Liturgia delle Ore - Letture
Martedi della 13° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Matteo 18
1In quel momento i discepoli si avvicinarono a Gesù dicendo: "Chi dunque è il più grande nel regno dei cieli?".2Allora Gesù chiamò a sé un bambino, lo pose in mezzo a loro e disse:3"In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.4Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli.
5E chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me.
6Chi invece scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare.7Guai al mondo per gli scandali! È inevitabile che avvengano scandali, ma guai all'uomo per colpa del quale avviene lo scandalo!
8Se la tua mano o il tuo piede ti è occasione di scandalo, taglialo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita monco o zoppo, che avere due mani o due piedi ed essere gettato nel fuoco eterno.9E se il tuo occhio ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te; è meglio per te entrare nella vita con un occhio solo, che avere due occhi ed essere gettato nella Geenna del fuoco.
10Guardatevi dal disprezzare uno solo di questi piccoli, perché vi dico che i loro angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio che è nei cieli.11È venuto infatti il Figlio dell'uomo a salvare ciò che era perduto.
12Che ve ne pare? Se un uomo ha cento pecore e ne smarrisce una, non lascerà forse le novantanove sui monti, per andare in cerca di quella perduta?13Se gli riesce di trovarla, in verità vi dico, si rallegrerà per quella più che per le novantanove che non si erano smarrite.14Così il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli.
15Se il tuo fratello commette una colpa, va' e ammoniscilo fra te e lui solo; se ti ascolterà, avrai guadagnato il tuo fratello;16se non ti ascolterà, prendi con te una o due persone, perché 'ogni cosa sia risolta sulla parola di due o tre testimoni'.17Se poi non ascolterà neppure costoro, dillo all'assemblea; e se non ascolterà neanche l'assemblea, sia per te come un pagano e un pubblicano.18In verità vi dico: tutto quello che legherete sopra la terra sarà legato anche in cielo e tutto quello che scioglierete sopra la terra sarà sciolto anche in cielo.
19In verità vi dico ancora: se due di voi sopra la terra si accorderanno per domandare qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli ve la concederà.20Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro".
21Allora Pietro gli si avvicinò e gli disse: "Signore, quante volte dovrò perdonare al mio fratello, se pecca contro di me? Fino a sette volte?".22E Gesù gli rispose: "Non ti dico fino a sette, ma fino a settanta volte sette.
23A proposito, il regno dei cieli è simile a un re che volle fare i conti con i suoi servi.24Incominciati i conti, gli fu presentato uno che gli era debitore di diecimila talenti.25Non avendo però costui il denaro da restituire, il padrone ordinò che fosse venduto lui con la moglie, con i figli e con quanto possedeva, e saldasse così il debito.26Allora quel servo, gettatosi a terra, lo supplicava: Signore, abbi pazienza con me e ti restituirò ogni cosa.27Impietositosi del servo, il padrone lo lasciò andare e gli condonò il debito.28Appena uscito, quel servo trovò un altro servo come lui che gli doveva cento denari e, afferratolo, lo soffocava e diceva: Paga quel che devi!29Il suo compagno, gettatosi a terra, lo supplicava dicendo: Abbi pazienza con me e ti rifonderò il debito.30Ma egli non volle esaudirlo, andò e lo fece gettare in carcere, fino a che non avesse pagato il debito.
31Visto quel che accadeva, gli altri servi furono addolorati e andarono a riferire al loro padrone tutto l'accaduto.32Allora il padrone fece chiamare quell'uomo e gli disse: Servo malvagio, io ti ho condonato tutto il debito perché mi hai pregato.33Non dovevi forse anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?34E, sdegnato, il padrone lo diede in mano agli aguzzini, finché non gli avesse restituito tutto il dovuto.35Così anche il mio Padre celeste farà a ciascuno di voi, se non perdonerete di cuore al vostro fratello".
Secondo libro di Samuele 17
1Achitòfel disse ad Assalonne: "Sceglierò dodicimila uomini: mi metterò ad inseguire Davide questa notte;2gli piomberò addosso mentre egli è stanco e ha le braccia fiacche; lo spaventerò e tutta la gente che è con lui si darà alla fuga; io colpirò solo il re3e ricondurrò a te tutto il popolo, come ritorna la sposa al marito. La vita di un solo uomo tu cerchi; la gente di lui rimarrà tranquilla".4Questo parlare piacque ad Assalonne e a tutti gli anziani d'Israele.5Ma Assalonne disse: "Chiamate anche Cusài l'Archita e sentiamo ciò che ha in bocca anche lui".6Quando Cusài fu giunto da Assalonne, questi gli disse: "Achitòfel ha parlato così e così; dobbiamo fare come ha detto lui? Se no, parla tu!".7Cusài rispose ad Assalonne: "Questa volta il consiglio dato da Achitòfel non è buono".8Cusài continuò: "Tu conosci tuo padre e i suoi uomini: sai che sono uomini valorosi e che hanno l'animo esasperato come un'orsa nella campagna quando le sono stati rapiti i figli; poi tuo padre è un guerriero e non passerà la notte con il popolo.9A quest'ora egli è nascosto in qualche buca o in qualche altro luogo; se fin da principio cadranno alcuni dei tuoi, qualcuno lo verrà a sapere e si dirà: C'è stata una strage tra la gente che segue Assalonne.10Allora il più valoroso, anche se avesse un cuore di leone, si avvilirà, perché tutto Israele sa che tuo padre è un prode e che i suoi uomini sono valorosi.11Perciò io consiglio che tutto Israele, da Dan fino a Bersabea, si raduni presso di te, numeroso come la sabbia che è sulla riva del mare, e che tu vada in persona alla battaglia.12Così lo raggiungeremo in qualunque luogo si troverà e gli piomberemo addosso come la rugiada cade sul suolo; di tutti i suoi uomini non ne scamperà uno solo.13Se invece si ritira in qualche città, tutto Israele porterà corde a quella città e noi la trascineremo nella valle, così che non se ne trovi più nemmeno una pietruzza".14Assalonne e tutti gli Israeliti dissero: "Il consiglio di Cusài l'Archita è migliore di quello di Achitòfel". Il Signore aveva stabilito di mandare a vuoto il saggio consiglio di Achitòfel per far cadere la sciagura su Assalonne.
15Allora Cusài disse ai sacerdoti Zadòk ed Ebiatàr: "Achitòfel ha consigliato Assalonne e gli anziani d'Israele così e così, ma io ho consigliato in questo modo.16Ora dunque mandate in fretta ad informare Davide e ditegli: Non passare la notte presso i guadi del deserto, ma passa subito dall'altra parte, perché non venga lo sterminio sul re e sulla gente che è con lui".
17Ora Giònata e Achimaaz stavano presso En-Roghèl, in attesa che una schiava andasse a portare le notizie che essi dovevano andare a riferire al re Davide; perché non potevano farsi vedere ad entrare in città.18Ma un giovane li vide e informò Assalonne. I due partirono di corsa e giunsero a Bacurìm a casa di un uomo che aveva nel cortile una cisterna.19Quelli vi si calarono e la donna di casa prese una coperta, la distese sulla bocca della cisterna e vi sparse grano pesto, così che non ci si accorgeva di nulla.20I servi di Assalonne vennero in casa della donna e chiesero: "Dove sono Achimaaz e Giònata?". La donna rispose loro: "Hanno passato il serbatoio dell'acqua". Quelli si misero a cercarli, ma, non riuscendo a trovarli, tornarono a Gerusalemme.
21Quando costoro se ne furono partiti, i due uscirono dalla cisterna e andarono ad informare il re Davide. Gli dissero: "Muovetevi e passate in fretta l'acqua, perché così ha consigliato Achitòfel a vostro danno".22Allora Davide si mosse con tutta la sua gente e passò il Giordano. All'apparire del giorno, neppure uno era rimasto che non avesse passato il Giordano.23Achitòfel, vedendo che il suo consiglio non era stato seguito, sellò l'asino e partì per andare a casa sua nella sua città. Mise in ordine gli affari della casa e s'impiccò. Così morì e fu sepolto nel sepolcro di suo padre.
24Davide era giunto a Macanàim, quando Assalonne passò il Giordano con tutti gli Israeliti.25Assalonne aveva posto a capo dell'esercito Amasà invece di Ioab. Amasà era figlio di un uomo chiamato Itrà l'Ismaelita, il quale si era unito a Abigàl, figlia di Iesse e sorella di Zeruià, madre di Ioab.26Israele e Assalonne si accamparono nel paese di Gàlaad.27Quando Davide fu giunto a Macanàim, Sobì, figlio di Nacàs che era da Rabbà, città degli Ammoniti, Machìr, figlio di Ammiel da Lodebàr, e Barzillài, il Galaadita di Roghelìm,28portarono letti e tappeti, coppe e vasi di terracotta, grano, orzo, farina, grano arrostito, fave, lenticchie,29miele, latte acido e formaggi di pecora e di vacca, per Davide e per la sua gente perché mangiassero; infatti dicevano: "Questa gente ha patito fame, stanchezza e sete nel deserto".
Proverbi 21
1Il cuore del re è un canale d'acqua in mano al Signore:
lo dirige dovunque egli vuole.
2Agli occhi dell'uomo tutte le sue vie sono rette,
ma chi pesa i cuori è il Signore.
3Praticare la giustizia e l'equità
per il Signore vale più di un sacrificio.
4Occhi alteri e cuore superbo,
lucerna degli empi, è il peccato.
5I piani dell'uomo diligente si risolvono in profitto,
ma chi è precipitoso va verso l'indigenza.
6Accumular tesori a forza di menzogne
è vanità effimera di chi cerca la morte.
