Liturgia delle Ore - Letture
Lunedi della 12° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Luca 11
1Un giorno Gesù si trovava in un luogo a pregare e quando ebbe finito uno dei discepoli gli disse: "Signore, insegnaci a pregare, come anche Giovanni ha insegnato ai suoi discepoli".2Ed egli disse loro: "Quando pregate, dite:
Padre, sia santificato il tuo nome,
venga il tuo regno;
3dacci ogni giorno il nostro pane quotidiano,
4e perdonaci i nostri peccati,
perché anche noi perdoniamo ad ogni nostro debitore,
e non ci indurre in tentazione".
5Poi aggiunse: "Se uno di voi ha un amico e va da lui a mezzanotte a dirgli: Amico, prestami tre pani,6perché è giunto da me un amico da un viaggio e non ho nulla da mettergli davanti;7e se quegli dall'interno gli risponde: Non m'importunare, la porta è già chiusa e i miei bambini sono a letto con me, non posso alzarmi per darteli;8vi dico che, se anche non si alzerà a darglieli per amicizia, si alzerà a dargliene quanti gliene occorrono almeno per la sua insistenza.
9Ebbene io vi dico: Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto.10Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, e a chi bussa sarà aperto.11Quale padre tra voi, se il figlio gli chiede un pane, gli darà una pietra? O se gli chiede un pesce, gli darà al posto del pesce una serpe?12O se gli chiede un uovo, gli darà uno scorpione?13Se dunque voi, che siete cattivi, sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro celeste darà lo Spirito Santo a coloro che glielo chiedono!".
14Gesù stava scacciando un demonio che era muto. Uscito il demonio, il muto cominciò a parlare e le folle rimasero meravigliate.15Ma alcuni dissero: "È in nome di Beelzebùl, capo dei demòni, che egli scaccia i demòni".16Altri poi, per metterlo alla prova, gli domandavano un segno dal cielo.17Egli, conoscendo i loro pensieri, disse: "Ogni regno diviso in se stesso va in rovina e una casa cade sull'altra.18Ora, se anche satana è diviso in se stesso, come potrà stare in piedi il suo regno? Voi dite che io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl.19Ma se io scaccio i demòni in nome di Beelzebùl, i vostri discepoli in nome di chi li scacciano? Perciò essi stessi saranno i vostri giudici.20Se invece io scaccio i demòni con il dito di Dio, è dunque giunto a voi il regno di Dio.
21Quando un uomo forte, bene armato, fa la guardia al suo palazzo, tutti i suoi beni stanno al sicuro.22Ma se arriva uno più forte di lui e lo vince, gli strappa via l'armatura nella quale confidava e ne distribuisce il bottino.
23Chi non è con me, è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde.
24Quando lo spirito immondo esce dall'uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito.25Venuto, la trova spazzata e adorna.26Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell'uomo diventa peggiore della prima".
27Mentre diceva questo, una donna alzò la voce di mezzo alla folla e disse: "Beato il ventre che ti ha portato e il seno da cui hai preso il latte!".28Ma egli disse: "Beati piuttosto coloro che ascoltano la parola di Dio e la osservano!".
29Mentre le folle si accalcavano, Gesù cominciò a dire: "Questa generazione è una generazione malvagia; essa cerca un segno, ma non le sarà dato nessun segno fuorché il segno di Giona.30Poiché come Giona fu un segno per quelli di Nìnive, così anche il Figlio dell'uomo lo sarà per questa generazione.31La regina del sud sorgerà nel giudizio insieme con gli uomini di questa generazione e li condannerà; perché essa venne dalle estremità della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, ben più di Salomone c'è qui.32Quelli di Nìnive sorgeranno nel giudizio insieme con questa generazione e la condanneranno; perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, ben più di Giona c'è qui.
33Nessuno accende una lucerna e la mette in luogo nascosto o sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché quanti entrano vedano la luce.34La lucerna del tuo corpo è l'occhio. Se il tuo occhio è sano, anche il tuo corpo è tutto nella luce; ma se è malato, anche il tuo corpo è nelle tenebre.35Bada dunque che la luce che è in te non sia tenebra.36Se il tuo corpo è tutto luminoso senza avere alcuna parte nelle tenebre, tutto sarà luminoso, come quando la lucerna ti illumina con il suo bagliore".
37Dopo che ebbe finito di parlare, un fariseo lo invitò a pranzo. Egli entrò e si mise a tavola.38Il fariseo si meravigliò che non avesse fatto le abluzioni prima del pranzo.39Allora il Signore gli disse: "Voi farisei purificate l'esterno della coppa e del piatto, ma il vostro interno è pieno di rapina e di iniquità.40Stolti! Colui che ha fatto l'esterno non ha forse fatto anche l'interno?41Piuttosto date in elemosina quel che c'è dentro, ed ecco, tutto per voi sarà mondo.42Ma guai a voi, farisei, che pagate la decima della menta, della ruta e di ogni erbaggio, e poi trasgredite la giustizia e l'amore di Dio. Queste cose bisognava curare senza trascurare le altre.43Guai a voi, farisei, che avete cari i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze.44Guai a voi perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo".
45Uno dei dottori della legge intervenne: "Maestro, dicendo questo, offendi anche noi".46Egli rispose: "Guai anche a voi, dottori della legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!47Guai a voi, che costruite i sepolcri dei profeti, e i vostri padri li hanno uccisi.48Così voi date testimonianza e approvazione alle opere dei vostri padri: essi li uccisero e voi costruite loro i sepolcri.49Per questo la sapienza di Dio ha detto: Manderò a loro profeti e apostoli ed essi li uccideranno e perseguiteranno;50perché sia chiesto conto a questa generazione del sangue di tutti i profeti, versato fin dall'inizio del mondo,51dal sangue di Abele fino al sangue di Zaccaria, che fu ucciso tra l'altare e il santuario. Sì, vi dico, ne sarà chiesto conto a questa generazione.52Guai a voi, dottori della legge, che avete tolto la chiave della scienza. Voi non siete entrati, e a quelli che volevano entrare l'avete impedito".
53Quando fu uscito di là, gli scribi e i farisei cominciarono a trattarlo ostilmente e a farlo parlare su molti argomenti,54tendendogli insidie, per sorprenderlo in qualche parola uscita dalla sua stessa bocca.
Primo libro dei Re 22
1Trascorsero tre anni senza guerra fra Aram e Israele.2Nel terzo anno Giòsafat re di Giuda fece visita al re di Israele.3Ora il re di Israele aveva detto ai suoi ufficiali: "Non sapete che Ramot di Gàlaad è nostra? Eppure noi ce ne stiamo inerti, senza riprenderla dalle mani di Aram".4Disse a Giòsafat: "Verresti con me a combattere per Ramot di Gàlaad?". Giòsafat rispose al re di Israele: "Conta su di me come su te stesso, sul mio popolo come sul tuo, sui miei cavalli come sui tuoi".
5Giòsafat disse al re di Israele: "Consulta oggi stesso la parola del Signore".6Il re di Israele radunò i profeti, in numero di circa quattrocento, e domandò loro: "Devo muovere contro Ramot di Gàlaad oppure devo rinunziarvi?". Risposero: "Attaccala; il Signore la metterà nelle mani del re".7Giòsafat disse: "Non c'è più nessun altro profeta del Signore da consultare?".8Il re di Israele rispose a Giòsafat: "Ci sarebbe ancora un uomo, attraverso il quale si potrebbe consultare il Signore, ma io lo detesto perché non mi predice altro che male, mai qualcosa di buono. Si tratta di Michea, figlio di Imla". Giòsafat disse: "Il re non parli così!".9Il re di Israele, chiamato un eunuco, gli ordinò: "Convoca subito Michea, figlio di Imla".
10Il re di Israele e Giòsafat re di Giuda sedevano ognuno sul suo trono, vestiti dei loro mantelli, nell'aia di fronte alla porta di Samaria; tutti i profeti predicevano davanti a loro.11Sedecìa, figlio di Chenaana, che si era fatte corna di ferro, affermava: "Dice il Signore: Con queste cozzerai contro gli Aramei fino al loro sterminio".12Tutti i profeti predicevano allo stesso modo: "Assali Ramot di Gàlaad, riuscirai. Il Signore la metterà nelle mani del re".
13Il messaggero, che era andato a chiamare Michea, gli disse: "Ecco, le parole dei profeti sono concordi nel predire il successo del re; ora la tua parola sia identica alla loro; preannunzia il successo".14Michea rispose: "Per la vita del Signore, comunicherò quanto il Signore mi dirà".15Si presentò al re che gli domandò: "Michea, dobbiamo muovere contro Ramot di Gàlaad oppure dobbiamo rinunziarvi?". Gli rispose: "Attaccala, riuscirai; il Signore la metterà nelle mani del re".16Il re gli disse: "Quante volte ti devo scongiurare di non dirmi se non la verità nel nome del Signore?".17Quegli disse:
"Vedo tutti gli Israeliti
vagare sui monti
come pecore senza pastore.
Il Signore dice: Non hanno padroni; ognuno torni a casa in pace".
18Il re di Israele disse a Giòsafat: "Non te l'avevo forse detto che non mi avrebbe profetizzato nulla di buono, ma solo il male?".19Michea disse: "Per questo, ascolta la parola del Signore. Io ho visto il Signore seduto sul trono; tutto l'esercito del cielo gli stava intorno, a destra e a sinistra.20Il Signore ha domandato: Chi ingannerà Acab perché muova contro Ramot di Gàlaad e vi perisca? Chi ha risposto in un modo e chi in un altro.21Si è fatto avanti uno spirito che - postosi davanti al Signore - ha detto: Lo ingannerò io. Il Signore gli ha domandato: Come?22Ha risposto: Andrò e diventerò spirito di menzogna sulla bocca di tutti i suoi profeti. Quegli ha detto: Lo ingannerai senz'altro; ci riuscirai; va' e fa' così.23Ecco, dunque, il Signore ha messo uno spirito di menzogna sulla bocca di tutti questi tuoi profeti; ma il Signore a tuo riguardo preannunzia una sciagura".
24Allora Sedecìa, figlio di Chenaana, si avvicinò e percosse Michea sulla guancia dicendo: "Per quale via lo spirito del Signore è passato quando è uscito da me per parlare a te?".25Michea rispose: "Ecco, lo vedrai quando passerai di stanza in stanza per nasconderti".26Il re di Israele disse: "Prendi Michea e conducilo da Amon governatore della città e da Ioas figlio del re.27Dirai loro: Il re ordina: Mettetelo in prigione e mantenetelo con il minimo indispensabile di pane e di acqua finché tornerò sano e salvo".28Michea disse: "Se tornerai in pace, il Signore non ha parlato per mio mezzo".
29Il re di Israele marciò, insieme con Giòsafat re di Giuda, contro Ramot di Gàlaad.30Il re di Israele disse a Giòsafat: "Io per combattere mi travestirò: tu resta con i tuoi abiti". Il re di Israele si travestì ed entrò in battaglia.31Il re di Aram aveva ordinato ai capi dei suoi carri - erano trentadue -: "Non combattete contro nessuno, piccolo o grande, se non contro il re di Israele".32Appena videro Giòsafat, i capi dei carri dissero: "Certo, questi è il re di Israele". Si volsero contro di lui per investirlo. Giòsafat lanciò un grido33e allora i capi dei carri si accorsero che egli non era il re di Israele e si allontanarono da lui.
34Ma un uomo tese a caso l'arco e colpì il re di Israele fra le maglie dell'armatura e la corazza. Il re disse al suo cocchiere: "Gira, portami fuori della mischia, perché sono ferito".35La battaglia infuriò per tutto quel giorno; il re se ne stava sul suo carro di fronte agli Aramei. Alla sera morì; il sangue della sua ferita era colato sul fondo del carro.36Al tramonto un grido si diffuse per l'accampamento: "Ognuno alla sua città e ognuno alla sua tenda!37Il re è morto!". Lo portarono in Samaria e là lo seppellirono.38Il carro fu lavato nella piscina di Samaria dove si lavavano le prostitute e i cani leccarono il suo sangue, secondo la parola pronunziata dal Signore.
39Le altre gesta di Acab, tutte le sue azioni, la costruzione della casa d'avorio e delle città da lui erette, sono descritte nel libro delle Cronache dei re di Israele.40Acab si addormentò con i suoi padri. Al suo posto divenne re suo figlio Acazia.
41Giòsafat figlio di Asa divenne re su Giuda l'anno quarto di Acab, re di Israele.42Quando divenne re, Giòsafat aveva trentacinque anni; regnò venticinque anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Azuba figlia di Silchi.43Imitò in tutto la condotta di Asa suo padre, senza deviazioni, facendo ciò che è giusto agli occhi del Signore.44Ma non scomparvero le alture; il popolo ancora sacrificava e offriva incenso sulle alture.45Giòsafat fu in pace con il re di Israele.
46Le altre gesta di Giòsafat, le prodezze compiute da lui e le sue guerre sono descritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda.47Egli spazzò via dalla regione il resto dei prostituti sacri, che esistevano al tempo di suo padre Asa.
48Allora non c'era re in Edom; lo sostituiva un governatore.49Giòsafat costruì navi di Tarsis per andare a cercare l'oro in Ofir; ma non ci andò, perché le navi si sfasciarono in Ezion-Gheber.50Allora Acazia, figlio di Acab, disse a Giòsafat: "I miei servi si uniscano ai tuoi per costituire gli equipaggi delle navi". Ma Giòsafat non accettò.
51Giòsafat si addormentò con i suoi padri, con i quali fu sepolto nella città di Davide suo antenato e al suo posto divenne re suo figlio Ioram.
52Acazia, figlio di Acab, divenne re d'Israele in Samaria nell'anno diciassette di Giòsafat, re di Giuda; regnò due anni su Israele.53Fece ciò che è male agli occhi del Signore; imitò la condotta di suo padre, quella di sua madre e quella di Geroboamo, figlio di Nebàt, che aveva fatto peccare Israele.54Venerò Baal e si prostrò davanti a lui irritando il Signore, Dio di Israele, proprio come aveva fatto suo padre.
Proverbi 29
1L'uomo che, rimproverato, resta di dura cervice
sarà spezzato all'improvviso e senza rimedio.
2Quando comandano i giusti, il popolo gioisce,
quando governano gli empi, il popolo geme.
3Chi ama la sapienza allieta il padre,
ma chi frequenta prostitute dissipa il patrimonio.
4Il re con la giustizia rende prospero il paese,
l'uomo che fa esazioni eccessive lo rovina.
5L'uomo che adula il suo prossimo
gli tende una rete per i suoi passi.
6Sotto i passi del malvagio c'è un trabocchetto,
mentre il giusto corre ed è contento.
7Il giusto si prende a cuore la causa dei miseri,
ma l'empio non intende ragione.
8I beffardi mettono sottosopra una città,
mentre i saggi placano la collera.
9Se un saggio discute con uno stolto,
si agiti o rida, non vi sarà conclusione.
10Gli uomini sanguinari odiano l'onesto,
mentre i giusti hanno cura di lui.
11Lo stolto dà sfogo a tutto il suo malanimo,
il saggio alla fine lo sa calmare.
12Se un principe dà ascolto alle menzogne,
tutti i suoi ministri sono malvagi.
13Il povero e l'usuraio si incontrano;
è il Signore che illumina gli occhi di tutti e due.
14Un re che giudichi i poveri con equità
rende saldo il suo trono per sempre.
15La verga e la correzione danno sapienza,
ma il giovane lasciato a se stesso disonora sua madre.
16Quando governano i malvagi, i delitti abbondano,
ma i giusti ne vedranno la rovina.
17Correggi il figlio e ti farà contento
e ti procurerà consolazioni.
18Senza la rivelazione il popolo diventa sfrenato;
beato chi osserva la legge.
19Lo schiavo non si corregge a parole,
comprende, infatti, ma non obbedisce.
20Hai visto un uomo precipitoso nel parlare?
C'è più da sperare in uno stolto che in lui.
21Chi accarezza lo schiavo fin dall'infanzia,
alla fine costui diventerà insolente.
22Un uomo collerico suscita litigi
e l'iracondo commette molte colpe.
23L'orgoglio dell'uomo ne provoca l'umiliazione,
l'umile di cuore ottiene onori.
24Chi è complice del ladro, odia se stesso,
egli sente l'imprecazione, ma non denuncia nulla.
25Il temere gli uomini pone in una trappola;
ma chi confida nel Signore è al sicuro.
26Molti ricercano il favore del principe,
ma è il Signore che giudica ognuno.
27L'iniquo è un abominio per i giusti
e gli uomini retti sono in abominio ai malvagi.
Salmi 13
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2Fino a quando, Signore, continuerai a dimenticarmi?
Fino a quando mi nasconderai il tuo volto?
3Fino a quando nell'anima mia proverò affanni,
tristezza nel cuore ogni momento?
Fino a quando su di me trionferà il nemico?
4Guarda, rispondimi, Signore mio Dio,
conserva la luce ai miei occhi,
perché non mi sorprenda il sonno della morte,
5perché il mio nemico non dica: "L'ho vinto!"
e non esultino i miei avversari quando vacillo.
6Nella tua misericordia ho confidato.
Gioisca il mio cuore nella tua salvezza
e canti al Signore, che mi ha beneficato.
Sofonia 1
1Parola del Signore rivolta a Sofonìa figlio dell'Etiope, figlio di Godolia, figlio di Amaria, figlio di Ezechia, al tempo di Giosia figlio di Amon, re di Giuda.
2Tutto farò sparire dalla terra.
Oracolo del Signore.
3Distruggerò uomini e bestie;
sterminerò gli uccelli del cielo e i pesci del mare,
abbatterò gli empi; sterminerò l'uomo dalla terra.
Oracolo del Signore.
4Stenderò la mano su Giuda
e su tutti gli abitanti di Gerusalemme;
sterminerò da questo luogo gli avanzi di Baal
e il nome stesso dei suoi falsi sacerdoti;
5quelli che sui tetti si prostrano
davanti alla milizia celeste
e quelli che si prostrano davanti al Signore,
e poi giurano per Milcom;
6quelli che si allontanano dal seguire il Signore,
che non lo cercano, né si curano di lui.
7Silenzio, alla presenza del Signore Dio,
perché il giorno del Signore è vicino,
perché il Signore ha preparato un sacrificio,
ha mandato a chiamare i suoi invitati.
8Nel giorno del sacrificio del Signore,
io punirò i prìncipi e i figli di re
e quanti vestono alla moda straniera;
9punirò in quel giorno chiunque salta la soglia,
chi riempie di rapine e di frodi
il palazzo del suo padrone.
10In quel giorno - parola del Signore -
grida d'aiuto verranno dalla Porta dei pesci,
ululati dal quartiere nuovo
e grande fragore dai colli.
11Urlate, abitanti del Mortaio,
poiché tutta la turba dei trafficanti è finita,
tutti i pesatori d'argento sono sterminati.
