Sotto il Tuo Manto

Lunedi, 21 luglio 2025 - San Lorenzo da Brindisi (Letture di oggi)

Faremo del nostro meglio per introdurre e inco­raggiare la preghiera personale e familiare, la medi­tazione e la lettura spirituale, partecipando la Parola di Dio, nelle Scritture, fra di noi e, se è possibile, in ogni casa che visitiamo. (Madre Teresa di Calcutta)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 13° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Luca 17

1Disse ancora ai suoi discepoli: "È inevitabile che avvengano scandali, ma guai a colui per cui avvengono.2È meglio per lui che gli sia messa al collo una pietra da mulino e venga gettato nel mare, piuttosto che scandalizzare uno di questi piccoli.3State attenti a voi stessi!

Se un tuo fratello pecca, rimproveralo; ma se si pente, perdonagli.4E se pecca sette volte al giorno contro di te e sette volte ti dice: Mi pento, tu gli perdonerai".

5Gli apostoli dissero al Signore:6"Aumenta la nostra fede!". Il Signore rispose: "Se aveste fede quanto un granellino di senapa, potreste dire a questo gelso: Sii sradicato e trapiantato nel mare, ed esso vi ascolterebbe.

7Chi di voi, se ha un servo ad arare o a pascolare il gregge, gli dirà quando rientra dal campo: Vieni subito e mettiti a tavola?8Non gli dirà piuttosto: Preparami da mangiare, rimboccati la veste e servimi, finché io abbia mangiato e bevuto, e dopo mangerai e berrai anche tu?9Si riterrà obbligato verso il suo servo, perché ha eseguito gli ordini ricevuti?10Così anche voi, quando avrete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare".

11Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samarìa e la Galilea.12Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza,13alzarono la voce, dicendo: "Gesù maestro, abbi pietà di noi!".14Appena li vide, Gesù disse: "Andate a presentarvi ai sacerdoti". E mentre essi andavano, furono sanati.15Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce;16e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano.17Ma Gesù osservò: "Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono?18Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all'infuori di questo straniero?". E gli disse:19"Alzati e va'; la tua fede ti ha salvato!".

20Interrogato dai farisei: "Quando verrà il regno di Dio?", rispose:21"Il regno di Dio non viene in modo da attirare l'attenzione, e nessuno dirà: Eccolo qui, o: eccolo là. Perché il regno di Dio è in mezzo a voi!".

22Disse ancora ai discepoli: "Verrà un tempo in cui desidererete vedere anche uno solo dei giorni del Figlio dell'uomo, ma non lo vedrete.23Vi diranno: Eccolo là, o: eccolo qua; non andateci, non seguiteli.24Perché come il lampo, guizzando, brilla da un capo all'altro del cielo, così sarà il Figlio dell'uomo nel suo giorno.25Ma prima è necessario che egli soffra molto e venga ripudiato da questa generazione.26Come avvenne al tempo di Noè, così sarà nei giorni del Figlio dell'uomo:27mangiavano, bevevano, si ammogliavano e si maritavano, fino al giorno in cui Noè entrò nell'arca e venne il diluvio e li fece perire tutti.28Come avvenne anche al tempo di Lot: mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano;29ma nel giorno in cui Lot uscì da Sòdoma piovve fuoco e zolfo dal cielo e li fece perire tutti.30Così sarà nel giorno in cui il Figlio dell'uomo si rivelerà.31In quel giorno, chi si troverà sulla terrazza, se le sue cose sono in casa, non scenda a prenderle; così chi si troverà nel campo, non torni indietro.32Ricordatevi della moglie di Lot.33Chi cercherà di salvare la propria vita la perderà, chi invece la perde la salverà.34Vi dico: in quella notte due si troveranno in un letto: l'uno verrà preso e l'altro lasciato;35due donne staranno a macinare nello stesso luogo: l'una verrà presa e l'altra lasciata".36.37Allora i discepoli gli chiesero: "Dove, Signore?". Ed egli disse loro: "Dove sarà il cadavere, là si raduneranno anche gli avvoltoi".


Primo libro dei Re 12

1Roboamo andò in Sichem, perché tutto Israele era convenuto in Sichem per proclamarlo re.2Quando lo seppe, Geroboamo figlio di Nebàt, che era ancora in Egitto ove si era rifugiato per paura del re Salomone, tornò dall'Egitto.3Lo mandarono a chiamare e Geroboamo venne con tutta l'assemblea di Israele e dissero a Roboamo:4"Tuo padre ci ha imposto un pesante giogo; ora tu alleggerisci la dura schiavitù di tuo padre e il giogo pesante che quegli ci ha imposto e noi ti serviremo".5Rispose loro: "Ritiratevi per tre giorni; poi tornerete da me". Il popolo se ne andò.6Il re Roboamo si consigliò con gli anziani, che erano stati al servizio di Salomone suo padre durante la sua vita, domandando: "Che cosa mi consigliate di rispondere a questo popolo?".7Gli dissero: "Se oggi ti mostrerai arrendevole verso questo popolo, se darai loro soddisfazione, se dirai loro parole gentili, essi saranno tuoi servi per sempre".8Ma egli trascurò il consiglio che gli anziani gli avevano dato e si consultò con giovani che erano cresciuti con lui ed erano al suo servizio.9Domandò loro: "Che cosa mi consigliate di rispondere a questo popolo che mi ha chiesto di alleggerire il giogo imposto loro da mio padre?".10I giovani che erano cresciuti con lui gli dissero: "Così risponderai a questo popolo, che ti ha chiesto: Tuo padre ha reso pesante il nostro giogo, tu alleggeriscilo! così dirai loro: Il mio mignolo è più grosso dei fianchi di mio padre.11Ora, se mio padre vi caricò di un giogo pesante, io renderò ancora più grave il vostro giogo; mio padre vi castigò con fruste, io vi castigherò con flagelli".
12Quando Geroboamo e tutto il popolo si presentarono a Roboamo il terzo giorno, come il re aveva ordinato affermando: "Ritornate da me il terzo giorno",13il re rispose duramente al popolo respingendo il consiglio degli anziani;14egli disse loro secondo il consiglio dei giovani: "Mio padre vi ha imposto un giogo pesante; io renderò ancora più grave il vostro giogo. Mio padre vi ha castigati con fruste, io vi castigherò con flagelli".15Il re non ascoltò il popolo; ciò accadde per disposizione del Signore, perché si attuasse la parola che il Signore aveva rivolta a Geroboamo, figlio di Nebàt, per mezzo di Achia di Silo.16Quando compresero che il re non dava loro ascolto, tutti gli Israeliti risposero al re:

"Che parte abbiamo con Davide?
Non abbiamo eredità con il figlio di Iesse!
Alle tue tende, Israele!
Ora pensa alla tua casa, Davide!".