7La violenza degli empi li travolge,
perché rifiutano di praticare la giustizia.
8La via dell'uomo criminale è tortuosa,
ma l'innocente è retto nel suo agire.
9È meglio abitare su un angolo del tetto
che avere una moglie litigiosa e casa in comune.
10L'anima del malvagio desidera far il male
e ai suoi occhi il prossimo non trova pietà.
11Quando il beffardo vien punito, l'inesperto diventa saggio
e quando il saggio viene istruito, accresce il sapere.
12Il Giusto osserva la casa dell'empio
e precipita gli empi nella sventura.
13Chi chiude l'orecchio al grido del povero
invocherà a sua volta e non otterrà risposta.
14Un regalo fatto in segreto calma la collera,
un dono di sotto mano placa il furore violento.
15È una gioia per il giusto che sia fatta giustizia,
mentre è un terrore per i malfattori.
16L'uomo che si scosta dalla via della saggezza,
riposerà nell'assemblea delle ombre dei morti.
17Diventerà indigente chi ama i piaceri
e chi ama vino e profumi non arricchirà.
18Il malvagio serve da riscatto per il giusto
e il perfido per gli uomini retti.
19Meglio abitare in un deserto
che con una moglie litigiosa e irritabile.
20Tesori preziosi e profumi sono nella dimora del saggio,
ma lo stolto dilapida tutto.
21Chi segue la giustizia e la misericordia
troverà vita e gloria.
22Il saggio assale una città di guerrieri
e abbatte la fortezza in cui essa confidava.
23Chi custodisce la bocca e la lingua
preserva se stesso dai dispiaceri.
24Il superbo arrogante si chiama beffardo,
egli agisce nell'eccesso dell'insolenza.
25I desideri del pigro lo portano alla morte,
perché le sue mani rifiutano di lavorare.
26Tutta la vita l'empio indulge alla cupidigia,
mentre il giusto dona senza risparmiare.
27Il sacrificio degli empi è un abominio,
tanto più se offerto con cattiva intenzione.
28Il falso testimone perirà,
ma l'uomo che ascolta potrà parlare sempre.
29L'empio assume un'aria sfrontata,
l'uomo retto controlla la propria condotta.
30Non c'è sapienza, non c'è prudenza,
non c'è consiglio di fronte al Signore.
31Il cavallo è pronto per il giorno della battaglia,
ma al Signore appartiene la vittoria.
Salmi 41
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2Beato l'uomo che ha cura del debole,
nel giorno della sventura il Signore lo libera.
3Veglierà su di lui il Signore,
lo farà vivere beato sulla terra,
non lo abbandonerà alle brame dei nemici.
4Il Signore lo sosterrà sul letto del dolore;
gli darai sollievo nella sua malattia.
5Io ho detto: "Pietà di me, Signore;
risanami, contro di te ho peccato".
6I nemici mi augurano il male:
"Quando morirà e perirà il suo nome?".
7Chi viene a visitarmi dice il falso,
il suo cuore accumula malizia
e uscito fuori sparla.
8Contro di me sussurrano insieme i miei nemici,
contro di me pensano il male:
9"Un morbo maligno su di lui si è abbattuto,
da dove si è steso non potrà rialzarsi".
10Anche l'amico in cui confidavo,
anche lui, che mangiava il mio pane,
alza contro di me il suo calcagno.
11Ma tu, Signore, abbi pietà e sollevami,
che io li possa ripagare.
12Da questo saprò che tu mi ami
se non trionfa su di me il mio nemico;
13per la mia integrità tu mi sostieni,
mi fai stare alla tua presenza per sempre.
14Sia benedetto il Signore, Dio d'Israele,
da sempre e per sempre. Amen, amen.
Daniele 14
1Il re Astiage si riunì ai suoi padri e gli succedette nel regno Ciro il Persiano.2Ora Daniele viveva accanto al re, ed era il più onorato di tutti gli amici del re.3I Babilonesi avevano un idolo chiamato Bel, al quale offrivano ogni giorno dodici sacchi di fior di farina, quaranta pecore e sei barili di vino.4Anche il re venerava questo idolo e andava ogni giorno ad adorarlo. Daniele però adorava il suo Dio e perciò il re gli disse: "Perché non adori Bel?".5Daniele rispose: "Io non adoro idoli fatti da mani d'uomo, ma soltanto il Dio vivo che ha fatto il cielo e la terra e che è signore di ogni essere vivente".6"Non credi tu - aggiunse il re - che Bel sia un dio vivo? Non vedi quanto beve e mangia ogni giorno?".7Rispose Daniele ridendo: "Non t'ingannare, o re: quell'idolo di dentro è d'argilla e di fuori è di bronzo e non ha mai mangiato né bevuto".8Il re s'indignò e convocati i sacerdoti di Bel, disse loro: "Se voi non mi dite chi è che mangia tutto questo cibo, morirete; se invece mi proverete che è Bel che lo mangia, morirà Daniele, perché ha insultato Bel".9Daniele disse al re: "Sia fatto come tu hai detto". I sacerdoti di Bel erano settanta, senza contare le mogli e i figli.10Il re si recò insieme con Daniele al tempio di Bel11e i sacerdoti di Bel gli dissero: "Ecco, noi usciamo di qui e tu, re, disponi le vivande e mesci il vino temperato; poi chiudi la porta e sigillala con il tuo anello. Se domani mattina, venendo, tu riscontrerai che tutto non è stato mangiato da Bel, moriremo noi, altrimenti morirà Daniele che ci ha calunniati".12Essi però non se ne preoccuparono perché avevano praticato un passaggio segreto sotto la tavola per il quale passavano abitualmente e consumavano tutto.
13Dopo che essi se ne furono andati, il re fece porre i cibi davanti a Bel:14Daniele ordinò ai servi del re di portare un po' di cenere e la sparsero su tutto il pavimento del tempio alla presenza soltanto del re; poi uscirono, chiusero la porta, la sigillarono con l'anello del re e se ne andarono.15I sacerdoti vennero di notte, secondo il loro consueto, con le mogli, i figli, e mangiarono e bevvero tutto.16Di buon mattino il re si alzò, come anche Daniele.17Il re domandò: "Sono intatti i sigilli, Daniele?". "Intatti, re" rispose.18Aperta la porta, il re guardò la tavola ed esclamò: "Tu sei grande, Bel, e nessun inganno è in te!".19Daniele sorrise e, trattenendo il re perché non entrasse, disse: "Guarda il pavimento ed esamina di chi sono quelle orme".20Il re disse: "Vedo orme d'uomini, di donne e di ragazzi!".21Acceso d'ira, fece arrestare i sacerdoti con le mogli e i figli; gli furono mostrate le porte segrete per le quali entravano a consumare quanto si trovava sulla tavola.22Quindi il re li fece mettere a morte, consegnò Bel in potere di Daniele che lo distrusse insieme con il tempio.
23Vi era un gran drago e i Babilonesi lo veneravano.24Il re disse a Daniele: "Non potrai dire che questo non è un dio vivente; adoralo, dunque".25Daniele rispose: "Io adoro il Signore mio Dio, perché egli è il Dio vivente; se tu me lo permetti, o re, io, senza spada e senza bastone, ucciderò il drago".26Soggiunse il re: "Te lo permetto".27Daniele prese allora pece, grasso e peli e li fece cuocere insieme, poi ne preparò focacce e le gettò in bocca al drago che le inghiottì e scoppiò; quindi soggiunse: "Ecco che cosa adoravate!".
28Quando i Babilonesi lo seppero, ne furono molto indignati e insorsero contro il re, dicendo: "Il re è diventato Giudeo: ha distrutto Bel, ha ucciso il drago, ha messo a morte i sacerdoti".29Andarono da lui dicendo: "Consegnaci Daniele, altrimenti uccidiamo te e la tua famiglia!".30Quando il re vide che lo assalivano con violenza, costretto dalla necessità consegnò loro Daniele.
31Ed essi lo gettarono nella fossa dei leoni, dove rimase sei giorni.32Nella fossa vi erano sette leoni, ai quali venivano dati ogni giorno due cadaveri e due pecore: ma quella volta non fu dato loro niente perché divorassero Daniele.
33Si trovava allora in Giudea il profeta Àbacuc il quale aveva fatto una minestra e spezzettato il pane in un recipiente e andava a portarlo nel campo ai mietitori.34L'angelo del Signore gli disse: "Porta questo cibo a Daniele in Babilonia nella fossa dei leoni".35Ma Àbacuc rispose: "Signore, Babilonia non l'ho mai vista e la fossa non la conosco".36Allora l'angelo del Signore lo prese per i capelli e con la velocità del vento lo trasportò in Babilonia e lo posò sull'orlo della fossa dei leoni.37Gridò Àbacuc: "Daniele, Daniele, prendi il cibo che Dio ti ha mandato".38Daniele esclamò: "Dio, ti sei ricordato di me e non hai abbandonato coloro che ti amano".39Alzatosi, Daniele si mise a mangiare, mentre l'angelo di Dio riportava subito Àbacuc nel luogo di prima.
40Il settimo giorno il re andò per piangere Daniele e giunto alla fossa guardò e vide Daniele seduto.41Allora esclamò ad alta voce: "Grande tu sei, Signore Dio di Daniele, e non c'è altro dio all'infuori di te!".42Poi fece uscire Daniele dalla fossa e vi fece gettare coloro che volevano la sua rovina ed essi furono subito divorati sotto i suoi occhi.
