Liturgia delle Ore - Letture
Sabato della 10° settimana del tempo ordinario
Vangelo secondo Giovanni 11
1Era allora malato un certo Lazzaro di Betània, il villaggio di Maria e di Marta sua sorella.2Maria era quella che aveva cosparso di olio profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli; suo fratello Lazzaro era malato.3Le sorelle mandarono dunque a dirgli: "Signore, ecco, il tuo amico è malato".
4All'udire questo, Gesù disse: "Questa malattia non è per la morte, ma per la gloria di Dio, perché per essa il Figlio di Dio venga glorificato".5Gesù voleva molto bene a Marta, a sua sorella e a Lazzaro.6Quand'ebbe dunque sentito che era malato, si trattenne due giorni nel luogo dove si trovava.7Poi, disse ai discepoli: "Andiamo di nuovo in Giudea!".8I discepoli gli dissero: "Rabbì, poco fa i Giudei cercavano di lapidarti e tu ci vai di nuovo?".9Gesù rispose: "Non sono forse dodici le ore del giorno? Se uno cammina di giorno, non inciampa, perché vede la luce di questo mondo;10ma se invece uno cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce".11Così parlò e poi soggiunse loro: "Il nostro amico Lazzaro s'è addormentato; ma io vado a svegliarlo".12Gli dissero allora i discepoli: "Signore, se s'è addormentato, guarirà".13Gesù parlava della morte di lui, essi invece pensarono che si riferisse al riposo del sonno.14Allora Gesù disse loro apertamente: "Lazzaro è morto15e io sono contento per voi di non essere stato là, perché voi crediate. Orsù, andiamo da lui!".16Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse ai condiscepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!".
17Venne dunque Gesù e trovò Lazzaro che era già da quattro giorni nel sepolcro.18Betània distava da Gerusalemme meno di due miglia19e molti Giudei erano venuti da Marta e Maria per consolarle per il loro fratello.20Marta dunque, come seppe che veniva Gesù, gli andò incontro; Maria invece stava seduta in casa.21Marta disse a Gesù: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!22Ma anche ora so che qualunque cosa chiederai a Dio, egli te la concederà".23Gesù le disse: "Tuo fratello risusciterà".24Gli rispose Marta: "So che risusciterà nell'ultimo giorno".25Gesù le disse: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;26chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?".27Gli rispose: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio che deve venire nel mondo".
28Dopo queste parole se ne andò a chiamare di nascosto Maria, sua sorella, dicendo: "Il Maestro è qui e ti chiama".29Quella, udito ciò, si alzò in fretta e andò da lui.30Gesù non era entrato nel villaggio, ma si trovava ancora là dove Marta gli era andata incontro.31Allora i Giudei che erano in casa con lei a consolarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono pensando: "Va al sepolcro per piangere là".32Maria, dunque, quando giunse dov'era Gesù, vistolo si gettò ai suoi piedi dicendo: "Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!".33Gesù allora quando la vide piangere e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente, si turbò e disse:34"Dove l'avete posto?". Gli dissero: "Signore, vieni a vedere!".35Gesù scoppiò in pianto.36Dissero allora i Giudei: "Vedi come lo amava!".37Ma alcuni di loro dissero: "Costui che ha aperto gli occhi al cieco non poteva anche far sì che questi non morisse?".
38Intanto Gesù, ancora profondamente commosso, si recò al sepolcro; era una grotta e contro vi era posta una pietra.39Disse Gesù: "Togliete la pietra!". Gli rispose Marta, la sorella del morto: "Signore, già manda cattivo odore, poiché è di quattro giorni".40Le disse Gesù: "Non ti ho detto che, se credi, vedrai la gloria di Dio?".41Tolsero dunque la pietra. Gesù allora alzò gli occhi e disse: "Padre, ti ringrazio che mi hai ascoltato.42Io sapevo che sempre mi dai ascolto, ma l'ho detto per la gente che mi sta attorno, perché credano che tu mi hai mandato".43E, detto questo, gridò a gran voce: "Lazzaro, vieni fuori!".44Il morto uscì, con i piedi e le mani avvolti in bende, e il volto coperto da un sudario. Gesù disse loro: "Scioglietelo e lasciatelo andare".
45Molti dei Giudei che erano venuti da Maria, alla vista di quel che egli aveva compiuto, credettero in lui.46Ma alcuni andarono dai farisei e riferirono loro quel che Gesù aveva fatto.47Allora i sommi sacerdoti e i farisei riunirono il sinedrio e dicevano: "Che facciamo? Quest'uomo compie molti segni.48Se lo lasciamo fare così, tutti crederanno in lui e verranno i Romani e distruggeranno il nostro luogo santo e la nostra nazione".49Ma uno di loro, di nome Caifa, che era sommo sacerdote in quell'anno, disse loro: "Voi non capite nulla50e non considerate come sia meglio che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera".51Questo però non lo disse da se stesso, ma essendo sommo sacerdote profetizzò che Gesù doveva morire per la nazione52e non per la nazione soltanto, ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi.53Da quel giorno dunque decisero di ucciderlo.
54Gesù pertanto non si faceva più vedere in pubblico tra i Giudei; egli si ritirò di là nella regione vicina al deserto, in una città chiamata Èfraim, dove si trattenne con i suoi discepoli.
55Era vicina la Pasqua dei Giudei e molti dalla regione andarono a Gerusalemme prima della Pasqua per purificarsi.56Essi cercavano Gesù e stando nel tempio dicevano tra di loro: "Che ve ne pare? Non verrà egli alla festa?".57Intanto i sommi sacerdoti e i farisei avevano dato ordine che chiunque sapesse dove si trovava lo denunziasse, perché essi potessero prenderlo.
Primo libro dei Maccabei 3
1Al suo posto sorse il figlio di lui Giuda, chiamato Maccabeo;2lo aiutavano tutti i fratelli e quanti si erano legati al padre e conducevano la battaglia d'Israele con entusiasmo.
3Egli accrebbe la gloria del suo popolo,
rivestì la corazza come gigante,
cinse l'armatura di guerra
e impegnò battaglia
difendendo il campo con la spada.
4Nelle sue gesta fu simile a leone,
come leoncello ruggente sulla preda.
5Inseguì gli empi braccandoli;
i perturbatori del popolo distrusse con il fuoco.
6Gli empi sbigottirono per paura di lui
e tutti i malfattori furono confusi
e si avviò la salvezza per mano di lui.
7Inflisse amarezze a molti re,
rallegrò con le sue gesta Giacobbe;
sempre la sua memoria sarà benedetta.
8Egli passò per le città di Giuda
e vi disperse gli empi
e distolse l'ira da Israele.
9Divenne celebre fino all'estremità della terra
perché radunò coloro che erano sperduti.
10Apollonio radunò dei pagani e un forte esercito dalla Samaria per combattere Israele.11Giuda lo seppe e avanzò contro di lui, lo sconfisse e lo uccise; molti caddero colpiti a morte e i superstiti fuggirono.12Così si impadronirono delle loro spoglie e Giuda si riservò la spada di Apollonio e l'adoperò in guerra per tutto il tempo della sua vita.13Quando Seron, comandante delle forze di Siria, seppe che Giuda aveva radunato un contingente e c'era con lui uno stuolo di fedeli e uomini preparati alla guerra,14disse: "Mi farò un nome e mi coprirò di gloria nel regno combattendo Giuda e i suoi uomini che hanno disprezzato gli ordini del re".15Fece i preparativi e si unì a lui un forte gruppo di empi per aiutarlo a vendicarsi degli Israeliti.16Si spinse fino alla salita di Bet-Coròn e Giuda gli andò incontro con piccola schiera.17Ma come videro lo schieramento avanzare contro di loro, dissero a Giuda: "Come faremo noi così pochi ad attaccar battaglia contro una moltitudine così forte? Oltre tutto, siamo rimasti oggi senza mangiare".18Giuda rispose: "Non è impossibile che molti cadano in mano a pochi e non c'è differenza per il Cielo tra il salvare per mezzo di molti e il salvare per mezzo di pochi;19perché la vittoria in guerra non dipende dalla moltitudine delle forze, ma è dal Cielo che viene l'aiuto.20Costoro vengono contro di noi pieni d'insolenza e di empietà per eliminare noi, le nostre mogli e i nostri figli e saccheggiarci;21noi combattiamo per la nostra vita e le nostre leggi.22Sarà lui a stritolarli davanti a noi. Voi dunque non temeteli".23Quando ebbe finito di parlare, piombò su di loro all'improvviso e Seron con il suo schieramento fu sgominato davanti a lui;24lo inseguirono nella discesa di Bet-Coròn fino alla pianura. Di essi caddero circa ottocento uomini, gli altri fuggirono nella regione dei Filistei.25Così cominciò a diffondersi il timore di Giuda e dei suoi fratelli e le genti intorno furon prese da terrore.26La fama di lui giunse fino al re e delle sue imprese militari parlavano le genti.
27Quando il re Antioco seppe queste cose, si adirò furiosamente e diede ordine di radunare tutte le forze militari del suo regno: un esercito grande e potente.28Aprì l'erario e diede alle truppe il soldo per un anno, ordinando loro di star pronti per ogni evenienza.29Ma si accorse che non bastavano le riserve del suo tesoro e che le entrate del paese erano poche a causa delle rivolte e delle rovine che aveva provocato nella regione per estirpare le tradizioni che erano in vigore dai tempi antichi;30temette di non poter disporre, come altre volte in passato, delle risorse per le spese e i doni, che faceva con mano prodiga, superando i re precedenti.31Allora si sentì grandemente angustiato e prese la decisione di invadere la Persia, per riscuotere i tributi di quelle province e ammassare molto denaro.32Lasciò Lisia, uomo illustre e di stirpe regia, alla direzione degli affari del re dall'Eufrate fino ai confini dell'Egitto33e con l'incarico di curare l'educazione del figlio Antioco fino al suo ritorno.34A lui affidò metà dell'esercito e gli elefanti e gli diede istruzioni per tutte le cose che voleva fossero eseguite; riguardo agli abitanti della Giudea e di Gerusalemme,35gli ordinò di mandare contro di loro milizie per distruggere ed eliminare le forze d'Israele e quanto restava in Gerusalemme e cancellare il loro ricordo dalla regione;36di trasferire degli stranieri su tutti i loro monti e di distribuire le loro terre.37Il re poi prese l'altra metà dell'esercito e partì da Antiochia, la capitale del suo regno, nell'anno centoquarantasette; passò l'Eufrate e percorse le regioni settentrionali.
38Allora Lisia scelse Tolomeo, figlio di Dorìmene, Nicànore e Gorgia, uomini potenti tra gli amici del re39e spedì ai loro ordini quarantamila uomini e settemila cavalli nel paese di Giuda per devastarlo secondo il comando del re.40Questi partirono con tutte le truppe e andarono ad accamparsi vicino ad Emmaus nella pianura.41I mercanti della regione ne ebbero notizia e si rifornirono molto di oro e di argento e di catene e vennero presso l'accampamento per acquistare come schiavi gli Israeliti. A quelle truppe si aggiunsero forze della Siria e di paesi stranieri.42Giuda e i suoi fratelli videro che i mali si erano aggravati e che l'esercito era accampato nel loro territorio e vennero a conoscenza che il re aveva ordinato di attuare la distruzione totale del loro popolo.43Allora si dissero l'un l'altro: "Facciamo risorgere il popolo dalla sua rovina e combattiamo per il nostro popolo e per i nostri luoghi santi".44Si radunò l'assemblea per prepararsi alla battaglia e per pregare e chiedere pietà e misericordia.
45Gerusalemme era disabitata come un deserto,
nessuno dei suoi figli vi entrava o ne usciva,
il santuario era calpestato,
gli stranieri erano nella fortezza dell'Acra,
soggiorno dei pagani.
La gioia era sparita da Giacobbe,
erano scomparsi il flauto e la cetra.
