzione del Sacramento del suo Corpo e del suo Sangue diede il significato che volle 2, e la donna che fu guarita toccando l'orlo della sua veste ci indicò qualcosa 3; tuttavia la stragrande quantità di segni, con cui gli uomini trasfondono i propri pensieri, è data da parole. Difatti tutti quei segni di cui brevemente ho elencato le specie li ho potuti esporre a parole, mentre riguardo alle parole, non le potrei elencare in alcun modo con quei segni.

Lo scritto dà solidità alla parola.

4. 5. Le parole tuttavia toccano l'aria e subito spariscono (non durano se non quanto dura il loro suono), per questo come segno delle parole sono state trovate delle lettere, per le quali le parole si mostrano agli occhi, non in se stesse ma trascritte in segni che le rappresentano. Ora questi segni non sono potuti essere comuni fra tutte le genti a causa di un peccato di discordia umana, avendo voluto strappare ciascuno per sé il primato nel mondo. Segno di tale superbia fu quella torre eretta fino al cielo, e in quell'occasione gli uomini, empi, meritarono di contrarre la discordanza non solo degli animi ma anche del linguaggio 4.

La Bibbia, libro scritto in diverse lingue.

5. 6. Questo si è verificato anche nella divina Scrittura, con la quale si viene incontro alle molteplici malattie della volontà umana. Scritta in origine in una lingua, mediante la quale si poté diffondere per l'universo quanto era richiesto, attraverso le lingue dei diversi traduttori si è diffusa in lungo e in largo e si è fatta conoscere dalle genti a loro salvezza. Quelli infatti che la leggono non cercano altro che trovarvi il pensiero e la volontà di coloro che la scrissero e attraverso le facoltà degli scrittori trovarvi la volontà di Dio, in conformità della quale noi crediamo che detti uomini abbiano parlato.

Utile la presenza di difficoltà nella Scrittura.

6. 7. Quelli che leggono la Scrittura a cuor leggero vengono tratti in inganno dalle sue molte e svariate oscurità e ambiguità, e prendono una cosa per un'altra. In certi passi non riescono a trovare nemmeno la materia per false congetture: tanta è l'oscurità con cui alcune cose sono state dette che le si debbono ritenere coperte da densissime tenebre. Tutto questo non dubito che sia avvenuto per una disposizione divina, affinché con la fatica fosse domata la superbia umana e l'intelletto fosse sottratto alla noia, dal momento che il più delle volte le cose che esso scopre facilmente le considera di poco conto. Mi si risponda, ora, di grazia, al quesito che pongo. Uno asserisce che nella Chiesa di Cristo ci sono uomini santi e perfetti, con la cui vita e condotta la Chiesa stessa strappa a tutte le superstizioni coloro che vengono da lei e con l'imitazione dei buoni in certo qual modo se li incorpora. Sono fedeli buoni e veri servi di Dio che, deposti i gravami secolareschi, sono venuti al santo lavacro del battesimo e uscendo dal fonte concepiscono ad opera dello Spirito Santo e producono i frutti della duplice carità, cioè dell'amore di Dio e del prossimo. Mi chiedo dunque a questo punto come mai, se uno dice tali cose in termini prosaici, l'ascoltatore provi meno gusto che se per esprimere le stesse cose gli venga spiegato il Cantico dei Cantici dove alla Chiesa si dice, quasi tessendo l'elogio di una bella donna: I tuoi denti come gregge di pecore tosate che risale dal bagno; tutte generano figli gemelli e tra di loro nessuna è sterile 5. Forse che da ciò si apprende qualcosa di più di quando si udivano le stesse cose espresse in parole molto semplici senza il supporto di questa similitudine? Eppure, non so come, mi fermo a guardare con maggior gusto i santi (quasi fungano da denti della Chiesa) quando li vedo strappare gli uomini ai diversi errori e, addolcita la durezza, trasferirli nel corpo di lei, dopo averli privati del potere di mordere e resi quindi innocui. So anche riconoscere con grandissimo godimento nelle pecore tosate, quasi gente che abbia deposto, come altrettanti tosoni, gli appesantimenti secolari e le riconosco mentre salgono dal bagno, cioè dal battesimo: tutte pecore che generano dei gemelli, cioè i due precetti dell'amore, e constato che nessuna è sterile nel produrre questo santo frutto.

Comprendere i passi difficili in base ai più facili.

6. 8. Come mai io veda con più gusto la cosa di quanto non mi accadrebbe se non trovassi nei Libri divini alcuna similitudine di questo genere, pur essendo identica la cosa in se stessa e identica la cognizione, mi rimane difficile dirlo; ed è anche un problema diverso. Nessuno tuttavia può porre in dubbio che le cose, qualunque siano, si apprendono più volentieri mediante l'uso di similitudini e, se si tratta di questioni investigate con una certa difficoltà, quando le si scopre, ciò riesce molto più gradito. Difatti coloro che non trovano proprio nulla di quello che cercano, soffrono la fame; quelli poi che non fanno ricerche perché hanno le cose a portata di mano, spesso si afflosciano nella noia; e così nell'uno e nell'altro caso bisogna evitare l'illanguidimento. Meravigliosamente quindi e salutarmente lo Spirito Santo ha modellato le sante Scritture in modo che con i passi più manifesti si ovviasse alla fame [del ricercatore], con i passi più oscuri se ne dissipasse la noia. Dai passi oscuri infatti non si ricava altro - dico per approssimazione - all'infuori di quello che altrove si trova detto in maniera completamente manifesta.

Una duplice conversione necessaria al biblista.

7. 9. Prima di tutto dunque ci si deve convertire, mediante il timore di Dio, a conoscere la sua volontà e cosa ci ordini di desiderare o di fuggire. Questo timore deve suscitare in noi il pensiero della nostra mortalità e della morte che effettivamente ci attende e, quasi inchiodando la nostra carne, configgere al legno della croce tutti i moti di superbia. In secondo luogo occorre diventare miti e rispettosi e mai contraddire alle divine Scritture, sia che le si comprenda (com'è quando esse disapprovano qualche nostro vizio), sia che non le si comprenda, quasi che noi siamo in grado di conoscere o di prescrivere le cose in modo migliore. Dobbiamo piuttosto pensare e ritenere che quanto è scritto in esse è superiore e più vero - anche se è nascosto - di tutto ciò che noi possiamo opinare da noi stessi.

Lo Spirito Santo per comprendere la Scrittura.

7. 10. Dopo i due gradini, del timore e della pietà, si giunge al terzo gradino che è quello della scienza, del quale ho ora stabilito di trattare. In esso si esercita ogni appassionato della divina Scrittura, nella quale non vorrà trovare nient'altro se non che occorra amare Dio per se stesso e il prossimo per amore di Dio, e che Dio bisogna amarlo con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente, mentre il prossimo lo si deve amare come noi stessi 6. Ciò significa che l'amore del prossimo, come anche quello verso noi stessi, occorre riferirlo totalmente a Dio. Di questi due precetti abbiamo trattato nel libro precedente quando parlavamo delle cose. Succede peraltro, e di necessità, che in principio uno, volendo addentrarsi nelle Scritture, si senta avviluppato nell'amore di questo secolo, cioè delle cose temporali. In questo caso egli necessariamente avverte di essere molto distante da quell'intenso amore di Dio e del prossimo qual è prescritto dalla stessa Scrittura. Bisogna allora che il timore che lo fa pensare al giudizio di Dio e quella pietà per la quale non può non credere o non arrendersi all'autorità dei Libri santi lo costringano a piangere su se stesso. In realtà quella scienza che dona la buona speranza non rende l'uomo vanitoso ma lo fa gemere su se stesso: sentimento con il quale, a mezzo di frequenti preghiere, ottiene la consolazione dell'aiuto divino che lo sottrae al peso della disperazione. Così comincia ad essere nel quarto gradino, che è quello della fortezza, per il quale si ha fame e sete di giustizia 7. Con questo sentimento poi si tira fuori da ogni mortifero diletto per le cose che passano e, allontanandosi da tale sorta di godimenti, si volge al gusto delle cose eterne, cioè dell'immutabile Unità che è la Trinità.

Fine di tutti i doni dello Spirito è la Sapienza.

7. 11. Vedendola, per quanto può, brillare lontano, si accorge che per la debolezza del suo sguardo non può reggere a tanta luce, sicché ascende al quinto gradino, cioè al consiglio, che ha per base la misericordia. Ivi purifica l'anima che è, in certo qual modo, in tumulto e in preda al chiasso con se stessa per lo sporco che l'ha deturpata desiderando le cose inferiori. Qui l'uomo è impegnato ad esercitarsi con impegno nell'amore del prossimo e in questo amore compie progressi. Pieno ormai di speranza e integro nelle forze, arrivato all'amore del nemico, ascende al sesto gradino, dove purifica lo stesso occhio con il quale può vedere Dio, quanto è consentito a coloro che muoiono a questo secolo, quanto è loro possibile. In realtà in tanto lo possono vedere in quanto muoiono a questo secolo, mentre in quanto vivono in esso, non lo vedono. È vero che in tal grado lo splendore di quella luce comincia già a farsi vedere più marcato: non solo quindi lo si tollera meglio ma reca anche più godimento; tuttavia è detto che lo si vede ancora in forma enigmatica e come in uno specchio 8. Questo perché finché siamo pellegrini in questa vita, camminiamo nella fede e non nella visione 9, avendo in cielo la nostra dimora 10. In questo gradino poi l'uomo purifica talmente l'occhio del cuore che alla verità non preferisce e nemmeno paragona il proprio prossimo e quindi neanche se stesso, perché non le paragona nemmeno colui che ama come se stesso. Un santo come questo avrà dunque un cuore così semplice e puro che non si lascerà distrarre dalla [contemplazione della] verità né dal desiderio di piacere agli uomini né dalla preoccupazione di evitare gli ostacoli che si frappongono al conseguimento d'una tal vita. Questo figlio [di Dio] è in grado di ascendere fino alla sapienza, che è l'ultimo gradino, il settimo, e gode di lei pacificato e tranquillo. Inizio della sapienza è infatti il timore del Signore 11, dal quale timore si tende e si giunge alla sapienza attraverso questi gradini.

Libri canonici e libri apocrifi. Criteri di canonicità.

8. 12. Quanto a noi, riportiamo la considerazione a quel terzo gradino del quale avevamo stabilito di approfondire ed esporre ciò che il Signore si fosse degnato di suggerirci. Pertanto sarà diligentissimo investigatore delle divine Scritture colui che, prima di tutto, le legge per intero e ne acquista la conoscenza e, sebbene non le sappia penetrare con l'intelligenza, le conosce attraverso la lettura. Mi riferisco esclusivamente alle Scritture cosiddette canoniche, poiché, riguardo alle altre le legge con tranquillità d'animo chi è ben radicato nella fede cristiana, per cui non succede che gli disturbino l'animo debole e, illudendolo con pericolose menzogne e fantasticherie, gli distorcano il giudizio in senso contrario alla retta comprensione. Nelle Scritture canoniche segua l'autorità della maggior parte delle Chiese cattoliche, tra le quali naturalmente sono comprese quelle che ebbero l'onore di essere sede di un qualche apostolo o di ricevere qualche sua lettera. Riguardo pertanto alle Scritture canoniche si comporterà così: quelle che sono accettate da tutte le Chiese cattoliche le preferirà a quelle che da alcune non sono accettate; in quelle che non sono accettate da tutte preferirà quelle che accettano le Chiese più numerose e autorevoli a quelle che accettano le Chiese di numero inferiore e di minore autorità. Se poi succedesse che alcune sono ritenute autentiche da più Chiese mentre altre da Chiese più autorevoli, sebbene questo caso non si possa risolvere con facilità, io riterrei che le si debba considerare tutte di pari autorità.

Canone biblico accettato da Agostino.

