Sotto il Tuo Manto

Giovedi, 5 giugno 2025 - San Bonifacio (Letture di oggi)

Voi dite che è duro? No, è dolce, è consolante, è soave: è la felicità ... Soltanto, bisogna amare quando si soffre, e soffrire amando. (Santo Curato d'Ars (San Giovanni Maria Vianney))

Liturgia delle Ore - Letture

Domenica della 0° settimana del tempo ordinario (Pentecoste)

Questa sezione contiene delle letture scelte a caso, provenienti dalle varie sezioni del sito (Sacra Bibbia e la sezione Biblioteca Cristiana), mentre l'ultimo tab Apparizioni, contiene messaggi di apparizioni a mistici o loro scritti. Sono presenti testi della Valtorta, Luisa Piccarreta, don Stefano Gobbi e testimonianze di apparizioni mariane riconosciute.

Vangelo secondo Matteo 5

1Vedendo le folle, Gesù salì sulla montagna e, messosi a sedere, gli si avvicinarono i suoi discepoli.2Prendendo allora la parola, li ammaestrava dicendo:

3"Beati i poveri in spirito,
perché di essi è il regno dei cieli.
4Beati gli afflitti,
perché saranno consolati.
5Beati i miti,
perché erediteranno la terra.
6Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia,
perché saranno saziati.
7Beati i misericordiosi,
perché troveranno misericordia.
8Beati i puri di cuore,
perché vedranno Dio.
9Beati gli operatori di pace,
perché saranno chiamati figli di Dio.
10Beati i perseguitati per causa della giustizia,
perché di essi è il regno dei cieli.

11Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia.12Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti hanno perseguitato i profeti prima di voi.

13Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini.
14Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte,15né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa.16Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli.

17Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento.18In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure un iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto.19Chi dunque trasgredirà uno solo di questi precetti, anche minimi, e insegnerà agli uomini a fare altrettanto, sarà considerato minimo nel regno dei cieli. Chi invece li osserverà e li insegnerà agli uomini, sarà considerato grande nel regno dei cieli.

20Poiché io vi dico: se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli.
21Avete inteso che fu detto agli antichi: 'Non uccidere'; chi avrà ucciso sarà sottoposto a giudizio.22Ma io vi dico: chiunque si adira con il proprio fratello, sarà sottoposto a giudizio. Chi poi dice al fratello: stupido, sarà sottoposto al sinedrio; e chi gli dice: pazzo, sarà sottoposto al fuoco della Geenna.
23Se dunque presenti la tua offerta sull'altare e lì ti ricordi che tuo fratello ha qualche cosa contro di te,24lascia lì il tuo dono davanti all'altare e va' prima a riconciliarti con il tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono.
25Mettiti presto d'accordo con il tuo avversario mentre sei per via con lui, perché l'avversario non ti consegni al giudice e il giudice alla guardia e tu venga gettato in prigione.26In verità ti dico: non uscirai di là finché tu non abbia pagato fino all'ultimo spicciolo!
27Avete inteso che fu detto: 'Non commettere adulterio';28ma io vi dico: chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel suo cuore.
29Se il tuo occhio destro ti è occasione di scandalo, cavalo e gettalo via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo venga gettato nella Geenna.30E se la tua mano destra ti è occasione di scandalo, tagliala e gettala via da te: conviene che perisca uno dei tuoi membri, piuttosto che tutto il tuo corpo vada a finire nella Geenna.
31Fu pure detto: 'Chi ripudia la propria moglie, le dia l'atto di ripudio';32ma io vi dico: chiunque ripudia sua moglie, eccetto il caso di concubinato, la espone all'adulterio e chiunque sposa una ripudiata, commette adulterio.
33Avete anche inteso che fu detto agli antichi: 'Non spergiurare, ma adempi con il Signore i tuoi giuramenti';34ma io vi dico: non giurate affatto: né per 'il cielo', perché è 'il trono di Dio';35né per 'la terra', perché è 'lo sgabello per i suoi piedi'; né per 'Gerusalemme', perché è 'la città del gran re'.36Non giurare neppure per la tua testa, perché non hai il potere di rendere bianco o nero un solo capello.37Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno.
38Avete inteso che fu detto: 'Occhio per occhio e dente per dente';39ma io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l'altra;40e a chi ti vuol chiamare in giudizio per toglierti la tunica, tu lascia anche il mantello.41E se uno ti costringerà a fare un miglio, tu fanne con lui due.42Da' a chi ti domanda e a chi desidera da te un prestito non volgere le spalle.
43Avete inteso che fu detto: 'Amerai il tuo prossimo' e odierai il tuo nemico;44ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori,45perché siate figli del Padre vostro celeste, che fa sorgere il suo sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e sopra gli ingiusti.46Infatti se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?47E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, che cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani?48Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste.


Giosuè 9

1Non appena ebbero udito questi fatti, tutti i re che si trovavano oltre il Giordano, nella zona montuosa, nel bassopiano collinoso e lungo tutto il litorale del Mar Mediterraneo verso il Libano, gli Hittiti, gli Amorrei, i Cananei, i Perizziti, gli Evei, i Gebusei,2si allearono per far guerra di comune accordo contro Giosuè e Israele.
3Invece gli abitanti di Gàbaon, quando ebbero sentito ciò che Giosuè aveva fatto a Gèrico e ad Ai,4ricorsero da parte loro ad un'astuzia: andarono a rifornirsi di vettovaglie, presero sacchi sdrusciti per i loro asini, otri di vino consunti, rotti e rappezzati,5si misero ai piedi sandali strappati e ricuciti, addosso vestiti logori. Tutto il pane della loro provvigione era secco e sbriciolato.6Andarono poi da Giosuè all'accampamento di Gàlgala e dissero a lui e agli Israeliti: "Veniamo da un paese lontano; stringete con noi un'alleanza".7La gente di Israele rispose loro: "Forse abitate in mezzo a noi e come possiamo stringere alleanza con voi?".8Risposero a Giosuè: "Noi siamo tuoi servi!" e Giosuè chiese loro: "Chi siete e da dove venite?".9Gli risposero: "I tuoi servi vengono da un paese molto lontano, a causa del nome del Signore Dio tuo, poiché abbiamo udito della sua fama, di quanto ha fatto in Egitto,10di quanto ha fatto ai due re degli Amorrei, che erano oltre il Giordano, a Sicon, re di Chesbon, e ad Og, re di Basan, che era ad Astarot.11Ci dissero allora i nostri vecchi e tutti gli abitanti del nostro paese: Rifornitevi di provviste per la strada, andate loro incontro e dite loro: Noi siamo servi vostri, stringete dunque un'alleanza con noi.12Questo è il nostro pane: caldo noi lo prendemmo come provvista nelle nostre case quando uscimmo per venire da voi e ora eccolo secco e ridotto in briciole;13questi otri di vino, che noi riempimmo nuovi, eccoli rotti e questi nostri vestiti e i nostri sandali sono consunti per il cammino molto lungo".14La gente allora prese le loro provviste senza consultare l'oracolo del Signore.15Giosuè fece pace con loro e stipulò l'alleanza di lasciarli vivere; i capi della comunità s'impegnarono verso di loro con giuramento.
16Tre giorni dopo avere stipulato con essi il patto, gli Israeliti vennero a sapere che quelli erano loro vicini e abitavano in mezzo a loro.17Allora gli Israeliti partirono e il terzo giorno entrarono nelle loro città: le loro città erano Gàbaon, Chefira, Beerot e Kiriat-Iarim.18Ma gli Israeliti non li uccisero, perché i capi della comunità avevano loro giurato per il Signore, Dio di Israele, e tutta la comunità si lamentò dei capi.
19Dissero allora tutti i capi dell'intera comunità: "Noi abbiamo loro giurato per il Signore, Dio di Israele, e ora non possiamo colpirli.20Faremo loro questo: li lasceremo vivere e così non ci sarà su di noi lo sdegno, a causa del giuramento che abbiamo loro prestato".21Ma aggiunsero i capi: "Vivano pure, siano però tagliatori di legna e portatori d'acqua per tutta la comunità". Come i capi ebbero loro parlato,22Giosuè chiamò i Gabaoniti e disse loro: "Perché ci avete ingannati, dicendo: Noi abitiamo molto lontano da voi, mentre abitate in mezzo a noi?23Orbene voi siete maledetti e nessuno di voi cesserà di essere schiavo e di tagliar legna e di portare acqua per la casa del mio Dio".24Risposero a Giosuè e dissero: "Era stato riferito ai tuoi servi quanto il Signore Dio tuo aveva ordinato a Mosè suo servo, di dare cioè a voi tutto il paese e di sterminare dinanzi a voi tutti gli abitanti del paese; allora abbiamo avuto molto timore per le nostre vite a causa vostra e perciò facemmo tal cosa.25Ora eccoci nelle tue mani, trattaci pure secondo quanto è buono e giusto ai tuoi occhi".26Li trattò allora in questo modo: li salvò dalla mano degli Israeliti, che non li uccisero;27e in quel giorno, Giosuè li costituì tagliatori di legna e portatori di acqua per la comunità e per l'altare del Signore, nel luogo che Egli avrebbe scelto, fino ad oggi.


Giobbe 21

1Giobbe rispose:

2Ascoltate bene la mia parola
e sia questo almeno il conforto che mi date.
3Tollerate che io parli
e, dopo il mio parlare, deridetemi pure.
4Forse io mi lamento di un uomo?
E perché non dovrei perder la pazienza?
5Statemi attenti e resterete stupiti,
mettetevi la mano sulla bocca.
6Se io ci penso, ne sono turbato
e la mia carne è presa da un brivido.
7Perché vivono i malvagi,
invecchiano, anzi sono potenti e gagliardi?
8La loro prole prospera insieme con essi,
i loro rampolli crescono sotto i loro occhi.
9Le loro case sono tranquille e senza timori;
il bastone di Dio non pesa su di loro.
10Il loro toro feconda e non falla,
la vacca partorisce e non abortisce.
11Mandano fuori, come un gregge, i loro ragazzi
e i loro figli saltano in festa.
12Cantano al suono di timpani e di cetre,
si divertono al suono delle zampogne.
13Finiscono nel benessere i loro giorni
e scendono tranquilli negli inferi.
14Eppure dicevano a Dio: "Allontanati da noi,
non vogliamo conoscer le tue vie.
15Chi è l'Onnipotente, perché dobbiamo servirlo?
E che ci giova pregarlo?".
16Non hanno forse in mano il loro benessere?
Il consiglio degli empi non è lungi da lui?
17Quante volte si spegne la lucerna degli empi,
o la sventura piomba su di loro,
e infliggerà loro castighi con ira?
18Diventano essi come paglia di fronte al vento
o come pula in preda all'uragano?
19"Dio serba per i loro figli il suo castigo...".
Ma lo faccia pagare piuttosto a lui stesso e lo senta!
20Veda con i suoi occhi la sua rovina
e beva dell'ira dell'Onnipotente!
21Che cosa gli importa infatti della sua casa dopo
di sé,
quando il numero dei suoi mesi è finito?
22S'insegna forse la scienza a Dio,
a lui che giudica gli esseri di lassù?
23Uno muore in piena salute,
tutto tranquillo e prospero;
24i suoi fianchi sono coperti di grasso
e il midollo delle sue ossa è ben nutrito.
25Un altro muore con l'amarezza in cuore
senza aver mai gustato il bene.
26Nella polvere giacciono insieme
e i vermi li ricoprono.
27Ecco, io conosco i vostri pensieri
e gli iniqui giudizi che fate contro di me!
28Infatti, voi dite: "Dov'è la casa del
prepotente,
dove sono le tende degli empi?".
29Non avete interrogato quelli che viaggiano?
Non potete negare le loro prove,
30che nel giorno della sciagura è risparmiato il
malvagio
e nel giorno dell'ira egli la scampa.
31Chi gli rimprovera in faccia la sua condotta
e di quel che ha fatto chi lo ripaga?
32Egli sarà portato al sepolcro,
sul suo tumulo si veglia
33e gli sono lievi le zolle della tomba.
Trae dietro di sé tutti gli uomini
e innanzi a sé una folla senza numero.
34Perché dunque mi consolate invano,
mentre delle vostre risposte non resta che inganno?


Salmi 47

1'Al maestro del coro. Dei figli di Core. Salmo.'

2Applaudite, popoli tutti,
acclamate Dio con voci di gioia;
3perché terribile è il Signore, l'Altissimo,
re grande su tutta la terra.

4Egli ci ha assoggettati i popoli,
ha messo le nazioni sotto i nostri piedi.
5La nostra eredità ha scelto per noi,
vanto di Giacobbe suo prediletto.
6Ascende Dio tra le acclamazioni,
il Signore al suono di tromba.

7Cantate inni a Dio, cantate inni;
cantate inni al nostro re, cantate inni;
8perché Dio è re di tutta la terra,
cantate inni con arte.

9Dio regna sui popoli,
Dio siede sul suo trono santo.
10I capi dei popoli si sono raccolti
con il popolo del Dio di Abramo,
perché di Dio sono i potenti della terra:
egli è l'Altissimo.


Geremia 1

1Parole di Geremia figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che dimoravano in Anatòt, nel territorio di Beniamino.2A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia figlio di Amon, re di Giuda, l'anno decimoterzo del suo regno,3e quindi anche al tempo di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell'anno undecimo di Sedecìa figlio di Giosìa, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme avvenuta nel quinto mese.