12In quel tempo
perlustrerò Gerusalemme con lanterne
e farò giustizia di quegli uomini
che riposando sulle loro fecce
pensano:
"Il Signore non fa né bene né male".
13I loro beni saranno saccheggiati
e le loro case distrutte.
Hanno costruito case ma non le abiteranno,
hanno piantato viti, ma non ne berranno il vino.
14È vicino il gran giorno del Signore,
è vicino e avanza a grandi passi.
Una voce: Amaro è il giorno del Signore!
anche un prode lo grida.
15"Giorno d'ira quel giorno,
giorno di angoscia e di afflizione,
giorno di rovina e di sterminio,
giorno di tenebre e di caligine,
giorno di nubi e di oscurità,
16giorno di squilli di tromba e d'allarme
sulle fortezze
e sulle torri d'angolo.
17Metterò gli uomini in angoscia
e cammineranno come ciechi,
perché han peccato contro il Signore;
il loro sangue sarà sparso come polvere
e le loro viscere come escrementi.
18Neppure il loro argento, neppure il loro oro
potranno salvarli".
Nel giorno dell'ira del Signore
e al fuoco della sua gelosia
tutta la terra sarà consumata,
poiché farà improvvisa distruzione
di tutti gli abitanti della terra.
Prima lettera a Timoteo 5
1Non essere aspro nel riprendere un anziano, ma esortalo come fosse tuo padre; i più giovani come fratelli;2le donne anziane come madri e le più giovani come sorelle, in tutta purezza.
3Onora le vedove, quelle che sono veramente vedove;4ma se una vedova ha figli o nipoti, questi imparino prima a praticare la pietà verso quelli della propria famiglia e a rendere il contraccambio ai loro genitori, poiché è gradito a Dio.5Quella poi veramente vedova e che sia rimasta sola, ha riposto la speranza in Dio e si consacra all'orazione e alla preghiera giorno e notte;6al contrario quella che si dà ai piaceri, anche se vive, è già morta.7Proprio questo raccomanda, perché siano irreprensibili.8Se poi qualcuno non si prende cura dei suoi cari, soprattutto di quelli della sua famiglia, costui ha rinnegato la fede ed è peggiore di un infedele.
9Una vedova sia iscritta nel catalogo delle vedove quando abbia non meno di sessant'anni, sia andata sposa una sola volta,10abbia la testimonianza di opere buone: abbia cioè allevato figli, praticato l'ospitalità, lavato i piedi ai santi, sia venuta in soccorso agli afflitti, abbia esercitato ogni opera di bene.11Le vedove più giovani non accettarle perché, non appena vengono prese da desideri indegni di Cristo, vogliono sposarsi di nuovo12e si attirano così un giudizio di condanna per aver trascurato la loro prima fede.13Inoltre, trovandosi senza far niente, imparano a girare qua e là per le case e sono non soltanto oziose, ma pettegole e curiose, parlando di ciò che non conviene.14Desidero quindi che le più giovani si risposino, abbiano figli, governino la loro casa, per non dare all'avversario nessun motivo di biasimo.15Già alcune purtroppo si sono sviate dietro a satana.
16Se qualche donna credente ha con sé delle vedove, provveda lei a loro e non ricada il peso sulla Chiesa, perché questa possa così venire incontro a quelle che sono veramente vedove.
17I presbiteri che esercitano bene la presidenza siano trattati con doppio onore, soprattutto quelli che si affaticano nella predicazione e nell'insegnamento.18Dice infatti la Scrittura: 'Non metterai la museruola al bue che trebbia' e: 'Il lavoratore ha diritto al suo salario'.19Non accettare accuse contro un presbitero senza la deposizione di 'due o tre testimoni'.20Quelli poi che risultino colpevoli riprendili alla presenza di tutti, perché anche gli altri ne abbiano timore.21Ti scongiuro davanti a Dio, a Cristo Gesù e agli angeli eletti, di osservare queste norme con imparzialità e di non far mai nulla per favoritismo.22Non aver fretta di imporre le mani ad alcuno, per non farti complice dei peccati altrui. Conservati puro!
23Smetti di bere soltanto acqua, ma fa' uso di un po' di vino a causa dello stomaco e delle tue frequenti indisposizioni.
24Di alcuni uomini i peccati si manifestano prima del giudizio e di altri dopo;25così anche le opere buone vengono alla luce e quelle stesse che non sono tali non possono rimanere nascoste.
Capitolo I: Il raccoglimento interiore
Leggilo nella Biblioteca1. "Il regno di Dio è dentro di voi" (Lc 17,21), dice il Signore. Volgiti a Dio con tutto il tuo cuore, lasciando questo misero mondo, e l'anima tua troverà pace. Impara a disprezzare ciò che sta fuori di te, dandoti a ciò che è interiore, e vedrai venire in te il regno di Dio. Esso è, appunto, "pace e letizia nello Spirito Santo" (Rm 14,17); e non è concesso ai malvagi. Se gli avrai preparato, dentro di te, una degna dimora, Cristo verrà a te e ti offrirà il suo conforto. Infatti ogni lode e ogni onore, che gli si possa fare, viene dall'intimo; e qui sta il suo compiacimento. Per chi ha spirito di interiorità è frequente la visita di Cristo; e, con essa, un dolce discorrere, una gradita consolazione, una grande pace, e una familiarità straordinariamente bella. Via, anima fedele, prepara il tuo cuore a questo sposo, cosicché si degni di venire presso di te e di prendere dimora in te. Egli dice infatti: Se uno mi ama, osserverà la mia parola, e verremo a lui e abiteremo presso di lui" (Gv 14,23). Accogli, dunque, Cristo, e non far entrare in te nessun'altra cosa. Se avrai Cristo sarai ricco, sarai pienamente appagato. Sarà lui a provvedere e ad agire fedelmente per te. Così non dovrai affidarti agli uomini. Questi mutano in un momento e vengono meno rapidamente, mentre cristo "resta in eterno" (Gv 12, 34) e sta fedelmente accanto a noi, fino alla fine. Non dobbiamo far molto conto sull'uomo, debole e mortale, anche se si tratta di persona che ci è preziosa e cara; né dobbiamo troppo rattristarci se talvolta ci combatte e ci contrasta. Quelli che oggi sono con te, domani si possono mettere contro di te; spesso si voltano come il vento.
2. Riponi interamente la fiducia in Dio, e sia lui il tuo timore e il tuo amore. Risponderà lui per te, e opererà per il bene, nel modo migliore. "Non hai stabile dimora quaggiù" (Eb 13,14); dovunque tu abbia a trovarti, sei un forestiero e un pellegrino, né mai avrai pace se non sarai strettamente unito a Cristo. Perché ti guardi tutto attorno quaggiù, se non è questo il luogo della tua pace? La tua dimora deve essere tra le cose celesti; quelle terrene le devi guardare come di passaggio. Passano tutte le cose, e con esse anche tu; vedi di non invischiarti, per evitare di essere catturato e perire. Sia il tuo pensiero sempre presso l'Altissimo; e la tua preghiera si diriga, senza sosta a Cristo. Che se non riesci a meditare le profonde realtà celesti, cerca rifugio nella passione di Cristo e prendi lieta dimora nelle sue sante ferite. Se ti sarai rifugiato, con animo devoto, nelle ferite e nelle piaghe preziose di Gesù, sentirai un gran conforto nella tribolazione, e non farai molto caso del disprezzo degli uomini, sopportando con facilità quanto si dice contro di te. Anche Cristo fu disprezzato dagli uomini in questo mondo e, nel momento in cui ne aveva maggior bisogno, fu abbandonato, tra sofferenze disonoranti, da quelli che lo conoscevano e gli erano amici. Cristo volle soffrire ed essere disprezzato; e tu osi lamentarti di qualcuno? Cristo ebbe avversari e oppositori; e tu vuoi che tutti ti siano amici e ti facciano del bene? Come potrà essere premiata la tua capacità di soffrire se non avrai incontrato alcuna avversità? Se non vuoi sopportare nulla che ti si opponga, in che modo potrai essere amico di Cristo? Se vuoi regnare con Cristo, sorreggiti in Cristo e per mezzo di Cristo. Che se, una sola volta tu riuscissi ad entrare perfettamente nell'intimo di Gesù, gustando un poco dell'ardente suo amore, non ti preoccuperesti per nulla di ciò che ti piace o non ti piace; troveresti gioia, invece nelle offese che ti si fanno. Giacché l'amore per Gesù ci porta a disprezzare noi stessi.
3. L'uomo che ama Gesù e la verità, l'uomo veramente interiore e libero da desideri contrari alla suprema volontà, può volgersi a Dio senza impacci, e innalzarsi in ispirito sopra se stesso, ricavandone una pace ricca di frutto. Veramente saggio, e dotto di una dottrina impartita da Dio più che dagli uomini, è colui che stima tutte le cose per quello che sono, non per quello che se ne dice nei giudizi umani. Se uno sa procedere secondo la guida interiore, evitando di valutare le cose secondo i criteri del mondo, non si perde nel ricercare il luogo adatto o nell'attendere il tempo opportuno per dedicarsi ad esercizi di devozione. Se uno ha spirito di interiorità, subito si raccoglie in se stesso, giacché non si disperde mai del tutto nelle cose esterne. Per lui non è un ostacolo un lavoro che gli venga imposto né una occupazione che, in quel momento, appaia doverosa; giacché egli sa adattarsi alle situazioni, così come esse si presentano. Colui che è intimamente aperto e rivolto al bene, non bada alle azioni malvagie degli uomini, pur se possano apparire mirabili; infatti, quanto più uno attira a sé le cose esteriori, tanto più resta legato, e distratto da sé medesimo. Se tutto fosse a posto in te, e tu fossi veramente puro, ogni cosa accadrebbe per il tuo bene e per il tuo vantaggio; che se molte cose spesso ti sono causa i disagio o di turbamento, è proprio perché non sei ancora perfettamente morto a te stesso e distaccato da tutto ciò che è terreno. Nulla insozza e inceppa il cuore umano quanto un amore non ancora purificato, volto alle cose di questo mondo; se invece tu rinunci a cercare gioia in ciò che sta fuori di te, potrai contemplare le realtà celesti e godere frequentemente di gioia interiore.
Omelia 18: Rientra in te stesso perché in te c'è l'immagine di Dio. Nel profondo dell'uomo abita Cristo: nella profondità del tuo essere tu vieni rinnovato come immagine di Dio, e in questa immagine tu puoi riconoscere il Creatore.
Commento al Vangelo di San Giovanni - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella Biblioteca[Busso con voi, sono nutrito insieme con voi.]
1. L'evangelista Giovanni, tra i suoi compagni e colleghi Evangelisti, ha ricevuto dal Signore - sul cui petto stava appoggiato nell'ultima cena (cf. Io 13, 25), a significare con ciò che attingeva i segreti più profondi dall'intimo del suo cuore - il dono precipuo e singolare di annunciare intorno al Figlio di Dio verità capaci di stimolare le intelligenze dei semplici, forse attente ma non ancora preparate a riceverle pienamente. Alle menti alquanto mature e che interiormente hanno raggiunto una certa età adulta, con le sue parole egli offre uno stimolo e un nutrimento. Avete sentito ciò che vi è stato letto, e certo ricorderete in quale occasione queste parole furono pronunciate. Ieri, infatti, si è letto che per questo i Giudei cercavano di uccidere Gesù, perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo proprio Padre, facendosi uguale a Dio (Io 5, 18). Ciò che dispiaceva ai Giudei, piaceva invece a suo Padre; e non può non piacere anche a quelli che onorano il Figlio come onorano il Padre; perché, se a loro non piace, anch'essi cesseranno di piacere a Dio. Poiché Dio non sarà più grande, se piace a te; ma tu sarai più piccolo, se egli a te dispiace. A questa loro calunnia, proveniente da ignoranza o da malizia, il Signore risponde non tanto per farsi capire, quanto piuttosto per scuoterli e sconvolgerli; e può darsi che così, almeno sconvolti, ricerchino il medico. Le sue parole, però, sarebbero state scritte affinché anche noi potessimo leggerle. Vedremo dunque quale effetto abbiano prodotto nell'animo dei Giudei mentre le ascoltavano, e ancor più quale effetto producano in noi nell'ascoltarle ora. Le eresie e certe teorie aberranti, che sono come dei lacci tesi alle anime per farle precipitare nell'abisso, sono nate proprio da errate interpretazioni delle Sacre Scritture e da frettolose e temerarie conclusioni tratte da tali errate interpretazioni. Quindi, o carissimi, dobbiamo ascoltare queste cose con molta cautela, convinti che non siamo abbastanza maturi per intenderle bene, attenendoci scrupolosamente e con timore, come ammonisce la Sacra Scrittura, a questa regola salutare: gustare come cibo sostanzioso quanto riusciamo a capire alla luce della fede cui siamo stati iniziati; quando invece non riusciamo a capire secondo la sana regola della fede, respingere ogni dubbio, e rimandare la comprensione completa ad altro momento. Così che, se anche non riuscissimo ad intendere il senso di un determinato passo, non dobbiamo assolutamente dubitare che sia buono e vero. Quanto a me, o fratelli, che ho accettato di rivolgervi la parola, tenete presente chi sono io che mi sono assunto questo impegno e l'impegno che mi sono assunto: mi sono impegnato a trattare cose divine io che sono un uomo come voi, cose spirituali io che sono un essere di carne, cose eterne io mortale come voi. Se voglio conservarmi sano in quella casa di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, colonna e sostegno della verità (cf. 1 Tim 3, 15), io pure devo liberarmi da ogni vana presunzione. E' secondo la mia limitata capacità che io comprendo ciò che metto davanti a voi. Se la porta si apre, io mi nutro con voi; se rimane chiusa, busso con voi.
2. I Giudei dunque si agitarono e s'indignarono; e giustamente, poiché un uomo osava farsi uguale a Dio, ma proprio per questo erroneamente, ché in quell'uomo non sapevano scorgere Dio. Vedevano la carne e non riconoscevano Dio. Distinguevano l'abitacolo e non chi vi abitava; quel corpo era un tempio, all'interno vi dimorava Dio. Non certo nella carne Gesù si uguagliava al Padre, non nella forma di servo si paragonava al Signore: si faceva uguale a lui non in ciò che per noi si è fatto, ma in ciò che egli era quando ci fece. Chi è il Cristo, infatti, lo sapete (parlo a cattolici) per aver abbracciato la vera fede: non è solamente Verbo, né solo carne, ma è il Verbo fattosi carne per abitare fra noi. Vi richiamo ciò che voi bene conoscete: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio: qui egli è uguale al Padre. Ma il Verbo si è fatto carne e abitò fra noi (Io 1, 1.14): di questa carne il Padre è più grande. Il Padre è insieme uguale e più grande: uguale al Verbo e più grande della carne, uguale a colui per mezzo del quale ci creò e superiore a colui che per noi diventò creatura. A questa sana regola cattolica che prima di tutto dovete conoscere e poi, dopo averla conosciuta, seguire, dalla quale la vostra fede non deve mai discostarsi e nessun argomento umano deve mai strappare dal vostro cuore - a questa regola riportiamo ciò che riusciamo a comprendere, in attesa di essere in grado di riportarvi anche ciò che per ora non riusciamo a comprendere. Sappiamo dunque che il Figlio di Dio è uguale al Padre, perché sappiamo che in principio il Verbo era Dio. Perché allora i Giudei cercavano di ucciderlo? Perché non solo violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio. Essi vedevano la carne e non vedevano il Verbo. Che il Verbo dunque parli contro di loro attraverso la carne; colui che sta dentro si faccia sentire per mezzo della sua abitazione, affinché, chi è in grado, possa riconoscere chi è colui che vi abita.
3. Che cosa dice ai Giudei? Rispose dunque Gesù, e disse loro - a quelli che si erano scandalizzati perché si era fatto uguale a Dio -: In verità, in verità vi dico: il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre (Io 5, 19). Il Vangelo non dice cosa risposero i Giudei: forse tacquero. Non tacciono, invece, taluni che pretendono chiamarsi cristiani, che anzi da queste stesse parole prendono pretesto per dire contro di noi cose che non possiamo trascurare né per loro né per noi. Gli Ariani, senza dubbio eretici, quando dicono che il Figlio che prese la carne è inferiore al Padre, non solo dopo la sua incarnazione ma anche prima, e che non è della stessa sostanza del Padre, è da queste parole che prendono pretesto per la loro calunnia. Essi così argomentano: Vedete che il Signore Gesù, rendendosi conto che i Giudei erano scandalizzati perché egli si era fatto uguale a Dio Padre, aggiunse quelle parole con cui dimostra di non essere uguale. I Giudei - continuano gli Ariani - erano indignati contro il Cristo perché egli si faceva uguale a Dio; e il Cristo, volendoli tranquillizzare, e volendo dimostrare loro che il Figlio non è uguale al Padre, cioè che non è uguale a Dio, dice in sostanza così: Perché vi adirate? perché vi indignate? Io non sono uguale a Dio perché il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Colui infatti - essi concludono - che non può far nulla da sé, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre, è senz'altro inferiore al Padre, non uguale.
4. L'eretico che segue la logica distorta e riprovevole del suo cuore, ci ascolti ora che ci rivolgiamo a lui non polemizzando ma chiedendogli che ci spieghi il suo punto di vista. Chiunque tu sia - supponiamo che tu sia qui presente -, credo che riconoscerai con noi che in principio era il Verbo. Dici che sei d'accordo. Riconosci altresì che il Verbo era presso Dio? Riconosci anche questo. Seguimi allora, e a maggior ragione riconoscerai che il Verbo era Dio. E tu dichiari che anche su questo sei d'accordo, ma aggiungi che quel Dio è più grande e quest'altro è più piccolo. Avverto ormai un non so che di pagano, mentre credevo di parlare con un cristiano! Se esiste un Dio più grande e un Dio più piccolo, vuol dire che noi adoriamo due dèi, non un solo Dio. Ma non dite la stessa cosa anche voi - tu replichi - quando parlate di due dèi uguali fra loro? No, non è questo che noi diciamo: noi riconosciamo questa uguaglianza, ma riconosciamo al tempo stesso la carità indivisibile: e se la carità è indivisibile, c'è la perfetta unità. Se, infatti. la carità che Dio ha infuso negli uomini fa sì che i cuori di molti siano un cuore solo, e di molte anime fa un'anima sola, come è scritto negli Atti degli Apostoli a proposito dei credenti che vicendevolmente si amavano: Essi avevano un'anima sola e un cuore solo protesi verso Dio (Act 4, 32); se, dunque, la mia anima e la tua anima, qualora ci amiamo e abbiamo gli stessi sentimenti, sono una sola anima, quanto più Dio Padre e Dio Figlio sono nella fonte dell'amore un solo Dio?