8. 13. Il canone completo delle Scritture, al quale diciamo di voler rivolgere la nostra considerazione, si compone dei seguenti libri: i cinque libri di Mosè, cioè Genesi, Esodo, Levitico, Numeri, Deuteronomio, e poi il libro di Gesù figlio di Nave, un libro dei Giudici, un libretto chiamato di Rut, che peraltro sembra appartenere ai Libri dei Regni, come loro principio. Vengono poi i quattro Libri dei Regni e i due dei Paralipomeni, che non vengono dopo di essi ma sono a loro congiunti e procedono gli uni a fianco degli altri simultaneamente. Sono libri di storia, che contengono indicazioni temporali collegate fra loro e insieme la successione ordinata dei fatti. Ci sono poi narrazioni storiche poste, per così dire, in ordine differente, narrazioni che non rispettano né l'ordine storico né si collegano le une con le altre. Così è Giobbe, Tobia, Ester, Giuditta, e i due Libri dei Maccabei e di Esdra, i quali piuttosto sembrerebbero proseguire quella storia ordinata che si protraeva fino ai Libri dei Regni e dei Paralipomeni. Successivamente vengono i Profeti, tra i quali un libro di Davide, i Salmi, e tre di Salomone: i Proverbi, il Cantico dei Cantici e l'Ecclesiaste. Difatti gli altri due libri, intitolati l'uno la Sapienza e l'altro l'Ecclesiastico, per una certa somiglianza vengono detti di Salomone. È in effetti tradizione quanto mai costante che li abbia scritti Gesù figlio di Sirach 12; tuttavia, siccome sono stati accolti fra i Libri aventi autorità, li si deve annoverare al gruppo dei profetici. Restano i Libri di coloro che propriamente si chiamano Profeti: un libro per ciascuno di coloro che si chiamano i dodici Profeti, i quali, collegati fra loro (mai infatti hanno avuto esistenza separata), costituiscono un unico libro. I nomi di questi Profeti sono i seguenti: Osea, Gioele, Amos, Abdia, Giona, Michea, Naum, Abacuc, Sofonia, Aggeo, Zaccaria, Malachia. Poi ci sono i Profeti autori di libri più grandi: Isaia, Geremia, Daniele, Ezechiele. Con questi quarantaquattro libri si chiude l'autorità canonica del Vecchio Testamento 13. Compongono il Nuovo Testamento i quattro libri del Vangelo: secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni; le quattordici Lettere dell'apostolo Paolo: ai Romani, due ai Corinzi, una ai Galati, agli Efesini e ai Filippesi, due ai Tessalonicesi, una ai Colossesi, due a Timoteo, una a Tito, a Filemone, e agli Ebrei; due lettere di Pietro, tre di Giovanni, una di Giuda, una di Giacomo; e finalmente il libro degli Atti degli Apostoli e quello dell'Apocalisse di Giovanni.

Retto modo di procedere nello studio della Scrittura.

9. 14. In tutti questi Libri le persone animate dal timore di Dio e divenute miti in virtù della religione cercano la volontà di Dio. Ora, riguardo a questo lavoro di ricerca, a volte faticosa, la prima esigenza da rispettare è, come dicevamo, prendere conoscenza di questi libri anche se non si giunge ancora a comprenderli. Se ne dovrà comunque farne lettura, per impararli a memoria o almeno non essere del tutto nell'ignoranza. In seguito si debbono ricercare con più acume e diligenza le cose che in tali libri sono esposte in forma più chiara, si tratti di norme di vita o di princìpi di fede. Ognuno ne troverà tanto di più quanto più è dotato di penetrazione. In concreto, fra le cose che nella Scrittura sono dette in modo palese ci sono tutte quelle che hanno per contenuto la fede e la condotta di vita, cioè la speranza e la carità, di cui abbiamo trattato nel libro precedente. Giunti a questo stadio, quando cioè si è acquistata una certa familiarità con la lingua propria delle Sacre Scritture, bisogna inoltrarsi a scoprire ed esaminare ciò che in esse vi è di oscuro. Per illustrare le espressioni più oscure si prenderanno esempi dai passi più accessibili, di modo che le testimonianze dei passi certi, anche se limitate di numero, tolgano il dubbio ai passi incerti. In questo lavoro giova moltissimo la memoria, la quale, se manca, non possiamo fornirla noi a forza di regole.

Difficoltà create dai segni in uso nella Bibbia.

10. 15. Il contenuto della Scrittura non lo si comprende per due motivi: perché è nascosto o in segni sconosciuti o in segni ambigui. I segni poi sono o propri o traslati. Si chiamano segni propri quelli che si usano per significare quelle cose per cui sono stati inventati. Così quando diciamo " bue " vi intendiamo quell'animale che ogni uomo che parli latino designa, come noi, con questo nome. Sono segni traslati quelli nei quali le cose che significhiamo col termine proprio vengono usate per significare qualcos'altro. Così quando diciamo " bue ", con queste due sillabe vi intendiamo quell'animale che di solito va sotto questo nome ma con quell'animale a sua volta intendiamo l'Evangelista cui allude la Scrittura, secondo l'interpretazione dell'Apostolo, che dice: Non metterai la museruola al bue che trebbia 14.

Indispensabile la conoscenza delle lingue, specialmente il greco e l'ebraico.

11. 16. Nel caso dei segni propri, se li si ignora, grande rimedio è la conoscenza delle lingue. E in concreto la gente che parla latino, alla quale è diretta la presente istruzione, per conoscere le divine Scritture ha bisogno di altre due lingue: l'ebraico e il greco. Con queste si può ricorrere ai testi anteriori, se la quantità delle traduzioni latine, ormai infinita e ricca di varianti, presenta dei dubbi. È noto che nei libri sacri troviamo anche parole ebraiche che non sono state tradotte, come Amen, Alleluia, Racha, Osanna ed altre ancora. Di queste alcune furono conservate nell'antica origine per il prestigio di particolare santità, sebbene le si potesse tradurre. Tali sono Amen e Alleluia. Di altre invece si dice che non possano essere tradotte in altra lingua, come le ultime due poste nell'esempio citato. In determinate lingue ci sono infatti parole che non possono entrare mediante traduzione nell'uso di un'altra lingua. Questo accade soprattutto per le interiezioni, che esprimono un moto dell'animo piuttosto che una parte, sia pur piccola, di frase concepita con la mente. Tali, a quanto si riferisce, dovrebbero essere quelle ultime due. Dicono infatti che Racha sia espressione di uno arrabbiato, Osanna di uno in preda alla gioia. Ma non è per queste poche parole, che sarebbe facilissimo ricercare o domandare, che è necessaria la conoscenza di quelle lingue. La necessità sorge, come è stato detto, dalle divergenze esistenti fra i diversi traduttori. Si possono infatti contare coloro che tradussero le Scritture dall'ebraico in greco, ma è impossibile contare i traduttori latini. Fin dai primi tempi della fede, infatti, man mano che uno veniva in possesso d'un codice greco ed era convinto di possedere un po' di conoscenza dell'una e dell'altra lingua, subito si metteva a tradurre.

Grande utilità forniscono i testi paralleli.

12. 17. È stato, questo, un fatto che, anziché ostacolare, ha favorito la comprensione dei testi, purché chi li va a leggere non sia persona trascurata. Difatti il confronto fra parecchi codici spesso ha giovato a rendere chiare le frasi oscure, come il testo del profeta Isaia, che un interprete ha reso: E i domestici della tua stirpe non disprezzerai 15; mentre un altro: E non disprezzerai la tua carne 16. I due, confrontati fra loro, si confermano a vicenda. In realtà, l'uno si chiarisce mediante l'altro, poiché il termine carne si potrebbe prendere in senso proprio, nel senso cioè che ognuno dovesse ritenersi avvisato a non disprezzare il proprio corpo, mentre i domestici della stirpe, in senso traslato, potrebbero essere i cristiani, nati spiritualmente dallo stesso seme della parola. Orbene, confrontato fra loro il senso dei due traduttori, ci viene alla mente, come più probabile, l'idea che ivi propriamente si dia il precetto di non trascurare i parenti, poiché se confronti i domestici della stirpe con carne, vengono alla mente soprattutto i consanguinei. Di tale portata penso che sia anche quel che dice l'Apostolo: Se in qualche modo potrò suscitare la gelosia fra quelli della mia carne per salvare qualcuno di loro 17, cioè che, ingelositi di quelli che avevano creduto, anche loro abbracciassero la fede. Chiama sua carne i Giudei a motivo della identità di sangue. Allo stesso modo è di quel detto dello stesso profeta Isaia: Se non crederete, non comprenderete 18, che un altro ha tradotto: se non crederete, non avrete stabilità 19. Chi dei due abbia riprodotto a paroletta l'originale, è incerto, se non si leggono i testi originali stessi nella lingua madre; è comunque certo che chi sa leggerli con cognizione di causa, dai due testi ricava un profondo significato. È infatti difficile che due traduttori differiscano talmente fra loro che non si tocchino per qualche elemento di vicinanza. Orbene, l'intelletto riguarda la visione eterna di Dio, la fede invece nutre i piccoli quasi col latte in mezzo alle cose temporali che sarebbero una specie di culle. Adesso dunque camminiamo nella fede, non nella visione 20; e solo se avremo camminato nella fede potremo giungere alla visione, che non è transitoria ma rimane per sempre, quando noi aderiremo alla verità con l'intelletto purificato. Per questo uno diceva: Se non crederete, non avrete stabilità, l'altro invece: Se non crederete, non comprenderete.

Esempi per inculcare la conoscenza delle lingue originali.

12. 18. Il più delle volte il traduttore viene tratto in inganno dal termine ambiguo che reca la lingua antecedente, e, non conoscendo bene il senso della frase, le dà un significato del tutto alieno da quello datole dallo scrittore. Così alcuni codici leggono: Aguzzi i loro piedi a spargere sangue 21. infatti in greco significa tanto " aguzzo " quanto " veloce ". Pertanto intese bene la frase chi tradusse: Veloci sono i loro piedi a spargere il sangue 22, mentre l'altro cadde in errore trascinato nell'altra direzione da una parola a doppio senso. Traduzioni simili non sono soltanto oscure ma false, e la situazione in tali casi è ben diversa: si deve imporre che i codici siano non compresi ma emendati. Uno di tali errori si ha in quest'altro caso. in greco significa " vitello ": motivo per cui alcuni hanno tradotto non " germogli di vite " ma " mandrie di vitelli ". Questo errore si è diffuso in tanti codici che se ne trova sì e no qualcuno con l'altra dicitura. Eppure, l'espressione è chiarissima in quanto manifestata dalle parole che la seguono, e cioè: I vitigni bastardi non metteranno radici profonde 23, espressione molto più aderente al testo che non " mandrie di vitelli ", animali che camminano per terra con le zampe e non aderiscono alla terra mediante radici. In quel passo però anche gli altri testi similari hanno conservato la stessa traduzione.

Le finezze del latino, gradite ai puristi, non necessarie ai pii.

13. 19. Ci sono stati dei traduttori, e parecchi, che si sono espressi ciascuno secondo la sua capacità e il suo giudizio. In tal caso quale sia il significato della frase non appare se non si consulta la lingua da cui traducono; anzi, succede che il più delle volte il traduttore, se non è dotto al massimo grado, cada in errore allontanandosi dal senso dell'autore. Occorre pertanto esigere la conoscenza di quelle lingue dalle quali la Scrittura è passata in latino o avere sott'occhio le traduzioni di coloro che si tennero scrupolosamente fedeli alla paroletta. Queste traduzioni, certo, non sono sufficienti ma da esse si può ricavare la libertà o l'errore di quelli che traducendo preferirono attenersi non tanto alle parole quanto piuttosto alle intere frasi. Spesso infatti si traducono non solo singole parole ma anche intere frasi in modo che assolutamente non possono tollerarsi nell'uso della lingua latina, almeno se uno vuol conservare l'uso degli antichi che parlavano latino. Queste traduzioni, a volte, possono non nuocere al significato, ma disgustano coloro che sono assuefatti a dilettarsi maggiormente del contenuto quando anche nei segni vedono osservata, per quanto si può, la necessaria purezza. Il solecismo, ad esempio (come lo si chiama), non è altro se non l'unione di parole fatta non secondo quella legge con cui le unirono coloro che non senza autorità parlarono prima di noi. Così a chi va in cerca delle cose non interessa se uno dica: Fra gli uomini, o: Fra degli uomini. Così il barbarismo, il quale cos'è mai se non una parola pronunciata non con quelle lettere o quell'accento con cui suole essere pronunciata da quelli che hanno parlato latino prima di noi? Ad esempio il verbo ignoscere [perdonare]. Colui che chiede a Dio di perdonare i propri peccati non si interessa molto se la terza sillaba debba pronunciarsi in forma lunga o breve, qualunque sia il modo secondo cui quel verbo può suonare. Cos'è dunque la purezza della fraseologia se non l'osservanza della consuetudine introdotta dagli altri e confermata dall'autorità degli antichi autori?.

Nell'avvicinarsi alla Scrittura occorre intelligente semplicità.

