Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Non si perviene a salvezza senza attraversare il burrascoso mare, sempre minacciante rovina. Il Calvario è il monte dei santi; ma di là  si passa ad un altro monte, che denominasi Tabor. (San Pio da Pietrelcina)

Liturgia delle Ore - Letture

Lunedi della 13° settimana del tempo ordinario

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Marco 9

1E diceva loro: "In verità vi dico: vi sono alcuni qui presenti, che non morranno senza aver visto il regno di Dio venire con potenza".

2Dopo sei giorni, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni e li portò sopra un monte alto, in un luogo appartato, loro soli. Si trasfigurò davanti a loro3e le sue vesti divennero splendenti, bianchissime: nessun lavandaio sulla terra potrebbe renderle così bianche.4E apparve loro Elia con Mosè e discorrevano con Gesù.5Prendendo allora la parola, Pietro disse a Gesù: "Maestro, è bello per noi stare qui; facciamo tre tende, una per te, una per Mosè e una per Elia!".6Non sapeva infatti che cosa dire, poiché erano stati presi dallo spavento.7Poi si formò una nube che li avvolse nell'ombra e uscì una voce dalla nube: "Questi è il Figlio mio prediletto; ascoltatelo!".8E subito guardandosi attorno, non videro più nessuno, se non Gesù solo con loro.

9Mentre scendevano dal monte, ordinò loro di non raccontare a nessuno ciò che avevano visto, se non dopo che il Figlio dell'uomo fosse risuscitato dai morti.10Ed essi tennero per sé la cosa, domandandosi però che cosa volesse dire risuscitare dai morti.11E lo interrogarono: "Perché gli scribi dicono che prima deve venire Elia?".12Egli rispose loro: "Sì, prima viene Elia e ristabilisce ogni cosa; ma come sta scritto del Figlio dell'uomo? Che deve soffrire molto ed essere disprezzato.13Orbene, io vi dico che Elia è già venuto, ma hanno fatto di lui quello che hanno voluto, come sta scritto di lui".

14E giunti presso i discepoli, li videro circondati da molta folla e da scribi che discutevano con loro.15Tutta la folla, al vederlo, fu presa da meraviglia e corse a salutarlo.16Ed egli li interrogò: "Di che cosa discutete con loro?".17Gli rispose uno della folla: "Maestro, ho portato da te mio figlio, posseduto da uno spirito muto.18Quando lo afferra, lo getta al suolo ed egli schiuma, digrigna i denti e si irrigidisce. Ho detto ai tuoi discepoli di scacciarlo, ma non ci sono riusciti".19Egli allora in risposta, disse loro: "O generazione incredula! Fino a quando starò con voi? Fino a quando dovrò sopportarvi? Portatelo da me".20E glielo portarono. Alla vista di Gesù lo spirito scosse con convulsioni il ragazzo ed egli, caduto a terra, si rotolava spumando.21Gesù interrogò il padre: "Da quanto tempo gli accade questo?". Ed egli rispose: "Dall'infanzia;22anzi, spesso lo ha buttato persino nel fuoco e nell'acqua per ucciderlo. Ma se tu puoi qualcosa, abbi pietà di noi e aiutaci".23Gesù gli disse: "Se tu puoi! Tutto è possibile per chi crede".24Il padre del fanciullo rispose ad alta voce: "Credo, aiutami nella mia incredulità".25Allora Gesù, vedendo accorrere la folla, minacciò lo spirito immondo dicendo: "Spirito muto e sordo, io te l'ordino, esci da lui e non vi rientrare più".26E gridando e scuotendolo fortemente, se ne uscì. E il fanciullo diventò come morto, sicché molti dicevano: "È morto".27Ma Gesù, presolo per mano, lo sollevò ed egli si alzò in piedi.
28Entrò poi in una casa e i discepoli gli chiesero in privato: "Perché noi non abbiamo potuto scacciarlo?".29Ed egli disse loro: "Questa specie di demòni non si può scacciare in alcun modo, se non con la preghiera".

30Partiti di là, attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse.31Istruiva infatti i suoi discepoli e diceva loro: "Il Figlio dell'uomo sta per esser consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma una volta ucciso, dopo tre giorni, risusciterà".32Essi però non comprendevano queste parole e avevano timore di chiedergli spiegazioni.

33Giunsero intanto a Cafàrnao. E quando fu in casa, chiese loro: "Di che cosa stavate discutendo lungo la via?".34Ed essi tacevano. Per la via infatti avevano discusso tra loro chi fosse il più grande.35Allora, sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: "Se uno vuol essere il primo, sia l'ultimo di tutti e il servo di tutti".36E, preso un bambino, lo pose in mezzo e abbracciandolo disse loro:
37"Chi accoglie uno di questi bambini nel mio nome, accoglie me; chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato".

38Giovanni gli disse: "Maestro, abbiamo visto uno che scacciava i demòni nel tuo nome e glielo abbiamo vietato, perché non era dei nostri".39Ma Gesù disse: "Non glielo proibite, perché non c'è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me.40Chi non è contro di noi è per noi.

41Chiunque vi darà da bere un bicchiere d'acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non perderà la sua ricompensa.

42Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, è meglio per lui che gli si metta una macina da asino al collo e venga gettato nel mare.43Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile.44.45Se il tuo piede ti scandalizza, taglialo: è meglio per te entrare nella vita zoppo, che esser gettato con due piedi nella Geenna.46.47Se il tuo occhio ti scandalizza, cavalo: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, che essere gettato con due occhi nella Geenna,48dove 'il loro verme non muore e il fuoco non si estingue'.49Perché ciascuno sarà salato con il fuoco.50Buona cosa il sale; ma se il sale diventa senza sapore, con che cosa lo salerete? Abbiate sale in voi stessi e siate in pace gli uni con gli altri".


Genesi 45

1Allora Giuseppe non poté più contenersi dinanzi ai circostanti e gridò: "Fate uscire tutti dalla mia presenza!". Così non restò nessuno presso di lui, mentre Giuseppe si faceva conoscere ai suoi fratelli.2Ma diede in un grido di pianto e tutti gli Egiziani lo sentirono e la cosa fu risaputa nella casa del faraone.3Giuseppe disse ai fratelli: "Io sono Giuseppe! Vive ancora mio padre?". Ma i suoi fratelli non potevano rispondergli, perché atterriti dalla sua presenza.4Allora Giuseppe disse ai fratelli: "Avvicinatevi a me!". Si avvicinarono e disse loro: "Io sono Giuseppe, il vostro fratello, che voi avete venduto per l'Egitto.5Ma ora non vi rattristate e non vi crucciate per avermi venduto quaggiù, perché Dio mi ha mandato qui prima di voi per conservarvi in vita.6Perché già da due anni vi è la carestia nel paese e ancora per cinque anni non vi sarà né aratura né mietitura.7Dio mi ha mandato qui prima di voi, per assicurare a voi la sopravvivenza nel paese e per salvare in voi la vita di molta gente.8Dunque non siete stati voi a mandarmi qui, ma Dio ed Egli mi ha stabilito padre per il faraone, signore su tutta la sua casa e governatore di tutto il paese d'Egitto.9Affrettatevi a salire da mio padre e ditegli: Dice il tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di tutto l'Egitto. Vieni quaggiù presso di me e non tardare.10Abiterai nel paese di Gosen e starai vicino a me tu, i tuoi figli e i figli dei tuoi figli, i tuoi greggi e i tuoi armenti e tutti i tuoi averi.11Là io ti darò sostentamento, poiché la carestia durerà ancora cinque anni, e non cadrai nell'indigenza tu, la tua famiglia e quanto possiedi.12Ed ecco, i vostri occhi lo vedono e lo vedono gli occhi di mio fratello Beniamino: è la mia bocca che vi parla!13Riferite a mio padre tutta la gloria che io ho in Egitto e quanto avete visto; affrettatevi a condurre quaggiù mio padre".14Allora egli si gettò al collo di Beniamino e pianse. Anche Beniamino piangeva stretto al suo collo.15Poi baciò tutti i fratelli e pianse stringendoli a sé. Dopo, i suoi fratelli si misero a conversare con lui.
16Intanto nella casa del faraone si era diffusa la voce: "Sono venuti i fratelli di Giuseppe!" e questo fece piacere al faraone e ai suoi ministri.17Allora il faraone disse a Giuseppe: "Di' ai tuoi fratelli: Fate questo: caricate le cavalcature, partite e andate nel paese di Canaan.18Poi prendete vostro padre e le vostre famiglie e venite da me e io vi darò il meglio del paese d'Egitto e mangerete i migliori prodotti della terra.19Quanto a te, da' loro questo comando: Fate questo: prendete con voi dal paese d'Egitto carri per i vostri bambini e le vostre donne, prendete vostro padre e venite.20Non abbiate rincrescimento per la vostra roba, perché il meglio di tutto il paese sarà vostro".
21Così fecero i figli di Israele. Giuseppe diede loro carri secondo l'ordine del faraone e diede loro una provvista per il viaggio.22Diede a tutti una muta di abiti per ciascuno, ma a Beniamino diede trecento sicli d'argento e cinque mute di abiti.23Allo stesso modo mandò al padre dieci asini carichi dei migliori prodotti dell'Egitto e dieci asine cariche di grano, pane e viveri per il viaggio del padre.24Poi congedò i fratelli e, mentre partivano, disse loro: "Non litigate durante il viaggio!".
25Così essi ritornarono dall'Egitto e arrivarono nel paese di Canaan, dal loro padre Giacobbe26e subito gli riferirono: "Giuseppe è ancora vivo, anzi governa tutto il paese d'Egitto!". Ma il suo cuore rimase freddo, perché non poteva credere loro.27Quando però essi gli riferirono tutte le parole che Giuseppe aveva detto loro ed egli vide i carri che Giuseppe gli aveva mandati per trasportarlo, allora lo spirito del loro padre Giacobbe si rianimò.28Israele disse: "Basta! Giuseppe, mio figlio, è vivo. Andrò a vederlo prima di morire!".


Salmi 21

1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'

2Signore, il re gioisce della tua potenza,
quanto esulta per la tua salvezza!
3Hai soddisfatto il desiderio del suo cuore,
non hai respinto il voto delle sue labbra.
4Gli vieni incontro con larghe benedizioni;
gli poni sul capo una corona di oro fino.
5Vita ti ha chiesto, a lui l'hai concessa,
lunghi giorni in eterno, senza fine.

6Grande è la sua gloria per la tua salvezza,
lo avvolgi di maestà e di onore;
7lo fai oggetto di benedizione per sempre,
lo inondi di gioia dinanzi al tuo volto.
8Perché il re confida nel Signore:
per la fedeltà dell'Altissimo non sarà mai scosso.

9La tua mano raggiungerà ogni tuo nemico,
la tua destra raggiungerà chiunque ti odia.
10Ne farai una fornace ardente,
nel giorno in cui ti mostrerai:
il Signore li consumerà nella sua ira,
li divorerà il fuoco.
11Sterminerai dalla terra la loro prole,
la loro stirpe di mezzo agli uomini.

12Perché hanno ordito contro di te il male,
hanno tramato insidie, non avranno successo.
13Hai fatto loro voltare le spalle,
contro di essi punterai il tuo arco.
14Alzati, Signore, in tutta la tua forza;
canteremo inni alla tua potenza.


Salmi 109

1'Al maestro del coro. Di Davide. Salmo.'

Dio della mia lode, non tacere,
2poiché contro di me si sono aperte
la bocca dell'empio e dell'uomo di frode;
parlano di me con lingua di menzogna.

3Mi investono con parole di odio,
mi combattono senza motivo.
4In cambio del mio amore mi muovono accuse,
mentre io sono in preghiera.
5Mi rendono male per bene
e odio in cambio di amore.

6Suscita un empio contro di lui
e un accusatore stia alla sua destra.
7Citato in giudizio, risulti colpevole
e il suo appello si risolva in condanna.
8Pochi siano i suoi giorni
e il suo posto l'occupi un altro.
9I suoi figli rimangano orfani
e vedova sua moglie.
10Vadano raminghi i suoi figli, mendicando,
siano espulsi dalle loro case in rovina.

11L'usuraio divori tutti i suoi averi
e gli estranei faccian preda del suo lavoro.
12Nessuno gli usi misericordia,
nessuno abbia pietà dei suoi orfani.
13La sua discendenza sia votata allo sterminio,
nella generazione che segue sia cancellato il suo nome.
14L'iniquità dei suoi padri sia ricordata al Signore,
il peccato di sua madre non sia mai cancellato.
15Siano davanti al Signore sempre
ed egli disperda dalla terra il loro ricordo.

16Perché ha rifiutato di usare misericordia
e ha perseguitato il misero e l'indigente,
per far morire chi è affranto di cuore.
17Ha amato la maledizione: ricada su di lui!
Non ha voluto la benedizione: da lui si allontani!
18Si è avvolto di maledizione come di un mantello:
è penetrata come acqua nel suo intimo
e come olio nelle sue ossa.

19Sia per lui come vestito che lo avvolge,
come cintura che sempre lo cinge.
20Sia questa da parte del Signore
la ricompensa per chi mi accusa,
per chi dice male contro la mia vita.

21Ma tu, Signore Dio,
agisci con me secondo il tuo nome:
salvami, perché buona è la tua grazia.
22Io sono povero e infelice
e il mio cuore è ferito nell'intimo.
23Scompaio come l'ombra che declina,
sono sbattuto come una locusta.
24Le mie ginocchia vacillano per il digiuno,
il mio corpo è scarno e deperisce.
25Sono diventato loro oggetto di scherno,
quando mi vedono scuotono il capo.

26Aiutami, Signore mio Dio,
salvami per il tuo amore.
27Sappiano che qui c'è la tua mano:
tu, Signore, tu hai fatto questo.
28Maledicano essi, ma tu benedicimi;
insorgano quelli e arrossiscano,
ma il tuo servo sia nella gioia.
29Sia coperto di infamia chi mi accusa
e sia avvolto di vergogna come d'un mantello.

30Alta risuoni sulle mie labbra la lode del Signore,
lo esalterò in una grande assemblea;
31poiché si è messo alla destra del povero
per salvare dai giudici la sua vita.


Zaccaria 13

1In quel giorno vi sarà per la casa di Davide e per gli abitanti di Gerusalemme una sorgente zampillante per lavare il peccato e l'impurità.2In quel giorno - dice il Signore degli eserciti - io estirperò dal paese i nomi degli idoli, né più saranno ricordati: anche i profeti e lo spirito immondo farò sparire dal paese.3Se qualcuno oserà ancora fare il profeta, il padre e la madre che l'hanno generato, gli diranno: "Tu morirai, perché proferisci menzogne nel nome del Signore", e il padre e la madre che l'hanno generato lo trafiggeranno perché fa il profeta.4In quel giorno ogni profeta si vergognerà della visione che avrà annunziata, né indosserà più il mantello di pelo per raccontare bugie.5Ma ognuno dirà: "Non sono un profeta: sono un lavoratore della terra, ad essa mi sono dedicato fin dalla mia giovinezza".6E se gli si dirà: "Perché quelle piaghe in mezzo alle tue mani?", egli risponderà: "Queste le ho ricevute in casa dei miei amici".

7Insorgi, spada, contro il mio pastore,
contro colui che è mio compagno.
Oracolo del Signore degli eserciti.
Percuoti il pastore e sia disperso il gregge,
allora volgerò la mano sopra i deboli.
8In tutto il paese,
- oracolo del Signore -
due terzi saranno sterminati e periranno;
un terzo sarà conservato.
9Farò passare questo terzo per il fuoco
e lo purificherò come si purifica l'argento;
lo proverò come si prova l'oro.
Invocherà il mio nome e io l'ascolterò;
dirò: "Questo è il mio popolo".
Esso dirà: "Il Signore è il mio Dio".


Prima lettera ai Corinzi 12

1Riguardo ai doni dello Spirito, fratelli, non voglio che restiate nell'ignoranza.2Voi sapete infatti che, quando eravate pagani, vi lasciavate trascinare verso gli idoli muti secondo l'impulso del momento.3Ebbene, io vi dichiaro: come nessuno che parli sotto l'azione dello Spirito di Dio può dire "Gesù è anàtema", così nessuno può dire "Gesù è Signore" se non sotto l'azione dello Spirito Santo.

4Vi sono poi diversità di carismi, ma uno solo è lo Spirito;5vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore;6vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti.7E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l'utilità comune:8a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza;9a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell'unico Spirito;10a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l'interpretazione delle lingue.11Ma tutte queste cose è l'unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole.

12Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo.13E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito.14Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra.15Se il piede dicesse: "Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo.16E se l'orecchio dicesse: "Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo", non per questo non farebbe più parte del corpo.17Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l'udito? Se fosse tutto udito, dove l'odorato?18Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto.19Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo?20Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo.21Non può l'occhio dire alla mano: "Non ho bisogno di te"; né la testa ai piedi: "Non ho bisogno di voi".22Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie;23e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza,24mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava,25perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre.26Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui.27Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
28Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue.29Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli?30Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?

31Aspirate ai carismi più grandi! E io vi mostrerò una via migliore di tutte.


Capitolo XVII: La vita nei monasteri

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1. Se vuoi mantenere pace e concordia con gli altri, devi imparare a vincere decisamente te stesso in molte cose. Non è cosa facile stare in un monastero o in un gruppo, e viverci senza lamento alcuno, mantenendosi fedele sino alla morte. Beato colui che vi avrà vissuto santamente e vi avrà felicemente compiuta la vita. Se vuoi stare saldo al tuo dovere e avanzare nel bene, devi considerarti esule pellegrino su questa terra. Per condurre una vita di pietà, devi farti stolto per amore di Cristo.  

2. Poco contano l'abito e la tonsura; sono la trasformazione della vita e la completa mortificazione delle passioni, che fanno il monaco. Chi tende ad altro che non sia soltanto Dio e la salute dell'anima, non troverà che tribolazione e dolore. Ancora, non avrà pace duratura chi non si sforza di essere il più piccolo, sottoposto a tutti. Qui tu sei venuto per servire, non comandare. Ricordati che sei stato chiamato a sopportare e a faticare, non a passare il tempo in ozio e in chiacchiere. Qui si provano gli uomini, come si prova l'oro nel fuoco (cfr. Sir 27,6). Qui nessuno potrà durevolmente stare, se non si sarà fatto umile dal profondo del cuore, per amore di Dio.


DISCORSO 341 AUGM. DISCORSO DELLO STESSO SUL SALMO 21 E SULLE TRE ACCEZIONI DEL NOME DI CRISTO IN USO NELLA SCRITTURA: SUA DIVINITÀ, NATURA UMANA ASSUNTA, DIGNITÀ DI CAPO DELLA CHIESA. I TRE RAMOSCELLI DI GIACOBBE

Discorsi - Sant'Agostino

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Il salmo 21 parla di Cristo.

1. Come è noto a tutti i cristiani, questo salmo è una prefigurazione riguardante la persona di Gesù Cristo, nostro Signore e Salvatore. Vi troviamo scritto infatti: Hanno forato le mie mani e i miei piedi; hanno contato tutte le mie ossa. Essi mi hanno fissato e guardato; si son divisi le mie vesti e sulla mia tunica han gettato la sorte 1. Non credo che voi ignoriate come in queste parole ci sia per la coscienza dei credenti un richiamo o una sottolineatura riguardante la persona del nostro Signore Gesù Cristo; tuttavia mi piace rammentarvelo, perché alcuni non lo sanno; altri che pur ne hanno sentito parlare, se ne sono dimenticati; mentre altri, sebbene lo ricordino, desiderano averne conferma. Né mancano di quelli che anche sulle cose di cui sono certi desiderano ascoltare la nostra parola per la simpatia che hanno verso di noi. Pertanto la comprensione del testo sacro che, con le forze che il Signore si degnerà di mandarmi, io cercherò d'imprimere nella vostra mente, o carissimi, sarà valida anche per comprendere i numerosi testi oscuri che troviamo nei libri sacri, cioè come in essi si parli di Cristo.

Le tre modalità di riferimento a Cristo nella Scrittura.