Atti degli Apostoli 21
1Appena ci fummo separati da loro, salpammo e per la via diretta giungemmo a Cos, il giorno seguente a Rodi e di qui a Pàtara.2Trovata qui una nave che faceva la traversata per la Fenicia, vi salimmo e prendemmo il largo.3Giunti in vista di Cipro, ce la lasciammo a sinistra e, continuando a navigare verso la Siria, giungemmo a Tiro, dove la nave doveva scaricare.4Avendo ritrovati i discepoli, rimanemmo colà una settimana, ed essi, mossi dallo Spirito, dicevano a Paolo di non andare a Gerusalemme.5Ma quando furon passati quei giorni, uscimmo e ci mettemmo in viaggio, accompagnati da tutti loro con le mogli e i figli sin fuori della città. Inginocchiati sulla spiaggia pregammo, poi ci salutammo a vicenda;6noi salimmo sulla nave ed essi tornarono alle loro case.7Terminata la navigazione, da Tiro approdammo a Tolemàide, dove andammo a salutare i fratelli e restammo un giorno con loro.
8Ripartiti il giorno seguente, giungemmo a Cesarèa; ed entrati nella casa dell'evangelista Filippo, che era uno dei Sette, sostammo presso di lui.9Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia.10Eravamo qui da alcuni giorni, quando giunse dalla Giudea un profeta di nome Àgabo.11Egli venne da noi e, presa la cintura di Paolo, si legò i piedi e le mani e disse: "Questo dice lo Spirito Santo: l'uomo a cui appartiene questa cintura sarà legato così dai Giudei a Gerusalemme e verrà quindi consegnato nelle mani dei pagani".12All'udir queste cose, noi e quelli del luogo pregammo Paolo di non andare più a Gerusalemme.13Ma Paolo rispose: "Perché fate così, continuando a piangere e a spezzarmi il cuore? Io sono pronto non soltanto a esser legato, ma a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù".14E poiché non si lasciava persuadere, smettemmo di insistere dicendo: "Sia fatta la volontà del Signore!".
15Dopo questi giorni, fatti i preparativi, salimmo verso Gerusalemme.16Vennero con noi anche alcuni discepoli da Cesarèa, i quali ci condussero da un certo Mnasóne di Cipro, discepolo della prima ora, dal quale ricevemmo ospitalità.
17Arrivati a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero festosamente.18L'indomani Paolo fece visita a Giacomo insieme con noi: c'erano anche tutti gli anziani.19Dopo aver rivolto loro il saluto, egli cominciò a esporre nei particolari quello che Dio aveva fatto tra i pagani per mezzo suo.20Quand'ebbero ascoltato, essi davano gloria a Dio; quindi dissero a Paolo: "Tu vedi, o fratello, quante migliaia di Giudei sono venuti alla fede e tutti sono gelosamente attaccati alla legge.21Ora hanno sentito dire di te che vai insegnando a tutti i Giudei sparsi tra i pagani che abbandonino Mosè, dicendo di non circoncidere più i loro figli e di non seguire più le nostre consuetudini.22Che facciamo? Senza dubbio verranno a sapere che sei arrivato.23Fa' dunque quanto ti diciamo: vi sono fra noi quattro uomini che hanno un voto da sciogliere.24Prendili con te, compi la purificazione insieme con loro e paga tu la spesa per loro perché possano radersi il capo. Così tutti verranno a sapere che non c'è nulla di vero in ciò di cui sono stati informati, ma che invece anche tu ti comporti bene osservando la legge.25Quanto ai pagani che sono venuti alla fede, noi abbiamo deciso ed abbiamo loro scritto che si astengano dalle carni offerte agli idoli, dal sangue, da ogni animale soffocato e dalla impudicizia".
26Allora Paolo prese con sé quegli uomini e il giorno seguente, fatta insieme con loro la purificazione, entrò nel tempio per comunicare il compimento dei giorni della purificazione, quando sarebbe stata presentata l'offerta per ciascuno di loro.
27Stavano ormai per finire i sette giorni, quando i Giudei della provincia d'Asia, vistolo nel tempio, aizzarono tutta la folla e misero le mani su di lui gridando:28"Uomini d'Israele, aiuto! Questo è l'uomo che va insegnando a tutti e dovunque contro il popolo, contro la legge e contro questo luogo; ora ha introdotto perfino dei Greci nel tempio e ha profanato il luogo santo!".29Avevano infatti veduto poco prima Tròfimo di Èfeso in sua compagnia per la città, e pensavano che Paolo lo avesse fatto entrare nel tempio.30Allora tutta la città fu in subbuglio e il popolo accorse da ogni parte. Impadronitisi di Paolo, lo trascinarono fuori del tempio e subito furono chiuse le porte.31Stavano già cercando di ucciderlo, quando fu riferito al tribuno della coorte che tutta Gerusalemme era in rivolta.32Immediatamente egli prese con sé dei soldati e dei centurioni e si precipitò verso i rivoltosi. Alla vista del tribuno e dei soldati, cessarono di percuotere Paolo.33Allora il tribuno si avvicinò, lo arrestò e ordinò che fosse legato con due catene; intanto s'informava chi fosse e che cosa avesse fatto.34Tra la folla però chi diceva una cosa, chi un'altra. Nell'impossibilità di accertare la realtà dei fatti a causa della confusione, ordinò di condurlo nella fortezza.35Quando fu alla gradinata, dovette essere portato a spalla dai soldati a causa della violenza della folla.36La massa della gente infatti veniva dietro, urlando: "A morte!".
37Sul punto di esser condotto nella fortezza, Paolo disse al tribuno: "Posso dirti una parola?". "Conosci il greco?, disse quello,38Allora non sei quell'Egiziano che in questi ultimi tempi ha sobillato e condotto nel deserto i quattromila ribelli?".39Rispose Paolo: "Io sono un Giudeo di Tarso di Cilicia, cittadino di una città non certo senza importanza. Ma ti prego, lascia che rivolga la parola a questa gente".40Avendo egli acconsentito, Paolo, stando in piedi sui gradini, fece cenno con la mano al popolo e, fattosi un grande silenzio, rivolse loro la parola in ebraico dicendo:
Capitolo XXXIX:Nessun affanno nel nostro agire
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, ogni tua faccenda affidala a me; al tempo giusto disporrò sempre io per il meglio. Attieniti al mio comando e ne sentirai vantaggio. O Signore, di gran cuore affido a te ogni cosa; poco infatti potranno giovare i miei piani. Volesse il cielo che io non fossi tanto preso da ciò che potrà accadere in futuro, e mi offrissi, invece, senza esitare alla tua volontà.
2. O figlio, capita spesso che l'uomo persegua con ardore alcunché di cui sente la mancanza; e poi, quando l'ha raggiunto, cominci a giudicare diversamente, perché i nostri amori non restano fermi intorno a uno stesso punto, e ci spingono invece da una cosa all'altra. Non è una questione da nulla rinunciare a se stessi, anche in cose di poco conto. Il vero progresso dell'uomo consiste nell'abnegazione di sé. Pienamente libero e sereno è appunto soltanto chi rinnega se stesso. Ecco, però, che l'antico avversario, il quale si pone contro tutti coloro che amano il bene, non tralascia la sua opera di tentazione; anzi, giorno e notte, prepara gravi insidie, se mai gli riesca di far cadere nel laccio dell'inganno qualcuno che sia poco guardingo. "Vegliate e pregate, dice i Signore, per non entrare in tentazione" (Mt 26,41).
LETTERA 88: A nome dei chierici d'Ippona Agostino si lamenta con Gennaro per le sevizie dei Circoncellioni contro i Cattolici
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta tra il 406 e il 408.
A nome dei chierici d'Ippona Agostino si lamenta con Gennaro per le sevizie dei Circoncellioni contro i Cattolici (n. 1, 6-9) e la loro ostinatezza contro i decreti dei Concili (n. 2-5); chiede che l'errore e la discordia vengano eliminati (n. 10-12).
IL CLERO CATTOLICO DELLA CIRCOSCRIZIONE ECCLESIASTICA D'IPPONA A GENNARO
Denunzia delle violenze dei Circoncellioni.
1. I vostri chierici e i vostri Circoncellioni si accaniscono contro di noi mettendo in atto una persecuzione di nuovo genere e di inaudita crudeltà. Anche se rendessero male per male, agirebbero in ogni modo contro la legge di Cristo. Ora però, esaminando attentamente tutte le vostre azioni e le nostre, risulta evidente che noi sperimentiamo a nostro danno ciò che sta scritto: Mi rendevano male per bene 1 e ciò che si legge in un altro salmo: Con quelli che avevano in odio la pace, ero pacifico; quando parlavo loro, mi perseguitavano senza ragione 2. Siccome poi sei in età assai avanzata, pensiamo che conoscerai come la setta di Donato, che dapprima a Cartagine era chiamata setta di Maggiorino, accusò senza motivo Ceciliano, allora vescovo della Chiesa di Cartagine, presso l'Imperatore di allora, il famoso Costantino. Nel timore però che la tua Nobiltà abbia per caso dimenticato questo particolare o dissimuli di conoscerlo, oppure forse realmente lo ignori (cosa che peraltro noi non pensiamo), accludiamo in questa nostra la copia del rapporto ufficiale del proconsole di quel tempo, Anulino, al quale la setta di Maggiorino si era rivolta perché dallo stesso fossero notificate all'imperatore le colpe da essi attribuite a Ceciliano.
AI NOSTRI AUGUSTI IMPERATORI L'EX CONSOLE ANULINO, PROCONSOLE D'AFRICA
Rapporto di Anulino a Costantino.