46Si radunarono dunque e vennero in Masfa di fronte a Gerusalemme, perché nei tempi antichi Masfa era stato luogo di preghiera in Israele.47In quel giorno digiunarono e si vestirono di sacco, si sparsero la cenere sul capo e si stracciarono le vesti.48Aprirono il libro della legge per scoprirvi quanto i pagani cercavano di sapere dagli idoli dei loro dèi.49Portarono le vesti sacerdotali, le primizie e le decime e fecero venire avanti i Nazirei, che avevano compiuto i giorni del loro voto,50e alzarono la voce al cielo gridando: "Che faremo di costoro e dove li condurremo,51mentre il tuo santuario è conculcato e profanato e i tuoi sacerdoti sono in lutto e desolazione?52Ecco i pagani si sono alleati contro di noi per distruggerci; tu sai quello che vanno macchinando contro di noi.53Come potremo resistere di fronte a loro, se tu non ci aiuterai?".54Diedero fiato alle trombe e gridarono a gran voce.55Dopo questo, Giuda stabilì i condottieri del popolo, i comandanti di mille, di cento, di cinquanta e di dieci uomini.56Disse a coloro che costruivano case o che stavano per prendere moglie, a quelli che piantavano la vigna o che erano paurosi, di tornare a casa loro, secondo la legge.57Poi levò il campo e si disposero a mezzogiorno di Emmaus.58Giuda ordinò: "Cingetevi e siate forti e state preparati per l'alba di domani a dar battaglia a questi stranieri che si sono alleati per distruggere noi e il nostro santuario.59Del resto è meglio per noi morire in battaglia che vedere poi la rovina della nostra gente e del santuario.60Il Cielo farà succedere gli avvenimenti secondo quanto è stabilito lassù".
Salmi 82
1'Salmo. Di Asaf.'
Dio si alza nell'assemblea divina,
giudica in mezzo agli dèi.
2"Fino a quando giudicherete iniquamente
e sosterrete la parte degli empi?
3Difendete il debole e l'orfano,
al misero e al povero fate giustizia.
4Salvate il debole e l'indigente,
liberatelo dalla mano degli empi".
5Non capiscono, non vogliono intendere,
avanzano nelle tenebre;
vacillano tutte le fondamenta della terra.
6Io ho detto: "Voi siete dèi,
siete tutti figli dell'Altissimo".
7Eppure morirete come ogni uomo,
cadrete come tutti i potenti.
8Sorgi, Dio, a giudicare la terra,
perché a te appartengono tutte le genti.
Salmi 15
1'Salmo. Di Davide'.
Signore, chi abiterà nella tua tenda?
Chi dimorerà sul tuo santo monte?
2Colui che cammina senza colpa,
agisce con giustizia e parla lealmente,
3non dice calunnia con la lingua,
non fa danno al suo prossimo
e non lancia insulto al suo vicino.
4Ai suoi occhi è spregevole il malvagio,
ma onora chi teme il Signore.
Anche se giura a suo danno, non cambia;
5presta denaro senza fare usura,
e non accetta doni contro l'innocente.
Colui che agisce in questo modo
resterà saldo per sempre.
Isaia 10
1Guai a coloro che fanno decreti iniqui
e scrivono in fretta sentenze oppressive,
2per negare la giustizia ai miseri
e per frodare del diritto i poveri del mio popolo,
per fare delle vedove la loro preda
e per spogliare gli orfani.
3Ma che farete nel giorno del castigo,
quando da lontano sopraggiungerà la rovina?
A chi ricorrerete per protezione?
Dove lascerete la vostra ricchezza?
4Non vi resterà che piegarvi tra i prigionieri
o cadere tra i morti.
Con tutto ciò non si calma la sua ira
e ancora la sua mano rimane stesa.
5Oh! Assiria, verga del mio furore,
bastone del mio sdegno.
6Contro una nazione empia io la mando
e la comando contro un popolo con cui sono in colleraperché lo saccheggi, lo depredi
e lo calpesti come fango di strada.
7Essa però non pensa così
e così non giudica il suo cuore,
ma vuole distruggere
e annientare non poche nazioni.
8Anzi dice: "Forse i miei capi non sono altrettanti re?
9Forse come Càrchemis non è anche Calne?
Come Arpad non è forse Amat?
Come Damasco non è forse Samaria?
10Come la mia mano ha raggiunto quei regni degli idoli,
le cui statue erano più numerose
di quelle di Gerusalemme e di Samaria,
11non posso io forse, come ho fatto
a Samaria e ai suoi idoli,
fare anche a Gerusalemme e ai suoi simulacri?".
12Quando il Signore avrà terminato tutta l'opera sua sul monte Sion e a Gerusalemme, punirà l'operato orgoglioso della mente del re di Assiria e ciò di cui si gloria l'alterigia dei suoi occhi.
13Poiché ha detto:
"Con la forza della mia mano ho agito
e con la mia sapienza, perché sono intelligente;
ho rimosso i confini dei popoli
e ho saccheggiato i loro tesori,
ho abbattuto come un gigante
coloro che sedevano sul trono.
14La mia mano, come in un nido, ha scovato
la ricchezza dei popoli.
Come si raccolgono le uova abbandonate,
così ho raccolto tutta la terra;
non vi fu battito d'ala,
nessuno apriva il becco o pigolava".
15Può forse vantarsi la scure con chi taglia per suo mezzo
o la sega insuperbirsi contro chi la maneggia?
Come se un bastone volesse brandire chi lo impugna
e una verga sollevare ciò che non è di legno!
16Perciò il Signore, Dio degli eserciti,
manderà una peste contro le sue più valide milizie;
sotto ciò che è sua gloria arderà un bruciore
come bruciore di fuoco;
17La luce di Israele diventerà un fuoco,
il suo santuario una fiamma;
essa divorerà e consumerà rovi
e pruni in un giorno,
18besso consumerà anima e corpo
e sarà come un malato che sta spegnendosi.
18ala magnificenza della sua selva e del suo giardino;
19il resto degli alberi nella selva
si conterà facilmente,
persino un ragazzo potrebbe farne il conto.
20In quel giorno
il resto di Israele e i superstiti della casa di Giacobbe
non si appoggeranno più su chi li ha percossi,
ma si appoggeranno sul Signore,
sul Santo di Israele, con lealtà.
21Tornerà il resto,
il resto di Giacobbe, al Dio forte.
22Poiché anche se il tuo popolo, o Israele,
fosse come la sabbia del mare,
solo un suo resto ritornerà;
è decretato uno sterminio
che farà traboccare la giustizia,
23poiché un decreto di rovina
eseguirà il Signore, Dio degli eserciti,
su tutta la regione.
24Pertanto così dice il Signore, Dio degli eserciti: "Popolo mio, che abiti in Sion, non temere l'Assiria che ti percuote con la verga e alza il bastone contro di te come già l'Egitto.25Perché ancora un poco, ben poco, e il mio sdegno avrà fine; la mia ira li annienterà".26Contro di essa il Signore degli eserciti agiterà il flagello, come quando colpì Madian sulla rupe dell'Oreb; alzerà la sua verga sul mare come fece con l'Egitto.
27In quel giorno
sarà tolto il suo fardello dalla tua spalla
e il suo giogo cesserà di pesare sul tuo collo.
Il distruttore viene da Rimmòn,
28raggiunge Aiàt, attraversa Migròn,
in Micmàs depone il bagaglio.
29Attraversano il passo;
in Gheba si accampano;
Rama trema,
fugge Gàbaa di Saul.
30Grida con tutta la tua voce, Bat-Gallìm,
sta' attenta, Làisa,
rispondile, Anatòt!
31Madmenà è in fuga,
e alla fuga si danno gli abitanti di Ghebim.
32Oggi stesso farà sosta a Nob,
agiterà la mano verso il monte della figlia di Sion,
verso il colle di Gerusalemme.
33Ecco il Signore, Dio degli eserciti,
che strappa i rami con fracasso;
le punte più alte sono troncate,
le cime sono abbattute.
34È reciso con il ferro il folto della selvae il Libano cade con la sua magnificenza.
Atti degli Apostoli 27
1Quando fu deciso che ci imbarcassimo per l'Italia, consegnarono Paolo, insieme ad alcuni altri prigionieri, a un centurione di nome Giulio della coorte Augusta.2Salimmo su una nave di Adramitto, che stava per partire verso i porti della provincia d'Asia e salpammo, avendo con noi Aristarco, un Macèdone di Tessalonica.3Il giorno dopo facemmo scalo a Sidone e Giulio, con gesto cortese verso Paolo, gli permise di recarsi dagli amici e di riceverne le cure.4Salpati di là, navigammo al riparo di Cipro a motivo dei venti contrari5e, attraversato il mare della Cilicia e della Panfilia, giungemmo a Mira di Licia.6Qui il centurione trovò una nave di Alessandria in partenza per l'Italia e ci fece salire a bordo.7Navigammo lentamente parecchi giorni, giungendo a fatica all'altezza di Cnido. Poi, siccome il vento non ci permetteva di approdare, prendemmo a navigare al riparo di Creta, dalle parti di Salmóne,8e costeggiandola a fatica giungemmo in una località chiamata Buoni Porti, vicino alla quale era la città di Lasèa.
9Essendo trascorso molto tempo ed essendo ormai pericolosa la navigazione poiché era già passata la festa dell'Espiazione, Paolo li ammoniva dicendo:10"Vedo, o uomini, che la navigazione comincia a essere di gran rischio e di molto danno non solo per il carico e per la nave, ma anche per le nostre vite".11Il centurione però dava più ascolto al pilota e al capitano della nave che alle parole di Paolo.12E poiché quel porto era poco adatto a trascorrervi l'inverno, i più furono del parere di salpare di là nella speranza di andare a svernare a Fenice, un porto di Creta esposto a libeccio e a maestrale.
13Appena cominciò a soffiare un leggero scirocco, convinti di potere ormai realizzare il progetto, levarono le ancore e costeggiavano da vicino Creta.14Ma dopo non molto tempo si scatenò contro l'isola un vento d'uragano, detto allora "Euroaquilone".15La nave fu travolta nel turbine e, non potendo più resistere al vento, abbandonati in sua balìa, andavamo alla deriva.16Mentre passavamo sotto un isolotto chiamato Càudas, a fatica riuscimmo a padroneggiare la scialuppa;17la tirarono a bordo e adoperarono gli attrezzi per fasciare di gòmene la nave. Quindi, per timore di finire incagliati nelle Sirti, calarono il galleggiante e si andava così alla deriva.18Sbattuti violentemente dalla tempesta, il giorno seguente cominciarono a gettare a mare il carico;19il terzo giorno con le proprie mani buttarono via l'attrezzatura della nave.20Da vari giorni non comparivano più né sole, né stelle e la violenta tempesta continuava a infuriare, per cui ogni speranza di salvarci sembrava ormai perduta.
21Da molto tempo non si mangiava, quando Paolo, alzatosi in mezzo a loro, disse: "Sarebbe stato bene, o uomini, dar retta a me e non salpare da Creta; avreste evitato questo pericolo e questo danno.22Tuttavia ora vi esorto a non perdervi di coraggio, perché non ci sarà alcuna perdita di vite in mezzo a voi, ma solo della nave.23Mi è apparso infatti questa notte un angelo del Dio al quale appartengo e che servo,24dicendomi: Non temere, Paolo; tu devi comparire davanti a Cesare ed ecco, Dio ti ha fatto grazia di tutti i tuoi compagni di navigazione.25Perciò non perdetevi di coraggio, uomini; ho fiducia in Dio che avverrà come mi è stato annunziato.26Ma è inevitabile che andiamo a finire su qualche isola".
27Come giunse la quattordicesima notte da quando andavamo alla deriva nell'Adriatico, verso mezzanotte i marinai ebbero l'impressione che una qualche terra si avvicinava.28Gettato lo scandaglio, trovarono venti braccia; dopo un breve intervallo, scandagliando di nuovo, trovarono quindici braccia.29Nel timore di finire contro gli scogli, gettarono da poppa quattro ancore, aspettando con ansia che spuntasse il giorno.30Ma poiché i marinai cercavano di fuggire dalla nave e già stavano calando la scialuppa in mare, col pretesto di gettare le ancore da prora, Paolo disse al centurione e ai soldati:31"Se costoro non rimangono sulla nave, voi non potrete mettervi in salvo".32Allora i soldati recisero le gòmene della scialuppa e la lasciarono cadere in mare.
