Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 7° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 9
1Passando vide un uomo cieco dalla nascita2e i suoi discepoli lo interrogarono: "Rabbì, chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché egli nascesse cieco?".3Rispose Gesù: "né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è così perché si manifestassero in lui le opere di Dio.4Dobbiamo compiere le opere di colui che mi ha mandato finché è giorno; poi viene la notte, quando nessuno può più operare.5Finché sono nel mondo, sono la luce del mondo".6Detto questo sputò per terra, fece del fango con la saliva, spalmò il fango sugli occhi del cieco7e gli disse: "Va' a lavarti nella piscina di Sìloe (che significa Inviato)". Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva.8Allora i vicini e quelli che lo avevano visto prima, poiché era un mendicante, dicevano: "Non è egli quello che stava seduto a chiedere l'elemosina?".9Alcuni dicevano: "È lui"; altri dicevano: "No, ma gli assomiglia". Ed egli diceva: "Sono io!".10Allora gli chiesero: "Come dunque ti furono aperti gli occhi?".11Egli rispose: "Quell'uomo che si chiama Gesù ha fatto del fango, mi ha spalmato gli occhi e mi ha detto: Va' a Sìloe e lavati! Io sono andato e, dopo essermi lavato, ho acquistato la vista".12Gli dissero: "Dov'è questo tale?". Rispose: "Non lo so".
13Intanto condussero dai farisei quello che era stato cieco:14era infatti sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto del fango e gli aveva aperto gli occhi.15Anche i farisei dunque gli chiesero di nuovo come avesse acquistato la vista. Ed egli disse loro: "Mi ha posto del fango sopra gli occhi, mi sono lavato e ci vedo".16Allora alcuni dei farisei dicevano: "Quest'uomo non viene da Dio, perché non osserva il sabato". Altri dicevano: "Come può un peccatore compiere tali prodigi?". E c'era dissenso tra di loro.17Allora dissero di nuovo al cieco: "Tu che dici di lui, dal momento che ti ha aperto gli occhi?". Egli rispose: "È un profeta!".18Ma i Giudei non vollero credere di lui che era stato cieco e aveva acquistato la vista, finché non chiamarono i genitori di colui che aveva ricuperato la vista.19E li interrogarono: "È questo il vostro figlio, che voi dite esser nato cieco? Come mai ora ci vede?".20I genitori risposero: "Sappiamo che questo è il nostro figlio e che è nato cieco;21come poi ora ci veda, non lo sappiamo, né sappiamo chi gli ha aperto gli occhi; chiedetelo a lui, ha l'età, parlerà lui di se stesso".22Questo dissero i suoi genitori, perché avevano paura dei Giudei; infatti i Giudei avevano già stabilito che, se uno lo avesse riconosciuto come il Cristo, venisse espulso dalla sinagoga.23Per questo i suoi genitori dissero: "Ha l'età, chiedetelo a lui!".
24Allora chiamarono di nuovo l'uomo che era stato cieco e gli dissero: "Dà gloria a Dio! Noi sappiamo che quest'uomo è un peccatore".25Quegli rispose: "Se sia un peccatore, non lo so; una cosa so: prima ero cieco e ora ci vedo".26Allora gli dissero di nuovo: "Che cosa ti ha fatto? Come ti ha aperto gli occhi?".27Rispose loro: "Ve l'ho già detto e non mi avete ascoltato; perché volete udirlo di nuovo? Volete forse diventare anche voi suoi discepoli?".28Allora lo insultarono e gli dissero: "Tu sei suo discepolo, noi siamo discepoli di Mosè!29Noi sappiamo infatti che a Mosè ha parlato Dio; ma costui non sappiamo di dove sia".30Rispose loro quell'uomo: "Proprio questo è strano, che voi non sapete di dove sia, eppure mi ha aperto gli occhi.31Ora, noi sappiamo che Dio non ascolta i peccatori, ma se uno è timorato di Dio e fa la sua volontà, egli lo ascolta.32Da che mondo è mondo, non s'è mai sentito dire che uno abbia aperto gli occhi a un cieco nato.33Se costui non fosse da Dio, non avrebbe potuto far nulla".34Gli replicarono: "Sei nato tutto nei peccati e vuoi insegnare a noi?". E lo cacciarono fuori.
35Gesù seppe che l'avevano cacciato fuori, e incontratolo gli disse: "Tu credi nel Figlio dell'uomo?".36Egli rispose: "E chi è, Signore, perché io creda in lui?".37Gli disse Gesù: "Tu l'hai visto: colui che parla con te è proprio lui".38Ed egli disse: "Io credo, Signore!". E gli si prostrò innanzi.39Gesù allora disse: "Io sono venuto in questo mondo per giudicare, perché coloro che non vedono vedano e quelli che vedono diventino ciechi".40Alcuni dei farisei che erano con lui udirono queste parole e gli dissero: "Siamo forse ciechi anche noi?".41Gesù rispose loro: "Se foste ciechi, non avreste alcun peccato; ma siccome dite: Noi vediamo, il vostro peccato rimane".
Primo libro dei Re 15
1Nell'anno diciottesimo del re Geroboamo, figlio di Nebàt, divenne re su Giuda Abiam.2Egli regnò tre anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Assalonne.3Egli imitò tutti i peccati che suo padre aveva commessi prima di lui; il suo cuore non fu sottomesso al Signore suo Dio, come lo era stato il cuore di Davide suo antenato.4Ma, per amore di Davide, il Signore suo Dio gli concesse una lampada in Gerusalemme, innalzandone il figlio dopo di lui e rendendo stabile Gerusalemme,5perché Davide aveva fatto ciò che è giusto agli occhi del Signore e non aveva traviato dai comandi che il Signore gli aveva impartiti, durante tutta la sua vita, se si eccettua il caso di Uria l'Hittita.