4Mi fu rivolta la parola del Signore:

5"Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo,
prima che tu uscissi alla luce, ti avevo consacrato;
ti ho stabilito profeta delle nazioni".
6Risposi: "Ahimè, Signore Dio, ecco io non so parlare,
perché sono giovane".
7Ma il Signore mi disse: "Non dire: Sono giovane,
ma va' da coloro a cui ti manderò
e annunzia ciò che io ti ordinerò.
8Non temerli,
perché io sono con te per proteggerti".
Oracolo del Signore.
9Il Signore stese la mano, mi toccò la bocca
e il Signore mi disse:
"Ecco, ti metto le mie parole sulla bocca.
10Ecco, oggi ti costituisco
sopra i popoli e sopra i regni
per sradicare e demolire,
per distruggere e abbattere,
per edificare e piantare".

11Mi fu rivolta questa parola del Signore: "Che cosa vedi, Geremia?". Risposi: "Vedo un ramo di mandorlo".12Il Signore soggiunse: "Hai visto bene, poiché io vigilo sulla mia parola per realizzarla".13Quindi mi fu rivolta di nuovo questa parola del Signore: "Che cosa vedi?". Risposi: "Vedo una caldaia sul fuoco inclinata verso settentrione".
14Il Signore mi disse:

"Dal settentrione si rovescerà la sventura
su tutti gli abitanti del paese.
15Poiché, ecco, io sto per chiamare
tutti i regni del settentrione.
Oracolo del Signore.
Essi verranno e ognuno porrà il trono
davanti alle porte di Gerusalemme,
contro tutte le sue mura
e contro tutte le città di Giuda.
16Allora pronunzierò i miei giudizi contro di loro,
per tutto il male che hanno commesso abbandonandomi,
per sacrificare ad altri dèi
e prostrarsi davanti al lavoro delle proprie mani.
17Tu, poi, cingiti i fianchi,
alzati e di' loro tutto ciò che ti ordinerò;
non spaventarti alla loro vista,
altrimenti ti farò temere davanti a loro.
18Ed ecco oggi io faccio di te
come una fortezza,
come un muro di bronzo
contro tutto il paese,
contro i re di Giuda e i suoi capi,
contro i suoi sacerdoti e il popolo del paese.
19Ti muoveranno guerra ma non ti vinceranno,
perché io sono con te per salvarti".
Oracolo del Signore.


Lettera ai Galati 3

1O stolti Gàlati, chi mai vi ha ammaliati, proprio voi agli occhi dei quali fu rappresentato al vivo Gesù Cristo crocifisso?2Questo solo io vorrei sapere da voi: è per le opere della legge che avete ricevuto lo Spirito o per aver creduto alla predicazione?3Siete così privi d'intelligenza che, dopo aver incominciato con lo Spirito, ora volete finire con la carne?4Tante esperienze le avete fatte invano? Se almeno fosse invano!5Colui che dunque vi concede lo Spirito e opera portenti in mezzo a voi, lo fa grazie alle opere della legge o perché avete creduto alla predicazione?

6Fu così che Abramo 'ebbe fede in Dio e gli fu accreditato come giustizia'.7Sappiate dunque che figli di Abramo sono quelli che vengono dalla fede.8E la Scrittura, prevedendo che Dio avrebbe giustificato i pagani per la fede, preannunziò ad Abramo questo lieto annunzio: 'In te saranno benedette tutte le genti'.9Di conseguenza, quelli che hanno la fede vengono benedetti insieme ad Abramo che credette.10Quelli invece che si richiamano alle opere della legge, stanno sotto la maledizione, poiché sta scritto: 'Maledetto chiunque non rimane fedele a tutte le cose scritte nel libro della legge per praticarle'.11E che nessuno possa giustificarsi davanti a Dio per la legge risulta dal fatto che 'il giusto vivrà in virtù della fede'.12Ora la legge non si basa sulla fede; al contrario dice che 'chi praticherà queste cose, vivrà per esse'.13Cristo ci ha riscattati dalla maledizione della legge, diventando lui stesso maledizione per noi, come sta scritto: 'Maledetto chi pende dal legno',14perché in Cristo Gesù la benedizione di Abramo passasse alle genti e noi ricevessimo la promessa dello Spirito mediante la fede.

15Fratelli, ecco, vi faccio un esempio comune: un testamento legittimo, pur essendo solo un atto umano, nessuno lo dichiara nullo o vi aggiunge qualche cosa.16Ora è appunto ad Abramo e alla sua discendenza che furon fatte le promesse. Non dice la Scrittura: "e ai tuoi discendenti", come se si trattasse di molti, ma 'e alla tua discendenza', come a uno solo, cioè Cristo.17Ora io dico: un testamento stabilito in precedenza da Dio stesso, non può dichiararlo nullo una legge che è venuta quattrocentotrenta anni dopo, annullando così la promessa.18Se infatti l'eredità si ottenesse in base alla legge, non sarebbe più in base alla promessa; Dio invece concesse il suo favore ad Abramo mediante la promessa.

19Perché allora la legge? Essa fu aggiunta per le trasgressioni, fino alla venuta della 'discendenza' per la quale era stata fatta la promessa, e fu promulgata per mezzo di angeli attraverso un mediatore.20Ora non si dà mediatore per una sola persona e Dio è uno solo.21La legge è dunque contro le promesse di Dio? Impossibile! Se infatti fosse stata data una legge capace di conferire la vita, la giustificazione scaturirebbe davvero dalla legge;22la Scrittura invece ha rinchiuso ogni cosa sotto il peccato, perché ai credenti la promessa venisse data in virtù della fede in Gesù Cristo.
23Prima però che venisse la fede, noi eravamo rinchiusi sotto la custodia della legge, in attesa della fede che doveva essere rivelata.24Così la legge è per noi come un pedagogo che ci ha condotto a Cristo, perché fossimo giustificati per la fede.25Ma appena è giunta la fede, noi non siamo più sotto un pedagogo.26Tutti voi infatti siete figli di Dio per la fede in Cristo Gesù,27poiché quanti siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo.28Non c'è più giudeo né greco; non c'è più schiavo né libero; non c'è più uomo né donna, poiché tutti voi siete uno in Cristo Gesù.29E se appartenete a Cristo, allora siete discendenza di Abramo, eredi secondo la promessa.


Capitolo LVI: Rinnegare se stessi e imitare Cristo nella croce

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1. O figlio, tu potrai trasmutarti in me, a misura che riuscirai ad uscire da te stesso. Ché l'intimo oblio di se stessi congiunge a Dio, come la mancanza di desideri esterni porta la pace interiore. Io voglio che tu apprenda a rinnegare pienamente te stesso, in adesione alla mia volontà, senza obiezioni, senza lamentele. "Seguimi" (Mt 9,9). "Io sono la via, la verità e la vita" (Gv 14,6). Senza la via non si cammina; senza la verità non si conosce; senza la vita non si vive. Io sono la via che devi seguire; la verità cui devi credere; la vita che devi sperare. Io sono la via che non si deve lasciare, la verità che non sbaglia, la vita che non ha termine. Io sono la via diritta, la verità ultima, la vita eterna, beata, increata. "Se rimarrai nella mia via, conoscerai la verità e la verità ti farà libero" (Gv 8,32); così raggiungerai la vita eterna. "Vuoi entrare nella vita? Osserva i comandamenti" (Mt 19,17). Vuoi conoscere la verità? Chiedi a me. "Vuoi essere perfetto? Vendi ogni tua cosa" (Mt 19,21). Vuoi essere mio discepolo? Rinnega te stesso (cfr Lc 9,23; 14,27; Mt 16,24). Vuoi avere la vita eterna? Disprezza la vita presente. Vuoi essere esaltato in cielo? Umiliati in questo mondo. Vuoi regnare con me? Con me porta la croce. Soltanto quelli che si fanno servi della croce trovano la via della beatitudine e della vera luce.

2. O Signore Gesù, dura fu la tua vita, e disprezzata dagli uomini; fa' che io ti possa imitare, disprezzato dal mondo, giacché "il servo non è da più del suo padrone, né il discepolo è da più del maestro" (Mt 10,24). Che il tuo servo si addestri alla scuola della vita, perché in essa sta la mia salvezza e la vera santità; qualunque cosa io legga o ascolti, fuori di essa, non mi ristora e non mi allieta pienamente. Figlio, tutte queste cose le conosci e le hai lette; sarai beato se le metterai in pratica. "Chi ha dinanzi agli occhi i miei comandamenti, e li osserva, questi mi ama; e io l'amerò, mi manifesterò a lui" (Gv 24,21) e lo farò sedere con me nel regno del Padre mio (Ap 3,21). O Signore Gesù, come hai detto e hai promesso, così sia fatto veramente, e a me sia dato di meritarlo. Ho ricevuto la croce, l'ho ricevuta dalla tua mano; la porterò, la porterò fino alla morte, come tu me l'hai posta sulle spalle. In verità la vita di un santo monaco è la croce; ma la croce è guida al paradiso. Abbiamo cominciato; non ci è lecito tornare indietro, né lasciare ciò che abbiamo intrapreso. Via, o fratelli, procediamo insieme: Gesù sarà con noi. Abbiamo preso questa croce per amore di Gesù; per amore di Gesù perseveriamo nella croce. Colui che ci guida e ci precede sarà il nostro aiuto. Ecco, il nostro re camminare avanti a noi; "egli combatterà per noi" (2Esd 4,20). Seguiamolo con animo virile; che nessuno abbia paura, né si lasci atterrire; che noi siamo pronti a morire coraggiosamente nella lotta; che non abbiamo a gravare il nostro buon nome con una delittuosa fuga (1Mac 9,10) dinanzi alla croce.


La città di Dio - libro Nono: Politeismo, Cristianesimo e mediazione

La città di Dio - Sant'Agostino d'Ippona

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Premessa e compendio (1-2)


Riassunto delle opinioni su dèi buoni e cattivi.
1. Alcuni hanno opinato che esistono dèi buoni e cattivi, altri invece pensando più rettamente degli dèi hanno assegnato loro un onore e una lode tanto grandi che non osarono sostenere la malvagità di qualcuno degli dèi. Ma coloro i quali hanno affermato che alcuni dèi sono buoni, altri cattivi 1, hanno esteso il concetto di dèi anche ai demoni, sebbene, ma più raramente, anche il concetto di demoni agli dèi. Riconoscono perfino che Giove stesso, considerato re e capo degli altri, sia stato da Omero considerato un demone 2. Coloro, i quali sostengono che gli dèi non possono essere che buoni e molto più perfetti di quegli uomini che sono giudicati buoni, sono giustamente turbati da certe azioni dei demoni che non possono negare. Giudicando impossibile che esse siano compiute dagli dèi, che ritengono tutti buoni, sono costretti a introdurre una differenza fra dèi e demoni. Quindi sostengono che è di demoni e non di dèi tutto ciò che disapprovano nelle azioni e nei sentimenti disonesti con cui gli spiriti occulti manifestano il proprio potere. Ma i pagani, supponendo che nessun uomo può comunicare col dio, affermano che i demoni siano stati stabiliti come intermediari tra gli uomini e gli dèi per portare dal basso le richieste e riportare dall'alto i favori accordati. La pensano così anche i platonici, i più eccellenti e illustri filosofi. Proprio con essi, come i più eminenti, ho deciso di esaminare il problema, se il culto di molti dèi giovi per conseguire la vita felice che si avrà dopo la morte. Nel libro precedente ho preso in considerazione che i demoni godono di fatti che gli onesti e i saggi sdegnano e condannano, cioè delle sacrileghe, scandalose e oscene favole dei poeti, e non nei confronti di un uomo qualunque ma degli dèi stessi, e della scellerata e colpevole profanazione delle arti magiche. Ci si è chiesto dunque in che modo essi, come più vicini e più amici, possano rendere graditi gli uomini buoni agli dèi buoni. Si è concluso che è assolutamente impossibile.

Qual è l'argomento del libro.
2. Quindi questo libro, come ho promesso alla fine del precedente, dovrà contenere la trattazione sulla differenza, se ne propongono alcuna, non degli dèi fra di loro perché, secondo i platonici, sono tutti buoni, non sulla differenza fra dèi e demoni perché considerano gli dèi molto lontani e superiori agli uomini e i demoni intermediari fra gli dèi e gli uomini, ma sulla differenza fra i demoni stessi. È questo l'argomento della presente trattazione. In molti è abituale il discorso che i demoni siano alcuni buoni e altri cattivi. E se l'opinione è anche dei platonici o di altri filosofi, non si deve evitare di sottoporla ad esame. Non deve avvenire infatti che qualcuno ritenga di dover fidarsi di demoni che suppone buoni e mentre intende ed aspira, con essi come intermediari, di rendersi gradito agli dèi che ritiene tutti buoni per poterli raggiungere dopo la morte, accalappiato e ingannato dalle fandonie di spiriti malvagi, si allontani dal vero Dio. Con lui solo infatti, in lui solo, da lui solo l'anima umana, cioè ragionevole e intelligente, è felice.