33Finché non spuntò il giorno, Paolo esortava tutti a prendere cibo: "Oggi è il quattordicesimo giorno che passate digiuni nell'attesa, senza prender nulla.34Per questo vi esorto a prender cibo; è necessario per la vostra salvezza. Neanche un capello del vostro capo andrà perduto".35Ciò detto, prese il pane, rese grazie a Dio davanti a tutti, lo spezzò e cominciò a mangiare.36Tutti si sentirono rianimati, e anch'essi presero cibo.37Eravamo complessivamente sulla nave duecentosettantasei persone.38Quando si furono rifocillati, alleggerirono la nave, gettando il frumento in mare.
39Fattosi giorno non riuscivano a riconoscere quella terra, ma notarono un'insenatura con spiaggia e decisero, se possibile, di spingere la nave verso di essa.40Levarono le ancore e le lasciarono andare in mare; al tempo stesso allentarono i legami dei timoni e spiegata al vento la vela maestra, mossero verso la spiaggia.41Ma incapparono in una secca e la nave vi si incagliò; mentre la prua arenata rimaneva immobile, la poppa minacciava di sfasciarsi sotto la violenza delle onde.42I soldati pensarono allora di uccidere i prigionieri, perché nessuno sfuggisse gettandosi a nuoto,43ma il centurione, volendo salvare Paolo, impedì loro di attuare questo progetto; diede ordine che si gettassero per primi quelli che sapevano nuotare e raggiunsero la terra;44poi gli altri, chi su tavole, chi su altri rottami della nave. E così tutti poterono mettersi in salvo a terra.
Capitolo XXIX: Invocare e benedire Dio nella tribolazione
Leggilo nella Biblioteca"Sia sempre benedetto il tuo nome" (Tb 3,23), o Signore; tu che hai disposto che venisse su di me questa tormentosa tentazione. Sfuggire ad essa non posso; devo invece rifugiarmi in te, perché tu mi aiuti, mutandomela in bene.
Signore, ecco io sono nella tribolazione: non ha pace il mio cuore, anzi è assai tormentato da questa passione.
Che dirò, allora, o Padre diletto? Sono stretto tra queste angustie; "fammi uscire salvo da un tale momento. Ma a tale momento io giunsi" (Gv 12,27) perché, dopo essere stato fortemente abbattuto e poi liberato per merito tuo, tu ne fossi glorificato. "Ti piaccia, o Signore, di salvarmi tu" (Sal 39,14); infatti che cosa posso fare io nella mia miseria; dove andrò, senza di te? Anche in questo momento di pericolo dammi di saper sopportare; aiutami tu, o mio Dio: non avrò timore di nulla, per quanto grande sia il peso che graverà su di me. E frattanto che dirò? O Signore, "che sia fatta la tua volontà" (Mt 26,42). Bene le ho meritate, la tribolazione e l'oppressione; e ora debbo invero saperle sopportare, - e, volesse il cielo, sopportare con pazienza - finché la tempesta sia passata e torni la bonaccia.
La tua mano onnipotente può fare anche questo, togliere da me questa tentazione o mitigarne la violenza, affinché io non perisca del tutto: così hai già fatto più volte con me, "o mio Dio e mia misericordia" (Sal 58,17). Quanto è a me più difficile, tanto è più facile a te "questo cambiamento della destra dell'Altissimo" (Sal 76,11).
LIBRO DODICESIMO
La Trinità - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaL’uomo esteriore e l’uomo interiore
1. 1. Vediamo ora dove si trovi ciò che è come il confine tra l’uomo esteriore e l’uomo interiore. Perché tutto ciò che nella nostra anima ci è comune con gli animali si dice, e a ragione, che appartiene ancora all’uomo esteriore. Infatti non solo il corpo costituisce l’uomo esteriore, ma va aggiunta questa specie di vita che dà vigore all’organismo corporeo e a tutti i sensi dei quali è dotato per sentire i corpi esterni; le immagini di questi corpi sentiti, fissate nella memoria e rappresentate con il ricordo, appartengono ancora all’uomo esteriore. In tutto questo non ci differenziamo dagli animali se non perché, per la conformazione del nostro corpo, non siamo proni ma eretti 1. Questo privilegio, secondo l’intenzione di Colui che ci ha creato, ci ammonisce di non essere con la nostra parte migliore, cioè con l’anima, simili agli animali, dai quali ci distingue la statura eretta. Non che noi dobbiamo fissare l’anima sui corpi che sono in alto, perché, cercare il riposo della volontà in tali cose, sarebbe ancora trascinare verso il basso l’anima. Ma come il nostro corpo, per natura, è eretto verso quelli che tra i corpi sono i più elevati, cioè verso i corpi celesti, così la nostra anima, che è sostanza spirituale, ha da volgersi verso quelle che sono le più elevate tra le realtà spirituali; non con un’esaltazione orgogliosa, ma con un pio amore della giustizia.
La conoscenza delle verità eterne
2. 2. Anche gli animali possono percepire, per mezzo dei sensi corporei, i corpi esteriori, ricordandosene dopo che si sono fissati nella memoria; desiderare, fra essi, quelli che sono utili, fuggire quelli che sono nocivi. Ma non possono invece fissare su di essi l’attenzione; ritenere, oltre ai ricordi spontaneamente captati dalla memoria, quelli che ad essa si affidano intenzionalmente; imprimerveli di nuovo, quando stanno già per cadere in dimenticanza, ricordandoli e pensandoli in modo che, come il pensiero si forma a partire dal contenuto della memoria, così lo stesso contenuto della memoria sia consolidato dal pensiero; costruire visioni immaginarie raccogliendo e, per così dire, ricucendo questi e quei ricordi presi di qui e di là; vedere come, in questo genere di cose, il verosimile si distingue dal vero, non nell’ordine spirituale, ma perfino nell’ordine materiale; tutti questi fenomeni, ed altri di tal genere, sebbene si svolgano e si trovino nell’ordine sensibile e nell’ordine delle conoscenze che l’anima ha attinto per mezzo dei sensi corporei, tuttavia non sono estranei alla ragione, né sono un qualcosa di comune agli uomini ed agli animali. Ma è compito della ragione superiore il giudicare di queste cose corporee, secondo le leggi incorporee ed eterne. Se queste non fossero al di sopra dello spirito umano, certamente non sarebbero immutabili; ma se esse non avessero alcun legame con quella parte di noi stessi che è loro sottomessa, non potremmo, in base ad esse, giudicare delle realtà corporee 2. Ora noi giudichiamo delle realtà corporee secondo la legge delle dimensioni e delle figure, legge di cui il nostro spirito conosce la persistenza immutabile.
La duplice funzione della ragione in un unico spirito
3. 3. Ma ciò che in noi, pur non essendoci comune con gli animali, presiede alle nostre attività di ordine materiale e temporale, appartiene senza dubbio alla ragione, ma di quella sostanza razionale del nostro spirito, che ci unisce e sottomette alla verità intelligibile e immutabile, è, come una derivazione e una applicazione nel trattamento e nel governo delle cose inferiori. Come infatti in tutto il regno animale non si trovò per l’uomo aiuto simile a lui, ma questo aiuto lo si formò da una parte di lui e gli fu dato in sposa, così per il nostro spirito che attinge la verità trascendente non esiste per regolare l’uso delle cose materiali nei limiti della natura umana un aiuto simile ad esso nelle parti che abbiamo comuni con le bestie. E perciò una parte della nostra ragione riceve un’incombenza speciale, che non ha lo scopo di creare una frattura, ma di fornire un aiuto in un campo subordinato. E come i due corpi dell’uomo e della donna non sono che una sola carne, così pure il nostro intelletto e l’azione, il consiglio e l’esecuzione, la ragione e l’appetito razionale (o se c’è qualche altro modo di dire che designi queste realtà in maniera più espressiva) sono compresi nell’unità della natura dello spirito; cosicché, come di quelli è stato detto: Saranno due in una sola carne 3; così di questi si possa dire: "Sono due in un solo spirito".
La trinità e l’immagine di Dio si trovano in quella parte dello spirito che contempla le verità eterne
4. 4. Quando dunque trattiamo della natura dello spirito umano, parliamo di una sola realtà: il duplice aspetto che ho distinto è solo in relazione alle due funzioni. E così, quando cerchiamo in esso una trinità, la cerchiamo nello spirito tutto intero e non separiamo la sua azione razionale sulle cose temporali dalla contemplazione delle cose eterne per cercare un terzo termine che completi la trinità. No, è nella natura dello spirito tutta intera che bisogna trovare una trinità, in modo che, anche se venga a mancare l’azione sulle cose temporali - opera alla quale è necessario un aiuto, per cui una parte dello spirito viene delegata all’amministrazione di queste cose inferiori -, possiamo trovare una trinità nello spirito uno e indiviso. Una volta distribuite così le funzioni, è nella sola regione dello spirito, che si dedica alla contemplazione delle realtà eterne, che troviamo non solo una trinità, ma anche l’immagine di Dio 4; invece nella regione dello spirito applicata alle nostre attività temporali, sebbene si possa trovare una trinità, tuttavia non si può trovare l’immagine di Dio.
La trinità del padre, della madre e del figlio non sembra essere immagine di Dio
5. 5. Perciò non mi pare abbastanza fondata l’opinione di coloro che ritengono che si possa riscontrare la trinità dell’immagine di Dio in una trinità di persone che riguarda l’ordine della natura umana; immagine che si realizzerebbe nel matrimonio dell’uomo e della donna e nella loro prole; cosicché l’uomo rappresenterebbe la persona del Padre; ciò che da lui procede per generazione, quella del Figlio; la terza persona, corrispondente allo Spirito sarebbe, dicono, la donna che procede dall’uomo senza essere tuttavia né suo figlio né sua figlia, sebbene concepisca e generi la prole 5. Disse infatti il Signore, dello Spirito Santo, che procede dal Padre 6, e tuttavia non è Figlio. In questa opinione erronea, l’unica affermazione ammissibile è che, se si considera l’origine della donna, come lo dimostra a sufficienza la testimonianza della Sacra Scrittura, non si può chiamare figlio ogni essere che trae origine da un’altra persona per essere persona a sua volta; è infatti dalla persona dell’uomo che trae la sua esistenza la persona della donna e tuttavia non si può chiamare sua figlia. Per il resto questa opinione è così assurda, anzi così falsa, che è estremamente facile confutarla. Passo sotto silenzio l’assurdo accostamento che fa dello Spirito Santo la madre del Figlio di Dio e la sposa del Padre; forse mi si potrà contestare che queste cose suscitano disgusto nell’ordine carnale, perché si pensa a concepimenti e a parti corporei. Sebbene anche queste cose i puri, per i quali tutto è puro, pensino con grandissima castità, per gli impuri invece e i non credenti, che hanno sia lo spirito che la coscienza contaminati, niente è puro 7, al punto che alcuni di essi si scandalizzano che Cristo sia nato secondo la carne, sia pure da una vergine. Ma tuttavia, in ciò che vi è di più elevato nell’ordine spirituale, dove non c’è nulla di contaminabile e corruttibile, né nascita nel tempo 8, né passaggio dall’informe al formato, se si parla di misteri ad immagine dei quali, sebbene in maniera assai lontana, sono generate le creature inferiori, essi non debbono turbare la riservatezza ed il ritegno di nessuno, affinché per evitare un vano orrore non si cada in un pernicioso errore. Ci si abitui a trovare nei corpi le vestigia delle realtà spirituali, in modo tale da non trascinare con sé nelle cose più elevate ciò che si disprezza in quelle più basse, quando, sotto la guida della ragione, si comincia quell’ascesa che, a partire dal temporale, ci dirige verso l’alto per farci giungere alla verità immutabile per mezzo della quale queste cose sono state fatte. Il fatto che il nome di sposa evochi al pensiero l’unione corruttibile necessaria alla generazione della prole non ha distolto lo scrittore sacro da scegliersi in sposa la sapienza, né la sapienza stessa è di sesso femminile, per il fatto che tanto in greco quanto in latino la si esprime con un vocabolo di genere femminile.
