Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Quando gli capitava qualche persona che avesse fama di santità , era solito provarla con mortificazioni spirituali e se la trovava mortificata e umile, ne teneva conto, altrimenti l'aveva per sospetta, dicendo: Ove non è gran mortificazione, non può esservi gran santità . (San Filippo Neri)

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 15° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Giovanni 9

1Passando vide un uomo cieco dalla nascita2e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?".3Rispose Gesù: "né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.4Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.5Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo".6Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco7e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: "Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?".9Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io!".10Allora gli chiesero: "Come dunque ti furono aperti gli occhi?".11Egli rispose: "Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista".12Gli dissero: "Dov'è questo tale?". Rispose: "Non lo so".
13Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco:14era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo".16Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri dicevano: "Come può un peccatore compiere tali prodigi?". E c'era dissenso tra di loro.17Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!".18Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.19E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?".20I genitori risposero: "Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco;21come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso".22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.23Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età, chiedetelo a lui!".
24Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore".25Quegli rispose: "Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo".26Allora gli dissero di nuovo: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?".27Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?".28Allora lo insultarono e gli dissero: "Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!29Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".30Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.31Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.32Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.33Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla".34Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?". E lo cacciarono fuori.
35Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?".36Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?".37Gli disse Gesù: "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui".38Ed egli disse: "Io credo, Signore!". E gli si prostrò innanzi.39Gesù allora disse: "Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo forse ciechi anche noi?".41Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane".


Neemia 7

1Quando le mura furono riedificate e io ebbi messo a posto le porte e i portinai, i cantori e i leviti furono stabiliti nei loro uffici,2diedi il governo di Gerusalemme a Canàni mio fratello e ad Anania comandante della cittadella, perché era un uomo fedele e temeva Dio più di tanti altri.3Ordinai loro: "Le porte di Gerusalemme non si aprano finché il sole non comincia a scaldare e si chiudano e si sbarrino le porte mentre i cittadini sono ancora in piedi; si stabiliscano delle guardie prese fra gli abitanti di Gerusalemme, ognuno al suo turno e ognuno davanti alla propria casa".
4La città era spaziosa e grande; ma dentro vi era poca gente e non si costruivano case.5Il mio Dio mi ispirò di radunare i notabili, i magistrati e il popolo, per farne il censimento.

Trovai il registro genealogico di quelli che erano tornati dall'esilio la prima volta e vi trovai scritto quanto segue:
6Questi sono gli abitanti della provincia che sono tornati dall'esilio: quelli che Nabucodònosor re di Babilonia aveva deportati e che erano tornati in Gerusalemme e in Giudea, ognuno nella sua città.7Essi erano tornati con Zorobabele, Giosuè, Neemia, Azaria, Raamia, Nahamani, Mardocheo, Bilsan, Mispèret, Bigvai, Necum e Baana.
Computo degli uomini del popolo d'Israele:
8Figli di Pareos: duemilacentosettantadue.
9Figli di Sefatia: trecentosettantadue.
10Figli di Arach: seicentocinquantadue.
11Figli di Paat-Moab, cioè i figli di Giosuè e di Ioab: duemilaottocentodiciotto.
12Figli di Elam: milleduecentocinquantaquattro.
13Figli di Zattu: ottocentoquarantacinque.
14Figli di Zaccai: settecentosessanta.
15Figli di Binnui: seicentoquarantotto.
16Figli di Bebai: seicentoventotto.
17Figli di Azgad: duemilatrecentoventidue.
18Figli di Adonikam: seicentosessantasette.
19Figli di Bigvai: duemilasessantasette.
20Figli di Adin: seicentocinquantacinque.
21Figli di Ater, cioè di Ezechia: novantotto.
22Figli di Casum: trecentoventotto.
23Figli di Bezai: trecentoventiquattro.
24Figli di Carif: centododici.
25Figli di Gàbaon: novantacinque.
26Uomini di Betlemme e di Netofa: centottantotto.
27Uomini di Anatòt: centoventotto.
28Uomini di Bet-Azmàvet: quarantadue.
29Uomini di Kiriat-Iearìm, di Chefira e di Beeròt: settecentoquarantatré.
30Uomini di Rama e di Gheba: seicentoventuno.
31Uomini di Micmas: centoventidue.
32Uomini di Betel e di Ai: centoventitré.
33Uomini di un altro Nebo: cinquantadue.
34Figli di un altro Elam: milleduecentocinquantaquattro.
35Figli di Carim: trecentoventi.
36Figli di Gèrico: trecentoquarantacinque.
37Figli di Lod, di Cadid e di Ono: settecentoventuno.
38Figli di Senaà: tremilanovecentotrenta.
39I sacerdoti: figli di Iedaia della casa di Giosuè: novecentosessantatré.
40Figli di Immer: millecinquantadue.
41Figli di Pascur: milleduecentoquarantasette.
42Figli di Carim: millediciassette.
43I leviti: figli di Giosuè, cioè di Kadmiel, di Binnui e di Odevà: settantaquattro.
44I cantori: figli di Asaf: centoquarantotto.
45I portieri: figli di Ater, figli di Talmon, figli di Akkub, figli di Catità, figli di Sobai: centotrentotto.
46Gli oblati: figli di Zica, figli di Casufa,
figli di Tabbaot,47figli di Keros,
figli di Sia, figli di Padon,
48figli di Lebana, figli di Agabà,
figli di Salmai,49figli di Canan,
figli di Ghiddel, figli di Gacar,
50figli di Reaia, figli di Rezin,
figli di Nekoda,51figli di Gazzam,
figli di Uzza, figli di Pasèach,
52figli di Besai, figli dei Meunim, figli dei Nefisesim,
53figli di Bakbuk, figli di Cakufa.
figli di Carcur,54figli di Baslit,
figli di Mechida, figli di Carsa,
55figli di Barkos, figli di Sisara,
figli di Temach,56figli di Neziach,
figli di Catifa.
57Discendenti dei servi di Salomone: figli di Sotai, figli di Sofèret, figli di Perida,58figli di Iaala, figli di Darkon, figli di Ghiddel,59figli di Sefatia, figli di Cattil, figli di Pochéret-Azzebàim, figli di Amòn.
60Totale degli oblati e dei discendenti dei servi di Salomone: trecentonovantadue.
61Ecco quelli che tornarono da Tel-Melach, da Tel-Carsa, da Cherub-Addòn e da Immer e che non avevano potuto stabilire il loro casato per dimostrare che erano della stirpe di Israele:62figli di Delaia, figli di Tobia, figli di Nekoda: seicentoquarantadue.
63Tra i sacerdoti: figli di Cobaia, figli di Akkos, figli di Barzillài, il quale aveva sposato una delle figlie di Barzillài il Galaadita e fu chiamato con il loro nome.64Questi cercarono il loro registro genealogico, ma non lo trovarono e furono quindi esclusi dal sacerdozio;65il governatore ordinò loro di non mangiare cose santissime finché non si presentasse un sacerdote con 'Urim' e 'Tummim'.
66La comunità nel suo totale era di quarantaduemilatrecentosessanta persone,67oltre ai loro schiavi e alle loro schiave in numero di settemilatrecentotrentasette. Avevano anche duecentoquarantacinque cantori e cantanti.68Avevano settecentotrentasei cavalli, duecentoquarantacinque muli,69quattrocentotrentacinque cammelli, seimilasettecentoventi asini.70Alcuni dei capifamiglia offrirono doni per la fabbrica. Il governatore diede al tesoro mille dracme d'oro, cinquanta coppe, cinquecentotrenta vesti sacerdotali.71Alcuni capifamiglia diedero al tesoro della fabbrica ventimila dracme d'oro e duemiladuecento mine d'argento.72Il resto del popolo diede ventimila dracme d'oro, duemila mine d'argento e sessantanove vesti sacerdotali.73aI sacerdoti, i leviti, i portieri, i cantori, alcuni del popolo, gli oblati e tutti gli Israeliti si stabilirono nelle loro città.
73bCome giunse il settimo mese, gli Israeliti erano nelle loro città.


