Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 7° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 8
1Gesù si avviò allora verso il monte degli Ulivi.2Ma all'alba si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui ed egli, sedutosi, li ammaestrava.3Allora gli scribi e i farisei gli conducono una donna sorpresa in adulterio e, postala nel mezzo,4gli dicono: "Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio.5Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?".6Questo dicevano per metterlo alla prova e per avere di che accusarlo. Ma Gesù, chinatosi, si mise a scrivere col dito per terra.7E siccome insistevano nell'interrogarlo, alzò il capo e disse loro: "Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei".8E chinatosi di nuovo, scriveva per terra.9Ma quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani fino agli ultimi.
Rimase solo Gesù con la donna là in mezzo.10Alzatosi allora Gesù le disse: "Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?".11Ed essa rispose: "Nessuno, Signore". E Gesù le disse: "Neanch'io ti condanno; va' e d'ora in poi non peccare più".
12Di nuovo Gesù parlò loro: "Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita".
13Gli dissero allora i farisei: "Tu dai testimonianza di te stesso; la tua testimonianza non è vera".14Gesù rispose: "Anche se io rendo testimonianza di me stesso, la mia testimonianza è vera, perché so da dove vengo e dove vado. Voi invece non sapete da dove vengo o dove vado.15Voi giudicate secondo la carne; io non giudico nessuno.16E anche se giudico, il mio giudizio è vero, perché non sono solo, ma io e il Padre che mi ha mandato.17Nella vostra Legge sta scritto che la testimonianza di due persone è vera:18orbene, sono io che do testimonianza di me stesso, ma anche il Padre, che mi ha mandato, mi dà testimonianza".19Gli dissero allora: "Dov'è tuo padre?". Rispose Gesù: "Voi non conoscete né me né il Padre; se conosceste me, conoscereste anche il Padre mio".20Queste parole Gesù le pronunziò nel luogo del tesoro mentre insegnava nel tempio. E nessuno lo arrestò, perché non era ancora giunta la sua ora.
21Di nuovo Gesù disse loro: "Io vado e voi mi cercherete, ma morirete nel vostro peccato. Dove vado io, voi non potete venire".22Dicevano allora i Giudei: "Forse si ucciderà, dal momento che dice: Dove vado io, voi non potete venire?".23E diceva loro: "Voi siete di quaggiù, io sono di lassù; voi siete di questo mondo, io non sono di questo mondo.24Vi ho detto che morirete nei vostri peccati; se infatti non credete che io sono, morirete nei vostri peccati".25Gli dissero allora: "Tu chi sei?". Gesù disse loro: "Proprio ciò che vi dico.26Avrei molte cose da dire e da giudicare sul vostro conto; ma colui che mi ha mandato è veritiero, ed io dico al mondo le cose che ho udito da lui".27Non capirono che egli parlava loro del Padre.28Disse allora Gesù: "Quando avrete innalzato il Figlio dell'uomo, allora saprete che Io Sono e non faccio nulla da me stesso, ma come mi ha insegnato il Padre, così io parlo.29Colui che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite".30A queste sue parole, molti credettero in lui.
31Gesù allora disse a quei Giudei che avevano creduto in lui: "Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli;32conoscerete la verità e la verità vi farà liberi".33Gli risposero: "Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi tu dire: Diventerete liberi?".34Gesù rispose: "In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato.35Ora lo schiavo non resta per sempre nella casa, ma il figlio vi resta sempre;36se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero.37So che siete discendenza di Abramo. Ma intanto cercate di uccidermi perché la mia parola non trova posto in voi.38Io dico quello che ho visto presso il Padre; anche voi dunque fate quello che avete ascoltato dal padre vostro!".39Gli risposero: "Il nostro padre è Abramo". Rispose Gesù: "Se siete figli di Abramo, fate le opere di Abramo!40Ora invece cercate di uccidere me, che vi ho detto la verità udita da Dio; questo, Abramo non l'ha fatto.41Voi fate le opere del padre vostro". Gli risposero: "Noi non siamo nati da prostituzione, noi abbiamo un solo Padre, Dio!".42Disse loro Gesù: "Se Dio fosse vostro Padre, certo mi amereste, perché da Dio sono uscito e vengo; non sono venuto da me stesso, ma lui mi ha mandato.43Perché non comprendete il mio linguaggio? Perché non potete dare ascolto alle mie parole,44voi che avete per padre il diavolo, e volete compiere i desideri del padre vostro. Egli è stato omicida fin da principio e non ha perseverato nella verità, perché non vi è verità in lui. Quando dice il falso, parla del suo, perché è menzognero e padre della menzogna.45A me, invece, voi non credete, perché dico la verità.46Chi di voi può convincermi di peccato? Se dico la verità, perché non mi credete?47Chi è da Dio ascolta le parole di Dio: per questo voi non le ascoltate, perché non siete da Dio".
48Gli risposero i Giudei: "Non diciamo con ragione noi che sei un Samaritano e hai un demonio?".49Rispose Gesù: "Io non ho un demonio, ma onoro il Padre mio e voi mi disonorate.50Io non cerco la mia gloria; vi è chi la cerca e giudica.51In verità, in verità vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà mai la morte".52Gli dissero i Giudei: "Ora sappiamo che hai un demonio. Abramo è morto, come anche i profeti, e tu dici: "Chi osserva la mia parola non conoscerà mai la morte".53Sei tu più grande del nostro padre Abramo, che è morto? Anche i profeti sono morti; chi pretendi di essere?".54Rispose Gesù: "Se io glorificassi me stesso, la mia gloria non sarebbe nulla; chi mi glorifica è il Padre mio, del quale voi dite: "È nostro Dio!",55e non lo conoscete. Io invece lo conosco. E se dicessi che non lo conosco, sarei come voi, un mentitore; ma lo conosco e osservo la sua parola.56Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e se ne rallegrò".57Gli dissero allora i Giudei: "Non hai ancora cinquant'anni e hai visto Abramo?".58Rispose loro Gesù: "In verità, in verità vi dico: prima che Abramo fosse, Io Sono".59Allora raccolsero pietre per scagliarle contro di lui; ma Gesù si nascose e uscì dal tempio.
Genesi 35
1Dio disse a Giacobbe: "Alzati, va' a Betel e abita là; costruisci in quel luogo un altare al Dio che ti è apparso quando fuggivi Esaù, tuo fratello".2Allora Giacobbe disse alla sua famiglia e a quanti erano con lui: "Eliminate gli dèi stranieri che avete con voi, purificatevi e cambiate gli abiti.3Poi alziamoci e andiamo a Betel, dove io costruirò un altare al Dio che mi ha esaudito al tempo della mia angoscia e che è stato con me nel cammino che ho percorso".4Essi consegnarono a Giacobbe tutti gli dèi stranieri che possedevano e i pendenti che avevano agli orecchi; Giacobbe li sotterrò sotto la quercia presso Sichem.
5Poi levarono l'accampamento e un terrore molto forte assalì i popoli che stavano attorno a loro, così che non inseguirono i figli di Giacobbe.6Giacobbe e tutta la gente ch'era con lui arrivarono a Luz, cioè Betel, che è nel paese di Canaan.7Qui egli costruì un altare e chiamò quel luogo "El-Betel", perché là Dio gli si era rivelato, quando sfuggiva al fratello.8Allora morì Dèbora, la nutrice di Rebecca, e fu sepolta al disotto di Betel, ai piedi della quercia, che perciò si chiamò Quercia del Pianto.
9Dio apparve un'altra volta a Giacobbe, quando tornava da Paddan-Aram, e lo benedisse.10Dio gli disse:
"Il tuo nome è Giacobbe.
Non ti chiamerai più Giacobbe,
ma Israele sarà il tuo nome".
Così lo si chiamò Israele.11Dio gli disse:
"Io sono Dio onnipotente.
Sii fecondo e diventa numeroso,
popolo e assemblea di popoli
verranno da te,
re usciranno dai tuoi fianchi.
12 Il paese che ho concesso
ad Abramo e a Isacco darò a te
e alla tua stirpe dopo di te
darò il paese".
13Dio scomparve da lui, nel luogo dove gli aveva parlato.14Allora Giacobbe eresse una stele, dove gli aveva parlato, una stele di pietra, e su di essa fece una libazione e versò olio.15Giacobbe chiamò Betel il luogo dove Dio gli aveva parlato.
16Poi levarono l'accampamento da Betel. Mancava ancora un tratto di cammino per arrivare ad Èfrata, quando Rachele partorì ed ebbe un parto difficile.17Mentre penava a partorire, la levatrice le disse: "Non temere: anche questo è un figlio!".18Mentre esalava l'ultimo respiro, perché stava morendo, essa lo chiamò Ben-Oni, ma suo padre lo chiamò Beniamino.19Così Rachele morì e fu sepolta lungo la strada verso Èfrata, cioè Betlemme.20Giacobbe eresse sulla sua tomba una stele. Questa stele della tomba di Rachele esiste fino ad oggi.
21Poi Israele levò l'accampamento e piantò la tenda al di là di Migdal-Eder.22Mentre Israele abitava in quel paese, Ruben andò a unirsi con Bila, concubina del padre, e Israele lo venne a sapere.
I figli di Giacobbe furono dodici.23I figli di Lia: il primogenito di Giacobbe, Ruben, poi Simeone, Levi, Giuda, Ìssacar e Zàbulon.24I figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino.25I figli di Bila, schiava di Rachele: Dan e Nèftali.26I figli di Zilpa, schiava di Lia: Gad e Aser. Questi sono i figli di Giacobbe che gli nacquero in Paddan-Aram.
27Poi Giacobbe venne da suo padre Isacco a Mamre, a Kiriat-Arba, cioè Ebron, dove Abramo e Isacco avevano soggiornato come forestieri.28Isacco raggiunse l'età di centottat'anni.29Poi Isacco spirò, morì e si riunì al suo parentado, vecchio e sazio di giorni. Lo seppellirono i suoi figli Esaù e Giacobbe.
Proverbi 16
1All'uomo appartengono i progetti della mente,
ma dal Signore viene la risposta.
2Tutte le vie dell'uomo sembrano pure ai suoi occhi,
ma chi scruta gli spiriti è il Signore.
3Affida al Signore la tua attività
e i tuoi progetti riusciranno.
4Il Signore ha fatto tutto per un fine,
anche l'empio per il giorno della sventura.
5È un abominio per il Signore ogni cuore superbo,
certamente non resterà impunito.
6Con la bontà e la fedeltà si espia la colpa,
con il timore del Signore si evita il male.
7Quando il Signore si compiace della condotta di un uomo,
riconcilia con lui anche i suoi nemici.
8Poco con onestà è meglio
di molte rendite senza giustizia.
9La mente dell'uomo pensa molto alla sua via,
ma il Signore dirige i suoi passi.
10Un oracolo è sulle labbra del re,
in giudizio la sua bocca non sbaglia.
11La stadera e le bilance giuste appartengono al Signore,
sono opera sua tutti i pesi del sacchetto.
12È in abominio ai re commettere un'azione iniqua,
poiché il trono si consolida con la giustizia.
13Delle labbra giuste si compiace il re
e ama chi parla con rettitudine.
14L'ira del re è messaggera di morte,
ma l'uomo saggio la placherà.
15Nello splendore del volto del re è la vita,
il suo favore è come nube di primavera.
16È molto meglio possedere la sapienza che l'oro,
il possesso dell'intelligenza è preferibile all'argento.
17La strada degli uomini retti è evitare il male,
conserva la vita chi controlla la sua via.
18Prima della rovina viene l'orgoglio
e prima della caduta lo spirito altero.
19È meglio abbassarsi con gli umili
che spartire la preda con i superbi.
20Chi è prudente nella parola troverà il bene
e chi confida nel Signore è beato.
21Sarà chiamato intelligente chi è saggio di mente;
il linguaggio dolce aumenta la dottrina.
22Fonte di vita è la prudenza per chi la possiede,
castigo degli stolti è la stoltezza.
23Una mente saggia rende prudente la bocca
e sulle sue labbra aumenta la dottrina.
24Favo di miele sono le parole gentili,
dolcezza per l'anima e refrigerio per il corpo.
25C'è una via che pare diritta a qualcuno,
ma sbocca in sentieri di morte.
26L'appetito del lavoratore lavora per lui,
perché la sua bocca lo stimola.
27L'uomo perverso produce la sciagura,
sulle sue labbra c'è come un fuoco ardente.
28L'uomo ambiguo provoca litigi,
chi calunnia divide gli amici.
29L'uomo violento seduce il prossimo
e lo spinge per una via non buona.
30Chi socchiude gli occhi medita inganni,
chi stringe le labbra ha già commesso il male.
31Corona magnifica è la canizie,
ed essa si trova sulla via della giustizia.