Confutazione dell’opinione precedente
6. 6. Non respingiamo dunque questa opinione perché temiamo di considerare questa santa, inviolabile ed immutabile carità come la sposa di Dio Padre, dal quale trae origine la sua esistenza, senza tuttavia essere sua prole destinata a generare il Verbo per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 9, ma perché la divina Scrittura ne mostra con evidenza la falsità. Infatti Dio disse: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 10. E poco dopo è detto: E Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 11. La parola: nostra, essendo un plurale, sarebbe impropria, se l’uomo fosse stato fatto a immagine di una sola persona, sia quella del Padre, del Figlio o dello Spirito Santo. Ma poiché veniva fatto ad immagine della Trinità, per questo si ha l’espressione: ad immagine nostra. Al contrario, per evitare che ritenessimo di dover credere che ci sono tre dèi nella Trinità, dato che questa stessa Trinità è un solo Dio, la Scrittura dice: E Dio fece l’uomo a immagine di Dio; come se dicesse: Ad immagine sua 12.
6. 7. Le Scritture spesso usano espressioni tali, alle quali alcuni, sebbene affermino la loro fede cattolica, non fanno sufficientemente attenzione, cosicché intendono queste parole: Dio fece (l’uomo) ad immagine di Dio, come se fosse detto: "Il Padre fece (l’uomo) ad immagine del Figlio", volendo provare così che nelle sante Scritture anche il Figlio è chiamato Dio, come se mancassero altri testi probanti, assai sicuri ed assai chiari, in cui il Figlio è detto non solo Dio, ma vero Dio 13. Infatti, a proposito di questa testimonianza, mentre vogliono risolvere altre difficoltà, cadono in un tale groviglio dal quale non si possono districare. Perché se il Padre creò l’uomo a immagine del Figlio, cosicché l’uomo non sia immagine del Padre, ma del Figlio, il Figlio non è simile al Padre. Però se una pia fede ci insegna, come difatti ci insegna, che la somiglianza del Figlio al Padre giunge fino all’uguaglianza dell’essenza, ciò che è stato creato a somiglianza del Figlio è stato creato anche a somiglianza del Padre. Inoltre, se il Padre ha creato l’uomo, non a sua immagine, ma a immagine del Figlio, perché non disse: "Facciamo l’uomo ad immagine e somiglianza tua", ma invece: a immagine e somiglianza nostra 14, se non perché l’immagine della Trinità veniva prodotta nell’uomo in modo che così l’uomo fosse l’immagine del solo Dio 15, perché la Trinità stessa è un solo vero Dio? Simili espressioni sono innumerevoli nelle Scritture, ma basterà addurre le seguenti. Si legge nei Salmi: Dal Signore viene la salvezza e sul tuo popolo è la tua benedizione 16, come si parlasse ad un altro, non più a colui cui si diceva: Dal Signore viene la salvezza. E in un altro Salmo: Tu mi salverai dalla tentazione e nel mio Dio salterò il muro 17, come se le parole: tu mi salverai dalla tentazione fossero indirizzate ad un altro. Si legge ancora: I popoli cadranno ai tuoi piedi, nel cuore dei nemici del re 18, come se dicesse: "Nel cuore dei tuoi nemici". È proprio al re, cioè al Signore nostro Gesù Cristo, che il Salmista diceva: I popoli cadranno ai tuoi piedi, ed è a questo stesso re che volle alludere quando aggiunse: nel cuore dei nemici del re. Tali espressioni si trovano più raramente nel Nuovo Testamento. Tuttavia l’Apostolo scrive nella Lettera ai Romani: Del Figlio suo, nato dalla discendenza di David secondo la carne, che fu predestinato Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santificazione, per mezzo della risurrezione dai morti di Gesù Cristo nostro Signore 19, come se all’inizio del passo avesse parlato di un altro. Chi è infatti il Figlio di Dio predestinato per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, se non lo stesso Gesù Cristo, che è stato predestinato ad essere il Figlio di Dio? Dunque quando leggiamo: Figlio di Dio nella potenza di Gesù Cristo, o Figlio di Dio secondo lo Spirito di santificazione di Gesù Cristo, o Figlio di Dio per la risurrezione dai morti di Gesù Cristo, mentre si sarebbe potuto dire, secondo il linguaggio corrente, "nella sua potenza" o "secondo lo Spirito della sua santificazione", "o Figlio di Dio per la sua risurrezione dai morti" o "dei suoi morti", niente ci obbliga a ritenere che si tratti di un’altra persona, ma si tratta invece di una sola e medesima Persona, cioè di quella del Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo. Così quando leggiamo: Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 20, sebbene si fosse potuto dire secondo il modo più corrente di esprimersi: a sua immagine 21, non siamo affatto obbligati a pensare che si tratti di un’altra persona distinta nella Trinità, ma si tratta della sola e medesima Trinità che è un solo Dio ad immagine della quale l’uomo è stato fatto 22.
6. 8. Stando così le cose 23, se noi troviamo questa stessa immagine della Trinità non in un solo uomo, ma in tre - nel padre, nella madre e nel figlio - allora l’uomo non era stato fatto ad immagine di Dio 24 prima che gli fosse stata data una donna e che avessero tutti e due procreato un figlio, perché non c’era ancora trinità. Qualcuno dirà forse: "C’era già trinità, perché, sebbene non possedesse ancora la sua forma propria, anche la donna era già presente, secondo la natura che ne sarebbe stata l’origine, nel costato dell’uomo ed il figlio nei lombi del padre"? Ma allora perché, dopo aver detto: Dio fece l’uomo ad immagine di Dio 25, la Scrittura aggiunge nel contesto immediato: Dio lo fece maschio e femmina; li fece e li benedisse 26? Bisogna forse dividere così le parti della frase: Dio fece l’uomo, continuare poi: lo fece ad immagine di Dio, e aggiungere infine: lo fece maschio e femmina? Alcuni hanno timore di dire: lo fece maschio e femmina, perché non si intendesse un essere mostruoso, simile a quelli che si chiamano ermafroditi 27, mentre si può, senza forzare il senso, vedere in questo singolare un’allusione all’uomo e alla donna, in quanto è detto: Due in una sola carne 28. Perché dunque, per riprendere il mio ragionamento, nella natura umana fatta ad immagine di Dio, la Scrittura non menziona che l’uomo e la donna? Perché l’immagine della Trinità fosse completa, avrebbe dovuto aggiungere anche il figlio, sebbene fosse ancora racchiuso nei lombi del padre, come la donna lo era nel suo costato 29. O si deve intendere che la donna era già stata creata e che la Scrittura, in un’espressione concisa, ora menziona soltanto ciò che si riserva di spiegare poi più dettagliatamente come sia stato creato e non poté menzionare il figlio, perché non era ancora nato? Come se lo Spirito Santo non avesse potuto designare con la stessa concisione il figlio, riservandosi di raccontarne la nascita al momento voluto, allo stesso modo che racconta poi, al momento voluto, come la donna è stata tratta dal costato dell’uomo senza omettere tuttavia di nominarla in questo passo.
Perché anche la donna non è immagine di Dio?
7. 9. Dunque non dobbiamo intendere che l’uomo è stato creato ad immagine della Trinità suprema, cioè ad immagine di Dio 30, nel senso che questa immagine si riscontri in una trinità di persone umane: tanto più che l’Apostolo dice che l’uomo (vir) è immagine di Dio e per questo gli proibisce di velarsi il capo, mentre ordina alla donna di farlo. Dice infatti: L’uomo non deve velarsi il capo, perché è l’immagine e la gloria di Dio. La donna invece è la gloria dell’uomo 31. Che dire di questo? Se la donna da parte sua contribuisce a completare l’immagine della Trinità perché, una volta che essa è stata tolta dal costato dell’uomo (vir), questi è ancora detto immagine 32? E se in questa trinità di persone umane, una di esse, considerata a parte, può essere detta immagine di Dio, allo stesso modo che nella suprema Trinità ciascuna Persona è Dio, perché anche la donna non è immagine di Dio? Ora sembra che essa non lo è, perché le si prescrive di velarsi il capo, cosa proibita all’uomo, perché egli è immagine di Dio.
Interpretazione figurata e mistica del detto dell’Apostolo: l’uomo è immagine di Dio, la donna gloria dell’uomo
7. 10. Ma vediamo bene come l’affermazione dell’Apostolo secondo cui non la donna, ma l’uomo è immagine di Dio, non sia contraria a ciò che è detto nel Genesi: Dio fece l’uomo, lo ha fatto ad immagine di Dio; lo ha fatto maschio e femmina e li ha benedetti 33. Secondo il Genesi è la natura umana in quanto tale che è stata fatta ad immagine di Dio, natura che si compone dei due sessi e quindi non esclude la donna, quando si tratta di intendere l’immagine di Dio. Infatti, dopo aver detto che Dio ha fatto l’uomo ad immagine di Dio, aggiunge: Lo fece maschio e femmina, o distinguendo diversamente: li fece maschio e femmina. Come può dunque l’Apostolo dire che l’uomo (vir) è immagine di Dio e per questo non deve velarsi il capo, ma che la donna non lo è per cui deve velarsi il capo 34? Il motivo è, ritengo, quello che ho già indicato, quando ho trattato della natura dello spirito umano: la donna è con suo marito immagine di Dio 35, cosicché l’unità di quella sostanza umana forma una sola immagine; ma quando è considerata come aiuto, proprietà che è esclusivamente sua, non è immagine di Dio; al contrario l’uomo, in ciò che non appartiene che a lui, è immagine di Dio 36, immagine così piena ed intera, come quando la donna gli è congiunta a formare una sola cosa con lui. È ciò che abbiamo detto della natura dello spirito umano: quando si dedica tutto alla contemplazione della verità è immagine di Dio, ma quando qualcosa di esso si distacca e una parte dell’attenzione si applica all’azione delle cose temporali, nondimeno lo spirito, nella parte di esso che vede e consulta la verità, resta immagine di Dio, ma nella parte invece che si applica all’azione sulle realtà inferiori, non è immagine di Dio. E, poiché esso quanto più si estende verso ciò che è eterno, tanto più ne è "formato" 37 ad immagine di Dio, e perciò non si deve in questo costringerlo a moderarsi e a contenersi; per tal motivo l’uomo non deve velarsi il capo 38. Ma poiché per l’azione razionale sulle cose temporali c’è il rischio di lasciarsi trascinare eccessivamente verso le realtà inferiori, per questo essa deve avere un potere sopra il suo capo, indicato dal velo, che significa che dev’essere contenuta 39. È un simbolo, questo, mistico e pio, gradito agli Angeli santi. Dio da parte sua non vede nel tempo e nessun elemento nuovo viene a modificare la sua visione e la sua scienza, quando avviene qualche avvenimento temporale e transitorio, come ne sono affetti i sensi carnali degli animali e degli uomini, o anche quelli spirituali degli Angeli.
7. 11. Che con questa chiara distinzione del sesso maschile e femminile l’Apostolo abbia simboleggiato un più profondo mistero, si può anche comprendere da questo fatto che, dicendo egli in un altro passo che la vedova vera è desolata senza figli e senza nipoti e tuttavia deve sperare nel Signore e perseverare nella preghiera notte e giorno 40, in questa stessa Epistola egli dice che la donna sedotta, caduta nella prevaricazione, si salva mediante la generazione dei figli, e aggiunge: se essi persevereranno nella fede, nella carità e nella santità con modestia 41. Come se potesse nuocere alla buona vedova il non aver dei figli o, avendone, il fatto che questi si rifiutino di perseverare nei buoni costumi. Ma, poiché quelle che sono chiamate le buone opere sono come i figli della nostra vita, in riferimento alla quale si domanda quale vita conduca ciascuno, cioè come compia queste azioni temporali - vita che i greci chiamano non , ma , e queste buone azioni si praticano ordinariamente nelle opere di misericordia, ma le opere di misericordia non sono di alcuna utilità ai Pagani né ai Giudei che non credono a Cristo, né agli eretici e scismatici di qualsiasi specie, che non hanno né fede né amore, né santità accompagnata alla temperanza 42 - risulta chiaro il pensiero dell’Apostolo. Egli parla in un senso figurato e mistico dell’obbligo che ha la donna di velare il capo 43; se queste parole non si riferissero a qualche mistero nascosto, sarebbero prive di senso.