2. Il tuo devotissimo servo, ricevuti e venerati gli scritti divini della tua Maestà, ha procurato di comunicarli ufficialmente a Ceciliano e a quelli che vivono sotto di lui [ai suoi sudditi] chiamati chierici; ho esortato costoro a concludere l'unità con l'accordo di tutti, dato che, per grazioso indulto della tua Maestà, si vedono liberati da ogni servizio pubblico; li ho esortati a dedicarsi alle cose divine mantenendo la dovuta santità nella religione cattolica. Pochi giorni dopo però sono venuti fuori alcuni con una gran folla di gente unitasi ad essi per opporsi a Ceciliano. Costoro hanno presentato al tuo umilissimo servo un fascicolo di pergamena e un libretto senza sigillo, e mi hanno chiesto caldamente di spedirlo al sacro e venerato Tribunale imperiale della tua sacra Maestà. Il tuo umilissimo servo ha procurato di spedire tutto alla tua Maestà, unitamente ai processi verbali dei medesimi fatti, affinché possa esaminarli e decidere in merito: Ceciliano ad ogni modo rimane nella sua cattedra. Sono stati inviati pure due fascicoli, uno in pergamena intitolato Denuncia della Chiesa Cattolica contro le colpe di Ceciliano presentata dal partito di Maggiorino, l'altro senza sigillo unito alla stessa in pergamena. Consegnato il 15 aprile in Cartagine al Signore Nostro Costantino Augusto, Console per la terza volta.
I Concili di Roma e Arles riconoscono l'innocenza di Ceciliano.
3. Ricevuto quel rapporto, l'imperatore diede ordine alle parti di convenire a Roma perché i vescovi discutessero la causa e la definissero giudizialmente. Orbene, gli Atti ecclesiastici dimostrano chiaramente come la causa fu dibattuta e definita: Ceciliano fu giudicato innocente. Ormai, dopo quel sereno ed equilibrato giudizio, sarebbe dovuta cessare qualunque ostinazione di rivalità e d'animosità. Ecco invece i vostri antenati tornare alla carica presso l'imperatore, lamentandosi che il processo non si era svolto secondo le norme giuridiche e la causa non era stata esaminata in tutti i suoi aspetti. Ecco allora l'imperatore concedere che si celebrasse un secondo processo ad Arles, città della Gallia: lì però molti vescovi della vostra setta condannarono l'inutile e diabolico scisma e tornarono in comunione con Ceciliano; altri, invece, animati da irriducibile ostinazione e da immane mania di litigare, si appellarono di nuovo al medesimo imperatore. Anch'egli allora si vide costretto a definire la causa dei vescovi già dibattuta tra le parti e fu il primo ad emanare una legge contro la vostra setta: in forza di essa i luoghi delle vostre adunanze dovevano passare in proprietà del tesoro imperiale. Se volessimo accludere i documenti di tutti questi fatti, ne verrebbe fuori un volume e non una semplice lettera. Non dobbiamo però in nessun modo passare sotto silenzio il fatto che per l'insistenza dei vostri presso l'imperatore fu discussa e definita in pubblico processo la causa di Felice di Aptungi; di colui cioè che i vostri, nel vostro concilio di Cartagine, presieduto da Secondo, primate di Tigisi, dichiararono ch'era stato la prima causa di tutti i mali. La prova? E' lo stesso imperatore, già ricordato, ad attestare in una sua lettera, di cui riportiamo la copia qui appresso, che furono i vostri a inoltrargli accuse ed appelli incessanti a proposito di quella causa.
GLI IMPERATORI CESARI FLAVIO COSTANTINO MASSIMO E VALERIO LICINIANO LICINIO, A PROBIANO, PROCONSOLE DELL'AFRICA
Lettera di Costantino sulla petulanza dei Donatisti.
4. Il tuo predecessore Eliano, mentre adempiva le funzioni di Vero, uomo perfettissimo e vicario dei prefetti della nostra Africa, impedito da infermità, credette opportuno, a giusta ragione, di avocare al proprio esame ed alla propria giurisdizione, tra tutte le altre cause, anche la questione dell'ostilità che sembra sia stata sollevata contro Ceciliano, vescovo della Chiesa Cattolica. Di fatto ordinò che si presentassero a lui il centurione Superio, il magistrato di Aptungi Ceciliano, l'ex capo dei curiali Saturnino, Celibio il giovane, capo dei curiali della medesima città e Solo, usciere municipale della suddetta città, e li giudicò nei modi conformi alla legge, in merito all'accusa imputata a Ceciliano: questa gli rinfacciava d'essere stato ordinato dal vescovo Felice, che a sua volta sarebbe stato - al dire degli avversari - colpevole di aver consegnato e dato alle fiamme le Sacre Scritture. Sennonché risultò che Felice era innocente dell'imputazione mossagli. Ultimamente Massimo accusò Ingenzio, decurione della città di Zicca, d'aver falsificato la lettera di Ceciliano ex duumviro. Constatammo anzi coi nostri occhi, negli Atti municipali giacenti nell'archivio, come lo stesso Ingenzio era stato arrestato, ma non torturato in quanto aveva dichiarato di essere decurione della città di Zicca. Ordiniamo quindi che il citato Ingenzio sia da te inviato sotto buona scorta al Tribunale imperiale di me, Costantino Augusto. Potrà in tal modo comparire davanti a quelli che attualmente intentano il processo e non cessano di appellarsi ogni giorno all'imperatore; ad essi, che saranno presenti di persona, potrà proclamare e persuaderli che istigano, senza alcun ragionevole motivo, un movimento ostile a Ceciliano ed hanno cercato di sollevarsi con la forza contro di lui. Solo così potrà ottenersi che, messe da parte simili contese, il popolo pratichi la propria religione col dovuto ossequio.
Gli stessi Donatisti provocarono i verdetti imperiali contro di loro.
5. Orbene, vedendo che i fatti stanno così, perché mai cercate di sollevare contro di noi l'odiosità, derivante dalle disposizioni imperiali promulgate contro di voi? Non siete stati forse proprio voi i primi a fare tutto quello che ora ci rimproverate? Se gli imperatori in simili questioni non devono intervenire con le loro disposizioni, se una siffatta sollecitudine non compete a imperatori cristiani, chi costrinse i vostri antenati a deferire la causa di Ceciliano all'imperatore per tramite del proconsole? Chi li costrinse ad accusare di nuovo presso di lui quel vescovo contro il quale, pur assente, avevate comunque già pronunciata la sentenza? E dopo che era stato dichiarato innocente, chi vi costrinse a tramare altre calunnie presso l'imperatore a danno di Felice, che lo aveva ordinato vescovo? E attualmente quale sentenza contraria alla vostra setta conserva ancora la sua validità tranne quella di Costantino il Grande? Non fu essa preferita dai vostri stessi antenati a quella dei vescovi ed estorta con insistenti appelli all'imperatore? Le sentenze imperiali vi dispiacciono? Ebbene, chi furono i primi a costringere gli imperatori ad emanarle? Adesso voi gridate contro la Chiesa Cattolica per i decreti promulgati contro di voi dagli imperatori! Allo stesso modo avrebbero voluto gridare contro Daniele quelli che, dopo che egli era stato liberato, furono gettati nella fossa dei leoni, dai quali prima volevano che egli fosse divorato 3! S'avvera quel che sta scritto: Non c'è differenza tra le minacce del re e l'ira del leone 4. I nemici con le loro calunnie fecero gettare Daniele nella fossa dei leoni, ma la sua innocenza trionfò sulla loro malvagità. Daniele uscì illeso dalla fossa, ove furono gettati loro, trovandovi la morte. Nello stesso modo i vostri antenati, per togliere di mezzo Ceciliano e i suoi compagni, li gettarono in pasto all'ira del monarca; ma la sua innocenza trionfò ed ora voi subite da parte degli imperatori le stesse pene che i vostri avrebbero voluto far subire a quelli. Si avvera così quanto è scritto: Chi prepara la fossa al prossimo, vi cadrà lui stesso 5.
Crimini dei Donatisti; i criminali premiati.
6. Qual motivo dunque avete di lamentarvi di noi? Eppure, nonostante tutto, la mansuetudine della Chiesa Cattolica sarebbe rimasta completamente soddisfatta anche solo di quelle disposizione imperiali, ma i vostri chierici e i vostri Circoncellioni, a causa delle loro mostruose scellerataggini e delle violenze da forsennati, con cui avete turbato e sconvolto la nostra tranquillità, l'hanno costretta a ricordare queste vostre imprese e a metterle nuovamente in luce. Di fatto, prima che fossero giunte in Africa le disposizioni più recenti, di cui vi lamentate, i vostri erano soliti tendere agguati nelle strade ai nostri vescovi, rompere le ossa dei nostri chierici a forza di orribili percosse, infliggere gravissime ferite ai nostri laici e appiccare il fuoco alle loro case! Arrivarono perfino a trascinare via di casa un prete che aveva preferito aderire di sua spontanea volontà all'unità della nostra comunione: dopo essersi sfogati a batterlo con cinica ed atroce voluttà, lo rotolarono in una pozzanghera melmosa, poi, dopo avergli messo addosso una specie di camiciotto di giunchi, durante la processione svoltasi per celebrare il loro scellerato trionfo, lo condussero in giro, fatto oggetto di compassione per alcuni, per altri di scherno; trascinatolo infine lontano di là, dove loro piacque, lo rimandarono libero, dopo ben dodici giorni. Fu allora convocato Proculiano dal nostro vescovo, mediante intimazione del municipio; ma egli fece solo finta di fare le indagini, per cui fu convocato una seconda volta: allora dichiarò nei verbali pubblici che non avrebbe detto una parola di più! E oggi gli autori di quel delitto sono vostri preti che ancora ci incutono terrore e ci perseguitano a loro talento!
Volontà di pace dei cattolici ed ostinato ostruzionismo dei Donatisti.