5. Sì, tieni conto di queste parole che hanno commosso il tuo cuore, e riprendiamo la nostra riflessione sul Verbo. Riconosciamo entrambi che il Verbo era Dio: ora voglio sottolineare un'altra cosa. Dopo aver detto: Questo era in principio presso Dio, l'evangelista aggiunge: Tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Adesso ti metto in crisi, adesso ti metto in contraddizione, mi appello a te contro di te. Tieni presenti queste affermazioni che si riferiscono al Verbo, e cioè che il Verbo era Dio, e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Ascolta adesso le parole che ti hanno turbato al punto da farti dire che il Figlio è inferiore al Padre, precisamente perché ha detto: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. E' così, tu dici. Ora dimmi: credo che tu l'intendi in questo modo: Quando il Padre si mette a fare qualcosa, il Figlio sta a vedere come egli fa, per poter poi a sua volta fare ciò che ha visto compiere dal Padre. Cioè, tu consideri il Padre e il Figlio come due artigiani, uno maestro e l'altro discepolo, il padre artigiano che addestra nella sua arte il figlio. Cerco di mettermi al livello della tua mentalità e di entrare per un momento nel tuo ordine di pensieri; vediamo se questa nostra maniera di pensare è compatibile con ciò che insieme abbiamo detto e assodato, e cioè che il Verbo è Dio, e che tutto per mezzo di lui è stato fatto. Supponiamo, dunque, che il Padre sia l'artigiano che compie una determinata opera e che il Figlio sia il discepolo, il quale non può far nulla ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Egli non distoglie lo sguardo dalle mani del Padre, osserva come fa lui a costruire, per fare poi altrettanto. Ma tutto ciò che il Padre fa e su cui richiama l'attenzione del Figlio in modo che il Figlio diventi capace di fare altrettanto, per mezzo di chi lo fa? Qui ti voglio! Ora è il momento di ricordare ciò che con me hai dichiarato e convenuto, e cioè che in principio era il Verbo, che il Verbo era presso Dio, che il Verbo era Dio e che tutte le cose per mezzo di lui furon fatte. Tu dunque, dopo aver convenuto con me che per mezzo del Verbo furon fatte tutte le cose, per una mentalità grossolana e, per un impulso puerile ti crei poi nella fantasia un Dio che opera e un Verbo che sta attento e guarda, per fare a sua volta quanto ha visto fare a Dio. Dio, quindi, ha fatto qualcosa senza il Verbo? Se ha fatto qualcosa senza il Verbo non sarebbe più vero che tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, e allora non tieni più conto di ciò che con me hai riconosciuto; se, invece, tutte le cose sono state fatte per mezzo del Verbo, correggi ciò che hai capito male. Il Padre ha creato, ma niente ha creato se non per mezzo del Verbo; come può il Verbo star lì a guardare quello che fa il Padre senza di lui per poi fare altrettanto? Ogni cosa che il Padre ha fatto l'ha fatta per mezzo del Verbo, o altrimenti è falso che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui. Ma, invece, è vero che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui; ti sembra poco? e niente senza di lui fu fatto.
[Uno solo è il nostro Maestro.]
6. Allontanati dunque da questa sapienza della carne, e cerchiamo insieme il senso delle parole: Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Cerchiamo, se siamo degni di apprendere. Considero, infatti, cosa grande, assolutamente ardua, vedere il Padre che opera per mezzo del Figlio; vedere, cioè, non il Padre e il Figlio che operano separatamente, ma il Padre che compie ogni opera per mezzo del Figlio così che niente vien compiuto o dal Padre senza il Figlio o dal Figlio senza il Padre, perché tutte le cose per mezzo di lui furono fatte, e senza di lui nulla fu fatto. Una volta stabilito questo principio sul fondamento solido della fede, come spiegare che il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre? Tu vuoi sapere, credo, in che senso il Figlio opera; ma prima cerca di sapere in che senso il Figlio vede. Che dice infatti il Signore? Il Figlio da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Bada bene a queste parole: ciò che vede fare dal Padre. Prima vede e poi fa; vede per poter poi fare. Perché vuoi sapere in che senso opera, mentre ancora non sai in che senso vede? Perché hai tanta fretta di sapere ciò che vien dopo, trascurando ciò che sta prima? Ha detto che vede e che fa, non, che fa e che vede, in quanto da sé non può far nulla, ma soltanto ciò che vede fare dal Padre. Se vuoi che io ti spieghi in che senso fa, tu prima spiegami come vede. Tu non sei in grado di spiegarmi questo e nemmeno io quello; tu non sei ancora in grado d'intendere questo, né io quello. Cerchiamo insieme, bussiamo insieme in modo da ottenere insieme di capire. Perché mi consideri ignorante, come se tu fossi sapiente? Io non so in che modo opera, tu non sai in che modo vede; entrambi siamo ignoranti; entrambi rivolgiamoci al Maestro, senza che stiamo puerilmente a litigare nella sua scuola. Intanto abbiamo già imparato insieme che tutte le cose furon fatte per mezzo di lui. E' chiaro quindi che le opere che il Padre fa, e che il Figlio vede e fa a sua volta, non sono diverse ma sono le stesse opere che il Padre fa per mezzo del Figlio, perché tutte per mezzo del Verbo sono state fatte. Tuttavia chi può sapere in che modo Dio ha compiuto queste opere? Non dico in che modo ha fatto il mondo, ma in che modo ha fatto il tuo occhio per mezzo del quale tu, imprigionato nella sua visione materiale, metti a confronto le realtà visibili con le invisibili. Infatti sei portato a farti di Dio idee corrispondenti alle cose che vedi con gli occhi. Se Dio si potesse vedere con gli occhi del corpo, non avrebbe detto: Beati i puri di cuore, perché essi vedranno Dio (Mt 5, 8). Hai dunque l'occhio del corpo per vedere l'artigiano, ma non hai ancora l'occhio del cuore per vedere Dio; perciò sei portato a trasferire in Dio ciò che sei solito vedere nell'artigiano. Deponi in terra ciò che è terreno ed eleva in alto il tuo cuore.
[Per capire bisogna vivere bene.]
7. Che cosa rispondere dunque, o carissimi, alla domanda: in che modo il Verbo vede, in che modo il Padre è visto dal Verbo e in che consiste il vedere del Verbo? Non sono così audace e temerario da promettere a me e a voi una risposta; comunque io giudichi le vostre capacità, conosco abbastanza le mie. Sarà meglio non soffermarci oltre su questi problemi, ma diamo uno sguardo all'intero passo per vedere come le parole del Signore provochino negli animi grossolani e infantili un turbamento destinato a smuoverli dalle loro posizioni. E' come strappare dalle mani d'un bambino un giocattolo divertente ma pericoloso, sostituendolo con qualcosa di più utile per uno che ormai sta diventando grande, di modo che non si trascini più per terra ma si metta a camminare. Alzati, cerca, sospira, anela con ardore, bussa alla porta chiusa. Se non sentiamo alcun desiderio, se non proviamo alcun anelito, se non sappiamo sospirare, ci accadrà di gettare via delle perle a chiunque e di trovare noi perle di nessun valore. Che io possa, dunque, accendere nei vostri cuori, o carissimi, il desiderio. Una vita degna consente di capire, un certo modo di vivere conduce ad un corrispondente ideale di vita. Una cosa è la vita terrena, un'altra cosa è la vita celeste; la vita delle bestie è ben diversa da quella degli angeli. La vita delle bestie è tutta presa dal desiderio dei piaceri terreni, brama unicamente le cose della terra ed è tutta orientata e proiettata verso di esse; la vita degli angeli è tutta celeste; la vita degli uomini sta in mezzo, tra la vita degli angeli e quella delle bestie. L'uomo che vive secondo la carne si confonde con le bestie; l'uomo che vive secondo lo spirito si associa agli angeli. Se tu vivi secondo lo spirito domandati se, rispetto alla vita angelica, sei piccolo o grande. Se ancora sei piccolo, gli angeli ti diranno: cresci, noi mangiamo il pane degli angeli e tu nutriti col latte, col latte della fede, per giungere al cibo della visione. Chi, invece, è ancora acceso dalla brama dei piaceri sordidi, ancora medita frodi, ancora cade nella menzogna e alla menzogna aggiunge lo spergiuro; come può, un cuore così immondo, osare chiedere: "Spiegami in che modo il Verbo vede", anche ammesso che io sappia spiegarlo, che lo abbia capito? Se io che conduco forse una vita totalmente diversa, sono tanto lontano da questa visione, tanto più lo sarà chi, oppresso dai desideri terreni, non sente affatto l'attrattiva delle cose celesti. Come c'è molta differenza tra chi aspira ai beni celesti e chi se ne allontana, così c'è differenza tra chi vi aspira e chi già li gode. Se vivi come le bestie, senti avversione per ciò che forma il godimento degli angeli. Ma se ti decidi a non vivere più come le bestie, comincerai a non sentire più avversione, comincerai a desiderare ciò che ancora non possiedi: col desiderio hai cominciato a vivere la vita degli angeli. Fa' in modo che cresca in te questo desiderio, e che diventi così ardente da ottenere ciò che desideri, non da me ma da colui che ha creato me e te.
8. Da parte sua il Signore non ci abbandona a noi stessi: ci aiuta a farci intendere nel senso da lui voluto le parole: Il Figlio non può fare nulla da se stesso che non lo veda fare anche dal Padre. Egli vuol farci intendere che le opere che il Padre fa, e che il Figlio vede per farle poi a sua volta, non sono altro che le opere che il Padre e il Figlio fanno. Proseguendo infatti dice: poiché quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa (Io 5, 19). Non dice: dopo che il Padre ha fatto, un'altra cosa simile fa il Figlio, ma dice: Quanto questi fa, il Figlio similmente lo fa. Se il Figlio fa ciò che fa il Padre, vuol dire che il Padre opera per mezzo del Figlio; se il Padre, quello che fa lo fa per mezzo del Figlio, vuol dire che il Padre non fa una cosa e il Figlio un'altra, ma le stesse opere sono compiute dal Padre e dal Figlio. E in che modo il Figlio compie le stesse opere del Padre? Compie le stesse opere e nel medesimo modo. E dato che si poteva pensare che fa, sì, le stesse cose, ma in modo diverso, perciò afferma: le stesse cose e nel medesimo modo. In che senso potrebbe fare le medesime cose, ma in modo diverso? Ecco un esempio che suppongo a voi familiare: quando scriviamo una lettera, prima la concepiamo nella nostra mente e poi la stendiamo con la mano. Il vostro applauso unanime lo conferma. Sì, è così, ed è evidente per noi tutti. Una lettera viene composta prima col cuore, poi col corpo; la mano esegue gli ordini del cuore, e la stessa lettera viene composta dal cuore e insieme dalla mano: forse che il cuore ne compone una e la mano un'altra? In realtà, la mano fa ciò che fa il cuore, ma non nel medesimo modo: il cuore infatti compone la lettera spiritualmente, la mano invece la stende materialmente. Ecco come si può fare una medesima cosa in modo diverso. Perciò il Signore non si accontenta di dire: quanto il Padre fa, il Figlio lo fa, ma aggiunge: similmente. Perché tu avresti potuto intendere: tutto ciò che il cuore fa lo fa anche la mano, ma in modo diverso. Perciò ha aggiunto: anche il Figlio lo fa, e nel medesimo modo. Se il Figlio fa ciò che fa il Padre e nel medesimo modo, orsù, attenti alla conclusione: sia messo alle strette il Giudeo, creda il Cristiano, si ricreda l'eretico: il Figlio è uguale al Padre!
9. Il Padre, infatti, ama il Figlio e gli mostra tutto ciò che egli fa (Io 5, 20). Ecco la parola: gli mostra. A chi mostra? Come a uno che vede. Ritorniamo a ciò che non possiamo spiegare: cioè in che senso il Verbo vede. Ecco, l'uomo è stato creato per mezzo del Verbo: egli ha occhi, ha orecchi, ha mani, ha diverse membra del corpo; per mezzo degli occhi può vedere, per mezzo delle orecchie udire, per mezzo delle mani agire; diverse sono le membra e diverse sono le funzioni di ciascun membro. Un membro non può fare ciò che fa un altro, e tuttavia, grazie all'unità del corpo, l'occhio vede per se stesso e vede per l'orecchio. L'orecchio ode per se stesso e ode per l'occhio. E' da credere che qualcosa di simile avvenga nel Verbo, dato che tutto è stato fatto per mezzo di lui? Anche in un salmo la Scrittura dice: Abbiate intelletto, o insensati fra il popolo, e voi, stolti, rinsavite: Chi ha plasmato l'orecchio non ode? Chi ha formato l'occhio non ci vede? (Ps 93, 8-9). Ora, se il Verbo formò l'occhio, dato che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo; se plasmò l'orecchio, dato che tutto è stato fatto per mezzo del Verbo, non possiamo certo dire: il Verbo non ode, il Verbo non vede, senza meritare il rimprovero del salmo: Stolti, finalmente rinsavite. Ne consegue che se il Verbo ode e il Verbo vede, anche il Figlio ode e vede; ma ci metteremo forse a cercare anche in lui gli occhi in un posto e le orecchie in un altro? Dovremo forse pensare che in un posto ode, in un altro vede, e che l'orecchio ha una funzione diversa da quella dell'occhio e l'occhio una funzione diversa da quella dell'orecchio? Oppure egli è tutto vista e tutto udito? Forse è così; anzi non forse, ma certamente è così, a condizione tuttavia che il suo vedere e il suo udire venga inteso in modo assolutamente diverso dal nostro. Vedere è insieme udire, nel Verbo, e udire non è una cosa diversa dal vedere, ma l'udito in lui è la vista e la vista è l'udito.
[Raccoglimento e interiorità].
10. E noi, per i quali il vedere è distinto dall'udire, come possiamo sapere questo? Rientriamo in noi, se non siamo di quei prevaricatori ai quali è stato detto: Rientrate, o prevaricatori, in cuor vostro (Is 46, 8). Rientrate nel vostro cuore! Dove volete andare lontani da voi? Andando lontano vi perderete. Perché vi mettete su strade deserte? Rientrate dal vostro vagabondaggio che vi ha portato fuori strada; ritornate al Signore. Egli è pronto. Prima rientra nel tuo cuore, tu che sei diventato estraneo a te stesso, a forza di vagabondare fuori: non conosci te stesso, e cerchi colui che ti ha creato! Torna, torna al cuore, distaccati dal corpo; il tuo corpo è la tua abitazione; il tuo cuore sente anche per mezzo del tuo corpo, ma il tuo corpo non ha gli stessi sentimenti del tuo cuore; metti da parte anche il tuo corpo, rientra nel tuo cuore. Nel tuo corpo trovavi gli occhi in un posto e gli orecchi in un altro: forse che ritrovi questo nel tuo cuore? Non possiedi orecchi anche nel tuo cuore? Altrimenti che senso avrebbero le parole del Signore: Chi ha orecchi da intendere, intenda (Lc 8, 8)? Non possiedi occhi anche nel tuo cuore? Altrimenti come potrebbe l'Apostolo esortare ad avere gli occhi del cuore illuminati (Eph 1, 18)? Rientra nel cuore: lì esamina quel che forse percepisci di Dio, perché lì si trova l'immagine di Dio; nell'interiorità dell'uomo abita Cristo, nella tua interiorità tu vieni rinnovato secondo l'immagine di Dio (Eph 3, 16-17): nella di lui immagine riconosci il tuo Creatore. Vedi come tutti i sensi del corpo trasmettono dentro, al cuore, le sensazioni percepite di fuori: vedi quanti servitori ha ai suoi ordini questo unico comandante interiore, e come può fare a meno di tutti operando da solo. Gli occhi trasmettono al cuore il bianco e il nero; le orecchie, i suoni e i rumori; le narici, i profumi e i cattivi odori; il gusto, l'amaro e il dolce; il tatto, il morbido e il ruvido. Ma il cuore prende coscienza da sé di ciò che è giusto o ingiusto. Il tuo cuore vede e ode, e giudica tutti gli oggetti sensibili: anzi, giudica e discerne ciò di cui non si rendono conto i sensi del corpo, il giusto e l'ingiusto, il bene e il male. Ebbene, mostrami gli occhi, le orecchie, le narici del tuo cuore. Diverse sono le impressioni che si raccolgono nel tuo cuore, ma in esso non ci sono organi distinti. Nel tuo corpo in un posto vedi e in un altro odi: nel tuo cuore dove vedi odi. Se questa è l'immagine, quanto più potente sarà colui di cui il cuore è l'immagine? Dunque, il Figlio ode e il Figlio vede, e il Figlio è questo vedere e questo udire. Il suo vedere s'identifica con il suo essere, come s'identifica col suo essere il suo udire. In te non esiste questa identificazione fra il tuo vedere e il tuo essere; infatti, se perdi la vista puoi continuare a vivere, così come puoi continuare a vivere se perdi l'udito.
11. Non era nostra intenzione bussare? Ebbene, avvertiamo in noi un movimento misterioso verso quella fonte donde ci viene, benché attenuata, la luce. Credo, o fratelli, che parlando di queste cose e meditandole, noi ci esercitiamo in esse. E quando, dopo esserci così esercitati, la nostra pesantezza ci fa ricadere negli abituali pensieri naturali, abbiamo l'impressione di essere come certi malati d'occhi, che vengono posti d'improvviso di fronte alla luce. Essi erano diventati quasi ciechi; poi hanno cominciato, pian piano, a ricuperare la vista grazie alle cure del medico. Questi, per controllare fino a che punto sono guariti, tenta di mostrare ciò che essi desideravano vedere, ma invano perché erano come ciechi. Ora, avendo già essi ricuperato qualche grado di vista, posti di fronte alla luce, solo a guardarla restano abbacinati, e al medico che loro la mostra dicono: Sì, l'ho vista, ma non posso continuare a guardarla. Che fa allora il medico? Riporta dentro il malato e applica del collirio, stimolando in lui il desiderio di vedere la luce che ha visto ma che non ha potuto continuare a vedere, così che il desiderio stesso diventi la cura migliore; che se per ottenere la guarigione sono necessarie cure dolorose, il malato le sopporta coraggiosamente, innamorato com'è della luce, per cui dice a se stesso: Quando potrò finalmente vedere con occhi sani la luce che non sono riuscito a vedere perché avevo gli occhi ancora malati e deboli? E fa pressione sul medico perché intensifichi le cure. Fratelli, se qualcosa di simile è avvenuto nei vostri cuori, se in qualche modo avete innalzato il vostro cuore fino a vedere il Verbo, e, respinti dalla sua stessa luce, siete ricaduti nelle solite cose, pregate il medico che vi dia un collirio efficace, e cioè i precetti della giustizia. Hai davanti a te la luce che puoi vedere, e non riesci a vederla. Prima non sospettavi neppure che esistesse; ma ora, guidato dalla ragione, ti sei avvicinato, hai fissato lo sguardo, hai sbattuto gli occhi, ti sei voltato dall'altra parte. Ora sai con certezza che esiste ciò che desideri vedere: ma sai anche che non sei ancora in grado di fissarvi lo sguardo. Quindi, devi curarti. Qual è il collirio di cui hai bisogno? Non mentire, non giurare il falso, non commettere adulterio, non rubare, non frodare. Forse sei abituato a fare tutto questo e ti costerà molto lasciare le cattive abitudini; ci vuole una cura energica, se vuoi guarire. Ti parlo con franchezza, per paura di me e di te: se smetti di curarti e non fai di tutto per poter vedere la luce che è la salute dei tuoi occhi, finirai per amare le tenebre; e amando le tenebre, rimarrai nelle tenebre; rimanendo nelle tenebre, finirai con l'essere cacciato nelle tenebre esteriori, dove sarà pianto e stridor di denti (Mt 22, 12). Se in te non agisce l'amore della luce, agisca almeno la paura del dolore.