6Le altre gesta di Abiam, tutte le sue azioni, sono descritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda.7Ci fu guerra fra Abiam e Geroboamo.8Abiam si addormentò con i suoi padri; lo seppellirono nella città di Davide e al suo posto divenne re suo figlio Asa.
9Nell'anno ventesimo di Geroboamo, re di Israele, divenne re su Giuda Asa.10Costui regnò quarantun anni in Gerusalemme. Sua madre si chiamava Maaca, figlia di Assalonne.11Asa, come Davide suo antenato, fece ciò che è giusto agli occhi del Signore.12Eliminò i prostituti sacri dal paese e allontanò tutti gli idoli eretti da suo padre.13Anche sua madre Maaca egli privò della dignità di regina madre, perché essa aveva eretto un obbrobrio in onore di Asera; Asa abbatté l'obbrobrio e lo bruciò nella valle del torrente Cedron.14Ma non scomparvero le alture, anche se il cuore di Asa si mantenne integro nei riguardi del Signore per tutta la sua vita.15Fece portare nel tempio le offerte consacrate da suo padre e quelle consacrate da lui stesso, consistenti in argento, oro e vasi.
16Ci fu guerra fra Asa e Baasa, re di Israele, per tutta la loro vita.17Baasa, re di Israele, assalì Giuda; egli fortificò Rama per impedire le comunicazioni con Asa re di Giuda.18Asa prese tutto l'argento e l'oro depositato nei tesori del tempio e nei tesori della reggia, li consegnò ai suoi ministri, che li portarono per ordine del re Asa a Ben-Hadàd, figlio di Tab-Rimmòn, figlio di Chezion, re d'Aram, che risiedeva in Damasco, con la proposta:19"Ci sia un'alleanza fra me e te, come ci fu fra mio padre e tuo padre. Ecco ti mando un dono d'argento e d'oro. Su, rompi la tua alleanza con Baasa, re di Israele, sì che egli si ritiri da me".20Ben-Hadàd ascoltò il re Asa; mandò contro le città di Israele i capi delle sue forze armate, occupò Iion, Dan, Abel-Bet-Maaca e l'intera regione di Genèsaret, compreso tutto il territorio di néftali.21Quando lo seppe, Baasa smise di fortificare Rama e tornò in Tirza.22Allora il re Asa convocò tutti quelli di Giuda, senza esclusione alcuna; costoro presero da Rama le pietre e il legname che Baasa aveva usato per le costruzioni. Con tale materiale il re Asa fortificò Gheba di Beniamino e Mizpà.
23Le altre gesta di Asa, tutte le sue prodezze e tutte le sue azioni, le città che egli edificò, sono descritte nel libro delle Cronache dei re di Giuda. Egli nella sua vecchiaia ebbe la podàgra.24Asa si addormentò con i suoi padri; fu sepolto nella città di Davide suo antenato e al suo posto divenne re suo figlio Giòsafat.
25Nadàb, figlio di Geroboamo, divenne re d'Israele nell'anno secondo di Asa, re di Giuda, e regnò su Israele tre anni.26Egli fece ciò che è male agli occhi del Signore, imitando la condotta di suo padre e il peccato che questi aveva fatto commettere a Israele.27Contro di lui congiurò Baasa figlio di Achia, della casa di Ìssacar, e lo assassinò in Ghibbeton che apparteneva ai Filistei, mentre Nadàb e tutto Israele assediavano Ghibbeton.28Baasa lo uccise nell'anno terzo di Asa re di Giuda, e divenne re al suo posto.29Appena divenuto re, egli distrusse tutta la famiglia di Geroboamo: non lasciò vivo nessuno di quella stirpe, ma la distrusse tutta, secondo la parola del Signore pronunziata per mezzo del suo servo Achia di Silo,30a causa dei peccati di Geroboamo, commessi da lui e fatti commettere a Israele, e a causa dello sdegno a cui aveva provocato il Signore Dio di Israele.
31Le altre gesta di Nadàb e tutte le sue azioni sono descritte nel libro delle Cronache dei re di Israele.32Ci fu guerra fra Asa e Baasa, re di Israele, per tutta la loro vita.((16))
33Nell'anno terzo di Asa, re di Giuda, Baasa, figlio di Achia, divenne re d'Israele in Tirza. Regnò ventiquattro anni.34Fece ciò che è male agli occhi del Signore, imitando la condotta di Geroboamo e il peccato che questi aveva fatto commettere a Israele.
Siracide 37
1Ogni amico dice: "Anch'io ti sono amico",
ma esiste l'amico che lo è solo di nome.
2Non è forse un dolore mortale
un compagno e un amico trasformatosi in nemico?
3O inclinazione malvagia, da dove sei balzata,
per ricoprire la terra con la tua malizia?
4Il compagno si rallegra con l'amico nella felicità,
ma al momento della disgrazia gli sarà ostile.
5Il compagno soffre con l'amico per ragioni di stomaco,
ma di fronte al conflitto prenderà lo scudo.
6Non ti dimenticare dell'amico dell'anima tua,
non scordarti di lui nella tua prosperità.
7Ogni consigliere suggerisce consigli,
ma c'è chi consiglia a proprio vantaggio.
8Guàrdati da un consigliere,
infòrmati quali siano le sue necessità
- egli nel consigliare penserà al suo interesse -
perché non getti la sorte su di te
9e dica: "La tua via è buona",
poi si terrà in disparte per vedere quanto ti accadrà.
10Non consigliarti con chi ti guarda di sbieco,
nascondi la tua intenzione a quanti ti invidiano.
11Non consigliarti con una donna sulla sua rivale,
con un pauroso sulla guerra,
con un mercante sul commercio,
con un compratore sulla vendita,
con un invidioso sulla riconoscenza,
con uno spietato sulla bontà di cuore,
con un pigro su un'iniziativa qualsiasi,
con un mercenario annuale sul raccolto,
con uno schiavo pigro su un gran lavoro;
non dipendere da costoro per nessun consiglio.