Sapienza 1

1Amate la giustizia, voi che governate sulla terra,
rettamente pensate del Signore,
cercatelo con cuore semplice.
2Egli infatti si lascia trovare da quanti non lo tentano,
si mostra a coloro che non ricusano di credere in lui.
3I ragionamenti tortuosi allontanano da Dio;
l'onnipotenza, messa alla prova, caccia gli stolti.
4La sapienza non entra in un'anima che opera il male
né abita in un corpo schiavo del peccato.
5Il santo spirito che ammaestra rifugge dalla finzione,
se ne sta lontano dai discorsi insensati,
è cacciato al sopraggiungere dell'ingiustizia.
6La sapienza è uno spirito amico degli uomini;
ma non lascerà impunito chi insulta con le labbra,
perché Dio è testimone dei suoi sentimenti
e osservatore verace del suo cuore
e ascolta le parole della sua bocca.
7Difatti lo spirito del Signore riempie l'universo
e, abbracciando ogni cosa, conosce ogni voce.
8Per questo non gli sfuggirà chi proferisce cose ingiuste,
la giustizia vendicatrice non lo risparmierà.
9Si indagherà infatti sui propositi dell'empio,
il suono delle sue parole giungerà fino al Signore
a condanna delle sue iniquità;
10poiché un orecchio geloso ascolta ogni cosa,
perfino il sussurro delle mormorazioni
non gli resta segreto.
11Guardatevi pertanto da un vano mormorare,
preservate la lingua dalla maldicenza,
perché neppure una parola segreta sarà senza effetto,
una bocca menzognera uccide l'anima.
12Non provocate la morte con gli errori della vostra vita,
non attiratevi la rovina con le opere delle vostre mani,
13perché Dio non ha creato la morte
e non gode per la rovina dei viventi.
14Egli infatti ha creato tutto per l'esistenza;
le creature del mondo sono sane,
in esse non c'è veleno di morte,
né gli inferi regnano sulla terra,
15perché la giustizia è immortale.

16Gli empi invocano su di sé la morte
con gesti e con parole,
ritenendola amica si consumano per essa
e con essa concludono alleanza,
perché son degni di appartenerle.


Salmi 77

1'Al maestro del coro. Su "Iditum". Di Asaf. Salmo.'
2La mia voce sale a Dio e grido aiuto;
la mia voce sale a Dio, finché mi ascolti.
3Nel giorno dell'angoscia io cerco il Signore,
tutta la notte la mia mano è tesa e non si stanca;
io rifiuto ogni conforto.
4Mi ricordo di Dio e gemo,
medito e viene meno il mio spirito.

5Tu trattieni dal sonno i miei occhi,
sono turbato e senza parole.
6Ripenso ai giorni passati,
ricordo gli anni lontani.
7Un canto nella notte mi ritorna nel cuore:
rifletto e il mio spirito si va interrogando.

8Forse Dio ci respingerà per sempre,
non sarà più benevolo con noi?
9È forse cessato per sempre il suo amore,
è finita la sua promessa per sempre?
10Può Dio aver dimenticato la misericordia,
aver chiuso nell'ira il suo cuore?

11E ho detto: "Questo è il mio tormento:
è mutata la destra dell'Altissimo".
12Ricordo le gesta del Signore,
ricordo le tue meraviglie di un tempo.
13Mi vado ripetendo le tue opere,
considero tutte le tue gesta.

14O Dio, santa è la tua via;
quale dio è grande come il nostro Dio?
15Tu sei il Dio che opera meraviglie,
manifesti la tua forza fra le genti.
16È il tuo braccio che ha salvato il tuo popolo,
i figli di Giacobbe e di Giuseppe.

17Ti videro le acque, Dio,
ti videro e ne furono sconvolte;
sussultarono anche gli abissi.
18Le nubi rovesciarono acqua,
scoppiò il tuono nel cielo;
le tue saette guizzarono.
19Il fragore dei tuoi tuoni nel turbine,
i tuoi fulmini rischiararono il mondo,
la terra tremò e fu scossa.

20Sul mare passava la tua via,
i tuoi sentieri sulle grandi acque
e le tue orme rimasero invisibili.
21Guidasti come gregge il tuo popolo
per mano di Mosè e di Aronne.


Isaia 37

1Quando udì, il re Ezechia si stracciò le vesti, si ricoprì di sacco e andò nel tempio del Signore.2Quindi mandò Eliakìm il maggiordomo, Sebnà lo scrivano e gli anziani dei sacerdoti ricoperti di sacco dal profeta Isaia figlio di Amoz,3perché gli dicessero: "Così dice Ezechia: Giorno di angoscia, di castigo e di vergogna è questo, perché i figli sono arrivati fino al punto di nascere, ma manca la forza per partorire.4Spero che il Signore tuo Dio, udite le parole del gran coppiere che il re di Assiria suo signore ha mandato per insultare il Dio vivente lo voglia castigare per le parole che il Signore tuo Dio ha udito. Innalza ora una preghiera per quel resto che ancora rimane in vita".
5Così andarono i ministri del re Ezechia da Isaia.6Disse loro Isaia: "Riferite al vostro padrone: Dice il Signore: Non temere per le parole che hai udite e con le quali i ministri del re di Assiria mi hanno ingiuriato.7Ecco io infonderò in lui uno spirito tale che egli, appena udrà una notizia, ritornerà nel suo paese e nel suo paese io lo farò cadere di spada".

8Ritornato il gran coppiere, trovò il re di Assiria che assaliva Libna. Egli, infatti, aveva udito che si era allontanato da Lachis.

9Appena Sennàcherib sentì dire riguardo a Tiràka, re di Etiopia: "È uscito per muoverti guerra"; inviò di nuovo messaggeri a Ezechia per dirgli:10"Direte così a Ezechia, re di Giuda: Non ti illuda il tuo Dio, in cui confidi, dicendoti: Gerusalemme non sarà consegnata nelle mani del re di Assiria;11ecco tu sai quanto hanno fatto i re di Assiria in tutti i paesi che hanno votato alla distruzione; soltanto tu ti salveresti?12Gli dèi delle nazioni che i miei padri hanno devastate hanno forse salvato quelli di Gozan, di Carran, di Rezef e la gente di Eden in Telassàr?13Dove sono il re di Amat e il re di Arpad e il re della città di Sefarvàim, di Enà e di Ivvà?".
14Ezechia prese la lettera dalla mano dei messaggeri, la lesse, quindi salì al tempio del Signore. Ezechia, spiegato lo scritto davanti al Signore,15lo pregò:16"Signore degli eserciti, Dio di Israele, che siedi sui cherubini, tu solo sei Dio per tutti i regni della terra; tu hai fatto i cieli e la terra.17Porgi, Signore, l'orecchio e ascolta; apri, Signore, gli occhi e guarda; ascolta tutte le parole che Sennàcherib ha mandato a dire per insultare il Dio vivente.18È vero, Signore, i re di Assiria hanno devastato tutte le nazioni e i loro territori;19hanno gettato i loro dèi nel fuoco; quelli però non erano dèi, ma solo lavoro delle mani d'uomo, legno e pietra; perciò li hanno distrutti.20Ma ora, Signore nostro Dio, liberaci dalla sua mano perché sappiano tutti i regni della terra che tu sei il Signore, il solo Dio".