7. Ciononostante, il nostro vescovo non presentò alcuna denuncia all'imperatore per tutti quei vostri oltraggi e persecuzioni, a cui era stata fatta segno allora la Chiesa Cattolica in questa nostra contrada. In un Concilio fu invece decisa una conferenza per discutere pacificamente con voi e indurvi, se possibile, a incontrarvi tra voi stessi affinché, tolto di mezzo l'errore dell'eresia, la carità dei fratelli si potesse rallegrare nel vincolo della pace 6. Ora, nella detta conferenza, Proculiano dapprima rispose che avreste tenuto un Concilio per esaminare la risposta da dare; in seguito però, convocato di nuovo, a proposito della sua promessa dichiarò espressamente nei verbali pubblici che non voleva saperne di una discussione pacifica, come la tua Nobiltà può informarsi direttamente dagli Atti ufficiali. Siccome poi la mostruosa ferocia dei vostri chierici e Circoncellioni, arcinota a tutti, non cessava, fu celebrato il processo e Proculiano fu giudicato eretico con Crispino; la mansuetudine dei Cattolici però non permise che fosse colpito dalla multa delle dieci libbre d'oro comminate dagli imperatori contro gli eretici. Ciononostante egli credette suo dovere di appellarsi agli imperatori. E che cosa costrinse a dare quella risposta al suo appello, se non la precedente malvagità dei vostri che vi aveva spinti pure a inoltrare l'appello? E tuttavia, anche dopo il rescritto di condanna, grazie ai buoni uffici interposti dai nostri vescovi presso l'imperatore, egli non fu colpito dalla multa di dieci libbre d'oro. Dal Concilio poi i nostri vescovi inviarono ambasciatori alla Corte imperiale, per ottenere che la multa delle dieci libbre d'oro, stabilita contro gli eretici, non colpisse tutti i vescovi e i chierici del vostro partito, ma solo quelli nel cui territorio la Chiesa Cattolica subisse violenze da parte dei vostri. Quando però gli ambasciatori giunsero a Roma, l'imperatore era già rimasto talmente impressionato dai segni delle orribili e recentissime ferite ricevute dal vescovo cattolico di Bagai, che emanò le leggi le quali poi furono pure spedite. E quando esse giunsero in Africa e cominciavano a sollecitarvi verso il bene anziché verso il male, cos'altro mai avreste potuto fare, se non mandare a dire ai nostri vescovi che, allo stesso modo ch'essi vi avevano invitati a conferire con loro, così voi l'invitavate a vostra volta, affinché nella conferenza apparisse chiara la verità?
Inaudita crudeltà dei Circoncellioni.
8. Orbene, non solo non lo faceste, ma ancora adesso i vostri compiono azioni ben peggiori contro di noi. Non solo ci rompono le ossa a bastonate o ci uccidono a stoccate, ma sono arrivati ad escogitare l'incredibile e criminale espediente di accecare i nostri versando nei loro occhi della calce mista ad aceto! Saccheggiando poi le nostre case si fabbricano armi, con le quali vanno scorrazzando per tutte le direzioni, minacciosi e assetati di stragi, rapine, incendi e accecamenti. Per tutti questi misfatti siamo stati costretti a presentare le nostre proteste anzitutto a te, perché la tua Nobiltà voglia considerare quanti di voi, anzi tutti voi che vi dite vittime della persecuzione, pure essendo sotto le leggi imperiali, da voi giudicate come efferate, ve ne state tuttavia tranquilli e indisturbati nei vostri possedimenti mentre noi subiamo inaudite violenze da parte dei vostri. Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e intanto noi veniamo massacrati dalle vostre bastonate e stoccate! Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e noi frattanto abbiamo le nostre case devastate e saccheggiate dai vostri sgherri! Voi vi andate proclamando vittime della persecuzione e intanto i nostri occhi vengono spenti dai vostri scherani con calce ed aceto! Ma non basta; anche se qualcuno si dà la morte da se stesso, si cerca che tale genere di morte procuri a noi odiosità, a voi al contrario celebrità! Non vogliono riconoscersi colpevoli del male che fanno a noi, mentre poi rigettano su di noi la colpa del male che si fanno da se stessi! Vivono da briganti, muoiono da Circoncellioni e infine vengono venerati come martiri. Eppure non abbiamo mai sentito dire nemmeno a proposito dei briganti, che abbiano talora accecato delle persone dopo averle depredate! Tolgono sì alla luce quelli che uccidono, ma non tolgono la luce a quelli che lasciano vivi!
Odio dei Donatisti, amore dei Cattolici.
9. Se talvolta noi riusciamo ad avere nelle nostre mani qualcuno dei vostri seguaci, badiamo con grande affetto a conservarli illesi, conversiamo con essi e leggiamo loro tutto ciò con cui si può confutare vittoriosamente l'eresia che separa i fratelli dai fratelli; mettiamo così in pratica l'ordine dato dal Signore per bocca del profeta Isaia, nel passo che dice: Udite la parola del Signore, voi che l'ascoltate con timoroso ossequio. A quelli che vi odiano o vi ripudiano dite: " Nostri fratelli voi siete " affinché il nome del Signore sia venerato e appaia loro nella gioia e restino confusi 7. In tal modo ricongiungiamo alla fede che essi perdettero alcuni di loro, ricongiungiamo alla carità dello Spirito Santo e al corpo di Cristo [la Chiesa] quelli che considerano l'evidenza della verità e la bellezza della pace; non li ricongiungiamo però al battesimo da essi già ricevuto e che, per quanto disertori, conservano come distintivo indelebile del re. Poiché sta scritto: Purificando i loro cuori con la fede 8; come pure: La carità copre la moltitudine dei peccati 9. Ma se rifiutano di ritornare in armonia con l'unità di Cristo per ostinazione o per vergogna, non essendo capaci di sopportare gli insulti di coloro con i quali blateravano tante falsità e tramavano tante malvagità contro di noi, o più spesso, per evitare di subire d'ora in poi da noi le prepotenze che prima compivano contro di noi; in tal caso, come li abbiamo trattenuti illesi, così pure vengono lasciati andare illesi. Rivolgiamo poi ogni specie di ammonizioni possibili anche ai nostri laici di trattenerli presso di loro illesi e di condurli a noi per correggerli ed istruirli. Orbene, alcuni ci danno ascolto e, se possono, agiscono così; altri invece li trattano come briganti, essendo in realtà vittime delle loro angherie brigantesche. Alcuni cioè sono costretti a ferirli per non essere feriti prima essi stessi e a respingere i colpi pronti ad abbattersi sulle loro teste. Alcuni li agguantano e poi li consegnano ai giudici e non perdonano loro neppure quando c'interponiamo con le nostre suppliche, poiché hanno una terribile paura di subire mali orrendi da parte di essi. Ad ogni modo essi non desistono dall'agire come briganti e poi pretendono di essere onorati come martiri.
Desiderio di una discussione pacifica.
10. Questo è dunque il nostro desiderio che esprimiamo alla tua Nobiltà mediante la presente lettera e che ti comunichiamo anche per bocca dei fratelli a te inviati. Cercate anzitutto di svolgere possibilmente una pacifica discussione coi nostri vescovi per raggiungere i seguenti scopi: eliminare l'errore nella parte ove si troverà, senza punire persone ma correggendole; cercare di decidervi a tenere tra voi la riunione da voi già respinta. Tanto meglio poi se delle decisioni, che prenderete, invierete una relazione scritta e sottoscritta all'imperatore, anziché alle autorità civili, le quali non possono ormai far altro che eseguire fedelmente le leggi emanate contro di voi. Risulta infatti che i vostri colleghi, i quali si erano recati per mare alla Corte, dissero ai Prefetti che essi erano andati per avere udienza. Fecero a questo proposito il nome di quel nostro santo padre, il vescovo Valentino, che si trovava allora alla Corte, affermando che volevano essere ascoltati con lui. Il giudice però non poteva concedere una simile cosa perché doveva ormai giudicare a norma delle leggi già promulgate contro di voi: il vescovo poi non si era recato a Corte per quello scopo e neppure aveva avuto un simile mandato da parte dei vescovi della sua comunità. Quanto meglio dunque potrà pronunciare un giudizio su tutta la vertenza (anche se già dibattuta e chiusa), l'imperatore in persona, quando gli verrà letta la relazione della vostra conferenza; non essendo egli soggetto alle stesse leggi, ha il potere di fare altre leggi. Noi però vogliamo trattare con voi non per definire una seconda volta la vertenza, ma per dimostrare a quelli, che ancora non lo sanno, ch'essa è già definita. E se i vostri vescovi acconsentiranno a fare ciò, che cosa avete da perdere? Vi guadagnate anzi, perché apparirà sempre più chiara la vostra disposizione d'animo e non vi potrà essere rimproverata ragionevolmente la vostra diffidenza. Pensate forse per caso che ciò non sia lecito, sebbene non ignoriate che Cristo Signore parlò della Legge perfino col diavolo 10? Inoltre non sapete forse che discussero con l'apostolo Paolo non solo i Giudei, ma anche i filosofi pagani della setta degli Stoici e degli Epicurei 11? Forse che le attuali leggi dell'imperatore non vi permettono di abboccarvi coi nostri vescovi? Ebbene abboccatevi intanto con i vostri vescovi della regione di Ippona, dove noi siamo vittime di tanti maltrattamenti da parte dei vostri! Quanto sarebbe invece più corretto da parte dei vostri e a noi più accetto, se ci arrivassero vostre lettere piuttosto che le loro armi!
Perché mai i Donatisti non fanno essi stessi quanto pretendono dagli altri?