12Invece frequenta spesso un uomo pio,
che tu conosci come osservante dei comandamenti
e la cui anima è come la tua anima;
se tu inciampi, saprà compatirti.
13Segui il consiglio del tuo cuore,
perché nessuno ti sarà più fedele di lui.
14La coscienza di un uomo talvolta suole avvertire
meglio di sette sentinelle collocate in alto per spiare.
15Al di sopra di tutto questo prega l'Altissimo
perché guidi la tua condotta secondo verità.
16Principio di ogni opera è la ragione,
prima di ogni azione è bene riflettere.
17Radice dei pensieri è il cuore,
queste quattro parti ne derivano:
18bene e male, vita e morte,
ma su tutto domina sempre la lingua.
19C'è l'uomo esperto maestro di molti,
ma inutile per se stesso.
20C'è chi posa a saggio nei discorsi ed è odioso,
a costui mancherà ogni nutrimento;
21non gli è stato concesso il favore del Signore,
poiché è privo di ogni sapienza.
22C'è chi è saggio solo per se stesso,
i frutti della sua scienza sono sicuri.
23Un uomo saggio istruisce il suo popolo,
dei frutti della sua intelligenza ci si può fidare.
24Un uomo saggio è colmato di benedizioni,
quanti lo vedono lo proclamano beato.
25La vita dell'uomo ha i giorni contati;
ma i giorni di Israele sono senza numero.
26Il saggio otterrà fiducia tra il suo popolo,
il suo nome vivrà per sempre.
27Figlio, nella tua vita prova te stesso,
vedi quanto ti nuoce e non concedertelo.
28Difatti non tutto conviene a tutti
e non tutti approvano ogni cosa.
29Non essere ingordo per qualsiasi ghiottoneria,
non ti gettare sulle vivande,
30perché l'abuso dei cibi causa malattie,
l'ingordigia provoca coliche.
Molti sono morti per ingordigia,
chi si controlla vivrà a lungo.
Salmi 31
1'Al maestro del coro. Salmo. Di Davide.'
2In te, Signore, mi sono rifugiato,
mai sarò deluso;
per la tua giustizia salvami.
3Porgi a me l'orecchio,
vieni presto a liberarmi.
Sii per me la rupe che mi accoglie,
la cinta di riparo che mi salva.
4Tu sei la mia roccia e il mio baluardo,
per il tuo nome dirigi i miei passi.
5Scioglimi dal laccio che mi hanno teso,
perché sei tu la mia difesa.
6Mi affido alle tue mani;
tu mi riscatti, Signore, Dio fedele.
7Tu detesti chi serve idoli falsi,
ma io ho fede nel Signore.
8Esulterò di gioia per la tua grazia,
perché hai guardato alla mia miseria,
hai conosciuto le mie angosce;
9non mi hai consegnato nelle mani del nemico,
hai guidato al largo i miei passi.
10Abbi pietà di me, Signore, sono nell'affanno;
per il pianto si struggono i miei occhi,
la mia anima e le mie viscere.
11Si consuma nel dolore la mia vita,
i miei anni passano nel gemito;
inaridisce per la pena il mio vigore,
si dissolvono tutte le mie ossa.
12Sono l'obbrobrio dei miei nemici,
il disgusto dei miei vicini,
l'orrore dei miei conoscenti;
chi mi vede per strada mi sfugge.
13Sono caduto in oblio come un morto,
sono divenuto un rifiuto.
14Se odo la calunnia di molti, il terrore mi circonda;
quando insieme contro di me congiurano,
tramano di togliermi la vita.
15Ma io confido in te, Signore;
dico: "Tu sei il mio Dio,
16nelle tue mani sono i miei giorni".
Liberami dalla mano dei miei nemici,
dalla stretta dei miei persecutori:
17fa' splendere il tuo volto sul tuo servo,
salvami per la tua misericordia.
18Signore, ch'io non resti confuso, perché ti ho invocato;
siano confusi gli empi, tacciano negli inferi.
19Fa' tacere le labbra di menzogna,
che dicono insolenze contro il giusto
con orgoglio e disprezzo.
20Quanto è grande la tua bontà, Signore!
La riservi per coloro che ti temono,
ne ricolmi chi in te si rifugia
davanti agli occhi di tutti.
21Tu li nascondi al riparo del tuo volto,
lontano dagli intrighi degli uomini;
li metti al sicuro nella tua tenda,
lontano dalla rissa delle lingue.
22Benedetto il Signore,
che ha fatto per me meraviglie di grazia
in una fortezza inaccessibile.
23Io dicevo nel mio sgomento:
"Sono escluso dalla tua presenza".
Tu invece hai ascoltato la voce della mia preghiera
quando a te gridavo aiuto.
24Amate il Signore, voi tutti suoi santi;
il Signore protegge i suoi fedeli
e ripaga oltre misura l'orgoglioso.
25Siate forti, riprendete coraggio,
o voi tutti che sperate nel Signore.
Ezechiele 40
1Al principio dell'anno venticinquesimo della nostra deportazione, il dieci del mese, quattordici anni da quando era stata presa la città, in quel medesimo giorno, la mano del Signore fu sopra di me ed egli mi condusse là.2In visione divina mi condusse nella terra d'Israele e mi pose sopra un monte altissimo sul quale sembrava costruita una città, dal lato di mezzogiorno.3Egli mi condusse là: ed ecco un uomo, il cui aspetto era come di bronzo, in piedi sulla porta, con una cordicella di lino in mano e una canna per misurare.4Quell'uomo mi disse: "Figlio dell'uomo: osserva e ascolta attentamente e fa' attenzione a quanto io sto per mostrarti, perché tu sei stato condotto qui perché io te lo mostri e tu manifesti alla casa d'Israele quello che avrai visto".
5Ed ecco il tempio era tutto recinto da un muro. La canna per misurare che l'uomo teneva in mano era di sei cubiti, d'un cubito e un palmo ciascuno. Egli misurò lo spessore del muro: era una canna, e l'altezza una canna.