12. Credo di aver parlato abbastanza, e tuttavia non ho terminato il brano evangelico: però se continuassi, vi affaticherei e finireste col perdere anche quello che avete guadagnato. Basti dunque questo alla vostra Carità. Noi siamo vostri debitori, non soltanto adesso ma sempre finché avremo vita, dato che è per voi che viviamo. Vogliate, però consolare questa nostra vita inferma, travagliata e insidiata, vivendo degnamente: non vogliate contristarci e abbatterci con una condotta indegna. Se ci accade infatti che, urtati dalla vostra condotta, evitiamo la vostra compagnia e tendiamo ad allontanarci anziché avvicinarci a voi, a ragione vi lamentate dicendo: Se siamo malati tu ci devi curare, se siamo infermi ci devi visitare. Ebbene, siamo qui per curarvi e non ci stanchiamo di visitarvi; ma fate in modo, vi prego, che io non debba dire ciò che avete sentito dall'Apostolo: Temo di aver lavorato invano in mezzo a voi (Gal 4, 11).
PARTE SECONDA (2)
Il diario - Beata Elisabetta Canori Mora
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16 – DIO HA VIBRATO VERSO DI ME UN DARDO AMOROSO
16.1. Guai ai duri di cuore!
Il giorno 15 agosto 1814, racconta di sé la povera Giovanna Felice: Mi portai alla missione in piazza Barberini. Ad un tratto il mio spirito restò sopito, e mi fu manifestato il frutto che si sarebbe ricavato da quelle sante missioni. Da vari persone vedevo deplorare il peccato; altri, convinti della ragione, si convertivano; ma guai a quelli che, duri di cuore, non daranno ascolto alla chiamata che Dio ci fa per la valevole mediazione di Maria Santissima! Guai, guai dico, giacché poco e niente posso ridire di tutto quello che vidi. Tanto fu il terrore e lo spavento che ne ebbi, che credetti di morire!
Il tutto mi fu dimostrato con molta rapidità. Vedevo dunque il mondo tutto in scompiglio; non solo gli uomini tutti, ma le bestie stesse erano ripiene di orrore. Vedevo quattro Angeli che rapidamente scorrevano le contrade con la spada sfoderata e intrisa di vivo sangue, per ordine di Dio tutti gli empi restavano morti. Oh quanto poco numero di viventi restava sopra la terra! Sono restata così stordita per l’orrore e per la pena, che mi ha causato un grave dolore di testa. Padre mio, Dio è molto sdegnato con gli uomini, e molti non lo credono. Raccomandiamoci caldamente alla gran Madre di Dio, perché si degni di placare lo sdegno di Dio.
16.2. «Di propria mano voglio ferirti»
Dal giorno 15 fino al giorno 18 agosto 1814 la povera Giovanna Felice non fa altro che piangere la mia e l’altrui ingratitudine, in una maniera tanto grande che alle volte mi sento mancare la vita, tanta è l’afflizione che provo di avere offeso un Dio tanto buono, e il vederlo tuttora offeso dagli altri mi cagiona somma pena. Si andava tanto aumentando questa afflizione, che la sera del 18 piangevo amaramente i miei peccati. Nelle orazioni, che credetti di morire.
Quando un desiderio di carità ha sorpreso il mio cuore, e ardentemente mi faceva desiderare di unirmi al mio Dio, assai più di quello che desiderar possa una cerva ferita l’amata sua fonte. Quando dall’alto dei cieli mi si è dato a vedere Dio, che trasportato dall’infinita sua carità ha vibrato amoroso dardo verso di me, per mezzo di intima cognizione mi significava i suoi sentimenti, come avesse detto: «Figlia, ricevi l’impressione della mia carità, non per mezzo di un Angelo, ma di propria mano voglio ferirti. Questo favore ti dimostra il parziale affetto che ti porto».
Ma da qual fiamma di carità restò accesa la povera anima mia non so spiegarlo. Sentivo sollevarmi tratto tratto il corpo, tanta era la forza dello spirito, che innamorato, per la particolar comunicazione di Dio, si andava sollevando per mezzo di questo amoroso colpo Dio mi unì a sé intimamente. Si può dire che mi colpì con tutto se stesso, mentre nel colpo divenni possessora felice di un Dio amante. Che grazia sua questa, non è spiegabile.
16.3. Minacce del tentatore e dei parenti
Il dì 19, 20 e 21 agosto 1814 ho dovuto molto soffrire la povera Giovanna Felice dal tentatore e dai parenti, istigati da costui. Molte sono le minacce che mi fa il nemico tentatore, perché vorrebbe che retrocedessi dal cammino intrapreso. Più volte mi ha mostrato la gran difficoltà di reggere e sostenere due stati. «È impossibile», mi va dicendo, «che possa unire gli obblighi del matrimonio con gli obblighi che scioccamente e volontariamente hai contratto con Dio! In punto di morte ti troverai di non avere a niente adempiuto. Sopra di te è scesa la maledizione di Dio! Hai tempo a fare! le funeste conseguenze che ne sono venute per il tuo spergiuro non le puoi rimediare neppure con la tua vita!».
A queste forti suggestioni non so che rispondere, mi umilio, mi anniento, mi volgo verso il mio Dio, da me tanto offeso, e piangendo amaramente lo chiamo in aiuto. Nel vedere il nemico che la povera anima mia, con la grazia di Dio, trova la maniera di umiliarsi, e con fiducia ricorre al suo Dio, fugge precipitosamente, e così il mio spirito restò nella pace del Signore.
In questa calma, ovvero sopimento che mi donò la grazia del medesimo Dio, domandai se fosse vero che maledetta da Dio fosse la povera anima mia. Fui assicurata che era grata al Signore la mia condotta, che con la sua grazia avevo intrapreso; e che «questa un giorno servirà per confondere tante madri, che non avranno adempiuto ai loro doveri, servirà di molto rossore a tante vergini, che, invece di corrispondere con fedeltà a quanto avevano professato, hanno vissuto alla libera, di sommo rimprovero sarà alle vedove la tua condotta, o mia diletta figlia, in questa maniera resterò glorificato nella mia opera».
Dal 22 agosto fino al 26 ho sofferto gravissime desolazioni di spirito, un abbandono molto penoso, una mestizia, una tetraggine. Diverse volte mi sono trovata in potere del demonio, priva di ogni aiuto, mi vedevo straziare da Gesù senza potermi liberare. Mi straziava, mi maltrattava assai più di quello che un cane mastino strazi e strappi, laceri uno straccio, quando sopraffatto dalla rabbia, morde rabbiosamente un panno e lo fa in minutissimi pezzi, così fa con me il demonio, mi maltratta, mi strazia in guisa tale che non mi è possibile poterlo ridire.
16.4. Ammaestrata da Dio
Il dì 27 agosto 1814 nella santa Comunione, racconta di sé la povera Giovanna Felice. Sono stata condotta in piccolo recinto, dove la povera anima mia ha preso un poco di riposo, per poi poter con più lena proseguire il suo viaggio verso il secondo tabernacolo del Signore. In questo piccolo recinto mi ci ha condotto lo Spirito del Signore. Questo è un luogo circondato da forte muraglia, non c’è porta né tetto, le mura altissime e impenetrabili per esser di pietra bellissima.
In questo luogo tutto spira raccoglimento e devozione, in questa solitudine vuole Dio che mi trattenga in frequento orazioni. L’anima mia in questo luogo viene ammaestrata da Dio medesimo in cose riguardanti il suo infinito amore. Mi somministra fortezza e coraggio nel patire per suo amore, assicurandomi del suo speciale aiuto in tutti i miei bisogni. Mi sono trattenuta in questo luogo circa 24 ore, e poi ho proseguito il suddetto viaggio. Oh, quanto mai è disastrosa la strada! oh, da quanti affanni è assalita la povera anima mia! oh, mio unico conforto mio, aiutatemi!
Il giorno 28 agosto è stato molto afflittivo, per la gravissima desolazione di spirito.
Il dì 29 agosto, nella santa Comunione, fui confortata da superna luce, nel mezzo della quale vidi il mio Signore, che mi confortava, e amorosamente mi fece riposare nelle sue braccia. Preso breve ma dolce riposo nelle sue amorose braccia, mi additò una strada tutta intralciata di foltissime spine, che essendosi unite da una parte e dall’altra, avevano formato in questa strada un folto spineto, di maniera tale che non si vedeva più né cielo, né terra, ma tutte spine.
Il mio spirito, nel vedere strada sì tetra e spinosa, ne concepì sommo orrore, ma il Signore mi promise la sua speciale assistenza. La sua promessa incoraggiò il mio spirito. Osservai una cosa che molto mi consolò, ed è che questa strada era stretta, ma non aveva altra strada di poter deviare, perché la mia sollecitudine non è il timore del patire, ma si è il timore di deviare dal retto sentiero.
16.5. Un alto posto tra le vergini
Prima di farmi intraprendere il disastroso viaggio, il mio Signore mi ha condotto in bella e amena pianura, bella e verdeggiante campagna, smaltata di preziosi fiori. In questo luogo si degnò il giorno 30 agosto 1814 di favorire la povera anima mia con grado molto particolare di unione. Qual dolcezza mi fece gustare! di quali abbracciamenti mi degnò, con quale unione mi unì a lui, come restai medesimata con quell’immenso bene, quale amore mi compartì, non so spiegare cose molto grandi.
Molto copiosa fu la cognizione che mi compartì Dio di se stesso. A queste cognizioni fui sopraffatta dallo stupore, e rapita dalla cognizione, mi andavo inoltrando viepiù ogni momento. Più mi inoltravo, e più mi innamoravo dell’infinito essere di Dio. Più amavo, e più lo conoscevo degno di amore. Mio Dio, mi manca la maniera di spiegare i dolci effetti che mi faceste sperimentare in questa perfetta unione. La mia grande ammirazione veniva cagionata da due riflessi, uno è di conoscere le alte perfezioni di Dio, l’altro è di conoscere qual gaudio prova Dio in se stesso nel beneficarmi. Padre mio, mi è di sommo rossore il proseguire, ma per non mancare all’obbedienza proseguirò, a gloria di Dio, protestandomi di narrare semplicemente l’accaduto, senza il minimo pensiero di sostenere le mie idee, ma lascio a vostra paternità il deciderle.
Mi ha dato a conoscere qual gaudio abbia provato il suo amoroso cuore in possedermi intimamente, per mezzo di questa unione qual contento le sia di essere amato da me, povera e misera creatura.
«La ricompensa» mi disse, «che sono per darti si è l’alto posto tra le vergini. Sì, mia diletta, tra queste sarai annoverata. Ti amo non meno di quelle che amai la mia Teresa, la mia Geltrude, figlia, oggetto delle mie compiacenze! Quanto grande è la gloria che ti aspetta! Ringrazia l’infinito amor mio, tanto parziale verso di te. La mia predilezione ti rende oggetto delle più alte ammirazioni dei cittadini del cielo. Figlia, diletta mia, parla, domanda che vuoi, cosa ti potrò negare, figlia, arbitro del mio cuore?».
A queste parole amorose l’anima dette uno sguardo a se stessa, e riconoscendosi immeritevole di tanto favore, dette in dirotto pianto. «Mio Dio», diceva piena di confusione, «e come mai, mio Dio, vi potete compiacere in me, che sono la creatura più vile che abita la terra? Mio Dio, non oscurate la vostra gloria, per beneficare quest’anima ingrata. Mio Signore, amo assai più la vostra gloria che il mio proprio interesse! Mio Dio, non posso più sostenere la piena della vostra carità. Basta, Signore, non più».
Sentivo, per la violenza dello spirito, sollevare il corpo; per l’attrazione la fiamma della carità mi aveva come incenerito, e, perduta ogni sensazione, mi pareva di più non esistere.
16.6. Il tentatore mi assaliva come cane arrabbiato
Il dì 2 settembre 1814 fui molestata da varie suggestioni dal nemico tentatore. Soffrii diversi strapazzi dal suddetto, mi impediva a viva forza di poter scrivere quanto mi comanda vostra paternità. Mi assaliva qual cane arrabbiato, faceva prova di strascinarmi per terra, farmi fare dei brutti urlacci, di farmi mordere le proprie carni; ma, per misericordia di Dio, non ebbe licenza di possedermi, ma solo gli permise Dio di assediarmi, di circondarmi per breve tempo. Ma in questi tempi, più volte provò ad assalirmi rabbiosamente. In questi assalti molto si arrabbiava, perché non mi poteva fare quel male che voleva, e per lo sdegno la prendeva contro Dio, perché non glielo permetteva.
In questi assalti restava cagionevole il mio corpo, soffrivo degli stringimenti interni, convulsioni e deliqui penosissimi.
17 – UN MISTERIOSO BASTONE
Il dì 3 settembre 1814, così racconta la povera Giovanna Felice. Fui condotta alla strada spinosa, come già dissi. Il mio Signore di propria mano là mi condusse. Quale orrore mi cagionò nel rivedere questa strada così spinosa, tetra e stretta! Ma il Signore prese a consolarmi, con darmi parole certa che non sarebbe per mancarmi il suo aiuto; sebbene mi sarebbe mancata la vista sensibile della sua presenza, ma che avessi invocato il suo aiuto in tutti i miei bisogni, che avrei sperimentato il suo aiuto, che molto efficaci sarebbero le mie preghiere, e molto giovevoli per il prossimo, ma prima di farmi intraprendere il cammino, mi furono lavati i piedi, e mi fu somministrata preziosa bevanda. Nella lavanda dei piedi restai purificata, nella bevanda restai fortificata, ma non vidi chi mi lavò i piedi, né tanto meno chi mi porse la preziosa bevanda.
17.1. Immedesimata alla volontà di Dio
Ricevuti che ebbi questi due favori, sperimentai una certa innovazione di spirito, che mi rendeva come medesimata alla volontà di Dio. Il mio Signore di propria mano mi donava un misterioso bastone, non so se bastone si possa chiamare cosa così bella e meravigliosa, che non so manifestare. Mi fece intendere che questo sarebbe il mio sostegno in questo disastroso viaggio, che in questo bastone avrei sperimentato i salutari effetti della sua potenza, della sua sapienza, della sua bontà. Mi fece intendere ancora che questo bastone non sarebbe in mio potere, se avessi offeso la sua maestà, e se, per mia disgrazia, lo offendessi gravemente, il bastone sarebbe subito disparso.
A queste intelligenze lo spirito, pieno di timore, esclamò: «Gesù mio, per carità, se prevedete che vi abbia ad offendere, mandatemi la morte. Non permettete che neppure un momento sia separata da voi». Stringendo fortemente il misterioso bastone, mi misi in viaggio per la spinosa strada, stringendo ogni momento più il bastone, per timore o di non poterlo più adoprare, oppure che mi venisse involato per i cattivi miei portamenti.
Questa strada non solo è intralciata di spini, ma vi sono dei demoni in forma di orride bestie, che tuttora fanno prova di assalirmi, ma il misterioso bastone mi rende superiore a loro, non ardiscono molestarmi.
17.2. Si sollevava il mio corpo
Il dì 5 settembre 1814 racconta la povera Giovanna Felice di sé. Fui sorpresa da interna quiete, quando vidi in quella strada spinosa il mio spirito che si avanzava nel suo viaggio, appoggiato al misterioso bastone anzidetto. Nel ricevere la santa Comunione il mio Dio mi si è dato a vedere con tanta chiarezza, che la povera anima mia è restata rapita dall’infinita bellezza di questo amabile Signore. Sono restata alienata dai sensi, ma per timore che nessuno si fosse avveduto di quanto seguiva in me, ho procurato di richiamare lo spirito alla meglio, col privarlo di rimirare nuovamente quell’immenso bello.
Mi sono privata di rimirare oggetto sì caro, per non mancare all’obbedienza che professo a vostra paternità, sapendo quanto desidera che occulti il mio spirito, ma ciò nonostante la luce inaccessibile che si manifestava al mio intelletto, faceva ardere la mia volontà di amore ardente. La fiamma della carità sollevava il mio corpo da terra. Nel sentirmi tanto leggero il corpo, che per l’attrazione dello spirito si sollevava leggiadramente, mi raccomandai caldamente al Signore, acciò nessuno si avvedesse di questa grazia, e per quanto potei, procurai di stabilire immobile il mio corpo.
17.3. Nel bastone contemplo l’augusta Trinità
Dal giorno 5 settembre fino al giorno 10, racconta la povera Giovanna Felice. Vado camminando con molta fatica e stento la spinosa strada, provo i cattivi effetti della mia fragilità, dubitavo che in pena dei miei cattivi portamenti il Signore mi levasse dalle mani il prodigioso bastone.
Oh, di quanto conforto mi sei, o sovrano bastone, tu racchiudi in te la magnificenza di un Dio trino ed uno; in te contemplo l’augusta Trinità, tu mi simboleggi gli attributi di Dio, mio Signore, tu mi dimostri la figura del divin Verbo. Oh, quante belle cose in te scolpisco, il nobile prezioso segno della tua croce mi si dimostra in questo misterioso bastone. Ah, Gesù mio, come la povera anima mia si appoggia alla vostra santissima umanità, per vincere e superare gli incomodi del disastroso viaggio e le forti tentazioni, le tetre immaginazioni e fantasmi del tentatore, che con frequenza mi assalgono, mi cagionano una smania interna, che se non fosse lo spirito del Signore che le facesse forte resistenza, commetterei gli eccessi più enormi di impazienza, darei fuoco a me stessa. Provo una collera contro il mio prossimo, particolarmente con le figlie e padre delle suddette. Mi morderei le proprie carni, cose invero del tutto nuove, perché, per grazia di Dio, il mio carattere è pacifico.
A questi assalti lo spirito del Signore mi previene col somministrarmi fortezza, pace e sofferenza, ma ciò nonostante soffro lo strapazzo che mi dà il demonio, pieno di rabbia, vedendo che non mi può vincere, rabbiosamente tramanda una vampa di fuoco, che mi sento come incendiare, e rende cagionevole il mio corpo. In queste gravi afflizioni, spesse volte sono visitata dallo Spirito del Signore, che mi conforta con dolci parole, e mi assicura che sarò vittoriosa dei miei nemici, benché si scatenasse tutto l’inferno contro di me.