13. 20. Cose come queste tanto più dispiacciono agli uomini quanto più essi sono deboli, e sono tanto più deboli quanto più smaniano di essere considerati dotti, non di quella scienza mediante la quale siamo edificati ma della scienza dei segni, a motivo della quale non è certo difficile gonfiarsi di superbia. In effetti la conoscenza delle cose di per se stessa molte volte fa alzare la cresta, a meno che non intervenga ad abbassarla il giogo del Signore. A chi infatti mira alla semplice comprensione cosa nuoce se si trova scritto così: Qual è la terra nella quale costoro risiedono in essa? se sia buona o cattiva? E come sono le città nelle quali loro abitano in esse? 24 Io riterrei che questa espressione appartenga a una lingua straniera piuttosto che contenere un qualche senso più profondo. Inoltre c'è quella parola che ormai non riusciamo a togliere via dalla bocca di chi canta: Su di lui invece fiorisce la mia santificazione 25. Il termine latino floriet non pregiudica affatto il senso della frase. L'uditore più dotto preferirebbe che la si correggesse e si dicesse: Florebit e non floriet; correzione che nessun'altra cosa ostacola se non l'abitudine dei cantori. Su cose come queste si potrebbe passar sopra facilmente, quando qualcuno non volesse evitarle, poiché non nuocciono affatto alla retta comprensione. Assai diverso è il caso del detto dell'Apostolo: Ciò che è stolto di Dio è più sapiente per gli uomini; ciò che è debole di Dio è più forte degli uomini 26. Se in questa espressione uno avesse voluto conservare la forma dell'espressione greca e avesse detto: Ciò che è stolto di Dio è più sapiente degli uomini, l'attenzione del lettore avveduto sarebbe certo andata alla verità della frase, ma qualcuno meno intelligente o non avrebbe capito niente o avrebbe capito male. In latino infatti tale espressione non sarebbe soltanto viziosa ma anche causerebbe una ambiguità, quasi che ciò che è stolto e debole negli uomini sia più sapiente e più forte di ciò che è stolto e debole in Dio. Anzi, la stessa espressione: È più sapiente per gli uomini non è senza ambiguità sebbene non contenga solecismi. A prescindere infatti dalla luce che proviene da tutta la frase, non risulta con chiarezza se per gli uomini sia stato detto derivandolo da " a questo uomo " o derivandolo da " da questo uomo ". Per cui è meglio dire: " È più sapiente che non gli uomini ed è più forte che non gli uomini ".

Conoscenza delle lingue e confronto fra i diversi codici.

14. 21. Più avanti parleremo dei segni ambigui; adesso vogliamo trattare dei segni non conosciuti, che sono, per quello che riguarda le parole, di due forme. Difatti a bloccare il lettore c'è o una parola sconosciuta o una frase sconosciuta. Le quali se derivano dalle lingue straniere, bisogna interrogare le persone che parlano quelle lingue o, se si ha tempo e intelligenza, occorre imparare tali lingue o consultare parecchi traduttori confrontandoli fra loro. Se invece è perché non conosciamo certe parole o frasi della nostra propria lingua, queste si impareranno abituandoci a leggere o ad ascoltare. In realtà, nessun'altra cosa è tanto necessaria imparare a memoria quanto quelle specie di parole o di frasi che ignoriamo. Ci può capitare, ad esempio, una persona più istruita a cui si possa domandare ciò che noi non conosciamo, o può darsi che il testo stesso mostri, da quel che precede o da quel che segue o da tutti e due i contesti, quale portata abbia o cosa significhi quel che ignoriamo. In tale ipotesi con l'ausilio della memoria potremo facilmente decifrarlo e apprenderlo. Tuttavia, tanta è la forza dell'abitudine anche nell'imparare che della gente nutrita ed educata nelle Sacre Scritture si stupisca di fronte a certe espressioni dell'uso profano e le ritenga meno latine di quelle che hanno imparato nelle Scritture e che non si trovano negli scrittori latini. In questo campo giova anche moltissimo il numero dei traduttori quando lo si controlla ed esamina confrontando i loro codici. Si badi solo che non ci siano falsificazioni di senso. Difatti la diligenza di coloro che desiderano conoscere le sacre Scritture deve prima di tutto essere vigile nell'emendare i codici, per cui quelli non emendati cedano il posto a quelli emendati, se provengono esclusivamente da un'unica famiglia di traduzioni.

Fra le versioni preferibile l'Itala e, soprattutto, quella dei Settanta.

15. 22. Fra le diverse traduzioni alle altre si preferisca l'Itala, che è più aderente alle parole e più chiara nel pensiero. Per emendare poi qualsiasi codice latino si ricorra ai testi greci, tra i quali, per quel che riguarda il Vecchio Testamento, tutti li supera in autorità la versione dei Settanta 27. A proposito di questi traduttori, presso tutte le Chiese più competenti si dice che abbiano tradotto in virtù di tale e tanta presenza dello Spirito Santo che una sia stata la voce di quegli uomini, pur essendo così numerosi. Si dice anche - e sono molti e non immeritevoli di fiducia quelli che lo affermano - che abbiano tradotto separati, ciascuno nella sua propria cella; eppure nel codice di nessuno di loro si trovò cosa che non si trovasse negli altri, espressa con le stesse parole e la stessa successione [di parole]. Chi oserebbe, non dico preferire, ma anche paragonare qualche altra versione ad una così autorevole? Se poi lavorarono insieme, di modo che una sia stata la voce di tutti a motivo dell'investigazione e del parere comune, nemmeno in tal caso è necessario o conveniente che un sol traduttore, esperto quanto si voglia, pretenda di emendare ciò che d'accordo hanno detto tanti antichi e dotti personaggi. Per la qual cosa, anche se nei codici ebraici si trovasse qualcosa di diverso da quello che hanno detto costoro, credo che bisogni arrendersi al piano divino che si è realizzato per loro mezzo. In tal modo quei libri che il popolo giudaico o per attaccamento religioso o per invidia si rifiutava di far conoscere agli altri popoli, tramite il potere del re Tolomeo furono comunicati con molto anticipo alle genti che per grazia del Signore avrebbero creduto. Può darsi quindi che quegli scrittori abbiano tradotto come credette fosse opportuno dire alle genti lo Spirito Santo che li muoveva all'azione e che aveva donato a tutti un'identica loquela. Ma, come ho detto sopra, non è mai inutile il confronto con gli autori che come questi rimasero più aderenti alle parole per spiegare, in diverse occasioni, il senso della frase. In conclusione, i codici latini del Vecchio Testamento, come avevo cominciato a dire, se è necessario, occorre revisionarli sull'autorità dei codici greci, in particolare dei codici di quegli uomini che, essendo Settanta, a quanto ci è stato tramandato, hanno tradotto come ad una sola voce. Quanto ai libri del Nuovo Testamento, se qualcosa è incerto nella varietà dei testi latini, non c'è dubbio che questi debbono cedere ai greci, soprattutto quelli in uso presso le Chiese meglio istruite e più accurate.

Anche i tropi o traslati sono ricchi di insegnamenti.

16. 23. Per quanto riguarda i segni traslati, se ce ne sono di sconosciuti che costringono il lettore a sospendere il giudizio, li si deve ricercare in parte con la conoscenza delle lingue e in parte con quella delle cose. Ci può infatti essere qualcosa che abbia valore figurativo; e di fatto la piscina di Siloe, dove per comando di Cristo andò a lavarsi il viso colui al quale il Signore aveva spalmato gli occhi col fango fatto mediante lo sputo 28, suggerisce senza dubbio un senso nascosto. Ciononostante, essendo il nome in una lingua sconosciuta, se l'Evangelista non l'avesse tradotto, un significato così importante sarebbe rimasto celato. Così è di molti nomi ebraici che non sono stati tradotti dagli autori dei rispettivi libri. Non c'è dubbio che, se uno riesce a tradurli, contengono una non piccola forza e sono un valido aiuto per risolvere le incomprensibilità della Scrittura. Effettivamente hanno arrecato ai posteri un non piccolo aiuto quegli uomini che, esperti in lingua ebraica, tradussero tutti quei nomi, staccandoli dal contesto scritturale. Così ci han detto cosa significhi Adamo, cosa Eva, cosa Abramo, cosa Mosè, e così pure i nomi geografici come Gerusalemme, Sion, Gerico, Sinai, Libano, Giordano, e ancora tanti altri nomi di quella lingua che a noi sarebbero rimasti sconosciuti. Spiegati e tradotti quei nomi, diventano palesi molte locuzioni figurate contenute nella Scrittura.

Esempi di cose naturali usate in senso traslato.

16. 24. La mancata conoscenza delle cose rende oscure le locuzioni figurate, come accade quando non conosciamo la natura degli animali, o delle pietre, o delle erbe, o di qualsiasi altra cosa che nelle Scritture il più delle volte viene menzionata con valore di similitudine. Così è di quella cosa nota che usa fare il serpente, che cioè per riparare il capo presenta a chi vuol ferirlo il resto del corpo. Questo spiega il detto del Signore in cui ci comanda di essere astuti come serpenti 29. In luogo del nostro capo, che è Cristo 30, dobbiamo offrire ai persecutori il nostro corpo, di modo che non succeda che, in certo qual modo, venga uccisa in noi la fede cristiana, se per risparmiare il corpo rinneghiamo Dio. Del serpente si dice ancora che, cacciandosi forzatamente per le strettoie della sua buca, abbandoni la vecchia squamatura e riceva nuove forze. Quanto ci giova imitare questa astuzia del serpente perché, come dice l'Apostolo, ci spogliamo dell'uomo vecchio e rivestiamo del nuovo 31. E ce ne spogliamo passando per luoghi stretti, avendo detto il Signore: Entra per la porta stretta 32. Ecco come la conoscenza della natura del serpente ci illustra parecchie similitudini che la Scrittura è solita trarre da questo animale. Analogamente la mancata conoscenza di alcuni animali, ricordati non meno del serpente per motivi figurativi, ostacola moltissimo chi vuol comprendere la Scrittura. Così delle pietre, così delle erbe e di tutto ciò che è sostenuto da radici. Sapere, ad esempio, che il carbonchio riluce nell'oscurità illumina molti passi anche oscuri dei nostri libri, dovunque lo si ponga a modo di similitudine. Inoltre ignorare come sia il berillo e il diamante chiude parecchie volte la porta di una esatta comprensione della Bibbia. È facile invece capire come mai la pace permanente sia significata dal ramoscello di olivo che la colomba riportò all'arca al suo ritorno 33. Questo, perché sappiamo che l'olio, anche se liscio, se tocca un altro liquido non si altera e, quanto alla pianta stessa, è tutto l'anno coperta di foglie verdi. Viceversa, molti non conoscono cosa sia l'issopo e quale vigore abbia. Esso giova a liberare il polmone [dal catarro] e così pure, a quel che si racconta, riesce con le sue radici a penetrare la roccia, essendo un'erbetta bassa e piccola. Per questo non riescono a trovare il motivo per cui è detto: Mi aspergerai con l'issopo e io sarò mondato 34.

La penetrazione dei numeri utile per l'approfondimento della Scrittura.

16. 25. L'ignoranza dei numeri impedisce di comprendere molte cose poste nella Scrittura in forma traslata o figurativa. Ad esempio, una mente che io chiamerei nobile non può non rimanere sorpresa dal perché mai Mosè, Elia e lo stesso nostro Signore abbiano digiunato quaranta giorni 35. Questo fatto comporta un groviglio di simbologie che non si scioglie se non mediante la conoscenza e la meditazione del numero in parola, il quale contiene il dieci preso quattro volte, quasi che si sia voluta inserire nel tempo la conoscenza di tutte le cose. Difatti il corso del giorno e dell'anno si svolgono sulla base del numero quattro: il giorno secondo frazioni orarie costituenti il mattino, il mezzogiorno, la sera e la notte; l'anno, secondo i mesi, della primavera, dell'estate, dell'autunno e dell'inverno. Orbene, noi, che pur viviamo nel tempo, ci dobbiamo astenere, o con altro termine " digiunare ", dai piaceri temporali in vista dell'eternità nella quale vogliamo avere la vita. Anzi, dallo stesso fluire del tempo ci si offre l'ammaestramento del disprezzo delle cose temporali e della brama delle cose eterne. Quanto poi al numero dieci, esso a sua volta ci inculca simbolicamente la conoscenza del Creatore e della creatura; l'essere trino infatti è proprio del Creatore, mentre il sette indica la creatura, a motivo della vita e del suo corpo. Nella vita infatti ci sono tre elementi, per i quali ci si dice anche di amare Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente 36. Quanto poi al corpo, vi appaiono manifestissimi i quattro elementi da cui risulta. In questo numero dieci presentato a noi nella prospettiva temporale, mentre lo si moltiplica per quattro, ci si dà l'ordine di vivere con castità e continenza, segregati dai piaceri temporali, che sarebbe poi il digiunare per quaranta giorni. A questo ci richiama la legge, rappresentata dalla persona di Mosè, a questo i Profeti rappresentati da Elia; a questo lo stesso nostro Signore, che, quasi ricevesse la testimonianza dalla Legge e dai Profeti, là sul monte risplendette in mezzo a loro di fronte ai tre discepoli che lo guardavano stupiti 37. Successivamente si ricerca come dal numero quaranta si formi il cinquanta, numero altamente sacro nella nostra religione a motivo della Pentecoste 38. Questo numero moltiplicato per tre - a motivo dei tre periodi: prima della legge, sotto la legge e sotto la grazia, o a motivo del nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo - con l'aggiunta eminentissima, cioè, della stessa Trinità si riferisce al mistero della Chiesa quando sarà perfettamente purificata. Si arriverà cioè a quei centocinquantatré pesci, presi dalle reti gettate a destra nella pesca dopo la risurrezione del Signore 39. Così in moltissime altre forme numeriche certe misteriose rappresentazioni sono poste nelle sacre Scritture, forme che rimangono inesplorate ai lettori a causa dell'ignoranza dei numeri.

Nozioni di musica e comprensione della Scrittura.