Demoni soggetti alla passione (3-11)


Soggezione dei dèmoni alla passione.
3. Dunque quale differenza esiste fra demoni buoni e cattivi? Il platonico Apuleio, che ne ha trattato in generale e ha parlato a lungo dei loro corpi aeriformi, non ha parlato affatto delle loro virtù spirituali. Eppure ne sarebbero forniti se fossero buoni. Non ha parlato dunque della causa della felicità, ma non ha potuto non dare una indicazione della loro infelicità. Ha ammesso infatti che la loro mente, con la quale a sentir lui sono esseri ragionevoli, non essendo per lo meno penetrata e fortificata dalla virtù, cede alle irragionevoli passioni dell'animo e anche essa, come avviene nella condotta delle coscienze insipienti, è agitata in certo senso da tempestose passioni. Le sue parole sull'argomento sono queste. Riferendosi a questa categoria di demoni, i poeti, senza discostarsi dalla verità, sogliono immaginare che gli dèi siano nemici e amici di alcuni uomini, che favoriscano ed esaltino alcuni, sdegnino e deprimano altri, che sentano dunque compassione e collera, angoscia e gioia, che subiscano ogni mutamento dell'animo umano, che nel mutare del sentimento e nel mareggiare dello spirito siano agitati attraverso tutti i flutti dei pensieri. Tutti questi turbamenti e tempeste sono ben lontani dalla serenità degli dèi celesti 3. Con queste parole egli ha voluto indicare, non v'è alcun dubbio, che non la parte inferiore dell'animo ma la mente stessa dei demoni, per cui sono esseri animati e ragionevoli, viene sconvolta dalla tempesta delle passioni come un mare agitato. Non si possono quindi paragonare neanche ai saggi, perché questi resistono con la mente imperturbata a simili turbamenti della psiche dai quali non è esente l'umana debolezza, anche quando li provano a causa della soggezione della vita presente. I saggi infatti non cedono ai perturbamenti nel considerare onesta o compiere un'azione che devii dal cammino della saggezza e dalla legge della giustizia. I demoni, al contrario, sono simili non nel corpo ma nella condotta ai mortali insipienti e ingiusti, per non dire peggiori, in quanto più inveterati e incurabili a causa della pena dovuta; sono agitati nel mareggiare della mente stessa, come ha detto Apuleio, e in nessuna parte dello spirito trovano la fermezza nell'ideale di virtù con cui si resiste ai movimenti inquieti e disordinati.

Dottrina filosofica sulle passioni.
4. 1. Due sono le opinioni dei filosofi sui movimenti della psiche che i Greci chiamano , dei nostri alcuni, come Cicerone 4, perturbazioni, altri affezioni o affetti 5, altri infine, come Apuleio 6, con maggiore aderenza al greco, passioni. Alcuni filosofi dunque affermano che simili perturbazioni o affezioni o passioni si verificano anche nel saggio, ma ridotte a misura e sottomesse alla ragione, in modo che il dominio della mente imponga in una determinata misura le leggi con cui siano ricondotte alla necessaria misura. Coloro che la pensano così sono i platonici o anche aristotelici, dato che Aristotele, fondatore della scuola peripatetica, fu discepolo di Platone. Altri invece come gli stoici insegnano che nel saggio non si devono assolutamente avere simili passioni. Ma Cicerone nei libri su I limiti del bene e del male dimostra a costoro, cioè agli stoici, che si battono contro platonici e aristotelici più a parole che a concetti 7. Gli stoici infatti si rifiutano di considerare le passioni come un bene, ma le considerano come un benessere fisico e deteriore perché, secondo loro, bene per l'uomo è soltanto la virtù, come regola della morale che è esclusivamente nella coscienza. Al contrario, i platonici le considerano un bene in senso largo e secondo il comune modo di esprimersi, ma le considerano un bene insignificante e di poco conto nel confronto con la virtù mediante la quale si vive rettamente. Ne consegue che comunque siano chiamate dagli uni e dagli altri, o bene o benessere, sono valutate con eguale criterio e che sull'argomento gli stoici si prendono la soddisfazione di una terminologia nuova. Mi sembra dunque che anche sul problema se si hanno nel saggio le passioni o ne sia del tutto immune facciano questione più di parole che di concetti. A mio avviso la pensano proprio come platonici e peripatetici per quanto attiene al significato dei concetti e non al suono delle parole.

Lo stoico in pericolo in Gellio.
4. 2. Ometto altre considerazioni che valgano a dimostrarlo per non farla lunga. Mi limito a fare una osservazione che sia veramente evidente. Nei libri intitolati Le notti attiche, Aulo Gellio, buon letterato e uomo di vasta cultura, narra di avere una volta viaggiato per mare con un noto filosofo stoico. Gellio racconta diffusamente e con molti particolari l'episodio che io esporrò brevemente 8. Lo stoico, poiché la nave era sbattuta con grave pericolo dal mare in orribile tempesta, divenne pallido di paura. Il fatto fu notato dai presenti che osservavano con molta curiosità, sebbene fossero in prossimità della morte, se il filosofo fosse turbato o no. Passata la burrasca, appena la cessazione del pericolo offrì l'opportunità di parlare o anche di chiacchierare, uno dei viaggiatori, un ricco dissoluto dell'Asia, apostrofa il filosofo schernendolo perché era impallidito dalla paura, mentre egli era rimasto intrepido nella sciagura imminente. E quegli gli diede la risposta di Aristippo, discepolo di Socrate, il quale, avendo in una circostanza simile udite le medesime parole da un individuo della medesima risma, rispose che l'altro giustamente non si era preoccupato per la vita di un dissoluto fannullone, lui invece doveva temere per la vita di Aristippo. Avuta questa risposta il riccone se la batté. Allora A. Gellio chiese al filosofo, non con l'intenzione di umiliarlo ma di apprendere, quale fosse il motivo della sua paura. Ed egli per insegnare a un individuo profondamente preso dal desiderio di sapere, tirò subito fuori da un suo fagotto il libro dello stoico Epitteto. Vi erano esposte le dottrine che corrispondevano più a fondo agli insegnamenti di Zenone e di Crisippo che, come sappiamo, furono i capi degli stoici. Gellio dice di aver letto in quel libro la seguente dottrina stoica. Le rappresentazioni, che essi chiamano fantasie, quando provengono da fenomeni terrificanti e paurosi, non dipendono da noi nel modo e nel tempo in cui si hanno nella coscienza. È necessario quindi che turbino anche la coscienza del saggio, in modo che per un po' tremi di paura o sia afflitto dalla tristezza, nel senso che queste passioni precorrono la funzione della mente e della ragione; ma non per questo nella mente si ha l'accettazione del male, né le passioni si ritengono oneste o ad esse si consente. Questo, secondo loro, dipende da noi e a loro avviso la differenza fra la coscienza del saggio e quella dell'insipiente consiste nel fatto che la coscienza dell'insipiente cede alle passioni applicando ad esse l'assenso della mente, mentre la coscienza del saggio, sebbene le tolleri perché ineluttabili, conserva con la fermezza dello spirito una vera e coerente valutazione delle cose che si devono desiderare o evitare secondo ragione. Ho esposto queste notizie non certo più esaurientemente di A. Gellio ma, a mio avviso, più brevemente e più chiaramente. Egli dichiara di averle lette nel libro di Epitteto che a sua volta le avrebbe esposte in conformità agli insegnamenti degli stoici.

I filosofi concordano sul concetto di serenità.
4. 3. Se le cose stanno così, non si ha alcuna o una minima differenza fra la teoria degli stoici e quella degli altri filosofi sulle passioni e le perturbazioni dell'anima. In definitiva gli uni e gli altri sostengono che la facoltà spirituale del saggio è immune dal loro dominio. E forse gli stoici dicono che esse non si hanno nell'animo del saggio perché non offuscano con l'errore e non eliminano con la colpa la saggezza per cui è saggio. Ma in verità le passioni, salva la serenità della saggezza, si hanno nell'animo del saggio a causa di quelli che gli stoici definiscono benessere o malessere, sebbene preferiscano non chiamarli bene e male 9. Certamente se quel filosofo non avesse tenuto in considerazione i beni che, come prevedeva, avrebbe perduto col naufragio, come sono la vita e il benessere fisico, non avrebbe avuto paura del pericolo al punto di esternarla col pallore. Tuttavia poteva anche inibire il turbamento e tener fisso nella mente il criterio che la vita e la salute fisica, minacciate dalla violenza della tempesta, non sono beni che rendono buoni coloro che li hanno come fa la giustizia. L'affermare poi che non si devono considerare un bene ma un benessere si deve attribuire a una contesa di parole e non alla interpretazione dei concetti. Che differenza fa se siano chiamati con maggiore proprietà un bene ovvero un benessere se hanno timore e paura di esserne privi tanto lo stoico che il peripatetico? Alla fin fine li denominano in maniera diversa ma li valutano alla stessa maniera. Tutti e due infatti, se siano spinti dai rischi di questo bene o benessere a una colpa o a una cattiva azione, sicché non sia loro possibile conservarli in altra maniera, affermano che preferiscono perderli perché con essi si conserva e si rende incolume l'essere fisico, anziché commettere azioni con cui si viola la giustizia. In tal modo la mente, in cui è incrollabile questo criterio, non permette che in se stessa le perturbazioni, anche se si verificano nella parte inferiore dell'anima, prendano il sopravvento contro la ragione. Anzi essa le domina e non consentendo e piuttosto resistendo loro esercita l'impero della virtù. Anche Virgilio descrive così Enea con le parole: La mente si mantiene immobile, invano scorrono le lacrime (di Didone) 10.

Dottrina cristiana sulla moderazione, e stoica sulla compassione.
5. Non è necessario mostrare diffusamente e accuratamente che cosa insegni sulle passioni la sacra Scrittura da cui deriva la dottrina cristiana. Essa infatti considera la mente sottomessa all'ordine e al soccorso di Dio e le passioni alla misura e al limite della mente perché siano volte a vantaggio della giustizia. Inoltre nell'insegnamento cristiano non si chiede tanto se l'animo va in collera ma perché va in collera 11, non se è triste ma per quale motivo è triste 12, non se teme ma che cosa teme 13. Non so infatti se si possa biasimare con un retto criterio l'andare in collera con chi pecca perché si ravveda, il rattristarsi con chi è triste perché si riscatti dalla tristezza, il temere per chi è in pericolo affinché non vi perisca. Gli stoici sono soliti incolpare la compassione 14, ma quanto più onesto del timore del naufragio sarebbe stato nello stoico di Gellio il turbamento della compassione per riscattare un uomo. Con molta proprietà, umanità e corrispondenza al sentimento delle anime compassionevoli ha parlato Cicerone a lode di Cesare con le parole: Nessuna delle tue virtù è così ammirevole e gradita come la compassione 15. E la compassione non è altro che la partecipazione del nostro sentimento alla infelicità degli altri perché con essa, se ci è possibile, siamo spinti ad andare loro incontro. E questo movimento è utile alla ragione quando la compassione si offre in modo da assecondare la giustizia, tanto nel contribuire al bisognoso come nel perdonare il pentito. Cicerone, illustre oratore, non ha esitato a considerarla virtù, mentre gli stoici non hanno difficoltà a inserirla fra i vizi. Essi tuttavia, come ha dato a conoscere il libro dell'illustre stoico Epitteto, affermano in base agli insegnamenti di Zenone e Crisippo, iniziatori della scuola, che esistono le passioni nell'animo del saggio, sebbene lo dichiarino immune da tutti i vizi. Ne consegue che non considerano vizi le passioni quando si verificano nel saggio in modo da non ostacolare la virtù e l'egemonia razionale della mente. Quindi è identica la dottrina dei peripatetici, dei platonici e degli stessi stoici ma, come dice Cicerone, la controversia sulle parole da lungo tempo turba i Greci desiderosi più della polemica che della verità 16. Inoltre è opportuno chiedersi ancora se è proprio della debolezza della vita presente provare certi sentimenti anche in alcuni doveri morali. Anche gli angeli puniscono senza collera coloro che devono punire secondo l'eterna legge di Dio, aiutano gli infelici senza partecipare alla loro infelicità e soccorrono senza timore le persone da loro amate che si trovano nei pericoli. Eppure anche nei loro confronti, in base alla tecnica della lingua umana, vengono usate parole indicanti le passioni per denotare una certa somiglianza delle azioni e non la soggezione ai turbamenti. Stando alle Scritture, Dio stesso va in collera eppure non è turbato da alcuna passione. L'effetto della punizione, e non un suo affetto perturbatore, ha indotto a usare questa parola.

Mente demoniaca adeguata alla passione.
6. Rimandiamo frattanto la questione sugli angeli. Esaminiamo per ora in che senso i platonici dicano che i demoni posti di mezzo fra gli dèi e gli uomini sono agitati dai flutti delle passioni. Se infatti subissero tali movimenti con la mente che rimane sgombra da essi e li domina, Apuleio non direbbe che nel mutare del sentimento e nel mareggiare dello spirito sono agitati attraverso tutti i flutti dei pensieri 17. Quindi la loro mente stessa, cioè la parte superiore dello spirito, per cui sono esseri ragionevoli e in cui si hanno virtù e saggezza, seppure ne hanno, sarebbe dominata dalle passioni turbatrici delle parti inferiori dello spirito che dovrebbero essere sottomesse e dominate: la loro mente stessa, dico, come dichiara questo platonico, è agitata dal mareggiare delle passioni. Dunque la mente dei demoni è resa schiava dalle passioni della libidine, del timore, dell'ira e dalle altre. Quindi non v'è in essi una facoltà libera e partecipe di sapienza con cui esser graditi agli dèi e orientare gli uomini alla conformità con la legge morale. La loro mente soggetta e oppressa dalle imperfezioni delle passioni volge all'inganno e alla mistificazione ogni potere razionale che ha per natura, e tanto più intensamente quanto maggiore è il desiderio di fare del male che la possiede.