32Il paziente val più di un eroe,
chi domina se stesso val più di chi conquista una città.
33Nel grembo si getta la sorte,
ma la decisione dipende tutta dal Signore.
Salmi 115
1Non a noi, Signore, non a noi,
ma al tuo nome da' gloria,
per la tua fedeltà, per la tua grazia.
2Perché i popoli dovrebbero dire:
"Dov'è il loro Dio?".
3Il nostro Dio è nei cieli,
egli opera tutto ciò che vuole.
4Gli idoli delle genti sono argento e oro,
opera delle mani dell'uomo.
5Hanno bocca e non parlano,
hanno occhi e non vedono,
6hanno orecchi e non odono,
hanno narici e non odorano.
7Hanno mani e non palpano,
hanno piedi e non camminano;
dalla gola non emettono suoni.
8Sia come loro chi li fabbrica
e chiunque in essi confida.
9Israele confida nel Signore:
egli è loro aiuto e loro scudo.
10Confida nel Signore la casa di Aronne:
egli è loro aiuto e loro scudo.
11Confida nel Signore, chiunque lo teme:
egli è loro aiuto e loro scudo.
12Il Signore si ricorda di noi, ci benedice:
benedice la casa d'Israele,
benedice la casa di Aronne.
13Il Signore benedice quelli che lo temono,
benedice i piccoli e i grandi.
14Vi renda fecondi il Signore,
voi e i vostri figli.
15Siate benedetti dal Signore
che ha fatto cielo e terra.
16I cieli sono i cieli del Signore,
ma ha dato la terra ai figli dell'uomo.
17Non i morti lodano il Signore,
né quanti scendono nella tomba.
18Ma noi, i viventi, benediciamo il Signore
ora e sempre.
Geremia 5
1Percorrete le vie di Gerusalemme,
osservate bene e informatevi,
cercate nelle sue piazze
se trovate un uomo,
uno solo che agisca giustamente
e cerchi di mantenersi fedele,
e io le perdonerò, dice il Signore.
2Anche quando esclamano: "Per la vita del Signore!",
certo giurano il falso.
3Signore, i tuoi occhi non cercano forse la fedeltà?
Tu li hai percossi, ma non mostrano dolore;
li hai fiaccati, ma rifiutano di comprendere la correzione.
Hanno indurito la faccia più di una rupe,
non vogliono convertirsi.
4Io pensavo: "Certo, sono di bassa condizione,
agiscono da stolti,
perché non conoscono le vie del signore,
il diritto del loro Dio.
5Mi rivolgerò ai grandi
e parlerò loro.
Certo, essi conoscono la via del Signore,
il diritto del loro Dio".
Ahimè, anche questi hanno rotto il giogo,
hanno spezzato i legami!
6Per questo li azzanna il leone della foresta,
il lupo delle steppe ne fa scempio,
il leopardo sta in agguato vicino alle loro città,
quanti ne escono saranno sbranati;
perché si sono moltiplicati i loro peccati,
sono aumentate le loro ribellioni.
7"Perché ti dovrei perdonare?
I tuoi figli mi hanno abbandonato,
hanno giurato per chi non è Dio.
Io li ho saziati ed essi hanno commesso adulterio,
si affollano nelle case di prostituzione.
8Sono come stalloni ben pasciuti e focosi:
ciascuno nitrisce dietro la moglie del suo prossimo.
9Non dovrei forse punirli per questo?
Oracolo del Signore.
E di un popolo come questo
non dovrei vendicarmi?
10Salite sui suoi filari e distruggeteli,
compite uno sterminio;
strappatene i tralci,
perché non sono del Signore.
11Poiché, certo, mi si sono ribellate
la casa d'Israele e la casa di Giuda".
Oracolo del Signore.
12Hanno rinnegato il Signore,
hanno proclamato: "Non è lui!
Non verrà sopra di noi la sventura,
non vedremo né spada né fame.
13I profeti sono come il vento,
la sua parola non è in essi".
14Perciò dice il Signore,
Dio degli eserciti:
"Questo sarà fatto loro,
poiché hanno pronunziato questo discorso:
Ecco io farò delle mie parole
come un fuoco sulla tua bocca.
Questo popolo sarà la legna che esso divorerà.
15Ecco manderò contro di voi
una nazione da lontano, o casa di Israele.
Oracolo del Signore.
È una nazione valorosa,
è una nazione antica!
Una nazione di cui non conosci la lingua
e non comprendi che cosa dice.
16La sua faretra è come un sepolcro aperto.
Essi sono tutti prodi.
17Divorerà le tue messi e il tuo pane;
divorerà i tuoi figli e le tue figlie;
divorerà i greggi e gli armenti;
divorerà le tue vigne e i tuoi fichi;
distruggerà le città fortificate
nelle quali riponevi la fiducia.
18Ma anche in quei giorni, dice il Signore,
non farò di voi uno sterminio".
19Allora, se diranno: "Perché il Signore nostro Dio ci fa tutte queste cose?", tu risponderai: "Come voi avete abbandonato il Signore e avete servito divinità straniere nel vostro paese, così servirete gli stranieri in un paese non vostro".
20Annunziatelo nella casa di Giacobbe,
fatelo udire in Giuda dicendo:
21"Questo dunque ascoltate,
o popolo stolto e privo di senno,
che ha occhi ma non vede,
che ha orecchi ma non ode.
22Voi non mi temerete? Oracolo del Signore.
Non tremerete dinanzi a me,
che ho posto la sabbia per confine al mare,
come barriera perenne che esso non varcherà?
Le sue onde si agitano ma non prevalgono,
rumoreggiano ma non l'oltrepassano".
23Ma questo popolo ha un cuore
indocile e ribelle;
si voltano indietro e se ne vanno,
24e non dicono in cuor loro:
"Temiamo il Signore nostro Dio
che elargisce la pioggia d'autunno
e quella di primavera a suo tempo,
ha fissato le settimane per la messe
e ce le mantiene costanti".
25Le vostre iniquità hanno sconvolto queste cose
e i vostri peccati tengono lontano da voi il benessere;
26poiché tra il mio popolo vi sono malvagi
che spiano come cacciatori in agguato,
pongono trappole
per prendere uomini.
27Come una gabbia piena di uccelli,
così le loro case sono piene di inganni;
perciò diventano grandi e ricchi.
28Sono grassi e pingui,
oltrepassano i limiti del male;
non difendono la giustizia,
non si curano della causa dell'orfano,
non fanno giustizia ai poveri.
29Non dovrei forse punire queste colpe?
Oracolo del Signore.
Di un popolo come questo
non dovrei vendicarmi?
30Cose spaventose e orribili
avvengono nel paese.
31I profeti predicono in nome della menzogna
e i sacerdoti governano al loro cenno;
eppure il mio popolo è contento di questo.
Che farete quando verrà la fine?
Atti degli Apostoli 20
1Appena cessato il tumulto, Paolo mandò a chiamare i discepoli e, dopo averli incoraggiati, li salutò e si mise in viaggio per la Macedonia.2Dopo aver attraversato quelle regioni, esortando con molti discorsi i fedeli, arrivò in Grecia.
3Trascorsi tre mesi, poiché ci fu un complotto dei Giudei contro di lui, mentre si apprestava a salpare per la Siria, decise di far ritorno attraverso la Macedonia.4Lo accompagnarono Sòpatro di Berèa, figlio di Pirro, Aristarco e Secondo di Tessalonica, Gaio di Derbe e Timòteo, e gli asiatici Tìchico e Tròfimo.5Questi però, partiti prima di noi ci attendevano a Tròade;6noi invece salpammo da Filippi dopo i giorni degli Azzimi e li raggiungemmo in capo a cinque giorni a Tròade dove ci trattenemmo una settimana.
7Il primo giorno della settimana ci eravamo riuniti a spezzare il pane e Paolo conversava con loro; e poiché doveva partire il giorno dopo, prolungò la conversazione fino a mezzanotte.8C'era un buon numero di lampade nella stanza al piano superiore, dove eravamo riuniti;9un ragazzo chiamato Èutico, che stava seduto sulla finestra, fu preso da un sonno profondo mentre Paolo continuava a conversare e, sopraffatto dal sonno, cadde dal terzo piano e venne raccolto morto.10Paolo allora scese giù, si gettò su di lui, lo abbracciò e disse: "Non vi turbate; è ancora in vita!".11Poi risalì, spezzò il pane e ne mangiò e dopo aver parlato ancora molto fino all'alba, partì.12Intanto avevano ricondotto il ragazzo vivo, e si sentirono molto consolati.
13Noi poi, che eravamo partiti per nave, facemmo vela per Asso, dove dovevamo prendere a bordo Paolo; così infatti egli aveva deciso, intendendo di fare il viaggio a piedi.14Quando ci ebbe raggiunti ad Asso, lo prendemmo con noi e arrivammo a Mitilène.15Salpati da qui il giorno dopo, ci trovammo di fronte a Chio; l'indomani toccammo Samo e il giorno dopo giungemmo a Milèto.16Paolo aveva deciso di passare al largo di Èfeso per evitare di subire ritardi nella provincia d'Asia: gli premeva di essere a Gerusalemme, se possibile, per il giorno della Pentecoste.
17Da Milèto mandò a chiamare subito ad Èfeso gli anziani della Chiesa.18Quando essi giunsero disse loro: "Voi sapete come mi sono comportato con voi fin dal primo giorno in cui arrivai in Asia e per tutto questo tempo:19ho servito il Signore con tutta umiltà, tra le lacrime e tra le prove che mi hanno procurato le insidie dei Giudei.20Sapete come non mi sono mai sottratto a ciò che poteva essere utile, al fine di predicare a voi e di istruirvi in pubblico e nelle vostre case,21scongiurando Giudei e Greci di convertirsi a Dio e di credere nel Signore nostro Gesù.22Ed ecco ora, avvinto dallo Spirito, io vado a Gerusalemme senza sapere ciò che là mi accadrà.23So soltanto che lo Spirito Santo in ogni città mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni.24Non ritengo tuttavia la mia vita meritevole di nulla, purché conduca a termine la mia corsa e il servizio che mi fu affidato dal Signore Gesù, di rendere testimonianza al messaggio della grazia di Dio.
25Ecco, ora so che non vedrete più il mio volto, voi tutti tra i quali sono passato annunziando il regno di Dio.26Per questo dichiaro solennemente oggi davanti a voi che io sono senza colpa riguardo a coloro che si perdessero,27perché non mi sono sottratto al compito di annunziarvi tutta la volontà di Dio.28Vegliate su voi stessi e su tutto il gregge, in mezzo al quale lo Spirito Santo vi ha posti come vescovi a pascere la Chiesa di Dio, che egli si è acquistata con il suo sangue.29Io so che dopo la mia partenza entreranno fra voi lupi rapaci, che non risparmieranno il gregge;30perfino di mezzo a voi sorgeranno alcuni a insegnare dottrine perverse per attirare discepoli dietro di sé.31Per questo vigilate, ricordando che per tre anni, notte e giorno, io non ho cessato di esortare fra le lacrime ciascuno di voi.
32Ed ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di edificare e di concedere l'eredità con tutti i santificati.33Non ho desiderato né argento, né oro, né la veste di nessuno.34Voi sapete che alle necessità mie e di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani.35In tutte le maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli, ricordandoci delle parole del Signore Gesù, che disse: Vi è più gioia nel dare che nel ricevere!".
36Detto questo, si inginocchiò con tutti loro e pregò.37Tutti scoppiarono in un gran pianto e gettandosi al collo di Paolo lo baciavano,38addolorati soprattutto perché aveva detto che non avrebbero più rivisto il suo volto. E lo accompagnarono fino alla nave.
Capitolo XLIX: Il desiderio della vita eterna. I grandi beni promessi a quelli che lottano
Leggilo nella Biblioteca1. Figlio, quando senti, infuso dall'alto, un desiderio di eterna beatitudine; quando aspiri ad uscire dalla povera dimora del tuo corpo, per poter contemplare il mio splendore, senza ombra di mutamento, allarga il tuo cuore e accogli con grande sollecitudine questa santa ispirazione. Rendi grazie senza fine alla superna bontà, che si mostra tanto benigna con te, venendo indulgente presso di te; ti risolleva con ardore e ti innalza con forza, cosicché, con la tua pesantezza, tu non abbia a inclinare verso le tue cose terrene. Tutto ciò, infatti, non lo devi ad una tua iniziativa o ad un tuo sforzo, ma soltanto al favore della grazia di Dio, che dall'alto guarda a te. Ti sarà dato così di progredire nelle virtù, in una sempre più grande umiltà, preparandoti alle lotte future attaccato a me con tutto lo slancio del tuo cuore e intento a servirmi con volonteroso fervore.