2 [1]. Per quanto abbiamo potuto ricavare dalle sacre pagine, Cristo è nominato secondo tre diverse modalità quando si parla di lui nella Legge e nei Profeti, nelle lettere degli Apostoli o nei racconti storici che conosciamo dai Vangeli. In un modo quando si parla di lui come Dio, cioè secondo la divinità che possiede coeterna e uguale a quella del Padre prima dell'incarnazione. In un secondo modo si parla di lui in quanto, dopo l'incarnazione, è insieme Dio e uomo, ovvero uomo e Dio: per una proprietà straordinariamente sublime che non solo esclude ogni possibile confronto con gli altri uomini ma che lo costituisce, come si legge e si ritiene, mediatore e capo della Chiesa. In un terzo modo lo si denomina così quando lo si annunzia ai credenti e lo si presenta alla cognizione dei sapienti come (per così dire) un Cristo totale nella plenitudine della Chiesa, cioè il capo e il corpo, configurato sul modello di un uomo perfetto: del quale uomo perfetto noi siamo le membra 2. Non ci sarà certo possibile, nel tempo breve e limitato che abbiamo, elencare e spiegare tutte le testimonianze scritturali dove si illustrano queste tre modalità; tuttavia non le lasceremo fuori della trattazione, nel senso che, esposte alcune testimonianze, le altre - che non ci è consentito ricordare per mancanza di tempo - voi stessi potrete scorgerle e ricavarle dalla Scrittura.

Cristo, Figlio unigenito di Dio, secondo Giovanni, il pescatore.

3 [2]. Alla prima modalità, cioè all'intento di presentare Gesù Cristo nostro Signore e Salvatore come Figlio unigenito di Dio, ad opera del quale sono state create tutte le cose, dice riferimento quel testo elevatissimo e famosissimo del Vangelo secondo Giovanni: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto. Quel che ci è stato fatto era in lui vita, e la vita era la luce degli uomini; e la luce splende fra le tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta 3. Prima che le si comprenda, queste parole suscitano ammirazione e stupore, ma dopo che le si è comprese bisogna farle proprie. Quanto poi al comprenderle, non lo si ottiene con risorse umane, ma a farcele conoscere interviene con la sua ispirazione colui che con la stessa ispirazione si degnò di concedere a dei pescatori la luce per poterle asserire. Scrisse infatti queste parole quel pescatore, figlio di Zebedeo, che abbandonò il padre, la barca e le reti per seguire il Signore 4: non rinnegò il padre terreno ma a lui preferì il Padre celeste. E non v'è dubbio che a quest'uomo che lasciava la barca e le reti il Signore attribuì il merito di chi abbandona il mondo intero. Il nostro Signore Gesù Cristo infatti non badava a ciò che lasciavano quei poveracci che si misero al suo seguito, cioè ai beni di cui si privavano, ma al desiderio di possederli che essi scacciavano dal cuore. Infatti colui che possiede poco desidera possedere di più, e pertanto colui che rinunzia a quel poco che possiede rinunzia di più quando rigetta quel che avrebbe voluto possedere. Pensiamo a quel ricco che triste si allontanò dal Signore. Venuto per chiedere un consiglio [di salvezza], lo aveva chiamato Maestro buono [e] Dio; quando il Signore gli ebbe dato quel consiglio, egli lo abbandonò, quasi fosse un maestro cattivo 5. Mentre costui se ne andava rattristato, i discepoli pensarono che per i ricchi non ci fosse speranza di salvezza, avendo anche ascoltato essere più facile che un cammello passi per la cruna di un ago che un ricco entri nel Regno dei cieli 6. Quando però ebbero udito che per la misericordia di Dio anche i ricchi possono entrare nel Regno dei cieli, i discepoli continuando il discorso dissero: Ecco, noi abbiamo lasciato tutto e ti abbiamo seguito: cosa ne avremo? 7 E il Signore in risposta: Sederete sui dodici troni e giudicherete le dodici tribù d'Israele 8. Anche agli altri discepoli che per seguirlo avrebbero abbandonato tutti i propri averi il Signore promise un gran premio: essi avrebbero provato profondo conforto nell'ascoltare la promessa, viva gioia nel conseguimento del premio. Egli disse che quanti per seguirlo avessero lasciato tutto quello che possedevano in questo mondo avrebbero ricevuto il centuplo in questo mondo e la vita eterna nell'altro mondo 9. Se volessimo esporre minuziosamente queste cose, dovremmo trattenerci a lungo e saremmo distolti dall'argomento che ci siamo proposti. Tuttavia, per quanto riguarda il tema assunto, vogliate, carissimi, notare per ora come i primi poveri [della Chiesa] lasciarono effettivamente tutto, seguirono Dio e divennero apostoli. Essi lasciarono poche cose, ma la ricompensa [che ricevettero] fu pari a quella di coloro che lasciano grandi patrimoni. E notate una cosa davvero sorprendente: quel ricco ascoltando dalla bocca del Signore che per seguire Dio occorre lasciare tutto, se ne andò in preda alla tristezza (pur avendolo ascoltato dalle labbra stesse del Signore 10!); al presente ci sono persone che, senza aver visto direttamente il Signore, ascoltano dal Vangelo le stesse parole e fanno quanto quel tale non riuscì a fare. In esse si avvera la parola: Beati coloro che credono senza vedere 11.

Dio sceglie gli umili.

4. Ci si chiede perché mai il Signore abbia scelto dapprincipio persone plebee, gente povera, inesperta e priva di cultura, pur avendo dinanzi ai propri occhi una così grande moltitudine di ricchi 12. Paragonati allo sterminato numero dei poveri, i ricchi sono certo una minoranza, ma nella loro categoria essi sono molti, come sono anche molti i nobili, i dotti e i sapienti. Alla loro salvezza il Signore avrebbe provveduto in seguito: non si è infatti disinteressato di loro, tant'è vero da tutti questi ceti di persone c'è stato chi è venuto alla fede. Pertanto la scelta del Signore è un mistero e l'Apostolo lo descrive così: Dio ha scelto i deboli di questo mondo per confondere i forti; ha scelto gli ignoranti per confondere i sapienti; Dio ha scelto la gente spregevole e coloro che non esistono (cioè coloro che passano incalcolati) come se esistessero, per ridurre al nulla coloro che esistono 13. In effetti, egli era venuto per insegnarci l'umiltà e abbattere la superbia. Dio era venuto nell'umiltà, ed essendo venuto così umile, non poteva in alcun modo accordare la preferenza agli altolocati. Eccolo dunque nascere da una donna sposata con un artigiano 14: non si scelse una nascita fastosa, perché la gente nobile di questo mondo non abbia ad inorgoglirsi. Nemmeno per nascere si scelse una città di importanza primaria, ma nacque a Betlemme di Giudea 15, un paese che di città non meritava neppure il nome. Tant'è vero che gli stessi suoi abitanti anche oggi la chiamano " villaggio ". È infatti un paese assai piccolo e insignificante, quasi una nullità, se a dargli lustro non ci fosse stata la nascita di Cristo. Venne dunque a noi non Uno che avrebbe attinto la sua dignità dal luogo in cui nacque, ma Uno per il quale il luogo stesso della sua nascita è diventato celebre 16. Questo vale per tutti gli altri particolari della vita del nostro Signore Gesù Cristo, che, a ricordarli minuziosamente, si richiederebbe molto tempo. Egli dunque scelse persone deboli, povere, ignoranti e prive di titoli nobiliari; e lo fece non perché si sia disinteressato dei forti, dei ricchi, dei sapienti e dei nobili ma perché costoro non pensassero di essere stati scelti a motivo della loro dignità, della loro ricchezza e della nobiltà della loro famiglia : cose che avrebbero potuto pensare se fossero stati scelti per primi. In questa maniera però, inorgogliti delle proprie risorse, non avrebbero accolto la salvezza, che è frutto di umiltà. Senza l'umiltà infatti non si può in alcun modo pervenire a quella vita dalla quale non ci esclude se non la superbia. E qui viene da pensare a un medico che cura la malattia per via di contrari. Chi è freddo lo tratta con rimedi caldi, chi è caldo con rimedi freddi, chi è rinsecchito con rimedi umidi, chi è bagnato con rimedi asciutti. Se dunque vediamo che nell'arte della medicina il malato viene guarito con rimedi contrari, non c'è da stupirsi se Dio, per guarire noi da quella malattia che è la superbia umana, abbia scelto il rimedio dell'umiltà. Maggiore potenza salvifica dimostra il Signore quando conquista un professore servendosi di un pescatore che non quando raggiunge il pescatore mediante un professore. Fu certamente un retore il martire Cipriano, ma prima di lui c'era stato un apostolo, che era pescatore. In epoca più recente son diventati cristiani gli stessi imperatori, ma questo perché prima i pescatori avevano predicato il Cristo. È assolutamente vero che Dio ha confuso i forti scegliendosi i deboli del mondo 17: li ha confusi, ovviamente, per risanarli; li ha abbattuti per innalzarli. Questo ha fatto affinchè si manifestassero a noi le cose che abbiamo conosciuto ai nostri tempi e sulle quali non dobbiamo tacere, e così dalle cose stesse ci appare manifesto quel dato di fede, che Dio ha scelto i deboli del mondo per confondere i forti 18. Ai nostri giorni infatti, ecco un duce vittorioso viene a Roma, dove c'è il tempio dell'imperatore e la tomba del pescatore. Ebbene, quel comandante in capo, divenuto credente e cristiano, per ottenere la salute dal Signore non si reca al tempio superbo dell'imperatore ma va alla tomba del pescatore. In tal modo, imitando quell'umile pescatore, sarà guardato con benevolenza dal Signore, e da lui otterrà 19, almeno in parte, ciò che non avrebbe potuto meritare presentandosi come condottiero superbo.

Al petto di Cristo, Giovanni attinse la capacità di parlarci del Verbo.

5. Ma perché vi ho detto queste cose? Perché stavo richiamando alla vostra mente quel modo di presentare Cristo nella sua divinità, cioè prima dell'Incarnazione. Questo aspetto della sua personalità riempie di meraviglia e di stupore quanti ne sentono parlare, ma è conosciuto da pochi, poiché son pochi quelli che riescono a capirlo. Son coloro che bussano in modo da essere pienamente investiti dal fulgore di quella luce eterna e indescrivibile, ed essi ricordando quel che hanno conosciuto escono nelle parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 20, ecc. Per comprendere il significato di queste parole, forse voi sareste ricorsi a noi, ma avreste fatto una fatica sprecata; e noi, per evitarvela, vi abbiamo detto che potete comprenderle solo mediante l'ispirazione di Colui ad opera del quale un pescatore illetterato riuscì a pronunziarle. Di per sé questo pescatore non era certo in grado di conoscere cose come questa: non aveva né l'ingegno né la cultura per penetrarle con l'acume della mente. In nessun modo egli avrebbe potuto trascendere tutto il nostro mondo aereo e tutte le potenze dell'etere. Mai avrebbe potuto raggiungere la conoscenza della natura degli astri, delle potenze e dominazioni celesti, o degli angeli o di tutte quelle creature spirituali collocate nella più sublime altezza: creature che mai caddero in peccato ma sono rimaste sempre nella visione della Verità immutabile. Tanto meno [questo pescatore] avrebbe potuto trascendere il mondo dello spirito e pervenire a quella realtà che occhio non vide, orecchio non udì e non entrò nel cuore dell'uomo 21. Come sarà infatti la parola del Padre? Come sarà il [suo] Verbo? Forse che prima lo si pensa e poi risuona sulle labbra? Certo no. Se infatti lo si è pensato prima, è trascorso del tempo; se è risuonato all'esterno, si è comunicato attraverso l'aria. Non così è il Verbo di Dio: esso è una parola che permane fissa, una parola che sempre si proferisce e mai si sottrae 22; anzi, non è nemmeno una parola che si proferisce, perché non si abbia a supporre in essa una qualche estensione corporea. In che modo poi lo si possa definire, non c'è nessuno che possa dirlo con parole umane. Con riverente pietà lo si crede Verbo generato, per cui egli, in quanto Figlio di Dio, è il solo che può parlare di sé e definire se stesso. Al contrario, colui al quale egli rivolge la parola, se anche può capirlo, non è certo in grado di parlare di lui. Orbene, una cosa come questa un pescatore in qual modo potè vederla se non perché il Figlio di Dio volle rivelargliela? Quel pescatore vide tutto ciò attingendolo alla fonte da cui gli fu dato di bere. E qual è quella fonte? Andiamo con la mente alla Cena del Signore, e forse troveremo quale sia stata la fonte da cui il pescatore bevve tutto questo. A mensa con il Signore erano adagiati tutti i discepoli, ma del solo Giovanni è scritto nel Vangelo che era solito poggiare il capo sul petto del Signore 23. Cosa c'è quindi di strano se quanto egli diceva della divinità del Verbo lo aveva bevuto al petto del Signore? Non poteva infatti il Padrone della mensa (che era anche il padrone dei commensali) permettere che quel discepolo attingesse dalla mensa quanto gli riempiva lo stomaco e dal suo petto non attingesse quanto gli riempiva la mente. Ed effettivamente egli fece proprio così: dall'abbondanza del suo petto cibò e saziò il discepolo, e questi così saziato, cominciò a rimettere e il suo vomito è il vangelo. Con gli occhi della fede avete visto il pescatore seduto a mensa; ascoltate ora come restituisce il cibo. In principio era il Verbo - dice - e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio 24. Sentendo parlare di verbo, tu non ci facevi caso: di parole infatti se ne sentono tante ogni giorno! Non sottovalutare però questo Verbo, perché il Verbo era Dio 25. " Ma come potrò comprendere Dio e il Verbo? ". Ti doni di berlo colui che saziò il pescatore! In attesa di ciò, ascolta quanto costui riversa su di te e credi alla parola di quest'uomo sazio [di Dio], affinchè anche tu, salendo per i gradini della fede, possa alla fine saziarti della vivificante comprensione [della verità].

Il Verbo di Dio è unico; molteplice ne è la comprensione.

6. Dirai: " E allora? Dovrò senz'altro credere che il Verbo di Dio è il Figlio di Dio ". Sì, l'unico Figlio di Dio. Non due verbi ma un unico Verbo, anche se nella Scrittura trovi che due sono i Verbi, cioè le parole di Dio. Esempio: i due precetti concernenti il duplice oggetto della carità 26, ovvero le parole della ricompensa finale, quando il Signore dirà una cosa ai fedeli posti alla sua destra 27 e un'altra agli empi posti alla sinistra. Infatti non dirà le stesse parole ai fedeli e agli empi. Il narratore, adeguandosi alla nostre capacità e ai nostri meriti, le presenta a noi come due parole distinte; ed effettivamente, presso di noi sono distinte, ma lassù un qualcosa... Al riguardo vorrei presentarvi, se ci riesco, un paragone preso da oggetti corporei, che però ben s'adatta all'intelligenza di persone immature. Vorrei, se ci riesco, sottolinearvi come una e sempre uguale è la luce, del fuoco o delle stelle o della luna o del sole; eppure se la si guarda con occhi diversi (ad esempio, uno la guarda con occhi puri e sani, un altro con occhi malati e cisposi), essa è diversa: per l'uno è una luce gradevole, per l'altro una luce molesta e intollerabile. Quanto all'occhio sano procurava godimento, se colpisce un occhio ferito produce dolore. Ecco dunque: luce gradevole e luce molesta. Che si sia divisa e diversificata? No! La cosa dipende dalle diverse condizioni di chi la guarda. Prestatemi attenzione, fratelli; e dalle cose piccole elevatevi alla conoscenza delle cose grandi 28. Non diversamente infatti la Parola (=Verbo) di Dio è una, ma nel donarsi partecipa di sé quel tanto che ciascuno merita. Ad alcuni dice: Venite, benedetti del Padre mio; possedete il Regno che vi è stato preparato dall'origine del mondo 29; ad altri dice: Andate nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli 30. Cosa c'è di più diverso che quel Venite nel Regno 31 e quell'Andate nel fuoco eterno 32? È dunque molteplice la Parola [di Dio]? No. Essa è unica, ma son diversi i meriti delle persone che l'ascoltano. Ascoltate il Profeta, che nei salmi ci dice questa stessa cosa: Dio ha parlato una volta, io ho udito queste due cose 33. Grosso problema, ma voi, se avete capito quel che io vi ho detto, non dovreste rimanerne turbati. Dio ha parlato una volta, e tu hai ascoltato due cose? Egli ha parlato una volta in rapporto al suo Verbo, che è unico; tu, allora, come hai potuto ascoltare due cose? Continua [il salmo]: Poiché tua è la potenza e tua, Signore, la misericordia 34. La potenza con la quale punisci, la misericordia con cui salvi. E ascolta anche come prosegue. Dice: Tu infatti ripaghi ciascuno secondo le sue opere 35.

Dio Trinità attende cuori innamorati.

7. O Verbo unico, Verbo soave! Che egli ci ispiri l'amore per lui! Ed egli ce lo ispira mediante lo Spirito Santo. Così infatti è la Trinità: il Padre genera, il Figlio è generato, lo Spirito spira la carità; il generante, il generato, il soffio che spira. Ecco la Trinità: dolcissima, altissima, ineffabile, infinitamente superiore a tutte le creature da lei suscitate, rese perfette e collocate nel loro ordine. Eppure questa Trinità, che trascende totalmente ogni cosa, vuol essere amata, desidera cuori che la amino. Naturalmente, questo " desidera " è detto bene se lo si intende nel senso di " essa fa desiderare ", come quando dello Spirito si dice che gode 36 (in quanto esso fa godere) e di Dio si dice: Il Signore vostro Dio vi mette alla prova per sapere se lo amate 37. Che significa infatti per sapere se non " per far sapere a voi "? Or dunque, Dio nutre i cuori di coloro che lo desiderano, che lo amano con purità, che lo amano disinteressatamente, non trovando nulla che più di lui meriti d'essere amato. Che se, viceversa, troveranno qualcosa che gli sia preferibile, prendano pure questo " qualcosa " come loro ricompensa; ma se non troveranno nulla, preghino per ottenere la ricompensa che egli dà. Ma supponiamo che il tuo Creatore, di fronte al quale nulla c'è di più prezioso, non voglia darti se stesso come premio. In tal caso tu dovresti gemere senza tregua, mai però pensare d'andargli a chiedere altre cose. Se il tuo Creatore, di fronte al quale non c'è nulla di più prezioso, non volesse darti se stesso... Ma ci sarà consentito di dire sul suo conto parole come queste? Oh, certo che ci è consentito per il semplice fatto che noi siamo bambini, ci è consentito perché, se noi volessimo dire qualcosa di adeguato nei suoi riguardi, non dovremmo dire assolutamente niente. Insomma, se il tuo Creatore - come prima avevo cominciato a dire - si rifiutasse di darsi a te, tu dovresti gemere per sempre, mai però andargli a chiedere qualche cosa che non sia lui. Invece egli ti dà se stesso, e tu vai in cerca d'altro... Egli in qualche modo ti chiede di amarlo, dal momento che tu non lo ami. Guarda quanto sei misero, e non pensare che lo sia lui! Ed ecco che egli va in cerca di cuori che lo amino con sincerità, cuori che con slancio di devozione sappiano trascendere l'universo creato e la sua mutabilità. Ciò conseguiranno se saranno umili, poiché le alture sono superate [solo] da chi non è alto. Se dunque tu vuoi innalzarti al di sopra di tutte le creature e pervenire a quella meta, del tutto diversa, di cui hai inteso l'annuncio dalla bocca del Pescatore, sii umile, chiedilo con sentimenti di pietà. Quando ti sarai elevato al di sopra di ogni creatura, corporea e spirituale, giungerai alla contemplazione della Trinità, e berrai alla stessa fonte da cui bevve l'Evangelista. Pervenuto a tal meta, potrai irridere tutti gli schernitori, che con insulse contestazioni si sollevano fumo dinanzi agli occhi per non vedere la verità. Dopo che in un primo momento li avrai sbeffeggiati, alla fine forse ti verrà da piangere su di loro.

Impossibile raggiungere il Verbo finché si ragiona in maniera carnale.