Anche gli dèi soggetti alla passione.
7. Ma qualcuno potrebbe osservare che non di tutti i demoni ma soltanto di quelli che sono nel numero dei malvagi i poeti, non andando lontani dalla verità, immaginano che si comportino da dèi nemici e amici di alcuni uomini. Proprio di loro ha detto Apuleio che nel mareggiare dello spirito si agitano attraverso tutti i flutti dei pensieri. Ma come potremmo accettare questa spiegazione se egli con quell'affermazione intendeva fissare la posizione di mezzo, fra gli dèi e gli uomini, a causa del corpo aeriforme, non di alcuni cioè dei malvagi, ma di tutti i demoni? Ha affermato appunto che i poeti mediante l'impunita licenza della poesia mitica costruiscono favole nel considerare dèi alcuni di questi demoni, nell'attribuire loro i nomi degli dèi e nel classificarli arbitrariamente come amici o nemici di alcuni uomini, perché considera gli dèi alieni dalla condotta dei demoni per la dimora nel cielo e per la pienezza della felicità. Questo è dunque il favoleggiare dei poeti: considerare come dèi esseri che dèi non sono e farli combattere fra di loro con la denominazione di dèi a favore di uomini che essi con parzialità amano o odiano. E sostiene che la favola non è lontana dalla verità perché, sebbene designati con i nomi di dèi che non sono, sono fatti agire come demoni quali sono. Inoltre dichiara che di questo stampo è la Minerva di Omero che interviene fra le schiere dei Greci per frenare Achille 18. Dichiara dunque che quella Minerva è una finzione poetica perché egli considera Minerva una dea e la pone, lontana dal trattare con gli uomini, nell'alta dimora dell'etere fra gli dèi che ritiene tutti buoni e felici. Vi sarebbe dunque qualche demone fautore dei Greci e nemico dei Troiani come qualche altro fautore dei Troiani contro i Greci, che Omero ricorda col nome di Venere o di Marte. Invece Apuleio li pone nelle dimore del cielo lontani da tali azioni. E questi demoni avrebbero combattuto fra di loro a favore di coloro che amavano contro quelli che odiavano. Apuleio ha confessato che i poeti hanno detto queste cose senza discostarsi dalla verità. Le hanno infatti affermate nei confronti di esseri che, stando a lui, col mutare del sentimento e col mareggiare dello spirito, simile a quello degli uomini, si agitano attraverso tutti i flutti delle rappresentazioni. Possono dunque provare l'amore e l'odio non a favore della giustizia, come fa la massa, che loro somiglia e che mantiene i propri favoritismi per gli uni contro gli altri nei confronti dei campioni del circo e dell'arena 19. Il filosofo platonico, come è evidente, si è dato pensiero affinché non si credesse che certe azioni, per il fatto che erano cantate dai poeti, non fossero compiute dai demoni posti in mezzo, ma dagli dèi stessi, giacché i poeti nel favoleggiare fanno i loro nomi 20.

L'idea di demone è contraria a sapienza e felicità.
8. Ma forse è opportuno esaminare la stessa definizione dei demoni perché in essa Apuleio stabilendone i dati essenziali li ha inclusi tutti. In essa ha dichiarato che i demoni sono viventi nel genere, soggetti alle passioni nello spirito, ragionevoli per mente, aeriformi nel corpo, immortali nell'esistenza 21. Non ha incluso affatto fra le cinque caratteristiche elencate una per cui possa sembrare che essi abbiano in comune con gli uomini buoni un qualcosa che non sia nei malvagi. Infatti parlando nel luogo conveniente degli uomini stessi come di esseri di rango inferiore perché terreni, ne elenca un po' più diffusamente le caratteristiche essenziali. Prima aveva parlato degli dèi esistenti nel cielo. Così dopo aver ricordato i due estremi del rango più alto e del più basso, per ultimo al terzo posto ha parlato dei demoni in quanto posti in mezzo. Dice dunque: Quindi gli uomini capaci di pensiero, dotati di parola, dall'animo immortale, dall'organismo soggetto alla morte, dallo spirito soggetto al piacere e al dolore, dal corpo inerte e schiavo, dalla condotta morale diversa, dalla identica inclinazione all'errore, dalla inflessibile audacia, dalla invincibile speranza, dall'inutile affaticarsi, dalla fortuna destinata a finire, individualmente mortali, perenni universalmente come razza, che si sostituiscono a vicenda mediante la riproduzione della prole, dall'esistenza fuggevole, dalla saggezza tarda a venire, dalla morte pronta a venire, dalla vita incline al lamento, abitano la terra 22. Pur avendo elencato varie caratteristiche che sono proprie di moltissimi uomini, non ne ha taciuta una che riconosceva a pochi quando ha detto dalla saggezza tarda a venire. Se l'avesse tralasciata, l'accurata esattezza di questa descrizione non avrebbe affatto determinato le proprietà della razza umana. Nell'evidenziare poi la superiorità degli dèi, ha affermato che in essi è eminente la felicità che gli uomini vogliono conseguire con la sapienza. Quindi se intendesse far capire che alcuni demoni sono buoni, nell'elencarne le caratteristiche, porrebbe una dote, mediante la quale s'intenda che hanno in comune o con gli dèi una determinata parte di felicità o con gli uomini una qualunque sapienza. Al contrario non ha ricordato alcun loro bene col quale i buoni si distinguono dai malvagi. E sebbene si sia astenuto dal dichiarare più apertamente la loro malvagità, non tanto per non offendere loro quanto per non oltraggiarne gli adoratori ai quali si rivolgeva, ha indicato tuttavia alle persone sagge che cosa debbano pensare di loro. Infatti ha ritenuto gli dèi, che stando alla sua teoria sono tutti buoni e felici, del tutto immuni dalle passioni o, come egli dice, dai turbamenti dei demoni e li ha ritenuti eguali soltanto per l'immortalità dei corpi. Al contrario, per quanto riguarda lo spirito, ha dichiarato con estrema chiarezza che i demoni non sono simili agli dèi ma agli uomini, e non in considerazione del bene della sapienza, di cui anche gli uomini possono esser partecipi, ma del turbamento delle passioni che domina gli insipienti e i malvagi, ma viene dominato dai sapienti e dagli onesti al punto che preferiscono non provarlo che superarlo. Se avesse voluto far capire che i demoni hanno in comune con gli dèi non l'immortalità del corpo ma dello spirito, non avrebbe negato agli uomini la comunanza di questa prerogativa, giacché come platonico ritiene indubbiamente che lo spirito umano è immortale. E per questo nel determinare le caratteristiche degli uomini ha affermato che sono viventi dallo spirito immortale e dall'organismo soggetto alla morte. Pertanto se gli uomini non hanno in comune con gli dèi l'immortalità perché sono mortali nel corpo, certamente i demoni l'hanno in comune perché nel corpo sono immortali.

Il demone sbilanciato fra dèi e uomini.
9. Che razza di intermediari tra uomini e dèi sono i demoni, tanto che per loro mezzo gli uomini debbano aspirare all'amicizia con gli dèi, se la parte più perfetta in un vivente, cioè lo spirito, l'hanno meno perfetta assieme agli uomini e la parte meno perfetta, cioè il corpo, l'hanno più perfetta assieme agli dèi? Un vivente, cioè un essere animato, è composto di anima e di corpo e di essi l'anima, anche se difettosa e infiacchita, è certamente più perfetta del corpo, anche del corpo più sano e vigoroso, poiché la sua natura è più eccellente e non può essere ritenuta inferiore al corpo a causa delle imperfezioni. Anche l'oro grezzo vale più dell'argento e del piombo per quanto raffinati. Invece questi intermediari fra dèi e uomini, giacché mediante la loro interposizione le cose umane si congiungono alle divine, hanno il corpo immortale assieme agli dèi e lo spirito imperfetto assieme agli uomini, come se la religione, con cui gli uomini intendono unirsi mediante i demoni agli dèi, sia collocata nel corpo e non nello spirito. E quale malvagità o pena tengono sospesi questi intermediari, falsi e ingannatori, per così dire a testa all'ingiù? Hanno infatti con gli esseri più alti la parte più bassa del vivente, cioè il corpo, e con quelli più bassi la parte più alta, cioè lo spirito, e sono uniti con la parte che è schiava agli dèi che stanno in cielo e sono infelici nella parte che è dominatrice con gli uomini che stanno sulla terra. Il corpo infatti è schiavo, come ha detto anche Sallustio: Possediamo principalmente il dominio dello spirito e la sottomissione del corpo. E aggiunge: L'uno ci è comune con gli dèi, l'altro con i bruti 23. Parlava degli uomini che hanno un corpo mortale come i bruti. I demoni invece, che i filosofi ci hanno rimediato come intermediari fra noi e gli dèi, possono certamente dire parlando del loro spirito e del loro corpo: "L'uno ci è comune con gli dèi, l'altro con gli uomini". Ma essi, come ho detto, quasi sospesi alla rovescia con una corda, hanno il corpo schiavo assieme agli dèi felici e lo spirito dominatore assieme agli uomini infelici, posti in alto con la parte bassa e in basso con la parte alta. Quindi anche nell'ipotesi che abbiano l'eternità assieme agli dèi, perché il loro spirito non viene sciolto dal corpo con la morte, come avviene dei viventi terrestri, non si deve ritenere che il loro corpo sia eterno portatore di spiriti gloriosi ma carcere eterno di spiriti dannati.

Nel demone immoralità contro felicità.
10. Plotino vissuto nei tempi più vicini a noi viene lodato per essersi distinto nella conoscenza di Platone 24. Egli parlando dello spirito umano dice: Il Padre misericordioso costruiva per loro un carcere destinato a finire 25. Quindi ha sostenuto che il fatto stesso che gli uomini sono mortali nel corpo è dovuto alla bontà di Dio padre, in modo che gli uomini non fossero legati per sempre alla infelicità di questa vita. La malvagità dei demoni è stata da lui giudicata indegna di questa bontà perché l'infelicità di uno spirito soggetto alle passioni ha avuto un corpo immortale e non mortale come gli uomini. Sarebbero più fortunati degli uomini se avessero come loro un corpo mortale e uno spirito sereno come gli dèi. Sarebbero invece eguali agli uomini se avessero ottenuto di avere come loro, assieme allo spirito infelice, per lo meno un corpo mortale. Praticando la pietà sarebbero almeno dopo la morte liberi dalla sofferenza. Nello stato attuale invece non sono più felici degli uomini, ma a causa della infelicità dello spirito sono ancora più infelici in considerazione della immortalità del corpo. Dicendo esplicitamente che i demoni sono immortali, Apuleio ha voluto far comprendere che da demoni non diventano dèi, perché non possono rendersi migliori con una qualche disciplina religiosa o sapienziale.

Aspetti demoniaci nell'uomo.
11. Apuleio afferma inoltre che anche l'anima umana è un demone e che gli uomini divengono Lari se hanno fatto del bene, fantasmi o spettri se hanno fatto del male e che sono considerati dèi Mani se è incerta la loro qualificazione 26. E chi non vedrebbe, purché rifletta un tantino, quale voragine spalancano con questa teoria al dilagare dell'immoralità? Infatti gli uomini, ritenendo che diverranno spettri o anche dèi Mani, sebbene siano stati iniqui, divengono tanto peggiori quanto sono più desiderosi di far del male al punto da convincersi che per far del male saranno invocati dopo la morte con sacrifici propri di onori divini. Dice infatti che gli spettri sono uomini divenuti demoni malvagi. Ma ne sorge un altro problema. Egli, confermando che anche lo spirito umano è un demone, dichiara che in greco gli uomini felici sono appunto chiamati perché sono spiriti buoni, cioè demoni buoni 27.

Il demone non è mediatore (12-23)


Tra caratteristiche opposte fra dèi e uomini.
12. Ma ora trattiamo di quei demoni che egli ha delineato in un particolare esser di mezzo fra gli dèi e gli uomini perché sono esseri animati per genere, ragionevoli per intelligenza, soggetti alle passioni nello spirito, aeriformi nel corpo, immortali nell'esistenza. Prima ha distribuito gli dèi nell'altezza del cielo e gli uomini nell'infimità della terra, in quanto separati dallo spazio e dal diverso valore dell'essere. Infine ha concluso: Avete frattanto due tipi di viventi, gli dèi che differiscono moltissimo dagli uomini per l'altezza nello spazio, per la perennità dell'esistenza, per la perfezione dell'essere; non v'è fra di loro alcuna diretta partecipazione, poiché la grande lontananza del culmine separa le sedi più alte dalle più basse; lassù l'esistenza è eterna e indefettibile, qui passeggera e precaria, lassù l'intelligenza è sublimata nella felicità, qui depressa nell'infelicità 28. Noto che nel passo sono ricordate tre coppie di caratteristiche contrarie relative alle due parti estreme dell'essere, cioè la più alta e la più bassa. Infatti ha enunciato tre caratteristiche significative di dignità per gli dèi e le ha ripetute, ovviamente con altre parole, in modo da contrapporre da parte degli uomini le tre contrarie. Le tre caratteristiche degli dèi sono: l'altezza nello spazio, l'immortalità dell'esistenza, la perfezione dell'essere. Le ha ripetute con altre parole, in modo da contrapporre ad esse le tre caratteristiche contrarie della condizione umana. Dice: La grande lontananza del culmine separa le sedi più alte dalle più basse, perché aveva parlato dell'altezza nello spazio. Soggiunge: Lassù l'esistenza è eterna e indefettibile, qui passeggera e precaria, perché aveva parlato della perennità dell'esistenza. Ancora: Lassù l'intelligenza è sublimata nella felicità, qui depressa nell'infelicità, perché aveva parlato della perfezione dell'essere. Dunque da lui sono state considerate tre caratteristiche degli dèi, cioè l'altezza nello spazio, l'immortalità, la felicità e ad esse opposte tre caratteristiche degli uomini, cioè la bassezza nello spazio, la mortalità, la infelicità.