21Allora Isaia, figlio di Amoz mandò a dire a Ezechia: "Così dice il Signore, Dio di Israele: Ho udito quanto hai chiesto nella tua preghiera riguardo a Sennàcherib re di Assiria.22Questa è la sentenza che il Signore ha pronunciato contro di lui:

Ti disprezza, ti deride
la vergine figlia di Sion.
Dietro a te scuote il capo
la figlia di Gerusalemme.
23Chi hai insultato e schernito?
Contro chi hai alzato la voce
e hai elevato, superbo, gli occhi tuoi?
Contro il Santo di Israele!
24Per mezzo dei tuoi ministri hai insultato il Signore
e hai detto: "Con la moltitudine dei miei carri
sono salito in cima ai monti,
sugli estremi gioghi del Libano,
ne ho reciso i cedri più alti,
i suoi cipressi migliori;
sono penetrato nel suo angolo più remoto,
nella sua foresta lussureggiante.
25Io ho scavato e bevuto
acque straniere,
ho fatto inaridire con la pianta dei miei piedi
tutti i torrenti dell'Egitto".
26Non l'hai forse sentito dire?
Da tempo ho preparato questo,
dai giorni antichi io l'ho progettato;
ora lo pongo in atto.
Era deciso che tu riducessi in mucchi di rovine
le fortezze;
27i loro abitanti impotenti
erano spaventati e confusi,
erano come l'erba dei campi,
come tenera verzura,
come l'erba dei tetti,
bruciata dal vento d'oriente.
28Io so quando ti alzi o ti metti a sedere,
io ti conosco sia che tu esca sia che rientri.
29Poiché tu infuri contro di me e la tua insolenza
è salita ai miei orecchi,
ti metterò il mio anello nelle narici
e il mio morso alle labbra;
ti farò tornare per la strada per cui sei venuto.

30Questo ti serva da segno:
si mangerà quest'anno ciò che nascerà dai semi caduti,
nell'anno prossimo quanto crescerà da sé,
ma nel terzo anno seminerete e mieterete,
pianterete vigne e ne mangerete il frutto.
31Ciò che scamperà della casa di Giuda
continuerà a mettere radici in basso
e a fruttificare in alto.
32Poiché da Gerusalemme uscirà un resto,
dei superstiti dal monte Sion.
Questo farà lo zelo del Signore degli eserciti.

33Pertanto dice il Signore contro il re di Assiria:
Non entrerà in questa città
né vi lancerà una freccia,
non l'affronterà con gli scudi
né innalzerà contro di essa un terrapieno.
34Ritornerà per la strada per cui è venuto;
non entrerà in questa città.
Oracolo del Signore:
35Io proteggerò questa città e la salverò,
per riguardo a me stesso e al mio servo Davide.

36Ora l'angelo del Signore scese e percosse nell'accampamento degli Assiri centottantacinquemila uomini. Quando i superstiti si alzarono al mattino, ecco erano tutti cadaveri.
37Sennàcherib re di Assiria levò le tende e partì; tornato a Ninive, rimase colà.38Ora, mentre egli era prostrato in venerazione nel tempio di Nisrok suo dio, i suoi figli Adram-Mèlech e Zarèzer lo uccisero di spada, mettendosi quindi al sicuro nel paese di Ararat.
Assarhàddon suo figlio regnò al suo posto.


Apocalisse 8

1Quando l'Agnello aprì il settimo sigillo, si fece silenzio in cielo per circa mezz'ora.2Vidi che ai sette angeli ritti davanti a Dio furono date sette trombe.

3Poi venne un altro angelo e si fermò all'altare, reggendo un incensiere d'oro. Gli furono dati molti profumi perché li offrisse insieme con le preghiere di tutti i santi bruciandoli sull'altare d'oro, posto davanti al trono.4E dalla mano dell'angelo il fumo degli aromi salì davanti a Dio, insieme con le preghiere dei santi.5Poi l'angelo prese l'incensiere, lo riempì del fuoco preso dall'altare e lo gettò sulla terra: ne seguirono scoppi di tuono, clamori, fulmini e scosse di terremoto.

6I sette angeli che avevano le sette trombe si accinsero a suonarle.
7Appena il primo suonò la tromba, grandine e fuoco mescolati a sangue scrosciarono sulla terra. Un terzo della terra fu arso, un terzo degli alberi andò bruciato e ogni erba verde si seccò.
8Il secondo angelo suonò la tromba: come una gran montagna di fuoco fu scagliata nel mare. Un terzo del mare divenne sangue,9un terzo delle creature che vivono nel mare morì e un terzo delle navi andò distrutto.
10Il terzo angelo suonò la tromba e cadde dal cielo una grande stella, ardente come una torcia, e colpì un terzo dei fiumi e le sorgenti delle acque.11La stella si chiama Assenzio; un terzo delle acque si mutò in assenzio e molti uomini morirono per quelle acque, perché erano divenute amare.
12Il quarto angelo suonò la tromba e un terzo del sole, un terzo della luna e un terzo degli astri fu colpito e si oscurò: il giorno perse un terzo della sua luce e la notte ugualmente.
13Vidi poi e udii un'aquila che volava nell'alto del cielo e gridava a gran voce: "Guai, guai, guai agli abitanti della terra al suono degli ultimi squilli di tromba che i tre angeli stanno per suonare!".


Capitolo III: L'ammaestramento della verità

Leggilo nella Biblioteca

 1.     Felice colui che viene ammaestrato direttamente dalla verità, così come essa è, e non per mezzo di immagini o di parole umane; ché la nostra intelligenza e la nostra sensibilità spesso ci ingannano, e sono di corta veduta. A chi giova un'ampia e sottile discussione intorno a cose oscure e nascoste all'uomo; cose per le quali, anche se le avremo ignorate, non saremo tenuti responsabili, nel giudizio finale? Grande nostra stoltezza: trascurando ciò che ci è utile, anzi necessario, ci dedichiamo a cose che attirano la nostra curiosità e possono essere causa della nostra dannazione. "Abbiamo occhi e non vediamo" (Ger 5,21). Che c'importa del problema dei generi e delle specie? Colui che ascolta la parola eterna si libera dalle molteplici nostre discussioni. Da quella sola parola discendono tutte le cose e tutte le cose proclamano quella sola parola; essa è "il principio" che continuo a parlare agli uomini (Gv 8,25). Nessuno capisce, nessuno giudica rettamente senza quella parola. Soltanto chi sente tutte le cose come una cosa sola, e le porta verso l'unità e le vede tutte nell'unità, può avere tranquillità interiore e abitare in Dio nella pace. O Dio, tu che sei la verità stessa, fa' che io sia una cosa sola con te, in un amore senza fine. Spesso mi stanco di leggere molte cose, o di ascoltarle: quello che io voglio e desidero sta tutto in te. Tacciano tutti i maestri, tacciano tutte le creature, dinanzi a te: tu solo parlami.

   2.     Quanto più uno si sarà fatto interiormente saldo e semplice, tanto più agevolmente capirà molte cose, e difficili, perché dall'alto egli riceverà lume dell'intelletto. Uno spirito puro, saldo e semplice non si perde anche se si adopera in molteplici faccende, perché tutto egli fa a onore di Dio, sforzandosi di astenersi da ogni ricerca di sé. Che cosa ti lega e ti danneggia di più dei tuoi desideri non mortificati? L'uomo retto e devoto prepara prima, interiormente, le opere esterne che deve compiere. Così non saranno queste ad indurlo a desideri volti al male; ma sarà lui invece che piegherà le sue opere alla scelta fatta dalla retta ragione. Nessuno sostiene una lotta più dura di colui che cerca di vincere se stesso. Questo appunto dovrebbe essere il nostro impegno: vincere noi stessi, farci ogni giorno superiori a noi stessi e avanzare un poco nel bene.