2. Figlio, il fuoco arde facilmente, ma senza fumo la fiamma non ascende. Così certuni ardono dal desiderio delle cose celesti, ma non sono liberi dalla tentazione di restare attaccati alle cose terrene; e perciò, quello che pur avevano chiesto a Dio con tanto desiderio, non lo compiono esclusivamente per la gloria di Dio. Tale è sovente il tuo desiderio, giacché vi hai immesso un fermento così poco confacente: non è puro e perfetto, infatti, quello che è inquinato dal comodo proprio. Non chiedere ciò che ti piace e ti è utile, ma piuttosto ciò che è gradito a me e mi rende gloria. A ben vedere, al tuo desiderio e ad ogni cosa desiderata devi preferire il mio comando, e seguirlo. Conosco la tua brama, ho ascoltato i frequenti tuoi gemiti: già vorresti essere nella libertà gloriosa dei figlio di Dio; già ti alletta la dimora eterna, la patria del cielo, pienamente felice. Ma un tale momento non è ancora venuto; questo è tuttora un momento diverso: il momento della lotta, della fatica e della prova. Tu brami di essere ricolmo del sommo bene, ma questo non lo puoi ottenere adesso. Sono io "aspettami, dice il Signore" (Sof 3,8), finché venga il regno di Dio. Devi essere ancora provato qui in terra, e travagliato in vario modo. Qualche consolazione ti sarà data talvolta; ma non ti sarà concessa una piena sazietà. "Confortati, pertanto e sii gagliardo" (Gs 1,7), nell'agire e nel sopportare ciò che va contro la natura. Occorre che tu ti rivesta dell'uomo nuovo; che tu ti trasformi in un altro uomo. Occorre, ben spesso, che tu faccia quello che non vorresti e che tu tralasci quello che vorresti. Avrà successo quanto è voluto da altri, e quanto vuoi tu non andrà innanzi. Sarà ascoltato quanto dicono gli altri, e quanto dici tu sarà preso per un nulla. Altri chiederanno, e riceveranno; tu chiederai, e non otterrai. Altri saranno grandi al cospetto degli uomini; sul tuo conto, silenzio. Ad altri sarà affidata questa o quella faccenda; tu, invece, non sarai ritenuto utile a nulla. Da ciò la natura uscirà talvolta contristata; e già sarà molto se sopporterai in silenzio.
3. In questi, e in consimili vari modi, il servo fedele del Signore viene si solito sottoposto a prova, come sappia rinnegare e vincere del tutto se stesso. Altro, forse, non c'è, in cui tu debba essere così morto a te stesso, fuor che constatare ciò che contrasta con la tua volontà, e doverlo sopportare; specialmente allorché ti viene imposto di fare cosa che non ti sembra opportuna o utile. Non osando opporre resistenza a un potere superiore, tu, che sei sottoposto, trovi duro camminare al comando di altri, e lasciar cadere ogni tua volontà. Ma se consideri, o figlio, quale sia il frutto di queste sofferenze, cioè il rapido venire della fine e il premio, allora non troverai più alcun peso in tali sofferenze, ma un validissimo conforto al tuo soffrire. Giacché, invece di quella scarsa volontà che ora, da te, non sai coltivare, godrai per sempre nei cieli la pienezza della tua volontà. Nei cieli, invero, troverai tutto ciò che vorrai, tutto ciò che potrai desiderare; nei cieli godrai integralmente di ciò che è bene e non temerai che esso ti venga a mancare. Nei cieli il tuo volere, a me sempre unito, a nulla aspirerà che venga di fuori, a nulla che sia tuo proprio. Nei cieli nessuno ti farà resistenza, nessuno si lamenterà di te, nessuno ti sarà di ostacolo e nulla si porrà contro di te; ma tutti i desideri saranno insieme realizzati e ristoreranno pienamente il tuo animo, appagandolo del tutto. Nei cieli, per ogni oltraggio patito, io darò gloria; per la tristezza, un premio di lode; per l'ultimo posto, una dimora nel regno, nei secoli. Nei cieli si vedrà il frutto dell'obbedienza; avrà gioia il travaglio della penitenza; sarà coronata di gloria l'umile soggezione. Ora, dunque, devi chinarti umilmente sotto il potere di ognuno, senza preoccuparti di sapere chi sia colui che ti ha detto o comandato alcunché; bada sommamente - sia un superiore, o uno più giovane di te o uno pari a te, a chiederti o ad importi qualcosa - di accettare tutto come giusto, facendo in modo di eseguirlo con buona volontà. Altri vada cercando questo, altri quello; che uno si glori in una cosa, e un altro sia lodato mille volte per un'altra: quanto a te, invece, non in questa o in quest'altra cosa devi trovare la tua gioia, ma nel disprezzare te stesso, nel piacere soltanto a me e nel darmi gloria. E' questo che devi desiderare, che in te sia glorificato sempre Iddio, "per la vita e per la morte" (Fil 1,20).
LETTERA 43: L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta tra il 396 e l'inizio del 397.
L'impudenza con cui i Donatìsti persistono nel loro scisma è indicata da molteplici condanne, in particolare dei Concili di Roma e di Arles (n. 1-4). Si sofferma a lungo sul conciliabolo di Cartagine, sull'ostinazione dei Donatisti e sul loro appello all'imperatore (n. 5-14): equanimità di papa Melchiade e nefandezze di Lucilla e dei Circoncellioni (n. 15-27).
AGOSTINO AI DILETTISSIMI E STIMATISSIMI FRATELLI GLORIO, ELEUSIO, AI FELICI, A GRAMMATICO E A TUTTI GLI ALTRI CHE GRADISCONO QUESTA LETTERA
I destinatari sono stimati più ragionevoli degli altri Donatisti.
1. 1. Disse bensì l'apostolo Paolo: L'eretico, dopo una prima ammonizione scansalo, sapendo che una persona siffatta è pervertita ed è condannata da se stessa 1. Non sono però da iscrivere tra gli eretici coloro che difendono la loro opinione, per quanto falsa e perversa, senza ostinata animosità, specialmente quando essa non è frutto della loro audace presunzione, ma eredità ricevuta dai loro genitori sedotti e caduti nell'errore, mentre d'altra parte cercano, sia pure con cauta premura, la verità e son pronti a correggersi appena la trovino. Se dunque non vi ritenessi così disposti, forse non vi invierei nessuna lettera. Ma anche lo stesso eretico, per quanto gonfio della superbia più odiosa e forsennato per l'ostinata mania di questionare, da una parte siamo ammoniti di scansarlo, affinché non tragga in inganno i deboli e i piccoli, ma d'altra parte non rifiutiamo di correggerlo con ogni mezzo a nostra disposizione. Ecco perché abbiamo inviato ad alcuni capi Donatisti non lettere di comunione, che essi da tempo si rifiutano di ricevere a causa del loro traviamento dalla unità cattolica sparsa su tutta la terra, ma solo lettere private, quali ci è lecito inviare pure ai pagani: anche se i capi qualche volta le hanno lette, tuttavia non han voluto o, come piuttosto crediamo, non han potuto rispondere. Noi però pensiamo d'avere in tal modo adempiuto il nostro dovere di carità, che lo Spirito Santo ci insegna essere obbligati ad usare non solo verso i nostri, ma verso tutti. Egli infatti per mezzo dell'Apostolo ci dice: Il Signore vi faccia crescere e sovrabbondare nella carità vicendevole e verso tutti 2. In un altro passo esorta a riprendere con dolcezza quelli che la pensano diversamente da noi: caso mai - dice - Dio conceda loro di convertirsi alla conoscenza della verità e rinsaviscano dai lacci del demonio, da lui tenuti schiavi dei suo capriccio 3.
Volontà di pace e di bene.
1. 2. Ho voluto premettere queste considerazioni perché nessuno pensi che io vi abbia inviato una lettera mosso più da impudenza che da prudenza e che abbia voluto trattare in questo modo l'affare dell'anima vostra dal momento che non appartenete alla nostra comunione, mentre nessuno forse mi rimproverebbe se vi scrivessi per la faccenda di un podere o per dirimere una. lite sorta per motivo di denaro. Ecco fino a qual punto il mondo è caro agli uomini, mentre essi son diventati senza valore ai propri occhi. Questa lettera sarà quindi testimone a mio discarico nel giudizio di Dio, il quale sa con quale intenzione ho agito e che ha detto: Beati i pacifici, perché saranno chiamati figli di Dio 4.
Inizio dello scisma donatista.
2. 3. Abbiate dunque la bontà di ricordarvi che, mentre mi trovavo nella vostra città e m'occupavo di alcune questioni relative alla comunione dell'unità cristiana, da esponenti del vostro partito furono esibiti i verbali degli Atti, da cui risultava che circa settanta vescovi avevano condannato Ceciliano, già vescovo cattolico della Chiesa di Cartagine, insieme coi suoi colleghi e quanti l'avevano consacrato. Lì pure fu discussa la causa di Felice di Aptungi come se la sua condotta fosse molto più odiosa e criminale di quella di tutti gli altri. Dopo la lettura di tutti gli Atti, rispondemmo che non c'era da meravigliarsi se gli autori di quello scisma avessero compilato degli Atti e reputato doveroso condannare, senza alcuna valida ragione e senza istruire regolare processo, persone contro le quali erano stati aizzati da persone gelose e scellerate. Tenete bene a mente che noi abbiamo altri Atti ecclesiastici, dai quali risulta che Secondo, vescovo di Tigisi, il quale allora esercitava le funzioni di primate della Numidia, lasciò a Dio il giudizio dei "traditori" lì presenti e rei confessi, e permise che rimanessero nelle sedi vescovili da essi occupate. I nomi di essi sono registrati nella lista di quelli che condannarono Ceciliano, in un altro concilio presieduto dallo stesso Secondo. Egli fu costretto a condannare come "traditori" alcuni vescovi assenti sulla base dei pareri espressi dagli stessi presenti, rei confessi e da lui perdonati.
I Donatisti condannati dai concili di Roma e di Arles.
2. 4. Noi poi dicemmo che poco dopo l'ordinazione di Maggiorino, che essi avevano elevato alla cattedra con nefanda scelleratezza contro Ceciliano, erigendo altare contro altare e portando la divisione nell'unità cristiana con furiose discordie, chiesero all'imperatore di quel tempo, Costantino, come giudici della vertenza altri vescovi, i quali, interponendosi come arbitri, decidessero con il loro verdetto le questioni sorte in Africa che spezzavano il vincolo della pace. Tale richiesta fu esaudita. Con sentenza di Melchiade (6-a), allora vescovo della città di Roma, e dei suoi colleghi di episcopato, mandati dall'Imperatore dietro preghiera dei Donatisti, non risultò alcuna prova a carico di Ceciliano presente al dibattito con tutti quelli che avevano passato il mare per accusarlo e perciò venne confermato nella sua sede vescovile, mentre fu riprovato Donato, suo avversario, anche lui presente. Dopo questi avvenimenti, persistendo tutti essi ostinati nello scelleratissimo scisma, il medesimo Imperatore fece esaminare più diligentemente e definire la medesima questione ad Arles. Essi però contro il verdetto ecclesiastico si appellarono al tribunale di Costantino. Dopo che si giunse alla corte, alla presenza delle due parti, Ceciliano fu giudicato innocente e quelli ne uscirono sconfitti, ma ciò nonostante rimasero nel loro errore. Non fu trascurata neppure la causa di Felice di Aptungi, ma egli pure uscì assolto negli Atti proconsolari in base a un'ordinanza del medesimo Imperatore.
Malafede del vescovo Secondo di Tigisi.
2. 5. Ma poiché tutti questi fatti ve li raccontavamo senza darvene lettura degli Atti processuali, vi parve senza dubbio che facessimo meno di quanto vi aspettavate dalla insistenza della nostra inchiesta. Appena ce ne accorgemmo, non perdemmo un minuto per mandare a cercare gli Atti da leggere come avevamo promesso. Corremmo a prenderli nella Chiesa di Gelizit, per tornare poi subito di là alla vostra città. Tutti gli Atti giunsero dopo nemmeno due giorni interi, e - come ben sapete - vi furono letti in un sol giorno, per quanto ce lo permise il tempo. Prima fu letto il verbale secondo cui Secondo, vescovo di Tigisi, non osò allontanare dal suo collegio episcopale dei "traditori" rei confessi, mentre poi con essi osò condannare Ceciliano, non confesso ed assente, insieme con altri suoi colleghi. Furono poi letti gli Atti proconsolari, in cui Felice, dopo accuratissimo esame, fu riconosciuto innocente. Vi ricordate che questi documenti vi furono letti prima di mezzogiorno? Il pomeriggio demmo lettura delle loro istanze a Costantino e degli Atti ecclesiastici compilati a Roma dopo l'assegnazione da lui fatta dei giudici, Atti coi quali quelli furono condannati, mentre Ceciliano fu confermato nella sua giurisdizione vescovile. Fu letta infine la lettera dell'imperatore Costantino, nella quale apparvero le prove più lampanti della verità delle nostre affermazioni.