6Poi andò alla porta che guarda a oriente, salì i gradini e misurò la soglia della porta; era una canna di larghezza.7Ogni stanza misurava una canna di lunghezza e una di larghezza, da una stanza all'altra vi erano cinque cubiti: anche la soglia del portico dal lato dell'atrio della porta stessa, verso l'interno, era di una canna.8Misurò l'atrio della porta: era di otto cubiti;9i pilastri di due cubiti. L'atrio della porta era verso l'interno.
10Le stanze della porta a oriente erano tre da una parte e tre dall'altra, tutt'e tre della stessa grandezza, come di una stessa misura erano i pilastri da una parte e dall'altra.11Misurò la larghezza dell'apertura del portico: era di dieci cubiti; l'ampiezza della porta era di tredici cubiti.12Davanti alle stanze vi era un parapetto di un cubito, da un lato e dall'altro; ogni stanza misurava sei cubiti per lato.13Misurò poi il portico dal tetto di una stanza al suo opposto; la larghezza era di venticinque cubiti; da un'apertura all'altra;14i pilastri li calcolò alti sessanta cubiti, dai pilastri cominciava il cortile che circondava la porta.15Dalla facciata della porta d'ingresso alla facciata dell'atrio della porta interna vi era uno spazio di cinquanta cubiti.16Le stanze e i pilastri avevano finestre con grate verso l'interno, intorno alla porta, come anche vi erano finestre intorno che davano sull'interno dell'atrio. Sui pilastri erano disegnate palme.
17Poi mi condusse nel cortile esterno e vidi delle stanze e un lastricato costruito intorno al cortile; trenta erano le stanze lungo il lastricato.18Il lastricato si estendeva ai lati delle porte per una estensione uguale alla larghezza delle porte stesse: era il lastricato inferiore.19Misurò lo spazio dalla facciata della porta inferiore da oriente a settentrione alla facciata della porta interna, erano cento cubiti.
20Poi misurò la lunghezza e la larghezza della porta che guarda a settentrione e conduce al cortile esterno.21Le sue stanze, tre da una parte e tre dall'altra, i pilastri, l'atrio avevano le stesse dimensioni della prima porta: cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.22Le finestre, l'atrio e le palme avevano le stesse dimensioni di quelle della porta che guarda a oriente. Vi si accedeva per sette scalini: l'atrio era davanti.23Di fronte al portico di settentrione vi era la porta, come di fronte a quello di oriente; misurò la distanza fra portico e portico: vi erano cento cubiti.
24Mi condusse poi verso mezzogiorno: ecco un portico rivolto a mezzogiorno. Ne misurò i pilastri e l'atrio; avevano le stesse dimensioni.25Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre uguali alle altre finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.26Vi si accedeva per sette gradini: il vestibolo stava verso l'interno. Sui pilastri, da una parte e dall'altra, vi erano ornamenti di palme.27Il cortile interno aveva un portico verso mezzogiorno; egli misurò la distanza fra porta e porta in direzione del mezzogiorno; erano cento cubiti.
28Allora mi introdusse nell'atrio interno, per il portico meridionale, e misurò questo portico; aveva le stesse dimensioni.29Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le medesime misure. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.
30Intorno vi erano vestiboli di venticinque cubiti di lunghezza per cinque di larghezza.
31Il suo vestibolo era rivolto verso l'atrio esterno; sui pilastri c'erano ornamenti di palme; i gradini per i quali si accedeva erano otto.
32Poi mi condusse al portico dell'atrio interno che guarda a oriente e lo misurò: aveva le solite dimensioni.33Le stanze, i pilastri e l'atrio avevano le stesse dimensioni. Intorno al portico, come intorno all'atrio, vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.34Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno: sui pilastri, da una parte e dall'altra vi erano ornamenti di palme: i gradini per i quali si accedeva erano otto.
35Poi mi condusse al portico settentrionale e lo misurò: aveva le solite dimensioni,36come le stanze, i pilastri e l'atrio. Intorno vi erano finestre. Esso misurava cinquanta cubiti di lunghezza per venticinque di larghezza.37Il suo vestibolo dava sull'atrio esterno; sui pilastri, da una parte e dall'altra, c'erano ornamenti di palme: i gradini per cui vi si accedeva erano otto.
38C'era anche una stanza con la porta vicino ai pilastri dei portici; là venivano lavati gli olocausti.39Nell'atrio del portico vi erano due tavole da una parte e due dall'altra, sulle quali venivano sgozzati gli olocausti e i sacrifici espiatori e di riparazione.40Altre due tavole erano sul lato esterno, a settentrione di chi entra nel portico, e due tavole all'altro lato presso l'atrio del portico.41Così a ciascun lato del portico c'erano quattro tavole da una parte e quattro tavole dall'altra: otto tavole in tutto. Su di esse si sgozzavano le vittime.42C'erano poi altre quattro tavole di pietre squadrate, per gli olocausti, lunghe un cubito e mezzo, larghe un cubito e mezzo e alte un cubito: su di esse venivano deposti gli strumenti con i quali si immolavano gli olocausti e gli altri sacrifici.43Uncini d'un palmo erano attaccati all'interno tutt'intorno; sulle tavole si mettevano le carni delle offerte.
44Fuori del portico interno, nell'atrio interno, vi erano due stanze: quella accanto al portico settentrionale guardava a mezzogiorno, l'altra accanto al portico meridionale guardava a settentrione.45Egli mi disse: "La stanza che guarda a mezzogiorno è per i sacerdoti che hanno cura del tempio,46mentre la stanza che guarda a settentrione è per i sacerdoti che hanno cura dell'altare: sono essi i figli di Zadòk che, tra i figli di Levi, si avvicinano al Signore per il suo servizio".
47Misurò quindi l'atrio: era un quadrato di cento cubiti di larghezza per cento di lunghezza. L'altare era di fronte al tempio.