16. 26. Non pochi contenuti impedisce e nasconde l'ignoranza di certe realtà in campo musicale. Un tale, ad esempio, partendo dalla differenza fra salterio e cetra, scoprì in maniera non bizzarra alcuni simbolismi annessi alle cose. Così è del salterio a dieci corde 40. Non scriteriatamente si cerca tra gli esperti se abbia una qualche esigenza musicale che richieda un così elevato numero di corde, o, se non ce l'ha, il numero di per se stesso debba essere preso piuttosto con valore mistico. Il quale valore potrebbe derivare dal rapporto col decalogo della legge - il cui numero, se si vogliono fare ricerche, non si deve riferire ad altri all'infuori del Creatore e della creatura - o dal numero dieci di per se stesso, come sopra è stato esposto. E poi c'è il numero della durata della costruzione del tempio, riferito dal Vangelo 41, cioè il numero di quarantasei anni. Mi pare che abbia un non so che di musicale, e, riferito all'edificio del corpo del Signore, in vista del quale si fa menzione del tempio, esso costringe certi eretici a confessare che il Figlio di Dio non si rivestì di un corpo fittizio ma veramente umano. Effettivamente troviamo in parecchi passi delle sante Scritture che il numero e la musica sono collocati in posizioni di privilegio.

Esempio di racconti favolosi: l'origine delle Muse.

17. 27. Né bisogna ascoltare le false superstizioni dei pagani a proposito delle Muse, che essi supposero essere nove, figlie di Giove e di Memoria. Li confuta Varrone, del quale non saprei dire se nel paganesimo ci sia un uomo più informato e un ricercatore più accanito a proposito di cose come queste. Dice che in una non so quale città - non ne ricordo il nome - si misero a concorso presso tre artisti tre statue delle Muse. Le si doveva porre come dono votivo nel tempio di Apollo e sarebbero state scelte e comprate, di preferenza, quelle dell'artista che le avesse fatte più belle. Accadde invece che quegli artisti presentarono le loro opere tutte ugualmente belle: tutte e nove piacquero alla cittadinanza e tutte furono comprate per essere esposte nel tempio di Apollo. A loro - dice ancora Varrone - più tardi il poeta Esiodo impose il nome. Non fu dunque Giove a generare le nove muse ma tre artisti ne composero tre per ciascuno. E, quanto a quella città, ne aveva messe a concorso tre non perché qualcuno le aveva così viste in sogno o perché loro stesse avevano mostrato agli occhi di qualcuno di essere in tal numero, ma perché era facile osservare che ogni suono - che è la materia delle canzoni - si presenta per sua natura in triplice forma. Infatti, o lo si emette con la voce, come quando senza strumento si canta con la gola, o soffiando, come accade nelle trombe o nei flauti, o per percussione, come nella cetra o nei tamburi e in tutti gli altri strumenti che emettono suoni quando li si percuote.

Il cristiano accetta la verità anche se scoperta da pagani.

18. 28. Stiano o no le cose come dice Varrone, quanto a noi non dobbiamo per delle superstizioni dei profani rifuggire dalla musica, se da essa possiamo trarre vantaggi per comprendere le sante Scritture. Né dobbiamo badare alle loro banalità teatrali quando trattiamo delle cetre e degli organi e ciò contribuisce alla comprensione delle cose spirituali. Difatti non ci siamo sentiti obbligati a non imparare le lettere perché dicono che loro inventore sia stato Mercurio. Ancora, per il fatto che essi dedicarono templi a Giustizia e a Virtù, preferendo di adorare nella pietra ciò che invece si sarebbe dovuto custodire nel cuore, non per questo dobbiamo fuggire la giustizia e la virtù. Tutt'altro! Ogni cristiano buono e sincero, dovunque trova la verità, comprende che appartiene al suo Signore e, confrontandola e discernendola, ripudi anche nei libri sacri gli elementi superstiziosi ivi indotti. Si rammarichi - e ne stia in guardia - che gli uomini, conoscendo Dio, non l'hanno glorificato come Dio né l'hanno ringraziato ma, diventati vani nei loro pensieri, si oscurò il loro stupido cuore. Dicendo di essere sapienti, divennero stolti e scambiarono la gloria del Dio incorruttibile con l'immagine figurata dell'uomo corruttibile, o degli uccelli o dei quadrupedi o dei serpenti 42.

Distinzione fra le dottrine del paganesimo.

19. 29. Tutto questo argomento, essendo sommamente necessario, dobbiamo spiegarlo con la massima diligenza. Ebbene, due sono le categorie della dottrina dei pagani, che da loro poi vengono tradotte in pratica anche nei costumi: una comprende le cose istituite dagli uomini, l'altra le cose che, come hanno essi stessi notato, si sono già realizzate o sono state istituite da Dio. Ciò che è di istituzione umana in parte è superstizioso, in parte no.

Vacuità e stoltezza di molte superstizioni pagane.

20. 30. È superstizioso tutto ciò che è stato inventato dagli uomini per fabbricarsi o prestare culto agli idoli e mira a venerare come dio la creatura o singoli esseri del mondo creato. Inoltre lo è tutto ciò che fanno per consultare i demoni e federarsi con loro stipulando patti convenzionati sulla base di segni, come sarebbero gli artifizi della magia: cose che i poeti sono soliti ricordare piuttosto che insegnare. Del medesimo genere sono i libri degli aruspici e degli àuguri, distinguendosene per una, diciamo cosi, più libera vacuità. In questo genere rientrano ancora gli amuleti e le fattucchierie, riprovati dalla stessa scienza medica e consistenti in incantesimi o in certi segni chiamati sigilli o nell'appendere certe cose ovvero legarle addosso o anche nel compiere delle forme di salti, se è lecito chiamarli così: salti che non tendono all'allenamento del corpo ma a significare delle cose occulte o anche manifeste. Tutte queste cose con vocabolo più blando essi le chiamano " realtà fisiche " per far vedere che esse non influiscono in forza di una superstizione ma giovano per la loro natura. Tali sono gli orecchini all'estremo di ciascun orecchio, o gli anelli di osso di struzzo alle dita; o come, quando ti viene il singhiozzo, ti si dice di tenere con la destra il pollice della sinistra.

Superstizioni balorde ridicolizzate dallo stesso Catone.

20. 31. A queste si debbono aggiungere le mille altre stupidissime pratiche a cui sogliono badare, come, ad esempio, se un membro palpita, se quando due amici camminano l'uno accanto all'altro una pietra o un cane o un bambino passa loro fra mezzo. Che poi essi diano un calcio alla pietra, quasi avesse potere di rompere l'amicizia è, naturalmente, meno nocivo del prendere a schiaffi un bimbo innocente che di corsa passa in mezzo ai due che camminano l'uno a fianco dell'altro. Il bello poi è quando, come a volte capita, i cani si prendono le difese dei bambini. Difatti - e questo succede moltissime volte - alcuni individui sono così superstiziosi che osino colpire anche il cane che sia passato nel loro mezzo; ma ciò non impunemente, in quanto il cane, oggetto della vana fattucchieria, talvolta manda prontamente da un medico vero colui che lo ha colpito. Superstizione sono anche queste altre usanze: calcare la soglia di casa tutte le volte che vi si passa dinanzi; tornare a letto se mentre si mettono i calzari si starnutisce; tornare a casa se camminando si inciampa; quando i sorci rodono un vestito, tremare di più per l'incubo di un male futuro che rammaricarsi per il danno subito. Fine, al riguardo, è il detto di Catone quando fu consultato da uno che gli diceva avergli i sorci rosicchiato le scarpe. Rispose non essere strabiliante una cosa del genere; veramente strabiliante sarebbe stato se le scarpe avessero rosicchiato i sorci.

Le scempiaggini dei genetliaci o matematici.

21. 32. Né si debbono distinguere da questo genere di perniciosa superstizione quelli che vanno sotto il nome di genetliaci, a motivo delle considerazioni fatte in base al giorno del compleanno e che ora la gente chiama astrologi. È vero che essi, quando uno nasce, ricercano la vera posizione delle stelle e qualche volta anche l'indovinano; tuttavia sbagliano di grosso quando da tali ricerche si sforzano di predire le nostre azioni o gli eventi connessi con tali azioni, vendendo agli uomini inesperti una miserabile servitù. Ecco infatti uno che va del tutto libero da un simile astrologo. Lo paga per uscire, dalle sedute presso di lui, schiavo o di Marte o di Venere o piuttosto di tutte le stelle, alle quali i primi che errarono e trasmisero l'errore ai posteri diedero il nome o di qualche bestia, a causa della somiglianza, o di qualche uomo, al fine di onorare costui. Né c'è da stupirsi se, in tempi recenti e a noi vicini, la stella chiamata " stella del mattino " i Romani abbiano tentato di dedicarla al culto e al nome di Cesare; e la cosa facilmente sarebbe riuscita e la costumanza ormai inveterata se la stella da chiamarsi con questo nome non se la fosse già in antecedenza accaparrata Venere, antenata di Cesare: la quale peraltro non vantava alcun diritto di trasmettere agli eredi ciò che viva non aveva mai posseduto né chiesto di possedere. In effetti, dove un posto era vacante e non era legato con l'onore dovuto a qualcuno morto in precedenza, è stato fatto ciò che si è soliti fare in simili occasioni. Così per i mesi: il quinto e il sesto mese noi li chiamiamo Luglio e Agosto, appellazioni intese a dare onore a Giulio Cesare e a Cesare Augusto. Allo stesso modo chiunque lo voglia può capire che anche quelle stelle hanno compiuto i loro giri nel cielo anche quando non portavano i nomi che portano adesso. Quanto a quei morti di cui gli uomini furono costretti dal potere reale a onorare la memoria, la cosa piacque per l'umana vanità; con l'imporre i loro nomi alle stelle si dava l'impressione di volere innalzare al cielo quegli stessi che morivano lì fra mezzo a loro. Ma, comunque vengano chiamati dagli uomini, sono sempre astri creati da Dio e da lui sistemati come gli parve opportuno. Essi hanno un movimento stabile, mediante il quale vengono distinti i tempi nella loro varietà. Determinare a che punto si trovi questo moto quando nasce ogni uomo è cosa facile, sulla base di leggi scoperte e poste in scritto da coloro che la sacra Scrittura condanna quando dice: Se tanto poterono conoscere da riuscire a valutare il mondo, come mai non hanno con maggiore facilità scoperto il Signore del mondo? 43

Grave errore e pazzia condizionare la vita umana al corso delle stelle.

22. 33. È peraltro un grave errore e una grande pazzia voler predire, da tale investigazione, i costumi, gli atti, e gli avvenimenti di coloro che nascono. E in effetti tale superstizione viene riprovata, senza alcuna tergiversazione, da coloro che hanno imparato a disimpararla. Quelle infatti che essi chiamano costellazioni sono la descrizione delle stelle come si trovavano quando nasceva quel tale nei confronti del quale questi sciagurati venivano consultati da altri più sciagurati ancora. Ora può accadere che due gemelli vengano alla luce a distanza talmente ridotta che fra loro non si possa computare alcun momento di tempo e designarlo con i numeri delle costellazioni. In tal modo alcuni gemelli cadono necessariamente sotto le stesse costellazioni, mentre poi non hanno identici gli eventi nelle cose che fanno o subiscono ma, il più delle volte, sono talmente diversificati che uno vive felicissimo e l'altro molto infelice. Così accadde a Esaù e Giacobbe. Sappiamo che nacquero gemelli e così ravvicinati che Giacobbe, che nasceva per secondo, si trovava a tenere con la mano il piede del fratello che nasceva per primo 44. Certamente il giorno e l'ora di nascita di questi due non si possono precisare altrimenti che assegnando a tutti e due la stessa costellazione. Eppure la Scrittura ci attesta - e la cosa è passata sulla bocca di tutte le genti - che grandissima fu la diversità fra i costumi, gli eventi, le fatiche e i successi dell'uno e dell'altro.

La presunzione umana, causa di falsità.

22. 34. Né è cosa pertinente quella che essi affermano e cioè che la stessa frazione di tempo, per quanto minima e insignificante, che distanzia il parto di due gemelli vale molto nell'ordine oggettivo dei fatti naturali, data la velocità quanto mai celere dei corpi celesti. Anche se concedessi che ciò vale moltissimo, tuttavia non potrebbe essere reperito dall'astrologo nelle costellazioni, esaminando le quali egli stesso confessa di predire i destini. Se dunque non gli risulta dall'esame delle costellazioni, che necessariamente osserva unificate, tanto se le consulti per Giacobbe quanto per suo fratello, che utilità può ricavare dal fatto che esse distano nel cielo - che lui oltraggia nella sua sicumera parlandone con leggerezza - ma non distano nella tavoletta che egli consulta inutilmente sebbene preoccupato e ansioso? Concludendo, anche queste opinioni basate su certi segni reali trovati dall'umana presunzione, dovrebbero essere quasi ricondotte alla stregua di quei fatti e convenzioni con il demonio di cui si parlava sopra.

Gli angeli cattivi intervengono talora ad ingannare l'uomo.