Si tratta della salvezza eterna, non di beni terreni.
3. 6. Che volete di più, o signori, che volete di più? Non si tratta dell'oro o dell'argento vostro, non corrono pericolo la terra, i poderi, non infine la salute del vostro corpo; noi ci rivolgiamo alle vostre anime solo per richiamarvi sul dovere di conseguire la vita eterna e di fuggire la morte eterna. Svegliatevi una buona volta! Noi non trattiamo una questione oscura, non cerchiamo di scoprire segreti reconditi, a penetrare i quali non riesca alcuna intelligenza umana o solo qualche raro genio; la cosa è molto chiara. Che cosa balza fuori più chiara? Che cosa si scorge più presto? Affermiamo che furono condannati in un concilio temerario, per quanto si voglia numeroso, degli innocenti assenti. Proviamo ciò con gli Atti proconsolari, secondo la testimonianza dei quali fu giudicato immune da ogni colpa di "tradimento" colui che gli Atti del concilio presentati dai vostri avevano dichiarato la persona più infame. Affermiamo che da "traditori" confessi furono pronunziate sentenze contro quelli che da voi erano chiamati "traditori". Proviamo ciò con gli Atti ecclesiastici in cui sono designati per nome i vescovi dei quali Secondo di Tigisi s'indusse a condonare le colpe che avrebbe dovuto condannare, come se fosse messo a scopo di pace, mentre poi condannò, in combutta con quelli, dei vescovi per colpe non dimostrate, rompendo così la pace. Risultò così evidente che anche da principio non ebbe alcuna preoccupazione di mantenere la pace, ma solo d'evitare spiacevoli conseguenze personali. Infatti Purpurio, vescovo di Limate, gli aveva rinfacciato che Secondo, essendo detenuto agli arresti, era stato rilasciato dal capo dei decurioni e dal senato della città perché consegnasse le Sacre Scritture; era stato rilasciato - dico - certamente non senza un perché, ma per aver consegnato o per aver fatto consegnare qualcosa di sacro. Quello allora, temendo che si potesse provare assai facilmente che il sospetto fosse fondato, accolse il suggerimento di Secondo il giovane, suo consanguineo, e, consultatosi con tutti gli altri vescovi che erano con lui, aveva lasciato al giudizio di Dio colpe più che manifeste; ebbe così l'impressione d'aver provveduto al bene della pace, ma ciò era falsa, poiché aveva pensato solo ai propri interessi!
Iniquità dei processi Donatisti.
3. 7. Se infatti nel suo cuore fosse stata la preoccupazione della pace, non avrebbe condannato poi a Cartagine, in combutta coi "traditori" che presenti e confessi nel processo aveva rilasciato al giudizio di Dio, non avrebbe - dico - condannato come "traditori" vescovi assenti che nessuno aveva potuto dimostrare colpevoli presso di lui. Tanto più avrebbe dovuto egli temere che fosse violata la pace dell'unità, quanto più Cartagine era una città importante e illustre, da cui il male che vi fosse scaturito, si sarebbe diffuso come dalla testa in tutto il corpo dell'Africa. Cartagine era pure vicina ai paesi d'oltremare e celeberrima per la sua chiara fama: aveva quindi un vescovo di sì grande autorità, che poteva pure non considerare affatto la moltitudine dei nemici che avrebbero potuto cospirare contro di lui, dal momento che si vedeva unito per mezzo di lettere di comunione non solo alla Chiesa di Roma, in cui fu sempre in vigore il primato della cattedra apostolica, ma anche alle Chiese di tutte le altre regioni dalle quali il Vangelo è arrivato alla stessa Africa; bastava ch'egli fosse pronto a parlare in propria difesa, qualora i suoi avversari avessero tentato di alienargli quelle Chiese. Ceciliano non aveva voluto prendere parte all'adunanza dei colleghi, che capiva o sospettava o - a quanto essi asseriscono - fingeva di credere che fossero prevenuti dai suoi nemici contro l'imparzialità del suo processo. Se perciò Secondo avesse voluto essere difensore della vera pace, avrebbe dovuto tanto più guardarsi dal condannare vescovi assenti, che non avevano voluto affatto intervenire a quel processo. Non si trattava infatti di preti, di diaconi o chierici di grado inferiore, ma di colleghi nell'episcopato, i quali potevano usare il diritto di riservare l'intero loro processo al tribunale degli altri colleghi, specialmente delle Chiese apostoliche. Presso queste Chiese non avrebbero avuto alcun valore sentenze pronunciate contro di loro stessi assenti, dal momento che non si trovavano ad aver abbandonato in un secondo tempo un tribunale a cui fossero ricorsi in un primo tempo, mentre al contrario non avevano mai voluto ricorrervi, poiché ritenuto da loro sempre sospetto.
Perché si rifiuta il giudizio dei Vescovi trasmarini.
3. 8. Questo insieme di circostanze avrebbe dovuto recare preoccupazioni a Secondo, allora primate, se avesse presieduto il concilio con l'intenzione di preservare la pace; forse avrebbe potuto tappare quelle bocche rabbiose contro persone assenti, dopo averle placate o tenute a freno, se avesse detto: "Vedete, fratelli, come dopo la persecuzione, che s'è abbattuta così violenta, è stata concessa per misericordia di Dio la pace dai sovrani secolari; non dobbiamo essere ora noi, Cristiani e vescovi, a disprezzare l'unità crìstiana che il pagano ormai non perseguita più. Perciò, una delle due: o lasciamo a Dio giudicare tutte queste cause che il flagello di tempi assai turbolenti ha inflitte come tante ferite nel seno della Chiesa; oppure se vi sono tra voi persone che abbiano una conoscenza così esatta delle colpe di costoro, da poterne mettere al corrente l'autorità e confutare vittoriosamente chi le negasse, e hanno paura di essere in comunione con siffatte persone, si rechino dai nostri fratelli e colleghi, vescovi delle Chiese di là dal mare, e lì elevino prima le loro proteste per le azioni e la contumacia di essi, colpevoli d'essersi rifiutati di presentarsi al tribunale dei colleghi africani avendo la coscienza sporca, affinché poi si comunichi loro l'ordine di presentarsi e rispondere delle colpe loro attribuite. Qualora si rifiuteranno, apparirà chiara la loro falsità, e mediante una lettera circolare indicante la denuncia contro ciascuno di essi e inviata in tutte le parti della terra ovunque la Chiesa è già diffusa, saranno scomunicati da tutte le Chiese e per conseguenza si eviterà che qualche errore spunti nella cattedra della Chiesa di Cartagine. Solo quando costoro saranno stati scomunicati da tutta la Chiesa, ordineremo un altro vescovo per il popolo cristiano di Cartagine, senza dover paventare che le Chiese d'oltremare gli neghino la comunione, non considerando deposto dalla sua giurisdizione uno del quale si conosceva in precedenza l'ordinazione e che avrà potuto forse già ricevere lettere di comunione inviate dalle altre Chiese in virtù di quella fama. In caso contrario potrebbe nascere con grande scandalo uno scisma nella Chiesa di Cristo in tempi già tranquilli, se volessimo pronunciare le nostre sentenze in fretta e furia; e noi oseremmo alzare altare contro altare, se agissimo così non già contro Ceciliano, ma contro tutto il mondo che per ignoranza è unito in comunione con lui".
Illogico e stolto procedimento giudiziario.
3. 9. Che cosa avrebbe potuto fare qualcuno che avesse recalcitrato e si fosse rifiutato di attenersi a un suggerimento tanto ragionevole e giusto? Oppure, come avrebbe potuto condannare qualcuno dei colleghi assenti, senza poter disporre degli Atti del concilio e se il primate gli si fosse opposto? Quand'anche si fosse scatenata contro la sede primaziale una fazione di ribelli così forte per cui alcuni avessero già preteso condannare vescovi ch'egli avesse voluto rinviare a giudizio, quanto sarebbe stato meglio separarsi da tali vescovi, inquieti e desiderosi solo di seminare discordie, che mettersi in contrasto con la comunione di tutto il mondo! Non sussistevano però addebiti né contro Ceciliano né contro quanti l'avevano ordinato che si potessero provare in un tribunale d'oltre mare; ecco perché non vollero né rinviarlo a giudizio prima di pronunciare sentenze contro di lui né, dopo averle pronunciate, continuare ad agire in modo che il loro operato fosse portato a conoscenza della Chiesa d'oltre mare, la quale avrebbe dovuto evitare di rompere le relazioni di comunione coi "traditori" condannati in Africa. Se infatti avessero tentato di fare una simile cosa, Ceciliano e tutti gli altri accusati si sarebbero difesi e si sarebbero giustificati con un dibattito molto accurato contro i falsi calunniatori presso i giudici ecclesiastici d'oltre mare.
Concilio empio e scellerato dei Donatisti.
3. 10. Perverso e scellerato al sommo fu perciò quel concilio - come si può credere - dei "traditori", nel quale Secondo di Tigisi aveva perdonato a rei confessi. Siccome s'era sparsa lontano la voce che proprio essi avevano consegnato i Libri Sacri, cercarono di stornare da se stessi il sospetto di quella colpa gettando il discredito sugli altri: e siccome la gente per tutta l'Africa, dando credito ai vescovi, andava propalando false accuse contro personaggi innocenti, che cioè fossero stati condannati a Cartagine come "traditori", cercarono di restare nascosti come in una nube di calunnie proprio quelli che erano realmente "traditori". Vedete quindi, carissimi, che poté accadere ciò che alcuni dei vostri dicevano non essere verisimile, che cioé i "traditori" rei confessi, i quali avevano implorato ed ottenuto che la loro causa fosse lasciata al giudizio di Dio, si eressero poi a giudici per condannare come "traditori" degli assenti. Preferirono, insomma, cogliere l'occasione di coprire altri di false accuse e in tal modo stornare chiacchiere che la gente faceva sul loro conto e impedire che si esaminassero le proprie colpe. Se fosse possibile che nessuno condanni in altri le colpe da lui commesse, l'apostolo Paolo non direbbe a certuni: Per questo, o uomo, chiunque tu sia, che ti atteggi a giudice, sei senza scusa: poiché nell'atto di giudicare gli altri condanni te stesso facendo le medesime cose che giudichi 5. Proprio così fecero essi e perciò queste parole dell'Apostolo si confanno a pieno e a tutta ragione ad essi.
È illecito fare il processo della parte assente.
3. 11. Quando dunque Secondo lasciò al giudizio di Dio le colpe di quei vescovi, non prese affatto un provvedimento utile alla pace e all'unità; altrimenti a Cartagine avrebbe piuttosto preso precauzioni perché non si verificasse lo scisma, dal momento che non c'era alcun reo confesso al quale egli fosse costretto a perdonare, mentre il mezzo più facile per conservare la pace era quello di non lasciare condannare degli assenti. Si sarebbe quindi fatto un grave torto a degli innocenti, se si fossero volute perdonare delle colpe senza che fossero né provate né confessate e, comunque, d'imputati assenti. Poiché riceve il perdono solo chi risulta colpevole senza alcun dubbio. Quanto più inumani e ciechi furono perciò coloro i quali reputarono di poter condannare colpe che non avrebbero potuto neppur condonare perché non sottoposte ad inchiesta! Al contrario, da una parte furono rilasciate al giudizio di Dio colpe risultanti da inchiesta, dall'altra furono condannate colpe non esaminate in giudizio perché quelle altre rimanessero coperte. Ma si obietterà: "Le conoscevano, e come". Anche ammesso ciò, sarebbe stato certamente doveroso perdonare degli assenti: essi infatti non avevano abbandonato il tribunale, al quale non s'erano mai presentati, né la Chiesa era costituita da quei soli vescovi africani e quindi non poteva neppure sembrare che avessero voluto evitare il tribunale della Chiesa coloro che avevano rifiutato di presentarsi al loro tribunale. Non restavano forse migliaia di colleghi d'oltremare? Ebbene, era chiaro che potevano ben essere giudicati da costoro quei vescovi che - a quanto sembrava - consideravano sospetti i colleghi Africani o Numidi. V'è in proposito un passo della Sacra Scrittura, che proclama: Non biasimare alcuno prima d'averlo interrogato e, dopo averlo interrogato, riprendilo con giustizia 6. Se dunque lo Spirito Santo vuole che non si biasimi né si condanni alcuno se non dopo averlo interrogato, quanto più scellerata fu l'azione con cui furono non già biasimati o puniti, ma addirittura condannati dei vescovi che, per essere assenti, non poterono per nulla essere interrogati circa le loro colpe?