«Figlia», mi sento dire, «se io sono con te, chi sarà contro di te? chi ti potrà nuocere, chi ti potrà sovrastare?». A questa intellettuale intelligenza, il mio spirito riposa in Dio, suo Signore.
17.4. La mia condotta per confondere tante donne
Il giorno 11 settembre 1814 dopo pranzo mi trattenevo avanti al santissimo sacramento, quando ad un tratto, si è raccolto il mio spirito, eccomi sono trovata per la strada spinosa, come si è detto di sopra, appoggiato vedevo il mio spirito al misterioso bastone, che camminava, quando mi sono avveduta che dovevo passare rapido torrente di spumacciose acque, che, agitato dall’impetuoso corso, faceva prova di annegarmi.
Nel vedermi in pericolo così eminente, mi sono raccomandata al mio Signore; sono stata al momento esaudita per mezzo dunque del misterioso bastone, che ha l’attività di ingrandirsi e distendersi a suo talento, ai piedi di questo è apparso piccolo sgabello, dove sono salita, e così sono restata salva dall’impetuoso torrente. Piena di gratitudine e di affetto, ringraziai il misterioso bastone, che per liberarmi dall’imminente pericolo si fosse degnato di somministrarmi mezzo così efficace, come era il piccolo ma sicuro sgabello. In questo tempo, che stavo ringraziando, mi è sopraggiunto altro pericolo, non meno afflittivo del primo. Si è sollevato rabbioso vento, che faceva prova di balzarmi dalle mani il bastone e dai piedi il sicuro sgabello.
Oh, quanto mai fortemente stringevo con le mani il bastone e con i piedi procuravo di stabilirmi sopra il prezioso sgabello, porgendo calde suppliche all’Altissimo.
Oh, portento prodigioso, il bastone si è dilatato, si è disteso, e ha formato attorno a me piccolo recinto, che mi ha rassicurata, e dalle rapide acque e dal rapido vento, così circondata da questo miracoloso bastone, ho riposato sicura. In questa quiete, si è degnato il mio Dio manifestarmi i tratti misericordiosi della sua infinita carità verso la povera anima mia. Così coperta e circondata per liberarmi dalla potestà del nemico insidiatore, e da orrende tentazioni, mi ha degnato di questo favore per dimostrarmi l’affetto parziale che nutre verso l’anima mia e la singolare condotta con cui va regolando il mio spirito, mi ha dato a conoscere come mi devo portare verso di amore così infinito, vuole che viva staccata affatto da tutto il sensibile, viva morendo a tutto, per amor suo. Mi ha promesso di salvare le due mie figlie, ma scioccamente io ho chiesto di più: «Desidero, mio Dio, che non vi offendano queste due fanciulle, e questo lo chiedo per rendere onore e gloria a voi».
«Non cercare di più», mi sono intesa rispondere, «il salvare le anime è di sommo mio onore!». Queste parole mi hanno cagionato sommo dolore di avere oltraggiato Dio con il nefando spergiuro. Oh, non ti avessi mai offeso, bontà infinita! Mi fu di sommo orrore il ricordarmi di avere offeso un Dio tanto buono, che dalla pena credevo di morire soffocata dal pianto e dal dolore, quando mi è stato manifestato come le mie colpe non avevano apportato alcun documento a Dio, per essere quel Dio che è; ma che la mia condotta servirà per confondere tante vergini, che nei sacri chiostri, lontane dai pericoli, non seppero mantenere quanto promesso avevano nei santi voti.
«Io mostrerò loro l’anima tua, in mezzo a gravissimi pericoli con la mia grazia sapesti mantenere il voto di castità, rimprovero sarà alle vedove, che libere restarono dal vincolo del matrimonio, non seppero approfittarsi di merito così grande. Cosa dovranno soffrire di rossore e di confusione quelle madri che non per me, ma per il demonio educarono la loro prole! ». In questi e simili termini andava manifestandomi Dio le sue misericordie.
17.5. Il favore di adorare la santissima croce
Il dì 14 settembre 1814 nella santa Comunione racconta Giovanna Felice di sé. Dal lago in cui mi ritrovavo, come dissi di sopra, mi sono trovata in un’amenissima valle. Vedevo in questa molti spiriti celesti, nel mezzo di questa valle, vedevo la santissima croce, tutta sfolgoreggiante di luce, adorata da molte schiere angeliche. Anche io sono stata fatta degna, per la grazia di Dio, di favore tanto grande di adorare la santissima croce. Sono stata invitata da questi beati spiriti, con il nome di amica di Dio.
A queste parole si è inorridito il mio spirito, e non ho osato di inoltrarmi, ma annientata nel mio nulla mi confessavo per quella che sono, la più vile tra tutte le creature. Presa da questo sentimento si umiliava lo spirito e ricusava la grazia; quando una forza superiore là mi ha condotto, e insieme con i santi Angeli ho adorato la santissima croce, segno adorabile della nostra salute.
17.6. Introdotta nel secondo tabernacolo
Il dì 18 settembre mi sono trovata in luogo magnifico, che non so nominare, vedevo in questo luogo ripieno di spiriti celesti, che festosi a me si approssimavano, e cortesemente mi invitavano ad andare con loro. Dopo aver confessato la mia scelleraggine, mi sono inoltrata nel mezzo di questo immenso luogo, vedevo risplendentissima luce; questi messaggeri celesti si compiacevano di corteggiare la povera anima mia, e vicendevolmente con me si congratulavano per l’alto favore che ero per ricevere dall’Altissimo.
A questi grandi encomi la povera anima mia restava ammirata di tanto e magnifico applauso. Era questo molto più grande di quello che possa ricevere una sovrana, quando sia invitata dal Re suo sposo alla reggia. A mia confusione facevano a gara di potermi corteggiare. Questo sovrano stuolo di santi Angeli mi ha condotto con gran festa al mio Signore, ma nell’avvicinarmi a quella immensa luce mi andava mancando la forza, e le potenze dell’anima venivano, per mezzo di quella luce a perdersi in quell’immensità, ma prima di più inoltrarmi, mi è stato coronato il capo di preziosa corona, mi è stato dato nelle mani un segno di maggioranza, ossia di governo altrui, in questo tempo la luce mi ha sopraffatta e sono come morta, riposando placidamente in questa luce stessa, più non capivo, più non riflettevo, ma come persa nell’immensità di Dio ero restata come estinta, quando i santi Angeli mi hanno circondato, la luce si è distesa in forma di bara, e così sono stata introdotta nel secondo tabernacolo del Signore.
Di quale unione Dio mi abbia degnata non è spiegabile. Dopo di avermi manifestato gli affetti più teneri della sua infinita carità, mi ha dato a conoscere di quanta utilità sarò al mio prossimo, per parte della sua grazia verranno da me beneficate tante anime.
17.7. Sàziati di me!
Il dì 22 settembre 1814 ero fuori modo afflitta per aver mancato alla carità del prossimo con parole, dopo essermi confessata proseguivo a piangere amaramente il mio peccato, quando ad un tratto fui sorpresa da interna quiete, la più intima che si possa mai dire. In questa quiete ho veduto il mio spirito in figura di candida pecorella vicino al mio Signore, che sotto l’aspetto di amoroso pastore, mi accarezzava.
Oh, quante finezze faceva questo pastorello alla sua pecorella! Dopo averla accarezzata, la baciava; le partecipava la sua dolcissima saliva, ovvero per meglio dire, mi partecipava dolcissima acqua, che scaturiva dalla sua divina bocca, e questa era come prezioso liquore, di questo mi porgeva con la sua mano santissima.
«Nutrisciti, saziati di me», diceva, ponendo nella bocca della pecorella il prezioso liquore; ma, come questo non fosse bastante a saziare l’infinito amor suo, si è degnato di unire la bocca sua alla bocca della pecorella, e amorosamente l’affiatava, perché questa vivesse della sua stessa vita.
E come potrò io spiegare i mirabili effetti che ha sperimentato il mio cuore. Lascio a vostra paternità il poterlo immaginare, il che sarà più facile di quello che posso io ridire.
Dopo aver ricevuto tutto questo bene, mi fece riposare presso di lui, e in segno di sicurezza poneva sopra la pecorella il suo bastone, mi diceva: «Figlia, non temere i tuoi nemici. Sarai di questi vittoriosa».
Volgo lo sguardo e vedo in qualche distanza una moltitudine di lupi che mi insidiavano, ma non gli era permesso di avvicinarsi, per la rabbia ruggivano e dispettosamente con i loro artigli zappavano la terra. A questo vedere, tutta sollecita mi volgevo al buon pastore per il timore che quei lupi si avvicinassero. Fui assicurata che nessuno mi avrebbe molestato. Assicurata su di ciò riposai in pace.
17.8. Il Signore mi invita al suo talamo
Il dì 28 settembre 1814 fui sopraffatta da un dolce sonno. Dopo breve riposo mi destai dalla dolce armonia che si udiva da ogni intorno. Tra questi armoniosi suoni, si udiva voce dolcissima, che replicatamente mi invitava; questa era la voce del mio Signore, che trasportato dall’infinita sua carità, mi invitava al suo talamo.
A questi amorosi inviti, la povera anima mia si confondeva in se stessa, e piangendo dirottamente per la umiliazione che mi apportava il favore di Dio, riconoscendomi affatto indegna, sentivo intanto un amore grande verso il mio Signore. La gratitudine mi struggeva, l’amore mi accendeva di affetti santi verso il liberalissimo donatore, mentre la povera anima mia stava struggendosi di amore, mi fu comunicata una dolcezza celestiale, che mi teneva alienata dai sensi, quando ho veduto apparire il glorioso san Michele arcangelo, sfolgoreggiante di chiarissima luce; mi faceva coraggio di inoltrarmi viepiù. Lui stesso, accompagnato da moltitudine di Angeli, si è degnato di accompagnarmi al talamo del mio Signore.
Immensi applausi, infiniti onori ricevetti da quei cortigiani celesti, ma segnatamente dal glorioso san Michele. Questo inclito principe, per la sua umiltà, reputava per favore il potermi presentare all’Altissimo. A queste cognizioni chiarissime la povera anima mia si umiliava profondamente e ne rendeva a Dio l’onore, la gloria, annientando se stessa nel proprio nulla tutta tutta si rallegrava nel suo Signore.
Intanto mi andavo inoltrando verso l’infinito essere di Dio, accompagnata da immenso stuolo di spiriti celesti, come si è detto di sopra. Quando siamo vicini a quella immensità, sono stata sopraffatta da nuova luce, che mi ha internata in un caos di luce infinita. Ho perduto a questa ogni idea sensibile, sono stata per pochi minuti assorbita da quella immensa luce. Quando mi sono destata da questo sopimento, si udivano armoniose voci, che cantavano: «Quis ascendet in montem Domini, aut quis stabit in loco sancto eius, innocens manibus et mundo corde», con quel che segue del Salmo, fino al Gloria.
Non è spiegabile il gaudio che ho sperimentato, la fiamma della carità che mi ha comunicato il mio Signore. In questa unione mi ha promesso di esaudire le mie povere preghiere, e di beneficare tutte le persone che mi beneficano, e tutte quelle che mi beneficheranno per il tempo a venire: tutti saranno benedetti eternamente.
17.9. Un gaudio infinito
Il dì 2 ottobre 1814 racconta la povera Giovanna Felice, sono stata sorpresa da dolce riposo, quando nel sonno stesso vedevo intellettualmente il mio spirito in prezioso gabinetto reale, che riposava dolcemente sopra preziosissimo drappo smaltato di preziosissime gemme, ai pizzi di questo vi erano quattro fiocchi d’oro finissimo, che lo adornavano, la luce che tramandava questo luogo rendeva illustre questo ricchissimo drappo, in questo riposo intanto godeva il mio cuore una dolcezza, un gaudio di paradiso, quando ho veduto apparire i santi Angeli, che sono soliti favorirmi, che mi hanno asperso di fiori in tanta copia, che i fiori venivano a formare bellissimo manto, che mi copriva da capo a piedi. I fiori erano di color bianco, rosso e turchino, avevano un odore gratissimo di paradiso, intanto la luce andava crescendo ogni momento più, finalmente è apparsa in mezzo a questa il sovrano Re della gloria, che innamorato della vaghezza e della fragranza dei fiori, rapidamente con gli splendenti suoi raggi mi investiva, mi univa a sé intimamente. Goduto di questo bene l’anima restava tutta assorta in Dio, godendo un gaudio infinito, lodava benediceva amava, quanto mai dir si possa, il suo Signore.
Quando sono nuovamente apparsi i santi Angeli suddetti, e con sommo rispetto prendevano quei fiori e formando delle piccole croci le ponevano in tre bellissimi vasi triangolari. Quello che osservai è che non mischiavano le croci che davano componendo; ma ognuno le poneva nel suo rispettivo vaso, sebbene le croci fossero del tutto compagne. Le croci erano composte di fiori rossi e turchini, tutte raggiate di fiori bianchi. Questa operazione veniva a rendere al mio povero spirito una umiltà tanto profonda che non è spiegabile.
18 – VITTIMA PER LA SANTA CHIESA
18.1. I miei gravissimi peccati
Dal primo di ottobre, come si disse al foglio numero, fino al 19 del suddetto mese, così la povera Giovanna Felice. Il mio spirito ha sempre goduto una interna pace, un raccoglimento molto efficace. Questo non mi fa desiderare altro che Dio in tutti i momenti della mia vita, mi viene poi compartita dalla grazia di Dio una certa propria cognizione, e questa mi fa detestare con abbondanti lacrime i miei gravissimi peccati, per mezzo di cognizioni intellettuali mi dà a conoscere le amorose premure del suo nobil cuore, mi dà a conoscere quanto grandi erano le diligenze che usava verso di me, quando io mi ero allontanata da lui con il peccato, perché non perissi in quello. Di più mi fece conoscere come mi teneva occulta la malizia del peccato stesso, perché l’anima mia non fosse aggravata di maggior reato.
A queste cognizioni il mio spirito si accende di santo amore verso il suo Signore, e sopraffatta dalla gratitudine si andava disfacendo di amore in lacrime. Così ho passato questi giorni, senza ridire quali sono stati i buoni effetti che ho sperimentato nella santa Comunione in tutti questi giorni. Senza dilungarmi di più, vostra paternità li può comprendere.
Il dì 20 ottobre nella santa Comunione mi degnò il mio Signore di un grado di unione molto particolare, ma non so manifestarlo, per essere cosa che riguarda l’intelletto. Molto grandi furono le cognizioni e i buoni effetti che ricevette il mio spirito da questa intima intelligenza, che io non so manifestare, per essere cosa molto straordinaria, assai più di ogni umano intendimento. Fui propriamente assorbita da Dio e sollevata dall’immensità di Dio e immedesimata in questa immensità, mi manca la maniera di spiegare di più.
18.2. La Chiesa scossa da furioso vento
Il dì 23 ottobre 1814 dopo la santa Comunione, racconta di sé la povera Giovanna Felice: il mio spirito fu prevenuto da interna illustrazione, e fui come trasportata al di sopra del mondo, mentre mi vedevo in luogo così eminente, senza mai perdere la cognizione del proprio mio nulla, vedevo il mondo ripieno di miserie e peccati, vedevo la Chiesa sotto il simbolo di forte e magnifico fabbricato, che fortemente era scossa da furioso vento. Questo vento invano faceva prova di rovinarla; già era sul punto di cadere. Un’anima a me cognita, per comando di Dio e per la compassione che sentiva di vedere la Chiesa di Dio così dibattuta dal vento delle massime insane di tanti che, sotto le ombre di bene, pretendono di rovinarla, costoro tirano sopra il mondo i fulmini del cielo; ma Dio saprà, con la sua infinita sapienza, punire gli empi, e salvare gli innocenti.
Quest’anima dunque, andava piena di fede, mossa dal comando di Dio e dalla carità, andava a sostenere il magnifico fabbricato, che è quanto dire chiedeva la suddetta anima in grazia il sospendere la sua divina giustizia; mentre nell’altezza in cui la suddetta si ritrovava godeva negli ampi spazi della divinità, la vicinanza di Dio; e come solo si trovava in quella immensità tutta raccolta in Dio, che la degnava dei casti suoi abbracciamenti, cosa mai conosceva di immenso, di magnifico, di infinito non è spiegabile, qual perfezione in quel momento compartiva Dio a questa anima non è spiegabile; compiacendosi Dio di averla a sé avvicinata la rese oggetto delle sue compiacenze, così condonò alla suddetta il suo sdegno irritato; in quel momento la rese arbitra del suo cuore.
18.3. Promessa di vita eterna anche per P. Ferdinando
Il dì 26 ottobre 1814, ascoltando la Messa di un sacerdote a me cognito, fui sopraffatta da interna quiete. Dio si degnò di unire con vincolo di carità il mio spirito a quello del celebrante. Conobbi la maturità delle sue virtù, a questa cognizione il mio povero spirito si appoggiava delicatamente nelle virtù del suddetto; intanto Dio mi si fece presente e si degnò di farci riposare entrambi nel suo paterno seno. Si degnava mirarci con sommo amore, e nel mirarci ha promesso ad ambedue la vita eterna. Padre mio, mi promise di mantenermi la promessa, ne impegnò la sua parola. Dunque tocca a noi corrispondere fedelmente alle sue infinite misericordie.
18.4. Per piacere al mio Signore
Il dì 30 ottobre 1814, ascoltando la Messa cantata al SS. Bambino Gesù, fu il mio spirito sopraffatto da interna quiete. Fu ad un tratto abbracciato il mio spirito dallo spirito del Signore, e rapidamente condotto in luogo grande e magnifico. Mi furono in questo luogo comunicati santi desideri. Questi desideri mi avvicinavano a Dio e mi facevano conoscere le sue divine perfezioni. Queste cognizioni mi accendevano di santo amore, l’amore mi faceva bramare la perfezione, in maniera che ogni gran patire mi pareva lieve per poterla acquistare; non ad altro fine la bramava, che per piacere al mio Signore, e così rendere a lui onore e gloria, rinunziando al mio proprio interesse spirituale e temporale.
Molto gradì la mia offerta il buon Signore, e mi fece intendere che voleva di più. A questo intendere, la povera anima mia, tutta amore, tutta carità, così parlò al suo Signore: «Mio Dio, mio Signore, cosa volete da me? Parlate, che la vostra serva vi ascolta! Mio Dio son pronta a fare qualunque sacrificio per potervi piacere».
Allora il Signore mi fece intendere, per parte di intima intelligenza, quello che voleva da me. Padre mio, non so spiegare la maniera prodigiosa che usa Dio verso di me da qualche tempo a questa parte, più non mi parla, ma mi significa chiaramente la sua volontà, assai più chiaramente che se mi parlasse. Mi viene significata in una maniera quanto mai bella: questa cognizione mi veniva somministrata dalla vicinanza di Dio, in cui mi trovavo, per la grazia di Dio, che senza mio merito mi aveva tanto innalzata.