8. Al presente vi basti, fratelli, quanto vi abbiamo accennato. Per comprendere più a fondo la cosa, bussate alla porta di Lui. Nessuno in base la suo pensiero carnale abbia a dire: " Come poteva, il Verbo, essere presso Dio 38 e insieme nel seno della Vergine, da cui volle nascere? Che forse lo stesso Verbo discese fra noi in modo che, quando venne a trovarsi nel grembo della Vergine Maria, si allontanò dal Padre? Se non si allontanò dal Padre, come poteva essere quaggiù fra noi? Che forse una sua metà rimase con il Padre e l'altra scese nel grembo della Madre? O magari rimase con il Padre la parte maggiore di lui, mentre una piccola parte (un pezzettino!) scese nel grembo della Vergine? ". Non permetterti di tagliare a pezzi il tuo Dio! Cerca piuttosto di unificare in lui la discorde frammentarietà dei tuoi pensieri, e non sminuzzare Dio in base ai tuoi pensieri. Che egli ti raccolga in unità; e non pretendere di intaccare tu la sua unità. Dirai: " Ma come potrò comprendere tutto questo? Non ci capisco niente, non ne sono in grado. Egli sarebbe nello stesso tempo e presso il Padre e nel grembo della Vergine. Chi potrà mai comprendere una cosa come questa? ". Ricorda però che quanto stai ascoltando riguarda Dio, mentre tu, abituato a pensieri carnali, ti costruisci un qualcosa che è corporeo; e quindi sei costretto a smembrarlo in parti, non riuscendo a trovarlo dappertutto nella sua totalità. Così, se pensi alla terra: una sua parte è qui e un'altra è là fuori, nella piazza. Non è la stessa parte. Ma ciò accade perché si tratta della terra, cioè di un corpo; e per questo alcune sue parti sono grandi, mentre altre sono piccole. Così se si divide l'acqua: una sua parte tocca questa spiaggia, un'altra parte tocca un'altra spiaggia. Non è la stessa acqua quella che è qui e quella che è là; e sebbene si presenti come un tutt'uno l'acqua che si spande nei vari luoghi, tuttavia non è la stessa parte di acqua che sta ovunque, ma una parte sta qui e un'altra sta là. Così è dell'aria e del suo espandersi: una cosa è l'aria diffusa in questa basilica, un'altra quella che è in quell'altro luogo. L'aria è dovunque la stessa, ma di quest'aria qui ce n'è una parte, là un'altra. Non è la stessa e identica massa di aria quella che è là e quella che è qui, né quella che è qui e quella che è là. Così è per le zone celesti. Ne vediamo alcune quando volgiamo lo sguardo ad oriente, altre ne vediamo quando ci giriamo ad occidente. Non è possibile che la stessa identica zona si trovi ovunque. Sebbene a noi sembri che il cielo, nelle sue varie zone, si trovi tutto in tutte le parti, nondimeno nella sua totalità il cielo non è dappertutto, ma una sua zona è qui e un'altra altrove. Orbene, quando voi pensate a Dio, non pensatelo in questa maniera, cioè con categorie materiali. O che non potete davvero pensare a cose diverse da queste? Ecco, vi darò un esempio da cui, forse, l'argomento che trattiamo possa penetrare nella vostra mente, o carissimi, che mi ascoltate con attenzione.

Il Verbo di Dio nei suoi riflessi esistenti nel mondo creato.

9. Tu vorresti dividere in parti il Verbo di Dio, e ti pare impossibile credere che egli sia tutto presso il Padre e tutto nel seno della Vergine Maria. Io voglio dirti qualcosa di più, e cioè che egli è tutto intero dovunque tu voglia pensarlo, sebbene non dovunque abbia assunto l'umanità, con la quale è diventato l'unico uomo-Dio. Non ammetto divisioni: contèntati di capire quel tanto che puoi. Tu dunque vorresti dividere il Verbo di Dio? Ebbene, ascolta la parola di un uomo! Ovviamente, ti sembra impossibile che il Verbo di Dio potesse essere in Maria e presso il Padre a meno che non lo si fosse suddiviso in parti, delle quali l'una sarebbe stata qui e l'altra là. Or ecco che voi ascoltate da noi la parola o, meglio, ascoltate da noi le parole. Ponete attenzione al nostro parlare poiché è migliore l'esemplificazione tratta dalla parola che uno solo rivolge a voi, che siete parecchi, anziché dalle parole che scambiate tra di voi, essendo queste dello stesso genere. Voi infatti parlate a pochi, mentre noi parliamo a molti; eppure, quello che diciamo, lo ascoltano tutti, e tutti lo ascoltano per intero. Se per saziarvi io vi servissi un cibo materiale, voi dovreste spartirvelo tra voi, e per mangiarlo uno dovrebbe prenderne una porzione e un altro un'altra. Pur nutrendovi tutti con lo stesso identico cibo, non tutti ne prendereste la stessa razione, ma quel tutto che era stato posto sulla tavola voi ve lo dovreste dividere in più parti secondo le vostre esigenze, e uno prenderebbe questa porzione e un altro quella. Lo stesso cibo sarebbe nella bocca di tutti ma non sarebbe su tutte le bocche il cibo tutto intero. Non c'è dubbio che succederebbe così. Ora, quel che accadrebbe del cibo materiale quando lo portate alla bocca, lo stesso è delle nostre voci e delle nostre parole: sono come un cibo che noi imbandiamo ai vostri orecchi e che tutto intero vi raggiunge tutti. O che forse, mentre io parlo, uno si appropria di una sillaba e un altro di un'altra? O uno di una parola e un altro di un'altra? Se fosse così, per poter giungere a tutti almeno una parola dovrei dire tante parole quante sono le persone che mi vedo dinanzi. Invece la cosa è facilitata: io proferisco più parole di quante non siano le persone presenti, e tutto il mio dire arriva a tutti. Ora io dico: una parola umana per arrivare a tutti gli uditori non ha bisogno di essere divisa in sillabe, e il Verbo di Dio perché sia dappertutto lo si dovrà tagliuzzare in pezzetti? Ma che davvero, fratelli, oseremo mettere sullo stesso piano le nostre parole, che risuonano e svaniscono, e quel Verbo che rimane eternamente immutabile? O che io, dicendovi quel che vi ho detto, ho inteso fare un simile avvicinamento? Tutt'altro! Io ho voluto soltanto richiamare in qualche modo alla vostra attenzione alcune cose per le quali Dio stesso, attraverso realtà corporali, possa elevarvi a credere in quelle realtà spirituali che ancora non vedete. E ora passiamo a cose più elevate di quanto non lo siano le nostre parole, le quali risuonano e svaniscono. Pensa alle cose spirituali, pensa alla giustizia! Ecco, alla giustizia rivolge il pensiero un uomo che sta dalle nostre parti, in occidente, e la pensa anche un uomo che sta in oriente. Come è possibile che l'uno e l'altro pensino a tutta intera la giustizia? Come è possibile che la veda tutta intera l'uno e tutta intera l'altro? Vive infatti da giusto colui che vede la giustizia e si comporta in conformità con essa; la vede dentro, e fuori ne compie le opere. Ma come fa a vederla nel suo intimo se dinanzi a lui non c'è niente da vedere? Se al contrario essa gli è dinanzi, siccome costui si trova in una parte del mondo, forse che a vederla laggiù non potrà giungere il pensiero dell'altro? In effetti tu, che stai qui, con la mente vedi la stessa cosa che vede quell'altro, lontano da te le mille miglia: la stessa verità brilla tutta intera agli occhi tuoi e a quelli dell'altro. Vedi dunque che le cose divine e incorporee sono tutte intere ovunque, e credi che il Verbo era tutto intero presso il Padre e tutto intero nel grembo di Maria. Lo credi infatti di colui che è il Verbo di Dio, il quale è Dio presso Dio.

Con l’Incarnazione il Verbo di Dio si è reso piú vicino a noi.

10. [3]. Ascolta ora un'altra descrizione, un altro modo di presentare Cristo, quando di lui parla la Scrittura. Quanto detto fin qui lo diceva di lui prima che si incarnasse. Di questo secondo modo come ne parla? Dice: Il Verbo si è fatto carne e ha posto la sua dimora in mezza a noi 39. Prima aveva detto: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato creato 40. Se non avesse parlato dell'umanità assunta dal Verbo, sarebbe stato inutile quanto a noi detto della sua divinità. È infatti perché io possa vederlo che Dio interviene così; è perché io sia purificato, e in tal modo riesca a fissare su di lui lo sguardo, che Dio stesso viene in aiuto alla mia debolezza. Egli si fa uomo prendendo la natura umana dalla nostra stessa umanità, e sedendo sul somarello del nostro corpo viene da colui che giaceva ferito ai margini della strada 41. In questa maniera, cioè con il sacramento della sua incarnazione, egli conferma e nutre la nostra poca fede, e rischiara la nostra mente affinchè, attraverso l'umanità che egli assunse, giunga a vedere la divinità, che egli mai depose. Egli infatti cominciò ad esistere come uomo, ma come Dio mai cessò di esistere. Quando dunque Giovanni dice che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi 42, lo dice del nostro Signore Gesù Cristo in quanto è nostro mediatore, in quanto è capo della Chiesa. Così infatti egli è Dio e uomo, uomo e Dio.

Il Verbo incarnato nell’inno cristologico di Paolo ai Filippesi.

11 [4]. Udite ora come questa duplice realtà sia presentata in quel notissimo testo dell'apostolo Paolo. Egli dice: Esistendo nella natura divina non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio 43. È quanto dice Giovanni: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 44. Come avrebbe potuto affermare l'Apostolo che egli non considerò usurpazione l'essere uguale a Dio 45 se non fosse stato per davvero uguale a Dio? Ma se il Padre è Dio mentre il Verbo non lo è, come può il Verbo essergli uguale? Quanto dunque dice Giovanni, che cioè il Verbo era Dio 46, dice anche Paolo con le parole: Non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 47. E dove l'uno dice: Il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezzo a noi 48, l'altro concorda: Ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo 49. Badate bene! Per il fatto che si è incarnato, per il fatto che il Verbo si è fatto carne e ha preso dimora in mezza a noi 50, per questo egli svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo 51. Cos'è mai questo svuotarsi? Senza perdere la divinità si rivestì dell'umanità, e così apparve agli occhi degli uomini come non era prima che diventasse uomo. Apparendo in questa forma, egli svuotò se stesso, cioè, pur conservando la gloria della divinità, presentò [a noi] il rivestimento di carne della sua umanità. Egli dunque prese la forma dello schiavo 52, e con questo svuotò se stesso. Quanto alla forma divina, egli non la prese in un determinato tempo, e difatti Paolo, parlando della forma divina, non dice: " La prese " ma: Esistendo nella forma divina. Quando invece giunge a parlare della forma dello schiavo dice: Prendendo la forma dello schiavo. In tal modo egli è nostro mediatore e capo della Chiesa 53, colui ad opera del quale siamo riconciliati con Dio 54: cosa che otteniamo per il mistero della sua umiliazione, cioè della sua passione, e poi per la sua resurrezione, ascensione e il giudizio futuro. In questo giudizio si udranno due parole, pur avendo Dio parlato una volta sola 55. Quando si udranno le due parole? Quando egli renderà a ciascuno secondo le sue opere 56.

Non permettiamo che si corrompa la verginità della mente.

12 [5]. Ritenendo questa verità, non stupitevi se c'è della gente che solleva questioni e difficoltà, le quali, al dire dell'Apostolo, serpeggiano come cancrena 57. Mettete un riparo alla vostre orecchie e conservate la verginità della vostra mente, come si addice a persone che l'amico dello sposo ha fidanzato con un solo uomo per essere presentate a Cristo come vergine casta 58. In effetti, se la verginità del corpo è prerogativa di pochi nella Chiesa, la verginità della mente dev'essere conservata da tutti. Ora è questa verginità che il serpente vuol contaminare, secondo quello che scrive l'Apostolo: Io vi ho fidanzati a un solo uomo, per presentarvi a Cristo come vergine casta. Temo però che come il serpente sedusse Eva con la sua astuzia, così i vostri sensi si depravino perdendo la castità che è in Cristo 59. Parla di vostri sensi intendendo " le vostre menti ". La parola " menti" è più appropriata poiché col nome di " sensi " si intendono anche i sensi del corpo: la vista, l'udito, l'odorato, il gusto e il tatto, mentre l'Apostolo temeva che si guastassero le menti, dove risiede l'integrità della fede. Ebbene, o anima, conserva ora la tua verginità, che in seguito diverrà feconda per l'amplesso del tuo Sposo. Collocate una siepe di spini (son parole della Scrittura 60!) dinanzi ai vostri orecchi! Gli attacchi degli ariani hanno turbato, è vero, alcuni fratelli deboli nella fede, ma per la misericordia del Signore la fede cattolica ha sbaragliato gli eretici. Il Verbo infatti non ha abbandonato la sua Chiesa, anche se ha permesso che fosse turbata per ricordarle che sempre deve supplicare Colui che le dona stabilità sulla solida pietra. Ma il serpente continua a brontolare e non si rassegna a tacere. Promettendo una non so quale scienza, cerca di scacciare dal paradiso della Chiesa coloro che non vorrebbe far rientrare in quel paradiso dal quale l'uomo fu espulso alle origini del mondo 61.

La dottrina ariana inconciliabile con la Scrittura.

13 [6]. Statemi attenti, miei fratelli! Quel che accade nel paradiso accade ora nella Chiesa. Nessuno vi inganni allontanandovi dall'attuale paradiso: ci basti l'essere stati cacciati via quella volta, e, fatta quella triste esperienza, ravvediamoci! È sempre lo stesso serpente che ci spinge all'empietà. Egli ci assicura l'impunità, come la promise quella volta dicendo: Non morirete in alcun modo 62, nonostante che Dio avesse detto: Morirete sicuramente 63. Perché i cristiani di oggi vivano nel peccato, egli insinua più o meno la stessa cosa e dice: " Possibile che Dio condanni alla perdizione tutti gli uomini? " In realtà Dio dice: " I peccatori io li condannerò; perdonerò soltanto quelli che cambieranno vita. Càmbino pure vita e io ritirerò i castighi che ho minacciati ". Or ecco avvicinarsi il serpente: mormorando e contestando dice:" Ma via! La Scrittura afferma: Il Padre è più grande di me 64, e tu osi dire che egli è uguale al Padre "! Accetto le cose che dici, e le accetto tutt'e due, poiché tutt'e due trovo nella Scrittura. Perché tu ne accetti una soltanto, e ti rifiuti di accettare l'altra, pur avendole lette tutt'e due, come faccio io? Sì, il Padre è più grande di me. Io lo ammetto, prendendolo non da te ma dal Vangelo; ma tu ammetti che egli è uguale a Dio prendendolo dall'Apostolo 65. Metti insieme le due verità: esse debbono senz'altro combaciare, poiché colui che ha parlato nel Vangelo per bocca di Giovanni ha parlato per bocca di Paolo nella sua lettera. Non può, lo stesso autore, essere in disaccordo con se stesso; ma tu, smanioso come sei d'attacar brighe, non vuoi capire l'armonia della Scrittura e dici: " Ma io lo dimostro dal Vangelo: Il Padre è più grande di me 66 ". Ti replico: " Anch'io dal Vangelo ti cito le parole: Io e il Padre siamo una cosa sola 67 ". " Ma come possono essere vere le due parole? ". "Non ricordi cosa c'insegna l'Apostolo? Ascolta! Io e il Padre siamo una cosa sola è lo stesso che Egli esistendo nella natura divina non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 68. Ascolta ancora! Il Padre è più grande di me 69 corrisponde a Egli svuotò se stesso prendendo la natura dello schiavo 70. Ecco, io ti ho mostrato in che senso il Padre è maggiore; tu mostrami come il Verbo è uguale al Padre, poiché nella Scrittura leggiamo tutt'e due le cose. Or dunque, egli è minore del Padre in quanto è Figlio dell'uomo, è uguale al Padre in quanto è Figlio di Dio, poiché il Verbo era Dio 71. Il [nostro] Mediatore è Dio e uomo 72: Dio uguale al Padre, uomo minore del Padre. Certo, egli è uguale e minore: uguale nella natura divina, minore nella forma dello schiavo 73. Ma tu, [ariano], come puoi ritenerlo uguale? O che per caso sia uguale per una sua parte e minore per un'altra? In effetti, se escludi l'incarnazione, non hai alcun modo di mostrarmelo uguale e minore. Voglio vedere come riuscirai a mostrarmelo.

È sapienza carnale e stoltezza pensare Dio come un corpo.

14 [7]. Quanto a voi, notate come la stolta loro empietà sia a livello carnale, conforme alla parola della Scrittura: La sapienza della carne conduce alla morte 74. Io, da parte mia, voglio ancora essere neutrale e per il momento non parlo dell'incarnazione di nostro Signore, unico Figlio di Dio. Supponendo non ancora accaduto quello che invece è accaduto, mi metto a considerare insieme con te le parole: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio 75. Insieme con te considero anche le altre: Egli, pur essendo di natura divina, non considerò una usurpazione l'essere uguale a Dio 76. Mostrami dove, secondo questi testi, egli sia minore. Che dirai? Comincerai a smembrare Dio in base a delle [sue] qualità, cioè in base a note corporali o fisiche per le quali qui lo penseremmo diverso da come lo pensiamo là? Parlando in modo materiale, potrei esprimermi anche così, ma se le cose stiano così perché voi così le concepiate, lo vedrà Dio. Pertanto, come già avevo cominciato a dire, vieni pure tu, [eretico], a mostrarmi come prima dell'incarnazione, prima cioè che il Verbo si facesse uomo e dimorasse in mezzo a noi 77, ci sia stato un minore e un uguale. Forse che Dio è questa cosa e quest'altra, per cui il Figlio da un lato è minore del Padre e da un altro gli è uguale? Potremo per caso dire che [Padre e Figlio] sono una specie di corpi ed è per questo che tu mi vieni a dire: " [Il Figlio] è uguale in lunghezza ma minore quanto a forza "? Spesso infatti ci si presentano due corpi che sono fra loro uguali per la dimensione della lunghezza, mentre per la forza uno ne ha di meno e un altro di più. Li immagineremo dunque in questa maniera? Penseremo che Dio Padre e il suo Figlio siano corpi? Dio allontani pensieri di questo genere dal cuore dei cristiani! Il Verbo era tutto intero presso il Padre, tutto intero nella carne, tutto intero al di sopra degli angeli. Ma tu la penserai diversamente e oserai dire: " Sì, sono uguali quanto a forza e ad estensione, ma solo disuguali per il colore ". Ma dov'è il colore se non nei corpi? Lassù invece c'è solo luce di sapienza. Mostrami il colore della sapienza, il colore della giustizia! Se queste realtà non hanno colore, oserai parlare di colori che si troverebbero in Dio? Ammesso che tu stesso sia in grado di colorarti di rossore!

Gli attributi di Dio sono una unità inscindibile.

15 [8]. Cosa dunque verrai a raccontarmi? Che il Padre e il Figlio sono uguali nella potenza ma il Figlio è inferiore nella sapienza? Ma Dio sarebbe ingiusto se a uno che ha meno sapienza desse un'uguale potenza. Se sono uguali nella sapienza ma il Figlio ha meno potenza, Dio sarebbe invidioso, poiché a uno che gli è uguale in sapienza ha conferito un potere più limitato. Ma in Dio, tutto ciò che si predica di lui è sempre e in tutto la stessa realtà. In lui infatti la potenza non differisce dalla sapienza, né la fortezza dalla giustizia o dalla castità. Parlando di Dio, qualsiasi prerogativa gli attribuisci, non devi intenderla come diversa dalle altre; anzi, nessuna di esse è adeguata [alla sua natura] poiché tutte sono proprietà dell'anima umana: quell'anima che la luce di Dio inonda, per dir così, e riveste delle caratteristiche proprie di ciascuna. È come quando sui corpi si leva la nostra luce visibile. Se viene a mancare, tutti i corpi hanno lo stesso colore o, meglio, non hanno alcun colore; se invece la si reca in un luogo, essa illumina i corpi e, pur essendo sempre identica in se stessa, conferisce ai vari corpi una lucentezza diversa, secondo le proprietà di ciascuno. Ciò vale anche per le virtù sopra ricordate: le quali sono proprietà dell'anima rischiarata da quella luce che nessuno rischiara e modellata da quella luce a cui nessuno dà forma.

La inesprimibile trascendenza di Dio.