Israele andò alle sue tende.17Sugli Israeliti che abitavano nelle città di Giuda regnò Roboamo.
18Il re Roboamo mandò Adoniram, che era sovrintendente ai lavori forzati, ma tutti gli Israeliti lo lapidarono ed egli morì. Allora il re Roboamo salì in fretta sul carro per fuggire in Gerusalemme.19Israele si ribellò alla casa di Davide fino ad oggi.
20Quando tutto Israele seppe che era tornato Geroboamo, lo mandarono a chiamare perché partecipasse all'assemblea; lo proclamarono re di tutto Israele. Nessuno seguì la casa di Davide, se non la tribù di Giuda.
21Roboamo, giunto in Gerusalemme, convocò tutta la casa di Giuda e la tribù di Beniamino, centottantamila guerrieri scelti, per combattere contro Israele e per restituire il regno a Roboamo, figlio di Salomone.22Ma il Signore disse a Semeia, uomo di Dio:23"Riferisci a Roboamo figlio di Salomone, re di Giuda, a tutta la casa di Giuda e di Beniamino e al resto del popolo:24Dice il Signore: Non marciate per combattere contro i vostri fratelli israeliti; ognuno ritorni a casa, perché questa situazione è stata voluta da me". Ascoltarono la parola del Signore e tornarono indietro come aveva ordinato loro il Signore.
25Geroboamo fortificò Sichem sulle montagne di Èfraim e vi pose la residenza. Uscito di lì, fortificò Penuèl.
26Geroboamo pensò: "In questa situazione il regno potrebbe tornare alla casa di Davide.27Se questo popolo verrà a Gerusalemme per compiervi sacrifici nel tempio, il cuore di questo popolo si rivolgerà verso il suo signore, verso Roboamo re di Giuda; mi uccideranno e ritorneranno da Roboamo, re di Giuda".28Consigliatosi, il re preparò due vitelli d'oro e disse al popolo: "Siete andati troppo a Gerusalemme! Ecco, Israele, il tuo dio, che ti ha fatto uscire dal paese d'Egitto".29Ne collocò uno a Betel e l'altro lo pose in Dan.30Questo fatto portò al peccato; il popolo, infatti, andava sino a Dan per prostrarsi davanti a uno di quelli.
31Egli edificò templi sulle alture e costituì sacerdoti, presi qua e là dal popolo, i quali non erano discendenti di Levi.32Geroboamo istituì una festa nell'ottavo mese, il quindici del mese, simile alla festa che si celebrava in Giuda. Egli stesso salì sull'altare; così fece a Betel per sacrificare ai vitelli che aveva eretti; a Betel stabilì sacerdoti dei templi da lui eretti sulle alture.33Il quindici dell'ottavo mese salì sull'altare che aveva eretto a Betel; istituì una festa per gli Israeliti e salì sull'altare per offrire incenso.


Cantico 2

1Io sono un narciso di Saron,
un giglio delle valli.
2Come un giglio fra i cardi,
così la mia amata tra le fanciulle.
3Come un melo tra gli alberi del bosco,
il mio diletto fra i giovani.
Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo
e dolce è il suo frutto al mio palato.
4Mi ha introdotto nella cella del vino
e il suo vessillo su di me è amore.
5Sostenetemi con focacce d'uva passa,
rinfrancatemi con pomi,
perché io sono malata d'amore.
6La sua sinistra è sotto il mio capo
e la sua destra mi abbraccia.
7Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme,
per le gazzelle o per le cerve dei campi:
non destate, non scuotete dal sonno l'amata,
finché essa non lo voglia.

8Una voce! Il mio diletto!
Eccolo, viene
saltando per i monti,
balzando per le colline.
9Somiglia il mio diletto a un capriolo
o ad un cerbiatto.
Eccolo, egli sta
dietro il nostro muro;
guarda dalla finestra,
spia attraverso le inferriate.
10Ora parla il mio diletto e mi dice:
"Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
11Perché, ecco, l'inverno è passato,
è cessata la pioggia, se n'è andata;
12i fiori sono apparsi nei campi,
il tempo del canto è tornato
e la voce della tortora ancora si fa sentire
nella nostra campagna.
13Il fico ha messo fuori i primi frutti
e le viti fiorite spandono fragranza.
Alzati, amica mia,
mia bella, e vieni!
14O mia colomba, che stai nelle fenditure della roccia,
nei nascondigli dei dirupi,
mostrami il tuo viso,
fammi sentire la tua voce,
perché la tua voce è soave,
il tuo viso è leggiadro".
15Prendeteci le volpi,
le volpi piccoline
che guastano le vigne,
perché le nostre vigne sono in fiore.
16Il mio diletto è per me e io per lui.
Egli pascola il gregge fra i figli.
17Prima che spiri la brezza del giorno
e si allunghino le ombre,
ritorna, o mio diletto,
somigliante alla gazzella
o al cerbiatto,
sopra i monti degli aromi.


Salmi 25

1'Di Davide'.

Alef. A te, Signore, elevo l'anima mia,
2Bet. Dio mio, in te confido: non sia confuso!
Non trionfino su di me i miei nemici!
3Ghimel. Chiunque spera in te non resti deluso,
sia confuso chi tradisce per un nulla.

4Dalet. Fammi conoscere, Signore, le tue vie,
insegnami i tuoi sentieri.
5He. Guidami nella tua verità e istruiscimi,
perché sei tu il Dio della mia salvezza,
Vau. in te ho sempre sperato.
6Zain. Ricordati, Signore, del tuo amore,
della tua fedeltà che è da sempre.
7Het. Non ricordare i peccati della mia giovinezza:
ricordati di me nella tua misericordia,
per la tua bontà, Signore.

8Tet. Buono e retto è il Signore,
la via giusta addita ai peccatori;
9Iod. guida gli umili secondo giustizia,
insegna ai poveri le sue vie.

10Caf. Tutti i sentieri del Signore sono verità e grazia
per chi osserva il suo patto e i suoi precetti.
11Lamed. Per il tuo nome, Signore,
perdona il mio peccato anche se grande.

12Mem. Chi è l'uomo che teme Dio?
Gli indica il cammino da seguire.
13Nun. Egli vivrà nella ricchezza,
la sua discendenza possederà la terra.

14Samech. Il Signore si rivela a chi lo teme,
gli fa conoscere la sua alleanza.
15Ain. Tengo i miei occhi rivolti al Signore,
perché libera dal laccio il mio piede.

16Pe. Volgiti a me e abbi misericordia,
perché sono solo ed infelice.
17Zade. Allevia le angosce del mio cuore,
liberami dagli affanni.

18Vedi la mia miseria e la mia pena
e perdona tutti i miei peccati.
19Res. Guarda i miei nemici: sono molti
e mi detestano con odio violento.

20Sin. Proteggimi, dammi salvezza;
al tuo riparo io non sia deluso.
21Tau. Mi proteggano integrità e rettitudine,
perché in te ho sperato.
22Pe. O Dio, libera Israele
da tutte le sue angosce.


Geremia 9

1Chi mi darà nel deserto un rifugio per viandanti?
Io lascerei il mio popolo e mi allontanerei da lui,
perché sono tutti adùlteri, una massa di traditori.
2Tendono la loro lingua come un arco;
la menzogna e non la verità
domina nel paese.
Passano da un delitto all'altro
e non conoscono il Signore.
3Ognuno si guardi dal suo amico,
non fidatevi neppure del fratello,
poiché ogni fratello inganna il fratello,
e ogni amico va spargendo calunnie.
4Ognuno si beffa del suo prossimo,
nessuno dice la verità.
Hanno abituato la lingua a dire menzogne,
operano l'iniquità, incapaci di convertirsi.
5Angheria sopra angheria, inganno su inganno;
rifiutano di conoscere il Signore.
6Perciò dice il Signore degli eserciti:
"Ecco li raffinerò al crogiuolo e li saggerò;
come dovrei comportarmi con il mio popolo?
7Una saetta micidiale è la loro lingua,
inganno le parole della loro bocca.
Ognuno parla di pace con il prossimo,
mentre nell'intimo gli ordisce un tranello
8Non dovrei forse punirli per tali cose?
Oracolo del Signore.
Di un popolo come questo non dovrei vendicarmi?".

9Sui monti alzerò gemiti e lamenti,
un pianto di lutto sui pascoli della steppa,
perché sono riarsi, nessuno più vi passa,
né più si ode il grido del bestiame.
Dagli uccelli dell'aria alle bestie
tutti sono fuggiti, scomparsi.
10"Ridurrò Gerusalemme un cumulo di rovine,
rifugio di sciacalli;
le città di Giuda ridurrò alla desolazione,
senza abitanti".
11Chi è tanto saggio da comprendere questo?
A chi la bocca del Signore ha parlato perché lo annunzi?
Perché il paese è devastato,
desolato come un deserto senza passanti?

12Ha detto il Signore: "È perché hanno abbandonato la legge che avevo loro posto innanzi e non hanno ascoltato la mia voce e non l'hanno seguita,13ma han seguito la caparbietà del loro cuore e i Baal, che i loro padri avevano fatto loro conoscere".14Pertanto così dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: "Ecco, darò loro in cibo assenzio, farò loro bere acque avvelenate;15li disperderò in mezzo a popoli che né loro né i loro padri hanno conosciuto e manderò dietro a loro la spada finché non li abbia sterminati".