Giudizio iniquo contro l'innocente Felice di Aptunga.
3. 12. Costoro però affermano di aver condannato colpe riconosciute in regolare processo, ma le persone erano assenti dal loro tribunale che non avevano mai abbandonato in quanto non vi s'erano mai presentate, le quali anzi avevano sempre dichiarato che era loro sospetta quell'assemblea di giudici ostili; orbene, vi domando, cari fratelli, in che modo fecero l'inchiesta giudiziale? Voi risponderete: "Non lo sappiamo, dal momento che l'istruttoria non è menzionata negli Atti processuali pubblici". Ebbene, ve lo mostrerò io come fecero l'inchiesta. Considerate la causa di Felice d'Aptungi e anzitutto leggete quanto furono più accaniti contro di lui. Avevano dunque istruito il processo di tutti gli altri come quello di costui, il quale in seguito a un'inchiesta accurata e severa risultò in modo assai chiaro essere del tutto innocente. Con quanto maggior senso di giustizia, di sicurezza e quanto più presto dovremmo stimare innocenti coloro le cui colpe furono oggetto di biasimo più blando e condannate con una più lieve riprensione, dal momento che fu trovato innocente colui, contro il quale s'erano accaniti con molto maggiore violenza.
Ricorso all'autorità civile in cause ecclesiastiche.
4. 13. È dunque vero ciò che disse un tale e che vi dispiacque sentire, ma non si deve tacere? Orbene sentite cosa disse quel tale: "Un vescovo non doveva essere assolto dal tribunale del proconsole", come se egli se lo fosse scelto da sé e non fosse stato l'Imperatore a ordinare l'inchiesta, poiché spettava in modo speciale al suo ufficio un affare di cui deve rendere conto a Dio. Erano stati infatti i Donatisti a costituirlo arbitro e giudice della questione relativa alla consegna dei Libri Sacri e allo scisma, anzi erano stati essi a indirizzargli delle suppliche e poi ad appellarsi a lui; con tutto ciò non vollero accettare la sua sentenza. Se quindi è colpevole uno che viene assolto da un giudice terreno anche se l'ha scelto lui stesso, quanto più sono colpevoli quelli che vollero giudice della loro causa un sovrano terreno ? Se invece non è colpa appellarsi all'Imperatore, non è neppure colpa essere interrogati in giudizio dall'Imperatore e quindi nemmeno da colui al quale l'Imperatore delegò la causa. Quell'amico, volle pure fare biasimare che nel processo contro il vescovo Felice un tale fosse stato sospeso al cavalletto per essere pure torturato con gli uncini. Ma poteva forse Felice opporsi che l'inchiesta si svolgesse con tanta accuratezza e severità, dato che il giudice istruttore cercava attentamente d'arrivare alla conoscenza dei fatti? Cos'altro infatti avrebbe significato rifiutare una accurata inchiesta se non dichiararsi reo confesso? Cionondimeno il proconsole, neppure tra le terribili grida dei banditori e le mani insanguinate dei carnefici, avrebbe mai condannato un vescovo assente, che avesse rifiutato di presentarsi al suo tribunale qualora ne avesse avuto un altro da cui la sua difesa poteva essere ascoltata; se poi avesse emesso la condanna, avrebbe dovuto certamente scontare le pene giuste e meritate delle stesse leggi civili.
Incoerente condotta dei Donatisti.
5. 14. Se poi gli atti proconsolari non vi garbano, arrendetevi a quelli ecclesiastici. Vi sono stati letti per intero e punto per punto. Dunque Melchiade, vescovo della Chiesa di Roma, insieme coi vescovi d'oltre mare suoi colleghi, non avrebbe forse dovuto rivendicare il suo diritto di giudicare una causa già definita da settanta vescovi Africani, presieduti dal primate di Tigisi? E perché, dato che neppure lui aveva compiuto alcuna usurpazione? Infatti l'imperatore, essendone stato richiesto, mandò vescovi che sedessero in tribunale con lui e decidessero secondo giustizia in merito a tutta la questione. Vi proviamo ciò non solo con l'istanza dei Donatisti rivolta all'Imperatore, ma ancora con la sua risposta, e l'altra letta a voi - come ricordate - e che ora avete licenza d'esaminare e di copiare. Leggete e considerate attentamente ogni cosa. Rendetevi conto con quanta preoccupazione di conservare la pace e l'unità fu discussa ogni cosa, come fu trattata la persona degli accusatori e per quali macchie alcuni di loro furono ricusati come testimoni. Dalla parola dei presenti risultò chiaro che essi non avevano da lanciare nessuna accusa contro Ceciliano, ma vollero riversare tutta la colpa sulla plebaglia del partito di Maggiorino, cioè sopra una folla sediziosa e contraria all'unità della Chiesa, affinché naturalmente da quella folla fosse accusato Ceciliano: credevano insomma di poter piegare l'animo dei giudici al proprio volere solo a forza di schiamazzi capaci di provocare l'allarme, senza addurre per prova alcun documento, senza esaminare affatto la verità; come se una folla furibonda, ubriacata dalla bevanda dell'errore e della corruzione, potesse denunciare colpe reali contro Ceciliano, quando settanta vescovi, come risultò nel caso di Felice di Aptungi, condannarono con pazza temerità colleghi assenti e innocenti. Sicuro; essi volevano servirsi, per accusare Ceciliano, d'una folla simile a quella con cuì erano andati d'accordo nel pronunciare sentenze contro innocenti neppure interrogati. Ma ora non avevano certo trovato giudici tali da poterli indurre a simile demenza.
Biasimevole condotta di Donato.
5. 15. Prudenti qual siete, potete da voi stessi considerare documentati negli Atti ecclesiastici la malvagità di quelli e la probità dei giudici, come fino alla fine resistettero alle pressioni di far accusare Ceciliano dalla plebaglia di Maggiorino, la quale non aveva alcuna autorità: potete convincervi come da quelli invece erano stati ricercati o accusatori o testimoni o altri individui comunque necessari alla causa, i quali erano venuti con loro dall'Africa e come si spargeva la voce che s'erano presentati ma ch'erano stati allontanati da Donato. Il medesimo Donato aveva bensì promesso non una sola volta, ma spesso, di presentarli, ma dopo averlo promesso non volle più comparire davanti a quel tribunale, dove aveva confessato colpe sì numerose; rifiutando di comparire, dava a vedere di non volere essere presente alla sua condanna essendo state messe in evidenza, alla sua presenza e in base all'interrogatorio sostenuto, colpe meritevoli dì condanna. A ciò si aggiunge che da certe persone fu consegnato un libello di denuncia contro Ceciliano. Dopo questo fatto fu ripresa l'inchiesta per sapere quali persone avevano consegnato il libello, ma non si poté provare alcun addebito a carico di Ceciliano. Ma perché dirvi quanto avete già sentito dire e che potrete leggere ogni volta che lo vorrete?
Diverso modo di agire dei Vescovi Donatisti e del Papa.
5. 16. Vi ricordate quanto fu detto a proposito del numero dei settanta vescovi, quando se ne contrapponeva l'autorità ritenuta assai potente. Quei personaggi di specchiata probità preferirono tuttavia rinunciare a emettere una loro sentenza su infinite questioni tra loro intricate come in una specie di catena indissolubile, senza affatto preoccuparsi del numero dei vescovi o donde fossero stati raccolti. Essi non vedevano in quelle persone che dei ciechi tanto temerari da proferire sentenze avventate contro colleghi assenti e non interrogati. Quanto diversa invece è l'ultima sentenza pronunciata dallo stesso beato Melchiade, quanto incensurabile, quanto imparziale, quanto prudente e pacifica! In base ad essa non osò rimuovere dalla cattedra i colleghi a carico dei quali non era risultato nulla; biasimò con estrema severità il solo Donato, riconosciuto principale autore di tutto il male e lasciò gli altri liberi di riacquistare la guarigione dall'eresia. Era disposto pure a inviare le lettere di comunione perfino ai vescovi che risultavano ordinati da Maggiorino. In tal modo stabilì che in tutti i luoghi ov'erano due vescovi delle due parti fosse confermato quello ordinato in precedenza e all'altro fossero assegnati altri fedeli da governare. O uomo eminente, figlio della pace cristiana e padre del popolo cristiano! Paragonate ora il piccolo numero dei nostri vescovi con la moltitudine di quelli donatisti, mettendo a confronto non un numero con l'altro, ma l'autorità degli uni con quella di costoro: da quella parte la moderazione, da quest'altra la temerità; di là la cautela, di qua la cecità. Lì la mansuetudine non guastò l'imparzialità né l'imparzialità si oppose alla mansuetudine; qua invece non solo sotto il furore si nascondeva la paura, ma dalla paura era pure eccitato il furore. I nostri vescovi s'erano adunati per respingere le false colpe coll'indagine giudiziale di quelle vere, i vostri per nascondere le colpe vere col condannare quelle false.
Il denaro di Lucilla.
6. 17. E perché mai Ceciliano si sarebbe dovuto esporre a farsi ascoltare e giudicare dai Donatisti, dal momento che aveva altri giudici davanti ai quali poteva con tutta agevolezza provare la propria innocenza, qualora gli fosse stato intentato un processo? Non si sarebbe affatto posto nelle mani di quelli nemmeno se, essendo forestiero, fosse stato all'improvviso ordinato vescovo della Chiesa Cartaginese e avesse ignorato quanto potere aveva nel corrompere l'animo dei malvagi e degli inesperti una certa ricchissima Lucilla, ch'egli, ancora diacono, aveva offesa col riprenderla riguardo alla disciplina ecclesiastica. Non doveva mancare nemmeno questa sciagurata circostanza per portare a compimento l'iniquo piano dei Donatisti! Infatti in quel concilio, dove vescovi assenti e innocenti furono condannati da "traditori" rei confessi, erano in verità pochi coloro i quali desideravano coprire le loro colpe coll'infamare gli altri, affinché la gente, stornata da false dicerie, fosse distolta dal ricercare la verità. Pochi dunque erano coloro cui soprattutto stava a cuore questo affare, sebbene fossero i più autorevoli per la complicità dello stesso Secondo, che per paura aveva usato indulgenza verso di loro. Tutti gli altri invece furono comprati e istigati contro Ceciliano - a quanto si narra - soprattutto dal denaro di Lucilla. Esistono di ciò gli Atti presso il governatore Zenofilo; in essi si legge che un certo diacono Nundinario, degradato - a quanto si può capire dagli stessi Atti - da Silvano, vescovo di Cirta, avendo tentato invano di giustificarsi con lui mediante lettere di altri vescovi, nello sfogo dell'ira rivelò e denunziò pubblicamente in tribunale molti fatti, tra cui si legge ricordato come dei vescovi s'erano lasciati corrompere dal denaro di Lucilla, e così nella Chiesa di Cartagine, capitale dell'Africa, era stato eretto altare contro altare! So che questi Atti non ve li leggemmo, perché, come ricordate, ce ne mancò il tempo. In quel fatto influì anche il dispiacere proveniente dalla burbanzosa superbia ferita dal non aver essi ordinato il vescovo di Cartagine.
Perché Ceciliano non volle subire il giudizio dei Donatisti.
6. 18. Per tutte queste cause Ceciliano sapeva che in quella riunione i Donatisti erano andati non già da veri giudici, ma da nemici e corrotti. Quando mai sarebbe stato possibile ch'egli volesse o che il popolo al quale era a capo gli permettesse di abbandonare la sua Chiesa per andarsene in una casa privata ed essere sottoposto non a un'inchiesta di colleghi, ma per essere rovinato da un'assemblea di giudici ostili e faziosi o dal rancore d'una donna? Tanto più che vedeva bene come la propria causa poteva essere discussa in modo incensurabile e imparziale nella Chiesa d'oltremare, estranea a inimicizie private e indifferente all'una e all'altra delle due parti avverse. Se poi gli avversari non avessero voluto presentarsi come parte che promuove il giudizio, si sarebbero da se stessi tagliati fuori dalla santa comunione del mondo cattolico. Se invece avessero tentato di accusarlo, allora vi si sarebbe presentato e avrebbe difeso la propria innocenza contro le loro macchinazioni, come ricordate che in seguito avvenne. Essi invece reclamarono molto tardi il giudizio d'oltremare quand'erano già colpevoli di scisma, già macchiati dall'orribile colpa d'aver alzato altare contro altare. Lo avrebbero fatto certamente prima, se avessero potuto fare assegnamento sulla verità. Ma essi preferirono presentarsi a quel giudizio preceduti dalle false dicerie da essi sparse e che avevano preso una certa consistenza per un lungo lasso di tempo come se si trattasse di un'antica opinione pubblica che già avesse deciso in precedenza. Oppure - com'è più credibile - una volta condannato, a loro arbitrio, Ceciliano, si ritenevano quasi sicuri, confidando fin troppo nel proprio numero e non osando trattare una causa così ingiusta in un tribunale immune da corruzione ov'era possibile scoprire la verità.