16 [9]. Eppure noi diciamo queste cose, fratelli, in riferimento a Dio, non trovando nulla di meglio da dire nei suoi riguardi. Ecco, io dico che Dio è giusto perché, tra le parole umane, non ne trovo un'altra migliore; in realtà però egli è al di sopra della giustizia. È vero che nelle Scritture si dice: Il Signore è giusto e ama la giustizia 78, ma a un certo punto vi si dice anche che Dio si pente, che Dio non sa questo o quello 79. Chi non rimarrà esterrefatto? Un Dio che non sa, un Dio che si pente! Ebbene, se la Scrittura si abbassa fino ad usare parole dinanzi alle quali tu resti sconvolto, lo fa con un intento salutare, e cioè perché tu, ascoltando parole di esaltazione, non creda che siano adeguate alla sua grandezza. Fa' conto che tu voglia pensare, nei riguardi di Dio, che egli si penta di qualcosa come succede all'uomo nel suo umano sentire. Qualsiasi altro, che comprende le cose di Dio meglio di te, verrebbe sicuramente a rimproverarti, spiegandoti insieme che, se nelle Scritture trovi affermazioni di questo genere, non sono dette per indicare che in Dio si trovano passioni come quelle che provi tu quando con il cuore addolorato disapprovi i tuoi propositi e le tue azioni 80. Quando gli uomini fanno cose come queste, si dice che lo fanno pentiti, qualora recedono dal proposito precedente; quanto a Dio invece, siccome i suoi decreti sono stabili in eterno 81, se si dice che si pente, lo si dice figuratamente, per indicare che egli agisce in maniera diversa da quella che gli uomini si sarebbero attesi. Identica risposta se tu volessi chiedere: " Ma insomma cosa potrò dire che convenga a Dio? ". Qualcuno forse ti risponderà dicendo che egli è giusto, mentre un altro, comprendendo la cosa a più a fondo, ti dirà che anche questa denominazione rimane al di sotto della sua infinita elevatezza: lo si predica di lui in maniera inadeguata, che peraltro non è sconveniente se si tien conto della capacità nostra umana. Ma quell'interlocutore, per dimostrare la sua affermazione, ricorrerà alla Scrittura, dove si legge che il Signore è giusto 82. Gli si risponde, e con ragione, che nella stessa Scrittura, di Dio si dice che si pente. E come questo pentirsi non lo si prende nel senso consueto del parlare umano 83, cioè come si pentono gli uomini, così quando si dice che Dio è giusto, devi intenderlo come non rispondente appieno alla sua infinita maestà; e se la Scrittura usa questa espressione ( e fa bene ad usarla), è perché la nostra mente attraverso parole, sia pur approssimative, sia gradatamente condotta alla comprensione di ciò che è ineffabile. Parlando dunque di Dio, di' pure che è giusto, ma intendi un qualcosa che oltrepassa la giustizia che di solito attribuisci all'uomo. Quanto poi alla Scrittura, se vi si dice che Dio è giusto, ricorda anche che di lui si dice che si pente e che non sa 84: cose che tu mai ti permetteresti di dire. Ebbene, come ritieni che queste affermazioni che ti fanno inorridire sono state scritte in vista della tua limitatezza, così ritieni che anche le altre, quelle che tu ammiri per la loro sublimità, sono state scritte in vista della limitatezza che in qualche misura permane anche negli uomini più progrediti (. Che se poi qualcuno riuscirà a trascendere questi limiti e a farsi di Dio dei concetti adeguati (per quanto è dato all'uomo mortale!), cerchi di trovare quel silenzio che merita d'essere lodato con la voce inesprimibile del cuore.

Il Verbo, Dio per natura, uomo per misericordia.

17 [10]. In conclusione, fratelli, in Dio la potenza è lo stesso che la giustizia; e così qualunque cosa vorrai affermare di lui, è sempre la stessa cosa, che tu però in nessun modo riuscirai ad esprimere adeguatamente. Pertanto non ti sarà lecito dire che il Figlio è uguale al Padre per la giustizia mentre non è uguale per la potenza, o che egli è uguale per la potenza ma non per la scienza, poiché chi è uguale per una prerogativa, qualunque essa sia, è uguale in tutte le altre, in quanto tutti gli attributi che predichi di Dio sono in lui un'unica realtà e si equivalgono. Questo è sufficiente perché tu capisca che non puoi asserire in che modo il Figlio sia uguale al Padre senza introdurre delle differenziazioni nella stessa sostanza divina; ma se tu ve le introdurrai, la verità stessa ti caccerà fuori casa e non ti sarà concesso d'entrare in quel santuario dov'ella splende di fulgidissima luce 85. Non essendo dunque Dio divisibile in parti, mai ti sarà lecito dire che il Figlio per una parte è uguale al Padre mentre per un'altra gli è disuguale. Non essendo in Dio le qualità, mai ti sarà lecito dire che per una qualità gli è uguale, ma per un'altra inferiore. Nell'ambito della divinità non puoi affermare che il Figlio è uguale al Padre se non lo intendi uguale sotto ogni aspetto. Ma, allora, come farai a dirlo inferiore se non riferendoti alla forma dello schiavo che egli ha assunta 86? Sì, fratelli, abbiate sempre in mente questa avvertenza: se attingerete dalle Scritture la norma da seguire, la luce stessa [della verità] vi mostrerà con chiarezza tutte le cose. E quindi, se troverete che del Figlio si dice che è uguale al Padre, prendete le parole come riferite alla natura divina; se altrove si dice che è minore, ritenete che è minore per la natura dello schiavo da lui assunta. Conforme a quanto è detto in un luogo: Io sono colui che sono 87, e in un altro: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe 88, ritenete dunque e quello che egli è nella sua natura [divina] e quello che è diventato nella sua misericordia.

La Scrittura presenta il Signore Gesú come vero Dio e vero uomo.

18. Non vi sorprenda dunque il fatto che secondo questa diversa accezione siano state dette dal Signore le parole riportate nel Vangelo e quelle del salmo che or ora abbiamo cantato. Lasciate che ve le spieghiamo e inculchiamo con una testimonianza ancora più esplicita. Nel Vangelo si dice: Dal Padre mio e Padre vostro, dal Dio mio e Dio vostro. Non vi turbino le parole: Dal Padre mio e Padre vostro 89. Nei riguardi del Figlio, il Padre è sempre padre: non essendoci interruzione nel generare il Figlio, non c'è momento in cui il Padre non è padre. Quanto a noi, il Padre ci è padre in maniera diversa, cioè per la misericordia dell'adozione. Il Verbo è generato, noi siamo stati adottati. Dio lo ha generato prima del lucifero 90: che voi non dovete prendere come una stella ma, se lo si chiama lucifero, date alla parola un senso traslato e intendetela di " uno che reca la luce ". Non che sia egli stesso la luce ma, essendo illuminato dalla luce, può illuminare. In questo senso anche di quell'arcangelo che non rimase nella verità 91 è stato detto che sorgeva come il lucifero 92, ma non rimase nella luce. Allo stesso modo di ogni anima che viene illuminata, per potere a sua volta illuminare, si dice che è un " lucifero " (= portatore di luce); mentre se si sottrae alla luce che la illumina, diviene tenebra. Ecco perché l'evangelista Giovanni, parlando di nostro Signore, dice: Egli era la luce vera; e come se qualcuno gli chiedesse: " Ma cos'è questa luce vera "?, risponde: Quella che illumina ogni uomo 93. Dunque non una luce che viene illuminata, ma luce che illumina. Di Giovanni Battista al contrario si dice che egli non era la luce 94. Ma quale luce non era Giovanni? Quella che illumina 95 senza essere illuminata. Era infatti, Giovanni, una luce che veniva illuminata da colui dalla cui pienezza egli aveva attinto 96; e per questo il Signore, parlando di lui, diceva: E voi avete voluto esultare per un po' di tempo alla sua luce 97. Non diversamente diceva ai suoi discepoli: Voi siete la luce del mondo 98. Erano luce del mondo perché erano stati illuminati; ma una cosa è la luce vera che illumina ogni uomo 99, un'altra cosa la luce creata che dalla prima riceve l'illuminazione. Ebbene, luce vera che illumina è il nostro Signore Gesù Cristo; luce creata che dall'altra riceve illuminazione sono Giovanni, gli apostoli, tutte le anime sante e i beatissimi spiriti celesti che diventano " portatori di luce ", attingendo la luce da altri. Pertanto l'espressione: Prima del lucifero io ti ho generato 100 equivale a: " Prima di ogni creatura "; e " Prima di ogni creatura " deve intendersi di tutte le creature, anche quelle più elevate, cioè quelle spirituali e intellettuali, che diffondono luce perché sono state illuminate. Concludendo dunque, fratelli, riteniamo che nel nostro Signore Gesù Cristo son vere tutt'e due le cose: che egli per la sua divinità è uguale al Padre, mentre è minore del Padre per essersi fatto uomo. E - come avevo cominciato a dirvi - non scandalizziamoci se egli parla di Padre mio e Padre vostro 101. Dio infatti da sempre è Padre del suo Figlio unigenito, che è nato da lui da sempre e quindi prima del lucifero, cioè prima di ogni creatura che diventa luce perché illuminata. Ma tutta l'espressione: Padre mio e Padre vostro è vera, poiché ad opera del Figlio anche noi abbiamo ricevuto il dono d'essere figli di Dio. Egli ci ha dato il potere di diventare figli di Dio 102. È questa l'adozione a voi, carissimi, ben nota, di cui parla l'Apostolo quando dice che noi aspettiamo l'adozione, cioè la redenzione del nostro corpo 103, e ancora: Dio ha mandato il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la legge, per redimere coloro che erano sotto la legge e noi ottenessimo l'adozione a figli 104. Molto appropriatamente dunque [il Signore] prima parlò di Padre mio, come di Padre esclusivamente suo, e poi di Padre vostro. Ma come può dire Dio mio e Dio vostro 105? Se al riguardo tenete presente la regola [della fede], cosa avete da aspettarvi da me? " Egli è Padre mio da sempre, Dio mio da quando mi sono fatto uomo ". Ascolta il salmo che è stato letto: Su di te io sono stato riposto fin dal grembo materno; dal seno di mia madre tu sei il mio Dio 106. Penso che sia stato detto abbastanza anche riguardo al modo, secondo il quale il nostro Signore Gesù Cristo, nostro Salvatore, Capo della Chiesa e nostro Mediatore ad opera del quale otteniamo la riconciliazione con Dio 107, viene presentato dalle Scritture come Dio e come uomo.

Il Cristo totale: capo e corpo.

19 [11]. La terza accezione [del nome di Cristo] si ha quando si parla del Cristo totale considerata anche la Chiesa, quando cioè si parla del capo e del corpo. Infatti il capo e il corpo sono l'unico Cristo: il che non vuol dire che Cristo capo senza il corpo è una persona incompleta ma che egli si è degnato di essere una realtà completa anche insieme con noi, lui che anche senza di noi è completo dall'eternità. Egli è certamente completo come Verbo, Figlio unigenito uguale al Padre, ma lo è anche insieme con l'umanità che ha assunta e con la quale è Dio e uomo. In effetti, fratelli, come potremmo noi essere il corpo di Cristo se egli non fosse, insieme con noi, un unico Cristo? Ma troveremo noi [nella Scrittura] passi in cui si insegna che l'unico Cristo è capo e corpo, cioè un corpo unito al suo capo, una sposa unita al suo sposo? Eccolo in Isaia. Ivi parla un singolo individuo: parla sempre la stessa identica persona, ma osservate cosa dice: Come uno sposo egli mi ha fasciato con il turbante e come una sposa mi ha coperto di monili 108. Parla di una sola persona e la dice sposo e sposa: sposo, riferendosi al capo; sposa, riferendosi al corpo. Sembrerebbero due; in realtà sono uno solo. Se fosse diversamente, come potremmo noi essere membra di Cristo, secondo l'esplicita affermazione dell'Apostolo: Voi siete il corpo di Cristo e le sue membra 109? Se siamo membra di Cristo, siamo anche suo corpo, e lo siamo tutti insieme. Non solo quanti siamo presenti in questo luogo ma anche quanti sono sparsi per tutta la terra; né soltanto quanti viviamo nel nostro tempo ma (cosa dirò?) quanti da Abele, il giusto 110, vivranno sino alla fine del mondo, quando gli uomini cesseranno di generare e di essere generati. Tutti i giusti che hanno attraversato il mare di questa vita, coloro che vi si trovano al presente (non mi riferisco a luoghi ma alla vita!), coloro che nasceranno in avvenire, tutti insieme si forma l'unico corpo di Cristo, e ciascuno ne è un membro 111. Se dunque tutti insieme noi formiamo un corpo del quale ciascuno è un membro, dev'esserci ovviamente un capo a cui appartenga questo corpo. Lo dice l'Apostolo: Egli è il capo del corpo che è la Chiesa, egli che è il primogenito e detiene la supremazia 112 [in tutte le cose]. E siccome del medesimo Cristo dice ancora [Paolo] che è capo di tutte le dominazioni e le potenze 113, ecco che la nostra Chiesa, adesso pellegrina sulla terra, viene a congiungersi con la Chiesa celeste, dove saremo concittadini degli angeli. Quella di divenire, dopo la resurrezione del corpo, uguali agli angeli, sarebbe stata una spudorata ambizione se la verità in persona non ce lo avesse assicurato : Saranno uguali agli angeli di Dio 114. Si avrà in tal modo un'unica Chiesa, la città del grande Re 115, alla quale volle appartenere anche il Figlio, prendendo un corpo da coloro che erano estranei e pellegrini. Egli si fece loro re, e li rese fecondi [nella giustizia], richiamando chi se ne era allontanato. Prefigurazione di questo mistero è quella Sion di cui sta scritto: Madre Sion, dirà l'uomo; egli si è fatto uomo in essa ed egli, l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta 116. E cioè: quello stesso che si è fatto uomo in essa, diventando umilissimo fra tutti, è lo stesso che, essendo l'Altissimo, ne ha posto le fondamenta. Infatti tutte le cose sono state fatte per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto 117. Orbene, un corpo mutilato, a cui cioè manchi il capo, non può dirsi completo. Perché lo si ammiri, un capo dev'essere unito al corpo. Così è di Cristo: egli è una unità insieme con il corpo, che egli assunse per condiscendenza, non per necessità. Siamo infatti noi ad avere bisogno dei beni di Dio; Dio non ha bisogno dei beni nostri. Ascoltatelo dal profeta: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio poiché non hai bisogno dei miei beni 118.

Cristo, capo e corpo, raffigurato nel sacramento nuziale.

20 [12]. Nelle Scritture dunque Cristo a volte è presentato in modo che lo si ritenga come il Verbo uguale al Padre, altre volte invece devi intenderlo come uomo-mediatore. Così quando di lui si dice che il Verbo si è fatto carne per abitare in mezzo a noi 119, o quando del Figlio unigenito ad opera del quale sono state fatte tutte le cose 120, si dice che non ritenne una usurpazione l'essere uguale a Dio ma svuotò se stesso prendendo la forma dello schiavo [e] divenendo obbediente fino alla morte di croce 121. Altre volte invece te lo presenta in modo che tu intenda Cristo capo e corpo, come quando l'Apostolo espone in maniera lucidissima le parole della Genesi, riguardanti il marito e la moglie: I due saranno una sola carne 122. Badate bene alla spiegazione che egli ne dà, perché non pensiate che noi osiamo insegnarvi qualcosa in base a nostre supposizioni. Riportate le parole: I due saranno una sola carne, egli aggiunge: È questo un grande mistero 123; e perché nessuno pensasse che egli stesse ancora parlando di marito e di moglie nell'unione naturale dei due sessi, cioè del consueto rapporto matrimoniale, aggiunge: Questo io dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa 124. Come riferite a Cristo e alla Chiesa debbono dunque intendersi le parole: I due saranno una sola carne, sicchè non sono più due ma una sola carne 125. Ora come lo sposo suppone la sposa, così il capo suppone il corpo, poiché capo della donna è l'uomo 126. Sia dunque che io vi parli di capo e di corpo, sia che vi parli di sposo e di sposa, voi intendetemi nel senso di unità. Che se l'apostolo Paolo, in quel tempo ancora Saulo, si sentì dire: Saulo, Saulo, perchè mi perseguiti? 127, il motivo fu l'unione esistente tra il capo e il corpo. Quando più tardi Paolo, diventato annunziatore di Cristo, stava soffrendo i mali che da persecutore aveva arrecato agli altri, ebbe infatti a dire: Affinchè io completi nella mia carne ciò che manca ai patimenti di Cristo 128. Con ciò mostrava che le sofferenze da lui sopportate rientravano nei patimenti stessi di Cristo. La qual cosa non può intendersi riferita a Cristo in quanto capo: essendo in cielo, egli non può in alcun modo soffrire. La si deve quindi riferire al suo corpo, cioè alla Chiesa 129: il quale corpo è, insieme al suo capo, l'unico Cristo.

Dobbiamo essere un corpo degno del nostro Capo.

21 [13]. Dimostrate dunque nei fatti d'essere un corpo degno di tale capo, una sposa degna di tale sposo. Un capo come lui non può avere un corpo che non sia degno di lui, né uno sposo come lui una sposa che non sia degna di lui. Dice Paolo: Per farsi comparire dinanzi una Chiesa coperta di gloria, che non ha né macchia né ruga o cose del genere 130. Ecco com'è la sposa di Cristo: non ha né macchia né ruga. Vuoi non avere macchie? Fa' quel che dice la Scrittura: Lavatevi, purificatevi, togliete ogni sorta di male dai vostri cuori 131. Vuoi non avere rughe? Distenditi sulla croce. Non basta infatti che tu venga lavato, ma, per essere senza macchia né ruga, devi anche stenderti. Nel [santo] lavacro ti vengono tolti i peccati; quando poi sei steso s'accende in te il desiderio dell'eternità, per donarti la quale Cristo fu crocifisso. Ascolta [cosa dice] Paolo, ormai lavato [nel battesimo]: Egli ci ha salvati non per le opere di giustizia compiute da noi ma per la sua misericordia mediante un lavacro di rigenerazione 132. Ascoltalo ancora mentre è disteso. Dice: Dimenticando le cose passate, proteso verso quelle che ho davanti, con grande tensione proseguo il cammino verso la palma della vocazione avuta da Dio in Cristo Gesù 133. Ben a ragione dunque Paolo, consapevole d'essere senza macchia di perversità e senza ruga di doppiezza 134, da buon amico dello Sposo 135 e a lui fedele, gli consegna la vergine casta e la presenta a lui, suo unico sposo 136, senza macchia o ruga 137. Non è infatti senza motivo che viene ricordata la profezia di Isaia [che ci indirizza] " presso la via del lavandaio 138 ".

Le oscurità della Scrittura rivelate ai piccoli.

22. Cose come queste hanno tutte, fratelli, un risvolto sacramentale. Pertanto le numerose affermazioni della Scrittura che suonano come assurde e prive di senso sono, sì, celate [al nostro intelletto], ma non ne segue che, per essere a noi celate, esse siano vuote di contenuto. Dio mette sotto chiave il recipiente pieno e cerca persone che vadano a bussare perché egli possa aprire 139. Naturalmente tu devi soppesare la cosa; devi cioè - permettetemi la battuta - fare ciò che fanno i bambini quando comprano le noci. Per non essere imbrogliati, pesano con la mano la merce e se trovano che è pesante, acquistano con maggiore tranquillità quello che è ancora nascosto ai loro occhi. Quando dunque nei libri della Scrittura - così santi, così famosi, così noti in tutto il mondo, così diffusi nell'intero universo abitato - tu incontri delle espressioni incomprensibili, sàggiane il peso e troverai che, da quando le cose sono state annunziate fino ai nostri giorni, nelle vicende umane non è accaduto nient'altro che quello ivi predetto. Grande davvero quindi il peso della loro autorità! Ebbene, a norma di tale autorevolezza tu valuta le varie sentenze scritturistiche. Ecco, ad esempio, che la tua mente si mette a ragionare sulle parole: E i due saranno una sola carne 140. Essa forse stava già prendendole in senso dispregiativo e si diceva fra sé e sé: "Ma cos'è questa roba? Sarà proprio vero che Dio si preoccupi d'insegnarci come debbano unirsi l'uomo e la donna e per questo dice: I due saranno una sola carne? ". Non buttar via tali parole! Tu sei un bambino: controlla il peso! Risponde: " E come potrò farlo? ". Di' a te stesso: " Effettivamente, parole come queste saprebbe dirle qualsiasi idiota; non c'è bisogno di uno che, bene o male, è chiamato uomo di Dio. Quanto poi a Mosè, che è l'autore delle parole, si sa che aveva uno spirito di levatura, quanto meno, normale ". E nota ancora che non senza un perché questi scritti si son divulgati in tutto il mondo e in tutto il mondo riscuotono onore religioso da parte dei credenti. " Se non ci fosse stato un qualche motivo particolare, Mosè non avrebbe detto che i due saranno una sola carne. In queste parole ci dev'essere un non so che di notevole: un qualcosa che lascia sgomenta la ragione umana e, sotto qualche aspetto almeno, le rimane nascosto. Non sono, comunque, parole vuote ". Se dialoghi con te stesso in questa maniera, sei uno che sta pensando. E, se avrai pensato bene, avrai anche riscontrato che si tratta di una cosa importante, che tu vuoi conservare con [grande] sicurezza. Ma forse tu sei un bambino a cui mancano le forze per aprire l'involucro. Ad ogni modo, conservalo e rallegrati, consapevole che hai in mano un recipiente colmo. Non ti mancherà qualcuno capace di aprirtelo e darti da mangiare. Egli replica: " E chi me lo potrà aprire? ". Ma certo che ci sarà qualcuno in grado di aprirtelo! Esprimiamoci come se stessimo trattando con un bambino: Consegnalo a quel tale, padre veramente tenero, che diceva: Vi dico queste cose non per farvi arrossire ma per ammonirvi come figli miei carissimi 141. Come vedi, è un apostolo, e quindi, almeno in qualche modo, è certamente anche un padre. Egli ti apre il recipiente che tu tieni chiuso in mano, quello che tu hai pesato e di questo suo peso ti sei accorto. Non temere! Egli te lo aprirà, poiché ha per te l'amore di padre, che gli fa dire: Anche se aveste molti pedagoghi in Cristo, non per questo però avreste molti padri, poiché sono stato io colui che vi ha generati in Cristo Gesù mediante il Vangelo 142. Egli ha anche l'amore di madre, per cui può dire: In mezzo a voi io mi son fatto piccino come quando una nutrice si prende cura dei suoi figli 143. Non parla di " madre " poiché a volte capita che delle madri, o perché troppo gracili o perché prive di affetto verso i propri figli, dopo averli partoriti, li affidano ad altre persone perché vengano allattati. D'altra parte, se avesse detto solamente: Come una nutrice che si prende cura e non avesse aggiunto: Dei suoi figli, avrebbe lasciato intendere che egli aveva ricevuto, per nutrirli, i figli messi al mondo da un'altra persona. Egli pertanto si dà il nome di nutrice perché nutriva, e precisa che erano figli suoi perché egli di persona li aveva partoriti, tanto che poteva dire: Figliolini miei, che io partorisco di nuovo finchè Cristo non sarà formato in voi 144. Ovviamente egli li partorisce nel modo che fa la Chiesa, prestando cioè il grembo ma non il seme; tuttavia egli ne è il padre o anche la madre, per cui tu puoi chiamarlo col nome che ti pare senza provocarne le ire. In effetti egli volle essere l'una e l'altra cosa per l'affetto del cuore, mentre non era né l'una né l'altra per motivi di sesso. Ebbene, a questo padre, o madre, dà quell'oggetto che tieni chiuso in mano, quell'oggetto così pesante, di così notevole autorità: fattelo aprire da lui! È la Genesi il libro in cui trovi scritte quelle parole 145. Non può trattarsi di cosa insignificante; ci dev'essere racchiuso qualcosa di serio. Non ti sembra che abbia voluto dirti qualcosa colui che ti parlava di sacramento? " Ma sì che lo avverto! È così grande il suo peso; tuttavia per me, almeno finora, è un recipiente chiuso ". Ti dice: [Che sia sacramento] io te lo dico in riferimento a Cristo ed alla Chiesa 146. Eccoti il cibo: sàziatene, tu che non hai buttato via il recipiente quand'era chiuso. Viceversa, colui che quand'era chiuso l'avesse trascurato o gettato via, in nessun modo potrebbe giungere a trarne il nutrimento.