   3.     In questa vita ogni nostra opera, per quanto buona, è commista a qualche imperfezione; ogni nostro ragionamento, per quanto profondo, presenta qualche oscurità. Perciò la constatazione della tua bassezza costituisce una strada che conduce a Dio più sicuramente che una dotta ricerca filosofica. Non già che sia una colpa lo studio, e meno ancora la semplice conoscenza delle cose - la quale è, in se stessa, un ben ed è voluta da Dio -; ma è sempre cosa migliore una buona conoscenza di sé e una vita virtuosa. Infatti molti vanno spesso fuori della buona strada e non danno frutto alcuno, o scarso frutto, di bene, proprio perché si preoccupano più della loro scienza che della santità della loro vita. Che se la gente mettesse tanta attenzione nell'estirpare i vizi e nel coltivare le virtù, quanta ne mette nel sollevare sottili questioni filosofiche non ci sarebbero tanti mali e tanti scandali tra la gente; e nei conviventi non ci sarebbe tanta dissipazione. Per certo, quando sarà giunto il giorno del giudizio, non ci verrà chiesto che cosa abbiamo studiato, ma piuttosto che cosa abbiamo fatto; né ci verrà chiesto se abbiamo saputo parlare bene, ma piuttosto se abbiamo saputo vivere devotamente. Dimmi: dove si trovano ora tutti quei capiscuola e quei maestri, a te ben noti mentre erano in vita, che brillavano per i loro studi? Le brillanti loro posizioni sono ora tenute da altri; e non è detto che questi neppure si ricordino di loro. Quando erano vivi sembravano essere un gran che; ma ora di essi non si fa parola. Oh, quanto rapidamente passa la gloria di questo mondo! E voglia il cielo che la loro vita sia stata all'altezza del loro sapere; in questo caso non avrebbero studiato e insegnato invano. Quanti uomini si preoccupano ben poco di servire Iddio, e si perdono a causa di un vano sapere ricercato nel mondo. Essi scelgono per sé la via della grandezza, piuttosto di quella dell'umiltà; perciò si disperde la loro mente (Rm 1,21). Grande è, in verità, colui che ha grande amore; colui che si ritiene piccolo e non tiene in alcun conto anche gli onori più alti. Prudente è, in verità, colui che considera sterco ogni cosa terrena, al fine di guadagnarsi Cristo (Fil 3,8). Dotto, nel giusto senso della parola, è, in verità, colui che fa la volontà di Dio, buttando in un canto la propria volontà.


LETTERA 248: Agostino a Sebastiano sulla pia mestizia sofferta dai buoni a causa degli empi e malvagi (n. 1) da loro sopportati col rimanere uniti a Dio in attesa del premio eterno (n. 2). La lettera fu sottoscritta da Alipio.

Lettere - Sant'Agostino

Leggilo nella Biblioteca

Scritta dopo il 395.

Agostino a Sebastiano sulla pia mestizia sofferta dai buoni a causa degli empi e malvagi (n. 1) da loro sopportati col rimanere uniti a Dio in attesa del premio eterno (n. 2). La lettera fu sottoscritta da Alipio.

A SEBASTIANO, SANTO E AMATO SIGNORE E CARISSIMO FRATELLO PER L'ONORE DI CRISTO, AGOSTINO INVIA SALUTI NEL SIGNORE

Felice chi è tribolato per i peccati altrui, ma non vi è implicato.

1. Sebbene il dolce vincolo della carità non permetta che tu possa esser lontano dal nostro cuore e sebbene noi ricordiamo incessantemente i tuoi santi costumi e colloqui, tuttavia hai fatto bene - e te ne siamo grati - a inviarci la lettera con le notizie della tua salute anche fisica, che ci hanno colmato di gioia. Dalla tua lettera però ho compreso l'amarezza che provi per causa dei peccatori che abbandonano la legge di Dio 1, poiché tu vivi secondo lo spirito, in virtù del quale è stato detto: Mi struggevo di dolore a vedere gl'insensati 2. È una pia tristezza questa e, se così può dirsi, è una felice pena affliggersi per i vizi degli altri, senza lasciarsene irretire, rattristarsene senza impigliarvisi, sentirsi oppressi dal dolore, ma non lasciarvisi attrarre dall'amore. Questa è la persecuzione che soffrono tutti coloro che vogliono vivere piamente in Cristo 3, secondo l'amara ma veridica affermazione dell'Apostolo. Cos'è infatti che maggiormente perseguita i buoni se non la vita dei malvagi, non già quando costringe a imitare ciò che dispiace, ma a deplorare ciò che si vede? Poiché l'empio vivendo a contatto col buono, anche se non lo rende colpevole col farlo consentire al male, lo tormenta col fargliene sentire il dolore. I malvagi, infatti, di solito e per lungo tempo non subiscono alcun castigo nel corpo da parte dei poteri di questo mondo e dalle vessazioni d'individui di qualsiasi genere, mentre al cuore dei buoni non viene usato mai alcun riguardo sino alla fine di questo mondo per causa della cattiva condotta degli uomini. In tal modo quindi s'avvera piuttosto il detto già ricordato dall'Apostolo: Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Cristo avranno da soffrire persecuzione 4, e tanto più amara quanto più intima essa sarà, fino a quando non passerà il diluvio nel quale l'arca contiene il corvo e la colomba 5.

Il conforto del Cristiano che vive tra i cattivi.

2. Ma tu, fratello mio, resta unito a Colui che ha detto: Chi persevererà sino alla fine, sarà salvo 6. Sta' unito al Signore affinché la tua vita cresca fino all'ultimo giorno 7. So bene infatti che non ti mancano le consolazioni che ti danno i buoni fratelli. A queste aggiungi le promesse di Dio veridiche, grandi, sicure, eterne e il premio immutabile e ineffabile dello stesso coraggio per sopportare il male e considera la verità che canti al Signore: In proporzione della moltitudine dei miei affanni dentro di me, le tue consolazioni rallegrano l'anima mia 8. Manda la nostra lettera al fratello Firmo. I fratelli e le sorelle che sono presso di noi ricambiano saluti alla Santità tua e alla famiglia di Dio governata dal tuo ministero. [E d'altra mano]: Conservatevi in salute, carissimi e santi fratelli, e pregate per noi.

Io, Alipio, saluto con tutto l'affetto te e tutti quanti ti sono uniti nell'amore di Dio e ti prego di considerare questa lettera come mia; sebbene infatti avessi potuto inviartene una mia particolare, ho preferito tuttavia sottoscrivere la presente, perché anche un'unica pagina attestasse la nostra unanimità.

 

1 - Sal 118, 53.

2 - Sal 118, 158.

3 - 2 Tm 3, 12.

4 - 2 Tm 3, 12.

5 - Gn. 8, 6-12.

6 - Mt 10, 22; 24, 13; Mc 13, 13.

7 - Sir 2, 3.

8 - Sal 93, 19.


11 - Si dichiara qualcosa della prudenza con la quale Maria di­rigeva i nuovi fedeli.

La mistica Città di Dio - Libro settimo - Suor Maria d'Agreda

Leggilo nella Biblioteca

179. Era conseguente al mandato di madre e maestra dei discepoli, affidatole dal Signore, che Maria santissima ricevesse luce proporzionata ad un compito così eccelso, perché conoscesse tutte le membra del corpo mistico, alla cui direzione spirituale era tenuta, e adattasse loro i suoi insegnamenti secondo il livello, la condizione e le neces­sità di ciascuno. Questo le fu concesso con la pienezza ed abbondanza che emerge da ciò che sto scrivendo. Pene­trava l'intimo di coloro che aderivano alla fede: le loro in­clinazioni, il grado della grazia e delle virtù che possede­vano, il valore delle azioni compiute, i loro fini e principi; non ignorava niente, se non quando l'Altissimo le celava per un po' qualche segreto, che poi le rivelava appena era

conveniente. Tale intelligenza non era sterile e nuda, ma le corrispondeva una pari partecipazione della carità del Figlio, che ella rivolgeva a tutti nella misura in cui le era­no noti. Comprendeva anche il mistero del volere superno e ripartiva con perfetta ponderazione i suoi affetti: non da­va di più a chi si era guadagnato di meno, né di meno a chi meritava di essere maggiormente diletto e stimato, er­rore nel quale incorriamo spesso noi ignoranti discenden­ti di Adamo, persino in quanto ci sembra di operare inec­cepibilmente.