7. 12. Come ce lo mostra non solo la retta ragione, ma anche l’autorità dello stesso Apostolo, l’uomo fu creato ad immagine di Dio 44, non secondo la forma del corpo, ma secondo la sua anima razionale 45. È una opinione grossolana e vana quella secondo cui si ritiene che Dio è circoscritto e limitato da una configurazione di membra corporee. Per di più il beato Apostolo non dice: Rinnovatevi nella vostra anima spirituale e rivestitevi dell’uomo nuovo, quello che è stato creato a immagine di Dio 46, e altrove, ancor più chiaramente non dice: Spogliatevi dell’uomo vecchio e delle sue azioni, rivestitevi dell’uomo nuovo che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che lo ha creato 47? Se dunque ci rinnoviamo nella nostra anima spirituale e l’uomo nuovo è colui che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creato, non c’è alcun dubbio che non è secondo il corpo, né secondo una qualsiasi parte dell’anima, ma secondo l’anima razionale la quale può conoscere Dio, che l’uomo è stato fatto ad immagine di Colui che l’ha creato. Inoltre per questo rinnovamento noi diventiamo altresì figli di Dio, con il battesimo di Cristo e rivestendoci dell’uomo nuovo, ci rivestiamo di Cristo per mezzo della fede 48. Chi dunque potrebbe pretendere di escludere le donne da questa partecipazione, dato che esse sono nostre coeredi della grazia e visto che l’Apostolo dice in un altro passo: Voi siete infatti tutti figli di Dio per mezzo della fede in Cristo Gesù, perché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo. Non c’è più né Giudeo, né Greco, né schiavo né libero, né maschio né femmina, perché siete tutti uno solo in Gesù Cristo 49? Si dovrà dunque pensare che le donne che credono hanno perduto il loro sesso? No, ma poiché si rinnovano ad immagine di Dio 50, là dove non entra il sesso, perciò, ivi stesso ove il sesso non entra, l’uomo è stato fatto ad immagine di Dio 51, cioè nella sua anima spirituale 52. Perché allora l’uomo non deve velare il suo capo perché è immagine e gloria di Dio, mentre la donna deve velarlo, perché è gloria dell’uomo 53, come se la donna non si rinnovasse nella sua anima spirituale, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l’immagine di Colui che l’ha creata 54? Perché, essendo la donna differente dall’uomo per il suo sesso, poté giustamente raffigurarsi nel velo del suo capo quella parte della ragione che si abbassa a dirigere le attività temporali. L’immagine di Dio non risiede se non nella parte dello spirito dell’uomo che si unisce alle ragioni eterne, per contemplarle ed ispirarsene, parte che, come è manifesto, possiedono non solo gli uomini, ma anche le donne 55.
L’oscuramento dell’immagine di Dio
8. 13. Dunque nei loro spiriti si riconosce una natura comune, nei loro corpi è invece raffigurata una diversità di funzioni di questo solo e medesimo spirito. Salendo perciò interiormente alcuni gradini attraverso le varie parti dell’anima con la riflessione, dove cominciamo a trovare in essa qualcosa che non ci è comune con gli animali, lì incomincia la ragione, in cui si può già riconoscere l’uomo interiore. Anche questi, se sotto l’influsso di quella ragione che è stata delegata all’amministrazione delle cose temporali scivola eccessivamente, con rapido cammino, verso le cose esteriori, con il consenso del suo "capo", cioè senza che lo trattenga e lo raffreni quella parte della ragione che comanda nella specola del consiglio e compie in qualche modo la funzione dell’uomo, invecchia in mezzo ai suoi nemici 56, i demoni invidiosi della sua virtù, con il loro principe, il diavolo, e la visione delle cose eterne è sottratta allo stesso "capo", che con la sua sposa mangia il frutto proibito, cosicché la luce dei suoi occhi non è più con lui 57. Così, spogliati ambedue di quella illuminazione della verità, ed essendo aperti gli occhi della loro coscienza per vedere quanto siano rimasti disonesti e laidi, uniscono insieme delle belle parole senza il frutto delle buone opere, cosicché, pur vivendo male, nascondono la loro turpitudine sotto l’apparenza di buone parole, come unendo insieme delle foglie che annunciano dolci frutti, ma senza questi stessi frutti 58.
9. 14. Innamorata del suo potere l’anima scivola dall’universale, che è comune a tutti, al particolare, che le è proprio per quella superbia che è forza di separazione, chiamata inizio del peccato 59, mentre, se avesse seguito Dio come guida nell’universalità della creazione, avrebbe potuto essere governata in maniera perfetta dalla legge divina. Desiderando invece qualcosa di più dell’universo, e avendo preteso di governarlo con la propria legge, precipita nella cura del particolare, perché non c’è nulla al di là dell’universo e così, desiderando qualcosa di più, diminuisce ; per questo l’avarizia è chiamata radice di tutti i mali 60; e questo tutto in cui essa si sforza di agire in maniera sua propria contro le leggi dalle quali è governato l’universale, lo regge con il suo corpo, che può avere solo un possesso parziale; e così affascinata dalle forme e dai movimenti corporei, dato che non li possiede nella sua interiorità, si involge nelle loro immagini, che ha fissato nella memoria, e si inquina vergognosamente per la fornicazione dell’immaginazione, riferendo tutte le sue attività a quei fini per cui cerca con inquietudine le cose corporee e temporali per mezzo dei sensi corporei, o, con fasto orgoglioso, affetta di essere superiore alle altre anime dedite ai sensi corporei o si immerge nel gorgo fangoso della voluttà carnale.
Le tappe della caduta
10. 15. Quando dunque l’anima con retta intenzione cerca, sia per sé, sia per gli altri, di attingere i beni interiori e superiori che sono posseduti con casto amplesso, non come un qualcosa di privato, ma come un qualcosa di comune, senza esclusione od invidia, da tutti coloro che li amano, anche se essa sbaglia in qualche punto per ignoranza delle cose temporali, dato che compie questo nel tempo, e non agisce come si deve, si tratta di una tentazione umana 61. Ed è gran cosa passare questa vita, che è come una via che prendiamo per ritornare, senza lasciarci sorprendere da nessuna tentazione, se non umana. Questo peccato infatti è esteriore al corpo 62; non è considerato come fornicazione e per questo ottiene molto facilmente perdono. Quando invece compie qualcosa per conseguire quegli oggetti che sono percepiti per mezzo del corpo, per desiderio di farne esperienza, di eccellervi, di entrare con essi in contatto, in vista di riporre in essi il fine del suo bene, qualunque cosa faccia, agisce in maniera turpe e fornica, peccando contro il proprio corpo 63, e trasportando all’interno di sé le immagini menzognere delle cose corporee e combinandole in vane fantasticherie, così da giungere al punto che niente le apparisca divino se non quello che è sensibile, egoisticamente avara, si riempie di errori e, egoisticamente prodiga, si svuota di forze 64. Né si precipita sin dall’inizio tutto d’un colpo in una fornicazione così turpe e miserevole, ma come è scritto: Colui che disprezza le piccole cose, a poco a poco cadrà 65.
Quando l’uomo pretende di essere come Dio cade in ciò che vi è di più basso, in ciò che fa la gioia delle bestie
11. 16. Allo stesso modo infatti che il serpente non avanza a passi franchi, ma striscia con l’invisibile movimento delle sue squame, così il movimento scivoloso della caduta trascina a poco a poco quelli che si abbandonano e, cominciando dal desiderio perverso di rassomigliare a Dio, giunge fino a far rassomigliare agli animali 66. Ecco perché, spogliati della stola prima, i progenitori hanno meritato 67, divenuti mortali, di rivestire tuniche di pelle 68. Infatti il vero onore dell’uomo consiste nell’essere l’immagine e la somiglianza di Dio 69, immagine che non si conserva se non andando verso Colui dal quale è impressa. Ne consegue che tanto più ci si unisce a Dio, quanto meno si ama ciò che si possiede in proprio. Ma il desiderio di fare esperienza del proprio potere fa ricadere, per un suo capriccio, l’uomo su se stesso come su un grado intermedio. Così quando pretende di essere come Dio, a nessuno sottoposto, per punizione viene precipitato, lontano persino da quel grado intermedio che è lui stesso, in ciò che vi è di più basso, cioè in ciò che fa la felicità degli animali. E così, consistendo il suo onore nell’essere l’immagine di Dio, il suo disonore nell’essere immagine della bestia: L’uomo posto in dignità, non lo comprese; si è assimilato agli animali senza ragione ed è divenuto simile a loro 70. Per dove compirebbe dunque un così lungo tragitto che porta dalle vette più alte alle cose più basse, se non passando per quel grado intermedio che è lui stesso? Infatti quando, trascurando l’amore della sapienza, che rimane sempre immutabile, si desidera la scienza che viene dall’esperienza delle cose mutevoli e temporali, scienza che gonfia, non edifica 71, l’anima, per questo, soccombendo come al suo peso, e cacciata dalla beatitudine e facendo esperienza di quel grado intermedio che è essa stessa, apprende, per il suo castigo, quale differenza separa il bene che ha abbandonato dal male che ha commesso e per l’effusione e la perdita delle sue forze non è capace di ritornare indietro, se non per la grazia del suo Creatore che la chiama alla penitenza e le rimette i peccati. Chi libererà infatti l’anima infelice da questo corpo di morte, se non la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore 72? Di questa grazia parleremo a suo luogo, quando egli ce lo concederà.
Interpretazione allegorica del primo peccato: matrimonio misterioso nell’uomo interiore
12. 17. Completiamo ora, con l’aiuto del Signore, lo studio intrapreso circa quella parte della ragione alla quale appartiene la scienza, cioè la conoscenza delle cose temporali e mutevoli, necessaria per esplicare le attività di questa vita. Come nella storia da tutti conosciuta della prima coppia umana, il serpente non mangiò del frutto proibito, ma soltanto persuase a mangiarne, e la donna non fu la sola a mangiarne, ma ne diede a suo marito, e ne mangiarono insieme, sebbene abbia parlato da sola con il serpente e sia stata la sola ad essere sedotta da esso 73, così anche in quest’altro matrimonio misterioso e segreto, che si attua e si riconosce pure in ogni uomo considerato individualmente, il movimento carnale o, per dir così, il movimento sensuale dell’anima, che pone tutta la sua attenzione ai sensi del corpo e ci è comune con gli animali, è estraneo alla ragione che si applica alla sapienza. Il senso corporeo infatti percepisce le cose corporee, la ragione che si applica alla sapienza ha l’intelligenza delle cose immutabili e spirituali. Ora l’appetito è vicino alla ragione che si applica alla scienza, in quanto la scienza, detta dell’azione, ragiona sulle stesse cose corporee percepite dai sensi del corpo; ma se il suo ragionamento è buono lo fa per riferire quella conoscenza al fine del Bene sommo, se è invece cattivo lo fa per fruire di quelle cose come di beni tali in cui si possa riposare in una beatitudine menzognera. Quando dunque questa attenzione dello spirito, che esercita la sua funzione attiva sulle cose temporali e corporee con la vivacità propria al ragionamento, si lascia attirare dal senso carnale od animale a fruire di sé, cioè a fruire di un bene egoistico e particolare, non del bene generale e comune, qual è il bene immutabile, allora è come se il serpente parlasse alla donna. Consentire a questa attrattiva è mangiare del frutto proibito. Però se questo consenso si limita ad una semplice compiacenza del pensiero, ma l’autorità di una decisione superiore trattiene le membra dall’abbandonarsi al peccato come strumenti d’iniquità 74, allora, mi sembra, è come se la donna sola mangiasse del frutto proibito. Se, al contrario, consentendo al cattivo uso delle cose percepite per mezzo dei sensi del corpo si risolve di commettere qualunque peccato, anche col corpo, se ne ha il potere, bisogna allora intendere che quella donna ha dato al marito da mangiare, insieme a lei, del cibo proibito. Infatti non si può decidere con lo spirito non solamente di compiacersi nel peccato di pensiero, ma anche di commetterlo con un atto, se l’attenzione dello spirito, che ha il potere assoluto di far agire le membra o di impedire che agiscano, non ceda e si abbandoni alla cattiva azione.