11. Insomma, inviateci una risposta scritta, quale noi ci auguriamo, per il tramite dei nostri fratelli che vi abbiamo inviato! Se poi rifiutate pure questo, ascoltateci almeno insieme ai vostri, da parte dei quali subiamo i maltrattamenti già accennati. Mostrateci il vero motivo per cui andate dicendo che siete vittime d'una persecuzione, mentre siamo proprio noi le vittime di orribili crudeltà da parte dei vostri! Infatti, anche se proverete che siamo in errore, forse ci potete almeno concedere di non essere ribattezzati da voi. Crediamo sia giusto che una tale grazia sia concessa a noi che siamo stati battezzati da coloro che voi condannaste senza processare. La medesima grazia non la concedeste forse a coloro che erano stati battezzati da Feliciano di Musti e da Protestato di Assuri per sì lungo tempo, quando, in base a ordinanze giudiziarie, tentavate di cacciarli dalle basiliche perché erano in comunione con Massimiano insieme al quale erano stati condannati espressamente e nominatamente nel Concilio di Bagai? Tutti questi fatti ve li proviamo coi verbali ufficiali dell'autorità giudiziaria e municipale; quei verbali a cui voi allegaste perfino gli Atti del vostro concilio, volendo dimostrare per qual motivo avevate cacciato dalle basiliche i vostri scismatici. Nonostante tutto questo, voi che vi siete separati col vostro scisma nientemeno che dal Discendente di Abramo nel quale sono benedette tutte le genti 12, non volete essere cacciati dalle basiliche, e non per intimazione dei giudici così come voi scacciaste i vostri scismatici, ma in forza di leggi dei capi supremi della terra i quali, secondo la profezia avveratasi 13, adorano Cristo e al cui tribunale accusaste Ceciliano; siccome però foste sconfitti, doveste battervela in ritirata.
La Chiesa non sarà abbandonata da Dio.
12. Se però non volete né ascoltarci né informarci, venite oppure mandate con noi nel territorio d'Ippona persone che vedano i vostri soldati armati: che dico soldati? Nessun soldato aggiunge al numero delle sue armi calce e aceto da gettare negli occhi dei barbari! Se non volete fare neppure questo, scrivete almeno a quei vostri masnadieri che cessino di compiere le loro scelleratezze, si astengano dal massacrare i nostri, dal fare rapine, dall'accecare le persone! Non vogliamo dirvi: " Condannateli ". Sarà affare vostro vedere come non riescano a contaminarvi costoro appartenenti alla vostra comunione e che vi abbiamo più su dimostrato essere dei briganti, e come invece noi saremmo contaminati da coloro che non siete mai riusciti a dimostrare esser stati dei " traditori ". Scegliete quel che più vi piace. Se poi voi disprezzate queste nostre denunce, noi non ci pentiremo affatto di aver voluto trattare con voi con disposizioni pacifiche. Il Signore non mancherà d'assistere la sua Chiesa in modo che sarete piuttosto voi a dovervi pentire d'aver disprezzato la nostra moderazione.
1 - Sal 34, 12.
2 - Sal 119, 7.
3 - Dn 6, 16-24.
4 - Prv 19, 12.
5 - Sir 27, 29.
6 - Ef 4, 3.
7 - Is 66, 5.
8 - At 15, 9.
9 - 1 Pt 4, 8.
10 - Mt 4, 1-10.
11 - At 17, 18 ss.
12 - Gn 22, 18.
13 - Cf. Sal 71, 14.
28 - Lucifero persevera con le sue sette legioni nel tentare Maria santissima.
La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca359. Se il principe delle tenebre avesse potuto retrocedere nella sua iniquità, le vittorie che la Regina del cielo aveva riportato sarebbero bastate per abbattere ed umiliare la sua esorbitante superbia. Siccome, però, egli si solleva sempre contro Dio e non è mai sazio della sua malizia, fu vinto, ma non si arrese volontariamente. Bruciava tra le fiamme del suo inestinguibile furore, vedendosi vinto da un'umile e giovane donna, mentre lui ed i suoi ministri infernali avevano sottomesso tanti uomini forti e donne magnanime. Questo nemico giunse a conoscere che Maria santissima era incinta, avendo Dio disposto così, anche se seppe solamente che nel suo grembo c'era un bambino vero, perché la divinità e gli altri misteri sempre rimanevano celati a questi nemici; così, si persuasero che non era il Messia promesso, essendo un bambino come gli altri. Questo inganno li dissuase anche dal credere che Maria santissima fosse la madre del Verbo, che temevano avrebbe loro schiacciato la testa. Tuttavia, giudicarono che da una donna tanto forte e vittoriosa dovesse nascere qualche uomo insigne in santità. Prevedendo ciò, il grande drago concepì contro il frutto di Maria santissima quel furore di cui san Giovanni parla nel capitolo dodicesimo dell'Apocalisse, da me altre volte riferito, attendendo che ella lo partorisse per divorarselo.
360. Lucifero sperimentò un'occulta virtù che l'opprimeva, nell'osservare con premura quel bambino racchiuso nel grembo della sua Madre santissima. Anche se sentiva solamente che alla sua presenza era debole di forze e come legato, questo bastava per inferocirlo e spingerlo a tentare con tutti i mezzi di uccidere quel Figlio a lui tanto sospetto e la Madre, che riconosceva tanto superiore in battaglia. Si manifestò alla purissima Signora in diverse maniere; prendendo spaventose forme visibili, come di toro ferocissimo e di drago terribile, o sotto altro aspetto, bramava avvicinarsi a lei, ma non poteva. Cercava di investirla e si sentiva impedito, senza sapere da chi né come. Si dimenava come una fiera legata ed emetteva così spaventosi ruggiti che, se Dio non li avesse tenuti nascosti, avrebbero sbigottito il mondo e molti sarebbero morti di paura. Lanciava dalla bocca fuoco e fumo di zolfo con schiume velenose. La divina Principessa vedeva ed ascoltava tutto ciò senza turbarsi più che se avesse visto un moscerino. Il nemico causò altri sconvolgimenti nei venti, nella terra e nella casa, scompigliando e mettendo sottosopra ogni cosa; ma neppure per questo Maria santissima perse la serenità e la tranquillità interiore ed esteriore, poiché sempre rimase invitta e superiore a tutto.
361. Al vedersi così superato, Lucifero aprì la sua immondissima bocca e, muovendo la sua lingua bugiarda e sporca, vomitò la malignità che teneva racchiusa in sé, proponendo e nominando alla presenza della celeste Imperatrice tutte le eresie e le sette infernali che aveva architettato con l'aiuto dei suoi depravati ministri. Quando erano stati tutti scacciati dal cielo ed avevano conosciuto che il Verbo divino si sarebbe incarnato per essere capo di un popolo che avrebbe arricchito con favori ed insegnamenti celesti, il drago aveva determinato di inventare errori, sette ed eresie contro tutte le verità che andava scoprendo in ordine alla conoscenza, all'amore ed al culto dell'Altissimo. I demoni avevano impiegato in questo i molti anni che erano passati sino alla venuta di Cristo Signore nostro al mondo. Lucifero, come serpente antico, teneva tutto questo veleno racchiuso nel suo petto. Allora lo vomitò interamente contro la Madre della verità e della purezza e, desiderando infettarla, proferì tutti gli errori che aveva inventato sino a quel giorno contro Dio e la sua verità.
362. Se nel capitolo precedente non è stato opportuno dichiarare tutte le tentazioni, meno ancora conviene riferire qui tali errori, perché non solamente ciò è pericoloso per i deboli, ma anche i molto robusti devono temere questo alito pestifero di Lucifero, che in questa occasione scagliò e diffuse tutto. Per quello che ho compreso, credo senza dubbio che non restò falsità, idolatria né eresia alcuna di quante se ne sono conosciute sino ad oggi nel mondo che questo drago non presentasse alla sovrana Maria, affinché la santa Chiesa in premio delle sue vittorie potesse cantare di lei con ogni verità che ella sola abbatté e soffocò tutte le eresie nel mondo intero. Molto operò la nostra vittoriosa Sulammita, nella quale niente si trovava che non fosse un coro di virtù, ordinate in forma di squadroni per opprimere, abbattere e confondere gli eserciti infernali. Ella contraddisse, detestò, anatematizzò tutte le loro falsità, ciascuna con invitta fede e confessione altissima, professando le verità contrarie, magnificando per queste il Signore come vero, giusto e santo e componendo cantici di lode nei quali erano racchiuse le virtù e la dottrina vera, santa, pura e lodevole. Domandò con fervorosa orazione al Signore che umiliasse in ciò la superba alterigia dei demoni, che li frenasse, affinché non spargessero tanti e così velenosi insegnamenti nel mondo, e che non prevalessero quelli che Lucifero già aveva sparso né quelli che avrebbe tentato di seminare in avvenire fra gli uomini.
363. Per questa grande vittoria della nostra celeste Regina e per la preghiera che fece, compresi che l'Altissimo giustamente impedì al demonio di seminare nel mondo come zizzania tanti errori quanti egli desiderava ed i peccati degli uomini meritavano. Anche se a causa di questi sono state tante le eresie e le sette che finora si sono viste, ve ne sarebbero state molte di più se Maria santissima non avesse schiacciato la testa al drago con tante insigni vittorie e preghiere. Nel dolore e nell'amarezza di vedere la santa Chiesa così afflitta da tanti nemici infedeli, ci può consolare un grande mistero che qui mi fu rivelato: in questo trionfo di Maria santissima ed in un altro che ella riportò dopo l'ascensione del suo Figlio santissimo al cielo - del quale parlerò nella terza parte - sua Maestà concesse alla nostra Regina, come premio di queste battaglie, che per la sua intercessione e per le sue virtù scomparissero le eresie e le sette presenti nel mondo. Non ho conosciuto il tempo stabilito per questo beneficio, ma, sebbene questa promessa del Signore abbia qualche condizione tacita o nascosta, sono certa che i principi cattolici ed i loro vassalli diverrebbero come strumenti di questa Signora nel debellare con grandi ed insigni vittorie gli infedeli, annientando le sette e gli errori che rovinano tanto il mondo, se si guadagnassero il favore della grande regina del cielo e della terra, la invocassero come loro unica avvocata e protettrice ed utilizzassero tutte le loro ricchezze ed il loro potere per l'esaltazione della fede e del nome di Dio e di Maria purissima; questa sarà forse la condizione della promessa.