Così dice il Signore degli eserciti:
16Attenti, chiamate le lamentatrici, che vengano!
Fate venire le più brave!
Accorrano
17e facciano presto, per intonare su di noi un lamento.
Sgorghino lacrime dai nostri occhi,
il pianto scorra dalle nostre ciglia,
18perché una voce di lamento si ode da Sion:
"Come siamo rovinati,
come profondamente confusi,
poiché dobbiamo abbandonare il paese,
lasciare le nostre abitazioni".
19Udite, dunque, o donne, la parola del Signore;
i vostri orecchi accolgano la parola della sua bocca.
Insegnate alle vostre figlie il lamento,
l'una all'altra un canto di lutto:
20"La morte è entrata per le nostre finestre,
si è introdotta nei nostri palazzi,
abbattendo i fanciulli nella via
e i giovani nelle piazze.
21I cadaveri degli uomini giacciono - dice il Signore -
come letame sui campi,
come covoni dietro il mietitore
e nessuno li raccoglie".

22Così dice il Signore:
"Non si vanti il saggio della sua saggezza
e non si vanti il forte della sua forza,
non si vanti il ricco delle sue ricchezze.
23Ma chi vuol gloriarsi si vanti di questo,
di avere senno e di conoscere me,
perché io sono il Signore che agisce con misericordia,
con diritto e con giustizia sulla terra;
di queste cose mi compiaccio".
Parola del Signore.

24"Ecco, giorni verranno - oracolo del Signore - nei quali punirò tutti i circoncisi che rimangono non circoncisi:25l'Egitto, Giuda, Edom, gli Ammoniti e i Moabiti e tutti coloro che si tagliano i capelli alle estremità delle tempie, i quali abitano nel deserto, perché tutte queste nazioni e tutta la casa di Israele sono incirconcisi nel cuore".


Atti degli Apostoli 22

1"Fratelli e padri, ascoltate la mia difesa davanti a voi".2Quando sentirono che parlava loro in lingua ebraica, fecero silenzio ancora di più.3Ed egli continuò: "Io sono un Giudeo, nato a Tarso di Cilicia, ma cresciuto in questa città, formato alla scuola di Gamalièle nelle più rigide norme della legge paterna, pieno di zelo per Dio, come oggi siete tutti voi.4Io perseguitai a morte questa nuova dottrina, arrestando e gettando in prigione uomini e donne,5come può darmi testimonianza il sommo sacerdote e tutto il collegio degli anziani. Da loro ricevetti lettere per i nostri fratelli di Damasco e partii per condurre anche quelli di là come prigionieri a Gerusalemme, per essere puniti.
6Mentre ero in viaggio e mi avvicinavo a Damasco, verso mezzogiorno, all'improvviso una gran luce dal cielo rifulse attorno a me;7caddi a terra e sentii una voce che mi diceva: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?8Risposi: Chi sei, o Signore? Mi disse: Io sono Gesù il Nazareno, che tu perseguiti.9Quelli che erano con me videro la luce, ma non udirono colui che mi parlava.10Io dissi allora: Che devo fare, Signore? E il Signore mi disse: Alzati e prosegui verso Damasco; là sarai informato di tutto ciò che è stabilito che tu faccia.11E poiché non ci vedevo più, a causa del fulgore di quella luce, guidato per mano dai miei compagni, giunsi a Damasco.
12Un certo Ananìa, un devoto osservante della legge e in buona reputazione presso tutti i Giudei colà residenti,13venne da me, mi si accostò e disse: Saulo, fratello, torna a vedere! E in quell'istante io guardai verso di lui e riebbi la vista.14Egli soggiunse: Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca,15perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito.16E ora perché aspetti? Alzati, ricevi il battesimo e lavati dai tuoi peccati, invocando il suo nome.
17Dopo il mio ritorno a Gerusalemme, mentre pregavo nel tempio, fui rapito in estasi18e vidi Lui che mi diceva: Affrettati ed esci presto da Gerusalemme, perché non accetteranno la tua testimonianza su di me.19E io dissi: Signore, essi sanno che facevo imprigionare e percuotere nella sinagoga quelli che credevano in te;20quando si versava il sangue di Stefano, tuo testimone, anch'io ero presente e approvavo e custodivo i vestiti di quelli che lo uccidevano.21Allora mi disse: Va', perché io ti manderò lontano, tra i pagani".

22Fino a queste parole erano stati ad ascoltarlo, ma allora alzarono la voce gridando: "Toglilo di mezzo; non deve più vivere!".23E poiché continuavano a urlare, a gettar via i mantelli e a lanciar polvere in aria,24il tribuno ordinò di portarlo nella fortezza, prescrivendo di interrogarlo a colpi di flagello al fine di sapere per quale motivo gli gridavano contro in tal modo.
25Ma quando l'ebbero legato con le cinghie, Paolo disse al centurione che gli stava accanto: "Potete voi flagellare un cittadino romano, non ancora giudicato?".26Udito ciò, il centurione corse a riferire al tribuno: "Che cosa stai per fare? Quell'uomo è un romano!".27Allora il tribuno si recò da Paolo e gli domandò: "Dimmi, tu sei cittadino romano?". Rispose: "Sì".28Replicò il tribuno: "Io questa cittadinanza l'ho acquistata a caro prezzo". Paolo disse: "Io, invece, lo sono di nascita!".29E subito si allontanarono da lui quelli che dovevano interrogarlo. Anche il tribuno ebbe paura, rendendosi conto che Paolo era cittadino romano e che lui lo aveva messo in catene.

30Il giorno seguente, volendo conoscere la realtà dei fatti, cioè il motivo per cui veniva accusato dai Giudei, gli fece togliere le catene e ordinò che si riunissero i sommi sacerdoti e tutto il sinedrio; vi fece condurre Paolo e lo presentò davanti a loro.


Capitolo II: La verità si fa sentire dentro di noi senza altisonanti parole

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1. "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). "Io sono il tuo servo; dammi luce per apprezzare quello che tu proclami" (Sal 118,125). Disponi il mio cuore alle parole della tua bocca; il tuo dire discenda come rugiada. Dissero una volta a Mosè i figli di Israele: "Parlaci tu, e potremo ascoltarti; non ci parli il Signore, affinché non avvenga che ne moriamo" (Es 20,19). Non così, la mia preghiera, o Signore. Piuttosto, con il profeta Samuele, in umiltà e pienezza di desiderio, io ti chiedo ardentemente: "Parla, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10). Non mi parli Mosè o qualche altro profeta; parlami invece tu, Signore Dio, che ispiri e dai luce a tutti i profeti: tu solo, senza di loro, mi puoi ammaestrare pienamente; quelli, invece, senza di te, non gioverebbero a nulla. Possono, è vero, far risuonare parole, ma non danno lo spirito; parlano bene, ma, se tu non intervieni, non accendono il cuore; lasciano degli scritti, ma sei tu che ne mostri il significato; presentano i misteri, ma sei tu che sveli il senso di ciò che sta dietro al simbolo; emettono ordini, ma sei tu che aiuti ad eseguirli; indicano la strada , ma sei tu che aiuti a percorrerla. Essi operano solamente all'esterno, ma tu prepari ed illumini i cuori; essi irrigano superficialmente, ma tu rendi fecondi; essi fanno risuonare delle parole, ma sei tu che aggiungi all'ascolto il potere di comprendere.  

2. Non mi parli dunque Mosè; parlami tu, Signore mio Dio, verità eterna, affinché, se ammonito solo esteriormente e privo di fuoco interiore, io non resti senza vita e non mi isterilisca; affinché non mi sia di condanna la parola udita non tradotta in pratica, conosciuta ma non amata, creduta ma non osservata. "Parla, dunque, o Signore, il tuo servo ti ascolta" (1 Sam 3,10): "tu hai infatti parole di vita eterna" (Gv 6,69). Parlami, affinché scenda un po' di consolazione all'anima mia, e tutta la mia vita sia purificata. E a te sia lode e onore perpetuo.