12. 18. Certamente non si può negare che ci sia peccato, quando lo spirito si compiace solamente con il pensiero di cose proibite, deciso, è vero, a non commetterle, ma compiacendosi a trattenere e a ripensare delle immagini che avrebbe dovuto cacciare al primo loro apparire; ma questo peccato è molto minore che se si decidesse di doverlo anche mettere in atto. Perciò si deve domandare perdono anche di tali pensieri, percuotersi il petto e dire: Rimetti a noi i nostri debiti, fare ciò che segue e aggiungere nella preghiera: come noi li rimettiamo ai nostri debitori 75. Non è infatti come nel caso dei primi due uomini, quando ciascuna persona era responsabile per sé, e perciò se solo la donna avesse mangiato del frutto proibito, essa sola sarebbe stata condannata alla pena di morte. Quando si tratta di un uomo solo, il caso è diverso. Se il solo pensiero, compiacendosene, si pasce dei piaceri proibiti, da cui avrebbe dovuto distogliersi immediatamente, né si decide a compiere queste azioni cattive, ma si limita a ritenerne ed assaporarne le immagini, questo caso non si può paragonare a quello della donna che può essere punita senza l’uomo; guardiamoci bene dal crederlo. Qui c’è una sola persona, un solo uomo, e sarà condannato tutto intero, a meno che questi che sono ritenuti peccati del solo pensiero, perché commessi senza il proposito di scendere all’azione, ma tuttavia con il proposito di trovarne diletto interiormente, non siano rimessi per mezzo della grazia del Mediatore.
12. 19. In tutta questa discussione in cui abbiamo cercato di mostrare che esiste, nello spirito di ciascun uomo, una specie di matrimonio tra la ragione contemplativa e la ragione attiva, con l’attribuzione a ciascuna di funzioni diverse, ma senza compromettere l’unità dello spirito - e questo senza recar pregiudizio alla verità della narrazione della divina Scrittura che ci racconta dei due primi uomini, marito e moglie, origine del genere umano -, non avevamo altro fine che far intendere che l’Apostolo, dicendo che l’uomo solo, non la donna, è immagine di Dio, ha voluto, sebbene sotto l’immagine della distinzione di sesso tra due esseri umani, significare qualcosa che si deve cercare in ogni essere umano, considerato individualmente 76.
Altra interpretazione simbolica: l’opinione che l’uomo significhi lo spirito, la donna i sensi
13. 20. Non ignoro che, prima di noi, illustri difensori della fede cattolica 77 e commentatori delle divine Scritture, cercando questi due principi nell’uomo individuale, la cui anima, buona nel suo insieme, considerarono come una specie di paradiso, affermarono che l’uomo rappresenta lo spirito, la donna il senso del corpo. E se si accetta poi questa distinzione che vede nell’uomo l’immagine dello spirito, nella donna quella del senso del corpo, tutto sembra accordarsi in maniera perfetta qualora si considerino attentamente le cose, ma con questa riserva però: che è scritto che fra tutte le bestie e tutti gli uccelli non è stato trovato per l’uomo un aiuto simile a lui 78, ed allora fu creata la donna traendola dal suo costato 79. Per questo non ho creduto di dover considerare la donna come simbolo del senso corporeo che, come sappiamo, ci è comune con le bestie, ma ho voluto vedere in lei il simbolo di qualcosa che le bestie non avessero; così ho pensato che si dovesse invece vedere nel serpente il simbolo del senso corporeo; il serpente che è, secondo la Scrittura, il più astuto degli animali della terra 80. Fra quei beni naturali, che vediamo esserci comuni con gli animali, eccelle per la sua vivacità il senso, non quel senso di cui parla l’Epistola agli Ebrei, quando dice: Il nutrimento solido è per gli uomini perfetti, i cui sensi sono esercitati dall’abitudine a discernere il bene dal male 81, perché questi sono sensi della natura razionale ed appartengono all’intelligenza; quello invece è un senso corporeo che si divide in cinque sensi e mediante il quale non solo noi, ma anche le bestie, percepiscono le forme e i movimenti corporei.
13. 21. Ma sia che si debba intendere in questo o in quel modo, o in un altro ancora, ciò che l’Apostolo dice quando afferma che l’uomo è immagine e gloria di Dio, la donna invece gloria dell’uomo 82, in ogni caso appare chiaro che, quando viviamo secondo Dio, il nostro spirito, teso verso le perfezioni invisibili di Dio, deve progressivamente ricevere la sua forma modellandosi sulla sua eternità, sulla sua verità, sulla sua carità, ma che una parte della nostra attenzione razionale, cioè dello stesso spirito, deve essere diretta verso l’uso delle cose mutevoli e corporee, senza di che non si può vivere questa vita; ma non per conformarci a questo mondo 83, ponendo il nostro fine in questi beni e deviando su di essi il nostro appetito di felicità, ma perché, quanto facciamo razionalmente nell’uso dei beni temporali, lo facciamo senza cessare di contemplare i beni eterni da conseguire, passando attraverso quelli, unendoci a questi.
Sapienza e scienza
14. 21. Perché anche la scienza è benefica alla sua maniera, se ciò che in essa gonfia o suole gonfiare è dominato dall’amore delle cose eterne, che non gonfia, ma che, come sappiamo, edifica 84. Senza la scienza infatti non possono esistere nemmeno le virtù con le quali si possa dirigere questa misera vita in modo da raggiungere quella eterna, che è veramente beata.
Differenza tra la sapienza e la scienza
14. 22. C’è tuttavia una differenza tra la contemplazione delle cose eterne e l’azione con la quale facciamo buon uso delle cose temporali: quella si attribuisce alla sapienza, questa alla scienza. Sebbene infatti anche la sapienza possa venir chiamata scienza, come lo mostra l’affermazione dell’Apostolo, che dice: Ora conosco parzialmente, allora conoscerò come sono conosciuto 85, per questa scienza egli intende certamente la contemplazione di Dio, che sarà il premio supremo dei santi; tuttavia dove l’Apostolo dice: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 86, distingue, senza dubbio, l’una dall’altra, benché non spieghi la natura della loro differenza, e i caratteri che permettano di distinguerle. Ma dopo aver scrutato le molteplici ricchezze delle sante Scritture, trovo scritta nel libro di Giobbe questa sentenza del santo uomo: Ecco, la pietà è la sapienza, la fuga dal male è la scienza 87. Questa distinzione ci fa comprendere che la sapienza riguarda la contemplazione, la scienza l’azione. In questo passo Giobbe identifica la pietà con il culto di Dio, che in greco si dice . È questa la parola che si trova presso i codici greci in questo passo. E fra le cose eterne che vi è di più eccellente di Dio, che solo possiede una natura immutabile? E che è il culto di Dio, se non l’amore di lui, amore che ci fa desiderare di vederlo, che ci fa credere e sperare che lo vedremo, perché nella misura in cui progrediamo lo vediamo ora per mezzo di uno specchio, in enigma, ma un giorno lo vedremo nella sua piena manifestazione? È ciò che dice l’apostolo Paolo quando parla della "visione" faccia a faccia 88; è anche quello che dice l’apostolo Giovanni: Carissimi, ora siamo figli di Dio, e ciò che saremo un giorno non è stato ancora manifestato; ma sappiamo che al momento di questa manifestazione saremo simili a lui, perché lo vedremo come è 89. In questi passi e in passi simili si tratta proprio, mi pare, della sapienza 90. Astenersi invece dal male 91, ciò che Giobbe chiama scienza, appartiene certamente all’ordine delle cose temporali. Perché è in quanto siamo nel tempo che siamo soggetti al male, che dobbiamo evitare, per giungere ai beni eterni. Perciò tutto quanto compiamo con prudenza, forza, temperanza e giustizia, appartiene a quella scienza o regola di condotta, che guida la nostra azione nell’evitare il male e nel desiderare il bene; e le appartiene pure tutto ciò che, come esempio da evitare o da imitare e come conoscenza necessaria tratta da avvenimenti adatti ad illuminare la nostra vita, raccogliamo attraverso la conoscenza della storia.
La sapienza è conoscenza delle cose eterne
14. 23. Quando si parla di queste cose mi pare che il discorso riguardi la scienza e vada distinto da quello che concerne la sapienza 92 alla quale non appartengono né le cose passate né le future, ma quelle che sono presenti, e a causa di quella eternità in cui esistono, si chiamano passate, presenti e future senza alcuna mutazione di tempo. Infatti non sono passate in modo che abbiano cessato di esistere, o future come se non esistessero ancora, ma esse hanno avuto sempre lo stesso essere e sempre l’avranno. Permangono infatti, non però fisse in un’estensione spaziale come i corpi; ma nella loro natura incorporea le realtà intelligibili sono presenti allo sguardo dello spirito, come i corpi sono visibili e tangibili ai sensi corporei. Ma non soltanto le ragioni intelligibili e incorporee delle cose sensibili, situate nello spazio, sussistono indipendentemente da ogni estensione, bensì anche quelle dei movimenti che passano nel tempo permangono indipendenti da ogni divenire temporale, essendo intelligibili, non sensibili. Giungere ad attingerle con lo sguardo dello spirito è privilegio di pochi e quando vi si giunge, nei limiti del possibile, non vi permane colui stesso che vi è giunto, ma ne è come respinto dallo stesso offuscamento dello sguardo, e si ha così un pensiero passeggero di una cosa che non passa. Tuttavia questo pensiero, avanzando attraverso quelle discipline che istruiscono l’anima, è affidato alla memoria, cosicché abbia dove ritornare, esso che è costretto ad allontanarsi. Tuttavia se il pensiero non ritornasse alla memoria e se non vi ritrovasse ciò che le aveva affidato, come un ignorante sarebbe ricondotto a questo, come vi era stato condotto prima, e lo troverebbe dove l’aveva trovato prima, cioè in quella verità incorporea, da cui trarrebbe di nuovo una specie di copia che fisserebbe nella memoria. Infatti non allo stesso modo, per esempio, che permane la ragione incorporea ed immutabile di un corpo quadrato, può permanere ad essa unito il pensiero dell’uomo, supponendo tuttavia che vi sia potuto giungere senza rappresentazione spaziale. O ancora, se si coglie il ritmo di un’armonia melodiosa che scorre nel tempo, come immobile al di fuori del tempo in una specie di segreto e di profondo silenzio 93, vi si può pensare almeno per il periodo di tempo in cui si può udire quel canto; tuttavia quanto di ciò ha trattenuto lo sguardo, sebbene fugace, dello spirito ed ha depositato nella memoria, come inghiottendolo nello stomaco, esso potrà con il ricordo in qualche modo ruminarlo e far diventare conoscenza metodica ciò che abbia in tal modo appreso. Se la dimenticanza ha tutto cancellato, sotto la guida dell’insegnamento si può di nuovo giungere a ciò che era interamente scomparso e così lo si ritroverà com’era.