364. Prima che nascesse Cristo nostro redentore, al demonio parve che egli stesse ritardando la sua venuta a causa dei peccati del mondo. Per impedirla del tutto pretese di aumentare questo ostacolo e di moltiplicare gli errori e le colpe fra i mortali; ma il Signore confuse la sua iniqua superbia, per mano della sua Madre santissima, con i trionfi grandiosi che questa riportò. Dopo la nascita e la morte di Cristo, poi, il medesimo drago pretese di rendere vano il frutto del suo sangue e l'effetto della nostra redenzione, per cui cominciò a seminare gli errori che, dopo gli Apostoli, hanno afflitto ed affliggono la santa Chiesa. Cristo Signore nostro ha affidato alla sua Madre santissima anche la vittoria contro questa iniquità infernale, perché solamente ella meritò tanto, o poté meritarlo. Per lei ebbe fine l'idolatria con la predicazione del Vangelo; per lei si estinsero altre sette antiche, come quelle di Ario, di Nestorio, di Pelagio e di altri; ella, ancora, ha aiutato la fatica e la sollecitudine dei re, dei principi, dei padri e dei dottori della santa Chiesa. Dunque, come si può dubitare che, se adesso con ardente zelo gli stessi principi cattolici, sia ecclesiastici sia laici, facessero ogni sforzo nell'aiutare - per così dire - questa divina Signora, ella tralascerebbe di assisterli, di renderli felicissimi in questa vita e nell'altra e di distruggere tutte le eresie del mondo? Appunto per tale fine il Signore ha tanto arricchito la sua Chiesa e le monarchie cattoliche, perché, se non fosse per questa ragione, starebbero meglio povere. Non era, però, opportuno operare tutto attraverso miracoli, ma conveniva farlo anche con i mezzi naturali, dei quali si possono avvalere con le ricchezze. Se poi essi adempiano o meno questo dovere, non tocca a me giudicarlo. Mi spetta solamente dire quello che il Signore mi ha fatto conoscere, cioè che malamente possiedono i titoli onorifici e la potestà suprema, che Dio ha loro concesso, se non aiutano e difendono la Chiesa e se non procurano con le loro ricchezze che non resti infruttuoso il sangue di Cristo nostro Signore, poiché in ciò i principi cristiani differiscono da quelli infedeli.
365. Ritornando al mio discorso, dico che l'Altissimo, con la sua conoscenza infinita, previde l'iniquità del drago infernale, il quale, mettendo in atto il suo sdegno contro la Chiesa con la semenza dei suoi errori, avrebbe turbato molti fedeli e trascinato dietro di sé con la sua coda le stelle del cielo militante, che sono i giusti, provocando la giustizia divina e quasi impedendo il frutto della redenzione. Sua Maestà determinò con immensa pietà di ovviare a questo danno che minacciava il mondo. Per disporre tutto con la maggiore equità e gloria del suo santo nome, volle che Maria santissima si impegnasse in ciò, perché ella sola era degna dei privilegi, dei doni e delle prerogative con cui doveva vincere l'inferno e perché solo questa eminentissima Signora era capace di un'impresa tanto ardua e di vincere il cuore del medesimo Dio con la sua santità e purezza, con i suoi meriti e le sue preghiere. Inoltre, ridondava a maggiore esaltazione della virtù divina che per tutta l'eternità fosse manifesto che egli aveva vinto il drago ed i suoi seguaci per mezzo di una semplice creatura, e donna, come Lucifero aveva rovinato il genere umano per mezzo di un'altra; per operare tutto ciò non ve n'era una più idonea di sua Madre perché da lei lo riconoscessero la Chiesa ed il mondo intero. Per queste ragioni e per altre che conosceremo in Dio, sua Maestà diede la spada della sua potenza in mano alla nostra vittoriosa condottiera, affinché troncasse la testa al drago infernale e continuasse poi a proteggere e difendere dal cielo la Chiesa militante nella misura delle tribolazioni e dei bisogni che nei tempi futuri si sarebbero a questa presentati.
366. Perseverando dunque Lucifero e le sue squadre infernali nella loro infelice contesa in forma visibile, la serenissima Maria mai volse verso di loro lo sguardo né fece loro attenzione, benché li udisse, perché così conveniva. E poiché l'orecchio non si chiude come l'occhio, ella procurava che ciò che dicevano non le muovesse né l'immaginazione né l'animo. Neppure disse loro altre parole se non quelle per ordinare a volte che tacessero nelle bestemmie. Tale comando era tanto efficace che li costringeva ad abbassare la bocca sino a terra, mentre la celeste Signora elevava cantici di lode e di gloria all'Altissimo. Con il suo solo parlare a sua Maestà e professare le verità divine, quelli rimanevano tanto oppressi e tormentati che si mordevano l'un l'altro come lupi feroci o come cani rabbiosi, perché qualsiasi azione dell'imperatrice Maria era per loro un dardo infuocato e qualunque sua parola un fulmine che li bruciava con maggiore tormento dello stesso inferno. Non si giudichi questa un'esagerazione, poiché il drago ed i suoi seguaci cercarono di fuggire e di allontanarsi dalla presenza di Maria santissima, che li tormentava, ma il Signore con una forza occulta li tratteneva per rendere più glorioso il trionfo della sua madre e sposa e per confondere maggiormente ed annientare la superbia di Lucifero. Per questo sua Maestà dispose e permise che i demoni stessi si umiliassero a chiedere alla purissima Signora di comandare loro di partire e di lanciarli lontano dalla sua presenza dove a lei piacesse. Così, ella li inviò imperiosamente all'inferno, dove dimorarono per qualche tempo. Per questo la grande vincitrice restò tutta assorta nelle lodi divine e nel rendimento di grazie.
367. Quando il Signore diede a Lucifero il permesso di rialzarsi, questi ritornò alla battaglia, prendendo come strumenti alcuni vicini di casa di san Giuseppe. Seminando fra loro una diabolica zizzania di discordie a causa di interessi temporali, prese la forma di una loro amica e li invitò a non alterarsi fra sé, perché di quella disuguaglianza aveva colpa Maria, sposa di Giuseppe. La donna che il demonio rappresentava godeva di credito e di autorità, per cui li persuase meglio. Anche se il Signore non permise che fosse violato in cosa grave il credito della sua Madre santissima, permise per sua gloria e maggiore corona che tutte queste persone ingannate la mettessero alla prova in questa occasione. Per questo andarono tutti d'accordo a casa di san Giuseppe ed alla presenza del santo sposo chiamarono Maria santissima e le dissero molte aspre parole, perché li inquietava nelle loro case e non li lasciava vivere in pace. Questo avvenimento apportò qualche dolore all'innocentissima Signora per la pena di san Giuseppe, il quale in quel medesimo tempo aveva già incominciato a riflettere sull'ingrossamento del suo grembo verginale; ed ella vedeva il suo cuore ed i pensieri che cominciavano a renderlo ansioso. Nonostante ciò, saggia e prudente, fece in modo di vincere e di liberarsi dalla sofferenza con l'umiltà e la viva fede. Non si discolpò né cercò di difendersi sul suo innocente procedere; anzi, si umiliò e con sottomissione pregò quelle vicine di perdonarla, se le aveva offese in qualcosa. Con parole piene di dolcezza e di sapienza le illuminò e pacificò, facendo loro conoscere che non avevano colpa alcuna le une nei confronti delle altre. Quelle, soddisfatte di ciò ed edificate dall'umiltà con la quale aveva loro risposto, ritornarono in pace alle loro case ed il demonio fuggì, perché non poté tollerare tanta santità e sapienza del cielo.
368. San Giuseppe restò alquanto mesto e pensieroso e si mise a riflettere, come si dirà nei capitoli seguenti. Il demonio, però, benché non sapesse il motivo principale della pena di san Giuseppe, si volle valere dell'occasione per inquietarlo, perché non ne tralascia nessuna. Congetturando che la causa fosse qualche dispiacere che egli avesse o con la sua sposa o per il trovarsi povero e con così scarsi beni, il demonio tirò ad ambedue le cose, anche se errò in esse. Cercò di suggestionare san Giuseppe, affinché si affliggesse della sua povertà e la vivesse con tristezza o impazienza; similmente gli fece presente che Maria sua sposa passava troppo tempo nei suoi ritiri e nelle sue preghiere e non lavorava, cosa che per persone così povere era grande oziosità e trascuratezza. San Giuseppe, però, magnanimo, retto di cuore e di sublime perfezione, disprezzò facilmente queste suggestioni e le scacciò da sé. Anche se non ci fosse stata altra ragione se non la sollecitudine che gli procurava segretamente la gravidanza della sua sposa, questa sola sarebbe bastata per affogare tutte le altre. Inoltre il Signore, lasciandolo al principio in balia di questi sospetti, lo alleggerì della tentazione del demonio per intercessione di Maria santissima, che stava attenta a quanto succedeva nel cuore del suo fedelissimo sposo. Ella pregò il suo santissimo Figlio di considerarsi servito e soddisfatto dalla pena che apportava al suo sposo il vederla incinta e di liberarlo dalle altre.