Le astuzie di Giacobbe e la vocazione dei pagani.

23. Una cosa me ne fa venire in mente un'altra. Vi ho ricordato le noci, e, come pare, abbiamo ricollegato assai bene la cosa con l'argomento del presente discorso, nel quale abbiamo voluto trattare di misteri a noi nascosti. Non fu, dunque, per caso che Giacobbe prese tre rami di colore diverso e li pose nell'acqua da cui bevevano le pecore mentre si accoppiavano. Non volle prenderli da una sola pianta ma da piante diverse 147. Per ottenere l'effetto che egli si prefiggeva, i rami potevano benissimo essere di una medesima pianta; né c'era alcun bisogno che fossero di tre piante. Le piante potevano essere di più o di meno: bastava collocare nell'acqua tre rami d'albero diversi per colore. Che significa dunque il fatto che egli vi collocò tre rami, presi da tre piante diverse? Non ci si inculca un qualche mistero, che rimane nascosto alla nostra mente? Tenterò io di squarciare l'involucro e di mostrarvene il contenuto, per quanto mi consentono le forze che il Signore si degna di accordarmi. Giacobbe stava pascolando le pecore del suocero, e con lui aveva stipulato un patto per cui sarebbe stato suo ogni nato dalle pecore o dalle capre che avesse presentato chiazze di diverso colore: rientrava nel compenso a lui dovuto come pastore 148. Ora Giacobbe si procurava questo compenso ricorrendo a quei rami di diverso colore: posando su di essi lo sguardo al momento di concepire, le pecore, per la voglia che accendeva in loro una tale vista, procreavano figli variamente colorati 149. Orbene, nei nati di quel gregge, differenti per colorazione, si raffigurava la diversità delle genti. Quegli animali infatti erano di una stessa tinta, eppure concepivano e partorivano figli di colori diversi. Analogamente, i primi predicatori del Vangelo provenivano tutti dal giudaismo, ma perché fosse generata [nella fede] la moltitudine delle genti occorreva che essi concepissero e partorissero figli [fra loro] diversi. Essi sono l'eredità di Giacobbe 150, quel Giacobbe che era figura di Cristo, come era anche figura di quel popolo minore, del quale fu detto: Il maggiore sarà servo del minore 151. Quanto a voi, santi fratelli, ricorderete certamente che io vi ho già parlato di Esaù e Giacobbe, al quale nella benedizione che ricevette dal padre fu anche detto: Ti serviranno tutte le genti 152. Rientravano dunque nell'eredità di Giacobbe i popoli pagani, così diversi fra loro; ma, se non fossero venuti dal giudaismo i predicatori [del Vangelo], per cui animali di una stessa categoria potessero concepire bevendo l'acqua colorata da quei rami, non avrebbero partorito fedeli nel così diversificato mondo pagano.

Incarnazione di Cristo e fecondità della Chiesa.

24. Ma come potè quella greggia concepire genti così diverse? Lo potè fare senza dubbio per quei tre rami. Erano infatti nel tempo della riproduzione gli animali quando Giacobbe fece assumere ai rami colori diversificati, cioè quando egli ne staccò la corteccia con incisioni distanziate e, fatto questo, li collocò nell'acqua. Bevendo da tali acque le pecore ne avrebbero riportato voglie diverse, che sarebbero poi comparse nei diversi colori della prole 153. Questo risultato, ovviamente, si sarebbe potuto conseguire con qualsiasi numero e genere di rami; ma il mistero del popolo cristiano, che sarebbe sorto in epoca posteriore, non era conosciuto dal popolo giudaico, se si escludono pochi santi profeti e pochi dottori della legge. I quali ultimi poi ne furono invidiosi, tanto che il Signore diceva loro: Guai a voi, che avete in mano le chiavi del Regno dei cieli, ma non vi entrate voi né permettete agli altri di entrarvi 154. Gli stessi legisperiti sono raffigurati nella parabola dei vignaioli che, non volendo consegnare quanto dovevano, dissero: Costui è l'erede; venite, uccidiamolo, e l'eredità sarà nostra 155. Non avrebbero detto cose come queste, se non avessero avuto una qualche conoscenza del Cristo, ma la sua divinità, per la quale egli è uguale al Padre, rimaneva loro nascosta. Se infatti lo avessero conosciuto, mai avrebbero crocifisso il Signore della gloria 156. Ma non di fra mezzo a loro scelse i predicatori, che avrebbe inviati nel mondo, colui che scelse i deboli del mondo per confondere i forti 157, e per questo si potesse dire: Dov'è il sapiente?, dove il dottore in legge?, dove l'investigatore di questo mondo? Non ha forse Dio reso stolta la sapienza di questo mondo? 158 Di conseguenza il mistero che rimase celato ad essi è stato rivelato a persone incolte ed inesperte 159, e mediante il battesimo di Cristo è stato consegnato alle nazioni, anche le più diverse. Fu per questo che le greggi [di Giacobbe] per l'influsso dei tre rami immersi nell'acqua concepirono figli variamente colorati. Ci fu infatti un tempo in cui si predicava Dio Padre, ma restava sconosciuta l'incarnazione del Figlio. Questa veniva annunziata frequentemente nelle profezie, ma era compresa da pochissime persone: per questo la moltitudine delle genti nella loro diversità non era ancora partorita. La cosa, viceversa, si realizzò quando da quei tre rami bevvero quelle pecore, cioè quei primi israeliti dai quali son nate, nella loro diversità, le genti che rientrano nella sorte di Giacobbe, cioè nella eredità di Cristo. Di questi israeliti dice l'Apostolo: Anch'io infatti sono un israelita, dalla stirpe di Abramo, dalla tribù di Beniamino 160. Come lui, erano israeliti Pietro, Andrea, Giovanni e Giacomo, e gli altri apostoli e tutti quei primi araldi [del vangelo] di Cristo dei quali dice l'Apostolo che ad essi son debitori tutti i gentili. Egli si esprime così: Se dei loro beni spirituali son diventate partecipi [tutte] le genti, queste debbono somministrare ad essi i beni materiali 161. Or dunque, quegli israeliti, appartenendo tutti ad uno stesso popolo, erano in un certo qual modo un gregge monocolore; essi però bevvero - sia lecito dire così - il mistero dell'incarnazione del Signore, e pertanto, proprio in virtù del mistero dell'incarnazione del Signore, poterono generare al Vangelo genti così diverse, come diverse nella colorazione erano le pecore [di Giacobbe].

Simbolismo dei tre rami di Giacobbe

25. Ma come si può vedere in quei tre rami il mistero dell'incarnazione del Signore? Osserviamo di quali piante fossero quei rami. Uno era di noce, un altro di platano e un altro di storace 162. Così reca la Scrittura. A noi quindi il compito di interrogare la nostra fede per conoscere cosa insegna sull'incarnazione del Signore. Noi infatti crediamo che egli nacque dalla Vergine Maria per opera dello Spirito Santo 163. Orbene, il Signore che nasce dice relazione al ramo di noce, poiché, come non è possibile giungere a mangiare la noce senza rompere il guscio legnoso, così il nostro Signore Gesù Cristo non potrebbe assumerci se noi non giungessimo al suo corpo mediante il legno della croce. È una cosa talmente risaputa che voi con la mente avete prevenuto la mia voce : voi stessi, dico, con la vostra voce avete chiaramente espresso ciò che io avevo cominciato a dire ma non avevo ancora specificato. Orbene, chi vi ha condotti a questo cibo, chi ve l'ha fatto comprendere così rapidamente, se non colui che fu sospeso all'albero [della croce] 164? Senza la croce del Signore infatti non sareste cristiani e, se non foste cristiani, non avreste accolto con tanta celerità e gusto questa dottrina. Quanto al ramo di platano, a che cosa si riferisce? Ecco, noi affermiamo che Cristo nacque dallo Spirito Santo; e io personalmente sono dell'avviso che si faccia bene a mettere il ramo di platano in relazione con lo Spirito Santo. Se infatti consideriamo l'ultimo dei tre rami, cioè quello di storace, non v'è dubbio che esso, per il soavissimo profumo che emana, sta ad indicare l'incorrotta verginità di Maria. In effetti, se la nascita del Signore è circondata dalla nota di fragranza e di profumo dolcissimo che l'han resa celebre ciò dipende dall'essere egli nato da una vergine. Più difficile è la comprensione del ramo di platano, spiegare cioè come esso riguardi lo Spirito Santo. Se però voi mi sosterrete con le vostre preghiere, il Signore mi assisterà e, servendosi di me, manifesterà a voi [il segreto]. Attraverso il mio servizio, umile sì ma pieno di zelo per il vostro progresso, egli vi mostrerà in che modo nel ramo di platano si debba intendere lo Spirito Santo. Se mi metto a ricercare il motivo per cui [alle altre piante] preferisco il platano, non mi risulta che il platano venga apprezzato per altro motivo che quello d'offrire la sua estesissima ombra a chi vi si voglia riparare dalla calura. Chi conosce la pianta e com'essa è fatta, riconosce che io dico la verità. Noi dunque preferiamo il platano e lo desideriamo per la grandezza della sua ombra e per il gradevole refrigerio della frescura che ci offre quando al suo riparo, ci riposiamo dal caldo. Orbene, della Vergine Maria noi sappiamo che doveva concepire il Figlio non nell'ardore della concupiscenza ma nel refrigerio di una castità fedelissimamente custodita e di una verginità incontaminata. Mai ella nutrì il desiderio di amplessi maritali, ma concepì ad opera della fede. Fu vergine nel diventare madre, vergine nel partorire, vergine nel resto della vita. Lei dunque dallo Spirito Santo ottenne la maternità, e il medesimo Spirito le diede il refrigerio per cui fu esentata dal fuoco di ogni concupiscenza carnale. Per questo motivo lo Spirito Santo fu simboleggiato nel ramo di platano. Parlando così, potrei anche essere nel falso; ma nel Vangelo trovo un angelo che parla [a Maria] e le dice: Lo Spirito di Dio scenderà su di te, e la potenza dell'Altissimo ti coprirà con la sua ombra 165.

Conclusione del discorso.

26. Ecco dunque, carissimi, quanto il Signore, secondo il suo volere, si degna concedermi: egli ce l'accorda non per i nostri meriti ma per la fiducia [che riponiamo in lui]. Ve lo ripetiamo ininterrottamente, né è cosa su cui si possa tacere: il frutto della parola di Dio deve riscontrarsi nelle vostre opere. Assai sventurata infatti è la terra che, bagnata da copiosa pioggia, non produce frutti o magari genera spine 166. Dispiacetevi insieme con noi di coloro dei quali piangiamo la sorte. Spesse volte noi veniamo a dirvi che i digiuni indetti per i giorni in cui i pagani celebrano le loro feste dobbiamo praticarli per implorare [la misericordia di] Dio sugli stessi pagani. Ma di fronte alle malaugurate lascivie a cui si abbandona tanta gente, restiamo sgomenti quando anche alcuni fratelli cristiani [vi prendono parte]. Per questi tali vi esortiamo, fratelli, a pregare insieme con noi, affinchè, una buona volta, si ravvedano e accettino la correzione. Che cosa mai è infatti questo? Male davvero grave e deprecabile! Un cristiano che non sa mettersi sotto i piedi scemenze come queste, divertimenti così insulsi, a che cosa saprà rinunciare per amore di Cristo? Quale sofferenza saprà tollerare un simile cristiano quando verrà una qualche tribolazione a metterlo alla prova? Se lo travolge uno sputo, non lo porterà via un fiume in piena? Che io non vi abbia manifestato invano il mio dolore, santi fratelli! Coloro che oggi son qui presenti, mentre ieri non erano qui a digiunare, si dispiacciano perché, nei giorni in cui i pagani celebrano le loro feste, son vissuti anch'essi da pagani, causando a noi tristezza per la loro sorte; e si degnino, una buona volta, di liberare il nostro animo dalla tristezza e il loro dalla malizia del peccato.

 

 


1 - Sal 21, 17-19.

2 - Cf. Ef 1, 22-23, 4, 13.

3 - Gv 1, 1-5.

4 - Cf. Mt 4, 21-22 (Mc 1, 19-20).

5 - Cf. Mt 19, 16-22 (Mc 10, 17-22; Lc 18, 18-23).

6 - Cf. Mt 19, 23-26 (Mc 10, 23-27; Lc 18, 24-27).

7 - Mt 19, 27.

8 - Mt 19, 28.

9 - Mc 10, 30 (Mt 19, 29; Lc 18, 30).

10 - Cf. Mt 19, 21-22 (Mc 10, 21-22; Lc 18, 22-23).

11 - Gv 20, 29.

12 - Cf. Mc 9, 13.

13 - 1 Cor 1, 27-28.

14 - Cf. Mt 1, 18 (Lc 1, 27); Mt 13, 55.

15 - Cf. Mt 2, 1 (Lc 2, 11).

16 - Cf. A. Otto, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig 1890, p. 196, n° 965; R. Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter..., Hildesheim 1968, pp. 37-38, 277.

17 - Cf. 1 Cor 1, 27.

18 - 1 Cor 1, 27.

19 - Cf. Sal 101, 18 (?).

20 - Gv 1, 1.

21 - 1 Cor 2, 9.

22 - Cf. 1 Pt 1, 25.

23 - Cf. Gv 13, 23 (25); 21, 20.

24 - Gv 1, 1-2.

25 - Gv 1, 1.

26 - Cf. Mt 22, 37-40 (Mc 12, 30-31).

27 - Cf. Mt 25, 34 e 41.

28 - Otto, Die Sprichwörter..., pp. 204-205, n° 1008; Häussler (ed.), Nachträge zu A. Otto Sprichwörter..., pp. 59, 109, 181, 277.

29 - Mt 25, 34.

30 - Mt 25, 41.

31 - Mt 25, 34.

32 - Mt 25, 41.

33 - Sal 61, 12.

34 - Sal 61, 12-13.

35 - Sal 61, 13.

36 - Cf. 1 Th 1, 6 (?).

37 - Dt 13, 3.

38 - Cf. Gv 1, 1-2.

39 - Gv 1, 14.

40 - Gv 1, 1-3.

41 - Cf. Lc 10, 30 e 33-34.

42 - Gv 1, 14.

43 - Fil 2, 6.

44 - Gv 1, 1.

45 - Fil 2, 6.

46 - Gv 1, 1.

47 - Fil 2, 6.

48 - Gv 1, 14.

49 - Fil 2, 7.

50 - Gv 1, 14.

51 - Fil 2, 7.

52 - Fil 2, 7.6.7.

53 - Cf. Ef 5, 23.

54 - Cf. Rm 5, 10.

55 - Cf. Sal 61, 12.

56 - Sal 61, 13 (Mt 16, 27; Rm 2, 6).

57 - 2 Tm 2, 17.

58 - Cf. 2 Cor 11, 2; Gv 3, 29.

59 - 2 Cor 11, 2-3.

60 - Sir 28, 28.

61 - Cf. Gn 3, 5.

62 - Gn 3, 4.

63 - Gn 2, 17.

64 - Gv 14, 28.

65 - Cf. Fil 2, 6.

66 - Gv 14, 28.

67 - Gv 10, 30.

68 - Fil 2, 6.

69 - Gv 14, 28.

70 - Fil 2, 7.

71 - Gv 1, 1.

72 - Cf. 1 Tm 2, 5.

73 - Cf. Fil 2, 6-7.

74 - Rm 8, 6.

75 - Gv 1, 1.

76 - Fil 2, 6.

77 - Cf. Gv 1, 14.

78 - Sal 10, 8.

79 - Gn 6, 6-7; 18, 21; 1 Sam 15, 11; Sal 109, 4 (131, 11); etc.

80 - Cf. 1 Sam 15, 29.

81 - Cf. Sal 32, 11.

82 - Sal 10, 8.

83 - Cf. Gn 6, 6-7.

84 - Cf. Sal 10, 8; Gn 6, 6-7; 18, 21; etc.

85 - Cf. Sal 72, 17 (?).

86 - Cf. Fil 2, 7.

87 - Es 3, 14.

88 - Es 3, 6 (15; Mt 22, 32; Mc 12, 26).

89 - Gv 20, 17.

90 - Cf. Sal 109, 3.

91 - Cf. Gv 8, 44.

92 - Is 14, 12 (?).

93 - Gv 1, 9.

94 - Gv 1, 8.

95 - Gv 1, 9.

96 - Cf. Gv 1, 16.

97 - Gv 5, 35.

98 - Mt 5, 14.

99 - Gv 1, 9.

100 - Sal 109, 3.

101 - Gv 20, 17.

102 - Gv 1, 12.

103 - Rm 8, 23.

104 - Gal 4, 4-5.

105 - Gv 20, 17.

106 - Sal 21, 11.

107 - Cf. Ef 5, 23; Rm 5, 10.

108 - Is 61, 10.

109 - 1 Cor 12, 27.

110 - Cf. Mt 23, 35.

111 - Cf. Rm 12, 5.

112 - Col 1, 18.

113 - Col 2, 10.

114 - Lc 20, 36.

115 - Sal 47, 3 (Mt 5, 35).

116 - Sal 86, 5.

117 - Gv 1, 3.

118 - Sal 15, 2.

119 - Gv 1, 14.

120 - Cf. Gv 1, 3.

121 - Fil 2, 6-8.

122 - Ef 5, 31 (Gn 2, 24).

123 - Ef 5, 31-32.

124 - Ef 5, 32.

125 - Mt 19, 5-6.

126 - 1 Cor 11, 3 (Ef 5, 23).

127 - At 9, 4.

128 - Col 1, 24.

129 - Cf. Col 1, 24 (Ef 1, 22-23).

130 - Ef 5, 27.

131 - Is 1, 16.

132 - Tt 3, 5.

133 - Fil 3, 13-14.

134 - Cf. Ef 5, 27.

135 - Cf. Gv 3, 29.

136 - 2 Cor 11, 2.

137 - Cf. Ef 5, 27.

138 - Cf. Is 7, 3.

139 - Cf. Mt 7, 7-8 (Lc 11, 9-10).

140 - Gn 2, 24 (Ef 5, 31).

141 - 1 Cor 4, 14.

142 - 1 Cor 4, 15.

143 - 1 Th 2, 7.

144 - Gal 4, 19.

145 - Cf. Gn 2, 24.

146 - Ef 5, 32.

147 - Cf. Gn 30, 37-38.

148 - Cf. Gn 30, 31-36.

149 - Cf. Gn 30, 38-39.

150 - Ger 10, 16 (Dt 32, 9).