Confutazione della reminiscenza sostenuta da Platone e da Pitagora
15. 24. Per questo Platone, quel celebre filosofo, si sforzò di persuaderci che le anime hanno vissuto quaggiù anche prima di unirsi a questi corpi e perciò si spiega che ciò che si apprende è reminiscenza di ciò che già si conosceva, più che conoscenza di qualcosa di nuovo 94. Infatti racconta che, un fanciullo, interrogato su argomenti di geometria, rispose come un maestro assai versato in quella disciplina. Interrogato per gradi e ad arte vedeva ciò che doveva vedere e diceva ciò che aveva visto 95. Ma se si trattasse qui di un ricordo di cose anteriormente conosciute, non sarebbe possibile a tutti o a quasi tutti rispondere a domande di tal genere. Infatti non tutti furono geometri nella loro vita anteriore, essendo i geometri così rari tra gli uomini che a mala pena se ne può trovare qualcuno. Bisogna piuttosto ritenere che la natura dell’anima intellettiva è stata fatta in modo che, unita, secondo l’ordine naturale disposto dal Creatore, alle cose intellegibili, le percepisce in una luce incorporea speciale, allo stesso modo che l’occhio carnale percepisce ciò che lo circonda, nella luce corporea, essendo stato creato capace di questa luce ed ad essa ordinato. Infatti non è a dire che egli distingua, anche senza l’aiuto di un maestro, il bianco dal nero per il motivo che conosceva già queste cose prima di esistere in questo corpo. Infine perché soltanto a riguardo delle cose intelligibili può accadere che qualcuno risponda, se lo si interroga ad arte, su ciò che appartiene a qualsiasi disciplina, sebbene la ignori del tutto? Perché nessuno può far questo, riguardo alle cose sensibili, se non per quelle che ha visto una volta unito al suo corpo o per quelle cui ha creduto sulla testimonianza di coloro che le sapevano e le hanno comunicate per iscritto o con le loro parole? Non si ha da credere infatti a coloro che raccontano che Pitagora di Samo si sarebbe ricordato di certe cose di cui aveva fatto esperienza quando viveva quaggiù in un altro corpo 96; altri narrano che alcuni altri avrebbero sperimentato nei loro spiriti qualcosa di simile. Si tratta di false reminiscenze simili a quelle che proviamo per lo più nel sonno, quando ci sembra di ricordare, come se lo avessimo fatto o visto, ciò che non abbiamo né fatto né visto, e accade che simili affezioni si producano anche nell’anima di persone sveglie, per influsso degli spiriti maligni e ingannatori che si preoccupano di confermare e far nascere delle false opinioni sulla migrazione delle anime per ingannare gli uomini; lo si può provare a partire dal fatto che, se si ricordassero veramente le cose viste quaggiù prima, quando si viveva uniti ad altri corpi, si tratterebbe di un’esperienza comune a molti o a quasi tutti, perché, secondo tale opinione, si suppone un passaggio incessante dalla vita alla morte e dalla morte alla vita, come dalla veglia al sonno e dal sonno alla veglia.
La giusta distinzione tra sapienza e scienza; anche nella scienza si trova una trinità
15. 25. Se dunque la vera differenza tra la sapienza e la scienza consiste in questo: che alla sapienza appartiene la conoscenza intellettiva delle cose eterne, alla scienza invece la conoscenza razionale delle cose temporali, non è difficile giudicare a quale si debba dare la precedenza, a quale l’ultimo posto. Supponendo che si debba usare un altro criterio per distinguere queste due cose, che l’Apostolo senza alcun dubbio distingue, quando afferma: Ad uno è dato per mezzo dello Spirito il linguaggio della sapienza, ad un altro il linguaggio della scienza secondo lo stesso Spirito 97, tuttavia anche in tal caso rimane assai chiara la distinzione che abbiamo fatto tra le due, per cui una cosa è la conoscenza intellettiva delle cose eterne, altra cosa la conoscenza razionale delle cose temporali; e nessuno dubita che bisogna preferire la prima alla seconda.
Lasciando dunque da parte ciò che appartiene all’uomo esteriore e desiderando elevarci interiormente al di sopra di ciò che abbiamo in comune con gli animali, prima di giungere alla conoscenza delle realtà intelligibili e supreme, che sono eterne, incontriamo la conoscenza razionale delle cose temporali. Anche in essa sforziamoci dunque di vedere, se ci è possibile, una trinità, come ne abbiamo trovata una nei sensi corporei e un’altra nelle cose che per mezzo di essi sono entrate nell’anima e nel nostro spirito sotto forma di immagini; in luogo delle cose corporee che attingiamo dal di fuori, con i sensi corporei, avevamo in questo secondo caso le similitudini dei corpi impresse nella memoria, immagini che informavano il pensiero, intervenendo la volontà come terzo elemento che univa questo a quelle, a somiglianza di come era informato al di fuori lo sguardo degli occhi, che la volontà dirigeva verso la cosa visibile per produrre la visione, unendo l’uno all’altra, aggiungendosi, essa stessa, anche in questo caso, come terzo elemento. Ma non facciamo entrare forzatamente tale argomento in questo libro, affinché, nel seguente, se Dio ci aiuterà, lo si possa indagare con pieno agio e si possa esporre ciò che avremo trovato.
1 - Cf. Sallustio, Catil. 1, 1; Cicerone, De leg. 1, 9, 26; Ovidio, Metam. 1, 84-86.
2 - Cf. Agostino, De div. qq. 83 66, 2: NBA, VI/2.
3 - Gn 2, 24; Mt 19, 5; 1 Cor 6, 16; Ef 5, 31.
4 - 1 Cor 11, 7; Gn 1, 26 27; 9, 6; Sap 2, 23; Eccli 17, 1.
5 - Cf. Ireneo, Adv. haeres. 1, 30, 1; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 57, 7 - 58, 14.
6 - Gv 15, 26.
7 - Tt 1, 15.
8 - Ambrogio, De fide 4, 9, 99.
9 - Gv 1, 3.
10 - Gn 1, 26.
11 - Gn 1, 27.
12 - Ibid.
13 - Cf. 1 Gv 5, 20; Gv 17, 3.
14 - Gn 1, 26.
15 - 1 Cor 11, 7; Gn 1, 26, 27; 9, 6; Sap 2, 23; Eccli 17, 1.
16 - Sal 3, 9.
17 - Sal 17, 30.
18 - Sal 44, 6.
19 - Rm 1, 3, 4.
20 - Gn 1, 27; 5, 1.
21 - Eccli 17, 1.
22 - Dt 6, 4; Ml 2, 10; Mc 12, 29-32; Gv 17, 3; Rm 3, 30; Gal 3, 20; Ef 4, 6; 1 Tm 2, 5; Gc 2, 19.
23 - Cicerone, In Catil. 1, 5, 10.
24 - Gn 9, 6.
25 - Gn 1, 27; 5, 1.
26 - Gn 1, 27-28; 5, 2.
27 - Cf. Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 64.
28 - Gn 2, 24; Mt 19, 5; 1 Cor 6, 16; Ef 5, 31.
29 - Cf. Gn 2, 21-22.
30 - Gn 1, 26.27; 5, 1; 9, 6.
31 - 1 Cor 11, 7.
32 - Cf. Gn 2, 21-22; 1 Cor 11, 5-7.
33 - Gn 1, 27.28; 5, 1 2.
34 - Cf. 1 Cor 11, 5-7.
35 - Gn 1, 27; 5, 1; 9, 6.
36 - 1 Cor 11, 7.
37 - Cf. Agostino, De Gen. ad litt. 3, 20: NBA, IX/2.
38 - 1 Cor 11, 7.
39 - Cf. 1 Cor 11, 5.
40 - 1 Tm 5, 5.
41 - 1 Tm 2, 15.
42 - Cf. Agostino, De spir. et litt. 28: NBA, XVII/1.
43 - Cf. 1 Cor 11, 5.
44 - Gn 1, 26.27; 5, 1; 9, 6.
45 - Cf. Origene, In Gen. hom. 1, 3; 13, 4; Ambrogio, Hexaem. 6, 7, 40 - 8, 45.
46 - Ef 4, 23-24.
47 - Col 3, 9-10.
48 - Gal 3, 26-27; Col 3, 10.
49 - Gal 3, 26-28.
50 - Col 3, 10.
51 - Gn 9, 6.
52 - Ef 4, 23.
53 - 1 Cor 11, 7.
54 - Col 3, 10; Ef 4, 23.
55 - Cf. 1 Cor 11, 5-7.
56 - Sal 6, 8.
57 - Sal 37, 11.
58 - Gn 3.
59 - Eccli 10, 15.
60 - 1 Tm 6, 10.
61 - 1 Cor 10, 13.
62 - 1 Cor 6, 18.
63 - Ibid.
64 - Cf. Agostino, Retract. 2, 41, 4: NBA, II.
65 - Eccli 19, 1.
66 - Cf. Gn 3, 5 6; Eccle 3, 18; Sal 48, 13.
67 - Gn 3, 7 21.
68 - Cf. Porfirio, Ad Aneb.; Plotino, Enn. 1, 6, 7, 4-9; Origene, Hom. in Lev. 6, 2.
69 - Gn 1, 26.27; 3, 21; 5, 1; 9, 6.
70 - Sal 48, 13.
71 - 1 Cor 8, 1; Sap 9, 15.
72 - Rm 7, 24-25.
73 - Cf. Gn 3, 1-6.
74 - Rm 6, 13.
75 - Mt 6, 12.
76 - Cf. 1 Cor 11, 7.
77 - Cf. Tertulliano, De anima 18; Ambrogio, Noe 92; Mario Vittorino, Adv. Arium 1, 62.
78 - Gn 2, 20.
79 - Cf. Gn 2, 20-22.
80 - Gn 3, 1.
81 - Eb 5, 14.
82 - Cf. 1 Cor 11, 7.
83 - Rm 12, 2.
84 - 1 Cor 8, 1.
85 - 1 Cor 13, 12.
86 - 1 Cor 12, 8.
87 - Gb 28, 28.
88 - 1 Cor 13, 12.
89 - 1 Gv 3, 2.
90 - 1 Cor 12, 8.
91 - Gb 28, 28.
92 - Cf. 1 Cor 12, 8.
93 - Cf. Virgilio, Aen. 10, 63; Orazio, Sat. 2, 6; 58; Ovidio, Metam. 1, 349; Quintiliano, Instit. 10, 3, 22.
94 - Cf. Agostino, Solil. 2, 20, 35: NBA, III/1; De quant. an. 20, 34: NBA, III/2; Ep. 7: NBA, XXI/1; Retract. 1, 8, 2: NBA, II.
95 - Cf. Cicerone, Tuscul. 1, 24, 57; Platone, Men. 81d-84; Phaido 72e; Phaed. 249c-250.
96 - Cf. Empedocle, Fragm. 129; Eracle Pontico, in Diogene Laerzio, De vir. ill. 8, 4.
97 - 1 Cor 12, 8.
28 - Cristo, nostro redentore, incomincia a chiamare e a ricevere i suoi discepoli alla presenza del Battista.
La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca1017. Gesù, dopo aver trascorso i dieci mesi successivi al digiuno spostandosi tra le genti della Giudea e operando privatamente grandi miracoli, decise di manifestarsi al mondo. In passato non aveva proclamato nascostamente la verità, ma non si era dichiarato Messia e maestro della vita; adesso, secondo il disegno della divina sapienza, era giunta l'ora di farlo. Tornò dunque dal suo precursore, affinché, mediante la testimonianza che questi doveva rendergli pubblicamente, la luce incominciasse a risplendere nelle tenebre. Giovanni, per una rivelazione dall'alto, apprese che colui che attendeva era arrivato e per lui era ormai tempo di farsi conoscere come redentore e vero Figlio dell'eterno Padre. Mentre aspettava con questa illuminazione interiore, lo vide avvicinarsi e con mirabile giubilo esclamò davanti ai suoi: «Ecco l'agnello di Dio!». Questa confessione richiamava e supponeva non solo quella che, nei medesimi termini, aveva fatto in altre occasioni, ma anche l'insegnamento che egli aveva dato, più in particolare, a quanti stavano ad ascoltarlo. Fu come se avesse detto: «Ecco l'agnello di Dio, del quale vi ho annunciato la venuta per riscattare l'umanità e aprire la strada del cielo». Questa fu l'ultima volta che egli stette con lui in modo naturale, anche se in un'altra maniera godette della sua presenza alla propria morte, come esporrò in seguito.