LETTERA 97: Il destinatario è lo stesso della lettera precedente. Agostino lo ringrazia per la risposta ottenuta

Lettere - Sant'Agostino

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Scritta verso la fine del 408.

Il destinatario è lo stesso della lettera precedente. Agostino lo ringrazia per la risposta ottenuta (n. 1) e lo prega di far applicare in Africa le leggi imperiali contro gli idolatri e gli eretici promulgate da Stilicone (n. 2-3), mentre i Donatisti pretendono ch'esse non avrebbero più alcun vigore dopo la morte di lui (n. 4).

AGOSTINO SALUTA NEL SIGNORE L'ESIMIO E MERITATAMENTE ECCELLENTISSIMO SIGNORE OLIMPIO, FIGLIO MOLTO ONORANDO NELLA CARITÀ DI CRISTO

Ringrazia per la premura manifestata da Olimpio.

1. Appena sentimmo dire che eri stato elevato all'alta carica dovuta ai tuoi meriti, sebbene la notizia non ci risultasse del tutto sicura; nondimeno circa le tue disposizioni verso la Chiesa di Dio (di cui godo saperti vero figlio) non abbiamo avuto alcun dubbio che non fossero corrispondenti a quelle da te stesso manifestate in seguito, nella tua lettera di risposta. In essa ti sei degnato di esortarci con estrema benevolenza perché la nostra pochezza ti facesse sapere in qual modo il Signore, alla cui grazia devi quello che sei, potesse servirsi della tua religiosa obbedienza per venire in aiuto finalmente alla sua Chiesa. Appena dunque letta la tua risposta, sebbene restii ed esitanti, ti scriviamo con maggior fiducia, esimio signore e meritatamente eccellentissimo, e figlio molto onorando nella carità di Cristo.

Si chiede l'applicazione delle leggi imperiali.

2. Molti miei santi colleghi, in seguito a gravi turbamenti della Chiesa, si sono recati, come dei fuggiaschi, presso la gloriosissima corte imperiale: forse hai già potuto vederli o avrai avuto occasione di ricevere qualche loro lettera inviata da Roma. Io non ho potuto prendere alcuna deliberazione in comune con loro, ma non ho potuto trascurare l'occasione della venuta di questo mio fratello e collega di sacerdozio, il quale, nel cuore dell'inverno e con mezzi di fortuna, è stato costretto a recarsi alla corte per l'urgente necessità di mettere in salvo un suo concittadino. Per mezzo suo voglio salutare la carità che tu possiedi in Cristo Gesù, Signore nostro, e ammonirti di portare presto a compimento con la maggiore diligenza e sollecitudine possibile la tua buona opera: di far sapere cioè ai nemici della Chiesa che le leggi inviate in Africa per la distruzione degli idoli e la correzione degli eretici, essendo ancor vivo Stilicone, sono state promulgate per volontà del piissimo e fedelissimo imperatore; essi invece vanno dicendo con inganno o preferiscono pensare che la promulgazione è avvenuta a sua insaputa o contro la sua volontà, e così eccitano l'animo già assai turbolento degli ignoranti e provocano contro di noi la loro pericolosa e accesa rivalità.

Agostino esprime la preoccupazione degli altri vescovi.

3. Rivolgendo questa preghiera e questi suggerimenti all'Eccellenza tua, non dubito di farmi interprete della volontà di tutti i miei colleghi d'Africa. Sono poi d'avviso, che alla prima occasione che si presenterà si possa assai facilmente, e si debba sollecitamente, come ho già detto, portare a conoscenza di queste persone stolte (di cui, per quanto avversarie, cerchiamo la salvezza), che a promulgare in Africa le leggi favorevoli alla Chiesa di Cristo fu preoccupazione non tanto di Stilicone quanto del figlio di Teodosio. Per questo motivo il suddetto prete, latore della presente, essendo della regione di Milevi, è passato per Ippona, dove risiedo io, per ordine del suo vescovo, il venerando mio fratello Severo, che invia insieme con me molti saluti alla tua sincerissima Carità. Poiché, trovandoci per caso insieme in mezzo a gravi tribolazioni e turbamenti della Chiesa, cercavamo un'occasione di scrivere all'Eccellenza tua e non ci era possibile trovarla. Ti avevo bensì inviato precedentemente una lettera riguardante una faccenda del santo mio fratello e collega Bonifacio, vescovo di Catacqua, ma non ci erano ancora giunte notizie di fatti più gravi che dovevano turbarci in modo più forte ancora. Occorre reprimere o correggere i turbolenti con le misure più efficaci conformi alle norme cristiane: di ciò tratteranno con più agio insieme alla gran bontà del tuo cuore i Vescovi che a questo scopo hanno intrapreso il viaggio per mare; ti proporranno un piano che hanno potuto formulare di comune accordo e discusso con molta diligenza per quanto lo consentiva la ristrettezza del tempo. Non si deve però in nessun modo differire di far conoscere alla provincia d'Africa la disposizione del clementissimo e piissimo imperatore verso la Chiesa: ti suggerisco però, ti supplico, ti prego e ti scongiuro di farlo quanto prima lo potrà la tua eccellentissima vigilanza a favore dei membri di Cristo che si trovano nella più penosa tribolazione. Non è infatti piccolo il sollievo offertoci dal Signore in mezzo a tanti guai mentre ha voluto che tu avessi poteri molto maggiori, allorché già godevamo dei tuoi molti e grandi favori.

Violenze dei Donatisti verso i Cattolici.

4. Ci rallegriamo naturalmente della ferma e stabile fede di non poche persone convertitesi alla religione cristiana o all'unità cattolica in occasione di quelle stesse leggi; pur di procurare loro la salvezza eterna proviamo gioia perfino nell'andare incontro ai pericoli di questa vita temporale. Ecco perché adesso sopportiamo i più furiosi assalti da parte dei nostri nemici assai crudeli e perversi; li sopportano con noi molto pazientemente pure alcuni dei convertiti, ma temiamo assai per la loro debolezza, non essendo ancora arrivati - come ci auguriamo arrivino presto coll'aiuto della grazia e dell'immensa misericordia del Signore - a disprezzare questo mondo e la vita umana con maggior fortezza di spirito. Ho inviato un promemoria ai miei fratelli nell'episcopato. Prego l'Eccellenza tua di consegnarla ad essi appena giungeranno costà, se - come penso - non sono ancora arrivati. Ho molta fiducia nel tuo sincerissimo cuore; desidero quindi, coll'aiuto di Dio nostro Signore, che tu non solo ci arrechi aiuto ma prenda pure parte alle nostre deliberazioni.


Il trattato del Purgatorio

Santa Caterina da Genova - Santa Caterina da Genova

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1. Quest' anima santa ancora in carne, trovandosi posta nel Purgatorio dell' affocato divino Amore, il quale tutta la bruciava e purificava di quanto era in lei da purificare, acciocché, passando di questa vita, potesse esser presentata innanzi al cospetto del suo dolce Amore Iddio, per mezzo di questo amoroso fuoco, comprendeva nell' anima sua come stavano l' anime de' fedeli nel luogo del Purgatorio, per purgare ogni ruggine e macchia di peccato, che in questa vita ancora non avessero purgato. E così come essa posta nel Purgatorio amoroso del divin fuoco stava unita a esso divino Amore, e contenta di tutto quello ch' egli in lei operava, così comprendeva delle anime che sono nel Purgatorio. E diceva:

2. L' anime che sono nel Purgatorio (secondo che mi par comprendere) non possono avere altra elezione che di essere in esso luogo; e questo è per l' ordinazione di Dio, il quale ha fatto questo giustamente.
Né si possono più voltare verso se stesse, né dire: Io ho fatto tali peccati per li quali merito di star qui. Né possono dire: Io non li vorrei aver fatti, perché me n' andrei ora in Paradiso. Né dire: Quegli n' esce più presto di me; ovvero: Io n' uscirò più presto di quello. Non possono avere alcuna memoria propria, né d' altri parimente, in bene o in male, che in loro faccia maggior afflizione del suo ordinario. Ma hanno un tanto contento di essere nell' ordinazione di Dio, e ch' egli adoperi tutto quello che gli piace, e come gli piace, che di lor medesime non possono pensare con maggior loro pena. E solamente veggono l' operazione della divina bontà, la quale ha tanta misericordia all' uomo per condurlo a sé, che di pena o di bene che possa accadere in proprietà, non si può da esse niente vedere; e se'l potesser vedere, non sarebbero in carità pura. Non possono vedere altresì che sieno in quelle pene per li loro peccati, e non possono tener quella vista nella mente; imperciocché ciò sarebbe una imperfezione attiva, la qual non può essere in detto luogo, perché non vi si può attualmente più peccare. La causa del Purgatorio che hanno in loro, la veggono una sol volta nel passare di questa vita: e poi mai più non la veggono; perché altrimenti vi sarebbe una proprietà.