Posizione di mezzo per immoralità e infelicità...
13. 1. Non v'è alcuna discussione sulla posizione occupata dai demoni che Apuleio ha collocato in mezzo fra queste tre coppie di caratteristiche relative agli dèi e agli uomini. Fra il più alto e il più basso v'è e si concepisce precisamente uno spazio di mezzo. Vi sono le altre due coppie di caratteristiche, alle quali si deve volgere un esame più attento, in modo da chiarire se siano estranee ai demoni ovvero siano ripartite, come sembra richiedere la posizione di mezzo. Ma non possono essere loro estranee. Si può concepire infatti che lo spazio non sia né il più alto né il più basso, ma non si può concepire che i demoni non siano né felici, dato che sono esseri animati ragionevoli, né infelici, come sono le piante che sono prive di sensazione e le bestie che sono prive di ragione. Gli esseri spirituali dotati di ragione sono necessariamente o felici o infelici. Allo stesso modo non si può dire ragionevolmente che i demoni non siano né mortali né immortali. Tutti gli esseri viventi o vivono per sempre o terminano con la morte l'esistenza. Ora Apuleio ha affermato che i demoni sono immortali nell'esistenza. Non rimane dunque altro che essi, posti nel mezzo, abbiano una caratteristica dagli esseri posti in alto e una da quelli posti in basso. Se avranno l'una e l'altra o da quelli in basso o da quelli in alto, non saranno in mezzo ma o risalgono o discendono verso l'una o l'altra parte. Quindi poiché non possono essere privi, come è stato dimostrato, dell'una e dell'altra rispettiva caratteristica, sono posti in mezzo col prenderne una dall'una parte e una dall'altra. Pertanto dato che non possono prendere l'immortalità dagli esseri posti in basso perché non l'hanno, ricevono questa caratteristica da quelli in alto e quindi non v'è altro da ricevere da quelli in basso che l'infelicità a rendere compiuta la loro posizione di mezzo.

...caratterizzante il demone...
13. 2. Si ha dunque secondo i platonici o la felice immortalità o l'immortale felicità degli dèi, perché posti in alto; degli uomini, al contrario, perché posti in basso, o l'infelicità per soggezione alla morte o l'infelice soggezione alla morte; dei demoni invece, perché posti in mezzo, o l'infelice immortalità o l'immortale infelicità 29. Apuleio difatti mediante le cinque proprietà che ha proposto nella definizione dei demoni non ha mostrato, come prometteva, che sono collocati nel mezzo. Ha affermato appunto che hanno tre caratteristiche in comune con noi, e cioè che per genere sono viventi, per intelligenza capaci di pensiero e soggetti alle passioni nello spirito; con gli dèi una caratteristica, che sono immortali nell'esistenza, e una particolare, che sono aeriformi nel corpo. In che senso sono dunque nel mezzo se hanno una proprietà in comune con gli esseri più in alto e tre con quelli più in basso? Chi non vedrebbe in quali proporzioni, abbandonando la posizione di mezzo, siano volti e trascinati verso il basso? Potrebbero certamente trovarsi in mezzo se avessero una caratteristica propria che è il corpo aeriforme, come l'hanno anche gli estremi dell'alto e del basso, e cioè gli dèi il corpo etereo e gli uomini il corpo terrestre e se si avessero inoltre due proprietà in comune a tutti e tre e cioè che siano viventi nel genere e capaci di pensiero per intelligenza. Lo stesso Apuleio, parlando degli dèi e degli uomini dice: Sono due tipi di viventi; e i platonici parlano sempre degli dèi come di esseri dotati d'intelligenza 30. Rimangono due caratteristiche dei demoni e cioè che sono soggetti alle passioni nello spirito ed immortali nell'esistenza. Di esse hanno una in comune con quelli in basso e l'altra con quelli in alto, sicché la posizione di mezzo bilanciata col calcolo della proporzione non scatta verso l'alto e non scivola verso il basso. Ed essa è appunto la infelice immortalità o l'immortale infelicità dei demoni. Apuleio, che li ha dichiarati soggetti alle passioni nello spirito, li avrebbe dichiarati anche infelici, se non avesse avuto ritegno per i loro adoratori. Ora poiché il mondo non è retto da un destino cieco ma dalla provvidenza del sommo Dio, come anche i platonici sostengono, non si avrebbe l'immortale infelicità dei demoni se non si avesse la loro grande malvagità.

...che quindi è di mezzo fra dèi e uomini.
13. 3. Se dunque i felici sono giustamente considerati eudemoni, i demoni non sono eudemoni perché i platonici li hanno collocati in mezzo fra uomini e dèi. Qual è dunque il luogo di buoni demoni che in un grado superiore agli uomini e inferiore agli dèi offrano agli uni il soccorso, agli altri il servizio? Se infatti sono buoni ed immortali, sono anche felici. Ma una felicità immortale non permette che siano nel mezzo perché li eguaglia sensibilmente agli dèi e li differenzia sensibilmente dagli uomini. Quindi invano i platonici tenteranno di chiarire il criterio per cui i demoni buoni, se sono anche immortali e felici, siano ragionevolmente collocati in mezzo fra gli dèi liberi dalla morte e dal male e gli uomini soggetti alla morte e al male. Essi avrebbero due proprietà in comune con gli dèi, cioè la felicità e l'immortalità, e nessuna con gli uomini infelici e mortali. Per quale ragione dunque non sono considerati lontani dagli uomini e uniti agli dèi, anziché posti nel mezzo fra gli uni e gli altri? Sarebbero nel mezzo se avessero due determinate caratteristiche proprie, non comuni a due altre degli uni o degli altri ma a una di entrambi. Anche l'uomo è un qualcosa di mezzo, ma fra le bestie e gli angeli. Difatti poiché la bestia è un vivente irragionevole e mortale, l'angelo al contrario ragionevole e immortale, l'uomo è di mezzo, inferiore agli angeli, superiore alle bestie, perché ha in comune con le bestie la soggezione alla morte e con gli angeli l'intelligenza. È appunto un essere animato, ragionevole, mortale. Dunque allo stesso modo quando si cerca la posizione di mezzo fra esseri felici immortali ed esseri infelici mortali, si deve trovare o che l'essere mortale è felice o l'immortale è infelice.

L'uomo fra moralità e felicità.
14. Esiste nel mondo umano il grande problema se l'uomo può essere contemporaneamente felice e mortale. Alcuni hanno esaminato con maggiore umiltà la propria condizione e hanno affermato che l'uomo non può essere capace di felicità finché vive nella soggezione alla morte. Altri invece per orgoglio hanno osato affermare che, pur mortali, gli uomini in possesso della sapienza possono essere felici. Se è così, perché essi piuttosto non vengono collocati in mezzo fra infelici mortali e felici immortali, dato che hanno in comune la felicità con gli immortali felici e la soggezione alla morte con i mortali infelici? Certamente se sono felici non invidiano alcuno, poiché l'invidia è la più grande infelicità. Pertanto aiuterebbero, secondo le proprie possibilità, gli infelici mortali a conseguire la felicità, in modo da essere anche immortali dopo la morte ed essere uniti agli angeli immortali e felici.

Cristo mediatore come uomo-Dio...
15. 1. Se poi, ed è la teoria più attendibile e probabile, tutti gli uomini, finché sono soggetti alla morte, sono ineluttabilmente anche infelici, si deve pensare a un intermediario che non soltanto sia uomo ma anche dio. Soltanto la felice soggezione alla morte di questo intermediario potrà condurre col suo intervento gli uomini dalla infelice soggezione alla morte a una felice immortalità. Ed era opportuno che egli divenisse mortale e non rimanesse mortale. È divenuto mortale senza abbassare la divinità del Verbo ma assumendo la bassezza della carne; e non è rimasto mortale nella carne ma l'ha risuscitata dalla morte, poiché fine della sua mediazione è che non rimanessero nella morte perpetua, sia pure della carne, coloro per la cui riabilitazione egli era divenuto mediatore. Per questo fu necessario che egli, mediatore fra noi e Dio, avesse una temporanea soggezione alla morte e la felicità perenne, in modo che mediante la dimensione con cui diviene si adatti a esseri destinati a morire e una volta morti li trasferisca alla dimensione che non diviene. Gli angeli buoni dunque non possono essere di mezzo fra gli infelici mortali e i felici immortali, perché anche essi sono felici e immortali; lo possono invece gli angeli cattivi, perché sono immortali con gli uni e infelici con gli altri. Contrario a loro è il mediatore buono che in opposizione alla loro immortalità e infelicità volle essere mortale nel tempo e poté rimanere felice nell'eternità. Così con l'umiltà della propria morte e col bene della propria felicità ha sconfitto negli uomini gli immortali superbi e infelici operatori del male, affinché con l'esca della immortalità non li attirassero all'infelicità. Egli appunto ha liberato il loro spirito dal loro impuro dominio purificandolo per mezzo della fede in lui.

...e come datore di salvezza.
15. 2. Dunque l'uomo mortale e infelice, separato per grande distanza dagli esseri immortali e felici, quale intermediario potrà scegliere per cui mezzo congiungersi all'immortalità e alla felicità? Ciò che potrebbe attrarre nell'immortalità dei demoni è infelicità; ciò che potrebbe contrariare nella soggezione del Cristo alla morte non è più infelicità. In quella immortalità ci si deve guardare dalla eterna infelicità; in questa soggezione al morire non si deve temere la morte che non poteva essere eterna e si deve scegliere la felicità eterna. A quel destino s'interpone un intermediario immortale e infelice per impedire di passare all'immortalità felice perché permane in lui ciò che la impedisce, cioè la stessa infelicità; per l'altro destino si è interposto un intermediario mortale e felice per rendere gli uomini, una volta passata la soggezione alla morte, da morti a immortali sul modello che ha mostrato in sé risorgendo, da infelici a felici in quella vita da cui mai si era allontanato. L'uno è dunque un intermediario cattivo perché separa gli amici, l'altro buono perché riconcilia i nemici. Gli intermediari che disuniscono sono molti appunto perché la moltitudine che è felice lo diviene nella partecipazione del Dio uno, mentre la moltitudine degli angeli cattivi è infelice per mancanza di tale partecipazione. Ed essa si oppone per impedire, anziché interporsi per far conseguire la felicità e tumultua, per così dire, anche mediante la moltitudine stessa affinché non sia possibile giungere all'unico bene che rende felici. E per essere condotti a lui non erano necessari molti mediatori ma uno solo, e quello stesso di cui partecipando si diviene felici, cioè il Verbo di Dio, non creato, perché per suo mezzo sono state create tutte le cose 31. Tuttavia non è mediatore in quanto Verbo perché il Verbo sommamente immortale e felice è ben lontano dagli infelici mortali, ma è mediatore perché è uomo 32. Con questo fatto stesso mostra che per il bene, non solo felice ma che rende felici, non è necessario cercare altri intermediari e supporre di costruirci con essi una scala con cui raggiungerlo, perché il Dio felice e che rende felici, divenuto partecipe della nostra umanità, ci ha offerto la via più breve per partecipare alla sua divinità. Liberandoci dalla soggezione alla morte e al male non ci eleva fino agli angeli immortali e felici per essere anche noi immortali e felici, ma alla Trinità perché anche gli angeli sono felici della sua partecipazione. Perciò quando nella forma di schiavo 33, per essere mediatore, volle essere inferiore agli angeli, rimase loro superiore nella forma di Dio, perché è sempre lui che in basso è la via della vita e in alto è la vita 34.