48Mi condusse poi nell'atrio del tempio e ne misurò i pilastri: erano ognuno cinque cubiti da una parte e cinque cubiti dall'altra; la larghezza del portico: tre cubiti da una parte e tre cubiti dall'altra.49La lunghezza del vestibolo era di venti cubiti e la larghezza di dodici cubiti. Vi si accedeva per mezzo di dieci gradini; accanto ai pilastri c'erano due colonne, una da una parte e una dall'altra.
Seconda lettera ai Corinzi 11
1Oh se poteste sopportare un po' di follia da parte mia! Ma, certo, voi mi sopportate.2Io provo infatti per voi una specie di gelosia divina, avendovi promessi a un unico sposo, per presentarvi quale vergine casta a Cristo.3Temo però che, come il serpente nella sua malizia sedusse Eva, così i vostri pensieri vengano in qualche modo traviati dalla loro semplicità e purezza nei riguardi di Cristo.4Se infatti il primo venuto vi predica un Gesù diverso da quello che vi abbiamo predicato noi o se si tratta di ricevere uno spirito diverso da quello che avete ricevuto o un altro vangelo che non avete ancora sentito, voi siete ben disposti ad accettarlo.5Ora io ritengo di non essere in nulla inferiore a questi "superapostoli"!6E se anche sono un profano nell'arte del parlare, non lo sono però nella dottrina, come vi abbiamo dimostrato in tutto e per tutto davanti a tutti.
7O forse ho commesso una colpa abbassando me stesso per esaltare voi, quando vi ho annunziato gratuitamente il vangelo di Dio?8Ho spogliato altre Chiese accettando da loro il necessario per vivere, allo scopo di servire voi.9E trovandomi presso di voi e pur essendo nel bisogno, non sono stato d'aggravio a nessuno, perché alle mie necessità hanno provveduto i fratelli giunti dalla Macedonia. In ogni circostanza ho fatto il possibile per non esservi di aggravio e così farò in avvenire.10Com'è vero che c'è la verità di Cristo in me, nessuno mi toglierà questo vanto in terra di Acaia!
11Questo perché? Forse perché non vi amo? Lo sa Dio!12Lo faccio invece, e lo farò ancora, per troncare ogni pretesto a quelli che cercano un pretesto per apparire come noi in quello di cui si vantano.13Questi tali sono falsi apostoli, operai fraudolenti, che si mascherano da apostoli di Cristo.14Ciò non fa meraviglia, perché anche satana si maschera da angelo di luce.15Non è perciò gran cosa se anche i suoi ministri si mascherano da ministri di giustizia; ma la loro fine sarà secondo le loro opere.
16Lo dico di nuovo: nessuno mi consideri come un pazzo, o se no ritenetemi pure come un pazzo, perché possa anch'io vantarmi un poco.17Quello che dico, però, non lo dico secondo il Signore, ma come da stolto, nella fiducia che ho di potermi vantare.18Dal momento che molti si vantano da un punto di vista umano, mi vanterò anch'io.19Infatti voi, che pur siete saggi, sopportate facilmente gli stolti.20In realtà sopportate chi vi riduce in servitù, chi vi divora, chi vi sfrutta, chi è arrogante, chi vi colpisce in faccia.21Lo dico con vergogna; come siamo stati deboli!
Però in quello in cui qualcuno osa vantarsi, lo dico da stolto, oso vantarmi anch'io.22Sono Ebrei? Anch'io! Sono Israeliti? Anch'io! Sono stirpe di Abramo? Anch'io!23Sono ministri di Cristo? Sto per dire una pazzia, io lo sono più di loro: molto di più nelle fatiche, molto di più nelle prigionie, infinitamente di più nelle percosse, spesso in pericolo di morte.24Cinque volte dai Giudei ho ricevuto i trentanove colpi;25tre volte sono stato battuto con le verghe, una volta sono stato lapidato, tre volte ho fatto naufragio, ho trascorso un giorno e una notte in balìa delle onde.26Viaggi innumerevoli, pericoli di fiumi, pericoli di briganti, pericoli dai miei connazionali, pericoli dai pagani, pericoli nella città, pericoli nel deserto, pericoli sul mare, pericoli da parte di falsi fratelli;27fatica e travaglio, veglie senza numero, fame e sete, frequenti digiuni, freddo e nudità.28E oltre a tutto questo, il mio assillo quotidiano, la preoccupazione per tutte le Chiese.29Chi è debole, che anch'io non lo sia? Chi riceve scandalo, che io non ne frema?
30Se è necessario vantarsi, mi vanterò di quanto si riferisce alla mia debolezza.31Dio e Padre del Signore Gesù, lui che è benedetto nei secoli, sa che non mentisco.32A Damasco, il governatore del re Areta montava la guardia alla città dei Damasceni per catturarmi,33ma da una finestra fui calato per il muro in una cesta e così sfuggii dalle sue mani.