3. Essendo perciò quell' anime in carità, e da quella non potendo più deviare con attual difetto, non possono più volere né desiderare se non il puro volere della pura carità; ed essendo in quel fuoco purgatorio, sono nell' ordinazione divina. La qual' è carità pura; e non possono più in alcuna cosa da quella deviare, perché son private così di attualmente peccare, come il sono di attualmente meritare.

4. Non credo che si possa trovar contentezza da comparare a quella di un' anima di Purgatorio, eccetto quella de' Santi del Paradiso. E questa contentezza cresce ogni giorno, per l' influsso di Dio in esse anime; il quale va crescendo siccome va consumando l' impedimento dell' influsso. La ruggine del peccato è l' impedimento; e il fuoco va consumando la ruggine: e così l'anima sempre più si va discoprendo al divino influsso. Siccome appunto una cosa coperta non può corrispondere alla riverberazione del sole, non per difetto del sole, che di continuo luce, ma per l' opposizione della copertura, se si consumerà dunque la copertura, si discoprirà la cosa al sole. E tanto più corrisponderà alla riverberazione, quanto la copertura più s' andrà consumando. Così la ruggine (cioè il peccato) è la copertura delle anime; e nel Purgatorio si va consumando per lo fuoco; e quanto più si consuma, tanto sempre più corrisponde al vero sole Iddio. Però tanto cresce la contentezza, quanto manca la ruggine, e si discopre l' anima al divin raggio. E così l' un cresce e l' altro manca, sin che sia finito il tempo. Non manca però la pena, ma solo il tempo di stare in essa pena. E per quanto s' aspetta alla volontà di quell' anime, esse non possono mai dire che quelle pene sien pene: tanto si contentano dell' ordinazione di Dio, colla quale è unita la lor volontà in pura carità.

5. Dall' altra parte poi hanno una pena tanto estrema, che non si trova lingua che il possa narrare, né intelletto che possa capirne una minima scintilla, se Dio non gliela mostrasse per grazia speciale. La quale scintilla Dio per grazia la mostrò a quest'anima; ma colla lingua io non la posso esprimere. E questa vista che mi mostrò il Signore, mai più non s' è partita dalla mia mente. Io ve ne dirò quello ch' io potrò; e intenderanno quelli a quali il Signore si degnerà l' intelletto aprire.

6. Il fondamento di tutte le pene si è il peccato, originale od attuale. Dio ha creata l' anima pura, semplice, e netta d'ogni macchia di peccato, con un certo istinto beatifico verso di lui; dal quale istinto il peccato originale, ch' essa trova, l' allontana. Poi quando vi si aggiunge l'attuale, ancora più ella se ne allontana; e, quanto più se ne discosta, tanto più diventa maligna; imperciocché Dio meno le corrisponde. E perché tutte le bontà che possano essere, sono per participazione di Dio. Il quale corrisponde nelle creature irrazionali, come vuole e come ha ordinato, e non manca loro mai; all' anima poi razionale corrisponde più e meno, secondo che la trova purificata dall' impedimento del peccato. Perciò, quando si trova un' anima che si accosti alla sua prima creazione pura e netta, quell' istinto beatifico se le va discoprendo, e crescendo tuttavia, con tanto impeto, e con tal veemenza di fuoco di carità (il quale la tira al suo ultimo fine) che le par cosa insopportabile l' essere impedita, e quanto più vede, tanto l' è più estrema pena.

7. E perché l' anime, che sono nel Purgatorio, sono senza colpa di peccato, perciò non hanno impedimento tra Dio e loro, se non quella pena, la quale le ha ritardate, sicché l' istinto non ha potuto aver la sua perfezione. Così veggendo esse per certezza quanto importi ogni minimo impedimento, ed esser per necessità di giustizia ritardato esso istinto, quindi nasce in loro un estremo fuoco, simile a quello dell' Inferno, se si eccettui la colpa, la qual' è quella che fa la volontà maligna a' dannati dell' Inferno, a' quali Dio non corrisponde colla sua bontà. E perciò essi restano in quella disperata maligna volontà contra la volontà di Dio.

8. Quindi vedesi esser manifesto, che la perversa volontà contra la volontà di Dio è quella che fa la colpa e, perseverando la mala volontà, persevera la colpa. E, per esser quelli dell' Inferno passati da questa vita colla mala volontà, la loro colpa non è rimessa, né si può rimettere; perché più non si possono mutare di volontà, poiché con quella son passati da questa vita. Nel qual passo si stabilisce l' anima in bene o in male, come si trova colla volontà deliberata; siccom' è scritto: Ubi te invenero, cioè, nell' ora della morte, con qual volontà, o di peccare o malcontento e pentito del peccato, ibi te iudicabo . Al qual giudizio non è poi remissione, imperciocché, dopo la morte, la libertà del libero arbitrio non è più convertibile, ma sta fermata in quello, in ch' ella si trova al punto della morte. Quelli dell' Inferno, per esser trovati al punto della morte colla volontà di peccare, hanno con seco la colpa infinitamente, e la pena. Non però tanta quanta meritano, ma pur quella che hanno è senza fine. Ma quelli del Purgatorio han solamente la pena, perciocché la colpa fu cancellata nel punto della morte, essendo stati essi trovati malcontenti e pentiti de' lor peccati. E così essa pena è finita, e va sempre mancando, quanto al tempo, com' è detto. Oh miseria sopra ogni miseria! E tanto più quanto non è considerata dall' umana cecità.

9. La pena de' dannati non è già infinita in quantità, imperciocché la dolce bontà di Dio spande il raggio della sua misericordia ancora nell' Inferno. Perché l' uomo, morto in peccato mortale, merita pena infinita, e tempo infinito di essa pena. Ma la misericordia di Dio ha fatto solo il tempo della pena infinito, e la pena terminata in quantità: imperciocché giustamente gli avrebbe potuto dar molto maggior pena che non gli ha dato. Oh quanto è pericoloso il peccato fatto con malizia! Perché l' uomo con difficoltà se ne pente; e non pentendosi esso, sempre sta la colpa; la quale tanto persevera, quanto l' uomo sta nella volontà del peccato commesso, o di commetterlo.

10. Ma l' anime del Purgatorio hanno in tutto conforme la lor volontà con quella di Dio. E però Dio corrisponde loro colla sua bontà, ed esse restan contente, quanto per volontà, e purificate dal peccato originale ed attuale, quanto alla colpa. Restan così purificate quell' anime come quando Dio le creò. E per esser passate da questa vita malcontente e confessate di tutti i loro peccati commessi, con volontà di più non commetterne, Iddio subito perdona loro la colpa; e non resta loro se non la ruggine del peccato, della quale poi si purificano nel fuoco con pena. E così, purificate d' ogni colpa e unite a Dio per volontà, veggiono chiaramente Dio secondo il grado ch' egli fa lor conoscere; e veggiono ancora quanto importi la fruizione di Dio, e che l' anime sono state create a questo fine. Trovano ancora una tanta conformità unitiva con esso lor Dio, la qual tira tanto a sé (per l' istinto naturale dell' anima verso Dio), che non possono addursi ragioni, figure od esempi che sieno sufficienti a chiarir questa cosa, in quel modo che la mente la sente in effetto e comprende per interior sentimento. Nondimeno io ne dirò uno, che alla mente mi s' appresenta.