Tutta la Chiesa rimaneva unita con Ceciliano.
7. 19. In seguito però i fatti stessi li convinsero che insieme con Ceciliano rimaneva tutta la Cristianità e lettere di comunione dalle Chiese d'oltremare erano inviate a lui ma non al vescovo da loro ampiamente ordinato; provarono allora vergogna di continuare a tacere; poiché si poteva sempre rimproverare ad essi perché mai permettevano che la Chiesa, sparsa fra tanti popoli, essendo all'oscuro della cosa, conservasse la comunione con vescovi condannati e perché mai da se stessi si tagliavano fuori dalla comunione della Chiesa sparsa nel mondo intero e senza colpa, mentre col loro tacere lasciavano che dal mondo cattolico non si mantenessero rapporti di comunione col vescovo da essi ordinato per i fedeli di Cartagine. Scelsero quindi - come si dice - di fare il doppio gioco nel processo a Ceciliano presso la Chiesa d'oltremare, pronti all'una o all'altra evenienza: se cioè fossero riusciti a sopraffarlo ingannando comunque i giudici con false accuse, avrebbero potuto appagare pienamente la bramosia della vendetta; se invece non ci fossero riusciti, avrebbero perseverato nella medesima perversità e avrebbero potuto sempre dire d'essere stati vittime di giudici malvagi. Questa è la scusa di tutti i litiganti in mala fede, quando vengono soverchiati dalla verità anche più lampante; come se non si potesse loro rispondere a questo proposito: "Ecco, ammesso pure che non fossero onesti i giudici che pronunciarono la sentenza a Roma, rimaneva sempre il concilio plenario della Chiesa universale, ove si poteva intentare causa pure agli stessi giudici; in tal modo, se fosse stato dimostrato che avevano esercitato disonestamente l'ufficio di giudici, le loro sentenze sarebbero venute a perdere ogni forza". Dimostrino quindi loro se agirono in tal modo; noi dimostriamo facilmente che ciò non è stato fatto per il semplice motivo che tutto il mondo rifiuta d'essere in comunione con loro; ma anche dato e non concesso che sia stato fatto, anche in questo caso son sconfitti come lo dimostra chiaramente lo stesso loro scisma.
Condanna dei Donatisti al Concilio di Arles.
7. 20. Che cosa però fecero in seguito, risulta più che evidente dalla lettera dell'Imperatore. Essi accusarono di aver giudicato contro giustizia e osarono citare al tribunale non già di altri colleghi, ma dell'Imperatore, quei giudici ecclesiastici, che erano vescovi di grande autorità e che avevano proclamato da una parte l'innocenza di Ceciliano e dall'altra la loro ribalderia. L'Imperatore allora concesse loro di presentarsi al concilio di Arles, formato naturalmente da giudici diversi dai precedenti, non perché tale precauzione fosse necessaria, ma cedendo alle loro malvage pretese e solo mosso dal desiderio di reprimere del tutto la loro insopportabile spudoratezza. L'Imperatore cristiano non osò accogliere le loro sediziose e bugiarde querele né volle giudicare personalmente l'operato dei vescovi che avevano pronunciato il verdetto nel tribunale romano, ma concesse loro di ricorrere - come ho detto - ad altri vescovi: dal verdetto di questi però essi preferirono appellarsi di nuovo all'Imperatore, e avete sentito a tale proposito com'egli li respingesse. Oh, se almeno dopo la sua sentenza avessero posto fine alle loro pazzesche animosità e si fossero arresi una buona volta alla verità com'egli s'era arreso ai loro desideri facendo riesaminare la causa dopo ch'era stata giudicata da vescovi intemerati; egli avrebbe chiesto poi loro scusa, purché intanto i Donatisti non avessero altre obiezioni da accampare qualora non si fossero sottomessi al suo verdetto, al verdetto di colui cioè al quale essi stessi avevano appellato! Egli infatti diede ordine che le parti si presentassero davanti a lui a Roma per trattare la causa. Poiché Ceciliano, non so perché, non si era presentato, l'Imperatore ordinò, dietro loro richiesta, che lo seguissero a Milano. Allora alcuni di essi cominciarono a tirarsi indietro, sdegnati probabilmente che Costantino non li aveva imitati nel condannare in fretta e furia Ceciliano. Saputo ciò, il prudente Imperatore fece scortare gli altri fino a Milano da guardie giudiziarie. Giunse poi pure Ceciliano ed anche lui fu loro presentato come risulta dal suo rescritto; istruito quindi il processo con la diligenza, la cautela e la prudenza che traspare nella sua lettera, giudicò Ceciliano del tutto innocente e i Donatisti come dei veri ribaldi.
Calunnie dei Donatisti contro i Cattolici.
8. 21. Essi infatti ancora battezzano fuori della Chiesa e, se potessero, ribattezzerebbero tutta quanta la Chiesa! offrono il divin sacrificio pur persistendo nella discordia e nello scisma e rivolgono il saluto della pace ai fedeli ch'essi scacciano dalla pace della salvezza! Si lacera l'unità di Cristo; si bestemmia l'eredità di Cristo; si respinge con disprezzo il battesimo di Cristo ma non vogliono essere puniti con castighi temporali comminati dalle ordinarie autorità umane per evitar loro la sciagura che siano destinati alle pene eterne, dovute alle loro molteplici empietà! Per parte nostra noi rinfacciamo loro l'eresia dello scisma, la pazzia di ripetere il battesimo, la scellerata separazione dall'eredità di Cristo, sparsa tra tutte le genti. Basandoci sui libri sacri non solo nostri ma anche loro, citiamo le chiese delle quali ancor oggi leggono i nomi, colle quali però non hanno più legami di comunione; quando quei nomi vengono letti nelle loro assemblee, ai loro lettori dicono: "La pace sia con te", ma non hanno la pace con gli stessi fedeli ai quali quelle lettere furono scritte. Essi inoltre ci rinfacciano o false colpe di defunti o forse vere ma di altri, senza capire che essi sono tutti colpevoli dei fatti che loro rinfacciamo, mentre quelle che rinfacciano a noi sono colpe di quanti fra noi sono simboleggiati nella paglia e nella zizzania della messe del Signore, ma la colpa non può cadere nel frumento; essi infine non considerano che solo coloro i quali approvano i malvagi, sono in comunione coi malvagi, anche se rimangono nell'unità della Chiesa; coloro invece che non approvano i malvagi ch'essi non possono correggere, non osando però sradicare la zizzania prima della mietitura per non sradicare insieme pure il frumento 7, non sono conniventi con le loro azioni ma comunicano solo con l'altare di Cristo. In tal modo non solo non vengono macchiati da essi, ma meritano pure d'essere lodati ed esaltati dalle parole di Dio, per il motivo che essi, affinché non venga bestemmiato il nome di Cristo per causa degli orribili scismi, tollerano per il bene dell'unità il male che riprovano per il bene dell'equità.
Antiche personali colpe rinfacciate dai Donatisti a tutti i Cattolici!
8. 22. Se hanno orecchie, ascoltino ciò che lo Spirito dice alle Chiese 8. Così, infatti, si legge nell'Apocalisse di Giovanni: All'angelo della Chiesa d'Efeso, scrivi: Così parla Colui che tiene le sette stelle nella sua destra e cammina in mezzo ai sette candelabri d'oro. Conosco le tue azioni, le tue fatiche e la tua pazienza, so che non puoi sopportare i malvagi e mettesti alla prova coloro che si dicono ma non sono apostoli e li trovasti bugiardi e li sopportasti per il mio nome e non ti sei stancato 9. Se volesse che queste parole si debbano intendere dell'angelo dei cieli superiori e non dei capi delle Chiese, nelle frasi seguenti non direbbe: Ma ho da rimproverarti perché non hai mantenuto la tua primitiva carità. Ricordati dunque da quale altezza sei caduto e ravvediti e torna a compiere le opere di prima, altrimenti io verrò da te e rimuoverò il candelabro dal suo posto se non ti ravvedrai 10. Tali espressioni non possono essere rivolte agli angeli del cielo, i quali conservano sempre la carità; quelli che da essa s'allontanarono e decaddero, sono il diavolo e i suoi angeli 11. Chiama quindi primitiva carità quella con cui sopportò i falsi apostoli per il nome di Cristo e gli comanda di ricuperarla e di tornare a compiere le opere di prima. A noi invece voi rinfacciate colpe commesse da persone malvage, colpe non nostre ma di altri e per di più in parte a noi ignote; anche se le vedessimo veramente sotto i nostri occhi e le tollerassimo per l'unità perdonando alla zizzania onde non recar danno al frumento, ci proclamerebbe non solo degni di nessun rimprovero, ma anche di non piccola lode chiunque non fosse sordo di mente alle parole della Sacra Scrittura.
Esempi di tolleranza religiosa nella Sacra Scrittura.
8. 23. Aronne tollera il popolo che reclama l'idolo, lo costruisce e l'adora 12. Mosè tollera tante migliaia di persone mormoranti contro Dio e tante volte offendenti il suo santo nome 13. David tollera il suo persecutore Saul, ch'era stato spinto dai suoi scellerati costumi ad abbandonare le cose celesti e a scrutare i misteri infernali per mezzo delle arti magiche; eppure quando fu ucciso egli lo vendicò e lo chiamò pure Cristo del Signore a causa del rito sacro con cui era stato consacrato re 14. Samuele tollera i ribaldi figli di Eli e i propri figli perversi; ma il popolo, ripreso dalla divina verità per non averli voluti sopportare, fu castigato dalla divina severità. Tollera infine lo stesso popolo superbo e dispregiatore di Dio 15. Isaia tollera coloro che avevano tante vere colpe da lui prese di mira con tanti strali. Geremia tollera coloro da parte dei quali soffre tante persecuzioni. Zaccaria tollera Farisei e scribi, quali la Sacra Scrittura ci attesta erano in quel tempo. So d'aver omesso molti personaggi; coloro che lo desiderano e lo possono, leggano i Libri della Sacra Scrittura e troveranno che tutti i santi, servi e amici di Dio, ebbero sempre persone da tollerare nel loro popolo; ma tuttavia comunicando con essi nella celebrazione dei riti sacri di quel tempo non solo non si macchiavano, ma erano lodevoli nel sopportarli, studiandosi di conservare, come dice l'Apostolo, l'unità dello spirito mediante il vincolo della pace 16. Riflettano pure che dopo la venuta del Signore si troverebbero molto più numerosi esempi di tale tolleranza per tutto il mondo, se fosse stato possibile riferirli per iscritto nella Sacra Scrittura; tuttavia ponete attenzione a quelli accennati e che si trovano in essa. Lo stesso Signore tollera Giuda, quel vero demonio, quel ladro che lo vendette, e lascia che riceva, mescolato tra discepoli incensurabili, ciò che i fedeli sanno essere il prezzo del nostro riscatto. Gli Apostoli tollerano dei falsi apostoli e Paolo passa la vita con una lodevolissima tolleranza tra chi va in cerca dei propri interessi e non di quelli di Cristo, mentre egli ricerca non il proprio interesse ma quello di Cristo. Infine, come ho ricordato poc'anzi, dalla voce di Dio viene lodato sotto il termine di "Angelo" il capo della Chiesa perché, pur detestando i malvagi, tuttavia li tollerò per il nome del Signore dopo averli messi alla prova e averli riscontrati bugiardi.
Gesta criminose dei Circoncellioni.
8. 24. Ma perché non interrogano se stessi? Non tollerano forse essi le stragi e gl'incendi dei Circoncellioni, quelli che venerano i cadaveri di quanti si uccidono da sé precipitandosi nei precipizi e per tanti anni i gemiti di tutta l'Africa sotto le incredibili vessazioni del solo Ottato? Non voglio denunciare le dominazioni tiranniche delle singole regioni, città e borgate dell'Africa e gli attacchi briganteschi fatti alla luce del sole. Preferisco che questi misfatti ve li diciate tra voi o all'orecchio o in pubblico, come vi piacerà. Poiché dovunque rivolgerete lo sguardo, vi si presenterà ciò che dico, o meglio, quel che non dico. Ma non per questo accusiamo gli individui da voi amati, poiché non li biasimiamo per il fatto che tollerano i malvagi, ma perché sono intollerabilmente malvagi a causa dello scisma, dell'altare contro l'altare, per essere separati dall'eredità di Cristo diffusa in tutto il mondo come è stato promesso tanto tempo prima 17. Deploriamo e piangiamo la pace violata, l'unità lacerata, i battesimi reiterati, i sacramenti cancellati, mentre essi sono santi pure nelle persone scellerate. Se fanno poco conto di ciò, considerino gli esempi che dimostrano qual conto ne fece Dio. Quelli che fabbricarono l'idolo furon tolti di mezzo con la consueta morte di spada 18; invece i capi di quelli che vollero fare la sedizione furono inghiottiti dalla terra spalancatasi, mentre la folla consenziente fu consumata dal fuoco 19. Dalla diversità dei castighi si riconosce la diversità delle colpe.