151 - Gn 25, 23 (Rm 9, 12).

152 - Gn 27, 29.

153 - Cf. Gn 30, 37-39.

154 - Lc 11, 52 (Mt 23, 13).

155 - Mc 12, 7 (Mt 21, 38; Lc 20, 14).

156 - 1 Cor 2, 8.

157 - 1 Cor 1, 27.

158 - 1 Cor 1, 20.

159 - Cf. Mt 11, 25 (Lc 10, 21); At 4, 13 (?).

160 - Rm 11, 1.

161 - Rm 15, 27.

162 - Gn 30, 37.

163 - Cf. Symbolum fidei.

164 - Cf. Dt 21, 23 (Gal 3, 13).

165 - Lc 1, 35.

166 - Cf. Mt 13, 19-23 (Mc 4, 15-20; Lc 8, 12-15); Eb. 6, 7-8.


Il castello interiore: quinte mansioni

Il castello interiore - Santa Teresa d'Avila

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Capitolo 1

In che modo l'anima si unisca a Dio durante l'orazione, e come conoscere se vi sia inganno

1 - In che modo, sorelle, vi potrei parlare delle ricchezze, dei tesori e delle delizie che si trovano nelle quinte mansioni? Di queste, come di quelle che ancora restano, sarebbe meglio non parlare, perché non vi sono termini sufficienti, come non vi è intelletto per comprenderle, né paragoni per spiegarle.

Le cose della terra sono troppo basse per servire a questo scopo. Ma siccome Voi, o Signor mio, vi siete compiaciuto che alcune delle vostre serve ne godano tanto spesso, mandate luce dal cielo affinché io le sappia illuminare, premunendole contro gli inganni del demonio quando si trasformerà in angelo di luce. Dopo tutto, esse non desiderano che di piacervi.

2 - Ho detto che in queste mansioni ne entrano soltanto alcune, mentre avrei dovuto dire che solo pochissime non vi entrano.

Anzi, siccome vi è il più e il meno, penso che certe particolarità siano soltanto di poche. Tuttavia, arrivare anche solo alle porte è sempre una grande grazia di Dio, perché molti sono i chiamati e pochi gli eletti. Così di noi che portiamo questo sacro abito del Carmine.

Tutte siamo chiamate all'orazione e alla contemplazione perché in ciò è la nostra origine e siamo progenie di quei santi Padri del monte Carmelo che in grande solitudine e nel totale disprezzo del mondo cercavano questa gioia, questa preziosa margherita di cui parliamo: eppure in poche ci disponiamo per ottenere che Dio ce la scopra.

Quanto all'esteriore si va bene, ma quanto alle virtù necessarie per arrivare a detto stato, ci manca ancora moltissimo, per cui non dobbiamo mai trascurarci, né in poco né in molto.

Facciamoci coraggio, sorelle mie, e siccome un po' di cielo lo possiamo godere fin da ora, supplichiamo il Signore a concederci di non rimanerne prive per nostra colpa, ma a mostrarcene la strada e a fortificarci l'anima, onde scavare sino a scoprire questo tesoro nascosto che sta dentro di noi. Se Dio si compiacerà di aiutarmi, ve ne dirò qualche cosa.

3 - Ho detto che ci fortifichi l'anima, acciocché intendiate che le forze del corpo, se Dio non le dà, non sono necessarie. Non solo Egli non impedisce ad alcuno di acquistarsi le sue ricchezze, ma si contenta che ognuno gli dia ciò che ha. Sia benedetto per sempre un così grande Signore!

Badate però, figliuole mie, che per acquistarvi ciò che dico, Egli esige che non vi riserviate nulla. Sia poco o molto quello che avete, lo vuol tutto per sé. Più o meno grandi saranno le grazie che ne avrete, ma sempre in proporzione di quello che vedrete di aver dato: per sapere se la nostra orazione arrivi o non arrivi all'unione, non vi è prova migliore.

Non crediate che questa orazione somigli al sonno, come la precedente: dico sonno in quanto che l'anima sembra che sia mezzo assopita, perché se pare che non sia del tutto addormentata, non si sente neppure sveglia.

Qui invece è addormentata - e addormentata profondamente - non solo a tutte le cose della terra, ma pure a se stessa, tanto che per la breve durata di questo fenomeno essa rimane così fuori di sé, da non poter formare alcun pensiero, neppure volendolo. Qui per sospendere il pensiero non c'è proprio da ricorrere ad alcuna industria. Se ama, non sa come, né chi; se vuole, non sa cosa vuole: è come se sia morta al mondo per più vivere in Dio.

4 - Ma è una morte deliziosa: morte, perché l'anima si sottrae a tutte le operazioni che può avere dall'unione col corpo; deliziosa, perché sembra che si separi dal corpo per meglio vivere in Dio.

Infatti, al corpo non so se rimanga tanto di vita da poter ancora respirare. Pensando ora a quest'ultima cosa, mi sembra che non gliene rimanga affatto. Almeno, se respira, non lo avverte.

L'intelletto vorrebbe tutto occuparsi per intendere qualche cosa di ciò che l'anima sente, ma siccome le sue forze non glielo permettono, rimane così sorpreso che, pur non perdendosi del tutto, non può muovere né mani né piedi, come si direbbe di una persona che fosse così svenuta da parerci morta.

Oh, segreti di Dio!... Non mi stancherei mai di parlarne, se pensassi di farne capire qualche cosa, disposta pure a dir mille spropositi pur di riuscirvi una volta sola, e procurare a Dio un maggior tributo di lodi.

5 - Ho detto che questa orazione non somiglia al sonno.

Nella mansione precedente, finché l'anima non ne abbia fatta una grandissima esperienza, rimane sempre con dubbio sui fenomeni subiti: se furono una sua illusione, se dormiva, se provennero da Dio o dal demonio trasformato in angelo di luce, e tanti altri timori: i quali del resto non è bene che manchino per il pericolo che qualche volta s'intrometta per davvero la nostra natura.

Se là le bestie velenose non hanno modo d'introdursi, vi possono penetrare certe lucertolette che per la loro sottigliezza si cacciano da per tutto: intendo parlare di quei piccoli pensieri provenienti dall'immaginazione e da quello che ho detto, i quali, benché non siano di danno - specialmente se si trascurano - spesso però infastidiscono.

Qui invece non possono entrare neppure le lucertolette più piccole, non essendovi immaginazione, memoria o intelletto capaci d'impedire un tanto bene.

Oso anzi affermare che se si tratta di vera unione con Dio, non vi può entrare a far danno nemmeno il demonio, perché allora Dio è unito all'essenza dell'anima, e il maligno non solo non ha ardire d'avvicinarsi, ma credo che di questi segreti non debba neppure intendersene.

La cosa è assai chiara. Se dicono che egli non conosce i nostri pensieri, a maggior ragione non deve conoscere questi segreti che Dio non confida neppure all'intelletto. Oh, stato felicissimo nel quale il maledetto non può fare alcun danno!

L'anima ne esce con grandissimi vantaggi, perché Dio opera in lei senza che alcuno vi metta ostacoli, neppure noi stessi. Che cosa allora non dovrà mai dare Chi tanto ama di dare, e può dare quanto vuole?

6 - Sembra che io v'ingeneri confusione. Ho detto se è unione di Dio, quasi che vi siano altre unioni. Altro se ve ne sono!...

Può darsi che in riguardo di certe vanità il demonio faccia uscire l'anima da se stessa per la grande passione con cui ella le ami, benché non nella stessa maniera né con gli stessi sentimenti di gioia, di soddisfazione, di diletto e di pace, di cui l'anima si sente ripiena quando l'operazione è da Dio.

I piaceri, le ebbrezze e le consolazioni della terra, nonché non essere paragonabili con i sentimenti che Dio produce, non hanno con essi alcuna relazione di origine, e ben diversa è l'impressione che ne risulta, come voi stesse avrete forse provato. Ho detto in altro luogo che è come se gli uni si sentano alla superficie del corpo e gli altri nel midollo delle ossa. Allora mi sono spiegata assai bene, ma ora meglio di così non so farlo.

7 - Però mi sembra che non siate ancora soddisfatte, e temiate di cadere in inganno.

Grande è la difficoltà che s'incontra nel discernimento di queste cose interiori.

Tuttavia, per coloro che ne hanno esperienza, può essere sufficiente quello che ho detto, nonostante che ben grande ne sia la differenza. Comunque, eccovi un segno evidente per non cadere in inganno ed accertarvi che l'operazione è di Dio.

Il Signore me l'ha riportato oggi alla memoria, e credo che sia sicuro. Nelle questioni più difficili, anche se mi pare di intenderle e di dire la verità, uso sempre questa espressione: Mi sembra; e ciò per far capire che se m'inganno, sono pronta a sottomettermi a coloro che ne san di più.

Costoro, benché di queste cose non abbiano esperienza, hanno però un certo senso che è loro proprio, e siccome Dio li destina a luce della sua Chiesa, quando si tratta di ammettere una verità li illumina Lui stesso.

Se non sono leggeri, ma veri servi di Dio, non solo non si scandalizzano di queste meraviglie, ma sono anzi persuasi che Dio ne possa fare assai di più; e se si tratta di fenomeni non ancora ben chiari, trovano modo di ammetterli studiando quelli che sono scritti.

8 - Di questo ho io grande esperienza, come l'ho di certi semi-dotti paurosi che mi costarono assai. Chi non crede che Dio sappia fare assai di più, e non ammette che possa essersi compiaciuto e possa tuttora compiacersi di comunicarsi talvolta con le sue creature, costui, secondo me, tien chiusa la porta a ogni divina effusione.

Voi, sorelle, guardatevene attentamente, credete sempre che Dio può fare assai di più, e non fermatevi mai ad esaminare se chi riceve queste grazie sia virtuoso o no. Il motivo lo sa il Signore: noi non dobbiamo intrometterci. Serviamo Iddio con umiltà c semplicità di cuore, lodandolo per queste sue opere meravigliose.

9 - Eccomi dunque al segno che io chiamo sicuro. Osservate quest'anima a cui Dio ha sospeso del tutto l'intelletto per meglio arricchirla della vera sapienza.

Per tutto il tempo che dura in questo stato - tempo sempre breve, e che all'anima sembra ancora più breve - ella non vede e non sente nulla.

Ma Dio s'imprime nel suo interno, e quando ella torna in sé, in nessun modo può dubitare che Dio sia stato in lei ed ella in Dio. Questa verità le rimane scolpita sì al vivo, da non poterne affatto dubitare né dimenticarla, neppure dopo molti anni, benché Dio non gliela rinnovi: senza poi dire degli altri effetti, sui quali tornerò più avanti.

In questa certezza sta appunto il segno che ho detto.

10 - Ma voi mi direte: Come si vede o s'intende che è Dio, se non si vede e non s'intende nulla?

Non dico che lo si veda allora, ma in seguito; e ciò non per visione, ma per una piena convinzione che rimane nell'anima e che non può essere che da Dio.

Conosco una persona che non sapeva che Dio si trova in ogni cosa per presenza, per potenza e per essenza. Ma lo intese chiaramente dopo un favore di questo genere ricevuto dal Signore.

Avendo interrogato uno di quei semidotti di cui ho parlato più sopra sul come Dio sia in noi, egli che ne sapeva quanto lei prima di questa illustrazione, le rispose che vi sta soltanto per la grazia; ma ella era talmente fissa nella verità, che non gli credette.

In seguito interrogò altre persone che le dissero la cosa come stava, e ne rimase molto consolata.

11 - Badate però di non cadere in errore pensando che questa certezza riguardi una forma corporale, come il corpo di nostro Signore Gesù Cristo presente invisibilmente nel santissimo Sacramento. Qui non vi è nulla di simile, perché non si tratta che della divinità.

Ma che certezza si può mai avere di una cosa che non si vede?

Io non lo so. Sono opere di Dio. Ma so di dire la verità. Se non vi fosse questa certezza, si avrebbe, secondo me, non già un'unione di tutta l'anima con Dio, ma soltanto di una sua potenza, oppure di un altro genere di grazie fra le molte che il Signore usa fare.

Dopo tutto, non è il caso d'indagare come questi fenomeni avvengano. A che tanto affaticarci quando la nostra intelligenza non li può comprendere?

Ci basti sapere che Chi li fa può fare ogni cosa. Sono operazioni di Dio, innanzi alle quali le nostre industrie sono nulla. Essendo incapaci di raggiungerle, guardiamoci pure dal volerle comprendere.

12 - A proposito di quest'impotenza, mi ricordo di ciò che dice la Sposa dei Cantici e che voi stesse avrete udito: Il Re mi ha condotta nella cella del vino, o piuttosto, come credo che dica: Mi ha introdotta. Insomma, non dice che vi sia andata da sé. Dice ancora che andava di qua e di là in cerca del suo Amato.

Ora, l'orazione di cui parlo è appunto la cella vinaria nella quale il Signore intende introdurci, ma quando e come vuol Lui.

Da noi, con i nostri sforzi, non vi possiamo entrare: bisogna che ci introduca Lui. Ed Egli lo fa quando entra nel centro dell'anima nostra. Qui, per meglio mostrare le sue meraviglie, vuole che altro non facciamo che assoggettargli la volontà, guardandoci bene dall'aprir le porte delle potenze e dei sensi che giacciono addormentati, perché intende entrare nel centro dell'anima senza passare per alcuna porta, come entrò dai suoi discepoli quando disse: Pax vobis, e come usci dal sepolcro senza smuovere la pietra.

Più avanti vorrà che l'anima lo goda nel centro di se stessa ben più intensamente che non qui; ma sarà nell'ultima mansione.

13 - Che grandi cose vedremo, figliuole mie, se cercheremo di non contemplare che la nostra miserabile bassezza, reputandoci indegne di essere le serve di questo eccelso Signore, le cui meraviglie ci sono affatto incomprensibili!...

Sia Egli per sempre benedetto: Amen.

Capitolo 2

Prosegue sul medesimo argomento, e dice con un grazioso paragone in che consiste l'orazione di unione, e quali gli effetti che lascia Capitolo degno di nota

1 - Vi parrà che di questa mansione vi abbia ormai detto ogni cosa; eppure mi rimane ancora molto, perché, come vi ho già fatto osservare, vi è il più e il meno.

Per ciò che riguarda l'unione, non credo di saperne dire di più, ma resta molto da parlare circa gli effetti che Dio produce nelle anime quando esse si dispongono a ricevere le sue grazie. Ne voglio dire qualche cosa, e nel contempo far conoscere lo stato in cui l'anima rimane.

Per farmi meglio capire, voglio servirmi di un paragone che trovo molto appropriato, per mezzo del quale vedremo che quantunque in questa operazione di Dio nell'anima noi non possiamo far nulla, tuttavia per ottenere che il Signore ce ne favorisca, possiamo far molto col disporci.

2 - Avrete già udito parlare delle meraviglie che Dio opera nella produzione della seta, invenzione di cui Egli solo poteva essere l'autore. Si tratta di piccoli semi, simili a granellini di pepe che io non ho mai veduto, ma di cui ho sentito parlare: perciò, se cado in qualche inesattezza la colpa non è mia.

A1 sopraggiungere dell'estate, quando i gelsi si coprono di foglie, questi semi cominciano a prender vita. Prima che spuntino quelle foglie di cui si devono nutrire, stanno là come morti; a poco a poco, con quell'alimento si sviluppano, finché, fatti più grandi, salgono sopra alcuni ramoscelli, ed ivi con la loro piccola bocca filano la seta che cavano dal loro interno, fabbricandosi certi bozzoli molto densi, nei quali ognuno di quegli insetti, che sono brutti e grossi, si rinchiude e muore. Ma poco dopo esce dal bozzolo una piccola farfalla bianca, molto graziosa.

Se questo fenomeno non cadesse sotto i nostri occhi, ma ci fosse raccontato come cosa di altri tempi, nessuno lo crederebbe. Infatti, come potremmo credere che un verme o un'ape, - esseri privi di ragione - siano tanto diligenti e industriosi nel lavorare per noi fino a rimetterci la vita come il povero bacolino nel suo lavoro?

Ecco un buon soggetto, sorelle, per intrattenervi a lungo in meditazione, senza null'altro aggiungere, bastando questo solo per farvi considerare le meraviglie e la sapienza del nostro Dio. Oh, se conoscessimo le proprietà delle cose! Come sarebbe vantaggioso meditare sopra queste meraviglie, compiacendoci di essere le spose da un Re così grande e sapiente!

3 - Tornando ora al nostro argomento, l'anima, di cui quel verme è l'immagine, comincia a prendere vita quando per il calore dello Spirito Santo, comincia a valersi dei soccorsi generali che Dio accorda a ognuno e a servirsi dei rimedi che Egli ha lasciato nella sua Chiesa, come le frequenti confessioni, le buone letture e le prediche: rimedi opportuni per l'anima che sia morta nel peccato e si trovi fra le occasioni cattive a causa della sua trascuratezza.

Ripreso a vivere con quei rimedi e pie meditazioni, vi si andrà pure sostentando finché sia cresciuta. E questo è il punto in cui la considero, poco curandomi di ciò che precede.

4 - Quando questo verme si è fatto grande - come abbiamo visto in principio di questo scritto - comincia à lavorare la seta e a fabbricarsi la casa nella quale dovrà morire.

Questa casa, come vorrei far intendere, è il nostro Signore Gesù Cristo. Mi pare di aver letto in qualche parte, o di aver udito, che la nostra vita è nascosta in Cristo, ovvero in Dio, che è poi lo stesso, oppure che Cristo è la nostra vita. Che il testo sia o non sia così, per il mio intento poco importa.

5 - Osservate qui, figliuole mie, quello che con l'aiuto di Dio possiamo fare: che Sua Maestà diventi nostra dimora fabbricata da noi stessi, come lo è in questa orazione di unione.

Dicendo che Dio è nostra dimora, e che questa dimora possiamo fabbricarcela da noi stessi per prendervi alloggio, sembra quasi che voglia dire di poter noi aggiungere o togliere a Dio qualche cosa.

E lo possiamo benissimo, ma non già aggiungendo o togliendo a Dio, bensì aggiungendo o togliendo a noi, come quei piccoli vermi, perché non avremo ancora ultimato quanto sarà in nostro potere che Egli verrà, e unendo alla sua grandezza la nostra lieve fatica, che è un nulla, le conferirà un valore così eccelso da meritare che Egli si costituisca in nostra stessa ricompensa.

Non contento di aver sostenute le spese maggiori, vorrà pure unire le nostre piccole pene alle molto grandi che Egli un giorno ha sofferto per non farne che una cosa sola.

6 - Orsù dunque, figliuole mie, mettetevi subito al lavoro!

Tessiamo questo piccolo bozzolo mediante lo spogliamento di ogni nostro amor proprio e volontà, distaccandoci da ogni cosa terrena e praticando opere di pedi orazione, di meditazione e di obbedienza, con resto che già sapete.

Oh, se mettessimo in pratica tutto quello che sappiamo e che ci hanno insegnato! E poi muoia, muoia pure questo verme, come il baco da seta dopo aver fatto il suo lavoro!

Allora ci accorgeremo di vedere Iddio e ci sentiremo sepolte nella sua grandezza, come il piccolo verme nel suo bozzolo. Dicendo che vedremo Iddio, dovete intendere nel modo con cui Egli si fa sentire in questa specie di unione.

7 - Passiamo ora a vedere come questo verme si trasformi, che è lo scopo di quanto finora vi ho detto.

Dico che quando il verme entra in questa orazione e vi rimane morto a tutte le cose del mondo, esce mutato in piccola farfalla bianca.

Oh, potenza di Dio! Oh, in che stato esce l'anima, dopo, essere rimasta nella grandezza di Dio e tanto a Lui unita come qui, sia pure per poco tempo, giacché, a mio parere, non si arriva mai a mezz'ora! In verità vi dico che essa non si riconosce più.

Pensate alla differenza fra un verme ributtante e una piccola farfalla bianca: così di lei.

L'anima ignora come abbia potuto meritare tanto bene, voglio dire che non sa di dove le sia venuto, perché conosce benissimo che a meritarlo non è da lei.

Si sente presa da un desiderio vivissimo di lodare Iddio, sino a bramare di distruggersi e di affrontare mille morti. Brame irresistibili di darsi a grandi sofferenze cominciano tosto ad occuparla senza che sappia liberarsene, e sospira con ardore di abbandonarsi alla penitenza, di stare in solitudine e di fare che tutti conoscano il suo Dio, sino a provare afflizione profonda nel vederlo offeso.

Nelle mansioni seguenti parlerò di questi effetti con particolari maggiori. Benché i fenomeni delle quinte mansioni siano quasi identici a quelli delle seguenti, tuttavia sono assai diversi quanto all'intensità degli effetti. Una anima che Dio ha condotto a questo punto, se si sforza di andare avanti, vedrà grandi meraviglie.