Mi ha dunque significato la sua volontà, ed è che mi offra all’eterno Padre qual vittima, per riparare ai gravi bisogni della santa Chiesa, e alla cattiva amministrazione della suddetta... e che, spogliata affatto di tutto, mi offra a pro della santa Chiesa e dei peccatori, e di quelli che non lo conoscono. Vuole che rinunzi a pro di questi a tutte le opere meritorie, che con la grazia sua ho praticato fino ad ora, e tutte quelle che sono, con la grazia sua, per fare fino all’ultimo respiro della mia vita; vuole che mi offra di patire ogni qualunque pena in vantaggio dei suddetti.
A questa amorosa domanda il mio spirito si è profondato nel suo nulla, e riconoscendolo per assoluto padrone del cielo e della terra, così parlò la povera anima mia: «Sì; mio Dio, voi siete padrone assoluto dell’anima mia. Fate di me ciò che vi aggrada. Se il mio confessore si contenta, io vi prometto di fare questo sacrificio».
Benché l’acconsentire fosse con questa condizione, al momento sono stata trasportata in una profonda valle, ripiena di affanni, di angustie, di travaglio, di amarezze, e di quanto mai di pene possa immaginarsi, nel vedere cose così tetre e afflittive. Si è inorridito il mio povero spirito e quasi sopraffatta dal terrore di simili sciagure, ero sul punto di negare il mio consenso; ma improvvisamente vidi apparire un’ombra chiarissima di luce, in questa mi si manifestò Gesù Cristo Signore nostro, che mi faceva coraggio perché avessi acconsentito a quanto mi aveva manifestato. Così mi sentivo dire: «Figlia, diletta mia, offriti al mio celeste Padre a pro della mia Chiesa. Ti prometto il mio aiuto».
18.5. Le calamità della Chiesa
Per persuadermi, si è degnato mostrarmi le calamità della suddetta. Per la seconda volta sono tornata a vedere il fabbricato rovinoso, sono stata condotta dentro di questo, e mi sono stati mostrati gli sconcerti che nella Chiesa succedono. Mio Dio! cosa dirò? non è possibile di crederlo!
Vidi come gli indegni prevalgano la giustizia con tanto disonore di Dio! Vidi l’oppressione dei poveri! Vidi i sacrilegi che si commettono da tanti ministri di Dio! Vidi l’ingordigia di questi, l’attacco che hanno ai beni transitori, la dimenticanza del vero culto di Dio! Vidi il bene apparente, fatto per fini indiretti! Che delitti sono mai questi non si possono comprendere.
A queste cognizioni mi inorridii, e quasi dubitando che Dio fosse per subissare il mondo, tremavo da capo a piedi. Fui poi condotta a vedere il santuario, e, per il rispetto del culto di Dio, mi fu comandato di entrare in questo, a piedi scalzi. Mi fu mostrata la cattiva amministrazione dei santuari. Vidi il gran disonore che riceve Dio dai cattivi sacerdoti. Fui poi condotta per mezzo di una scala in luogo molto eminente, dove mi si diede a vedere il giusto sdegno di Dio, irritato contro di noi, poveri peccatori.
Non ho termini di spiegare a sufficienza cosa tanto terribile e spaventosa. Cercavo per il timore di nascondermi nelle viscere della terra, mi pareva che in quel momento Dio volesse subissare il mondo. Macché! il nostro amoroso fratello Gesù Cristo si è fatto avvocato per noi, presso il suo celeste Padre. Mi fece l’amoroso Signore intendere che mi fossi a lui unita e offerta mi fossi al suo divin Padre, per così placare il suo sdegno, ma il divin Padre non mi voleva ricevere. Gesù Cristo Signore nostro ha posto sopra di me i preziosi suoi meriti, e al momento sono stata rivestita di splendidissima luce e sono divenuta assai più bella del sole, e in questa maniera sono stata ricevuta dal divin Padre, ad istanza delle valevolissime preghiere di Gesù Cristo si è placato lo sdegno di Dio Padre, e si è degnato sospendere il tremendo castigo e dare spazio di penitenza a noi poveri peccatori. Ma il tempo che ha determinato di aspettare a penitenza è breve. Ah, potessi con il mio sangue convertire tutto il mondo! perché nessuno perisse, quanto lo spargerei volentieri, a costo di ogni gran pena! Tutta piena di fiducia nei meriti di Gesù Cristo, mi offrivo a Dio di patire ogni pena, risoluta di morire per compiacere il mio Signore, e per vantaggio dei peccatori, fratelli miei, e per vantaggio della nostra Madre, la santa Chiesa. Molto gradì la mia povera offerta l’eterno Dio. Nel conoscere il suo gradimento, il mio spirito, annientato nel suo nulla, non si poteva persuadere come fosse possibile che Dio potesse restare glorificato da sacrificio tanto misero, qual è la povera anima mia.
Il Signore mi ha fatto intendere che avessi adorato i suoi divini decreti e le sue divine disposizioni, che avessi attribuito questa nobile operazione alla sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di restare glorificato negli umili di cuore. Nell’intendere queste ragioni, ad imitazione della santissima Vergine Maria, la povera anima mia, piena di ossequio e di rispetto, confessò l’infinita potenza di Dio, suo Signore, e quale umile ancella a lui si offrì, acciò facesse di me quello che voleva, sempre che accordata mi fosse dal mio padre la licenza della surriferita offerta.
18.6. Feci l’esproprio di tutto ciò che si trova in me
Il dì 1 novembre 1814 la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del mio padre mi portai a Santa Maria Maggiore, dove feci l’esproprio di tutto quello che si trova in me, tanto nell’ordine della grazia, quanto nell’ordine della natura: i sentimenti del corpo, gli affetti del cuore, le potenze dell’anima, e tutto quello che si trova in me, tutto, tutto offrii al divin Padre, tutte le sue misericordie, che ha finora usate verso di me, e tutte quelle che si degnerà farmi per il tratto successivo, fino alla mia morte. Così, per compiacere il mio Signore, rinunziai a ogni qualunque vantaggio e onore mi possa avvenire nell’amarlo e servirlo, protestandomi da quell’ora in poi di rendermi incapace di meritare per me stessa, in vigore dell’offerta suddetta, ad onta di ogni qualunque grande opera possa mai fare, per meritoria che ella sia, in tutto il corso della mia vita, ma povera e nuda affatto voglio e desidero comparire avanti al tribunale di Cristo giudice. Rinunciando a tutti i propri vantaggi, per la gloria del medesimo Dio, solo desidero e voglio sia glorificato, non cercando più per me né eterna vita né eterna morte, ma tutta abbandonata alla sua carità, senza altro pensiero che la sua maggior gloria.
Il primo di novembre 1814, la mattina dopo la santa Comunione, per ordine del mio confessore, mi portai a santa Maria Maggiore, dove feci lo sproprio di tutto quello che, per la grazia di Dio, si trova in me, tanto nell’ordine della grazia, quanto nell’ordine della natura, e a vantaggio della nostra Madre, la santa Chiesa, e dei peccatori, e di quelli che non conoscono Dio. Offrii i sentimenti del corpo, gli affetti del cuore, le potenze dell’anima mia e tutte le misericordie che Dio ha usato finora verso di me, e tutte quelle che si degnerà usare verso di me per il tratto successivo, fino alla mia morte, come si è detto nei fogli passati.
Fatta la suddetta protesta, sono restata spogliata affatto di ogni bene. In vigore della rinunzia che ho fatto a Dio, mi sono resa incapace per me stessa di meritare cosa alcuna. Fatta dunque l’offerta, in unione di quella che fece Gesù Signore nostro, per amore del genere umano e per la gloria dell’eterno suo Padre, unii il mio povero sacrificio in unione dei fini nobilissimi che ebbe la sua santissima Umanità nel sacrificarsi sul patibolo della croce a vantaggio di noi, poveri peccatori.
Vedo apparire due Angeli, con due calici in mano, che con profondo rispetto tenevano nei suddetti calici la povera mia offerta, che, in virtù dei meriti di Gesù Cristo, ai quali l’avevo unita, come dissi di sopra, si era cambiata in preziosissime gioie e in prezioso liquore. Questi santi Angeli, pieni di affetto verso la povera anima mia, mi introdussero in luogo vasto e magnifico, era questo luogo ripieno di luce. I santi patriarchi Felice e Giovanni mi si fecero incontro e mi accompagnarono all’augusto trono di Dio. Con somma pompa i santi Angeli presentarono i due calici nelle mani dei santi patriarchi, i santi patriarchi li consegnarono nelle mani di Maria SS., che supplichevole si tratteneva all’augusto trono di Dio. Lei stessa presentò i due calici all’eterno Padre. Che bella comparsa facevano quei calici nelle mani di Maria Vergine santissima molto più belle e piene di splendida luce erano le gioie, ed il liquore tramandava un odore soave. I suddetti calici restarono fissi avanti al trono di Dio.
18.7. Dal suo cuore un raggio di splendidissima luce
Il dì 4 novembre, assistendo alla Messa cantata in San Carlo alle Quattro Fontane, fui sopraffatta da interna quiete, quando mi furono manifestate le ingiurie, gli affronti, gli strapazzi che il nostro Signore Gesù Cristo riceve dai suoi ministri, particolarmente da quelli che amministrano la giustizia, da quelli che governano.
Vidi come questi barbaramente ponevano sotto i loro piedi il crocifisso Signore, come temerariamente laceravano le sue carni verginali, quanti affronti, quante ingiurie, quanti strapazzi! Nel vedere simile nefandità, il mio spirito, pieno di un santo zelo, volevo io stessa precipitare per distruggere gli iniqui persecutori del mio crocifisso Signore. Ero sul punto di gridare giustizia sopra questi miseri, quando mi è apparso il mio caro Gesù, tutto amore verso i miseri persecutori. La sua carità ha comunicato al mio povero cuore amore e carità verso i suddetti.
«Ah, figlia», mi disse il Signore, «chiedi misericordia e non giustizia! Io non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva». Nel dire queste parole, ha tramandato dall’amoroso suo cuore un raggio di splendidissima luce. «Prendi», mi disse l’amantissimo Gesù, «prendi, o mia diletta figlia, nelle tue mani lo splendore della mia misericordia. Distendi sopra questi il forte riparo, per sostenere i fulmini dell’irritata giustizia».
A queste parole, con sommo rispetto e riverenza, ho preso nelle mie mani il raggio di splendidissima luce, che tramandava dal suo SS. Cuore, e unitamente a Gesù Cristo ho disteso questo forte riparo sopra i suddetti. Sono poi ad un tratto passata a vedere la irritata giustizia. Oh, Dio, che terrore, che spavento! Oh come mi pareva che al momento volesse subissarli, ma il forte riparo che aveva posto Gesù Cristo sopra di loro, per mezzo di quella luce, come si è detto di sopra, faceva sì che i fulmini dell’irritata giustizia non fossero atti ad incenerirli; ma se dopo tante misericordie non mutiamo costumi, guai a noi, guai a noi! la misericordia si cambierà in furore.
19 – DOLCE RIPOSO IN DIO
19.1. Chiede per le figlie la grazia della vocazione
Il dì 5 novembre nel salire la Scala Santa, ebbi forte ispirazione di chiedere per le due figlie la grazia della vocazione. Mi raccomandai dunque caldamente al Signore, acciò si fosse degnato di concedermi la grazia per i suoi meriti e per i meriti di Maria SS.
Fatta che ebbi la preghiera, vidi la beatissima Vergine, che pose nei loro cuori due gioie bellissime, queste spero con la grazia di Dio che si dilateranno e si faranno padrone del loro cuore, purché corrispondano con la loro cooperazione, e, se ciò non fosse, guai a loro, guai a loro! un torrente di afflizioni le aspetta, con pericolo della loro eterna salvezza.
19.2. Nella messa liberi dal purgatorio
Il giorno 14 novembre, dopo la santa Comunione, sentendo suonare le campane a morto della chiesa dei Padri Trinitari di San Carlo alle Quattro Fontane, dove io mi trovavo, non sapendo qual fosse il motivo di questo suono funebre, si trovava in questo tempo il mio spirito in sommo raccoglimento, quando mi fu manifestato che suonavano le suddette campane per suffragare le anime dei Padri Trinitari che si trovavano in Purgatorio.
Mi fu manifestato che nel celebrare la Messa cantata i suddetti Padri sarebbero liberi dal Purgatorio. Questa notizia molto consolò il mio spirito, quando da mano invisibile fui trasportata in un certo luogo che io non so manifestare, dove ebbi la bella sorte di vedere queste anime fortunate, che tutte ansiose stavano aspettando il felice momento di potersi unire a quell’immenso bene, che ardentemente bramavano di possedere.
I suddetti Padri non erano che nel numero di tre o cinque, non potevo bene distinguere quanti fossero, per la moltitudine di altre anime, appartenenti a questo sacro Ordine Trinitario, che umilmente si raccomandavano per presto sortire da quelle pene. Le loro premure destarono in me un gran desiderio di liberarle da quelle pene. Mi raccomandai caldamente al Signore, affinché degnato si fosse di consolare tutte le suddette anime.
Il Signore si degnò di esaudire le mie povere preghiere, e mi fece intendere che ascoltata avessi in suffragio di loro la Messa, che unitamente ai Padri Trinitari sarebbero liberate ancora queste anime appartenenti all’Ordine suddetto.
Nell’Introito tutte queste anime mutarono aspetto, da pallide e smorte, da afflitte e dolenti al momento divennero floride e vivaci, tutte assorte in Dio, ansiose stavano aspettando il felice momento di poterlo possedere.
Nel cantare la Dies illa si misero tutte in bell’ordine, nell’Oremus fu data loro una certa disposizione, e divennero chiare come l’ambra, furono purificate nei meriti di Gesù Cristo.
Al Sanctus apparve candida luce, che le rese quanto mai belle. All’Elevazione furono per mano degli Angeli condotte al Cielo. Nel dire Benedictus qui venit furono ricevute dall’eterno Dio e annoverate tra i beati comprensori del Cielo.
19.3. Nell’immensità del sommo Dio
Il 20 novembre 1814, giorno del gran patriarca san Felice di Matha, così la povera Giovanna Felice racconta di sé. Dopo breve offerta e rinnovazione dei voti, si tratteneva il mio spirito nel conoscere il suo nulla; la mia ingratitudine piangevo e con abbondanti lacrime deploravo le mie colpe, quando ad un tratto interna quiete prevenne il mio cuore e al momento dalla grave afflizione passai in una quiete molto perfetta, fui circondata da un bene che mi fece obliviare il male che conoscevo in me. Questo bene donò al mio cuore pace, tranquillità e amore verso quel bene che mi circondava; come il fuoco purifica l’oro, così questa bella luce purificò la povera anima mia. Più non appariva in me macula alcuna, ma investita dal suddetto bene, che non solo mi circondava, ma mi penetrava, mi medesimava in se stesso. Benché mi vedessi sì bella, non per questo dimenticai di essere la creatura più vile che abita la terra; ma piena di ammirazione, rendevo onore e gloria all’eterno Dio, e ne formavo il più alto concetto, ammirando la sua infinita sapienza, che sa trovare la maniera di beneficare gli ingrati.
Piena di ammirazione lodavo l’infinito suo amore, intanto per mezzo di queste cognizioni, si accendeva la volontà di santo amore; e senza avvedermi di essermi tanto inoltrata, mi trovai negli ampi spazi dell’immensità del sommo Dio. Dai santi patriarchi Felice e Giovanni di Matha fui accompagnata in questa immensità, fui intimamente unita, fui intimamente assorbita. Padre mio, non ho termini sufficienti di spiegare in realtà grazia sì grande, solo Dio le può far conoscere, per mezzo di intima illustrazione, quello che io, per la mia insufficienza, non so manifestare.
Il dì 27 novembre 1814 nella santa Comunione fui sopraffatta da interna quiete. Il mio spirito godeva la presenza di Dio, senza vedere, senza operare, ma dolcemente riposavo in Dio, e in profondo silenzio amavo quanto mai creatura intellettuale può amare il suo Creatore. Non ho termini sufficienti per manifestare la profonda estasi, si degnò sollevare il mio povero spirito, quanta cognizione mi donò il mio Dio delle sue divine perfezioni! Oh, come la povera anima mia a queste cognizioni restò assorta in Dio! Oh, come si struggeva di amore verso l’infinito bene, che conosceva in Dio suo Signore! Tutto il resto della giornata fui incapace di altra riflessione. Mi trattenni più o meno immersa in quell’infinito bene, che conosciuto e goduto avevo nella santa Comunione, come si è detto di sopra.
Dal giorno 27 fino al giorno 30 del suddetto mese di novembre, il mio spirito ha sempre goduto una interna quiete, un profondo raccoglimento, perché la mattina nella santa Comunione il mio Dio tornava a sollevare il mio povero spirito. La interna illustrazione mi teneva tutta la giornata sopita in Dio, mio Signore.
Dal giorno 30 novembre 1814 fino al dì 4 dicembre il mio spirito l’ha passato in piangere amaramente le sue colpe, in una maniera tanto viva, che credevo di morire di dolore, al riflesso di avere offeso un Dio tanto buono. Questo dolore era accompagnato da una certa speranza in Dio; questo dolore non riguardava altro che Dio offeso, non i miei vantaggi; mentre mi protestavo, con tutta la sincerità del mio cuore, che più volentieri mi seppellirei all’inferno, piuttosto di vedermi ingrata al mio Dio.
19.4. Un santo pellegrinaggio a Nazaret
Il dì 5 dicembre 1814 mi trattenevo nella chiesa di Sant’Andrea, noviziato dei Padri Gesuiti, con licenza del mio confessore. Per otto giorni mi portai alla suddetta chiesa a fare la santa Comunione, ad onore del glorioso san Francesco Saverio, mio protettore ed avvocato. Il terzo giorno del suddetto ottavario, dopo la santa Comunione, si raccolse il mio spirito intimamente, quando mi apparvero i santi Angeli che sono soliti favorirmi, e mi invitarono a fare con loro un santo pellegrinaggio.
Il mio spirito, riconoscendosi affatto indegno, ricusava la grazia, ma i suddetti santi angeli mi fecero coraggio a sperare nei meriti di Gesù Cristo Signore nostro, le loro parole riempirono il mio cuore di santi affetti, sperando vivamente nei meriti del mio caro Gesù, intrapresi il santo pellegrinaggio. Mi trovai dunque in luogo deserto, scortata dai santi Angeli suddetti, che precedevano il mio cammino. Mi furono in questo luogo donati santi desideri, ma particolarmente mi fu donata una santa umiltà, che mi faceva conoscere il mio nulla. Questa cognizione rendeva un santo raccoglimento al mio povero spirito, questo raccoglimento durò fino al giorno sette del suddetto mese di dicembre.
Il dì 7 dicembre 1814, nella suddetta chiesa, nella santa Comunione mi trattenevo a piangere i miei gravissimi peccati, quando ad un tratto mi sono trovata nel luogo deserto in compagnia dei santi Angeli, come si è detto di sopra. In compagnia dei suddetti ho proseguito il santo pellegrinaggio. Mi hanno condotta in Nazaret, alla piccola casa della gran Madre di Dio.