Assurda teoria della incontaminabilità degli dèi...
16. 1. Non è vero infatti l'aforisma che il citato platonico attribuisce a Platone: Nessun dio comunica con l'uomo; e ha aggiunto che principale indizio della loro sublimità è che non sono contaminati dal contatto con gli uomini 35. Ammette dunque che i demoni ne sono contaminati. Ne consegue dunque che non possono render puri coloro dai quali sono contaminati e tutti e due sono egualmente impuri, i demoni mediante il contatto con gli uomini e gli uomini mediante l'adorazione dei demoni. Ovvero se i demoni possono avere contatti e comunicazioni con gli uomini senza esserne contaminati, sono evidentemente più perfetti degli dèi, perché questi sarebbero contaminati se comunicassero. È infatti caratteristica principale degli dèi, secondo la loro teoria, che il contatto umano non li può contaminare perché inaccessibili per elevatezza 36. Apuleio afferma inoltre che il Dio sommo, creatore di tutti, che noi cristiani riconosciamo per il vero Dio, è considerato da Platone come il solo che è impossibile esprimere, sia pure lontanamente, con parole a causa della povertà del linguaggio umano; ma che appena ai filosofi, se col dinamismo spirituale, quanto è loro consentito, si siano allontanati dalla materia, la conoscenza di questo Dio, sebbene raramente, brillerebbe quasi attraverso folte tenebre come candida luce in un rapidissimo balenare 37. Dunque il Dio veramente sommo, perché sopra tutte le cose, si manifesterebbe in una determinata intelligibile e ineffabile presenza, sebbene raramente, sebbene brillando come candida luce in un rapidissimo balenare, all'intelligenza dei filosofi, purché, quanto è consentito, si siano distolti dalla materia; ed egli non potrebbe esserne contaminato. Che ragionamento è dunque questo che gli dèi vengono relegati lontano, nello spazio più alto, perché non siano contaminati dal contatto umano? Basta solamente vedere i corpi celesti, dato che la terra è illuminata, quanto basta, dalla loro luce. Ora se con l'esser visti non sono contaminati gli astri che Apuleio considera tutti dèi visibili 38, neanche i demoni sono contaminati dallo sguardo umano, anche se fossero visti da vicino. Ma forse gli dèi sono contaminati dalla voce umana, sebbene non lo siano dalla vista? E per questo forse avrebbero come mediatori i demoni, da cui sia loro riferita la voce degli uomini, dato che sono da loro lontani per rimanere pienamente incontaminati? Che dire degli altri sensi? Neppure gli dèi, se fossero più vicini, potrebbero esser contaminati usando l'olfatto e neanche i demoni, quando sono vicini, possono essere contaminati dalle esalazioni dei corpi umani vivi, se non sono contaminati dal fumo delle carogne nei sacrifici. Per quanto riguarda la sensazione del gusto non sono stimolati dal bisogno di ristorare il corpo mortale tanto che, spinti dalla fame, chiedano da mangiare agli uomini. Il tatto poi dipende da loro. Infatti quantunque sia evidente che il contatto derivi etimologicamente da questo senso, gli dèi comunicherebbero, qualora lo volessero, con gli uomini soltanto per vedere ed essere veduti, ascoltare ed essere ascoltati. Che necessità vi sarebbe di toccare? Neanche gli uomini oserebbero desiderarlo se potessero godere della vista o colloquio con gli dèi o con i buoni demoni. E se la curiosità arrivasse al punto che lo vogliano, in qual modo potrebbe un individuo toccare loro malgrado un dio o un demone se non può toccare un passero se non dopo averlo preso?.

...e dei dèmoni.
16. 2. Dunque gli dèi potrebbero comunicare con gli uomini vedendo e offrendosi alla vista, parlando e ascoltando. Se quindi i demoni comunicano nel modo che ho detto e non ne sono contaminati, gli dèi invece lo sono, i demoni, a sentir loro, sono incontaminabili e gli dèi contaminabili. Se poi sono contaminati anche i demoni, che cosa conferiscono agli uomini per la felicità dopo la morte se, rimanendo contaminati, non li possono purificare per ricongiungerli puri agli dèi incontaminati, dato che sono mediatori fra gli uni e gli altri? E se non tributano questo soccorso, che cosa giova agli uomini l'amichevole mediazione dei demoni? Forse affinché gli uomini non passino dopo la morte agli dèi attraverso i demoni, ma affinché vivano entrambi contaminati e quindi né gli uni né gli altri felici? A meno che non si dica che i demoni purifichino i propri amici col sistema delle spugne e simili e che perciò diventino tanto più sporchi quanto più puliti diventano gli uomini mediante questa abluzione. Ma se è così, gli dèi comunicano con i demoni più contaminati degli uomini; eppure hanno evitato la vicinanza e il contatto degli uomini per non rimanerne contaminati. O forse gli dèi possono purificare i demoni contaminati dagli uomini e non essere contaminati da loro e per gli uomini non sarebbe possibile? E chi la penserebbe così se non fosse tratto in inganno dai demoni grandi impostori? Se poi l'esser visti e il vedere contaminano e si vedono dagli uomini gli dèi che Apuleio dichiara visibili 39 come le luci più fulgide del mondo 40, e così per gli astri, forse che sono più immuni i demoni da questa contaminazione umana, dato che non possono esser veduti se non vogliono? E se non l'esser visto ma il vedere rende impuri, affermino che gli uomini non sono visti da queste fulgidissime luci del mondo che ritengono dèi, sebbene facciano giungere i loro raggi fino alla terra. Tuttavia questi raggi diffusi su tanti oggetti immondi non sono contaminati. E rimarrebbero contaminati gli dèi se comunicassero con gli uomini, anche se al soccorso fosse indispensabile il contatto? Infatti la terra viene colpita dai raggi del sole e della luna; eppure non rende immonda la loro luce.

Cristo mediatore per somiglianza.
17. Mi meraviglio assai che uomini così dotti, sebbene abbiano giudicato tutte le cose materiali e sensibili inferiori alle spirituali e intelligibili, sull'argomento della felicità accennino ai contatti corporali. Non vi si riscontra affatto il celebre detto di Plotino: Si deve dunque fuggire verso la patria diletta, perché in essa è il padre, in essa tutto; e soggiunge: Qual è dunque la lotta o la fuga? Divenire simile a Dio 41. Se si diviene tanto più vicini a Dio quanto si è più simili a lui, la sola lontananza da lui è essergli dissimili. L'anima dell'uomo quindi è tanto più dissimile da lui che è immateriale eterno e fuori del divenire quanto più è attaccata alle cose del tempo che sono nel divenire. Bisogna guarire da questo male. Ma poiché le cose soggette alla morte e alla materia che sono in basso non possono essere proporzionate alla somma immaterialità che è in alto, si ha bisogno di un mediatore. Tuttavia egli non deve essere tale che abbia un corpo sia pure immortale, vicino agli esseri più alti, e lo spirito soggetto al male come gli esseri più bassi, perché piuttosto ci ostacolerebbe dall'esserne guariti che aiutarci a guarirne. Il mediatore deve essere tale che, reso simile per soggezione alla morte nel corpo a noi che siamo in basso, possa porgere un aiuto veramente divino alla nostra catarsi e liberazione per immortale giustizia dello spirito mediante la quale rimase in alto non per distanza nello spazio ma per sovrana eguaglianza. Ed è impossibile che egli, Dio immutabile, temesse la contaminazione da parte dell'uomo che ha assunto o degli uomini in mezzo ai quali è vissuto come uomo. Frattanto non sono trascurabili questi due benefici che egli con la sua incarnazione ci ha rivelati, e cioè che la vera divinità non può essere contaminata dalla terrenità e che i demoni non si devono ritenere migliori di noi per il fatto che non partecipano della terrenità. Egli è, come dichiara la sacra Scrittura, il mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù 42. Non è qui il momento di parlare espressamente, sia pure nei limiti delle nostre possibilità, della sua divinità, per cui è eternamente eguale al Padre, e della sua umanità, per cui si è reso simile a noi.

Via fra cielo e terra.
18. Al contrario i demoni, mediatori mentiti e mentitori, quantunque, pur soggetti all'infelicità e al male a causa dell'impurità dello spirito, esercitino il loro influsso su molti avvenimenti, approfittando tuttavia delle distanze nello spazio materiale e della leggerezza del loro corpo aeriforme, tramano di distoglierci definitivamente dall'elevazione spirituale. Quindi non mostrano la via a Dio ma impediscono che si tenga la via. Comunque una parola sulla via dello spazio corporeo. Essa è ingannevole ed è fitta di errori, perché per essa non passa la giustizia, dato che dobbiamo salire a Dio non attraverso l'altezza fisica ma per somiglianza spirituale, cioè non corporea. Comunque anche per quanto riguarda la via dello spazio corporeo, che gli adoratori dei demoni dispongono fra gli dèi eterei e gli uomini terreni stabilendo come intermediari i demoni, essi ritengono in definitiva che gli dèi abbiano come principale caratteristica di non essere contaminati dal contatto umano in virtù della distanza nello spazio. Con questa teoria sostengono piuttosto che i demoni sono contaminati dagli uomini, anziché gli uomini siano purificati dai demoni e che gli dèi stessi possono rimanere contaminati se non fossero difesi dall'altezza nello spazio 43. Chi è tanto sciagurato da pensare di raggiungere la catarsi per questa via, giacché in essa gli uomini contaminano, i demoni sono contaminati e gli dèi contaminabili? E perché non dovrebbe scegliere la via in cui si evitino i demoni che contaminano 44, e gli uomini dal Dio incontaminabile siano liberati dalla contaminazione per raggiungere la società degli angeli non contaminati?

Angeli e dèmoni.
19. Ma non deve sembrare che facciamo questione di terminologia, poiché alcuni di questi, per così dire, demonicoli, fra cui è anche Labeone, affermano che da alcuni sono chiamati angeli quelli che essi chiamano demoni. Prendo atto quindi che si deve esporre qualche concetto sugli angeli buoni. I pagani non ne negano l'esistenza ma preferiscono chiamarli demoni buoni anziché angeli. Noi invece, come insegna la Scrittura in base alla quale siamo cristiani, sentiamo parlare di angeli, che in parte sono buoni e in parte cattivi, mai comunque di demoni buoni. In qualunque parte della Scrittura si trovi questo nome, siano denominati dèmoni o demòni, sono sempre indicati come spiriti malvagi. E dovunque gli individui ormai hanno adottato questo modo di parlare al punto che non esiste alcuno, di quelli che sono chiamati pagani e difendono il culto di molti dèi e demoni, anche se letterato e colto, che osi dire a titolo di lode sia pure al proprio schiavo: Hai un demone 45. Al contrario, non può avere alcun dubbio di essere interpretato soltanto nel senso che ha inteso ingiuriare, chiunque sia l'individuo a cui si è rivolto. Non v'è ragione dunque che ci costringa a giustificare la nostra affermazione, data la ripugnanza di moltissimi individui, ormai quasi tutti, abituati a interpretare soltanto in cattivo senso la parola. Usando la parola angeli possiamo evitare la ripugnanza che può manifestarsi se si usa la parola demoni.

Scienza e superbia nei dèmoni.
20. Comunque anche l'etimologia di questo nome, se consideriamo attentamente i libri della Scrittura, ci induce a una importante considerazione. Demoni, stando alla radice greca del nome [], derivano etimologicamente da scienza 46. Ora l'Apostolo parlando nello Spirito Santo afferma: La scienza gonfia, la carità costruisce 47. Il detto non significa altro che la scienza giova soltanto quando si ha la carità 48 e che senza di essa gonfia e cioè innalza a una vuota altezzosità. V'è dunque nei demoni la scienza senza la carità e quindi sono così gonfi, cioè così superbi al punto che si sono industriati perché fossero loro tributati onori divini e il servizio religioso che, come sanno, si devono al vero Dio; tuttora si dan da fare per quanto è loro possibile e con chi è possibile. Ora l'anima degli uomini gonfia della colpa dell'orgoglio non sa, perché simile ai demoni nella superbia e non nella scienza, quanto potere ha l'umiltà di Dio che si è manifestata in Cristo contro la superbia dei demoni, dalla quale era meritatamente reso schiavo il genere umano.

Cristo si palesa ai dèmoni.
21. E i demoni sanno anche questo. Hanno perfino detto al Signore mentre era rivestito della debolezza della carne: Che c'è fra noi e te, o Gesù di Nazareth? Sei venuto a mandarci in rovina [prima del tempo]? 49. È chiaro da queste parole che esisteva in essi una grande scienza e non vi era la carità. Temevano la pena da lui ma non amavano in lui la giustizia. Si fece conoscere da loro nei limiti che volle e lo volle nei limiti dell'indispensabile. Però non si fece conoscere come agli angeli santi i quali godono nella partecipazione alla sua eternità secondo la relazione per cui è il Verbo di Dio 50, ma come si doveva far conoscere dai demoni per atterrirli. Stava appunto per liberare dal loro potere, in certo senso tirannico, i predestinati al suo regno e alla sua gloria verace e veracemente eterna. Si fece dunque conoscere dai demoni non nella dimensione della vita eterna e della luce indefettibile che illumina i credenti, giacché per conoscerlo mediante la fede che proviene da lui si richiede la purificazione dello spirito; si è fatto conoscere soltanto mediante manifestazioni nel tempo e segni della sua presenza invisibile che potevano essere palesi alle facoltà angeliche, anche di spiriti malvagi, anziché alla debolezza umana. Poi quando credette opportuno di occultarli e si tenne maggiormente nascosto, il principe dei demoni dubitò di lui e per scoprire se era il Cristo lo provò nei limiti in cui egli consentì di esser messo alla prova, per commisurare l'uomo che era in lui a modello della nostra imitazione. Ma dopo quella prova, come è scritto, lo servirono gli angeli 51, certamente quelli buoni e santi e perciò temibili e terribili agli spiriti immondi. Quindi sempre di più si palesava ai demoni la sua grandezza, sicché nessun demone osò resistere al suo comando, sebbene in lui potesse sembrare oggetto di disprezzo la debolezza della carne.