8 - Oh, lo spettacolo di questa piccola farfalla in continua agitazione! Eppure in tutta la sua vita non ha mai goduta tanta pace e soavità.

Vien proprio da lodare Iddio nel contemplarla così incapace a fermarsi e a riposare. No, dopo aver goduto di un tal bene, le cose della terra non la soddisfano più, specialmente se Dio l'abbia spesso inebriata di quel suo vino, dal quale si ricavano sempre nuovi vantaggi, quasi ogni volta.

Ormai non fa più conto di ciò che praticava quando era verme. Allora intesseva a poco a poco il suo bozzolo, ma ora le sono nate le ali; ed essendo capace di volare, perché contentarsi di andare ancora passo passo?

I suoi desideri sono immensi, e poco le sembra quanto possa fare per Iddio. Neppur più si meraviglia di ciò che i santi hanno fatto, perché sa per esperienza quanto il Signore aiuti, trasformando l'anima in modo tale da renderla irriconoscibile, quasi non sia più quella di prima.

La debolezza che le pareva di avere per non fare penitenza si è convertita in fortezza. E se precedentemente il suo attacco ai parenti, agli amici e ai beni terreni era tale che né i suoi atti interiori, né le sue decisioni, né la sua stessa volontà riuscivano ad infrangerlo, sembrandole anzi di attaccarvisi di più, ora invece si sente così libera da dispiacersi anche di quei rapporti che non può troncare senza offesa di Dio. Avendo sperimentato che il vero riposo non le può venire dalle creature, sente noia di tutto.

9 - Sembra che mi estenda troppo; eppure potrei dire assai di più. Chi ha ricevuto da Dio questa grazia, vedrà che non sono lunga.

Non è dunque da meravigliarsi se questa piccola farfalla, sentendosi straniera fra le cose della terra, cerchi di riposarsi in qualche altra parte. Ma dove andrà la poverina?

Tornare donde è uscita non può, giacché, come ho detto, non è cosa in suo potere, nonostante ogni suo possibile sforzo, finché Dio non si compiaccia di favorirla nuovamente. Che nuovi tormenti cominciano allora per lei! O Signore!...

E chi lo può credere dopo grazie così sublimi?

Sì, finché si vive, in un modo o in un altro si ha sempre da soffrire. Se qualcuno afferma di essere giunto a questo stato, sempre fra consolazioni e delizie, gli rispondo che non vi è giunto affatto o, per lo meno, che essendo entrato nella mansione precedente, vi ha goduto qualche rara consolazione, aiutata anche quella dalla sua naturale debolezza, per non dire forse dal demonio che gli abbia dato un po' di pace per muovergli in seguito una guerra più accanita.

10 - Non voglio dire con ciò che gli abitanti di questa mansione non abbiano la pace: l'hanno e molto grande, perchè le stesse sofferenze sono qui tanto preziose e di così eccellente radice che, nonostante la loro alta intensità, generano pace e contento.

Dal disgusto che ispirano le cose del mondo nasce nell'anima il desiderio di abbandonarlo; ed è un desiderio così penoso che la poverina, per aver un po' di sollievo, deve pensare essere volontà di Dio che viva in esilio.

Alle volte non basta neppur questo, perché l'anima, nonostante i suoi molti progressi, qui non è ancora così sottomessa al volere di Dio come lo sarà più avanti. Tuttavia non lascia di rassegnarsi, sia pure con pena e con abbondanza di lacrime, non potendo far altro perché di più non le è ancora concesso.

Sperimenta questa pena ogni qualvolta si mette in orazione, pena che in parte le deriva dal dolore vivissimo di vedere Iddio vilipeso e poco onorato dal mondo, e nel considerare il gran numero di eretici e di mori che van perduti, benché lo senta assai di più per la perdita dei cristiani.

Teme che molti sian quelli che si dannino, sebbene non ignori la grandezza della misericordia di Dio e sappia che quegli infelici possono sempre correggersi e salvarsi, nonostante la malvagità della loro vita.

11 - Oh, grandezza di Dio! Pochi anni, forse pochi giorni prima, quest'anima non pensava che a se stessa. Chi ora l'ha posta in sollecitudini così penose?

Noi non riusciremmo ad averne di sì intense neppure se vi consumassimo intorno molti anni di meditazione.

E che? Io dunque non potrei avere tali cure nemmeno impiegando giorni ed anni a meditare il gran male che è l'offesa di Dio, nel pensare che quanti si dannano sono suoi figli e miei fratelli, nel considerare i pericoli in cui ci troviamo e quanto ci sarebbe vantaggioso uscire una buona volta da questa miserabile vita?

No, figliuole! La pena che queste riflessioni producono non è come quella di cui parlo. Con l'aiuto di Dio, e indugiandoci molto nelle suddette riflessioni, possiamo pure averne, ma non mai così penetrante come l'altra, la quale sembra che stritoli e macini l'anima senza che essa vi contribuisca, né alle volte lo voglia.

Ma allora in che consiste? Donde viene? Ve lo voglio dire.

12 - Non vi ricordate di ciò che vi ho detto - sebbene non a questo proposito - in riguardo alla sposa che Dio ha introdotto nella cella vinaria, ordinando in lei la carità? E' quello che avviene qui.

L'abbandono con cui quest'anima si è rimessa nelle mani di Dio, unito al grande amore che ella gli porta, la rende così soggetta da non sapere né volere che una cosa: che Egli faccia di lei tutto quello che vuole.

Credo infatti che Dio non conceda mai questa grazia se non all'anima che già ritiene tutta sua. E così, senza che ella se ne accorga, fa in modo che esca da questo stato segnata con il suo sigillo. Del resto, qui l'anima non è più di una cera su cui s'imprima il sigillo.

La cera non s'imprime il sigillo da sé: essa non fa che tenersi pronta a riceverlo con la sua mollezza. Ma anche in questo non è essa che si modifica: ciò che essa fa è soltanto di stare immobile senza opporre resistenza.

Oh, bontà di Dio! Anche qui dev'esser tutto a vostre spese! L'unica cosa che chiedete è la nostra volontà: cioè, che la cera non opponga resistenza.

13 - Questo, dunque, sorelle, è quello che Dio fa per indurre l'anima a riconoscersi per sua. Le dà quello che ha, vale a dire, le stesse disposizioni avute in terra da suo Figlio: grazia veramente incomparabile. Chi più di suo Figlio ha desiderato di uscire da questa vita? Lo ha detto Lui stesso nella cena: Ho desiderato con desiderio Oh, Signore! E non pensavate alla morte che vi attendeva crudele, dolorosa e terribile?

- No, il grande amore e il desiderio che tutti gli uomini si salvassero, superavano di gran lunga quelle pene, senza poi dire che le ritenevo da nulla di fronte alle molte altre che poi ho patito, e che patisco tuttora da che sono nel mondo. -

14 - È proprio così, e l'ho meditato spesso. Pensando al dolore che ha sofferto e soffre un'anima di mia conoscenza - dolore così intollerabile che pur di non soffrirlo amerebbe meglio morire - mi domandavo: se così insopportabile è il tormento di un'anima la cui carità, dopo tutto, non è neppure paragonabile a quella di Cristo, che cosa avrà mai provato il Signore, e quale sarà mai stata la sua vita, avendo sempre innanzi ogni cosa e vedendo continuamente le gravi offese che si facevano al Padre suo?

Questo tormento dovette essere assai più grave di tutti quelli della sua sacratissima passione. Questa, se non altro, segnava la fine di ogni suo travaglio. E questo pensiero, unito alla consolazione di sapere che la sua morte sarebbe stata di nostro rimedio, e che con i suoi patimenti avrebbe dimostrato al Padre il grande amore che gli portava, doveva addolcire i suoi dolori.

Non è così che avviene anche fra noi? Quando uno si dà a grandi penitenze con alto impeto di amore, nemmeno quasi le sente.

Anzi, vorrebbe farne assai di più, e gli par tutto poca cosa...

Così nostro Signore in quell'occasione così propizia per dimostrare al Padre suo con quanta perfezione gli ubbidisse e quanto amasse noi uomini!

Oh, che gioia soffrire per fare la volontà di Dio! Ma vedere la Maestà di Dio continuamente offesa, e avvertire il gran numero di anime che si dannano, io lo credo così penoso che se nostro Signore fosse stato un semplice uomo, un giorno solo di questo tormento sarebbe bastato, a mio parere, per troncargli, non già una, ma molte vite.

Capitolo 3

Prosegue sul medesimo argomento, e parla di un'altra specie di unione, per raggiungere la quale giova molto l'amore del prossimo - Capitolo molto utile

1 - Torniamo ora alla nostra piccola colomba e vediamo qualche cosa di ciò che Dio le accorda in questo stato. Però - e bisogna esserne persuase - l'anima non deve mai lasciare d'avanzarsi nel servizio di Dio e nel proprio conoscimento, perché se si tiene paga di ricevere questa grazia e, credendosi sicura, vive trascurata, abbandonando la via del cielo, consistente nell'osservanza dei comandamenti, le avverrà come alla farfalla del baco, la quale getta il seme per dar vita ad altre farfalle, ma essa muore e rimane morta per sempre.

Dico che getta il seme, perché Dio vuole che grazie così grandi non siano date invano. Perciò, se quell'anima non se ne giova, fa in modo che se ne giovino gli altri.

Con i desideri e le virtù che le vengono dal perseverare nel bene, quell'anima comunica a varie altre il suo stesso calore. Anzi può rimanerle il desiderio di giovare al prossimo anche dopo aver perduto ogni calore, godendo di far conoscere le grazie che Dio accorda a chi lo ama e lo serve.

2 - Ciò è avvenuto a una persona di mia conoscenza. Nonostante il suo cattivo stato, godeva che altri si approfittassero delle grazie da lei avute, e si compiaceva d'insegnare il cammino dell'orazione a chi lo ignorava. In questo modo fece del gran bene, e il Signore le ritornò la sua luce.

È vero che non era ancora giunta ad avere gli effetti di cui parlo. Però, quanti son coloro che, chiamati da Dio all'apostolato, onorati come Giuda delle sue stesse comunicazioni ed elevati al regno come Saul, finiscono poi, per loro colpa, col perdersi!

Impariamo da ciò, sorelle mie, che il mezzo più sicuro per progredire in nuovi meriti e non mai perderci come questi infelici, è l'obbedienza, accompagnata dall'esatto adempimento della legge di Dio.

Parlo non solo alle anime che ricevono queste grazie, ma anche alle altre.

3 - Malgrado quello che ho detto, mi pare che questa mansione rimanga ancora molto buia. Tuttavia, siccome è di sommo interesse l'entrarvi, è bene non perderne la speranza, neppure se il Signore non comparta questi favori soprannaturali, perché con il suo aiuto la vera unione si può conseguire benissimo, sforzandosi di acquistarla col sottomettere la propria alla volontà di Dio.

Quanti dicono cosa, persuasi di non voler altro, e di essere anche disposti a sacrificare la vita! Se foste tali veramente, vi direi e non cesserei di ripetervi che questa grazia l'avete già. Di quell'altra unione accompagnata da delizie, non preoccupatevi affatto.

Il più prezioso di quella dipende tutto da questa, e non lo si può conseguire se non dopo essersi stabiliti nella sottomissione al volere di Dio. Oh, unione desiderabile che è mai questa!

Felice l'anima che l'ha raggiunta! Essa ha pace in questa e nell'altra vita, perché, a parte il pericolo di perdere Dio e il dolore di vederlo offeso, non vi è allora più nulla che la possa affliggere, non la povertà, non le malattie, neppure la morte, eccetto quella di coloro che nella Chiesa di Dio possono fare del bene, vedendo essa chiaramente che il Signore sa disporre le cose meglio di come ella le desideri.

4 - Dovete avvertire che non tutte le pene sono del medesimo genere. Alcune - come pure alcune gioie - sono un prodotto spontaneo della natura e della carità, come la compassione dei mali altrui, sofferta pure da nostro Signore quando risuscitò Lazzaro. Queste non solo non impediscono che l'anima stia unita alla volontà di Dio, e non la turbano con moti violenti afflittivi e di lunga durata, ma passano anche presto, e, come ho detto parlando delle delizie dell'orazione, lungi dal penetrare sino al fondo dell'anima, non toccano che i sensi e le potenze.

Il loro campo principale è nelle mansioni precedenti, mentre in quelle che dirò per ultimo non entrano neppure.

In questa specie di unione la sospensione delle potenze di cui ho fatto parola, non è necessaria. Il Signore è onnipotente: può arricchire le anime per molte vie, e farle arrivare a questa mansione senza la scorciatoia di cui ho parlato.

5 - Persuadetevi intanto, figliuole mie, che il verme deve assolutamente morire, e morire a nostre spese.

Nell'altra unione l'aiuta molto a morire la nuova vita che l'attende; ma qui bisogna che l'uccidiamo noi, pur continuando a vivere di questa vita. Ciò non si può fare se non a prezzo di grandi lotte; ma se ne avrà la ricompensa, e tanto grande quanto la vittoria.

Nessun dubbio che vi si possa giungere, purché l'unione con la volontà di Dio sia vera.

Questa è l'unione che io ho sempre desiderato e che non cesso mai di domandare a Dio, perché più evidente e più sicura.

6 - Oh, noi infelici! Come sono pochi quelli che la raggiungono!

Si crede di aver fatto tutto perché si è entrati in religione e si evita l'offesa di Dio! Ma, ohimé! restano ancora certi vermi che non si lasciano conoscere, finché, come quello che rose l'edera di Giona, non abbiano rovinata ogni virtù, quali l'amor proprio, la propria stima, i più piccoli giudizi temerari e certe mancanze di carità verso il prossimo che non si ama come noi stessi...

Se adempiamo i nostri doveri per forza, unicamente per non commettere peccato, siamo molto lontane dalle disposizioni necessarie per essere unite del tutto alla volontà di Dio!

7 - Secondo voi, figliuole mie, in che consiste questa divina volontà?

Nell'esser noi così perfette da formare una cosa sola col Figliuolo e col Padre, come Gesù Cristo ha domandato. Ma quanto ci manca per arrivare a questo punto!

Per me vi confesso che scrivendo queste cose, lo faccio con grandissima pena, perché vedo che per mia colpa ne sono ancora molto lontana. Per arrivarvi non è necessario che il Signore ci dia grandi consolazioni: basta quello che ci ha dato con l'aver mandato suo Figlio ad insegnarci la strada.

Non crediate però che la conformità alla volontà di Dio consista nel non sentire dispiacere se muore mio padre o mio fratello, oppure nel sopportare con gioia eventuali tribolazioni o infelicità.

Sarebbe buona cosa, ma alle volte potrebbe essere frutto di umana discrezione, in quanto che, vedendo che non v'è più rimedio, si fa di necessità virtù. Quanti atti di questo genere ed altri consimili seppero pur fare i filosofi con la loro sapienza!

Per noi la volontà di Dio non consiste che in due cose: nell'amore di Dio e nell'amore del prossimo. Qui devono convergere tutti i nostri sforzi.

E se lo faremo con perfezione, adempiremo la volontà di Dio e gli saremo unite. Ma quanto siamo lontane dall'osservare questi precetti nel modo che un tal Signore si merita! Piaccia a Dio di farci un giorno arrivare: cosa che del resto è in nostra mano, purché lo vogliamo!

8 - Il segno più sicuro per conoscere se pratichiamo questi due precetti è vedere con quale perfezione osserviamo quello che riguarda il prossimo.

Benché vi siano molti indizi per conoscere se amiamo Dio, tuttavia non possiamo esserne sicuri, mentre lo possiamo essere quanto all'amore del prossimo.

Anzi, più vi vedrete innanzi nell'amore del prossimo, più lo sarete anche nell'amore di Dio: statene sicure. Ci ama tanto Iddio, che in ricompensa dell'amore che avremo per il prossimo, farà crescere in noi, per via di mille espedienti, anche quello che nutriamo per Lui.

E di ciò non v'è dubbio.

9 - Di grande importanza per noi è osservare attentamente come su questo punto ci diportiamo,perché se vi mettiamo grande perfezione, tutto è fatto.

Ma per la miseria della nostra natura credo che non arriveremo mai ad avere perfetto amore del prossimo, se non lo faremo nascere dalla medesima radice dell'amore di Dio.

Perciò, sorelle mie, siccome l'affare è importantissimo, procuriamo di esaminare noi stesse fin nelle più piccole cose, senza far conto di certe idee che alle volte ci vengono in massa durante l'orazione, per le quali ci pare di esser pronte per amore del prossimo a intraprendere e a far cose molto grandi, anche per la salvezza di un'anima sola.

Se le nostre opere non vi corrispondono, non abbiamo motivo di crederci da tanto. Così si dica per ciò che riguarda l'umiltà e le altre virtù.

Le astuzie del demonio sono grandi. Per farci credere che possediamo una virtù, mentre non l'abbiamo, metterà in moto tutto l'inferno, e ne avrà ragione per il gran danno che ci può fare, perché queste virtù, derivando da tale radice, saranno sempre con qualche vanagloria, contrariamente a quelle di Dio, dalle quali esula con essa anche la superbia.

10 - Non posso a meno di ridere, alle volte, nel vedere quello che succede ad alcune anime. Quando sono in orazione, sembra loro di esser disposte per amor di Dio ad ogni umiliazione e pubblico scherno; ma poi, potendolo, nasconderebbero anche il più piccolo difetto!

Non parliamo se venissero accusate di una mancanza non commessa! Dio ce ne liberi!.. Ora, chi non può sopportare queste cose, si guardi bene dal far conto di ciò che in se stesso crede di stabilire, perché i suoi propositi non sono che un effetto di pura immaginazione, non un'efficace determinazione di volontà, nel qual caso la cosa sarebbe ben diversa.

È appunto per l'immaginazione che il demonio tende i suoi lacci e i suoi inganni. E a quelli che sono poco istruiti, come noi donne, ne può tendere moltissimi, perché non sappiamo distinguere la differenza che passa fra le potenze e l'immaginazione, né le molte altre cose che sono nel nostro interno.

Com'è facile, sorelle, distinguere fra voi chi ha il vero amore del prossimo da chi non lo possiede con tanta perfezione! Se comprendeste quanto importi tal virtù, non vi applichereste ad altro studio.

11 - Quando vedo delle anime tutte intente a rendersi conto dell'orazione che hanno, e così concentrate quando sono in essa da far pensare che rifuggano dal più piccolo movimento e dal divertire il pensiero per paura di perdere quel po' di gusto e di devozione che sentono, mi persuado che ancora non conoscono come si arrivi all'unione. Pensano che sia tutto nel far così.

No, sorella mia! Il Signore vuole opere. Vuole, ad esempio che non ti curi di perdere quella devozione per consolare un'ammalata a cui vedi di poter essere di sollievo, facendo tua la sua sofferenza, digiunando tu, se occorre, per dare a lei da mangiare; e ciò non tanto per lei, quanto perché sai che questa è la volontà di Dio.

Ecco in che consiste la vera unione con il volere di Dio!

Altrettanto se senti lodare una persona: devi rallegrarti di più che se quelle lodi fossero per te. E questo ti sarà facile, se avrai l'umiltà, nel qual caso le lodi sono piuttosto di pena. E ancora, godere che le virtù delle sorelle, siano conosciute, sentir pena di un loro difetto, come se fosse tuo, e cercare di coprirlo. Ma su questo punto mi sono già estesa in altro luogo.

12 - Sorelle, se in questo mancassimo, saremmo perdute! Piaccia a Dio che ciò non avvenga! Vi assicuro che facendo come ho detto, otterrete di arrivare a questa unione, mentre in caso contrario persuadetevi di non arrivarvi mai, nonostante che possiate avere devozione e delizie spirituali sino a credere d'esservi giunte, e andiate soggette, durante l'orazione di quiete, ad alcune piccole sospensioni, in base alle quali certe anime credono che tutto sia fatto.

Pregate il Signore che vi conceda l'amore del prossimo in tutta la sua perfezione e lasciate fare a Lui.

Se da parte vostra vi sforzerete e farete il possibile per procurarvelo; se costringerete la vostra volontà ad accondiscendere in tutte a quella delle sorelle, anche a scapito dei vostri diritti; se nonostante tutte le ripugnanze della natura, dimenticherete i vostri interessi per non attendere che ai loro, e, presentandosene l'occasione, prenderete su di voi ogni fatica per esentarne le altre, Egli vi darà più di quanto sappiate desiderare.

Non crediate che questo non vi debba costare, e che abbiate già fatto ogni cosa. Considerate quanto é costato al nostro Sposo l'amore che ha nutrito per noi: per liberarci dalla morte ha subito la morte più crudele, quella della croce.