1018. Udirono il Battista due dei suoi primi discepoli e, in virtù dell'espressione da lui pronunciata e della grazia che ricevettero nell'intimo, si incamminarono dietro al Salvatore, il quale, volgendosi ad essi con amabilità, domandò che cosa cercassero. Risposero che desideravano sapere dove abitava, per cui egli li tenne con sé e quel giorno si fermarono presso di lui, come riferisce il quarto evangelista. Questi specifica che uno dei due era Andrea, fratello di Simon Pietro, senza indicare il nome dell'altro; secondo ciò che ho inteso, si trattava di lui stesso, ma non volle svelarlo per la sua profonda modestia. Così egli e il compagno furono le primizie dell'apostolato, perché, recependo le parole di colui che allora li guidava, seguirono all'istante il Signore senza alcun appello diretto da parte sua. Subito dopo Andrea s'imbatté in suo fratello, gli comunicò che aveva trovato il Messia, cioè il Cristo, e lo condusse a lui, che esclamò: «Tu sei Simone, il figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)». Tutto questo accadde ai confini della Giudea, da dove sua Maestà decise di partire l'indomani. Vide Filippo e lo chiamò con sé. Questi raccontò immediatamente a Natanaele ciò che gli era successo e come aveva incontrato il Messia, Gesù di Nazaret; portato al suo cospetto, dopo il colloquio narrato da san Giovanni alla fine del primo capitolo della sua opera anch'egli andò con lui.
1019. Con queste cinque persone, che furono le fondamenta iniziali per la costruzione della Chiesa, il Maestro entrò nella provincia della Galilea predicando e battezzando apertamente; dette così l'avvio alla vocazione dei Dodici. Quando si accostarono a lui, rischiarò i loro cuori, accese in essi il fuoco del divino amore e li preparò con larghe benedizioni. Non è possibile spiegare degnamente quanto gli costò l'educazione di questi e degli altri per edificare la comunità dei credenti: li cercò con sollecitudine e sconfinata cura; li attirò con potenti, frequenti ed efficaci aiuti della sua grazia; li illuminò con favori incomparabili; li accolse con mirabile clemenza; li nutrì col latte dolcissimo del suo insegnamento; li tollerò con invincibile mitezza; li accarezzò come un affettuosissimo padre i suoi bambini piccoli e teneri. La formazione che dava loro per farli passare dallo stato terreno a quello celeste, a cui egli li elevava con la dottrina e con l'esempio, era impegnativa, poiché la natura è stupida e rozza per le materie sublimi e delicate dell'interiorità, nelle quali essi dovevano essere non solamente perfetti discepoli, ma esperti pedagoghi. In questo egli lasciò ai superiori, ai principi e ai capi una somma lezione di pazienza, mansuetudine e carità su ciò che devono praticare verso i loro sudditi. Non fu minore la fiducia che diede a noi peccatori circa la sua benigna misericordia, giacché questa non venne meno con essi a causa dei loro difetti e delle loro mancanze, né delle loro inclinazioni e passioni; al contrario, cominciò a mostrare la sua magnanimità, affinché noi fossimo rincuorati e non ci scoraggiassimo tra le innumerevoli imperfezioni della nostra fragile e bassa condizione.
1020. La Regina , la quale nei modi da me più volte ripetuti conosceva tutti i prodigi che il Signore realizzava in tali circostanze, ringraziava il Padre per i primi fedeli e nel suo spirito li accettava come figli suoi, così come lo erano di Cristo, offrendoli con nuovi cantici di lode e di giubilo. In questa occasione ebbe una visione particolare, in cui l'Altissimo le palesò ancora le sue determinazioni circa la redenzione e la maniera in cui questa doveva essere principiata ed eseguita. Le fu detto: «Carissima colomba mia, prescelta tra migliaia, è necessario che tu accompagni ed assista il mio e tuo Unigenito nelle fatiche che sosterrà per salvare gli uomini; già si avvicina il tempo della sua afflizione e io devo manifestare la mia sapienza e benevolenza per colmarli dei miei tesori. Voglio affrancarli per mezzo di lui dalla schiavitù del demonio, e diffondere l'abbondanza della mia grazia e dei miei doni su tutti coloro che si disporranno a confessare il Verbo fatto carne e a seguirlo come guida dei loro sentieri verso la felicità senza fine che tengo in serbo per essi. Voglio sollevare dalla polvere e arricchire i poveri, abbattere i superbi, innalzare gli umili e dare la vista ai ciechi che stanno nelle tenebre della morte. Voglio esaltare i miei amici ed eletti e rendere noto il mio grande e santo nome. Voglio inoltre, nel concretizzare questo, che tu, mia diletta, collabori col tuo amato e lo imiti, perché io sarò con te in tutto ciò che farai».
1021. Maria rispose: «Re supremo dell'intero universo, dalla cui mano ogni essere è plasmato e mantenuto in esistenza, benché questo vile verme sia polvere e cenere parlerò davanti a voi per la vostra bontà immensa. Ricevete dunque, Dio eterno, il cuore della vostra ancella, pronto per l'adempimento del vostro beneplacito. Gradite l'olocausto non solo delle mie labbra, ma anche del più intimo dell'anima mia; con questo intendo obbedire alla vostra volontà. Eccomi prostrata alla vostra presenza regale: si compia interamente in me ciò che a voi piace. In caso fosse possibile, però, io aspirerei a patire fino all'estremo, sia per affrontare la morte con il vostro e mio Figlio, sia per liberarlo da essa: questo esaudirebbe tutti i miei desideri e sarei al culmine della gioia se la spada della vostra giustizia ferisse me, che sono stata più vicina alla colpa. Sua Maestà è impeccabile per natura e per gli attributi della sua divinità. O sovrano rettissimo, so che, essendo voi offeso dall'ingiuria delle trasgressioni, la vostra equità esige soddisfazione da una persona uguale a voi e tutti sono infinitamente distanti da questa dignità; ma è anche vero che ciascuna delle opere di Cristo è sovrabbondante per il riscatto del mondo, ed egli ne ha già effettuate molte. Se, posto ciò, è ammissibile che io perisca affinché sia conservata la sua vita di valore inestimabile, sono risoluta a farlo; se invece la vostra decisione è immutabile, concedetemi almeno, eccelso Padre, qualora sia per voi ragionevole, che io mi consumi con lui. Asseconderò questo vostro comando come già quello di stargli accanto nei suoi affanni. Mi soccorra, però, il potere della vostra destra, perché possa conformarmi a lui e attuare il vostro decreto e il mio anelito».
1022. Non riesco con le mie parole a illustrare più chiaramente ciò che ho compreso circa i gesti eroici e mirabili che la nostra Signora fece in tale frangente, nell'ascoltare questo precetto celeste, e il fervore ardentissimo col quale bramò la sofferenza, sia per risparmiarla a Gesù sia per sopportarla con lui. Le azioni ardenti di profondo affetto obbligano tanto l'Altissimo che egli, anche quando risultano impossibili, si considera servito e appagato dalla leale e integra intenzione, e in qualche maniera le premia come se fossero state eseguite. Quanto, allora, non dovette meritare la Madre della grazia e della pietà offrendosi in sacrificio? Né il pensiero umano né quello angelico arrivano a penetrare un così sublime sacramento d'amore, giacché per lei sarebbe stato dolce penare e morire, e il dolore di non farlo con il suo Unigenito fu maggiore che quello di restare viva giungendo fino a vederlo crocifisso; ma al riguardo dirò meglio a suo tempo. Da questo si coglie la somiglianza che la sua gloria ha con quella del Salvatore e che la sua santità ha col suo modello; infatti, in lei tutto era proporzionato a tale carità, che si estese al sommo grado immaginabile per una semplice creatura. Con questa disposizione ella uscì dalla suddetta estasi. Fu ordinato di nuovo ai custodi di dirigerla e aiutarla in ciò che doveva realizzare ed essi, come suoi fedelissimi ministri, presero ad assisterla abitualmente in forma visibile, accompagnandola ovunque.
Insegnamento della Regina del cielo
1023. Carissima, tutti gli atti di Cristo manifestano l'amore divino verso di noi e rivelano quanto questo sia differente dal nostro. Noi, infatti, siamo tanto meschini, limitati, avari e deboli che di solito non amiamo se non siamo provocati da qualche bene che supponiamo nell'amato; dunque, il nostro amore nasce dal bene che trova nell'oggetto. Quello divino, invece, siccome ha origine in se stesso ed è efficace per fare ciò che vuole, non cerca le anime in quanto degne, ma piuttosto le ama per renderle tali con l'amore. Quindi, nessuno deve diffidare della bontà del Signore; non deve, però, neppure confidare in questa verità in modo vano e temerario, aspettandosi da lui i favori che demerita, perché egli osserva una giustizia a noi nascosta e, benché abbia amore per tutti e desideri che tutti siamo salvi, nella distribuzione dei suoi doni e dei frutti di tale sentimento, che non nega ad alcuno, usa una determinata misura. Non possiamo esaminare né penetrare questo segreto, per cui bisogna stare attenti a non far diventare inutile la prima grazia e vocazione, perché non sappiamo se essendo ingrati perderemo la seconda, ma solamente che in caso contrario questa non ci verrà negata. Al principio viene concessa un'illuminazione interiore, affinché in presenza di essa gli uomini siano redarguiti e convinti dei loro peccati, del loro infelice stato e del pericolo della dannazione; ma la superbia li fa tanto stolti e duri di cuore che molti sono quelli che fanno resistenza, mentre altri sono pigri nel muoversi e non cominciano mai a corrispondere, così che si lasciano sfuggire gli effetti iniziali dell'amore di Dio e si rendono inadatti per altri. Senza l'ausilio della grazia non si può né evitare il male, né fare il bene, né discernerlo; da ciò nasce il precipitare di abisso in abisso, perché, non apprezzandola e rifiutandola, e privandosi conseguentemente degli altri sostegni, inevitabilmente si cade in maniera rovinosa in colpe abominevoli e ci si immerge ciecamente in esse.
1024. Rifletti, dunque, accuratamente alla luce che la generosità dell'Onnipotente ha infuso nel tuo intimo, giacché per quella che hai ricevuto con la conoscenza della mia storia, quando anche non ne avessi avuto altra, saresti già tanto obbligata da essere più riprensibile di tutti agli occhi di Dio e ai miei, davanti agli angeli e ai mortali, se non te ne giovassi. Ti serva ancora di esempio ciò che fecero i discepoli del mio beatissimo Figlio e la prontezza con cui lo seguirono e imitarono. Anche se da parte sua il tollerarli, sopportarli ed educarli fu un beneficio speciale, essi lo valorizzarono al meglio mettendo in pratica i suoi insegnamenti. Nonostante fossero di natura fragile, non si impedirono di accoglierne altri più grandi dalla sua mano ed estesero le loro aspirazioni a molto più di quello che era possibile alle loro forze. Facendo questo con sincerità e diligenza, voglio che tu ti conformi a me in quello che a tal fine ti ho narrato delle mie opere e nell'anelito che avevo di perire per lui o con lui, se mi fosse stato consentito. Prepara il tuo cuore per quanto ti svelerò in seguito riguardo alla sua passione e al resto della mia vita; con tali cognizioni compirai ciò che è più elevato e santo. Ti avverto, mia diletta, che ho da rimproverare i cristiani, come altre volte ti ho accennato, per la dimenticanza e la poca considerazione che hanno per quello che Gesù ed io affrontammo per essi. Si consolano con una fede superficiale e, immemori, non ponderano quanto ottengono per ciascuna di tali azioni e quale sarebbe il dovuto contraccambio. Tu, però, non darmi questo dispiacere, dal momento che ti faccio capace e partecipe di arcani tanto venerabili e di così magnifici misteri, nei quali troverai intelligenza, ammaestramento e l'esercizio della più alta e sublime perfezione. Sollevati sopra te stessa ed impegnati coscienziosamente, affinché ti sia data sempre più grazia e, corrispondendo ad essa, ti riesca di assommare molti meriti e premi eterni.
Giugno 1941
Beata Edvige Carboni
Dopo la S. Comunione Gesù mi rimproverò, dicendorni: Figliuola, tu e tua sorella vi preoccupate troppo per l'avvenire; se io penso per gli uccelli dell'aria, e come non posso pensare per voi che tanto vi amo?