11. Se, in tutto il mondo, non vi fosse se non un pane, il qual dovesse levar la fame a tutte le umane creature, e che solamente veggendolo, le creature si saziassero; avendo l' uomo per natura, quando è sano, istinto di mangiare, se non mangiasse, e non si potesse infermare né morire, quella fame sempre crescerebbe; perché l' istinto di mangiare mai non gli manca. E sapendo l' uomo allora, che solo il detto pane il può saziare, e, non avendolo, la fame non si potrebbe levare, e perciò resterebbe l' uomo in pena intollerabile. Ma quanto più se gli avvicinasse non potendolo vedere, tanto più in lui s' accenderebbe il desiderio naturale, il quale per suo istinto sarebbe tutto raccolto verso esso pane, dove consisterebbe tutto il contento suo. E se fosse certo di non aver giammai a vedere il pane, in quel punto avrebbe l' Inferno compito, a somiglianza dell' anime dannate, le quali son prive d' ogni speranza di mai poter vedere il pane Dio, vero Salvatore. Ma l' anime del Purgatorio hanno speranza di veder esso pane, e in tutto saziarsene. Perciò tanto solamente patiscono fame, e tanto stanno in pena, quanto staranno a potersi saziare di quel pane, Gesù Cristo, vero Dio Salvatore, Amor nostro.

12. Siccome lo spirito netto e purificato non trova luogo, eccetto Dio, per suo riposo, per essere stato a questo fine creato, così l' anima in peccato non ha altro luogo se non l' Inferno, avendole ordinato Dio quel luogo per fin suo. Però, in quell' istante che lo spirito vien separato dal corpo, l' anima va all' ordinato luogo suo senz' altra guida, eccetto quella che ha la natura del peccato; partendosi però l' anima dal corpo in peccato mortale. E se l' anima non trovasse in quel punto quella ordinazione, procedente dalla giustizia dì Dio, rimarrebbe in maggiore Inferno che non è quello, per ritrovarsi fuori di essa ordinazione, la quale partecipa della divina misericordia, perché non dà all' anime condannate tanta pena, quanta esse meritano. Perciò, non trovando luogo più conveniente, né di minor male per loro, spinte dall' ordinazione di Dio, vi si gettan dentro, come nel suo proprio luogo.

13. Così, al proposito nostro del Purgatorio, l' anima separata dal corpo, la quale non si trova in quella nettezza in cui fu creata, veggendosi avere l' impedimento, e che non le può esser levato, se non per mezzo del Purgatorio, presto vi si getta dentro, e volentieri. Che se non trovasse questa ordinazione atta a levarle quell' impaccio, in quell'istante in lei si genererebbe un Inferno peggiore del Purgatorio, veggendo essa di non poter giungere (per l' impedimento) al suo fine Dio. Il quale tanto importa che, in comparazione di un tal fine, il Purgatorio non è da stimare: benché, siccome si è detto, sia simile all' Inferno. Ma in quella comparazione è quasi niente.

14. Più ancora dico. Ch' io veggio, quanto per parte di Dio, il Paradiso non abbia porta: ma chi vuole entrare vi entra, perché Dio è tutto misericordia, e sta verso noi colle braccia aperte per riceverne nella sua gloria. Ma ben veggio, altresì, quella divina essenza esser di tanta (e molto più che immaginar si possa) purità e nettezza, che l' anima, la quale in sé abbia tanta imperfezione quanto sarebbe un minimo bruscolo, si getterebbe più presto in mille Inferni, che trovarsi in presenza della divina maestà con quella macchia. E perciò, veggendo essa il Purgatorio ordinato per levarle esse macchie, vi si getta dentro; e le par trovare una gran misericordia, per potersi levare quell' impedimento.

15. Di quanta importanza sia il Purgatorio, né lingua il può esprimere, né mente capire; se non ch' io il veggio essere di tanta pena come l' Inferno. E nientedimeno, io veggio l' anima, la qual' in sé sente una minima macchia d' imperfezione, riceverlo per misericordia (come si è detto), non facendone in un certo modo stima, in comparazione di quella macchia impeditiva del suo amore. E parmi vedere la pena dell' anime del Purgatorio esser più per vedersi avere in sé cosa che dispiaccia a Dio, e averla fatta volontariamente contra tanta bontà, che per niun altro tormento che sentano in esso Purgatorio. Questo è perché, essendo quell' anime in grazia, veggiono la verità e l' importanza dell' impedimento, il quale non le lascia approssimare a Dio.

16. Tutte queste cose, che si son dette per comparazione di quello ch' io ne son certificata nella mente mia (per quanto io n' ho potuto comprendere in questa vita), son di tanta estremità, che ogni vista, ogni parola, ogni sentimento, ogn' immaginazione, ogni giustizia, ogni verità, mi paion bugie, e cose da niente. Resto ancora confusa, per non saper trovare vocaboli più estremi. Io veggio sì gran conformità di Dio coll' anima, che quando egli la vede in quella purità in cui Sua Maestà la creò, le dà un certo modo attrattivo d' affocato amore, sufficiente per annichilarla, bench' ella sia immortale. E la fa stare tanto trasformata in sé suo Dio, che non si vede esser altro che Dio, il qual continuamente la va tirando e affocando, né mai la lascia, sin che l' abbia condotta a quell' essere nel qual' è uscita dalle mani di lui, cioè in quella pura nettezza che fu creata.

17. Quando l' anima, per interior vista, si vede così da Dio tirare con tanto amoroso fuoco, allora per quel calore dell' affocato amore del suo dolce Signore e Dio, che sente ridondare nella sua mente, tutta si liquefà. Veggendo poi nel divin lume siccome Dio non cessa mai di tirarla e condurla all' intera sua perfezione, con tanta cura e continua provvisione; che il fa solo per puro amore; ed essa, per aver l' impedimento del peccato, non poter seguire quell' attrazione fatta da Dio, cioè quell' unitivo sguardo che Dio le ha dato per tirarla a sé; veggendo ancora quanto le importi l' esser ritardata da non poter vedere il divin lume: aggiuntovi l' istinto dell' anima la qual vorrebbe esser senza impedimento, per esser tirata da esso unitivo sguardo: dico, la vista delle predette cose esser quella che genera all' anime la pena la quale hanno nel Purgatorio. Non che facciano stima della lor pena (benché sia però grandissima), ma fanno più stima assai dell' opposizione che si trovano aver contra la volontà di Dio, il quale veggiono chiaramente acceso d' un estremo e puro amore verso di loro. Questo amore, con quell' unitivo sguardo, tira sì forte di continuo, come se altro che questo non avesse a fare. Perciò l' anima, questo veggendo, se trovasse un altro Purgatorio sopra quello, per potersi levar più presto tanto impedimento, ben tosto visi getterebbe dentro, per l' impeto di quell' amor conforme tra Dio e l' anima.

18. Veggio, ancora, procedere da quel divino amore verso l' anima certi raggi e lampi affocati, tanto penetranti e forti, che pare debbano annichilare non solo il corpo, ma ancor essa anima, se fosse possibile. Questi raggi fanno due operazioni: per la prima purificano; colla seconda annichilano. Vedi l' oro: quanto più tu il fondi, tanto più divien migliore: e tanto il potresti fondere, che annichileresti in esso ogn' imperfezione. Questo effetto fa il fuoco nelle cose materiali. Ma l' anima non si può annichilare in Dio, ma sibbene in se stessa: e quanto più la purifichi, tanto più in essa l' annichili; ed al fine in Dio resta purificata. L' oro quando è purificato per fino a ventiquattro carati, non si consuma poi più, per fuoco che tu gli possa dare; perché non si può consumare se non la sua imperfezione. Così fa il divin fuoco nell' anima. Dio la tiene tanto al fuoco, che le consuma ogn' imperfezione e la conduce alla perfezione di ventiquattro carati (ognuno però in suo grado): e quando ella è purificata, resta tutta in Dio, senza alcuna cosa in sé propria. Ed il suo esser è Dio. Il quale, quando ha condotta a sé l' anima così purificata, allora ella resta impassibile, perché più non le resta da consumare. E se, pur così purificata, ella fosse tenuta al fuoco, questo non le sarebbe penoso; anzi le sarebbe fuoco di divino amore, come vita eterna, senz' alcuna contrarietà.