180. La Regina dell'amore e della sapienza non altera­va l'ordine della giustizia distributiva scambiando i senti­menti, perché era rischiarata dalla lucerna dell'Agnello, che la illuminava e guidava affinché ognuno avesse il dovuto. Si relazionava sempre con sensibilità e tenerezza, senza freddezze, scarsezze o dimenticanze; però, negli effetti e nelle dimostrazioni visibili si governava con altre regole di somma saggezza, badando di evitare le singolarità e quei leggeri difetti che provocano invidie nelle comunità, nelle famiglie e in tutte le nazioni dove sono parecchi quelli che osservano e giudicano gli atti pubblici. È una passione na­turale e diffusa desiderare di essere apprezzati e benvolu­ti, soprattutto da chi è potente, e si potrà trovare a fatica qualcuno che non presuma di valere quanto un altro, per essere favorito in modo analogo se non superiore. Questa malattia non risparmia i più elevati per stato e anche per qualità, come risultò evidente nel collegio apostolico, nel quale, per certi segni di distinzione che risvegliarono i so­spetti, si mosse la questione sulla precedenza e sulla pre­minenza che fu proposta a sua Maestà'.

181. Al fine di prevenire tali dispute, la Vergine era at­tentissima nell'essere uguale con tutti nelle elargizioni che faceva a beneficio della Chiesa. Ciò fu non solo degno di lei, ma pure assai utile, sia perché quell'atteggiamento re­stasse stabilito per i prelati che sarebbero stati rivestiti di autorità sia perché, nei felicissimi anni iniziali, tutti ri­splendevano per i miracoli e per altri doni divini, come ne­gli ultimi secoli molti spiccano nella scienza o nella cul­tura. Era opportuno far apprendere che né per quelle su­blimi prerogative né per queste minori bisogna ergersi a vana superbia, o ritenere di dover essere onorati e privile­giati da Dio e dalla beatissima Signora nelle cose esterio­ri. All'uomo retto basti essere caro a Gesù ed ammesso al­la sua amicizia, e a chi non lo è non gioverà affatto un si­mile tipo di reputazione e prestigio.

182. Ella, comunque, non mancava per questo alla ve­nerazione che spettava a ciascuno per il ministero eserci­tato: era un esempio per tutti in quanto era d'obbligo e con la circospezione di cui abbiamo parlato faceva impa­rare la moderazione in quanto era volontario. Si comportò costantemente in maniera tanto mirabile e con tanta ac­cortezza che non dette mai occasione di lamentarsi, né al­cuno ebbe una ragione, neppure apparente, per negarle ri­guardo e rispetto; anzi, tutti le volevano bene, la benedi­cevano ed erano colmi di gioia e debitori per il suo aiuto e per la sua pietà materna. Nessuno avvertì che lo tenes­se in scarsa considerazione né che gli preferisse un altro, poiché non dava motivo di fare paragoni del genere. Così grande fu la sua discrezione e assennatezza, e così corret­tamente collocava le bilance della manifestazione del suo cuore sull'asse della prudenza! Non volle neanche essere lei ad assegnare gli incarichi e le dignità, né intercedere per il loro conferimento: rimetteva tutto al parere e al vo­to dei Dodici e, intanto, otteneva loro di nascosto luce e assistenza da parte dell'Eterno perché non errassero.

183. Era spinta a quella condotta altresì dalla sua profon­da umiltà e, quindi, educava tutti ad essa, giacché erano coscienti che non era all'oscuro di nulla e non poteva sbagliare in ciò che compiva. Ella lasciò questo raro insegnamento ai cristiani affinché non ci fosse chi presumesse della propria preparazione e avvedutezza e delle proprie qualità, princi­palmente in materie gravi, ma ognuno intendesse che il col­pire nel segno e il riuscire bene è vincolato alla modestia e al consiglio, come l'orgoglio è unito al proprio giudizio, se non è necessario regolarsi solo su di esso. Le era noto che l'intervenire a vantaggio di altri in cose temporali porta con sé qualche ambizioso potere, e uno maggiore ne racchiude il ricevere con piacere i ringraziamenti. Tutto questo era estraneo alla nostra celeste Principessa, che fu un modello nell'ordinare le attività in modo tale da non defraudare il merito né impedire la massima perfezione; però non rifiu­tava la sua direzione agli apostoli, che la consultavano spes­so, e faceva lo stesso con gli altri.

184. Tra i santi che furono così fortunati da guadagnarsi il suo affetto speciale ci fu Stefano, uno dei settantadue di­scepoli, che da quando cominciò ad andare dietro al suo Unigenito fu da lei guardato con predilezione, conquistan­do uno dei primi posti nella sua stima. Le fu svelato subi­to che era stato scelto dal Salvatore per la difesa del suo nome, fino a morire per lui. Inoltre, l'invitto giovane era di indole soave, affabile e gentile, e la grazia rendeva la sua ottima natura anche più amabile e incline ad ogni virtù. Il suo temperamento era oltremodo gradito alla Madre, la qua­le, allorché trovava in qualcuno la tendenza alla benignità e alla mitezza, soleva dire che costui assomigliava più de­gli altri a suo Figlio; per queste caratteristiche, vissute in grado eroico, provava tanta tenerezza per lui. Gli imparti­va numerose benedizioni, esprimeva di frequente ricono­scenza al Padre per averlo creato, chiamato ed eletto ad es­sere primizia dei suoi martiri, e nutriva in sé singolare be­nevolenza verso di lui a motivo della testimonianza che avrebbe dato con il sangue, come le era stato palesato.

185. Egli corrispondeva con fedelissima attenzione a quanto gli era concesso da sua Maestà e da lei, perché non soltanto era pacifico, ma anche umile, e chi è realmente tale accoglie con molta gratitudine i benefici, pure se pic­coli come quelli che gli erano elargiti. Aveva un altissimo concetto della Regina della misericordia e si sforzava di assicurarsene il favore con la sua ferventissima devozione. La interrogava su parecchi misteri, poiché era assai dotto e pieno di saggezza e di Spirito Santo, come afferma Lu­ca. Ella chiariva tutte le questioni che le erano poste e lo confortava, affinché lottasse con valore per il Redentore. Per confermarlo ancor più, lo dispose ai tormenti con que­ste parole: «Stefano, voi sarete il primogenito dei martiri, che il Signore genererà con l'esempio delle proprie soffe­renze; camminerete sui suoi passi, come un seguace co­raggioso su quelli del suo maestro e un soldato audace su quelli del suo capitano, e innalzerete lo stendardo della cro­ce. Perciò, conviene che vi armiate di fermezza con lo scu­do della fede e crediate che l'Onnipotente vi soccorrerà nel­la battaglia».

186. Questo annuncio lo infiammò del desiderio del supplizio, come si desume da quanto si riferisce di lui ne­gli Atti, nei quali si legge che era pieno di grazia e di for­tezza e che faceva prodigi e miracoli in Gerusalemme. Egli è il primo dopo Pietro e Giovanni di cui si attesta che di­sputava con i giudei e li confondeva, senza che essi riu­scissero a resistere alla sua sapienza ispirata. Predicava con animo intrepido, li accusava e li riprendeva, distin­guendosi in ciò per la brama di conseguire quello che la nostra sovrana gli aveva garantito. Come se qualcuno gli avesse potuto togliere la corona, precedeva tutti nel pre­sentarsi davanti ai rabbini e ai dottori della legge di Mo-

sè, e ambiva le occasioni di battersi per la gloria di Cri­sto, per la quale aveva appreso di doversi donare. Il dra­go infernale nella sua malvagità rivolse verso di lui il pro­prio furore pretendendo di fermarlo perché non giungesse a tale dimostrazione pubblica, e a questo scopo incitò i più crudeli a farlo perire nascostamente; era oppresso dalla sua eccellenza e temeva che avrebbe compiuto opere straordi­narie, nella sua esistenza terrena e anche successivamen­te, accreditando gli insegnamenti di Gesù. Per l'ostilità che costoro già avevano contro di lui, gli fu facile persuaderli ad ammazzarlo in segreto.