23. 35. Da tutto questo deriva, per un occulto giudizio divino, che gli uomini, bramosi di cose cattive, secondo i meriti della loro volontà siano consegnati (dovendo essere illusi e ingannati) agli angeli prevaricatori che s'incaricano appunto di illuderli e ingannarli. A costoro infatti, secondo il bellissimo ordine che regna nelle cose, per disposizione della divina Provvidenza è assoggettata questa parte del mondo che è la più bassa. A motivo di queste illusioni e inganni diabolici succede che, mediante le varie superstizioni e le diverse specie di perniciose divinazioni, vengano dette molte cose passate e future, né accadono altrimenti da quanto divinato. Molte cose avvengono ancora dinanzi agli osservatori in conformità con le loro osservazioni, di modo che questi, imbrigliati [nell'errore], divengano più avidi di sapere e siano irretiti sempre più nei molteplici lacci del loro perniciosissimo errore. Questa è una specie di fornicazione dell'anima di cui salutarmente la Scrittura divina non ha voluto tacere; né da essa ha dissuaso l'anima con minacce terribili perché rifuggisse dal seguirla soltanto a motivo delle falsità che dicono quelli che la praticano ma anche - dice - se vi dicessero così e così avvenisse, non dovete prestare loro fede 45. Non per il fatto, quindi, che lo spettro di Samuele morto preconizzi al re Saul cose vere 46, si devono esecrare di meno tali atti sacrileghi in forza dei quali quello spettro fu costretto a presentarsi. Così negli Atti degli Apostoli. Quando quella donna ventriloqua diede una testimonianza veridica agli apostoli del Signore, Paolo non risparmiò quello spirito ma piuttosto liberò la donna rimproverando e cacciando il demonio 47.

Dio permette la pestilenziale combutta tra demoni e uomini perversi.

23. 36. Tutti gli artifizi di questo tipo di superstizione, o sciocca o malefica, derivanti da una, chiamiamola così, pestilenziale combutta fra gli uomini e i demoni, essendo come dei patti di incredula e ingannevole amicizia stipulati [fra l'uomo e il diavolo], debbono essere respinti ed evitati in maniera assoluta dal cristiano. Dice l'Apostolo: Non che l'idolo sia qualcosa ma perché ciò che immolano lo immolano ai demoni e non a Dio. Ora io non voglio che voi siate in alleanza con i demoni 48. Ebbene, ciò che l'Apostolo diceva a proposito degli idoli e delle carni che immolate venivano offerte in loro onore, lo stesso si deve ritenere di tutti i segni immaginari che conducono o al culto degli idoli o a venerare come Dio il mondo creato o qualche sua parte, come pure di tutte quelle cose che hanno pertinenza con la pratica di fasciature o altre fattucchierie. Tutte queste cose non sono imposte da Dio quasi in forma ufficiale per aumentare l'amore di Dio e del prossimo ma dissipano il cuore dei miseri [che le praticano] mediante le varie forme di bramosia che ognuno ha per le cose temporali. In tutte queste dottrine bisogna dunque temere ed evitare ogni collaborazione con i demoni, i quali insieme con il loro principe, il diavolo, non si propongono altro che tentare di chiudere e di serrare la porta del nostro ritorno. Congetture umane e fallaci sono state inventate dagli uomini a proposito delle stelle che Dio creò e ordinò. Allo stesso modo, a proposito di esseri che nascono o di cose che esistono in un dato modo, conforme all'economia della divina Provvidenza, molti hanno scritto molte cose, architettate generalmente o quasi sulla base di congetture umane, qualora per caso accadano in maniera fuori dell'ordinario, come quando partorisca una mula o un oggetto sia colpito dal fulmine.

Alla radice di molte superstizioni c'è la curiosità o l'ansia.

24. 37. Tutte queste cose hanno tanto valore quanto loro ne presta la presunzione degli animi, alleata con i demoni mediante una specie di comune linguaggio. Tutte poi sono piene di pestilenziale curiosità, di inquietudine tormentosa e di asservimento mortale. Hanno colpito la fantasia dell'uomo non perché valessero qualcosa ma perché hanno colpito e le si è prese in considerazione quasi fossero segni, ed hanno cominciato a valere; e per questo motivo si presentano diversamente alle diverse persone, cioè a ciascuno secondo quello che pensa o presume. Difatti quegli spiriti, che si prefiggono di ingannare, procurano a ciascuno cose corrispondenti a quelle da cui vedono essere ciascuno intrappolato mediante le sue congetture e i consensi che dà. Prendiamo ad esempio la lettera " X ": ha un'unica forma - la si scrive con due assi incrociate -, eppure una cosa significa in greco, un'altra in latino, non di per se stessa ma perché quel significato si è convenuto di darle. Pertanto, uno che conosce le due lingue, se scrivendo vuol indicare qualcosa a un greco, non prende quella lettera con lo stesso significato col quale la usa quando scrive a un latino. Così, con lo stesso e identico suono Beta in greco si indica una lettera, in latino è il nome di un ortaggio. E quando dico Lege, con queste due sillabe una cosa vi intende chi è greco e un'altra chi è latino. Come si vede, dunque, tutti questi significati suscitano nell'animo dei moti in conformità con quanto si è convenuto nell'ambiente sociale di ciascuno e, siccome si è convenuto diversamente, suscitano moti diversi. Né furono gli uomini a convenire su di loro perché già anticipatamente avevano un qualche significato, ma in tanto significavano qualcosa in quanto così avevano convenuto gli uomini. Così è di quei segni con cui ci si procura la sciagurata connivenza con i demoni: essi valgono secondo le attribuzioni date da ciascuno. Questo appare nella maniera più lampante nel rito degli àuguri, i quali, e prima di osservare i segni e quando posseggono i segni osservati, si danno da fare per non vedere il volo degli uccelli e non udire la loro voce. In effetti, questi segni sono nulli, se non vi si aggiunge il giudizio consenziente di chi li ha osservati.

Rappresentazioni umane non superstiziose.

25. 38. Recise e sradicate dall'animo cristiano tutte queste pratiche, è tempo ormai di esaminare quelle altre pratiche umane che non sono superstizioni, non sono state cioè inventate per trattare con i demoni ma con gli altri uomini. Difatti tutte le cose che fra gli uomini hanno un valore per il fatto che essi hanno convenuto di attribuirglielo sono istituzioni umane; e fra queste alcune sono superflue e di lusso, altre utili e necessarie. Per esempio, se i segni che nel ballare fanno gli istrioni avessero un significato in base alla natura e non all'invenzione o al consenso degli uomini, non ci sarebbe stato bisogno, nei primi tempi, che, mentre il pantomimo ballava, l'araldo annunziasse al popolo cartaginese ciò che voleva indicare il ballerino. Ora questa cosa la ricordano ancora molti vecchi, dal cui racconto noi l'abbiamo raccolta. E la cosa è da credersi perché anche adesso se entra in teatro uno che sia all'oscuro di tali scempiaggini, se non c'è un altro che gli spieghi il significato di tante mosse, inutilmente vi pone tutta l'attenzione. Tutti però cercano una certa similitudine significante, di modo che gli stessi segni, per quanto possono, siano simili alle cose che significano. Ma siccome una cosa può essere simile ad un'altra sotto parecchi aspetti, tali segni non sono fissi fra gli uomini, a meno che non ce li renda il consenso dell'uomo.

 
Istituzioni umane valide o truffaldine.

25. 39. Per quanto concerne le pitture, le statue e le altre opere figurative simili a queste, specialmente se composte da bravi artisti, nessuno si sbaglia, osservandone la somiglianza, a riconoscere le cose a cui sono simili. Ebbene, tutta questa categoria di segni la si deve computare come una istituzione superflua introdotta dagli uomini, a meno che non ci sia un qualche interesse per loro in vista del perché, dove, quando e con quale autorità vengano fatte. A migliaia poi sono le favole immaginarie e le falsità e le menzogne di cui si dilettano gli uomini, e tutte sono di istituzione umana. E in effetti nessuna cosa deve stimarsi più propria degli uomini, cioè ricavata dalla loro realtà umana, di quanto non lo siano le falsità e le menzogne. Invece sono da ritenersi istituzioni utili e necessarie degli uomini nei confronti con gli altri uomini tutte quelle differenze che piacque loro trovare nell'ambito del vestirsi e dell'igiene o del rispetto e della distinzione dei sessi. Innumerevoli sono le specie dei segni senza i quali la società umana non potrebbe o per nulla o non senza incomodi mantenersi. Essi consistono in pesi e misure, nel conio e nella valutazione di monete, e sono propri di ogni città e popolo. Così tanti altri di questo genere che, se non fossero di istituzione umana, non varierebbero a seconda dei popoli né, in ciascun popolo in particolare, cambierebbero a discrezione dei suoi governanti.
Il cristiano illuminato sa scegliere fra le diverse invenzioni umane.

25. 40. Quanto a tutta questa parte di istituzioni umane, che utilmente o necessariamente servono nell'uso della vita, il cristiano non deve fuggirle, anzi, nella misura che è sufficiente, deve prenderne conoscenza per ritenerle nella memoria.

26. 40. Alcune di queste istituzioni, opera dell'uomo, sono sfumate e in certo qual modo simili a quelle naturali. Di esse, quelle che dicono riferimento a patti con i demoni, come è stato detto, le si deve rigettare e detestare. Quanto invece a quelle che gli uomini ritengono nei loro rapporti vicendevoli, le si deve accettare, per quel tanto che non sono né di lusso né superflue. Soprattutto si debbono accettare le forme delle lettere, senza le quali non potremmo leggere, e la varietà delle lingue, per quanto è sufficiente, come abbiamo esposto sopra. Di questo tipo sono anche le note [calligrafiche], note che imparano coloro che con nome appropriato si chiamano notai. Queste sono cose utili: non è illecito impararle, poiché non implicano superstizione né illanguidiscono con il lusso, purché ci si lasci occupare da loro tanto da non impedirci cose più importanti, per imparare le quali le prime debbono fungere da serve.

Osservazioni di dettaglio.

27. 41. Ancora: le cose che gli uomini hanno accumulato non con propria istituzione ma ricercando o gli eventi dei tempi passati o le istituzioni provenute da Dio, non le si deve considerare istituzioni umane. Alcune di queste dicono riferimento ai sensi del corpo, altre invece alla ragione, dote dell'anima. Ebbene, quelle che si raggiungono con i sensi del corpo, o le crediamo se sono narrate, o le sentiamo se ci vengono mostrate, o le accettiamo, magari per via di congetture, se sono oggetto di esperienza.

Somma utilità della storia.

28. 42. Quanto ci insegna quella scienza chiamata storia nei riguardi degli eventi passati e la loro successione giova moltissimo alla comprensione dei libri santi, anche se è scienza che si impara fuori della Chiesa nella istruzione ricevuta da giovani. In base alle Olimpiadi e ai nomi dei consoli noi infatti indaghiamo spesso su molti eventi, e la mancata conoscenza del consolato nel quale il Signore nacque e di quello in cui morì portò alcuni all'errore di credere che il Signore morì all'età di quarantasei anni. In realtà dissero i Giudei che nello spazio di questi anni era stato costruito il tempio 49, che figuratamente rappresentava il corpo del Signore. Che il Signore sia stato battezzato all'età di circa trent'anni noi lo riteniamo un dato certo per l'autorità del Vangelo 50, ma quanti anni sia rimasto in questa vita dopo il battesimo lo possiamo, è vero, intendere dal succedersi delle azioni compiute da lui, tuttavia per dissipare ogni ombra di dubbio, da qualunque parte derivi, si desume con assoluta certezza dalla storia profana comparata col Vangelo. Così infatti si vede che non fu detto invano che il tempio fu costruito in quarantasei anni, e, se questo numero non può riferirsi all'età del Signore, lo si riferisce alla conformazione più intima del corpo umano, di cui non esitò a rivestirsi per amore nostro l'unico Figlio di Dio, ad opera del quale furono fatte tutte le cose 51.

Con la conoscenza della storia si risolvono molte questioni bibliche.

28. 43. Nei riguardi della storia, omettendo i Greci, ricorderò il nostro Ambrogio e come egli risolse quella grande questione che, in atteggiamento di critici spietati, ponevano i lettori e gli ammiratori di Platone. Costoro osavano dire che tutte le massime di nostro Signore Gesù Cristo, che essi si sentivano costretti ad ammirare ed elogiare, egli le avesse apprese dai libri di Platone, poiché è innegabile che Platone è esistito molto tempo prima della venuta del Signore. Il soprannominato vescovo, considerando la storia profana scoperse che Platone si recò in Egitto al tempo di Geremia. Essendo questo Profeta anche egli in Egitto, è più probabile - dimostra Ambrogio - che Platone attraverso Geremia abbia attinto alla nostra letteratura, per poter insegnare e scrivere le cose che in lui si elogiano. In realtà prima della letteratura del popolo ebraico, in cui si segnala il culto per l'unico Dio - di quel popolo, dico, dal quale secondo la carne è venuto il nostro Signore 52 -, non visse nemmeno Pitagora, dai successori del quale - dicono costoro - Platone apprese la teologia. Pertanto, considerati i tempi, diviene molto più attendibile l'opinione che costoro abbiano attinto dalla nostra letteratura tutte le cose buone e vere che hanno detto, anziché il Signore Gesù Cristo abbia attinto dagli scritti di Platone. Credere una tal cosa sarebbe il colmo della pazzia.