Ho veduto questa divina Signora con il suo castissimo sposo san Giuseppe. Li vedevo circondati di candida luce, erano ambedue assorti in Dio. Mi degnarono, questi divini personaggi, di farmi baciare i loro piedi santissimi. A grazia così grande il mio spirito provava gli effetti più efficaci di carità, di umiltà, di gratitudine.
Oh, quanto si umiliava il mio povero cuore nel vedermi così favorita da Giuseppe e da Maria. Oh, che dolcezza di spirito nel trovarmi vicino a questi nobilissimi personaggi! Oh, quale amore non mi compartivano! Il loro solo sguardo fu sufficiente per infiammarmi il cuore di santo amore. I santi Angeli condottieri, pieni di ammirazione, lodavano e benedicevano Dio per l’alto favore che mi veniva compartito da questi incliti personaggi. Lodavano la loro santità, si rallegravano con la povera anima mia, dicevano: «Oh, anima fortunata! qual eccellente favore ti viene compartito dalla nostra regina!».
A questi rallegramenti dei santi Angeli, il mio spirito viepiù si umiliava e si confondeva nel suo nulla, conoscendosi affatto indegno di simile favore. Pregavo la divina Signora a volerla annoverare nel numero delle sue serve. Allora la gran Madre di Dio si degnò di abbracciare la povera anima mia, e la annoverò tra le sue predilette figlie. A questo oggetto pose sopra l’anima mia nobile segnale in segno di predilezione.
19.5. L’Immacolata Concezione
Il dì 8 dicembre 1814, nell’assistere alla Messa conventuale alle Sacramentarie, il mio spirito da interna illustrazione ad un tratto ha Dio e in compagnia mi trovai dei miei santi Angeli condottieri. Questi mi invitarono a proseguire il santo pellegrinaggio. Il mio povero spirito ricusò l’invito: «O santi Angeli», così presi a dire, «e come potrò io proseguire il santo pellegrinaggio, se mi conosco affatto indegna per i miei gravi peccati e per la mia cattiva corrispondenza? Dispensatemi, per carità! non posso accettare il vostro invito senza oscurare la gloria del mio Dio!».
Piangendo dirottamente, rinunziavo all’invito dei santi Angeli, per il timore di oscurare la gloria del mio Signore, quando da forza superiore dolcemente mi è stato rapito lo spirito, e sono stata condotta in compagnia dei santi Angeli sopra un alto monte della Galilea, dove mi è stato manifestato l’alto onore dell’Immacolata Concezione di Maria SS. sempre Vergine. Che grande onore apporta a questa divina Madre la sua Immacolata Concezione!
Nel vedere tanta magnificenza, si riempì il mio spirito di gaudio, di contento, di giubilo, di gioia. Di questa sua ricchezza si degnò farne partecipe la povera anima mia, con donarmi semplicità di mente e purità di cuore.
Oh, come restò purificato il mio cuore da questo bene! cosa provai di contento non è possibile poterlo ridire. Dopo di questa purificazione, come dissi di sopra, restò rischiarato l’intelletto, e vidi sopra questo monte cose così grandi, cose così belle che non può la nostra bassa mente comprenderle.
Mi pareva propriamente di stare in paradiso! Padre mio, io non posso dire di più, per essere cosa superiore ad ogni umana intelligenza, è molto più conveniente il silenzio di quello che oscurare con languide immagini la grandezza, la magnificenza, la ricchezza, l’amenità, la giocondità di questo luogo. Non la finirei mai di lodare cosa così immensa. Oh, come la povera anima mia amava ardentemente il suo Dio! si struggeva di amore verso quel bene che mi conteneva.
19.6. Che cosa brutta è il peccato!
Dall’otto dicembre fino all’undici il mio spirito ha goduto una interna quiete, un intimo raccoglimento, una carità molto bene ordinata, che mi faceva amare il bene e detestare il male.
Dall’undici fino al 17 il mio spirito è stato sopraffatto da dolore così eccessivo di avere offeso Dio, che tratto tratto restavo, per l’eccessivo dolore, come tramortita, per la chiara cognizione che Dio si degnava comunicarmi di sé e di me.
Padre mio, oh che cosa brutta è mai il peccato! oh che cosa indegna è l’offendere un Dio di infinita bontà!
A queste cognizioni mi volgevo verso la povera anima mia, rimproverandola, così le dicevo, piena di orrore: «Anima mia, offendesti Dio e potesti? e come ne avesti cuore! Offendesti un Dio di infinita bontà! Ah, creatura ingrata, dimmi qual fu la cagione che tradisti Dio, forse ti mancò di soccorrerti nei tuoi bisogni? Ah, ingratissima peccatrice, confessa a tua maggior confusione l’aiuto speciale che ti prestò nel tempo che vergognosamente lo avevi tradito, e non pensavi che a soddisfare la tua vanità, e scioccamente ti ponevi in gravi pericoli. La sua infinita sapienza si impiegava tutta per trovare maniere prodigiose, perché non conoscessi la malizia del peccato, donando al mio intelletto una prodigiosa semplicità, e così non potevo conoscere la malizia del peccato.
Oh, amor grande, oh amore infinito! Mio Dio, qual confusione è la mia! Ah, potessi disfare quanto feci contro di te, mio sommo amore! Molto più volentieri annienterei me stessa, che soffrire di vedermi ingrata al vostro amore», le suddette espressioni erano accompagnate da abbondanti lacrime, che dalla grazia di Dio mi venivano somministrate. Al riflesso di avere offeso un Dio di infinita bontà, cresceva a dismisura la pena mia. Dal dolore credevo ogni momento di morire, ma benché fosse molto gravosa la pena, l’ambascia del mio cuore, ciò nonostante non avrei ceduto la suddetta pena per qualunque consolazione di spirito, estasi o ratto, perché in questa pena trovavo ogni contento; anzi mi compiacevo di essere dalla contrizione, dal dolore distrutta, per dare una qualche soddisfazione all’amor tradito.
Il dì 18 dicembre 1814, così racconta di sé la povera Giovanna Felice. Nella santa Comunione dalla suddetta afflittiva situazione, il mio Dio si degnò farmi passare in uno stato di pace, di dolcezza, di gaudio; si degnò sollevare il mio povero spirito in un grado di unione così perfetta, che credetti di restare estinta per l’esuberanza degli affetti, e per il gaudio che mi veniva somministrato dall’intima unione di Dio. Io più non mi distinguevo, ma tutta immersa, tutta da Dio ero contenuta, in guisa tale che era divenuta una stessa cosa la povera anima mia con il suo Dio. Non so spiegare di più.
20 – NATALE 1814
20.1. Al sacro presepio
Dal giorno 18 fino al giorno 24 dicembre 1814 il mio spirito l’ha passata in piangere i propri e gli altrui peccati; ma tratto tratto ero sopraffatta dalla carità di Gesù Cristo, che mi faceva languire di amore.
La notte del santissimo Natale, circa le ore sette e mezza italiane, mi portai alla chiesa del Santissimo Bambino Gesù, per assistere alle sacre funzioni di quella benedetta notte. Stetti in orazione circa sei ore e mezza, mi parve questo tempo molto breve. Ecco come passai questo tempo.
Mi prostrai dinanzi al mio Dio, protestando di riconoscermi affatto indegna di trattenermi in compagnia di tante anime a lui fedeli, per poterlo in quella santa notte lodare, benedire, ringraziare in compagnia dei santi e degli Angeli, confessando di essere la creatura più vile che abita la terra, piangendo, parte per la mia ingratitudine, parte per la gioia che sentivo nel mio cuore, alla considerazione del grande amore che ci dimostra Dio in donarci il suo Santissimo Figliolo.
Andava ogni momento più crescendo la gioia del mio cuore, l’intelletto veniva rischiarato da interna luce e lo spirito si andava ingolfando nella penetrazione di questo divino mistero, quando sopraffatto dall’immensità dell’infinito amore di un Dio amante di noi miserabilissime sue creature, si perdeva il mio povero intelletto in questo vasto oceano dell’infinita carità di Dio.
Persi in questo tempo ogni idea sensibile, quando da mano invisibile fui condotta al sacro presepio. Fui condotta sopra un monte, e in certa lontananza vedevo quel piccolo paradiso. Nel vedere il chiarissimo splendore che tramandava quel beato tugurio da ogni intorno, che per essere situato alla falda di un disastroso monte, rendeva luminosa la valle contigua, che ai piedi del monte restava. Ah già il mio cuore era impaziente di potermi là approssimare. Ah, non avrei voluto camminare, ma volare, tanto era il trasporto dell’amore che sentivo verso il nato Signore. Io andavo dicendo tra me: «Voglio morire ai suoi piedi, per il dolore di averlo offeso».
Intanto l’amore disponeva il mio cuore a fare ogni qualunque sacrificio per compiacere il divino infante. Non so ridire di qual grado fosse la fede, la speranza, la carità, l’umiltà, l’obbedienza, la purità, la povertà che mi fu somministrata dallo Spirito del Signore in quei preziosi momenti. Fui trasmutata in guisa tale che io più non conoscevo me stessa, senza esagerazione, il mio povero spirito apprese una idea angelica, che io stessa restavo ammirata, e nell’ammirazione conoscevo il mio nulla, lodavo e benedicevo l’infinita bontà di Dio, dando tutto a lui l’onore e la gloria; e intanto mi andavo avvicinando al beato presepio; vidi quel beato tugurio ripieno di splendidissima luce, molti erano gli adoratori di quel grazioso infante, vedevo nella suddetta valle, contigua al beato presepio, come già dissi, ripiena di luce che tramandava dappertutto l’alta magnificenza del nato Re del cielo, che per amore dell’uomo si degnò nascere in estrema povertà.
20.2. Il Sommo Pontefice piangeva
Vedevo dunque in questo luogo ogni classe di persone, vedevo religiosi di ogni ordine, vedevo sacerdoti, monache e secolari, ma una cosa osservai che nessuna era in corpo, ma i religiosi dei rispettivi ordini adoravano il divin pargoletto tutti dispersi, chi qua, chi là, solo i Padri Gesuiti erano tutti uniti, tutti in corpo adoravano il nato Salvatore, poche monache vedevo, molti religiosi, come già dissi, tutti dispersi, pochi vescovi, nessun cardinale, nessun prelato, poche dame, molte donne devote.
Vedevo il nostro Sommo Pontefice vicino al beato presepio, che piangeva e sospirava, e tramandava dai suoi occhi profluvi di lacrime.
In quel momento ebbi un sentimento interno, e conobbi la cagione del suo pianto. Piangeva, sospirava raccomandava a Gesù Bambino la santa Chiesa; ma non fu accettata la sua preghiera. A questa cognizione, mossa dalla carità, benché mi riconoscessi affatto indegna, ciò nonostante unii le mie povere lacrime e preghiere a quelle del nostro Santo Padre. Pregai caldamente Gesù Bambino acciò si volesse degnare di esaudire il suo Vicario; ma niente si ottenne.
Oh, come è sdegnato Dio con la santa Chiesa e con i suoi ministri! Il divino infante, presa un’aria maestosa e severa, mi fece intendere che la Chiesa è in stato di punizione, e non c’è chi possa rimuoverlo: il decreto è già fatto. Mi fece intendere che avessi cessato di pregare per la suddetta, se non volevo disgustarlo. Mi diceva quel caro Bambino: «Cessa di pregare, o mia diletta figlia; solo abbi a cuore il mio onore e la mia gloria».
A questa cognizione intellettuale il mio povero spirito cessò di pregare. Allora il divino infante, presa un’aria piacevole e tutto amore a me rivolto, mi disse che avessi pur chiesto quello che volevo. La povera anima mia, piena di confusione per vedermi senza alcun merito tanto favorita da questo amoroso Signore, mi misi a piangere, e non ardivo parlare, ma umiliandomi gli chiedevo perdono, ma il divin pargoletto mi obbligò a palesare i miei desideri, la sua piacevolezza mi dette coraggio, e così presi a parlare: «Ah, Gesù mio, la grazia che io desidero, voi la sapete! Voglio corrispondere alla vostra grazia. Ah, Gesù mio, fatemi morire, o fatemi la grazia di corrispondere. Mi è di troppa pena di non corrispondere. Io non voglio più essere ingrata al vostro amore. Fatemi morire, o datemi la corrispondenza; e se non basta la morte, mandatemi all’inferno! Se ho da proseguire ad essere ingrata al vostro amore».
Nel fare simili espressioni, il mio spirito si accendeva di amore verso Dio, tanto eccessivo era l’amore che più non potevo contenerlo.
Padre mio, io non so ridire i mirabili effetti che cagionò in me questo eccessivo amore. L’amore mi portava rapidamente a Dio, e Dio si degnava formare in me le sue più alte compiacenze. In questo felice momento mi promise la grazia della corrispondenza. Oh, come il mio cuore esultò a questa promessa. Andava la povera anima mia ripetendo tra sé, piena di gaudio: «Dunque, Gesù mio, sicuramente corrisponderò alle vostre misericordie! voi me lo avete promesso, ne avete impegnata la vostra parola! Dunque è certo, anima mia, rallegrati, che arriverai ad amare un Dio di infinita maestà. Mio Dio, qual consolazione è la mia! ah, lasciate che fin da questo momento io vi ami una volta davvero!».
20.3. Le voglio tutte salve!
Nel fare queste espressioni, il mio Dio, pieno di compiacenza verso di me, mi degnò di unirmi a lui intimamente. Passati brevi momenti in questa felice unione, le mie potenze ritornarono ad agire, e nel vedermi tanto beneficata senza alcun merito, trovavo il mio Dio propenso a concedermi quanto volevo. Gli raccomandai tutte le persone che si erano raccomandate alle mie povere orazioni, ma particolarmente raccomandai caldamente tutte le persone che mi beneficano. Ho raccomandato tutte le persone che sono a me unite in spirito, come è noto a vostra paternità, delle quali vostra paternità gode il primo posto, tanto riguardo alle persone che mi beneficano, quanto a quelle che sono a me unite, piena di fiducia manifestai al mio Signore i miei caritatevoli desideri verso di questi.
«Ah, Gesù mio, giacché la vostra grazia mi sollecita a chiedervi liberamente quello che voglio, vi chiedo in grazia che tutti quelli che mi beneficano e tutte quelle persone che sono a me unite in spirito, siano tutte salve. Sì, Gesù, vi chiedo questa grazia, non me la negate; giacché voi mi date questo buon desiderio e questa gran carità verso queste anime, che per ottenere a tutte la grazia di lodarvi e benedirvi per tutta l’interminabile eternità, mi fate desiderare di dare per queste il sangue e la vita, non posso dubitare che siate per concedermi la grazia; Gesù mio caro, riguardate tutte queste anime come vi degnate riguardare con amore parziale la povera anima mia, che senza alcun merito tanto l’amate; Gesù mio, queste anime sono unite a me con vincolo di carità, a me appartengono, le voglio tutte salve. Non partirò dai vostri santissimi piedi fintanto che non abbia ottenuto da voi la grazia».
Con mia somma confusione proseguo, per non mancare all’obbedienza, e per non andare soggetta alla penitenza tremenda che mi tiene preparata vostra paternità, se occulto le misericordie che Dio si degna di farmi, per sua infinita bontà. Proseguo dunque con somma pena, alla maggior gloria di quel Dio che mi è presente. Fatta la preghiera, fu sollevato in un baleno il mio spirito, e condotta da Dio medesimo fui inoltrata negli ampli spazi della divinità. In questo immenso luogo, mi fu compartito un merito molto grande dalla Triade Sacrosanta. La potenza del divin Padre mi compartì l’attività di ottenere la grazia, la sapienza del divin Figlio mi donò l’efficacia della preghiera, l’infinita bontà del divino Spirito si fece mediatore, col compiacersi di esaudirmi per puro amore, senza cercare il demerito mio, e in questa guisa ottenni la suddetta grazia, non solo per quelle anime che mi hanno fino ad ora beneficato, ma ancora per tutte quelle persone che mi beneficheranno per il tratto successivo, saranno tutte salve quelle anime che sono e che saranno per essere a me unite in spirito, come è noto a vostra paternità, saranno tutte salve quelle anime che per qualche titolo o di amicizia caritatevole o di soggezione volontaria, o di unione a seconda di quello che Dio vuole da me, povera e misera peccatrice, l’infinita bontà di Dio me lo promise, ne impegnò la sua parola, e se per disgrazia vi fosse tra queste qualche anima che per la sua cattiva volontà abbia mai da essere riprovata, spero certo che volontariamente si separerà da noi. Ma tutte quelle anime che hanno la buona volontà di piacere a Dio siano pur di buon animo, mentre l’infinita bontà di Dio ne impegnò la sua parola, saranno tutte salve.
Di qual contento mi fu l’avere ottenuta la suddetta grazia, quali e quante furono le grazie che la povera anima mia, annientata in se stessa, rese all’infinita bontà di Dio, non è spiegabile. Oh, che prodigio è mai questo! ottener senza merito grazie da voi, sommo mio amore, non ho termini di lodare la vostra bontà.
20.4. Un demonio di nome Gunone
Proseguo quello che ho tralasciato della notte del santo Natale, non solo entrai in quel beato tugurio ad adorare il divino infante, ma quel caro bambinello a sé mi chiamò, e, distese le piccole sue mani, mi degnò di un tenero abbraccio, e nell’abbracciarmi, mi donò una piccola croce: «Prendi», mi disse, «prendi, o mia diletta, questa piccola croce ti renderà certa la grazia da me ricevuta!».
Tre giorni dopo il santo Natale, mi ha preso a perseguitare un certo demonio tanto maligno, chiamato per nome Gunone. Questo non mi fa trovare pace né notte né giorno. Per particolare ispirazione di Dio, con la licenza del mio direttore, ho aggiunto ai voti di castità, povertà, obbedienza, il voto del più perfetto e il proposito di umiltà, come a suo luogo si dirà, ho aggiunto altri cinque propositi. E sono: di esercitarmi quotidianamente nelle sante virtù di mansuetudine, pazienza, mortificazione, silenzio, raccoglimento. Questo maligno demonio, chiamato Gunone, non vuole che mi eserciti in queste sante virtù. Si affatica tuttora di farmi credere che questi miei propositi formeranno il processo della mia condannazione. Mi va dicendo che è somma pazzia farmi rea di quello che a nessun conto lo sarei, e così, in vigore dei propositi fatti, mi faccio rea di gravi colpe, e così invece di fare del bene, faccio del male.