187. Essi fecero vari tentativi, nel breve periodo che pas­sò tra la Pentecoste e la sua uccisione, ma Maria, che era informata delle trame di satana, lo liberò da ogni insidia fino al momento opportuno per la lapidazione. In tre cir­costanze, per farlo uscire da una casa nella quale volevano affogarlo, inviò un angelo, invisibile a tutti tranne che a lui, che lo scorgeva ed era cosciente di essere portato dalla Ver­gine. Altre volte, ella lo avvisava per mezzo di un messag­gero celeste di non recarsi in una certa strada o abitazio­ne, perché in tal luogo lo aspettavano per sopprimerlo; al­tre ancora, lo tratteneva dall'allontanarsi dal cenacolo, es­sendo consapevole che gli avevano teso un agguato. I suoi nemici alcune notti restavano lì fuori ed anche presso per­sone diverse, giacché nel suo zelo attendeva al sollievo di molti credenti bisognosi e non solo non aveva paura dei ri­schi, ma anzi ne andava in cerca. Poiché non aveva noti­zia del giorno che era stato riservato per dargli la felicità del martirio e vedeva che ella continuava a preservarlo dai pericoli, si lamentava dolcemente con lei: «Mia Signora e mio rifugio, quando verrà per me l'ora di pagare all'Eterno il debito della vita, sacrificandomi per il suo nome?».

188. Ella gioiva incomparabilmente per il rammarico, dovuto all'amore per il Salvatore, che quel suo servo le ma­nifestava, e con materno affetto rispondeva: «Figlio mio, arriverà il tempo stabilito dalla sua imperscrutabile provvi­denza e non sarà defraudata la vostra speranza. Frattanto, lavorate assiduamente per la sua Chiesa, dato che di sicu­ro conseguirete la corona, e ringraziate di continuo colui che ve la tiene preparata». La purezza del giovane era no­bilissima ed eminente, così che i demoni non potevano av­vicinarsi a lui, se non a considerevole distanza; per questo, era molto caro a sua Maestà e alla Regina. I Dodici lo or­dinarono diacono. La sua virtù era già eroica e per essa meritò di essere il primo dopo la passione del Redentore a conquistare la palma. Per evidenziare ancor più la sua san­tità, paleserò quello che ne ho compreso, conformemente a quanto è raccontato nel sesto capitolo degli Atti.

189. In città sorse un malcontento fra gli ellenisti ver­so gli ebrei, perché le loro vedove venivano escluse dalla distribuzione quotidiana; gli uni e gli altri erano giudei, benché i primi nativi della Grecia e i secondi della Pale­stina. Si trattava della ripartizione delle elemosine per il sostentamento dei cristiani. Questo incarico, su consiglio della Principessa, era stato assegnato a sei uomini di buo­na reputazione e riconosciuta onestà. Con il crescere del­la comunità, però, era stato necessario che anche alcune vedove di età matura esercitassero lo stesso ministero, as­sistendo in particolare le donne e gli infermi, ed esse im­piegavano per quello ciò che ricevevano; erano tutte ebree e questo sembrava un segno di scarsa fiducia verso le gre­che, che subivano il torto di non essere ammesse a svol­gere lo stesso compito.

190. Il collegio apostolico, per comporre tale controver­sia, convocò la moltitudine dei discepoli. Fu detto loro: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il mante­nimento di coloro che si convertono. Scegliete tra voi sette uomini pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo questa funzione, per dedicarci alla preghiera. Farete ricorso a loro per ogni dubbio e contrasto in ordine alla dispensa­zione del vitto». Furono tutti d'accordo e senza discrimina­zione di nazioni elessero quelli che Luca elenca; il primo era Stefano, la cui fede e la cui intelligenza erano note a tutti'. Essi soprintendevano agli altri sei e alle vedove, e non lasciavano da parte le greche, poiché non badavano alla pro­venienza, ma solo alle doti di ognuno. Colui che più si ado­però per la rappacificazione fu proprio il futuro martire, che estinse subito il rancore degli ellenisti e rese condiscenden­ti gli ebrei, perché tutti si riconciliassero come figli del Si­gnore e procedessero con sincerità e carità, senza parzialità e preferenze; così difatti fecero, almeno finché egli non perì.

191. Non per questo si occupò meno della predicazio­ne e delle dispute con i giudei increduli, i quali, non es­sendo capaci né di ucciderlo segretamente né di resistere pubblicamente alla sua sapienza, sopraffatti dal loro fero­ce odio trovarono falsi testimoni contro di lui. Questi lo accusarono di aver bestemmiato contro l'Altissimo e con­tro Mosè, e di non cessare di esprimersi contro il tempio e contro la legge, garantendo che il Nazareno avrebbe di­strutto l'uno e l'altra. Attestando simili menzogne, riusci­rono a sobillare il popolo; allora, gli piombarono addosso e lo trascinarono davanti al sinedrio. Il sommo sacerdote ascoltò in presenza di tutti la sua difesa, nella quale egli provò in modo sublime, appoggiandosi alla Scrittura, che il suo Maestro era il Messia promesso, e alla fine li ripre­se per la loro durezza e testardaggine con tanta efficacia che essi, non sapendo che cosa ribattere, si tappavano gli orecchi e digrignavano i denti contro di lui.

192. Maria fu informata della cattura e immediatamen­te, prima di tale discorso, gli inviò uno dei suoi custodi per confortarlo in vista del conflitto. Attraverso di lui, il giova­ne le rispose che andava con grande letizia a confessare la fede in Cristo e con cuore intrepido a offrire per essa il pro­prio sangue, cosa alla quale aveva sempre aspirato, e la im­plorò di aiutarlo in quella occasione come madre miseri­cordiosa. Aggiunse che gli recava afflizione soltanto non aver potuto avere la sua benedizione per salire all'empireo con essa e che perciò la supplicava di dargliela dal suo ritiro. Questa richiesta mosse a compassione le sue viscere mater­ne, oltre che il suo amore e la sua stima per lui, ed ella vo­leva sostenerlo personalmente. Alla prudente Vergine si pro­spettavano, però, delle difficoltà, che si opponevano alla sua uscita per le strade, in un momento in cui Gerusalemme era in sommovimento, e alla possibilità di ottenere un colloquio.

193. Si prostrò invocando il favore divino per quel suo diletto e manifestando il desiderio di essere con lui nel­l'ultima ora. La clemenza di sua Maestà, che era costan­temente attento alle domande della sua genitrice e sposa e intendeva inoltre rendere più preziosa la morte del suo fedele servo, le mandò innumerevoli ministri superni, per­ché con i suoi la portassero subito nel luogo dove stava terminando l'interrogatorio. Ella rimase nascosta a tutti tranne che al santo, il quale la scorse davanti a sé sorret­ta su una nube e circonfusa di gloria. Ciò accrebbe ulte­riormente la fiamma del suo fervore e del suo zelo dell'o­nore del Creatore, colmandolo di giubilo; intanto, gli splen­dori della Regina, che gli ferivano il viso riverberando su di esso, gli conferivano meravigliosa bellezza e luminosità.