Capitolo XLVI: Affidarsi a Dio quando spuntano parole che feriscono
Leggilo nella Biblioteca1. O figlio, sta saldo e fermo, e spera in me. Che altro sono, le parole, se non parole?: volano al vento, ma non intaccano la pietra. Se sei in colpa, pensa ad emendarti di buona voglia; se ti senti innocente, considera di doverle sopportare lietamente per amor di Dio. Non è gran cosa che tu sopporti talvolta almeno delle parole, tu che non sei capace ancora di sopportare forti staffilate. E perché mai cose tanto da nulla ti feriscono nell'animo, se non perché tu ragioni ancora secondo la carne e dai agli uomini più importanza di quanto sia giusto? Solo per questo, perché hai paura che ti disprezzino, non vuoi che ti rimproverino dei tuoi falli e cerchi di nasconderti dietro qualche scusa. Se guardi più a fondo in te stesso, riconoscerai che il mondo e il vano desiderio di piacere agli uomini sono ancora vivi dentro in te. Se rifuggi dall'esser poco considerato e dall'esser rimproverato per i tuoi difetti, segno è che non sei sinceramente umile né veramente morto al mondo, e che il mondo è per te crocefisso. Ascolta, invece la mia parola e non farai conto neppure di diecimila parole umane. Ecco, anche se molte cose si potessero inventare e dire, con malizia grande, contro di te, che male ti potrebbero fare esse, se tu le lasciassi del tutto passare, non considerandole più che una pagliuzza? Ti potrebbero forse strappare anche un solo capello? Chi non ha spirito di interiorità e non tiene Iddio dinanzi ai suoi occhi, questi si lascia scuotere facilmente da una parola offensiva. Chi invece, senza ricercare il proprio giudizio, si affida a me, questi sarà libero dal timore degli uomini. Sono io, infatti, il giudice, cui sono palesi tutti i segreti; io so come è andata la cosa; io conosco, sia colui che offende sia colui che patisce l'offesa. Quella parola è uscita da me; quel che è avvenuto, è avvenuto perché io l'ho permesso, "affinché fossero rivelati gli intimi pensieri di tutti" (Lc 2,35). Sono io che giudicherò il colpevole e l'innocente; ma voglio che prima siano saggiati, e l'uno e l'altro, al mio arcano giudizio.
2. La testimonianza degli uomini sbaglia frequentemente. Il mio giudizio, invece, è veritiero; resterà e non muterà. Nascosto, per lo più, o aperto via via a pochi, esso non sbaglia né può sbagliare, anche se può sembrare ingiusto agli occhi di chi non ha la sapienza. A me dunque si ricorra per ogni giudizio e non ci si fidi del proprio criterio. Il giusto, infatti non resterà turbato, "qualunque cosa gli venga" da Dio (Pro 12,21). Qualunque cosa sia stata ingiustamente portata contro di lui, non se ne darà molto pensiero; così come non si esalterà vanamente, se, a buon diritto, sarà scagionato da altri. Il giusto considera, infatti, che "sono io colui che scruta i cuori e le reni" (Ap 2,23); io, che non giudico secondo superficiale apparenza umana. Invero, sovente ai miei occhi apparirà condannabile ciò che, secondo il giudizio umano, passa degno di lode. O Signore Dio, "giudice giusto, forte e misericordioso" (Sal 7,12), tu che conosci la fragilità e la cattiveria degli uomini, sii la mia forza e tutta la mia fiducia, ché non mi basta la mia buona coscienza. Tu sai quello che io non so; per questo avrei dovuto umiliarmi dinanzi ad ogni rimprovero e sopportarlo con mansuetudine. Per tutte le volte che mi comportai in tal modo, perdonami, nella tua benevolenza, e dammi di nuovo la grazia di una più grande sopportazione. In verità, a conseguire il perdono, la tua grande misericordia mi giova di più che non mi giovi una mia supposta santità a difesa della mia segreta coscienza. Ché, "pur quando non sentissi di dovermi nulla rimproverare", non potrei per questo ritenermi giusto (1 Cor 4,4); perché, se non fosse per la tua misericordia, "nessun vivente sarebbe giusto, al tuo cospetto" (Sal 142,2).
LETTERA 96: Agostino si congratula con Olimpio per essere stato promosso ad un grado superiore
Lettere - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaScritta ai primi di settembre del 408.
Agostino si congratula con Olimpio per essere stato promosso ad un grado superiore (n. 1) raccomandandogli di appoggiare la petizione di Bonifacio, intesa ad ottenere una sanatoria per una frode commessa contro il fisco imperiale dal suo predecessore Paolo (n. 2-3).
AGOSTINO ALL'AMATISSIMO SIGNORE E FIGLIO OLIMPIO, DEGNO DELLA PIÙ GRANDE CONSIDERAZIONE ED ONORE TRA I MEMBRI DI CRISTO
Congratulazioni.
1. Per quanto elevata sia la tua dignità nella carriera mondana, tuttavia scriviamo con tutta fiducia al nostro carissimo e sincerissimo Olimpio, fratello nel servizio di Cristo. Questo titolo, infatti, sappiamo che è per te più glorioso d'ogni titolo di gloria e più sublime di ogni più alta dignità. Diciamo ciò, perché abbiamo saputo che hai raggiunto una carica più eminente; al momento in cui scriviamo la presente non abbiamo avuto ancora conferma se la notizia sia vera. Noi però sappiamo che hai imparato dal Signore a non aspirare alle grandezze ma ad accontentarti delle cose umili 1; quindi, per quanto eccelsa sia la carica a cui sei stato promosso, immaginiamo che riceverai la nostra lettera con la tua solita disposizione d'animo, amatissimo signore e figlio degno della più grande considerazione tra i membri di Cristo. Non dubitiamo affatto che ti servirai saggiamente della felicità temporale per meritare il premio eterno; siamo sicuri che quanto maggiore è il tuo potere nello Stato terreno, tanto più lo impiegherai per la città celeste che ti ha rigenerato in Cristo. In tal modo riceverai la più abbondante ricompensa nella regione dei viventi 2, della pace vera senza timore e dei gaudi senza fine.
Raccomanda la supplica di Bonifacio.