19. L' anima è stata creata con tutte quelle buone condizioni, delle quali ella era capace, per arrivare alla perfezione. Vivendo però come Dio le ha ordinato, non contaminandosi d' alcuna macchia di peccato. Ma, essendosi contaminata per lo peccato originale, perde i suoi doni e le grazie, e resta morta; né si può risuscitare se non da Dio. E quando ella è risuscitata per lo Battesimo, le resta la mala inclinazione, la quale l' inclina e conduce (s' ella non fa resistenza) al peccato attuale; per lo quale di nuovo muore. Dio poi ancora la risuscita con un' altra grazia speciale, imperciocché ella resta così imbrattata, e conversa verso se stessa, che per rivocarla al suo primo stato, come Dio la creò, le bisognano tutte le sopraddette divine operazioni, senza le quali giammai ella non vi potrebbe ritornare. E quando l' anima si trova in via di ritornarvi, tanto è l' accendimento di doversi trasformare in Dio, che quello è il suo Purgatorio. Non che ella possa guardare al Purgatorio siccome a Purgatorio; ma quell' istinto acceso ed impedito è quello che le fa il Purgatorio. Quest' ultimo atto d' amore è quello che fa quest' opera senza l' uomo; trovandosi nell' anima tante imperfezioni occulte, che s' ella le vedesse, vivrebbe disperata: ma quest' ultimo stato le va consumando tutte. E poiché son consumate, Dio le mostra e lei, acciocché l' anima vegga l' operazion divina, che le causa il fuoco d'amore, il qual consuma quelle imperfezioni che son da consumare.

20. E sappi che quello che l' uomo giudica in sé perfezione, innanzi a Dio resta difetto: imperciocché tutto ciò che l'uomo opera di cose, le quali abbiano apparenza di perfezione, come pur le vede, le sente, le intende, le vuole, ovvero ne ha memoria, senza riconoscerle da Dio, in tutto si contamina egli ed imbratta. Perché, dovendo l' operazioni esser perfette, bisogna che sieno operate in noi senza noi, quanto come agenti principali, e che l' operazione di Dio sia in Dio, senza l' uomo primo operante. Queste tali operazioni son quelle che fa Dio nell' ultima operazione dell' amor puro e netto, da sé solo, senza merito nostro: le quali sono tanto penetranti ed affocate all' anima, che il corpo, il quale è intorno ad essa, par che vada arrabbiando. In quel modo come chi stesse in un gran fuoco, poiché non s' acqueterebbe giammai fino alla morte. È vero che l' amor di Dio, il qual ridonda nell' anima (secondo ch' io veggio), le dà una contentezza sì grande, che non si può esprimere, ma questa contentezza, all' anime che sono in Purgatorio, non leva scintilla di pena. Anzi quell' amore, il quale si trova ritardato, è quello che fa loro la pena: e tanto lor fa pena maggiore, quanta è la perfezione dell' amore del quale Iddio l' ha fatte capaci. Sicché l' anime in Purgatorio han contento grandissimo, e pena grandissima: e l' una cosa non impedisce l' altra.

21. Se l' anime di Purgatorio potessero purgarsi per contrizione, in un istante pagherebbero tutto il debito loro. Tanto affocato impeto di contrizione verrebbe ad esse, e questo per lo chiaro lume che hanno dell' importanza di quell' impedimento, che non le lascia congiungere col fine loro ed Amor Dio. E sappi certo che, del pagamento a quelle anime, pur un minimo danaro non si perdona, essendo così stabilito dalla divina giustizia. E questo è quanto per parte di Dio. Per parte poi dell' anime, esse non hanno più propria elezione, e non possono più vedere se non quanto vuol Dio; né altro vorrebbero, imperciocché così sono stabilite.

22. E se alcuna limosina è fatta loro da quelli che sono al mondo, la quale minuisca loro il tempo, quanto ad esse, non si possono più voltare con affetto per vederle; eccetto sotto quella giustissima bilancia della volontà divina, in tutto lasciando fare a Dio, il quale si paga, come alla sua infinita bontà piace. E se si potessero voltare in vedere esse limosine fuori di essa divina volontà, ciò sarebbe loro una proprietà, che lor leverebbe la vista del divin volere; il che sarebbe ad esse un Inferno. Perciò stanno immobili a tutto quello che Dio dà loro, così di piacere e contentezza, come di pena: e mai più a se stesse proprie non si posson voltare. Tanto son' intime e trasformate nella volontà di Dio e si contentano in tutto dell' ordinazione sua santissima.

23. E quando un' anima fosse presentata alla visione di Dio, avendo ancora un poco da purgare, se le farebbe una grande ingiuria, e ciò le sarebbe maggior passione che dieci Purgatori. Perciocché quella pura bontà e somma giustizia non la potrebbe sopportare: sarebbe cosa inconveniente per parte di Dio; ed a quell' anima, ch' ella vedesse Iddio non essere pienamente ancora da lei satisfatto, in modo che le mancasse pure un sol batter d' occhio di purgazione. Ciò le sarebbe cosa intollerabile e, per levarsi quella poca ruggine, andrebbe più presto in mille Inferni (quando se li potesse eleggere), che star innanzi alla divina presenza non purificata in tutto ancora.

24. E così quell' anima benedetta, veggendo le sopraddette cose nel divin lume, disse: Viemmi voglia di gridare un sì forte grido che spaventasse tutti gli uomini che sono sopra la terra, e dir loro: O miseri, perché vi lasciate così accecare da questo mondo, che a una tanta e così importante necessità, come troverete al punto della morte, non date provvisione alcuna? Tutti state coperti sotto la speranza della misericordia di Dio, la qual dite esser tanto grande, ma non vedete che tanta bontà di Dio vi sarà in giudizio, per aver fatto contra la volontà d' un tanto buon Signore. La sua bontà vi dovrebbe costringere a far tutta la sua volontà e non darvi speranza di far male impunemente: perciocché la sua giustizia ancora non può mancare, ma bisogna che in alcun modo sia satisfatta appieno. Non ti confidare dicendo: Io mi confesserò, e poi prenderò la Indulgenza plenaria, e sarò in quel punto purgato di tutti i miei peccati; e così sarò salvo. Pensa che la confessione e contrizione, la qual' è di bisogno per essa Indulgenza plenaria, è cosa tanto difficile ad avere che, se tu il sapessi, tremeresti per gran paura, e saresti più certo di non averla, che di poterla avere.

25. Io veggio quelle anime star nelle pene del Purgatorio colla vista di due operazioni. La prima è che patiscono volentieri quelle pene, e pare ad esse vedere che Dio abbia fatta loro gran misericordia, considerando quello che meritavano, e conoscendo quanto Dio importa. Imperciocché se la sua bontà non temperasse la giustizia colla misericordia, satisfacendola col prezioso sangue di Gesù Cristo, un sol peccato meriterebbe mille perpetui Inferni. E perciò patiscono questa pena così volentieri, che non se ne leverebbero un sol carato, parendo loro di giustamente meritarla, e ch' essa sia ben' ordinata. In modo che tanto si lamentano di Dio (quanto alla volontà) come se fossero in vita eterna. L' altra operazione è un contento, il qual' hanno veggendo l'ordinazione di Dio, coll' amore, e colla misericordia che opera verso l' anime. Queste due viste Iddio le imprime in quelle menti in un istante; e, perch' elle sono in grazia, le intendono e capiscono così come sono, secondo la loro capacità. E perciò ne ricevono un gran contento, il quale non manca lor mai, anzi va in esse crescendo tanto, quanto più si approssimano a Dio. E quelle anime non lo veggiono in loro, né per lor proprie, ma il veggiono in Dio; nel quale sono assai più intente, che nelle pene da lor patite, e del quale fanno assai più stima, senza comparazione. Perciocché ogni poca vista, che si possa aver di Dio, eccede ogni pena e ogni gaudio che l' uomo può capire: e benché la ecceda, non leva però ad esse una scintilla di gaudio, o di pena.