194. Per questo negli Atti si narra che coloro che era­no in quel tribunale, guardandolo, videro il suo volto co­me quello di un angelo. L'Eterno non volle celare tale effetto della vicinanza di lei, affinché fosse maggiore la con­fusione di quei perfidi, che non si lasciavano ricondurre alla verità che era annunciata loro neppure da un mira­colo così evidente; ma essi non compresero la causa del suo mutamento, poiché non ne erano degni e non era op­portuno, e quindi neanche Luca la illustra. La Signora pro­nunciò parole di vita e di mirabile consolazione, gli dette larghe e dolci benedizioni e pregò per lui l'Onnipotente, perché lo riempisse di nuovo del suo Spirito. Tutto si adempì, come appare chiaro dall'invincibile valore e sag­gezza con cui egli si rivolse agli astanti e dimostrò la ve­nuta di Gesù come redentore, trovandone testimonianze ir­refragabili in tutti i testi sacri, cominciando dalla vocazio­ne di Abramo e giungendo ai re e ai profeti di Israele.

195. Appena ebbe finito di parlare, per le orazioni della Principessa e quale premio del suo ardore, il cielo si spa­lancò e gli apparve l'Unigenito, in piedi presso il Padre, co­me in atto di sorreggerlo nella battaglia. Alzò gli occhi e affermò: «Ecco, io contemplo i cieli aperti e il Figlio dell'uo­mo che sta alla destra di Dio». I giudei, nella loro ostinata malvagità, giudicarono blasfema tale frase e si turarono gli orecchi per non udire. Dato che la pena prevista per la be­stemmia era la lapidazione, comandarono che essa fosse eseguita contro di lui. Allora, tutti lo assalirono come lupi, per spingerlo all'esterno delle mura con impeto e tumulto. Quando iniziarono ad attuare ciò, Maria lo benedisse e, fa­cendogli animo, si accomiatò da lui con profonda tenerez­za; ordinò a tutti i suoi custodi di stargli accanto nel mar­tirio sino a presentarlo al cospetto di Cristo, mentre quan­ti erano discesi per trasportarla la scortarono al cenacolo con uno solo di quelli che l'assistevano.

196. Da lì, ella poté osservare tutto attraverso una vi­sione speciale. Trascinarono il giovane fuori della città con violenza e tra urla fortissime, dichiarandolo empio e meri­tevole di essere ucciso. Saulo era uno dei più coinvolti e, accanito propugnatore delle antiche tradizioni, badava alle vesti di quelli che si erano spogliati per scagliare più age­volmente pietre contro il condannato. Queste, piovendogli addosso, lo sfregiavano, e alcune restavano fisse nel suo ca­po, incastrate con lo smalto del sangue. La compassione della pietosa Madre per un supplizio tanto crudele fu enor­me, ma ancora più grande fu la sua esultanza nel consta­tare che veniva conseguito così nobilmente. Egli la suppli­cava tra le lacrime di non cessare di sostenerlo dal suo ora­torio e, allorché sentì imminente la morte, disse: «Signore Gesù, accogli il mio spirito». Poi, inginocchiatosi, aggiunse gridando: «Signore, non imputar loro questo peccato». La Vergine lo accompagnò anche in quelle invocazioni, felice nel rilevare che il discepolo imitava tanto esattamente il Maestro, intercedendo per i suoi carnefici e consegnando lo spirito nelle mani del suo Creatore e riscattatore.

197. Stefano spirò schiacciato e sfigurato dai sassi di co­storo, sempre più induriti nella loro cattiveria. Nel medesi­mo istante, gli inviati della nostra sovrana sollevarono quel­l'anima purissima fino al trono di sua Maestà, perché venis­se coronata di onore perenne. Egli la ricevette con l'espres­sione del suo Vangelo: «Amico, ascendi più su, vieni a me, servo fedele: poiché sei stato tale nel poco, ti ricompenserò con abbondanza; poiché mi hai confessato davanti agli uo­mini, ti riconoscerò davanti al Padre mio». Gli angeli, i pa­triarchi, i profeti e gli altri beati provarono una gioia straordinaria e si congratularono con lui, primizia della passione e capitano di tutti coloro che lo avrebbero seguito nel sacri­ficio di sé. Fu collocato in un posto eccelso, molto vicino al­la santissima umanità del Salvatore. La Regina partecipò di quel gaudio per mezzo della visione con la quale era infor­mata di tutto, e insieme ai ministri superni compose nume­rosi cantici e inni a lode dell'Altissimo. Quelli che tornarono dall'empireo avendovi lasciato il martire la ringraziarono a nome suo per i favori che gli erano stati concessi.

198. Fu assassinato nove mesi più tardi del Redentore, il ventisei dicembre, data in cui è celebrato; egli proprio al­lora compiva trentaquattro anni. Quello era il trentaquat­tresimo anno dal natale del Verbo incarnato, ma già con­cluso, così che si era entrati nel trentacinquesimo. Quindi, fu generato un giorno dopo l'Unigenito e visse più di lui so­lo nove mesi; la lapidazione ebbe luogo in corrispondenza con la sua nascita. Le preghiere sue e della Signora guada­gnarono la conversione di Saulo, come spiegheremo suc­cessivamente, e affinché questa fosse più ammirevole l'On­nipotente permise che da quel momento egli cominciasse ad impegnarsi nel perseguitare la Chiesa per distruggerla, ri­saltando tra tutti i giudei, sdegnati contro di essa. 1 credenti raccolsero il corpo, gli dettero sepoltura e fecero lutto, aven­do perso un fratello tanto sapiente e un tanto acerrimo di­fensore della legge di grazia. Ho parlato diffusamente di lui perché ho inteso la sua eccellenza e perché egli era as­sai devoto alla Principessa e molto beneficato da lei.

 

Insegnamento della Regina del cielo

199. Carissima, i misteri divini, presentati e proposti ai sensi, fanno in essi poca impressione, quando li trovano distratti dalle realtà visibili e abituati ad esse, e quando l'intimo non è limpido e sgombro dalle tenebre della col­pa. La capacità dei mortali, infatti, già per se stessa pe­sante e corta per innalzarsi a quanto è elevato e celeste, se incontra impedimento nell'ambire le cose apparenti si allontana maggiormente dalla verità e, assuefatta all'oscu­rità, diviene cieca dinanzi alla luce. Per questo, gli uomi­ni terreni e animali hanno un concetto tanto basso e spro­porzionato delle meraviglie dell'Eterno, e di quelle che io feci e continuo a fare quotidianamente per loro. Calpe­stano le perle e non distinguono il cibo dei figli dall'ali­mentazione grossolana delle bestie. Tutto quello che è spi­rituale sembra loro insipido, perché non è conforme al gu­sto dei piaceri sensibili. Così, non sono in grado di com­prendere ciò che è sublime e di trarre profitto dalla scien­za di vita e dal pane dell'intelletto racchiuso in esso.

200. Dio, però, ha voluto liberarti da questo pericolo e ti ha illuminato, migliorando e vivificando le tue facoltà affinché tu possa giudicare senza inganno gli arcani che ti rivelo. Sebbene io ti abbia detto molte volte che nel mon­do non riuscirai mai a penetrarli e ponderarli interamen­te, devi e puoi stimarli in maniera retta secondo le tue for­ze, per essere istruita e per imitare i miei atti. Dalla va­rietà delle pene e delle afflizioni delle quali venne intessu­ta la mia esistenza tra voi, anche dopo la discesa dalla de­stra di Gesù, capirai bene che pure per te sarà lo stesso, se brami di ricalcare le mie orme e di essere mia beata di­scepola. Nella prudente e costante modestia con cui dires­si con assoluta imparzialità gli apostoli e gli altri fedeli, ti è data una norma per discernere come procedere nel go­verno delle tue suddite: con mansuetudine, semplicità, ri­spettosa severità, e soprattutto senza preferenze verso nessuna in quello che a tutte è dovuto e può essere comune. Ciò diventa facile allorché in coloro che hanno l'autorità ci sono autentiche carità ed umiltà; infatti, se questi si la­sciassero condurre da simili virtù, non sarebbero così du­ri nel comandare e presuntuosi nella loro opinione, né si altererebbe l'ordine della giustizia con tanto grande dan­no, come avviene oggi nella cristianità. La superbia, la va­nità, l'interesse, l'amor proprio e quello della carne e del sangue si sono impadroniti di quasi tutte le azioni con­cernenti la guida degli altri, per cui si sbaglia tutto e ogni stato è colmo di iniquità e di spaventosa confusione.