2. Raccomando nuovamente alla tua carità l'istanza del fratello e del collega d'episcopato Bonifacio nella speranza che possa farsi adesso quanto prima non si è potuto. Potrebbe forse continuare a possedere senza alcuna inchiesta giudiziaria e in piena regola il campo che il suo predecessore aveva comprato, sebbene a nome di un altro, e aveva già cominciato a possedere in nome della Chiesa; siccome però quello era debitore verso il fisco, non voglio avere tale scrupolo nella coscienza, poiché la frode non cessa di esser tale anche se compiuta nei riguardi del fisco. Il suddetto Paolo, dopo essere stato eletto vescovo, aveva intenzione di rinunciare a tutti i suoi beni a causa d'ingenti debiti contratti col fisco; riscosse tuttavia una somma di danaro in base a una cedola di sicurtà che gli era dovuta e comprò, come se fossero destinati alla Chiesa, quei campicelli, per avere di che vivere. Egli però li comprò a nome di una famiglia allora potentissima per non pagare, secondo il suo costume, le tasse dovute al fisco per quei campi e per non aver molestie dagli esattori delle tasse. Orbene, Bonifacio, ordinato vescovo della stessa chiesa alla morte di Paolo, non ha osato prendere possesso di quei campi. Avrebbe potuto chiedere all'imperatore un condono dei soli debiti fiscali contratti nell'acquisto dei suddetti piccoli poderi, ma ha preferito confessare tutta la faccenda: che cioè Paolo li aveva comprati all'asta sborsando di propria tasca, pur essendo già in debito col fisco. Bonifacio agì così perché la Chiesa, se fosse stato possibile, continuasse a possedere quei poderi non in forza di una nascosta iniquità del vescovo, ma della manifesta liberalità dell'imperatore cristiano. Se però ciò non è possibile, è meglio che i servi di Dio sopportino il disagio della povertà anziché possedere, i mezzi necessari a vivere col rimorso della frode.
Appoggiare la pratica di Bonifacio è favorire la Chiesa.
3. Ti prego di appoggiare cortesemente la supplica. Bonifacio non ha voluto allegare il favore ottenuto nella prima petizione per non togliersi la possibilità di una seconda supplica; infatti la risposta ottenuta precedentemente non era conforme ai suoi desideri. Adesso invece siccome la tua bontà è sempre uguale ma il tuo potere è maggiore, noi speriamo, con l'aiuto di Dio e grazie ai tuoi servizi, che facilmente gli sia accordata la grazia. Anche se tu chiedessi quei poderi a nome tuo personale e ne facessi dono alla suddetta Chiesa, chi potrebbe criticare la tua istanza, chi anzi non la loderebbe dal momento che non è diretta a soddisfare una brama terrena, ma a rendere servizio alla pietà cristiana? La misericordia di Dio nostro Signore ti conservi, o mio signore e figlio, sempre più felice in Cristo.
1 - Rm 12, 16; cf. Rm 11, 20.
2 - Sal 114, 9; 26, 13.
18 - La riunione del consiglio per la conclusione del processo contro il salvatore Gesù.
La mistica Città di Dio - Libro sesto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca1297. Gli evangelisti narrano che gli anziani, i sommi sacerdoti e gli
scribi - molto rispettati dal popolo per la conoscenza che avevano della
legge - si riunirono all'alba del venerdì mattina in casa di Caifa,
dove sua Maestà si trovava imprigionato. I membri del sinedrio di comune
accordo volevano concludere il processo di Gesù con la condanna a
morte, come tutti bramavano, pennellando a tal fine la causa del colore
della giustizia per soddisfare la gente. Ordinarono allora che egli
fosse condotto davanti a loro allo scopo di interrogarlo nuovamente. I
soldati subito scesero alla cella e, accostatisi a lui per scioglierlo
dalla roccia, con grandi risa e beffe dissero: «Ehi, Nazareno, quanto
poco ti sono giovati i miracoli per difenderti! Non ti tornerebbero ora a
vantaggio, per fuggire, quelle arti con le quali raccontavi che in tre
giorni avresti riedificato il tempio? Vieni, ti aspetta l'intero
consiglio per mettere fine ai tuoi inganni e darti in potere a Pilato,
in modo che la finisca con te in un solo colpo». Il Signore si lasciò
slegare e portare di fronte ai sommi sacerdoti senza aprire bocca e, pur
essendo sfigurato ed indebolito dai tormenti, dagli schiaffi e dagli
sputi, dai quali avendo le mani incatenate non si era potuto pulire, non
suscitò in loro compassione; tanta era l'ira che nutrivano contro di
lui!
1298. Gli fu chiesto per la seconda volta se egli fosse il
Cristo, cioè l'Unto, con intenzione maliziosa, quindi non per sentire ed
accettare la sua affermazione, ma per denigrarla ed imputargliela come
accusa. Tuttavia, egli non volle negare la verità per la quale
desiderava morire, ma nemmeno confessarla, affinché non la
disprezzassero e la calunnia non apparisse realtà. Moderò, perciò, la
risposta offrendo la possibilità ai farisei, se avessero avuto ancora un
briciolo di pietà, d'investigare con zelo il mistero nascosto nelle sue
parole; se non l'avessero avuto si sarebbe capito che la colpa stava
nel loro malvagio intento e non già nella sua dichiarazione. Dunque
proferì: «Anche se ve lo dicessi, non mi credereste; se vi interrogassi
non mi rispondereste e non mi sleghereste. Vi dico, però, che da questo
momento il Figlio dell'uomo starà seduto alla destra della potenza di
Dio». Allora tutti esclamarono: «Tu dunque sei il Figlio di Dio?». Ed
egli disse loro: «Lo dite voi stessi: io lo sono». E ciò corrispose a
dir loro: è ben legittima la conseguenza da voi tirata, che io sono il
Figlio di Dio, perché le mie azioni e la mia dottrina, le vostre
Scritture e tutto ciò che adesso operate con me attestano che io sono il
Messia promesso.
1299. Ma siccome quell'assemblea di maligni non era
disposta ad accogliere la verità divina - benché, se avesse voluto
ragionare, avrebbe ben potuto ravvisarla e crederla - non la comprese né
le diede importanza, anzi la ritenne un'asserzione blasfema e degna di
condanna. Vedendo che l'Unigenito confermava ciò che prima aveva
rivelato, tutti urlarono: «Che bisogno abbiamo ancora di testimonianza?