Altro è la storia, altro le fantasticherie di certi pagani.

28. 44. Per quanto con il racconto storico si narrino anche le istituzioni concernenti il passato degli uomini, non per questo la storia in se stessa deve annoverarsi fra le stesse istituzioni umane. Infatti le cose passate, che non possono diventare irrealizzate, sono da ascriversi nell'ordine dei tempi, dei quali creatore e padrone è Dio. E poi, una cosa è raccontare i fatti, un'altra è l'insegnare il da farsi. Ora la storia narra fedelmente e utilmente i fatti, al contrario dei libri degli aruspici e di ogni altra letteratura di questo genere, che insegnano il da farsi o il da osservarsi in base all'audacia del parlatore e non in base alla fedeltà di un testimone.

Vantaggi e pericoli delle cognizioni scientifiche.

29. 45. C'è anche un genere di narrazione che è simile alla descrizione e col quale si segnalano alle persone, che ne sono all'oscuro, non le cose passate ma quelle presenti. A questo genere appartengono tutte le composizioni concernenti la geografia, la natura degli animali, delle piante, delle erbe, delle pietre e di altri corpi. Di questo genere di scritti abbiamo trattato sopra e abbiamo insegnato che la loro conoscenza ha del valore positivo per risolvere gli enigmi delle Scritture. Non li si deve prendere come dei segni nel senso che appartengano al genere dei rimedi o di qualche astruseria superstiziosa. In effetti, già sopra abbiamo collocato a parte quel genere e lo abbiamo separato da questo [di cui parlo adesso e] che è lecito e libero. Un conto infatti è dire: Se berrai di quest'erba sminuzzata ti passerà il dolore di pancia, e un altro conto è dire: Se ti appendi al collo quest'erba, ti passerà il mal di pancia. Nel primo caso si ha una mistura salutare che si approva, nel secondo un segno superstizioso che si condanna. È vero che, quando non si tratta di incantesimi, di evocazioni o di amuleti, il più delle volte rimane dubbio se la cosa che si lega a un corpo che si vuol guarire o in qualsiasi altro modo si applica ad esso abbia della virtù per forza naturale - e allora si potrebbe adoperare liberamente - o le provenga da qualche connessione con la categoria degli incantesimi. In questo caso il cristiano se ne deve guardare con tanto maggiore cautela, quanto sembrerà essere maggiore la sua efficacia. Ma quando non si sa in forza di quale causa un segno è efficace, è interessante osservare l'intenzione con cui ciascuno se ne serve, nell'ambito sempre di guarire o normalizzare i corpi, tanto nel campo della medicina che in quello dell'agricoltura.

Astronomia e astrologia.

29. 46. Quanto alla cognizione degli astri, essa non costituisce un racconto ma una osservazione, e di tali osservazioni la Scrittura ne contiene molto poche. Da un lato, in effetti, è noto a moltissimi il ciclo lunare, al quale ricorriamo per fissare la celebrazione solenne che ogni anno facciamo della passione del Signore, dall'altro però pochissimi conoscono senza errore il sorgere delle rimanenti stelle e così pure il loro tramontare o gli altri loro periodi. Questa conoscenza, di per se stessa, sebbene non sia connessa con alcuna superstizione, tuttavia non giova molto, anzi, quasi per niente, nell'esposizione delle divine Scritture; piuttosto la ostacola per l'inutile attrazione che esercita sull'anima. E, siccome ha delle affinità col dannosissimo errore di coloro che con canti insulsi predicono gli eventi, è più sbrigativo e più serio disprezzarla. Essa, tuttavia, oltre che l'osservazione delle cose presenti, ha anche qualcosa che la rende simile al racconto delle cose passate, in quanto dalla presente posizione degli astri e dal loro moto ci è consentito ricorrere normalmente anche alle tracce del loro passato. Essa permette di fare delle congetture precise sui tempi futuri, congetture non basate su ipotesi o fenomeni divinatori ma comprovate ed esatte. Non per questo comunque siamo autorizzati a tentare di ricavare da loro alcunché in rapporto con le nostre azioni o avvenimenti, come sono le conclusioni pazzesche dei genetliaci, ma solo per quanto si riferisce alle stelle in se stesse. Porto l'esempio di chi osserva la luna. Guardando in che fase è oggi e come era tanti anni fa, si può dire anche come sarà fra un certo numero di anni. Così anche quelli che osservano le singole stelle: chi ne sa calcolare il corso in base alla scienza riesce di solito a rispondere [con uguale precisione]. Di tutto questo scibile e di ciò che si riferisce al suo uso, ecco pertanto esposto il mio parere.

Le conoscenze delle varie attività umane.

30. 47. Si dovrebbe anche parlare delle altre arti. Ci sono quelle in cui si costruisce qualcosa che, prodotto da un operaio, rimane anche dopo che l'opera di lui è terminata: così una casa, un mobile, uno strumento di vario uso e oggetti di questo tipo. Ci sono attività in cui si collabora con Dio, che è l'artefice vero e proprio: tali la medicina, l'agricoltura, la guida di una nave. Altre ce ne sono in cui tutto l'effetto si esaurisce nell'azione, come il ballo, la corsa, la lotta. In tutte queste arti gli esperimenti del passato permettono di congetturare anche le cose future: difatti ognuno che le pratica nell'agire non muove le membra se non ricollega il ricordo del passato con la tensione verso l'avvenire. Alla conoscenza di queste arti nello stesso ambito della vita umana si deve ricorrere moderatamente e di sfuggita, non per praticarle, a meno che qualche dovere ce lo imponga (cosa di cui non voglio ora trattare), ma per darne un giudizio, di modo che non succeda che ignoriamo completamente ciò che la Scrittura vuole insegnare quando desume da queste arti qualche espressione figurata.

Conoscenza della dialettica, dei suoi vantaggi e pericoli.

31. 48. Rimangono le scienze che dicono relazione non ai sensi del corpo ma all'intelletto, dote dell'anima, dove fanno da regine la dialettica e la matematica. La dialettica reca moltissima utilità là dove si tratta di penetrare e risolvere qualsiasi genere di problemi che si trovano nelle sacre Lettere. Nell'usarla occorre soltanto evitare la smania di litigare e quella specie di ostentazione puerile di far cadere in trappola l'avversario. Ci sono infatti, e numerosi, i cosiddetti sofismi, cioè conclusioni false di un ragionamento che spesso rassomigliano talmente alle vere da trarre in inganno non solo i tardi d'ingegno ma anche gli intelligenti, se non vi badano con tutta accortezza. Una volta un tale al suo interlocutore propose questo raziocinio: " Ciò che sono io, tu non lo sei ". E l'altro acconsentì, sebbene la cosa fosse solo parzialmente vera, ma mentre l'uno era cavilloso l'altro era sempliciotto. Allora quegli riprese: " Orbene io sono un uomo ". E quando l'altro ebbe ammesso anche questo, il primo tirò la conclusione dicendo:" Quindi tu non sei un uomo ". Questo genere di conclusioni capziose viene detestato - a quanto posso ritenere - dalla Scrittura là dove dice: Chi parla da sofista è meritevole di odio 53. Inoltre anche un parlare non capzioso ma che va alla ricerca di abbellimenti verbali più di quanto non convenga al parlare serio è [dalla Scrittura] chiamato parlare sofisticato.

Occhi aperti di fronte ai tranelli del dialettico.

31. 49. Ci sono inoltre certi raziocini con affermazioni vere collegate però con conclusioni false, derivanti dalla convinzione erronea di colui col quale si parla. L'uomo buono ed erudito fa leva su tali conclusioni affinché colui dal cui errore esse derivano arrossisca e abbandoni l'errore, poiché, a voler rimanere in tale errore, necessariamente dovrebbe accettare anche quello che riprova. Non erano infatti vere le conclusioni tirate dall'Apostolo quando diceva: Nemmeno Cristo è risorto 54, o anche: Vana è la nostra predicazione e vana è la vostra fede 55. Queste e tutte le altre affermazioni che aggiunge sono false, poiché in effetti Cristo è risorto e non era falsa la predicazione di quanti annunziavano questo evento né la fede di coloro che in esso credevano. Ma queste conclusioni false giustamente le si connetteva con quell'affermazione [falsa in se stessa] secondo cui non ci sarebbe stata la risurrezione dei morti. Ripudiando queste false conclusioni - che sarebbero state vere se di fatto non ci fosse stata la risurrezione dei morti - ne seguiva come conseguenza la realtà della risurrezione stessa dei morti. Essendoci dunque conclusioni vere derivanti non solo da premesse vere ma anche false, è facile apprendere il metodo delle concatenazioni logiche vere anche dalle scuole che non sono della Chiesa; la verità delle affermazioni è tuttavia da ricercarsi sempre nei Libri santi posseduti dalla Chiesa.

Struttura ed efficacia del sillogismo.

32. 50. La verità dei sillogismi, in se stessa, non è stata inventata dagli uomini ma da loro soltanto constatata e formulata, per poterla imparare e insegnare. Si tratta infatti di una realtà che si trova da sempre nell'ordine delle cose e chi l'ha stabilita è Dio. Così è di colui che narra l'ordine dei tempi: non è lui che lo costituisce. Così colui che descrive le località o la natura degli animali, delle piante o delle pietre, non mostra cose istituite dagli uomini. Anche colui che osserva le stelle e i loro moti non mostra una cosa istituita da sé o dagli altri uomini. Allo stesso modo colui che dice: " Quando è falsa la conclusione, necessariamente deve essere falsa anche la premessa ", dice una cosa verissima, che però non è lui a renderla tale: egli soltanto la osserva. Secondo questa norma procede quel ragionamento dell'apostolo Paolo sopra ricordato. La premessa infatti, è, in quel caso, che non c'è la risurrezione dei morti, cosa che affermavano coloro dei quali l'Apostolo voleva demolire l'errore. In effetti, a quella premessa, secondo la quale non c'è risurrezione dei morti, tiene dietro necessariamente la conclusione: Nemmeno Cristo è risorto 56. Ora questa conclusione è falsa - Cristo infatti è risorto -, per cui la premessa deve essere falsa anch'essa. Siccome poi tale premessa è che i morti non risorgono, segue necessariamente che essi risorgono. Detto in breve, il ragionamento fila così: Se non si dà risurrezione dei morti nemmeno Cristo è risorto; ma Cristo è risorto; quindi la risurrezione dei morti esiste. Questo modo di ragionare per cui tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente non l'hanno inventato gli uomini ma solo constatato. E questa regola riguarda la struttura del raziocinio, che è vera, non la verità delle affermazioni [sulle quali si argomenta].

Nesso fra premesse e conclusioni.

33. 51. Nel passo citato, dove si trattava della risurrezione, è vera e la struttura del raziocinio e la conclusione che se ne deduce. Nelle affermazioni false invece la verità dell'argomentazione è di questo tipo. Supponiamo che uno abbia ammesso come vera la seguente proposizione: Se la lumaca è un animale, ha una voce. Ammesso questo, quando gli sarà stato dimostrato che la lumaca non ha voce - dal momento che tolto il conseguente viene a cadere anche l'antecedente - dovrà concludere che la lumaca non è un animale. Questa conclusione è falsa ma, una volta ammesso un antecedente falso, è vera la concatenazione che porta a tale conclusione. Pertanto la verità di una proposizione ha valore di per se stessa, mentre la verità di un raziocinio si basa su ciò che crede o ammette colui col quale si ragiona. È per questo che, come dicevamo sopra, da un'argomentazione con premesse vere deduciamo anche una conclusione falsa, affinché colui del quale vogliamo correggere l'errore si penta di aver ammesso la proposizione antecedente, vedendo che sono da respingere le conseguenze. Da ciò si può facilmente comprendere che, come da false proposizioni si possono tirare conclusioni vere, così da vere proposizioni conclusioni false. Poni il caso che uno abbia fatto l'ipotesi: Se quel tale è giusto è anche buono, e che la cosa sia stata ammessa per vera. Il primo avrebbe potuto a quel punto sussumere: Ma egli non è giusto, e supponiamo che questa sua sussunta parimenti sia stata accettata. Da queste premesse egli avrebbe potuto tirare questa conclusione: Pertanto non è buono. Orbene, anche se tutte queste cose siano vere, non è tuttavia vera la norma con cui si è arrivati alla conclusione. Infatti quando si toglie un conseguente, si toglie necessariamente anche l'antecedente, ma quando si toglie un antecedente non si toglie necessariamente anche il conseguente. È vero quando diciamo: Se è un oratore è anche un uomo; ma se da questa affermazione passiamo all'altra: Ma non è un oratore, non sarebbe conseguente concludere: Allora non è un uomo.

Regole della logica e verità delle affermazioni.