Le parole di costui mi danno a credere che realmente sia così; il mio spirito si affligge, perché nel tempo che si affatica per piacere a Dio, il demonio Gunone mi fa rea davanti al cospetto di Dio, mi parla con tanta eleganza che mi confonde. In questi casi, la povera anima mia ricorre con lacrime e con sospiri al suo Signore, perché si degni illuminare la mia mente, e senza proferire parola a quanto il maligno insidiatore mi va dicendo, con la grazia di Dio, mi armo di pazienza, e soffro tutti quegli insulti che mi va facendo il maligno tentatore di notte e di giorno. A tutte le ore mi si aggira intorno per inquietarmi e frastornarmi, ormai non posso più né mangiare né dormire, né orare, tanto è gravosa la sua persecuzione. Mi fa credere con prove evidentissime che tutte le mie operazioni dispiacciono a Dio; quando pranzo mi si mette in contro in qualche distanza e mi va dicendo: «Tu sei quella che hai promesso di essere mortificata? Oh, bella mortificazione di stare a tavola apparecchiata!».
Beffandomi e deridendomi mi dice: «Ci vuole altro che minestra, pane muffo e radiche di erbe!». Nel sentirmi rimproverare la mia troppa delicatezza, mi pare che dica bene, e non ho più coraggio di mangiare, così passo il pranzo. Tutto il giorno poi mi sta presente per criticare tutte le mie azioni, mi dice: «E lascia andare tanta sottigliezza! vivi alla buona! lascia andare i propositi, che questi ti sono di troppo aggravio!».
Se faccio orazione, mi fa tanti versi con la testa e con le mani, che mi fa girare la testa. Alle volte, quando mi trattengo ad orare, dalla bocca tramanda tanto fumo, che pare una folta nebbia, questo denso fumo mi toglie il lume all’intelletto, la mente resta oscurata dal gran fumo, confusa resta la volontà dalle tante diverse ciarle di questo astuto demonio, che pretende di confondere la povera anima mia, in guisa tale che non sappia distinguere il male dal bene.
Quando vado a riposare mi dice: «Oh, bella mortificazione! ti pare piccolo delitto il tuo, riposare in morbido letto? La nuda terra, lo stagno gelato, questa si chiama mortificazione! Perché non prendi riposo sopra la nuda terra?».
A queste sue parole il mio spirito resta sospeso, e dubita se possa, senza offesa di Dio, andare a riposare. Senza dilungarmi di più, in tutte le mie azioni dubito di offendere Dio, cosicché sono in uno stato di somma afflizione.
21 – LA PERSECUZIONE CONTRO LA CHIESA
21.1. I santi Re Magi
Il dì 6 gennaio 1815 la mattina dell’Epifania del Signore, con mia fatica e stento mi portai in San Carlo alle Quattro Fontane, per aver passato tutta la notte combattendo con il nemico tentatore, senza poter riposare. Mi porto dunque alla suddetta chiesa, dopo fatta una breve ma dolorosa confessione, vado tutta fede a ricevere Gesù sacramentato. Al momento ricevuto, sperimento una totale innovazione di spirito; mi trovai affatto libera dal persecutore Gunone, ma tutta assorta in Dio era la povera anima mia, quando mi si fecero presenti i santi Re magi. Questi cortesemente mi offrirono la loro valevole protezione. Questi nobilissimi personaggi mi dissero, pieni di affetto: «Noi siamo commessi dall’infinita bontà di Dio alla tua custodia. Noi ti aiuteremo in tutti i tuoi bisogni spirituali e temporali. Invoca i nostri nomi, e ne proverai i buoni effetti!».
Le loro amorose esibizioni molto umiliarono il mio spirito; riconoscendo me stessa, detti in dirotto pianto, ringraziando il mio Signore dell’alto favore compartitomi per mezzo dei santi Re magi. In questo tempo, sento percuotermi fortemente una spalla, alla percossa mi desto, mi sento suggerire alla mente, che parta subito da quella chiesa e vada in altra, che avrei trovato la Messa. Non mi volevo muovere, per non perdere la bella compagnia dei santi Re. «Non dubitare», mi sento dire, «questi ti verranno sicuramente appresso!».
Io scioccamente credetti a quanto esteriormente avevo inteso dirmi; mi parto e vado alla chiesa delle Sacramentarie, trovai la Messa già molto avanzata, il fatto si è che perdetti tutto il bene che godevo, e pieno di tristezza restò il mio spirito, quando mi apparve il maligno Gunone, ridendo smoderatamente, mi domandava dove erano andati i Re, insultandomi, derideva la mia sciocchezza nell’aver creduto alle sue parole; mi diceva: «Non ti sono venuti appresso i Re? Oh, sciocca che sei, a dare mente alla tua immaginazione! Non credere ad altro che quello che cade sotto i tuoi sensi, il resto lascialo andare, che sono tutte favole! Oh, quanto sono diverse le cose da quello che credi!».
Quanto grande fu la mia afflizione, nell’aver lasciato sì cara compagnia, non posso esprimerlo. Passai tutto il giorno soffrendo molti insulti dal nemico tentatore.
Il mio padre spirituale, nel conoscere che era troppo gravosa la persecuzione di questo maligno demonio, mi disse che avessi, in nome di Gesù Cristo, comandato al demonio di lasciarmi in pace.
Fatto che ebbi il comando, costui, tutto rabuffato, si ritirò in un cantone della camera, dicendo delle ingiurie contro il mio padre spirituale. Così restai in pace per due giorni; ma il terzo giorno, circa l’Ave Maria, mi trattenevo ad orare, quando mi si presenta altro demonio, sotto la figura di uomo, nano, così brutto che mi faceva terrore, le sue parole erano piene di superbia e di arroganza, mi diceva che dalla sua forza resterei sicuramente vinta; mi faceva molta paura il suo ardito parlare. Erano passati già tre giorni che questo brutto nano mi perseguitava, quando la quarta sera, mentre mi trattenevo in orazione, costui arditamente mi si mise sopra le spalle, per esser di piccola statura nana, molto bene si collocò sopra le mie spalle, ma con somma mia pena, per essere il suo corpo di un peso disorbitante. Il suo ardire servì al mio spirito di somma mortificazione, parte per il timore che avevo di ricevere qualche affronto maggiore, parte per il grave peso che aggravava il mio afflitto corpo. Il timore rese immobile il mio corpo, e con calde lacrime ricorrevo al mio Signore, pregandolo di non permettere a quel demonio di farmi maggiore insulto. Il Signore si degnò somministrarmi una invitta pazienza per soffrire la grave pena che mi cagionava. Il suddetto demonio si trattenne circa tre quarti d’ora sopra le mie spalle.
Il giorno 10 gennaio 1815 nella santa Comunione mi porto in chiesa con fatica e stento, per essere il mio corpo molto abbattuto e addolorato, ma il mio spirito godeva una interna quiete; quando fui vicino al sacro altare, il mio intelletto fu rischiarato da interna luce, per mezzo della quale conoscevo me stessa, e piena di confusione si umiliava lo spirito, e domandavo mille volte perdono all’offeso Signore.
Si tratteneva la povera anima mia piangendo amaramente le sue colpe, quando improvvisamente sono stata obbligata dallo Spirito del Signore a sollevare la mia mente e andare a Dio. Mi è stata somministrata attività sufficiente per andare liberamente a lui, mi sentivo dolcemente tirare dall’infinita bontà di Dio. Nel sollevarsi lo spirito mi si sono fatti presenti i santi Re magi, unitamente ai tre santi Angeli, che sono soliti favorirmi. Mi hanno degnato della loro compagnia, mi hanno introdotto in luogo molto insigne, dove sono stata favorita da Dio in maniera molto particolare.
Padre mio, non so dir di più. Sono stata liberata dalle persecuzioni del demonio, il mio spirito ha mutato situazione, per avermi Dio donato un grado maggiore di perfezione.
Questa grazia la devo alla valevole protezione dei santi Re magi; di questa grazia tuttora ne provo i buoni effetti, potendomi più facilmente esercitare nelle sante virtù, certe particolari inclinazioni viziose sono in me quasi estinte, e così posso più facilmente slanciarmi verso il sommo bene, che a tutte le ore mi è presente. Oh, come l’anima mia desidera possederlo eternamente!
21.2. La gloria del martirio
Il giorno 11 gennaio 1815 la mattina, nelle tre ore di orazione che soglio fare subito levata, passai circa un’ora e mezza senza poter raccogliere lo spirito. Finalmente ad un tratto fui sopraffatta da interna quiete, fu al momento trasportato il mio spirito in luogo ameno e magnifico. Trovai questo luogo ripieno di splendida luce, mi intesi rapire lo spirito, penetro dunque la luce, mi inoltro, e mi fu manifestata in questo luogo la gloria grande che gode un religioso spagnolo, fratello del mio confessore, morto fucilato per sostenere i diritti della Chiesa cattolica.
Il mio confessore mi aveva detto di fare alla suddetta anima qualche suffragio. Quando lo vidi apparire, cinto di luce risplendente assai più del sole, con ricca palma in mano, corteggiato da molti angeli e dai suoi confratelli religiosi, lo vidi occupare un posto bene alto, vicino all’augusto trono di Dio.
Oh quanto mai mi rallegrò il mio spirito nel vedere anima tanto gloriosa, mi congratulai con lui per vederlo tanto glorioso. Allora mi pregò di unire i miei ringraziamenti ai suoi, per rendere così grazie a Dio per averlo sublimato a gloria sì grande.
Mi fu mostrato ancora il posto che Dio tiene preparato a un certo religioso a me cognito, e questo mi fu mostrato dal santo martire religioso suddetto. Mi dette a conoscere ancora quanto grande era il suo desiderio di vedere occupato quel nobile posto dal religioso suddetto a me cognito.
La povera anima mia fu sopraffatta dalla gioia e dal gaudio, per la compiacenza che prese il mio spirito nel conoscere quanto è propenso Dio nell’amare l’accennato religioso.
21.3. Viva presenza di Dio
Il giorno 13 gennaio 1815, giorno di venerdì, così racconta Giovanna Felice: Molto grande fu l’interno raccoglimento che mi donò il mio Signore, fin dalla prima orazione, che sono solita fare la mattina subito levata. Questo raccoglimento era unito a una viva presenza di Dio, per mezzo della quale la povera anima mia si umiliava profondamente, e il Signore mi donava una fiducia veramente filiale.
Oh, come per mezzo di queste due virtù, la povera anima mia si avvicinava al suo Dio! Oh, come leggiadramente andava appresso al suo amoroso Signore, che dolcemente la tirava per parte di interna compiacenza! Con sommo silenzio andava appresso a lui, non altro cercando che compiacerlo.
Nella santa Comunione molto si aumentò il suddetto raccoglimento. Dopo essermi trattenuta qualche tempo dopo la santa Comunione, mi partii dalla chiesa e mi portai alla mia casa, procurando di scuotermi alla meglio, per dare di mano alle faccende domestiche; ma invano fu ogni mio studio per riscuotere il mio spirito; anzi ogni momento più si sopiva, di maniera tale che fui obbligata a lasciare le faccende domestiche.
Mi ritirai nella mia camera, mi misi in ginocchioni, posta che fui in orazioni, il mio spirito fu trasportato sul monte Calvario, dove vidi la spietata crocifissione del nostro Signore Gesù Cristo. A questa vista così compassionevole fui sopraffatta da compassione tanto viva che l’amore mi rendeva partecipe della pena che soffriva l’amato Signore. Un torrente di dolorose lacrime inondarono il mio povero e afflitto cuore; dalla pena, dal dolore venne meno il mio corpo e cadde sul suolo. Stetti in questa situazione dalle ore 18 fino alle ore 24.
Il dì 20 gennaio, giorno di venerdì, mi accadde lo stesso fatto, come il giorno 13 surriferito.
21.4. «È infinito l’amore che ti porto!»
Il dì 21 gennaio 1815 così la povera Giovanna Felice: subito levata sono stata favorita da particolare illustrazione. Questa illustrazione mi mostrava quale e quanto sia l’amore che Dio porta alla povera anima mia. A questa cognizione sentivo accendermi di amore verso l’infinita bontà di Dio. Intanto andava crescendo la cognizione, e il mio spirito andava inoltrandosi viepiù. Oh, come si struggeva di amore verso l’eterno, l’infinito, l’amante Signore!
Nella santa Comunione, da questa vasta cognizione sono passata ad un intimo raccoglimento, senza però perdere la vista intellettuale dell’eterno bene, anzi più chiaramente lo scolpiva, ma l’anima mia andava appresso a Dio con sommo silenzio, solo compiacendosi di compiacere l’oggetto amato, che dolcemente mi tirava col manifestarmi occultamente le sue nobilissime perfezioni. Il perfetto silenzio era di tratto in tratto interrotto dalla sua voce divina, che pronunciando amorosi accenti verso la povera anima mia, l’andava inebriando di amore: «Figlia», diceva, «diletta mia, ti ho creato per beneficarti!».
A queste parole la degnava di tenero amplesso. L’anima mia restava immersa in Dio. Dopo pochi momenti tornava nuovamente Dio a compiacersi: «Amica mia», diceva, «è infinito l’amore che ti porto!». Nuovamente si degnava di abbracciare la povera anima mia. Tornò per la terza volta a compiacersi con maggior gagliardia, che credetti veramente di restare estinta: «Sposa mia», diceva, «oggetto delle mie compiacenze!».
Le sue parole erano per me tanti dardi che incendiavano il mio povero cuore. Mio Dio! e come potrò io manifestare grazia sì grande? Padre mio, giunsi in quei felici momenti ad amare Dio quanto si può amare da anima viatrice. Fu tale e tanta la speciale impressione che l’anima mia ricevette da questo favore, che le compartì Dio per pura sua misericordia, che dal giorno 21 fino al giorno 25 ho sperimentato i buoni effetti della suddetta grazia, con l’essere più o meno sempre assorta in Dio.
21.5. I Gesuiti in difesa della Chiesa
Il dì 26 gennaio 1815 Giovanna Felice nella santa Comunione dai santi Angeli, che sono soliti favorirmi, fui condotta in luogo sotterraneo, dove per mezzo di torce accese, che portavano nelle loro mani, potei scolpire l’occulta persecuzione che si fa a Dio da tanti ecclesiastici, che sotto manto di bene, perseguitano Gesù crocifisso e il suo santo Evangelo. Li vedevo dunque come lupi arrabbiati, che macchinavano di balzare il capo della Chiesa dal suo trono, cercavano in ogni modo di atterrare la Chiesa cattolica; ma, come piacque a Dio, per la valevole intercessione del patriarca sant’Ignazio, vedevo dalla nobilissima Compagnia di Gesù sorgere una gran personaggio, ricco di virtù e di dottrina, molto insigne, dotato di celeste eloquenza, che sosteneva le ragioni della Chiesa cattolica, unitamente agli altri suoi compagni, molti dei quali donavano il sangue per Gesù Cristo.
A queste cognizioni la povera anima mia porgeva infocate preghiere all’Altissimo, perché si fosse degnato di liberare la nostra Madre, la santa Chiesa, da persecuzione tanto funesta. Quando in un baleno sono stata trasportata a vedere il crudo scempio che è per fare la giustizia di Dio di questi miseri; con sommo mio terrore vedevo da ogni intorno balenare i fulmini dell’irritata giustizia.
Intanto vedevo rovinare i palazzi, le città, le intere provincie, tutto il mondo era in scompiglio; non altro si udiva che flebili voci, che imploravano la misericordia: il numero dei morti era incalcolabile. Fu tale e tanto lo spavento e il timore, che perdetti ogni uso di ragione, e, annientata in me stessa, credetti di restare estinta, per il grande orrore che ebbe il mio spirito restò tutto il giorno affatto stordito dallo spavento, il corpo restò gelato, come un marmo, quasi privo di ogni sensazione. Raccomandiamoci caldamente al Signore, acciò si degni placare la sua divina giustizia, per i meriti di Maria santissima, Vergine e Madre.
21.6. Vedevo Dio sdegnato
Proseguo quello che ho tralasciato del giorno 26 gennaio; fino dal giorno 25, fui invitata dai suddetti angeli, ma un certo incognito timore mi arrestò, e non potei proseguire il viaggio; mi mancò il coraggio di inoltrarmi in quel tenebroso luogo; ma il giorno 26, come già dissi, fui per comando di Dio obbligata ad inoltrarmi.
Dirò ancora qual fu la cagione del mio gran spavento, che ho nei passati fogli occultato, non fu il vedere tanta rovina, ma bensì il vedere Dio sdegnato. Ecco come fu.
Una forza imponente in un baleno mi condusse in luogo altissimo, solitario, dove mi si fece vedere Dio sotto l’immagine di forte gigante adirato al sommo, contro quelli che lo perseguitano. Le sue mani onnipotenti erano piene di fulmini, il suo volto era ripieno di sdegno: la sola sua vista bastava ad incenerire l’intero mondo. Non vi erano né Angeli né santi che lo circondassero, ma solo il suo sdegno lo circondava da ogni intorno.
Che terrore, che spavento! questa vista durò un sol momento, ma se altro momento fosse durata, io sicuramente sarei morta. Se un solo momento mi ha cagionato tanto male, che ormai sono sei giorni adesso che scrivo e ancora soffro cagionevole il mio corpo, le potenze dell’anima mia sono ancora istupidite per lo spavento che mi cagionò vista sì spaventosa. Ah, mio Dio, non sia mai più che vi abbia a vedere così sdegnato, per i meriti di Gesù, vostro Figliolo, e per i meriti della sua SS. Madre, placate il vostro sdegno, perdonateci, per carità!
LE ANIME CHE HO SALVATO CON IL MIO SANGUE, SI SONO ALLONTANATE DA ME PC-13 9 giugno 1996 (Corpus Domini)
Catalina Rivas
Il Signore
Amata figlia, rinnovate la vostra consacrazione ai Nostri Cuori. Dovete rimanere nell’unità, perché il maligno non vi distrugga. Perché pensi che Io ti abbia abbandonata? Perché non impari ad incontrarmi in un altro modo? Io sono in te, tu sei Mia!...Scrivi....
Il mio regno non è di questo mondo. Se il Mio regno fosse di questo mondo, Io ordinerei a tutti gli uomini e a tutti gli elementi di sottomettersi al mondo, e uomini e cose vi si sottometterebbero. Ma il Mio regno è il regno di tutti coloro che stanno con Me, il Mio regno non è di questo mondo; per questo la Mia preghiera al Padre è incessante: «Padre, che anche loro siano con Me lì dove Io sono, perché vedano la Tua gloria e la gloria che Tu Mi hai dato.» C’è un posto per tutti nel Mio regno e dove Io sto voglio che siano tutti coloro che amano il Padre, come Io stesso Lo amo.
Nel Mio regno, il sole non tramonta mai. Lì c’è l’eterna primavera e il riposo completo in Dio.
Non è forse breve la pena, se la gioia è eterna? Non esiste orologio che possa misurare questo tempo, perché la beata eternità non si misura né in lunghezza, né in altezza, né in durata, né in profondità.Piccola Mia, ciò che hai visto domenica, ciò che i tuoi occhi hanno contemplato, era una parte dell’esercito di Mia Madre che discendeva sulla terra per aiutare gli uomini a trovare il cammino verso il regno del Padre Mio...