Chi è fuori dell'eredità di Cristo, non è della famiglia di Dio.
9. 25. Durante la persecuzione vengon consegnati i Libri Santi; orbene, coloro che li consegnarono confessano e sono lasciati al giudizio di Dio! Degli innocenti invece non vengono neppure interrogati e tuttavia vengono condannati da giudici temerari! Con prove lampanti vien riconosciuto innocente da un'assemblea di giudici fidati e informati colui che era stato incriminato molto più gravemente degli altri tra quelli condannati pur essendo assenti. L'assemblea giudicante dei vescovi si appella all'Imperatore: si sceglie come giudice l'Imperatore; ebbene l'Imperatore è disprezzato quando emette il suo giudizio! I fatti avvenuti li avete letti, i fatti che avvengono adesso li vedete; se avete qualche dubbio a proposito di quelli, osservate bene questi altri. Non stiamo a discutere appellandoci a libri antichi, agli archivi pubblici, agli Atti dei processi giudiziari o ecclesiastici. Il nostro libro più grande è il mondo intero; in esso leggo avverato ciò che nel libro di Dio leggo annunziato: Il Signore - dice - mi ha detto: Mio figlio sei tu, io oggi ti ho generato; chiedimi e ti darò in eredità le genti e in possesso i confini della terra 20. Chi non comunica con questa eredità, sappia che è escluso dall'eredità, qualunque altro libro egli possegga. Chi attacca questa eredità, dà segno di essere estraneo alla famiglia di Dio. Certo: la questione si aggira sulla consegna dei Libri divini nei quali quest'eredità è stata promessa. Va bene; allora deve reputarsi come uno che consegnò alle fiamme il testamento, chi si mette in lite contro la volontà del testatore. Qual torto mai t'ha fatto, o setta di Donato, la Chiesa di Corinto? Quanto dico di questa Chiesa, voglio che s'intenda di tutte le altre tanto lontane come essa. Qual torto vi hanno fatto le Chiese che non potevano in alcun modo sapere né quel che avete fatto, né chi avete infamati? Ha forse il mondo perduto la luce di Cristo per il fatto che una Lucilla fu offesa da Ceciliano in un angolo dell'Africa?
Concilio Donatista dovuto alla mente di Lucilla.
9. 26. Infine comprendano che cosa fecero: a ragione dopo un certo spazio di tempo la loro azione è rimbalzata contro i loro occhi. Domandate per causa di qual donna Massimiano, che si dice essere parente di Donato, si staccasse dalla comunione di Primiano e come, da una assemblea di vescovi della sua fazione, fece condannare Primiano e si fece ordinare vescovo in opposizione a lui; domandate in qual modo Maggiorino da un'altra assemblea di vescovi, suoi partigiani, radunati per mezzo di Lucilla, fece condannare Ceciliano assente e in opposizione a questo fu ordinato vescovo. Dunque, volete forse ritenere valido il processo con cui Primiano fu discolpato contro la fazione di Massimiano, e non volete ritenere valido il processo con cui fu discolpato Ceciliano dai vescovi dell'unica Chiesa contro la fazione di Maggiorino? Vi domando forse, fratelli, vi chiedo forse qualcosa di straordinario, vi chiedo forse di capire qualcosa di difficile? Tra la Chiesa d'Africa e tutte le altre Chiese del mondo corre un'enorme distanza; se poi si paragona con le altre, sia per l'autorità sia per il numero dei fedeli, essa è incomparabilmente inferiore a tutte; ma anche supponendo che nella Chiesa d'Africa risiedesse l'unità, se però venisse paragonata e tutte le altre comunità cristiane del mondo, sarebbe di gran lunga più piccola, ancora più piccola della setta di Massimiano paragonata alla setta di Primiano. Ma io vi domando solo, e mi pare sia giusto, che il concilio di Secondo di Tigisi, riunito dagli intrighi di Lucilla contro Ceciliano assente, contro le Chiese apostoliche e contro tutto il mondo unito nella comunione con Ceciliano, valga almeno quanto vale il concilio dei Massimianisti, esso pure riunito dagli intrighi di non so quale donna contro l'assente Primiano e contro tutti gli altri fedeli donatisti dell'Africa uniti in comunione con Primiano. Cosa può esservi più chiaro a capirsi di ciò? Cos'altro di più giusto vi si chiede?
"Nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio".
9. 27. Tutto ciò che vi ho detto, voi lo vedete, oltre che saperlo e addolorarvene; ma anche Dio vede che nulla vi costringe a rimanere in codesto pestifero e sacrilego scisma, purché allo scopo d'acquistare il regno spirituale superiate l'affetto carnale e non esitiate a disgustare le amicizie umane, che nel giudizio di Dio non gioveranno a nulla, per evitare le pene eterne. Ebbene andate: domandate e sappiate che cosa possono rispondere a queste nostre contestazioni: se esibiscono documenti scritti, li esibiamo pure noi; se affermano che i nostri sono falsi, non si sdegnino se diciamo altrettanto dei loro. Nessuno cancella dal cielo il decreto di Dio, nessuno cancella dalla terra la Chiesa di Dio: egli le promise il mondo intero, essa ha riempito il mondo intero: ha in sé tanto i buoni che i malvagi, ma sulla terra non perde se non i malvagi e in cielo non fa entrare se non i buoni. Questo discorso che per grazia di Dio (egli lo sa bene) scaturisce dall'immenso amore per la pace e per voi, sarà per voi solo un ammonimento se lo vorrete, ma un documento anche se non lo vorrete.
1 - Tt 3, 10.
2 - 1 Ts 3, 12.
3 - 2 Tm 2, 26.
4 - Mt 5, 9.
5 - Rm 2, 1.
6 - Qo 11, 7.
7 - Mt 13, 24-30.
8 - Ap 2, 7 11 17; 3, 6 13.
9 - Ap 2, 1-3.
10 - Ap 2, 4-5.
11 - Mt 25, 41; Ap 12, 9.
12 - Es 32, 1-6.
13 - Es 14, 11; 15, 24; 16, 2 8; 17, 2 s.; Nm 14, 2; 16, 41.
14 - 1 Sam 28, 7-20.
15 - 1 Sam 2, 27 ss.; 3, 21b; 8, 1-5; passim.
16 - Ef 4, 3.
17 - Sal 2, 8.
18 - Es 32, 1-28.
19 - Nm 16, 1-35; 41, 49.
20 - Sal 2, 7 8.
20 - Lucifero convoca un conciliabolo nell'inferno per discutere su come impedire le opere di Cristo nostro redentore e della sua Madre santissima.
La mistica Città di Dio - Libro quinto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca933. Dopo l'incarnazione del Verbo divino, il tirannico impero di Lucifero nel mondo non fu più incontrastato come nei secoli precedenti. Infatti, dall'ora in cui il Figlio dell'eterno Padre scese dal cielo e s'incarnò nel talamo verginale di Maria, questo essere forte e bene armato sentì un'altra forza più grande e dall'origine più potente che l'opprimeva e l'atterrava; in seguito sperimentò la stessa forza quando il bambino Gesù e la sua santissima Madre vissero in Egitto e in molte altre circostanze in cui fu oppresso e vinto con la potenza divina per mano della nostra gran Signora. Si aggiunse a questi fatti la meraviglia da lui provata per le opere, già narrate nel capitolo precedente, che il Salvatore incominciò a compiere. Tutte queste cose generarono nell'antico serpente grandi sospetti e timori che nel mondo vi fosse qualche altra gran causa, ma, siccome il mistero della redenzione umana gli era nascosto, rimaneva sbalordito nel suo furore e non riusciva a cogliere la verità, pur essendo stato fin dalla sua caduta dal cielo sempre sollecito e vigilante per indagare quando e come il Verbo eterno si sarebbe incarnato; quest'opera meravigliosa era, infatti, la più temuta dalla sua arroganza e superbia. Tale preoccupazione lo obbligò a radunare tutti i consessi che in questa Storia si sono riferiti e si riferiranno.
934. Il dragone, dunque, trovandosi pieno di confusione per ciò che con Gesù e Maria succedeva a lui e ai suoi ministri, cominciò a chiedersi tra sé e sé che forza fosse quella con cui essi lo abbattevano ed opprimevano quando tentava di avvicinarsi agli agonizzanti. Non potendo investigare il segreto, determinò di consultare i ministri delle tenebre più insigni in astuzia e in malizia. Lanciò un urlo assai tremendo nell'inferno, al modo in cui i demoni s'intendono fra loro, e con esso, per la loro subordinazione nei suoi riguardi, li convocò tutti. Una volta radunati, fece loro questo ragionamento: «Ministri e compagni miei, che avete sempre seguito la mia giusta causa, sapete bene che nel primo stato in cui ci pose il Creatore di tutte le cose noi lo riconoscemmo principio del nostro essere e come tale lo rispettammo. Ma poiché a scapito della nostra eminenza e bellezza, che contiene tanta deità, ci ordinò di adorare e servire la persona del Verbo nella forma umana che voleva assumere, noi resistemmo alla sua volontà. Infatti, malgrado sapessi di dovergli questa venerazione come a Dio, essendo egli anche uomo, di natura vile e tanto inferiore alla mia, non potei sopportare di assoggettarmi a lui e di non vedere compiuto in me ciò che si decideva di fare con costui. E non solo ci ordinò di adorare lui, ma anche di riconoscere come nostra Signora una donna che sarebbe stata pura e semplice creatura terrena. Io - e voi altresì - considerai troppo ingiurioso tutto ciò, insieme ci opponemmo e decidemmo di resistere al comando dell'Altissimo; fummo quindi castigati con quest'infelice stato e con le pene che soffriamo. Intanto, non conviene che riconosciamo queste verità dinanzi agli uomini, per quanto le confessiamo con terrore qui fra noi. Io ve lo ingiungo, perché essi non vengano a conoscenza della nostra ignoranza e debolezza».
935. «Se questo uomo-Dio e sua Madre devono causare la nostra rovina, è evidente che la loro venuta sarà il nostro tormento e che perciò devo adoperarmi con tutto il mio potere per impedirlo e per distruggerli, fosse anche necessario sconvolgere e scompigliare il mondo intero. Sapete quanto sinora io sia stato invincibile, giacché tanta parte del mondo ubbidisce al mio impero ed è soggetto alla mia volontà ed astuzia. Da alcuni anni a questa parte, tuttavia, in molte occasioni ho visto voi oppressi, indeboliti e vinti; inoltre io, da parte mia, sperimento una potenza superiore, che sembra mi leghi e mi renda codardo. Più volte ho percorso la terra con voi, cercando di sapere se vi fosse qualche novità alla quale attribuire questa perdita di forza e quest'oppressione che sentiamo e se per caso vi fosse già il Messia promesso al popolo eletto di Dio; ma non lo abbiamo trovato in nessun luogo e neppure abbiamo scoperto indizi certi della sua venuta, né del rumore che farà tra gli uomini. Nonostante ciò, sospetto che già si avvicinino i tempi della sua discesa dal cielo e quindi conviene che tutti noi ci sforziamo con grande furore di distruggere lui e la donna che egli si sceglierà per madre. A chi si affaticherà di più, darò maggiore ricompensa. Sinora in tutti gli uomini ho trovato delle colpe e i loro effetti: nessuno mostra la maestà e la grandezza che il Verbo incarnato porterà con sé per manifestarsi agli uomini e indurli ad adorarlo e ad offrirgli sacrifici e venerazione. Questo sarà il contrassegno infallibile della sua venuta e da questo riconosceremo la sua persona, come anche dal non vederlo toccato dalla colpa e dagli effetti che i peccati causano nei mortali figli di Adamo».