34. 52. Si conclude che una cosa è conoscere le norme che sono alla base del raziocinio, un'altra conoscere la verità delle affermazioni. Con le prime si impara cosa sia conseguente, cosa non conseguente e cosa ripugni. È conseguente l'espressione: Se è un oratore è anche un uomo; non conseguente: Se è un uomo è anche un oratore; ripugna: Se è un uomo è anche un quadrupede. Si tratta sempre comunque di valutare la concatenazione in se stessa. Quando invece si tratta della verità delle affermazioni, si debbono considerare le affermazioni in se stesse, non la loro concatenazione. Comunque, quando affermazioni incerte si uniscono mediante una relazione logica vera ad affermazioni vere e certe, necessariamente anche esse diventano certe. Ci sono poi alcuni che, per avere imparato la dottrina del comporre raziocini esatti,, si vantano quasi che tale risorsa sia la stessa verità delle affermazioni; mentre al contrario altri, pur possedendo la verità dell'affermazione, si deprimono a torto per il fatto che ignorano le norme del tirare conclusioni. Certamente però è in condizione migliore chi sa che c'è la risurrezione dei morti che non coloro che sanno essere conseguente che, se non c'è risurrezione dei morti, nemmeno Cristo risorse 57.

Definizioni vere, possibili anche in cose false.

35. 53. La scienza del definire, del dividere o del distribuire, sebbene la si adoperi anche in cose il più delle volte false, di per sé tuttavia non è falsa, né è stata inventata dagli uomini, ma è stata riscontrata nell'ordine delle cose. È vero che di essa si sono serviti abitualmente i poeti nei loro racconti favolosi e così pure i falsi filosofi e gli eretici, cioè i falsi cristiani nelle loro teorie errate. Non per questo tuttavia è falso che nel definire, nel dividere o nel distribuire non si possa accettare ciò che non ha connessione con la cosa in se stessa o scartare ciò che con la cosa ha connessione. Questo è vero anche se non sono vere le cose che si definiscono o distribuiscono. C'è infatti una definizione per lo stesso falso, e lo definiamo dicendo che il falso è una cosa rappresentata diversamente da quella che è, o in qualche altra maniera. Si tratta di una definizione vera, sebbene il falso non possa mai essere cosa vera. E ne possiamo fare anche la divisione, dicendo che ci sono due specie di falso: una delle cose che proprio non possono essere, un'altra delle cose che potrebbero essere ma non sono. Così chi dice: Sette più tre fa undici, dice una cosa che non può essere in senso assoluto, mentre uno che dice, ad esempio: Il primo di gennaio è piovuto, per quanto la cosa non sia accaduta, dice tuttavia una cosa che sarebbe potuta accadere. Pertanto la definizione e la ripartizione delle cose false può essere verissima, sebbene le cose false in se stesse non possano certo essere vere.

Norme e limiti dell'eloquenza.

36. 54. Ci sono inoltre alcuni precetti riguardanti una dialettica più evoluta che si chiama eloquenza. Sono precetti veri, sebbene possano servire per insegnare il falso. Ma, siccome ci si può insegnare anche il vero, non bisogna incolpare l'arte in se stessa ma la perversità di chi se ne serve malamente. Infatti non è stato stabilito dagli uomini il fatto che una manifestazione di affabilità concili l'animo dell'ascoltatore, o che una narrazione breve e chiara trasmetta facilmente ciò che si intenda dire, o che la varietà nell'esporre tenga attenti gli uditori e non li annoi. Così di altre norme analoghe, che si adoperano in cause tanto false quanto vere e sono di per se stesse vere in quanto fanno o conoscere o credere qualcosa o spingono gli animi o a cercare o a rifuggire alcunché. Esse sono state scoperte perché tale è la realtà delle cose e non introdotte affinché le cose stessero in tale maniera.

Non si preferiscano retorica e dialettica alla sapienza del cuore.

37. 55. Questa parte di dottrina, quando la si conosce, deve usarsi più per comunicare le cose che si sono comprese che non come mezzo per comprenderle. Viceversa, l'altra parte - quella delle conclusioni, delle divisioni e delle distribuzioni - aiuta moltissimo chi mira a comprenderle. Ci si tenga però lontani dall'errore per cui gli uomini, quando hanno imparato queste regole, credono d'aver toccato con mano la verità stessa della vita beata. Il più delle volte capita, in effetti, che si comprendano in se stesse le cose, per comprendere le quali si imparano queste norme, con facilità maggiore di quanto non si comprendano le scienze complicatissime e spinosissime che insegnano tali norme. È come quando uno, volendo dare le norme per camminare, cominci col dire che non bisogna alzare il piede che sta dietro se non quando poggia in terra quello che sta avanti e poi descriva minuziosamente come si debbano muovere gli appoggi delle articolazioni e dei polpacci. È vero tutto quel che dice, né si può camminare in altra maniera; ma è più facile che gli uomini facciano quei movimenti camminando di quanto non lo sia il porvi mente quando li fanno o li capiscano quando ne sentono parlare. Quanto poi a quelli che non possono camminare, molto meno ancora si preoccupano di cose che non possono conseguire con la propria esperienza. Così il più delle volte una persona intelligente vede che una conclusione non è consistente prima ancora di capirne le norme. Chi invece è tardo d'ingegno non la vede, ma molto meno vede le norme che la riguardano. Comunque, in tutte queste cose spesso la presentazione della verità ci diletta più di quanto non ne siamo aiutati nel disputare o nel giudicare. È vero che [tali arti] possono rendere gli ingegni più esercitati; c'è però il pericolo che li renda anche più maliziosi e più gonfi [d'orgoglio]. Occorre cioè badare che quelli che hanno appreso tali scienze non amino o ingannare con discorsi o domande basate sul verosimile né credano di avere raggiunto chi sa quali grandezze, per cui si preferiscono ai buoni e agli onesti.

La scienza dei numeri.

38. 56. Quanto alla scienza dei numeri, anche a chi è eccezionalmente tardo d'ingegno è evidente che essi non sono stati inventati dagli uomini, ma piuttosto da loro investigati e scoperti. Non può succedere, riguardo ai numeri, quel che è successo nei riguardi della prima sillaba della parola Italia: gli antichi la pronunciavano breve, ma intervenne Virgilio ed è diventata lunga 58. Non così ciascuno di proprio arbitrio può fare sì che tre per tre non faccia nove o che non formino una figura quadrata o che non siano il triplo rispetto a tre, una volta e mezzo rispetto a sei, il doppio di nessun numero perché i numeri dispari non hanno la metà 59. Sia dunque che li si consideri in se stessi sia che vengano usati per comporre le leggi delle figure o dei suoni o di altri moti, i numeri hanno regole immutabili, regole che non sono state inventate dagli uomini ma scoperte dall'acume degli ingegni più dotati.

Le creature dovrebbero portare l'uomo alla lode del creatore.

38. 57. Uno potrebbe amare tutte queste cose per vantarsene quando si trova fra gente ignara e non piuttosto per investigare da che dipende la verità di quelle cose che si è accorto essere solo vere e come mai alcune fra di esse sono non solo vere ma anche immutabili, se appunto comprende che sono immutabili. In questo modo dalla forma dei corpi perviene alla mente umana. E poi, trovando che quest'anima è mutevole, perché ora sa ora non sa, la vede collocata fra la verità incommutabile che la sovrasta e le rimanenti cose che sono mutevoli e inferiori a lei. Così deduce che tutte le creature rivolgono l'uomo alla lode e all'amore dell'unico Dio, dal quale riconosce che tutto deriva. Chi ragiona così può, certo, sembrare dotto, anche se non è in alcun modo sapiente.

Il giovane cristiano di fronte alle conquiste della scienza.

39. 58. Ai giovani appassionati del sapere, dotati di intelligenza e timorati di Dio che ricercano la sapienza si possono dare salutarmente questi precetti: non si permettano di seguire con animo tranquillo - quasi che bastassero per raggiungere la vita beata - nessuna scienza di quelle che si professano al di fuori della Chiesa di Cristo, ma le valutino con mente lucida e con diligenza. Potrà succedere che si imbattano in scienze inventate dagli uomini, diverse a causa della diversa volontà di chi le ha inventate e cadute in oblio a causa dei sospetti che suscita chi è incappato nell'errore o, soprattutto, casi in cui tali scienze contengono una società stipulata con i demoni quasi per mezzo di patti o convenzioni fondate su certi segni. In questi casi i nostri giovani le debbono radicalmente rigettare e detestare. E inoltre debbono disinteressarsi delle scienze umane superflue e di lusso. Quanto invece alle istituzioni umane che servono alla convivenza sociale, a motivo dei rapporti che hanno con la vita presente, non le debbono trascurare. Una parola sulle altre scienze che si trovano presso i pagani. Positiva è la descrizione delle cose, passate e presenti, che riguardano i sensi del corpo. Ad esse devono aggiungersi gli esperimenti e le supposizioni delle arti utili nell'ambito della fisica. Positivo pure l'uso del metodo del raziocinio e del numero. All'infuori di queste materie credo che altre utili non ci siano. E riguardo a tutto questo deve osservarsi la norma: Nulla di troppo! 60 soprattutto riguardo a quelle cose che, avendo relazione con i sensi del corpo, sottostanno all'andare del tempo e sono contenute nello spazio.

Utilità dei sussidi biblici: lavoro da incrementarsi.

39. 59. Alcuni si sono dati da fare per tradurre separatamente tutti i verbi e i nomi ebraici, siriani, egiziani o scritti in qualsiasi altra lingua usata nelle sante Scritture, qualora questi verbi e nomi si trovino senza traduzione. Ciò fece Eusebio nei riguardi della cronologia storica, a motivo di certe questioni dei Libri divini che ne richiedevano l'apporto. Gli altri lo fecero nei riguardi delle altre materie consimili, per liberare il cristiano dalla necessità di sostenere molti lavori a motivo di poche cose. Allo stesso modo ritengo che compia un'opera veramente caritatevole e vantaggiosa ai fratelli colui che con gioia si dedica ad elencare in scritto, facendone la sola spiegazione e descrivendo le cose in forma generica, tutte le località geografiche, gli animali, le erbe, le piante, le pietre e i metalli sconosciuti e tutti gli oggetti di vario genere di cui la Scrittura fa menzione. Lo stesso può farsi anche nei riguardi dei numeri, limitando il computo ai soli numeri ricordati nella divina Scrittura. In questo campo alcune ricerche, o forse tutte, sono già state eseguite; difatti abbiamo trovato molte nozioni elaborate e messe in iscritto da cristiani buoni e dotti, come non avremmo mai pensato. Sono lavori che giacciono nell'oscurità per la negligenza di molti o perché certi invidiosi li hanno occultati. Non so se la stessa cosa possa farsi sul sistema di discutere; credo anzi che la cosa sia impossibile perché la discussione è collegata a guisa di nervatura lungo tutto intero il testo scritturale. Questo lavoro aiuta i lettori più a risolvere e spiegare le ambiguità che non a conoscere i segni ignoti di cui ora ci occupiamo.

Conquiste filosofiche e arti liberali: da usarsi con criterio.

40. 60. Riguardo ai cosiddetti filosofi, massimamente ai platonici, nell'ipotesi che abbiano detto cose vere e consone con la nostra fede, non soltanto non le si deve temere ma le si deve loro sottrarre come da possessori abusivi e adibirle all'uso nostro. Ci si deve comportare come gli Ebrei con gli Egiziani. Questi non solo veneravano gli dèi ed imponevano ad Israele oneri gravosi che il popolo detestava fino a fuggirne, ma diedero loro vasi e gioielli d'oro e d'argento e anche delle vesti. Il popolo ebraico all'uscita dall'Egitto di nascosto se li rivendicò come propri, per farne - diciamo così - un uso migliore. Non fecero ciò di loro arbitrio ma per comando di Dio, e gli egiziani a loro insaputa glieli prestarono: ed effettivamente erano cose delle quali essi non facevano buon uso 61! Lo stesso si deve dire di tutte le scienze dei pagani. Esse racchiudono invenzioni simulate e superstiziose come pure gravi pesi che costringono a un lavoro superfluo, cose tutte che ciascuno di noi, uscendo dal mondo pagano al seguito di Cristo deve detestare ed evitare. Contengono però insieme a questo anche arti liberali, più consone con il servizio della verità, e alcuni utilissimi precetti morali; presso di loro si trovano anche alcune verità sul culto dell'unico Dio. Tutto questo è come il loro oro e argento, che essi non inventarono ma estrassero da certe - chiamiamole così - miniere della divina Provvidenza, che si espande dovunque. È vero che essi nella loro perversione e iniquità ne abusano per rendere culto ai loro dèi; non per questo però il cristiano, pur separandosi con lo spirito dalla loro miserabile società, deve buttar via tali ritrovati, qualora servano alla giusta missione di predicare il Vangelo. Sarà anche lecito prendere ed adibire ad uso cristiano anche la loro veste, cioè le istituzioni, opera di uomini, che siano aderenti alla convivenza umana, alla quale in questa vita non possiamo sottrarci.