369. L'Altissimo dispose che la Principessa del cielo soffrisse questa lunga battaglia e permise a Lucifero e alle sue legioni di finire di dar prova di tutte le loro forze e malignità, affinché in tutto e per tutto restassero calpestati, schiacciati e vinti e l'umilissima signora conseguisse sull'inferno il maggiore trionfo che mai alcuna semplice creatura poté ottenere. Giunsero tutti questi squadroni di iniquità con il loro capo infernale e si presentarono innanzi alla serenissima Regina. Con furore indicibile rinnovarono riunite insieme tutte le tentazioni, che prima avevano presentato separatamente, ed aggiunsero quel poco che poterono. In tale circostanza ella rimase imperturbabile, superiore e serena come se fossero stati i supremi cori degli angeli ad udire le favole del nemico; nessuna impressione estranea toccò né alterò questo cielo di Maria santissima, benché gli spaventi, i terrori, le minacce, le adulazioni, le favole e le falsità fossero come parti di tutta la malizia riunita del drago, il quale vomitò tutta la sua corrente contro questa donna invitta e forte, Maria santissima.
370. Mentre la nostra Regina si trovava in questo conflitto, esercitando atti eroici di tutte le virtù contro i suoi nemici, venne a conoscere che l'Altissimo ordinava e voleva che ella umiliasse e schiacciasse la superbia del drago usando del potere di madre di Dio e dell'autorità di così grande dignità. Quindi, levandosi con ferventissimo ed invincibile valore, si rivolse ai demoni e disse: «Chi è pari al Signore nostro Dio che siede nell'alto ?». E, ripetendo queste parole, aggiunse subito: «Principe delle tenebre, autore del peccato e della morte, in nome dell'Altissimo ti comando di ammutolire e con i tuoi ministri ti lancio nel profondo delle caverne infernali, alle quali siete assegnati e dalle quali non uscirete finché il Messia promesso non vi schiacci e sottometta o ve ne dia licenza». La serenissima Imperatrice era piena di luce e di celeste splendore. Il superbo drago pretese di opporsi al suo comando, ma ella rivolse contro di lui la forza del proprio potere e lo umiliò più degli altri e con maggiore pena. I demoni caddero tutti insieme nell'abisso e rimasero nel profondo dell'inferno, come ho già detto sopra riguardo al mistero delll'incarnazione e dirò in seguito a proposito della tentazione e della morte di Cristo nostro Signore. Quando, poi, questo drago tornò a combattere contro la Regina del cielo nell'altra battaglia di cui parlerò a suo tempo, ella lo vinse tanto mirabilmente che schiacciò, con il suo Figlio santissimo, la testa di Lucifero. Questi rimase impotente, abbattuto e con le forze debilitate al punto che, se le creature umane non gliele danno con la loro malizia, possono molto bene vincerlo e resistergli con la grazia divina.
371. Immediatamente dopo, il Signore si manifestò alla sua Madre santissima ed in premio di così gloriosa vittoria le comunicò nuovi doni e favori. I mille angeli della sua custodia le si manifestarono corporalmente con innumerevoli altri e composero nuovi cantici a lode dell'Altissimo e sua. Con celeste armonia di dolci voci sensibili le cantarono ciò che il popolo ebreo cantò di Giuditta, figura di questo trionfo, e che la santa Chiesa applica a lei: «Tutta bella sei, Maria signora nostra, e non vi è in te macchia di colpa. Tu sei la gloria della Gerusalemme celeste, tu sei l'allegrezza d'Israele, tu sei l'onore del popolo del Signore. Tu sei colei che magnifica il suo santo nome. Tu sei l'avvocata dei peccatori, li difendi dal loro superbo nemico. O Maria, sei piena di grazia e di tutte le perfezioni!». L'umilissima Signora fu colma di giubilo, lodando l'Autore di ogni bene e riferendo tutto a lui, e tornò alla cura del suo sposo, come dirò nei capitoli seguenti.
Insegnamento che mi diede la Regina del cielo
372. Figlia mia, la cautela che l'anima deve usare per non mettersi a ragionare con i nemici invisibili non le impedisce di comandare loro con forza e autorità in nome dell'Altissimo di ammutolire e allontanarsi, rimanendo confusi. Così voglio che tu faccia nelle occasioni opportune quando ti perseguiteranno, perché per la creatura umana non c'è arma tanto potente contro la malizia del drago quanto il mostrarsi salda e superiore, confidando nel proprio essere figlia del Padre vero che sta nei cieli e dal quale riceve quella virtù e fiducia contro di lui. La causa di questo è che tutta la sollecitudine di Lucifero, dopo la sua caduta dal cielo, è rivolta ad allontanare le anime dal loro creatore e a seminare zizzania e divisione tra il Padre celeste e i figli adottivi e tra la sposa e lo Sposo delle anime. Quando conosce che qualcuna di esse è unita al suo creatore ed è membro vivo del suo capo Cristo, riprende vigore e forza nella volontà. Egli, allora, impiega la sua malizia per perseguitarla con rabbioso ed invidioso furore ed i suoi inganni per abbatterla; ma quando vede che non può conseguire ciò e che quello dell'Altissimo è rifugio e riparo vero ed inespugnabile per le anime, viene meno nei suoi sforzi e si riconosce oppresso con incomparabile tormento. E se la sposa generosa lo disprezza e rigetta con autorità, non c'è verme né formica più debole di questo superbo gigante.
373. Con la verità di questo insegnamento ti devi fare animo e fortificare quando l'Onnipotente disporrà che ti sorprenda la tribolazione e ti circondino i dolori della morte nelle grandi tentazioni, come io le ho sofferte, perché questa è la migliore occasione in cui lo sposo fa esperienza della fedeltà della vera sposa. Se questa è tale, l'amore non si deve contentare di soli affetti, senza dare altro frutto, perché il semplice desiderio, che niente costa all'anima, non è prova sufficiente del suo amore né della stima del bene che dice di apprezzare e di amare. La fortezza e la costanza nel patire con cuore generoso e magnanimo nelle tribolazioni sono prova del vero amore. Se tu desideri tanto dare qualche dimostrazione e soddisfazione al tuo sposo, la maggiore sarà che; quando ti troverai più afflitta e senza soccorso umano, allora ti mostri più invincibile e confidente nel tuo Dio e Signore e spera, se sarà necessario, contro ogni speranza; infatti, non si addormenta, non prende sonno il custode d'Israele e, quando sarà il momento, comanderà al mare e ai venti e ricondurrà la bonaccia.
374. Perciò, figlia mia, devi stare molto attenta alle tentazioni nel loro insorgere, quando si corre grande pericolo, se l'anima comincia subito a turbarsi per esse, allentando il freno alle passioni della concupiscenza o della irascibilità, dalle quali viene oscurata ed offuscata la luce della ragione. Se, infatti, il demonio conosce questo turbamento e sa che provoca una così grande confusione ed una così veemente tempesta nelle facoltà, poiché la sua crudeltà è tanto implacabile ed insaziabile, acquista maggiore vigore ed aggiunge fuoco a fuoco, infuriandosi sempre più, perché gli sembra che l'anima non abbia chi la difenda e la liberi dalle sue mani. Aumentando la violenza della tentazione, per chi subito ha cominciato ad arrendersi cresce ancora il pericolo di non resistere quando essa giunge al culmine. Ti avverto di tutto ciò, affinché tu tema il rischio delle prime trascuratezze. Non te le permettere mai in una questione di così grande importanza; anzi, al contrario devi perseverare nelle tue azioni in qualsiasi tentazione, continuando nel tuo intimo la dolce e devota conversazione con il Signore e mantenendo con il prossimo la soavità, la carità e l'affabilità prudente che devi usare, prevenendo con la preghiera e con la temperanza delle tue passioni il disordine che il nemico cerca di introdurre in esse.
18 febbraio 1942
Madre Pierina Micheli
La notte dal 16 al 17 fui presa da gran freddo, non potevo muovermi e mi sentivo come ossessionata. Bestemmie, imprecazioni al S. Volto disperazione... facevo atti di abbandono procurando di mantenermi in calma. Alle 4 mi levai, e mentre scendevo per portarmi in Cappella il nemico si prendeva burla di me... entrata, trovai l'altarino che aveva preparato al S. Volto, tutto sfatto. A terra le colonne, i fiori, i vasi, ma nulla di rotto. In preda a tanta pena accomodai tutto e poi m'inginocchiai a dar sfogo al mio dolore con Gesù. Mi sentii come rapita, e Gesù appoggiato al mio cuore mi parlava dolcemente: NON AFFLIGGERTI PER QUANTO HA FATTO IL NEMICO IO TROVO IN TE LE MIE COMPIACENZE; E IN UNA GRANDE LUCE CHE USCIVA DAL SUO VOLTO VEDEVO TANTE ANIME - GESÙ CONTINUAVA: SONO TUTTE ANIME ILLUMINATE DALLE TUE SOFFERENZE DI QUESTA NOVENA. Io lottavo con Gesù perché non voleva vedere, ma Gesù insisteva:
ANCH'IO VOGLIO AVERE LA GIOIA DI CONSOLARTI. I CIECHI SONO TANTI, NON TUTTI VOGLIONO ESSERE ILLUMINATI, MA È PERCHÉ POCHE SONO LE ANIME CHE MI LASCIANO FARE LIBERAMENTE, e l'anima mia fu come inabissata in un oceano di amore. Quando mi riebbi una pace profonda invadeva tutto l'animo mio. Quanto mi commuove la bontà di Gesù verso la più miserabile creatura, che non ha altro che un cuore desideroso di amarLo e una volontà, per sua grazia, risoluta a non voler altro che la Sua Volontà! non ho che abbandonarmi a Lui e lasciarLo agire... sono così debole, in certi momenti...