Conoscenza degli angeli e dei dèmoni.
22. Quindi per gli angeli buoni è senza valore ogni conoscenza delle cose fisiche poste nel tempo, mentre i demoni se ne inorgogliscono. Non che gli angeli ne siano ignari, ma per essi ha valore la carità di Dio dalla quale sono resi santi. In ordine alla bellezza non solo spirituale ma anche immutevole e ineffabile di lui, dal cui santo amore sono infiammati, essi ritengono senza valore tutte le cose che gli sono inferiori e che non sono quelle che lui è, e se stessi per partecipare nel tutto del bene che sono di quel bene per cui sono un bene. Perciò conoscono più distintamente anche le cose poste nel tempo e nel divenire, perché ne intuiscono le ragioni ideali nel Verbo di Dio per mezzo del quale è stato creato il mondo; e in queste ragioni alcune cose sono approvate, alcune disapprovate, tutte ordinate. I demoni al contrario non intuiscono nella Sapienza di Dio le ragioni eterne che, analogicamente parlando, reggono i tempi ma, attraverso una maggiore conoscenza immediata di segni a noi occulti, prevedono molto più degli uomini eventi futuri e talora predicono perfino le proprie iniziative. Ma i demoni spesso s'ingannano, gli angeli mai. Una cosa è infatti congetturare eventi nel tempo e nel divenire da altri eventi e inserire in essi una dimensione, posta nel tempo e nel divenire, della propria volontà e potere; e questo in una maniera determinata è consentito ai demoni. Altro è prevedere il divenire dei tempi nelle leggi di Dio che sono fuori del tempo e del divenire e sussistono nella sua Sapienza e conoscere nella partecipazione del suo Spirito la volontà di Dio che fra tutte, quanto è più efficace, tanto è più determinante; e questo con retto criterio è stato concesso agli angeli santi. Perciò non solo sono immortali ma anche felici. E Dio, da cui sono stati creati, è per loro il bene da cui sono felici. Godono infatti nella sua partecipazione e visione indefettibilmente.

Significato di dèi nella Scrittura.
23. 1. Se i platonici preferiscono chiamare dèi anziché demoni gli angeli e ad essi aggiungere quelli che Platone, loro capo e maestro, dichiara creati dal Dio sommo, facciano pure 52. Con essi non ci si deve affannare per questioni di terminologia. Se infatti affermano che sono immortali, ma ciò nonostante creati dal Dio sommo e che non da sé sono felici, ma nell'unione a lui dal quale sono stati creati, dicono quel che diciamo noi, qualunque sia il nome con cui li chiamino. Che questa è la dottrina dei platonici, di tutti o dei migliori, è documentato dai loro libri. Non v'è poi quasi nessun dissenso tra noi e loro sul nome stesso con cui designano come dèi tale creatura immune dalla morte e dal male, anche perché nei nostri scritti sacri si legge: Il Dio signore degli dèi ha parlato 53; e altrove: Lodate il Dio degli dèi 54; e ancora: Il re grande su tutti gli dèi 55. Al contrario, poco dopo viene dichiarato il motivo per cui è stato scritto: È terribile su tutti gli dèi. Segue infatti: Perché tutti gli dèi delle genti sono demoni, mentre il Signore ha creato i cieli 56. Ha detto dunque su tutti gli dèi ma delle genti, cioè che le genti considerano dèi, mentre sono demoni e perciò è terribile. E sotto simile terrore domandavano al Signore: Sei venuto a mandarci in rovina? 57. Invece, l'altra frase il Dio degli dèi non può avere il significato del Dio dei demoni; ed è impossibile che anche l'altra il re grande su tutti gli dèi significhi il re grande su tutti i demoni. Ma il medesimo libro della Scrittura chiama dèi anche gli uomini appartenenti al popolo di Dio. Dice: Io ho detto che siete dèi e figli dell'Altissimo tutti 58. Si può interpretare che è il Dio di questi dèi quello che è stato definito il Dio degli dèi, e re grande su tutti gli dèi quello che è stato definito re grande su tutti gli dèi.

...appellativo più confacente all'uomo che all'angelo...
23. 2. Tuttavia ci si può obiettare: se gli uomini sono stati considerati dèi perché appartengono al popolo di Dio, al quale egli parla per mezzo di angeli o uomini, quanto più sono degni di questo nome esseri immortali che posseggono la felicità alla quale gli uomini aspirano a giungere adorando Dio? Risponderemo che non a caso nella Scrittura sono stati considerati dèi più esplicitamente gli uomini che gli spiriti immortali e felici ai quali noi saremo eguali, come ci è stato promesso, dopo la resurrezione. Si doveva evitare che la debolezza nella fede osasse a causa della loro superiorità stabilire come dio per noi qualcuno degli angeli. Trattandosi dell'uomo era più facile evitarlo. Inoltre gli uomini dovevano più apertamente essere considerati dèi se appartenenti al popolo di Dio, affinché fossero più stabili nella fiducia che il loro Dio è quello che è stato chiamato il Dio degli dèi 59. E sebbene siano chiamati dèi gli spiriti immortali e felici che sono nei cieli, tuttavia non sono stati considerati dèi degli dèi, cioè dèi degli uomini appartenenti al popolo di Dio ai quali è stato detto: Io ho detto che siete dèi e figli dell'Altissimo tutti 60. Da qui le parole dell'Apostolo: Vi sono esseri considerati dèi tanto nel cielo come sulla terra; e siccome vi sono molti dèi, vi sono anche molti signori. Ma noi abbiamo un solo Dio Padre, dal quale tutte le cose e anche noi in lui e un solo signore Gesù il Cristo, per mezzo del quale tutte le cose e anche noi per mezzo di lui 61.

...comunque non oggetto di culto.
23. 3. Non si deve discutere sul nome perché il concetto è tanto chiaro che è esente da ogni dubbio per quanto scrupoloso. Tuttavia noi cristiani affermiamo che dal numero degli spiriti immortali e beati alcuni sono mandati come angeli per annunziare agli uomini la volontà di Dio. Il discorso non piace ai platonici, perché sostengono che questa funzione non è esercitata da quelli che essi considerano dèi, cioè immortali e felici, ma dai demoni che considerano soltanto immortali. Non osano considerarli felici o, se immortali e felici, soltanto come demoni buoni, non dèi che sono collocati nello spazio più alto e lontani dal contatto umano. E sebbene questo sembri un dissenso di terminologia, tuttavia la denominazione di demoni è così detestabile che noi cristiani dobbiamo assolutamente considerarla sconveniente ai santi angeli. A questo punto si deve chiudere il presente libro. Abbiamo accertato infatti che gli spiriti immortali e felici, comunque siano chiamati, purché siano stati prodotti dal nulla, non sono intermediari per i mortali infelici da guidarsi all'immortale felicità, perché ne sono disgiunti dall'una e dall'altra differente proprietà. Al contrario quelli che sono nel mezzo, poiché hanno in comune con quelli collocati in alto l'immortalità e con quelli collocati in basso l'infelicità, dato che sono infelici per colpa della soggezione al male, possono piuttosto invidiarci che offrirci la felicità che non hanno. Quindi gli amici dei demoni non hanno nulla da proporci che valga a farceli adorare come soccorritori anziché evitarli come ingannatori. Vi sono infine gli spiriti buoni, e quindi non solo immortali ma anche felici, riguardo ai quali i platonici sostengono che si devono adorare con misteri e sacrifici per conseguire la felicità dopo la morte. Ma quali che siano e comunque siano denominati, noi nel seguente libro esporremo più accuratamente la nostra dottrina, e cioè che non si devono adorare essi con un simile culto religioso ma un solo Dio dal quale sono stati creati e della cui partecipazione sono felici.


2 - Nel secondo giorno il Signore continua in Maria santissima i suoi favori.

La mistica Città di Dio - Libro terzo - Suor Maria d'Agreda

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16. Nella prima parte di questa Storia ho detto che il corpo purissimo di Maria santissima fu concepito e formato con ogni perfezione nello spazio di sette giorni; infatti l'Altissimo operò questo miracolo perché la sua anima santissima non attendesse il tempo che normalmente intercorre nel caso degli altri bambini, ma fosse creata e infusa anticipatamente, come avvenne. Questo fu fatto affinché il principio della redenzione del mondo fosse debitamente correlato con quello della sua creazione. Ora, quest'opera trovò corrispondenza un'altra volta, quando cioè stava già per scendere nel mondo il suo Salvatore. Anche qui, formato il nuovo Adamo, Cristo, Dio volle in un certo modo riposarsi, avendo come provato tutte le forze della sua onnipotenza nella maggiore delle sue prodezze, e volle che con questo riposo si celebrasse il sabato gioioso di tutte le sue delizie. Siccome in queste meraviglie doveva intervenire la Madre del Verbo divino dandogli forma umana visibile, era necessario che, essendo ella nel mezzo tra questi due estremi, Dio e gli uomini, facesse capo ad entrambi, avendo una dignità tale da essere inferiore a Dio e superiore a tutto ciò che non è Dio. Quindi, in ragione di tale dignità, le era dovuta una conoscenza proporzionata, tanto della Divinità quanto di tutte le creature.

17. Per proseguire in questo intento, il Signore continuò in Maria santissima i favori con cui la preparò all'incarnazione del Verbo nei nove giorni, che io sto raccontando, precedenti ad essa. Così il secondo giorno, sempre a mezzanotte, la nostra Principessa fu visitata nel medesimo modo che dissi nel capitolo precedente, venendo elevata dal potere divino con quelle disposizioni, qualità e illuminazioni con le quali veniva preparata per le visioni della Divinità. Dio le si manifestò di nuovo astrattivamente ed ella vide le opere compiute nel secondo giorno della creazione del mondo. Conobbe quando e come Dio divise le acque che sono sotto il firmamento da quelle che sono sopra il firmamento, e chiamò il firmamento cielo. Conobbe inoltre la sua estensione e il suo ordine, nonché le condizioni e i movimenti di tutti i corpi celesti, con tutte le loro qualità e proprietà.

18. Nella prudentissima Vergine questa conoscenza non era oziosa né sterile, perché si riversava in lei quasi immediatamente dalla chiarissima luce della Divinità. Questa la infiammava nella meraviglia e la infervorava a lodare ed amare sempre più la bontà e la potenza divina, tanto che, trasformata nel medesimo Dio, compiva atti eroici di tutte le virtù, dando a sua Maestà gloria piena e perfetta. Come nel primo giorno Dio l'aveva fatta partecipe della sua sapienza, in questo secondo le comunicò a suo modo l'onnipotenza, dandole potere sopra gli influssi dei cieli, dei pianeti e degli elementi e comandando che tutti le ubbidissero. Questa grande Regina ebbe così il dominio sopra il mare, la terra, gli elementi, i mondi celesti e tutte le creature che in essi sono contenute.

19. Questo potere apparteneva alla dignità di Maria santissima non solo per ciò che ho detto sopra, ma anche per altre due ragioni speciali. La prima ragione consisteva nel fatto che ella era privilegiata ed immune dalla comune legge del peccato originale e dei suoi effetti e per questo non doveva essere annoverata tra gli insensati figli di Adamo, contro i quali l'Onnipotente aveva armato le creature per vendicare le ingiurie fatte a lui e castigare la pazzia dei mortali. Infatti, se essi non avessero disobbedito al proprio Creatore, nemmeno le altre creature e gli elementi sarebbero stati ribelli e ostili a loro, né avrebbero rivolto contro di essi il rigore della propria attività e delle proprie inclemenze. Quindi, se questa ribellione delle creature fu il castigo del peccato, ne segue che ciò non doveva verificarsi con Maria santissima immacolata e senza colpa, né tantomeno ella doveva essere, in questo privilegio, inferiore alla natura angelica, che non è toccata da questa pena del peccato e sulla quale non ha autorità la forza degli elementi. È vero che Maria santissima era di natura terrena, ma appunto per questo in lei fu più stimabile, come cosa più rara e più preziosa, il salire ad un'altezza superiore a tutte le creature terrene e spirituali e il diventare con i suoi meriti degna Regina e signora di tutto il creato. D'altronde, è certo che si doveva concedere più alla regina che ai sudditi, più alla signora che ai servi.

20. La seconda ragione era che a questa nobile Regina il suo Figlio santissimo doveva obbedire come a madre. Essendo egli il Creatore di tutto, era ragionevole che ogni cosa obbedisse a colei alla quale il creatore stesso doveva ubbidienza e che ella comandasse su tutto, poiché la persona di Cristo, in quanto uomo, doveva essere curata dalla sua Madre per dovere e per legge di natura. Questo privilegio concorreva grandemente ad esaltare le virtù e i meriti di Maria santissima, perché in lei veniva ad essere volontario e meritorio ciò che in noi è forzato e, ordinariamente, contrario alla nostra volontà, cioè l'assoggettarsi alle creature. La prudentissima Regina non usava questo potere in modo indiscriminato e per il proprio piacere e sollievo; al contrario, comandava a tutti gli elementi e a tutte le creature che senza riguardo esercitassero contro di lei le azioni che le potevano essere naturalmente penose e moleste, perché in ciò doveva essere simile al suo Figlio santissimo e soffrire con lui. Infatti, l'amore e l'umiltà di questa grande Signora avrebbero sofferto se le inclemenze delle creature fossero cessate, privandola del pregio del patire, che sapeva tanto stimabile agli occhi del Signore.

21. Solamente in alcune occasioni in cui comprese che il rispetto non era per lei, ma per il suo Figlio e creatore, la dolce Madre comandò alla forza degli elementi ed esercitò il dominio sulle loro azioni, come si dirà in seguito. Così accadde nelle peregrinazioni in Egitto e in altre circostanze in cui assai prudentemente giudicò che fosse conveniente, affinché le creature riconoscessero il loro Creatore, gli mostrassero riverenza e lo difendessero e servissero in qualsiasi necessità. Chi tra i mortali non resta ammirato nel conoscere una così straordinaria meraviglia? Una semplice creatura terrena, una donna, rivestita del dominio su tutto il creato, si reputa la più indegna e vile fra tutte le creature, comanda ai venti di rovesciare la propria ira contro di lei e questi le obbediscono. Essi però, quasi timidi e cortesi verso una tale Signora, se obbedivano, lo facevano quasi per mostrare la loro subordinazione, anziché per vendicare il loro Creatore, come fanno di solito col resto dei figli di Adamo.