Autori cristiani ben forniti di cultura classica.

40. 61. In realtà, cos'altro fecero molti nostri buoni fedeli? Non ci accorgiamo forse come fosse sovraccarico di oro, di argento e di vesti quando usciva dall'Egitto Cipriano, dottore incantevole e martire beatissimo? Come lo fosse Lattanzio e come lo fossero Vittorino, Ottato, Ilario, per tacere dei vivi? Come lo fossero innumerevoli padri greci? Una tal cosa fece per primo lo stesso Mosè, servo fedelissimo di Dio, del quale sta scritto che era istruito in ogni sorta di sapienza degli Egiziani 62. A tutti questi uomini la cultura superstiziosa dei gentili - specie in quei tempi in cui, respingendo il giogo di Cristo, perseguitava i cristiani - mai avrebbe fornito scienze ritenute utili se avesse sospettato che esse si sarebbero cambiate fino a rendere culto all'unico Dio, dal quale sarebbe stato abbattuto il culto vano degli idoli. Se quindi diedero oro, argento e vesti al popolo di Dio che usciva dall'Egitto, lo fecero perché ignoravano come le cose che davano sarebbero tornate a onore di Cristo. Quanto infatti accadde nell'Esodo senza dubbio aveva valore simbolico per raffigurare quest'altro fatto: cosa che mi permetto di asserire senza pregiudicare altri significati di identico o più alto valore.

Accostarsi alla Scrittura ricchi di scienza e carità. Proprietà dell'issopo.

41. 62. Quando lo studioso di sacra Scrittura, equipaggiato in questa maniera, comincerà ad avvicinarsi ad essa per indagarne il senso, non cessi di pensare a quell'ammonimento dell'Apostolo: La scienza gonfia, la carità costruisce 63. Così infatti si persuaderà che, sebbene esca ricco dall'Egitto, non potrà essere salvo se non avrà celebrato la Pasqua. Ora la nostra Pasqua è Cristo che si è immolato 64, e l'immolazione di Cristo nient'altro ci insegna più insistentemente di ciò che lui stesso grida - come a gente che vede soffrire in Egitto sotto il Faraone -: Venite a me, voi tutti che soffrite e siete gravati da pesi e io vi ristorerò. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite e umile di cuore e troverete riposo per le vostre anime. Infatti il mio giogo è soave e il mio peso leggero 65. A chi dice queste cose se non ai miti e agli umili di cuore, che non sono gonfiati dalla scienza ma costruiti dalla carità?. Ricordino dunque quelli che nei tempi antichi celebrarono la Pasqua attraverso ombre e figure: quando si ingiungeva loro di segnalare gli stipiti bagnandoli col sangue dell'agnello, essi li bagnarono mediante l'issopo 66, un'erba tenera ed umile che però ha le radici più forti e penetranti di ogni altra pianta. Così è di noi. Radicati e fondati nella carità dobbiamo saper comprendere, insieme a tutti i santi, quale sia la larghezza, la lunghezza, l'altezza e la profondità 67, cioè la croce del Signore. Di questa croce la larghezza sta nel legno trasversale su cui si stendono le braccia; la lunghezza, da terra fino al legno orizzontale, e su di essa sta confitto il resto del corpo dalle braccia in giù; l'altezza, dal legno orizzontale sino alla sommità, dove poggia il capo; la profondità, ciò che, conficcato per terra, rimane nascosto. Con questo segno della croce si descrive tutto l'agire del cristiano: compiere in Cristo opere buone, a lui aderire con perseveranza, sperare le cose celesti, non profanare i sacramenti. Purificati da questi impegni di vita rinnovata, noi saremo in grado di conoscere la carità di Cristo che supera ogni scienza umana 68 e per la quale egli è uguale al Padre - lui per opera del quale furono fatte tutte le cose 69 - sicché siamo ripieni di ogni pienezza di Dio. Nell'issopo c'è anche una virtù purificante, per cui non succederà che, gonfiandoci la scienza per le ricchezze tolte agli Egiziani, il nostro polmone tumefatto aspiri a cose superbe. Dice: Mi aspergerai con issopo e sarò purificato, mi laverai e sarò più bianco della neve. Mi farai ascoltare gioia e letizia 70. Poi aggiunge come logica conseguenza, per dimostrare che con l'issopo si rappresenta la purificazione dall'orgoglio: Ed esulteranno le ossa che hai umiliato 71.

Confronto fra S. Scrittura e scienze umane.

42. 63. È da considerare che la quantità di oro, argento e vesti che quel popolo portò con sé dall'Egitto fu molto piccola rispetto alle ricchezze che accumulò poi a Gerusalemme, come risalta principalmente sotto il re Salomone 72. Allo stesso modo si deve dire che tutta la scienza - scienza invero utile - ricavata dai libri del paganesimo è molto piccola se la si confronta con la scienza desunta dalle divine Scritture. In effetti, qualunque cosa possa l'uomo imparare dal di fuori [delle Scritture], se è nociva, è in esse condannata; se è utile, è in esse contenuta. E quando uno ha trovato nelle Scritture tutte le cose che utilmente potrebbe imparare altrove, troverà inoltre in esse, e con molto maggiore abbondanza, tante altre cose che non si trovano assolutamente altrove, mentre nelle Scritture, e lì soltanto, le si apprende, data la loro mirabile altezza e umiltà. Segni sconosciuti non ostacolino il lettore munito di questo bagaglio di istruzioni; sia mite e umile di cuore, si assoggetti con mansuetudine al giogo di Cristo. Gravato del suo peso, che poi non è grave ma leggero; fondato e radicato e costruito nella carità, che la scienza non riesce a gonfiare, si accosti a scrutare e a discutere i segni ambigui che si trovano nelle Scritture, dei quali mi accingerò a dire adesso nel terzo libro quel che il Signore si degnerà di suggerirmi.


Note:



1 - Cf. Gv 12, 3. 7.

2 - Cf. Lc 22, 19-20.

3 - Cf. Mt 9, 20-22.

4 - Cf. Gn 11, 1-9.

5 - Ct 4, 2.

6 - Cf. Mt 22, 37-39.

7 - Cf. Mt 5, 6.

8 - Cf. 1 Cor 13, 12.

9 - Cf. 2 Cor 5, 6-7.

10 - Cf. Fil 3, 20.

11 - Cf. Sal 110, 10; Sir 1, 16.

12 - Cf. Retract. 2, 4, 2.

13 - Ibidem.

14 - 1 Cor 9, 9.

15 - Is 58, 7 (sec. LXX).

16 - Is 58, 7 (Vulg.).

17 - Rm 11, 14.

18 - Is 7, 9 (sec. LXX).

19 - Is 7, 9 (Vulg.).

20 - Cf. 2 Cor 5, 7.

21 - Sal 13, 3 (sec. LXX).

22 - Sal 13, 3 (Vulg.).

23 - Sap 4, 3 (sec. LXX).

24 - Nm 13, 19 (sec. LXX).

25 - Sal 131, 18.

26 - 1 Cor 1, 25.

27 - Cf. De civ. Dei 18, 43.

28 - Cf. Gv 9, 7.

29 - Cf. Mt 10, 16.

30 - Cf. Ef 4, 15.

31 - Cf. Ef 4, 22-24; Col 3, 9-10.

32 - Mt 7, 13.

33 - Cf. Gn 8, 14.

34 - Sal 50, 9.

35 - Cf. Es 24, 18; 1 Re 19, 8; Mt 4, 2.

36 - Cf. Mt 22, 37.

37 - Cf. Mt 17, 1-4; Mc 9, 2-6.

38 - Cf. At 2, 1ss.

39 - Cf. Gv 21, 6-11.

40 - Cf. Sal 32, 2; 91, 4.

41 - Cf. Gv 2, 20.

42 - Rm 1, 21-23.

43 - Sap 13, 9.

44 - Cf. Gn 25, 25.

45 - Dt 13, 2-3.

46 - Cf. 1 Sam 28, 14-20; Sir 46, 23.

47 - Cf. At 16, 16-18.

48 - 1 Cor 10, 19-20.

49 - Cf. Gv 2, 20.

50 - Cf. Lc 3, 23.

51 - Cf. Gv 1, 3.

52 - Cf. Rm 9, 5.

53 - Sir 37, 23.

54 - 1 Cor 15, 13.

55 - 1 Cor 15, 14.

56 - 1 Cor 15, 13.

57 - 1 Cor 15, 13.

58 - Cf. VERG., Aen. 1, 2.

59 - Cf. AUG., Ep. 3, 2; De lib. arb. 2, 8, 22.

60 - TEREN., Andr. 1, 61.

61 - Cf. Es 3, 21-22; 12, 35-36.

62 - Cf. At 7, 22.

63 - 1 Cor 8, 1.

64 - Cf. 1 Cor 5, 7.

65 - Mt 11, 28-30.

66 - Cf. Es 12, 22.

67 - Ef 3, 18.

68 - Ef 3, 19.

69 - Cf. Gv 1, 3.

70 - Sal 50, 9-10.

71 - Sal 50, 10.

72 - Cf. 1 Re. 10, 14-27.


Tragica passeggiata alla Stura

I sogni di don Bosco - San Giovanni Bosco

Leggilo nella Biblioteca

Questo sogno Don Bosco lo fece a Lanzo Torinese la notte del 17 aprile 1868. E un sogno terribile. Il direttore del Collegio, Don Lemoyne, che dormiva nella camera accanto, fu svegliato da un urlo agghiacciante che Don Bosco lanciò nel sonno.

A Don Bosco parve di trovarsi sulle sponde di un torrente non largo, ma dalle acque torbide e vorticose. I giovani che lo circondavano, tentavano di passare sulla sponda opposta. Molti prendevano la rincorsa, saltavano e riuscivano ad arrivare dall’altra parte. Altri però non ce la facevano. Qualcuno batteva con i piedi proprio sull’orlo della riva, ricadeva indietro e veniva trascinato dalla corrente. Qualcun altro piombava con un tonfo nel bel mezzo del fiume e spariva. C’era chi finiva sugli scogli aguzzi, sporgenti dall’acqua, e si spaccava la testa o si rompeva lo stomaco rimanendo boccheggiante.

A quella scena dolorosa Don Bosco gridava, avvisava, insegna va a prendere lo slancio con prudenza, ma inutilmente. Il torrente in poco tempo apparve cosparso di corpi inerti che, trascinati dalla corrente impetuosa, andavano a sfracellarsi contro una rupe, alla svolta del fiume, e lì sparivano in un vortice.

— Ma perché — si chiedeva Don Bosco — ragazzi tanto agili e snelli non riescono ad arrivare dall’altra parte con un bel salto? La spiegazione fu spaventosa, raccapricciante. Mentre prendevano lo slancio, molti avevano dietro qualche sciagurato compagno che, per un gusto malvagio, faceva lo sgambetto, oppure li tratteneva per il cappotto o, peggio ancora, con uno spintone li gettava irrimediabilmente nella rovina.

— Perché — esclamava Don Bosco il giorno seguente, riferendosi a questi criminali dello spirito — perché con i vostri cattivi discorsi volete accendere nel cuore dei vostri compagni la fiamma di quelle passioni che poi dovranno consumarli in eterno? Perché insegnate il male a certuni che forse sono ancora innocenti? Perché con la vostra ironia e con i vostri accordi insensati, vi ritirate dai Sacramenti e non volete ascoltare le parole di chi vi può mettere sul la buona strada? L’unica cosa che guadagnerete sarà la maledizione di Dio.

L’angoscia che stringeva il cuore a Don Bosco durante quel sogno gli fece gettare un urlo lacerante che lo svegliò. «Io li ho veduti tutti questi giovani, asseriva il Santo parlandone con il direttore, li ho veduti tutti e ho conosciuto certi volponi. Ma il mio segreto lo tengo per me e non lo dirò a nessuno. La prima volta che potrò ritornare a Lanzo dirò a ciascuno la parte sua».

Impressiona la parola di Don Bosco: « Io li ho conosciuti questi volponi». Non mancano anche oggi quelli che tra i compagni fanno le parti del diavolo. Vigilare per prevenire: ecco l’assillo e il dolce tormento dei genitori e degli educatori.


27 marzo 1974. Deponili sul mio Cuore materno.

Don Stefano Gobbi

«Raduna questi miei figli: questo è il momento in cui essi si devono conoscere, si devono incontrare, si devono amare. Tu sei in Me e quando parli in questi incontri Io sono veramente presente in mezzo a voi. Anche se non mi vedete, Io sono, non solo spiritualmente, ma veramente presente. E vi darò segni sicuri di questa mia presenza. Ciascuno la sentirà, e la sua vita verrà come soavemente trasformata e la sua anima sarà dolcemente toccata dalla mia carezza di Mamma. Perciò, o figlio, tu non cercare altro, non preoccuparti d'altro che di restare sempre sul mio Cuore Immacolato. Quale gioia e conforto procuri alla Mamma, o figlio! Portameli tutti i miei figli prediletti: raccoglili nella mia schiera; deponili tutti sul mio Cuore materno».