Capitolo 4

Prosegue sul medesimo argomento e dichiara più ampiamente questa specie di orazione - Quanto importi camminare con attenzione, perché il demonio mette in opera ogni mezzo per far retrocedere le anime dalla via incominciata

1 - Mi pare che bramiate conoscere cosa faccia la colombina e dove vada a riposarsi, perché, sapendo ormai volare molto alto, non si ferma più né fra le dolcezze spirituali, né fra le soddisfazioni della terra.

Ma non posso appagare il vostro desiderio che all'ultima mansione; e anche allora piaccia a Dio che mi ricordi e abbia tempo di farlo. Sono già cinque mesi che ho cominciato questo lavoro; e siccome la mia testa non mi permette di rileggerlo, dev'essere un disordine completo, con alcune cose dette forse due volte. Ma dovendo servire per le mie sorelle, non me ne preoccupo.

2 - Vi voglio spiegare più chiaramente in che consista l'orazione di unione, servendomi di un paragone, conformemente al mio ingegno, e parleremo più a lungo di questa piccola farfalla, la quale, benché non sappia fermarsi né trovare in nulla il suo riposo, tuttavia non cessa di far del bene a sé e agli altri, nonostante ogni contraria apparenza.

3 - Avrete spesso sentito dire che Dio si sposa spiritualmente con le anime. Sia benedetta la sua misericordia per tanta umiliazione!...

Si tratta di un paragone grossolano; eppure non trovo nulla che faccia meglio intendere queste cose come il sacramento del matrimonio. Certo che la differenza è molto grande, perché nell'alleanza di cui parliamo non vi è nulla che non sia spirituale: quella corporea ne rimane molto lontana, e lontane le mille miglia dai gusti e dalle consolazioni spirituali che qui il Signore concede, sono pure le soddisfazioni di chi contrae matrimonio.

E' l'amore che si unisce all'amore, e si hanno operazioni così pure, delicate e soavi da non aver parole per esprimersi. Ma il Signore sa farle sentire benissimo.

4 - Benché l'unione non arrivi ancora ad essere fidanzamento spirituale, tuttavia vi succede come nel mondo, quando due devono fidanzarsi: si esamina se uno conviene all'altro e se desiderano di unirsi, poi si permette che si vedano, affinché ne siano entrambi soddisfatti.

Supponiamo nel caso nostro che il contratto sia già stipulato, che l'anima sia ben informata di quanto quell'unione le convenga, e sia decisa a sottomettersi in tutto alla volontà dello Sposo, non tralasciando nulla di quanto vedrà di suo gradimento.

Intanto il Signore, vedendo che l'anima è proprio in queste disposizioni, si dichiara contento di lei e, volendo farsi meglio conoscere, le concede la grazia di venire, come suol dirsi, a un incontro, per poi unirla a sé.

E tutto questo in brevissimo spazio di tempo, non essendovi di mezzo più alcun contratto, ma soltanto uno sguardo, mediante il quale l'anima vede - e in maniera molto misteriosa - chi sia lo Sposo che deve prendere, riportandone una tale conoscenza, quale non potrebbe acquistare neppure in mille anni con l'esercizio dei sensi e delle potenze.

Con quel semplice sguardo lo Sposo, essendo Quegli che è, fa l'anima più degna di andare a dargli la mano, mentre l'anima ne rimane talmente rapita da far poi tutto il possibile per realizzare il fidanzamento.

Ma se invece si trascura sino a porre le sue affezioni sopra altro oggetto che non sia Lui, perde ogni cosa, e con perdita tanto più grave quanto più eccelse sono le grazie che Egli le terrebbe riserbate: insomma, una perdita da non potersi descrivere.

5 - Anime cristiane che Dio ha condotto fin qui, vi prego per amor suo di non mai trascurarvi e di fuggire le occasioni, perché qui l'anima non è ancora così forte da saperle affrontare come dopo il fidanzamento, che ha luogo nella mansione seguente. L'incontro con lo Sposo qui è soltanto con uno sguardo; e il demonio mette in moto ogni cosa per combattere l'anima e impedirle di fidanzarsi. Dopo invece, vedendola tutta dello Sposo, va più a rilento e ne ha paura, conoscendo per esperienza che se qualche volta l'assale, egli ne rimane con gran perdita, ed ella con maggior vantaggio.

6 - Eppure ho conosciuto alcune persone molto avanzate che dopo esser giunte sin qui, il demonio è riuscito a far sue, mediante insidie ed astuzie sottili. Credo che, pur di riuscirvi, debba mobilitare tutto l'inferno, essendo persuaso che rovinare un'anima sola di queste è rovinarne una moltitudine.

V'è da ringraziare il Signore nel considerare il gran numero di anime che Dio attira a sé mediante il concorso di una sola. Quante migliaia ne han convertite i martiri! Quante una donzella come S. Orsola! Quante ne ha rapite al demonio un S. Domenico, un S. Francesco ed altri fondatori di Ordini! e quante gliene rapisce tuttora il P. Ignazio, fondatore della Compagnia!

Se è vero che essi ricevevano da Dio queste grazie, come appare dalla lettura della loro vita, è pur vero che, se giunsero a tanto, fu solo perché si sforzarono di non andar privi, per loro colpa, di un sì divino fidanzamento.

Ah, figliuole mie, il Signore è disposto a darci grazie non meno oggi che allora. Anzi, sembra quasi che oggi abbia maggior bisogno che si ricevano, perché pochi sono coloro che zelano, come allora, la sua gloria. Ma è che amiamo troppo noi stesse!

Siamo troppo attente a non perdere i nostri diritti ! Oh che grande inganno!...

Ci dia luce il Signore nella sua infinita misericordia, per non cadere fra tante tenebre!...

7 - Mi potreste esporre od opporre due difficoltà. Primo: se l'anima è così conforme al volere di Dio, come si è detto, e non vuol fare in nulla la propria volontà, come può cadere in inganno?

Secondo: per quali vie il demonio può introdursi in voi e rovinarvi in maniera tanto pericolosa se siete lontane dal mondo, frequentate tanto i sacramenti, senza poi dire che qui vivete in compagnia di angeli, giacché, per bontà di Dio, ognuna di voi non desidera che di servire e piacere in tutto al Signore? Che ciò accada a chi vive fra i pericoli del mondo, nessuna meraviglia!

Vi rispondo che avete ragione e che in questo il Signore ci ha fatto una grande grazia. Tuttavia, quando penso che Giuda viveva con gli apostoli e conversava con lo stesso Dio di cui udiva le parole, comprendo che non ci può essere sicurezza neppure nel nostro stato.

8 - Rispondendo ora alla prima difficoltà, dico che quest'anima non si perderebbe se si tenesse continuamente unita alla volontà di Dio. Ma viene il demonio con le sue grandi astuzie, e sotto colore di bene la distacca a poco a poco da quella divina volontà in certe piccole cosette, ingannandola in varie altre col farle credere che non siano cattive.

Le offusca l'intelligenza, le raffredda la volontà, le fa crescere l'amor proprio; e così, da una in altra cosa, la vien separando dal volere di Dio ed accostando al suo proprio.

Con questo rimane sciolta anche la seconda difficoltà, perché non vi è clausura tanto stretta che al demonio possa essere inaccessibile, né deserto così sperduto che egli non sappia rintracciare.

Però vi faccio osservare quest'altra cosa: il Signore potrebbe permettere tutto questo per vedere come si diporti quell'anima di cui vorrebbe servirsi per illuminare le altre, perché se ella ha da essere infedele, è meglio che lo sia subito, piuttosto di divenirlo quando può far danno a molte altre.

9 - Ecco il rimedio che mi sembra più efficace. Presupposto che si preghi continuamente per chiedere a Dio che ci sostenga con la sua mano, pensando spesso che se Egli ci abbandona, cadiamo subito e indubbiamente nell'abisso; presupposto di non mai commettere la pazzia di confidare in noi stesse, dobbiamo esaminare con particolare cura ed attenzione come ci esercitiamo nella virtù, se progrediamo o torniamo indietro, specialmente in ciò che riguarda l'amore vicendevole, il desiderio di essere tenute le ultime di tutte, e così pure come disimpegniamo le cose ordinarie.

Esaminandoci seriamente e pregando il Signore a illuminarci vedremo subito dove guadagniamo e dove invece perdiamo.

Non dovete credere che Dio, dopo avere elevato una anima tanto in alto, l'abbandoni poi sì facilmente che il demonio, per ciò ottenere, non debba molto faticare. Anzi, gli dispiace tanto la sua perdita che non cessa d'inviarle molti avvisi interiori: per cui il pericolo che corre non le può essere nascosto.

10 - Insomma, procuriamo di andar sempre innanzi e temiamo molto se non facciamo progressi, perché vuol dire che il demonio sta meditando qualche assalto. Non avanzare è un segno molto cattivo, perché l'amore non è mai ozioso: è impossibile che un'anima giunta tanto in alto cessi di andare innanzi.

Se aspira a diventare sposa di Dio, con il quale è già venuta ai primi accordi, non deve certo dormire.

Intanto, figliuole mie, per mostrarvi come il Signore tratta le anime che già considera sue spose, entriamo a parlare delle seste mansioni, e vedrete come sia insufficiente per disporci a tali grazie, non solo il poco che facciamo, ma neppure il molto che potremmo fare e soffrire.

Ben può essere che il Signore abbia disposto che mi ordinassero di scrivere queste cose, affinché, fissati gli sguardi sul premio, e vedendo quanto sia infinita la sua misericordia nel manifestarsi e comunicarsi con dei vermi come noi, dimentichiamo le nostre piccole soddisfazioni terrene, e corriamo infiammate dal suo amore, occupate soltanto della sua grandezza.

11 - Piaccia a Dio che di un argomento così difficile sappia almeno dire qualche cosa! Certo che se Egli e lo Spirito Santo non muovono la mia penna, ne sarò affatto incapace.

Ma nel caso che questo scritto non vi debba essere di profitto, prego il Signore di non permettermi di dir parola, non avendo io altro di mira - come Egli conosce e io ne posso giudicare - che di dar gloria al suo nome e ottenere che ci sforziamo di servirlo, dato che tanto ricompensa fin da questa terra, dove le sue grazie ci fanno intravvedere quanto ci darà un giorno nel cielo senza le interruzioni, i travagli e i pericoli che s'incontrano in questo mare tempestoso. Sarebbe un gran conforto poter vivere e lavorare sino alla fine del mondo per la gloria di un Dio così grande, nostro Sposo e Padrone! Ma vi è il pericolo di offenderlo e di finire col perderlo!...

Piaccia al Signore che meritiamo di rendergli almeno qualche servizio, scevro di quelle imperfezioni che sempre ci accompagnano, anche nelle buone opere! Amen.


16-30 Novembre 15, 1923 I beni che contiene la Divina Volontà stanno sospesi. Festa del Divin Volere. Compito della Regina del Cielo e compito della piccola figlia del Divin Volere. Come era necessario prima la Redenzione.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) Mi sentivo come inabissata nel Santo Voler di Dio, ed il mio dolce Gesù, mi sembrava che nel mio interno si dilettava molto nel mandarmi luce, ed io mi sentivo come eclissata in quella luce. La mia mente me la sentivo tanto riempire che non potevo contenerla, tanto che ho detto: “Gesù, cuor mio, non sai che sono piccola? Non posso contenere ciò che Tu vuoi mettere nella mia intelligenza”.

(2) E Gesù: “Piccola figlia mia, non temere, il tuo Gesù te la farà bere a sorsi a sorsi questa luce, affinché possa riceverla e capirla. Sai tu che significa questa luce? E’ la luce della mia Volontà, è quella Volontà Divina respinta dalle altre creature, che volendo venire a regnare sulla terra vuol trovare chi la riceva, chi la comprenda, chi l’ami. Per venire a regnare vuol trovare un’anima piccola che si offra a ricevere tutti quegli atti che la Suprema Volontà aveva destinato per ciascuna creatura, per renderle felici e sante, e per darle quei beni che Essa contiene. Ora, questa felicità, santità e beni che l’Eterna Volontà usci fuori per comunicarli alla creatura, come usci fuori la Creazione tutta, stanno usciti e sospesi, e se non trova chi li riceva, per dargli tutti quegli omaggi, onori, corteggi, che le altre creature non gli hanno dato, non può venire a regnare sulla terra. Quindi, il tuo compito è di abbracciare tutte le generazioni per ricevere tutti gli atti della Suprema Volontà che esse respinsero, con tutti i beni che Essa contiene; se ciò non fai, il mio Eterno Volere non si può mettere in festa per venire a regnare, avrà le lacrime del dolore passato, come ingratamente fu respinto, e chi piange non regna, perciò vuole che gli atti del suo Volere destinati per ciascuna creatura, abbiano una riparazione, non solo, ma con amore vuol ricevere la sua felicità e ciò che essa contiene”.

(3) Ed io: “Gesù, amor mio, come posso fare ciò? Sono troppo piccina e anche cattivella, e Tu lo sai, anzi temo che non possa farlo neppure per me stessa, come potrò farlo per gli altri? ”.

(4) E Lui di nuovo: “Appunto per questo ti ho scelto e ti conservo piccina, per fare che nulla faccia da te sola, ma sempre insieme con Me. Lo so anch’Io, che come piccola non sei buona a nulla, al più a farmi sorridere con le tue piccinerie, perciò il tuo Gesù ci penserà a tutto. Questo è necessario, come fu necessario per venire a compire la Redenzione, che una nostra piccola figlia, quale fu la mia Mamma, Essa prese per suo compito di ricevere in Lei tutti gli atti della nostra Volontà respinti dalle creature, li fece suoi, li accolse con decoro, li amò, li riparò, li contraccambiò tanto da riempire tutti i loro confini, per quanto a creatura è possibile. Onde la Divinità, quando vide in questa piccola la sua Volontà reintegrata per la Creazione, non solo per Sé ma per tutti gli altri, si sentì tanto attirata, che ai tanti suoi atti di Volontà per la Creazione, emise l’atto più grande, più sublime, più prodigioso: che questa piccola fosse Colei che doveva essere innalzata alla sola e unica dignità di Madre del suo stesso Creatore. Mai Io, Verbo Eterno, potevo scendere dal Cielo se non trovasse in Lei la mia Volontà reintegrata, qual da Noi era voluto che esistesse nella creatura. Quale fu dunque la causa che mi fece venire sulla terra? La mia Volontà esistente in una piccola creatura. Che importava a Me che fosse piccola, quello che m’interessava, che la mia Volontà fosse salva in Lei, senza nessuna rottura da parte della sua volontà umana; salvata la nostra, tutti i nostri diritti erano restituiti, la creatura si metteva in ordine al suo Creatore, ed il Creatore si metteva in ordine alla creatura. Lo scopo della Creazione era già realizzato, quindi, venimmo ai fatti, che il Verbo si facesse carne, prima per redimere l’uomo, e poi, che la nostra Volontà si facesse come in Cielo così in terra. Ah! sì, fu la mia Mamma che prendendo in Sé tutta la nostra Volontà uscita per bene della Creazione, frecciò la Divinità con frecce divine, in modo che ferito dalle nostre stesse frecce, come calamita potente tirò il Verbo nel suo seno. Nulla sappiamo negare a chi possiede la nostra Volontà; vedi dunque la necessità che per dare compimento a quel Fiat che venni a portare sulla terra, che solo dalla mia Mamma fu accolto e compreso e per questo non ci fu divisione tra Me e Lei, voglio un’altra creatura che si offra a ricevere in sé tutti gli atti della mia Volontà che uscii nella Creazione, la Divinità vuol essere ferita di nuovo coi suoi stessi dardi, per dare alle generazioni questo gran bene, che la mia Volontà vi regni; essendo la cosa più grande che vuol dare, cioè la vera origine dell’uomo, non basta una volontà umana ad impetrarla, molto meno a ferirla, ma ci vuole una Volontà Divina con cui l’anima, riempiendosi, ferisca il suo Creatore con le sue stesse frecce, onde ferito apra i Cieli e faccia scendere il suo Volere sulla terra, molto più che troverà il suo nobile corteggio, tutti gli atti della sua Volontà schierati nella creatura che gli ha strappato l’atto solenne, che la sua Volontà venisse a regnare sulla terra col suo completo trionfo”.

(5) Ond’io, nel sentir ciò gli ho detto: “Mio amato bene, il tuo parlare mi confonde, anzi mi annienta tanto che mi sento una piccola neonata, che non avendo formato bene le membra, è necessario fasciarla, e mentre sono necessarie le fasce per formarmi, Tu vuoi sfasciarmi, ma per fare che? Per farmi stendere le mie infantili manine e farmi abbracciare la tua Eterna Volontà. Mio Gesù, non vedi? Non arrivo, non posso stringerla, sono troppo piccina, e poi, se tanto a Te piace che il tuo Volere regni sulla terra, perché hai aspettato tanto tempo, e perché Tu stesso quando venisti sulla terra non facesti l’uno e l’altro, cioè la Redenzione ed il Fiat Voluntas tua come in Cielo così in terra? Tu avevi le braccia forti e lunghe per abbracciare la tua interminabile Volontà; vedi, vedi oh! Gesù, le mie sono deboli, corte, come posso far ciò? ” E Lui di nuovo:

(6) “Povera bimba, hai ragione, il mio parlare ti confonde, la luce della mia Volontà ti eclissa e ti rende la vera neonata della Suprema Volontà; vieni fra le mie braccia, ti fascerò con le fasce della mia stessa Volontà, affinché raffermi le tue membra con la sua fortezza, così ti riuscirà facile stringere nelle tue piccole braccia quell’Eterno Volere che con tanto amore vuol venire a regnare in te”.

(7) Onde io mi son gettata nelle sua braccia, per farmi fare ciò che Gesù voleva; e poi di nuovo ha soggiunto:

(8) “Potevo benissimo fare Io l’uno e l’altro quando venni sulla terra, ma la creatura non è capace di ricevere tutto insieme l’operato del suo Creatore, ed Io stesso mi compiaccio di dare sempre nuove sorprese d’amore; e poi la creatura aveva profanato il suo gusto con la sua volontà, aveva appestato l’alito dell’anima sua con tante brutture da farmi schifo; era giunta a tanto che prendeva gusto delle cose più ributtanti, fino a farle scorrere sulle tre potenze dell’anima un liquido marcioso, da non più riconoscersi la sua nobiltà; quindi, dovevo prima con la mia Redenzione pensare a tutto questo, darle tutti i rimedi, a questi mali dargli il bagno del mio sangue per lavarli; se Io avessi voluto fare l’uno e l’altro, essendo l’uomo molto insozzato, cieco e sordo, quale lo aveva reso l’umano volere, non avrebbe avuto l’occhio dell’intelligenza per comprendere, orecchie per ascoltare, cuore per riceverla, e la mia Volontà non compresa, né trovando posto dove dimorare, avrebbe fatto di nuovo la sua voltata per il Cielo, perciò era necessario che prima comprendesse i beni della Redenzione per disporsi a comprendere il bene del Fiat Voluntas tua come in Cielo così in terra, e questo sarebbe successo anche per te se al principio, quando incominciai a parlarti, ti avessi parlato della mia Volontà, tu non mi avresti capito, avrei fatto come un maestro che invece d’insegnare al discepolo le prime lettere dell’alfabeto, vuole insegnare le scienze, le lingue straniere, povero ragazzo, si confonderebbe e non imparerebbe mai nulla, invece volli parlarti del patire, delle virtù, cose più adatte, più palpabili all’umana natura, che si possono chiamare l’alfabeto della vita cristiana, il linguaggio dell’esilio e di quelli che aspirano alla patria celeste. Invece la mia Volontà è il linguaggio del Cielo, e principia dove le altre scienze e virtù finiscono; Essa è Regina che domina tutto ed incorona tutti, in modo che innanzi alla Santità della mia Volontà, tutte le altre virtù s’impiccoliscono e tremano, ecco perciò volli prima farti da maestro di alfabeto, per disporre la tua intelligenza, per poi passare a farti da maestro celeste e divino, che solo se ne intende del linguaggio della patria e della scienza più alta che contiene la mia Volontà, dovevo prima toglierti il gusto di tutto, perché la volontà umana tiene questo veleno, che fa perdere il gusto della Volontà Divina. In tutte le cose create, essendo uscite da Me, Io ci avevo messo un gusto divino, e l’anima col fare la sua volontà, anche nelle cose sante, non trova questo gusto, ed Io per farti gustare la sola mia Volontà sto attento a non farti gustare nulla, affinché possa disporti a darti lezioni più sublimi della mia Volontà. Se ciò era necessario per te, molto più per tutta la Chiesa, che dovevo farle conoscere prima le cose inferiori, e poi la più superiore di tutte, qual’è la mia Volontà”.