936. «Per tali motivi - proseguì Lucifero - la mia confusione è grande. Infatti, se non è sceso nel mondo il Verbo eterno non so come spiegarmi le novità che sperimentiamo; d'altra parte, non so da chi esca questa forza che ci abbatte. Chi ci cacciò dall'Egitto? Chi distrusse quei templi e rovinò gli idoli di quella terra, dove eravamo adorati da tutti? Chi adesso ci opprime in Galilea e nei suoi confini e ci impedisce di avvicinarci a molti uomini per traviarli nell'ora della morte? Chi solleva dal peccato quanti - e sono molti - escono dal nostro potere? Chi fa sì che altri migliorino la propria vita e si occupino del regno di Dio? Se questa situazione che non comprendiamo perdura, siamo minacciati di grande rovina. È necessario dunque impedirla e investigare nuovamente se vi sia qualche profeta o santo che stia cominciando a distruggerci; io per il momento non sono riuscito a scoprirne alcuno a cui attribuire tanta potenza. Solo verso quella donna nostra nemica nutro un odio mortale - soprattutto dopo che l'abbiamo perseguitata nel tempio e poi nella sua casa di Nazaret -, perché siamo sempre stati vinti dalla virtù che la fortifica e con cui ella ci ha resistito, rimanendo invincibile e superiore alla nostra malizia; mai ho potuto esaminare il suo cuore o toccarla nella persona. Costei ha un figlio, ed entrambi assistettero alla morte del padre di lui; in quella circostanza non fu possibile a nessuno di noi avvicinarsi a dove stavano loro. È gente povera e abbandonata ed ella è una donnicciola ritirata e solitaria, ma presumo che figlio e madre siano giusti, perché ho sempre cercato di spingerli ai vizi comuni agli uomini e non ho mai potuto ottenere da loro il minimo disordine o un qualche movimento vizioso di quelli tanto frequenti e naturali in tutti gli altri. So che l'onnipotente Dio mi nasconde lo stato di queste due anime e il fatto di avermi celato se sono giuste o peccatrici senza dubbio è indice di qualche mistero imperscrutabile contro di noi. Infatti, sebbene sia già successo che ci sia stato nascosto lo stato di altre anime, ciò è accaduto molto raramente e l'occultamento non è mai stato tanto come adesso. Se anche quest'uomo non fosse il Messia promesso, egli e sua madre sarebbero per lo meno giusti e nostri nemici e tanto basta perché li perseguitiamo, procuriamo di farli cadere e di scoprire chi sono. Seguitemi tutti in quest'impresa con grande impegno, perché io sarò il primo nella lotta contro di loro».
937. Con tale esortazione satana terminò il suo lungo ragionamento, nel quale aveva proposto ai demoni molte altre considerazioni e ammonimenti di malvagità, che non occorre riferire; infatti in questa storia tratterò a più riprese di tali segreti, oltre a ciò che ho già scritto per sventare l'astuzia del velenoso serpente. Il principe delle tenebre uscì subito dall'inferno, seguito da innumerevoli legioni di demoni, che si sparsero per tutto il mondo, percorrendolo molte volte e cercando con la loro malizia i giusti. Tentarono quelli che riconobbero tali e provocarono questi ed altri a iniquità ordite dalla loro scaltrezza. Ma la sapienza di Cristo nostro Signore nascose per molti giorni alla superbia di Lucifero la sua persona e quella della sua Madre santissima, e non permise che egli le vedesse né che le conoscesse finché sua Maestà non se ne andò nel deserto, dove, al termine del suo lungo digiuno, volle essere tentato.
938. Al Maestro divino era tutto manifesto, e quando si riunì questo conciliabolo sua Maestà si rivolse all'eterno Padre con una speciale preghiera contro la malizia del diavolo. Disse fra l'altro: «Eterno Dio altissimo e Padre mio, io vi adoro e magnifico il vostro essere infinito ed immutabile; vi confesso immenso e sommo bene e mi offro in sacrificio alla vostra divina volontà per vincere e schiacciare le forze infernali e i loro consigli perversi contro le mie creature. Io combatterò contro i miei e loro nemici, e con le mie opere e le mie vittorie sul dragone sarò per loro un esempio di ciò che devono fare contro di lui; egli sarà indebolito e non potrà più afferrare con la sua malvagità quelli che mi serviranno di cuore. Difendete, o Padre mio, le anime dagli inganni e dall'atavica crudeltà del serpente e dei suoi seguaci; concedete ai giusti la forza onnipotente della vostra destra, affinché per la mia intercessione e la mia morte trionfino sulle tentazioni e sui pericoli che incontreranno». Nello stesso tempo, la nostra gran Signora e regina conobbe l'iniquità e gli ammonimenti di Lucifero, vide nel suo Figlio santissimo tutto ciò che stava succedendo e la preghiera che egli pronunciava; come coadiutrice di queste vittorie, rivolse all'eterno Padre la stessa orazione e le medesime richieste. L'Altissimo esaudì Gesù e Maria e concesse loro grandi aiuti e premi per quelli che, chiedendo il loro soccorso, avrebbero combattuto contro il demonio; in tal modo, colui che avesse invocato il loro nome con riverenza e fede avrebbe schiacciato i nemici infernali e li avrebbe allontanati da sé in virtù della preghiera e delle vittorie che Gesù Cristo nostro salvatore e Maria santissima conseguirono. Con la protezione che Figlio e Madre ci lasciarono contro questo superbo gigante e con tanti altri rimedi che il Signore ha raccolto nella sua santa Chiesa, non abbiamo nessuna scusa se non combattiamo legittimamente e coraggiosamente, vincendo il demonio come nemico di Dio e nostro, seguendo il Salvatore ed imitando il suo esemplare trionfo.
Insegnamento della Regina del cielo
939. Figlia mia, piangi sempre con amarezza e dolore la dura pertinacia e cecità dei mortali nel non comprendere la protezione amorevole che trovano nel mio Figlio dolcissimo e in me per tutte le loro tribolazioni e necessità. Il mio Signore non si è mai risparmiato, né c'è stata occasione in cui, potendo acquistare loro inestimabili tesori, abbia tralasciato di farlo. Per essi ha riunito nella santa Chiesa il valore infinito dei suoi meriti e l'essenziale frutto delle sue sofferenze e della sua morte; ha lasciato loro pegni sicuri del suo amore e della sua gloria, facili ed efficacissimi strumenti mediante i quali godere e utilizzare tutti questi beni per la propria salvezza eterna. Oltre a ciò, dona agli uomini di tutti i tempi la sua protezione e la mia, li ama come figli, li accarezza come suoi diletti ed amici, li chiama con ispirazioni, li invita con benefici e vere ricchezze, li aspetta come padre pietosissimo, li cerca come pastore, li aiuta come onnipotente, li premia come infinitamente ricco, li governa come re fortissimo. Eppure essi dimenticano e disprezzano tutti questi ed altri innumerevoli favori che la Chiesa offre loro continuamente e che hanno innanzi agli occhi; come ciechi amano le tenebre e si danno in potere dell'odio e del furore di nemici così crudeli. Ascoltano le menzogne di costoro e ubbidiscono alla loro malvagità; danno credito ai loro inganni e si fidano, abbandonandovisi, dell'insaziabile e ardente sdegno di Lucifero, che odia i mortali e procura la loro morte eterna perché creature dell'Altissimo, il quale vinse e debellò questo terribile dragone.
940. Considera dunque, o carissima, il deplorevole errore dei figli degli uomini e libera le tue facoltà per valutare la differenza tra Cristo e Belial. La distanza dell'uno dall'altro è maggiore di quella del cielo dalla terra. Cristo è vera luce, via e vita eterna; ama indefettibilmente quelli che lo seguono, offre loro la compagnia e la visione di sé e, in questa, un eterno riposo che occhi non videro, né orecchi udirono, né può essere immaginato dal pensiero umano. Il diavolo è la tenebra stessa, è errore, inganno, infelicità e morte; detesta i suoi seguaci e li spinge a tutto il male che può, cosicché la loro fine sarà quella di subire crudelissime pene e fuoco eterno. Dicano adesso i mortali: ignorano forse queste verità che la santa Chiesa insegna e propone loro giornalmente? E se vi danno credito e le confessano, dov'è il loro senno? Chi li ha resi stolti? Chi fa dimenticare loro il medesimo amore che hanno per se stessi? Oh, pazzia dei figli di Adamo, mai abbastanza misurata e pianta! Faticare tanto e darsi da fare per tutto il tempo della vita al fine di avvilupparsi nelle proprie passioni, per perdere il senno dietro a ciò che è ingannevole e per darsi in braccio al fuoco inestinguibile, alla morte e alla perdizione eterna come se fosse un gioco, come se il mio Figlio santissimo non fosse venuto dal cielo in terra a morire su una croce per meritare loro questo riscatto! Considerino il prezzo e conosceranno il peso e il valore di ciò che tanto costò al medesimo Dio.
941. In quest'infelicissimo errore è meno grave il peccato degli idolatri e dei pagani, tanto che l'indignazione dell'Altissimo non si rivolge contro di loro ma contro i fedeli, figli della santa Chiesa, che sono arrivati a comprendere la luce di questa verità. E se questi nel secolo presente l'hanno così oscurata e dimenticata, sappiano che ciò è accaduto per loro colpa e per aver aiutato il loro nemico. In nessun'altra cosa Lucifero si adopera con infaticabile malizia come in questa, procurando di rendere gli uomini privi di ogni freno; così, incuranti delle realtà ultime che li riguardano e dei tormenti eterni che li aspettano, come bruti senza ragione si danno in preda ai piaceri della carne. Inoltre, dimenticando se stessi e spendendo la vita nei beni apparenti, scendono poi in un attimo all'inferno, come dice Giobbe; ciò avviene di fatto ad infiniti sciocchi, che odiano questa conoscenza e disciplina. Tu, figlia mia, lasciati istruire dal mio insegnamento, allontanati da un inganno così pernicioso e dalla comune smemorataggine dei mondani. Risuoni sempre nel tuo orecchio quel lamentevole e disperato grido dei dannati, che incomincerà dalla fine della loro vita e dal principio della loro morte eterna: «Oh, noi insensati, che giudicammo pazzia la vita dei giusti! Oh, come sono collocati tra i figli di Dio e partecipano alla beatitudine dei santi! Dunque noi rifiutammo il cammino della verità e della giustizia! Il sole non nacque per noi! Ci stancammo nella via della malvagità e della perdizione e cercammo sentieri difficili, ignorando per colpa nostra la strada del Signore. A che ci è giovata la superbia? A cosa ci valse l'onore delle ricchezze? Tutto è finito per noi come ombra! Oh, non fossimo mai nati!». Questo è, figlia mia, ciò che devi temere e considerare nel tuo cuore: osserva attentamente quanto ti convenga fuggire ed allontanarti dal male ed operare il bene prima che tu vada, senza ritornare, verso quella terra tenebrosa delle caverne eternali. Ora che sei viatrice esegui per amore ciò che, con dispetto e già condannati, i reprobi rimpiangono a causa del castigo.
12-13 Luglio 4, 1917 Tutte le pene delle creature furono sofferte prima da Gesù. Chi fa la Divina Volontà, sta insieme con Gesù nel tabernacolo.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando il mio solito stato, io mi sentivo un po’ sofferente, ed il mio adorabile Gesù, nel venire si è messo di fronte a me, e pareva che tra me e Gesù vi erano tanti fili elettrici di comunicazione, e mi ha detto:
(2) “Figlia mia, ogni pena che l’anima soffre è una comunicazione di più che l’anima acquista, perché tutte le pene che la creatura può soffrire, furono sofferte prima da Me nella mia Umanità, e presero posto nell’ordine divino; e siccome la creatura non può soffrirle tutte insieme, la mia bontà le comunica a poco a poco, e come le comunica, così crescono le catene d’unione con Me, e non solo le pene, ma tutto ciò che la creatura può fare di bene, così i vincoli di concatenamento si svolgono tra Me e lei”.
(3) Un altro giorno pensavo tra me al bene che le altre anime hanno di starsi innanzi al Santissimo Sacramento, mentre io, poveretta, ne ero priva, ed il benedetto Gesù mi ha detto:
(4) “Figlia mia, chi fa la mia Volontà sta insieme con Me nel tabernacolo, e prende parte alle mie pene, alle freddezze, alle irriverenze, a tutto, che le stesse anime fanno alla mia presenza Sacramentale. Chi fa la mia Volontà deve primeggiare in tutto, l’è riservato sempre il posto d’onore, quindi, chi riceve più bene, chi sta davanti a Me, o chi sta con Me? Per chi fa la mia Volontà non tollero neppure un passo di distanza tra Me e lei, non divisione di pene o di gioie; forse la terrò in croce, ma sempre con Me. Ecco perciò ti voglio sempre nel mio Volere, per darti il primo posto sul mio cuore Sacramentato; voglio sentire il tuo cuore palpitante nel mio, con lo stesso mio amore e dolore; voglio sentire il tuo volere nel mio, che moltiplicandosi in tutti mi dia con un solo atto le riparazioni di tutti e l’amore di tutti; ed il mio Volere nel tuo, che facendo mia la tua povera umanità, la eleva innanzi alla Maestà del Padre come mia vittima continuata”.