22. Di fronte a questa umiltà della nostra invitta Regina, noi mortali non possiamo negare la nostra vanissima arroganza o, per meglio dire, insolenza; infatti, pur meritando che tutti gli elementi e le forze offensive dell'intero universo si ribellino contro le nostre follie, ci lamentiamo del loro rigore, come se l'importunarci fosse un'offesa che ci viene fatta. Perciò condanniamo la rigidezza del freddo, non sopportiamo che il caldo ci affatichi, detestiamo tutto ciò che è penoso e mettiamo ogni impegno nell'incolpare questi ministri della divina giustizia, cercando per i nostri sensi il riparo delle comodità e dei piaceri, come se questo dovesse servirci per sempre e non fosse certo che saremo tirati fuori da tale rifugio per un più duro castigo delle nostre colpe.

23. Ritornando a questi doni di conoscenza e di potenza che furono dati alla Principessa del cielo, e agli altri favori che la disponevano a diventare degna madre dell'Unigenito dell'eterno Padre, si capirà la loro eccellenza considerando in essi una sorta di infinità, cioè di comprensione che partecipa di quella divina ed è simile a quella che in seguito ebbe l'anima santissima di Cristo. Infatti, Maria santissima non solo conosceva tutte le creature in Dio, ma le comprendeva in maniera tale da racchiuderle nella sua capacità e avrebbe potuto estendersi a conoscerne molte altre, se vi fosse stato altro da conoscere. Io chiamo ciò infinità perché mi pare qualcosa di simile alla scienza infinita e perché ella guardava e conosceva simultaneamente, senza successione, il numero dei cieli, la loro ampiezza e profondità, il loro ordine e i loro movimenti, le loro qualità, la materia e la forma, gli elementi con tutte le loro condizioni e caratteristiche. L'unica cosa che questa Vergine sapientissima ignorava era il fine immediato di tutti questi favori, che le veniva nascosto finché non fosse arrivata l'ora del suo consenso e dell'ineffabile misericordia dell'Altissimo. Così, in questi giorni ella continuava le sue fervorose preghiere per la venuta del Messia, perché il Signore stesso le imponeva ciò e le faceva comprendere che non avrebbe tardato e che già si avvicinava il tempo prefissato.

 

Insegnamento della Regina del cielo

 

24. Figlia mia, da ciò che vai conoscendo dei favori e benefici che l'Altissimo mi concedeva per. innalzarmi alla dignità di madre del Verbo, voglio che tu rilevi l'ordine ammirabile della sua sapienza nella creazione dell'uomo. Considera dunque come il suo Creatore lo fece dal niente, non perché fosse servo, ma perché fosse re e signore di tutte le cose ed esercitasse su di esse il suo dominio, riconoscendosi ad un tempo creatura ed immagine del suo creatore e stando soggetto a lui e attento alla sua volontà più di quanto non lo siano le altre creature a quella dell'uomo stesso; così infatti vuole l'ordine della ragione. Inoltre, affinché non mancasse all'uomo la conoscenza di Dio e dei mezzi per discernere e compiere la sua volontà, gli diede, oltre a quella naturale, un'altra luce maggiore, più immediata, più diretta, più certa, più ampia. Questa fu la luce della fede divina, attraverso cui avrebbe conosciuto Dio e le sue perfezioni, e con esse le sue opere. Con tale cognizione e signoria l'uomo si trovò ben ordinato, onorato ed arricchito, senza scusa per dedicarsi tutto alla volontà divina.

25. Ma la stoltezza dei mortali stravolge tutto quest'ordine e distrugge questa divina armonia, perché colui che fu creato come signore e re delle creature si fa loro vile schiavo e si assoggetta ad esse, disonorando la sua dignità e usando delle cose visibili non come padrone prudente, ma come indegno subalterno. E certo non si riconosce a queste superiore quando si fa inferiore alla più infima delle creature. Tutta questa perversità nasce dall'usare delle cose visibili non per la gloria del Creatore, riferendole a lui per mezzo della fede, ma solamente per saziare le passioni e i sensi con ciò che vi è di piacevole nelle creature, per cui gli uomini detestano tanto quelle che non hanno in sé niente di dilettevole.

26. Tu, o carissima, guarda con la fede il tuo creatore e Signore e procura di copiare nell'anima tua l'immagine delle sue perfezioni divine. Non perdere il dominio sulle creature, affinché nessuna diventi superiore alla tua libertà; anzi, voglio che tu trionfi di tutte e che niente si frapponga fra la tua anima e il tuo Dio. Solo devi assoggettarti con gioia, non a ciò che le creature hanno di piacevole, perché in tal caso si oscurerebbe il tuo intelletto e si debiliterebbe la tua volontà, bensì al disagio delle inclemenze delle loro azioni, sopportandolo con volontà lieta; io feci così per imitare il mio Figlio santissimo, quantunque avessi la potestà di scegliere il riposo e non avessi peccati da emendare.


19-5 Marzo 9, 1926 La Creazione forma la gloria muta di Dio. Nel creare l’uomo fu un giuoco d’azzardo, ma fallito, cui si deve rifare.

Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)

(1) La povera anima mia nuotava nel mare interminabile del Voler Divino, ed il mio sempre amabile Gesù faceva vedere in atto tutta la Creazione; che ordine, che armonia, quante svariate bellezze, ogni cosa aveva il suggello d’un amore increato che correva verso le creature, che scendendo nel fondo d’ogni cuore gridavano nel loro muto linguaggio: “Ama, ama Colui che tanto ama”. Io provavo un dolce incanto nel vedere la Creazione tutta, il suo mutismo amoroso, più che voce potente feriva il mio povero cuore, tanto, che mi sentivo venir meno, ed il mio dolce Gesù sostenendomi nelle sue braccia mi ha detto:

(2) “Figlia mia, tutta la Creazione dice: “Gloria, adorazione verso il nostro Creatore, amore verso le creature”. Sicché la Creazione è una gloria, un’adorazione muta per Noi, perché non le fu concessa nessuna libertà, né di crescere né di decrescere, l’uscimmo fuori di Noi ma la restammo in Noi, cioè dentro della nostra Volontà a decantare, sebbene muta, la nostra potenza, bellezza, magnificenza e gloria, sicché siamo Noi stessi che ci decantiamo la nostra potenza, la nostra gloria, l’infinito amore nostro, potenza, bontà, armonia e bellezza; la Creazione nulla ci dà da per sé stessa, sebbene essendo essa lo sbocco di tutto il nostro Essere Divino, serve di specchio all’uomo come guardare e conoscere il suo Creatore, e le dà lezioni sublimi di ordine, d’armonie, di santità e d’amore, si può dire che lo stesso Creatore, atteggiandosi a Maestro Divino, dà tante lezioni per quante cose creò, dalla più grande alla più piccola opera che uscì dalle sue mani creatrici. Non fu così nel creare l’uomo, il nostro amore fu tanto per lui, che sorpassò tutto l’amore che avemmo nella Creazione, perciò lo dotammo di ragione, di memoria e di volontà, e mettendo la nostra Volontà come al banco nella sua la moltiplicasse, la centuplicasse, non per Noi che non avevamo bisogno, ma per suo bene, affinché non restasse come le altre cose create, mute ed in quel punto come Noi le uscimmo, ma che crescesse sempre, sempre in gloria, in ricchezze, in amore ed in somiglianza col suo Creatore, e per fare che lui potesse trovare tutti gli aiuti possibili ed immaginabili, le demmo a sua disposizione la nostra Volontà, affinché operasse con la nostra stessa potenza il bene, la crescenza, la somiglianza che voleva acquistare col suo Creatore. Il nostro amore nel creare l’uomo volle fare un giuoco d’azzardo, mettendo le cose nostre nella piccola cerchia della volontà umana come al banco: la nostra bellezza, sapienza, santità, amore, eccetera, e la nostra Volontà che doveva farsi guida e attrice del suo operato, affinché non solo lo facesse crescere a nostra somiglianza, ma le desse la forma d’un piccolo dio. Perciò il nostro dolore fu grande nel vederci respingere questi grandi beni dalla creatura, ed il nostro giuoco d’azzardo per allora andò fallito, ma per quanto fallito, era sempre un giuoco divino che poteva e doveva rifarsi del suo fallimento. Perciò, dopo tanti anni volle di nuovo il mio amore giocare d’azzardo, e fu con la mia Mamma Immacolata, in Lei il nostro giuoco non andò fallito, ebbe il suo pieno effetto, e perciò tutto le demmo e tutto a Lei affidammo, anzi si faceva a gara: Noi a dare e Lei a ricevere.

(3) Ora, tu devi sapere che il nostro amore anche con te vuol fare questo giuoco d’azzardo, affinché tu, unita con la Mamma Celeste, ci faccia vincere nel giuoco col farci rifare del fallimento che ci procurò il primo uomo, Adamo, onde la nostra Volontà rifatta nelle sue vincite può mettere di nuovo in campo i suoi beni che con tanto amore vuol dare alle creature; e come per mezzo della Vergine Santa, perché rifatto nel mio giuoco, feci sorgere il Sole della Redenzione per salvare l’umanità perduta, così per mezzo tuo farò risorgere il Sole della mia Volontà, perché faccia la sua via in mezzo alle creature. Ecco perciò la causa di tante mie grazie che verso in te, le tante mie conoscenze sulla mia Volontà, non è altro che il mio giuoco d’azzardo che sto formando in te, perciò sii attenta affinché non mi dia il più grande dei dolori che potrò ricevere in tutta la storia del mondo, che il mio secondo giuoco vada fallito. Ah! no, non me lo farai, il mio amore andrà vittorioso e la mia Volontà troverà il suo compimento”.

(4) Gesù è scomparso ed io sono rimasta impensierita su ciò che mi aveva detto, ma tutta abbandonata nel Voler Supremo. Onde tutto ciò che scrivo, lo sa solo Gesù lo strazio dell’anima mia e la mia grande ripugnanza nel mettere su carta queste cose che avrei voluto seppellire, mi sentivo di lottare con la stessa ubbidienza, ma il Fiat di Gesù l’ha vinto, e seguo a scrivere ciò che io non volevo. Quindi il mio dolce Gesù è ritornato, e vedendomi impensierita mi ha detto:

(5) “Figlia mia, perché temi? Non vuoi che Io giuochi con te? Tu non ci metterai altro di tuo che la piccola fiammella della tua volontà che Io stesso ti diedi nel crearti, sicché tutto l’azzardo dei miei beni sarà mio, non vuoi tu essere la copia della Mamma mia? Perciò vieni insieme con Me innanzi al trono divino e vi troverai la fiammella della volontà della Regina del Cielo ai piedi della Maestà Suprema, che Lei mise al giuoco divino, perché per giocare bisogna mettere sempre qualche cosa di proprio, altrimenti chi vince non ha che prendere, e chi perde non ha che lasciare. E siccome Io vinsi nel giuoco con la Mamma mia, Lei perdette la fiammella della sua volontà, ma felice perdita; con l’aver perduto la sua piccola fiammella lasciandola come omaggio continuo ai piedi del suo Creatore, formò la sua vita nel gran fuoco divino, crescendo nel pelago dei beni divini, e perciò potette ottenere il Redentore sospirato. Ora spetta a te di mettere la fiammella della tua piccola volontà accanto a quella della mia inseparabile Mamma, affinché anche tu ti formi nel fuoco divino e cresca coi riflessi del tuo Creatore, onde poter trovare grazia presso la Suprema Maestà di poter ottenere il sospirato Fiat. Queste due fiammelle si vedranno ai piedi del trono supremo per tutta l’eternità, che non hanno avuto vita propria e una ottenne la Redenzione e l’altra il compimento della mia Volontà, unico scopo della Creazione, della Redenzione e della mia rivincita del mio giuoco d’azzardo nel creare l’uomo”.

(6) In un istante mi sono trovata innanzi a quella luce inaccessibile, e la mia volontà, sotto forma di fiammella si è messa accanto a quella della mia Mamma Celeste per fare quello che essa faceva, ma chi può dire quello che si vedeva, comprendeva e faceva? Mi mancano i vocaboli e perciò faccio punto. Ed il mio dolce Gesù ha soggiunto:

(7) “Figlia mia, la fiammella della tua volontà l’ho vinto e tu hai vinto la mia. Se tu non perdevi la tua non potevi vincere la mia, ora siamo tutti e due felici, ambedue siamo vittoriosi, ma guarda la grande differenza che c’è nella mia Volontà, basta fare una volta un atto, una prece, un ti amo, che prendendo posto nel Voler Supremo resta a fare sempre lo stesso atto, la prece, il ti amo, senza mai smetterlo, perché quando nella mia Volontà si fa un atto, quell’atto non è più soggetto ad interruzione, fatto una volta resta fatto per sempre, è come se sempre lo stesse facendo. L’operato dell’anima nella mia Volontà entra a parte nei modi dell’operato divino, che quando opera fa sempre lo stesso atto senza avere bisogno di ripeterlo; che saranno i tanti tuoi ti amo nella mia Volontà, che ripeteranno sempre il loro ritornello ti amo, ti amo? Saranno tante ferite per Me e mi prepareranno a concedere la grazia più grande: Che la mia Volontà sia conosciuta, amata e compiuta. Perciò nella mia Volontà le preghiere, le opere, l’amore, entrano nell’ordine divino e si può dire che sono Io stesso che prego, che opero, che amo, e che cosa potrei negare a Me stesso? Di che non potrei compiacermi?”