26. Questa forma purgativa ch' io veggio delle anime del Purgatorio, la sento nella mente mia, massime da due anni in qua; e ogni giorno la sento e veggio più chiara. Veggio star l' anima mia in questo corpo come in un Purgatorio, conforme e consimile al vero Purgatorio, colla misura però che il corpo possa sopportare, acciocché non muoia; sempre nondimeno crescendo a poco a poco, fino a tanto ch' esso pur muoia. Veggio lo spirito alienato da tutte le cose, anche spirituali, che gli possono dar nutrimento, come sarebbe allegrezza, dilettazione, o consolazione. Ed egli non ha possanza di gustare alcuna cosa, sia temporale o spirituale, per volontà, per intelletto, né per memoria; in tal modo ch' io possa dire: Mi contento più di questa cosa, che di quell' altra.

27. Trovasi l' interior mio in modo assediato, che di tutte quelle cose dove si refrigerava la vita spirituale, e la corporale, tutte a poco a poco gli sono state levate. E poiché gli son levate, esso conosce tutte essere state cose da pascersi e confortarsi: ma come sono dallo spirito conosciute, tanto sono odiate da esso ed abborrite, che se ne vanno tutte senza alcun riparo. Questo è perché lo spirito ha in sé l' istinto di levarsi ogni cosa impeditiva della sua perfezione, e con tanta crudeltà, ch' egli quasi lascerebbe mettersi nell' Inferno, per venire all' intento suo. E perciò va levando tutte le cose onde l' uomo interiore si possa pascere, e l' assedia tanto per sottile, che non vi può passare così minimo bruscolo d' imperfezione, il quale non sia da lui veduto ed abborrito.

28. Quanto alla parte esteriore, perché lo spirito non le corrisponde, resta ancor' essa tanto assediata, che non trova cosa in terra dove si possa refrigerare, secondo il suo umano istinto. Non le resta altro conforto che Dio, il qual' opera tutto questo per amore, e con gran misericordia, per satisfare alla sua giustizia. Questa vista a detta parte esteriore dà gran pace e contentezza; ma questa contentezza non minuisce però la pena, né l' assedio; né se le potrebbe dar si gran pena, ch' essa volesse uscire da quella divina ordinazione. Non si parte di prigione, né ancora cerca d' uscirne, fino a tanto che Dio faccia quello che sarà bisogno. Il mio contento è che Dio sia satisfatto; né potrei trovar maggior pena come di uscir fuori dell' ordinazione di Dio, tanto giusta la veggio, e con gran misericordia. Tutte le predette cose io le veggio e tocco, ma non so trovar vocaboli convenienti per esprimere quanto vorrei dire; e quello ch' io ne ho detto, il sento operar dentro spiritualmente; e però l' ho detto.

29. La prigione nella quale mi par d' essere, è il mondo; il legame, il corpo. E l' anima, illuminata dalla grazia, è quella che conosce la importanza di esser ritenuta o ritardata, per qualche impedimento, di non poter conseguire il fin suo: e però ciò le dà gran pena, per esser ella molto delicata. Riceve ancora da Dio, per grazia, una certa dignità, la quale la fa simile ad esso Dio; anzi la fa con seco una cosa medesima, per participazione della sua bontà. E siccome a Dio è impossibile che accader possa alcuna pena, così interviene all' anime, che si approssimano a lui; e quanto più gli si approssimano, tanto più della proprietà di lui ricevono. La ritardazione dunque che trova l' anima le causa pena intollerabile; la pena e il ritardo la fan difforme da quelle proprietà che essa ha per natura, e che per grazia le son mostrate. E non potendole avere, ed essendone capace, resta colla pena tanto grande, quanto ella stima Dio. La stima è poi tanto maggiore, quanto l' anima più conosce; e tanto più conosce, quanto è più senza peccato. Ma l' impedimento resta più terribile, massime che l' anima resta tutta raccolta in Dio e, per non avere alcun' esterno impedimento, conosce senza errore.

30. Siccome l' uomo, che si lascia ammazzare prima che offender Dio, sente il morire e gli dà pena, ma il lume di Dio gli dà uno zelo, il quale gli fa più stimare il divino onore che la morte corporale, così l' anima, conoscendo l' ordinazione di Dio, stima più quella ordinazione che non fa tutti i tormenti interiori ed esteriori, per terribili che possan' essere. E questo, perché Dio, per lo quale si fa quest' opera, eccede ogni cosa che sentire e immaginar si possa. E conciossiacché l' occupazione che Dio dà all' anima di sé, per poca che sia, la tenga tanto in Sua Maestà occupata, ch' ella d' altro non può fare stima, perciò perde ogni proprietà, né più vede, parla, né conosce, danno o pena in sé propria: ma il tutto (come di sopra si è detto) conosce in un istante quando passa da questa vita. E finalmente, per conclusione, intendiamo, che Dio fa perdere tutto quello ch' è dell' uomo; e che il Purgatorio lo purifica


Velehrad (Boemia), 8 settembre 1991. Natività della Beata Vergine Maria. La corona dei popoli slavi.

Don Stefano Gobbi

«Oggi ti ho voluto qui a celebrare il giorno della mia Natività con un Cenacolo, che tieni in questo importante Santuario, dove sono venerata, assieme alla memoria dei due grandi apostoli slavi San Cirillo e San Metodio. Ti incontri con tanti Sacerdoti e fedeli, venuti anche da lontano, per passare questo giorno in continua preghiera con la Mamma Celeste e per rinnovare assieme la vostra consacrazione al mio Cuore Immacolato. Portami, come dono filiale, attorno alla culla, ove sono deposta nel giorno della mia nascita, la corona dei popoli slavi. Con essa orna e profuma di amore e di fiducia questo giorno del mio Natale.

Da questo mio venerato Santuario, oggi vi benedico o popoli slavi, che siete da Me particolarmente amati e protetti, specialmente in questi tempi, in cui sono stata a voi vicina. Sono stata sempre accanto a voi, nei lunghi anni della vostra dura e sanguinosa schiavitù. Il Dragone rosso aveva esercitato su di voi tutto il suo potere, segnando ovunque di lacrime e di sangue il suo crudele dominio. Ma Io ho ottenuto dal Signore la grande grazia della vostra liberazione. Sono stata sempre accanto a voi, nei momenti decisivi in cui il comunismo veniva da voi per sempre sconfitto e sono personalmente intervenuta perché questo passaggio avvenisse senza lotte fratricide, senza spargimento di sangue e senza ulteriori distruzioni. Sono ora particolarmente accanto a voi, per aiutarvi a camminare sulla strada della vera libertà, nel fedele adempimento delle promesse battesimali, in un quotidiano impegno a seguire Gesù sul cammino della grazia di Dio, dell'amore, della purezza, della comunione e della fraternità.

Siano chiuse per sempre le ferite del passato ed apritevi ai tempi nuovi che vi attendono. Tutta l'Europa deve diventare una sola e grande famiglia, fedele a Cristo ed alla sua Chiesa, in uno sforzo di conversione e di ritorno al Signore, perché possa essere da voi sconfitto il nemico più pericoloso dell'ateismo pratico, dell'edonismo, della impurità e della empietà. Come i vostri grandi maestri e patroni vi hanno portato la prima evangelizzazione, così tutti voi, miei prediletti e figli a Me consacrati, siete ora chiamati ad essere gli apostoli di questa seconda evangelizzazione.

Siate nella pace, nella gioia; vivete nella fiducia ed in una grande speranza. Io sono sempre con voi. Da qui, assieme ai santi Cirillo e Metodio, oggi benedico tutti i popoli slavi e questa nuova Europa, completamente rinnovata, che ogni giorno Io formo nel giardino celeste del mio Cuore Immacolato».