201. Considera il mio acceso zelo dell'ardore verso il mio santissimo unigenito e Signore e della predicazione del suo nome, la mia letizia quando in questo si compiva la sua volontà e si conseguivano i frutti della sua passio­ne con l'estendersi della Chiesa, e i favori che concessi a Stefano poiché era il primo che sacrificava se stesso in ta­le impresa. Ne trarrai numerosi motivi per lodare l'Altissi­mo per le sue opere, davvero degne di venerazione, come anche per emulare me e benedire la sua immensa bontà per la sapienza che mi elargì perché eseguissi tutto con pienezza di perfezione in modo da compiacerlo.


A tu per tu col medico

Beata Alexandrina Maria da Costa


Il dott. Araújo veniva a vedermi due o tre volte al giorno, ma sempre in ore diverse. Penso lo facesse per vedere se sco­priva qualcosa. Talvolta entrò in camera mia di notte, quando vi si trovava l'assistente che da qualcuno fu definita « cardi­nale diavolo ».

Vivessi fino alla fine del mondo, non potrò dimenticare l'impressione che provavo quando il dottore apriva e poi ri­chiudeva subito la porta: rimanevo sospesa per ciò che avrebbe detto. Provavo una tale impressione che nel mio cuore e nella mia anima aumentava la tristezza. Quante volte ripetevo a Gesù: - Questa mia notte serva a dare luce a lui, a coloro che mi attorniano e a tutte le anime che vivono nelle tenebre. -

Nelle conversazioni e negli interrogatori il dott. Araújo usò tutti gli argomenti possibili per convincermi a mangiare, dicen­domi che Dio non era contento del mio digiuno. Arrivò ad insinuarmi scrupoli. Per di più le infermiere tentarono di pren­dermi dalla parte del cuore. Una volta il dottor Araújo volle perfino provare se riusciva a togliermi la fede. Si servì di quanto di meglio aveva la sua intelligenza mediante interrogatori interminabili e torturanti per scoraggiarmi, persuaso che quanto avveniva in me era dovuto ad influenza umana, non divina. Se ogni volta che ero inter­rogata avevo l'impressione di trovarmi davanti ad un lupo con pelle di agnello, in quel giorno fu assai peggio: mi parve di vedere in lui lo stesso satana che, con arte e sorrisi maligni, volesse strapparmi la fede e convincermi che tutto era illusione. Mi diceva: - Si convinca, signorina, che Dio non vuole che lei soffra! Se vuol salvare gli altri, li salvi Lui, se ne ha il potere! Se è vero che Dio ricompensa coloro che soffrono, non ha più ricompensa adeguata per lei che ha già sofferto troppo. - Ma, mio Dio [dicevo tra me], io so che Tu sei infinito, infinito nella potenza, infinito nei premi. Se fosse come dice lui, per chi soffro io? Il dott. Araújo accompagnava le sue parole con uno sguar­do malizioso, demoniaco (così mi pareva). Io allora risposi: - Sono tanto, tanto grandi le cose di Dio! E noi siamo tanto, tanto piccoli, almeno io! -

Non fiatò per un istante e poi, indignato, esclamò: - Ha ragione; ma io sono una persona ben più grande! - E se ne uscì. Era ben lungi dal conoscere questa legge di amore per le anime! Se sapesse il valore di un'anima, oh, allora vedrebbe che non è mai troppo quello che facciamo per salvarle! Piovevano costantemente umiliazioni e sacrifici. Se io almeno avessi saputo soffrire bene, avrei avuto tanto da offrire a Gesù. ­Mi si presentavano sempre nuove cose che umiliavano e ri­chiedevano sacrifici.

Avevo ai piedi del letto una foto di Giacinta di Fatima. La guardavo con amore e, senza alcun timore che le assistenti lo riferissero al dottore, sospiravo: - Cara Giacinta, anche se piccola, hai provato cosa costano queste cose! Dal cielo ove sei, aiutami! Solo l'aiuto del Cielo e le preghiere delle anime buone potranno darmi forza per salire un così doloroso calvario e sopportare il peso di questa pesantissima croce. -

Ogni volta che il dott. Araújo entrava mi faceva le stesse domande e mi lasciava spaventatissima quando mi diceva: - Dobbiamo parlarci a lungo. -

Quando lo vedevo uscire, respiravo profondamente e mi dicevo: - Benedetto sia il Signore, che te ne vai! - Ma il pensiero che sarebbe ritornato presto mi dava una sofferenza molto amara. Un giorno, seduto alla mia destra, cercò di convincermi che ero una illusa. Incominciò con un discorso molto vago sulla medicina e su di un suo professore di Oporto, al quale aveva presentato un lavoro di molte pagine elaborate dopo giorni e notti di studio. Era convinto di aver approfittato bene delle lezioni avute. Il professore, letto il lavoro, gli domandò: - P - sicuro di ciò che ha scritto? -

- Sì, sono sicuro, per questo e quest'altro motivo. - La conversazione si protraeva ed io fissavo il dottore fin­gendo di non comprendere le sue intenzioni e dicevo fra me: - Vai così lontano per cadere tanto vicino! - Intanto il dot­tore proseguiva: - Ero convinto di aver fatto un bel lavoro; il professore mi lasciò parlare e poi mi dimostrò che mi ero proprio sbagliato. Rimasi senza respiro: mio Dio, tante ore perdute! Tante ore di illusione! Il mio lungo studio era crol­lato in pochi istanti. – Io che, da parecchio tempo, vedevo dove il dottore voleva arrivare, sorrisi e dissi: - Ma il mio caso non crolla, signor dottore! Mi ha gui­data un direttore molto santo e molto saggio e mi ha studiata per vari anni. Se l'opera è di Dio, nulla la può far crollare! - Il dottore, un po' impacciato, fingendo che non era quella il significato delle sue parole, concluse: - Ah, no!... - Si alzò e in fretta se ne andò. Era tempo! Intanto mi confidavo solo con Gesù, l'unico con cui lo, potevo fare e gli offrivo le mie lacrime, che cercavo di nascon­dere all'assistente. Cantavo lodi a Gesù e a Mammina, fingen­domi colma di gioia. Cantavo con il maggiore entusiasmo, ma dentro di me ed ai miei propri occhi pareva non vi fosse né sole né giorno. Di notte alcune volte mi domandavo: - Cosa starà facendo: ora mia sorella? Starà piangendo? - Pensando che ella stava soffrendo per causa mia, una volta non ho potuto trattenere le lacrime. Quanto piansi! Avevo solo paura di disgustare Gesù, ma Egli sapeva che accettavo tutto per suo amore, con il de­siderio immenso di dargli tutte le anime. Infatti gli offersi anche le lacrime come atti d'amore per i tabernacoli.

« Quanto maggiore è l'amarezza, tanto maggiore è l'amore »: - non è così, mio Gesù? Accetta tutto. - Il sedicesimo ed il trentesimo giorno della mia perma­nenza ebbi la visita della mamma. Sentivo tanta nostalgia di lei! Poté stare poco tempo vicino a me e sempre sotto lo sguar­do indagatore delle spie. Ella piangeva e io fingevo di non avere cuore: le sorridevo, scherzavo, l'accarezzavo e, con il mio sorriso ingannatore, nascondevo l'amarezza dell'anima, bloccando le lacrime che volevano cadermi sul volto. L'ho in­coraggiata, sfogandomi intimamente con il mio Gesù. Era la mia croce: non dovevo portarla per amore di Colui che era morto per me?