L'abbiamo udito noi stessi dalla sua bocca». E subito, concordemente,
decretarono che fosse presentato a Ponzio Pilato, che governava la
provincia della Giudea in nome dell'imperatore romano come signore della
Palestina. In effetti, secondo le leggi che vigevano allora, le cause
di sangue o di morte erano riservate al senato o all'imperatore, oppure
ai suoi ministri, che reggevano le province lontane, senza essere
lasciate al giudizio degli stessi abitanti. Difatti, i romani avevano
stabilito che questioni così gravi, quali erano quelle di togliere la
vita, si discutessero con maggiore attenzione, affinché nessun reo fosse
punito senza essere stato prima ascoltato, e senza che gli fosse stato
concesso del tempo e un luogo per la sua difesa, giacché in quest'ordine
di giustizia essi si conformavano, molto più delle altre nazioni, alla
legge naturale della ragione. Nella causa del Redentore i sommi
sacerdoti e gli scribi vollero che un pagano come Pilato emettesse la
sentenza da loro agognata, al fine di poter proclamare che sua Maestà
era stato condannato dal governatore, il quale non lo avrebbe fatto se
l'accusato non lo avesse meritato. Sino a tal punto i membri del
sinedrio erano ottenebrati dal peccato e dall'ipocrisia, quasi non
fossero stati essi stessi più sacrileghi del giudice gentile ed autori
di tanta scelleratezza! Ma l'Altissimo dispose che ciò si manifestasse a
tutti mediante quello che operarono con Pilato, come ora vedremo.
1300. Quegli empi condussero il nostro Salvatore dal
palazzo di Caifa a quello del governatore, per presentarglielo come un
malfattore, legato con le catene e le corde con le quali lo avevano
catturato. Allora Gerusalemme era piena di gente proveniente da tutte le
parti della Palestina per celebrare la Pasqua dell'agnello e degli
azzimi. A causa del clamore che già si era sparso, e per la notizia che
tutti avevano del Maestro, una innumerevole moltitudine si precipitò a
vederlo flagellato e trascinato lungo le strade. Dinanzi ad uno
spettacolo così osceno e raggelante la folla si divise in varie
opinioni. Alcuni gridavano: «Muoia, muoia questo malvagio ed impostore,
che ha ingannato il mondo»; altri sostenevano che la sua dottrina e le
sue opere non sembravano tanto cattive, perché aveva fatto molto bene a
tutti; altri ancora, quelli che avevano creduto in lui, si affliggevano e
piangevano. L'intera città era pervasa dalla confusione e
dall'agitazione. Lucifero con i suoi demoni stava molto attento a quanto
succedeva e, scoprendosi misteriosamente sopraffatto e tormentato
dall'invincibile pazienza del mansuetissimo Agnello, con insaziabile
furore impazziva nella rabbia e nella sua stessa superbia: sospettava
che quelle virtù, tanto sublimi da sorprenderlo, non potessero
appartenere ad un semplice uomo. D'altra parte presumeva che il
lasciarsi maltrattare e disprezzare in maniera così eccessiva ed il
patire tanta debolezza nel corpo non potessero concordare con l'identità
di vero Dio. «Se lo fosse - pensava - la natura divina nel comunicarsi a
quella umana avrebbe trasmesso effetti così grandi e potenti da non
farla venir meno e da non permettere ciò che in essa si sta compiendo».
Il dragone congetturava in questo modo perché era all'oscuro del segreto
superno: Gesù aveva sospeso gli effetti che avrebbero potuto ridondare
dalla divinità all'umanità, affinché le sue sofferenze potessero
raggiungere il sommo grado. Con questi dubbi si inviperiva ancor più
contro il Messia e, vedendolo tollerare all'inverosimile quelle
atrocità, si ostinava a perseguitarlo volendo conoscere chi realmente
fosse.
1301. Era già spuntato il sole quando si verificarono tali
eventi. L’afflitta Madre, che osservava ogni cosa, decise di abbandonare
il luogo del suo ritiro per seguire direttamente le vicende del Figlio
ed accompagnarlo alla croce; ma mentre usciva dal cenacolo, san
Giovanni, ignorando la visione che ella aveva, sopraggiunse a riferirle
l'accaduto. Dopo il rinnegamento di Pietro, egli si era messo un po' da
parte interessandosi solo da lontano di ciò che avveniva. Ammetteva di
essere colpevole per essere fuggito dall'orto degli Ulivi e non appena
si trovò dinanzi alla Regina la venerò, chiedendole perdono tra le
lacrime; quindi le confessò il suo rammarico e tutto quello che aveva
fatto e sperimentato stando con Cristo. Gli parve opportuno prevenire
Maria affinché, alla vista del suo diletto, non restasse tanto trafitta e
addolorata dall'insolito e straziante spettacolo. E, per descriverlo al
più presto, le rivolse queste parole: «Oh, mia Signora, quanto è
tribolato il nostro Redentore! Non è possibile guardarlo senza che il
cuore si spezzi. Il suo bellissimo volto è tanto deturpato e sfigurato
dagli schiaffi, dai colpi, dagli sputi che a malapena lo
riconoscereste». La prudentissima sovrana, dopo aver ascoltato con tanta
premura quanto le era stato riferito - come se non fosse stata al
corrente di quelle vicende -, si angustiò sciogliendosi in un amarissimo
pianto. Le sante discepole che erano con lei la udirono gemere ed
anch'esse rimasero con l'intimo trapassato dal cordoglio e dallo stupore
nell'apprendere la triste notizia. La Principessa impose all'Apostolo
di seguirla con le devote donne, alle quali suggerì: «Affrettiamo il
passo, perché gli occhi miei vedano il Verbo del Padre che nel mio seno
prese sembianze umane. E voi vi accorgerete, o carissime, di quanto
possa sul mio Dio l'amore che porta ai discendenti di Adamo e di quanto
gli costi redimerli dal peccato e dalla morte e aprir loro le porte del
cielo».
1302. La Vergine si incamminò per le strade di Gerusalemme,
insieme a Giovanni e ad alcune sante compagne, tra cui le tre Marie ed
altre fedelissime che l'assistevano sempre. Pregò i divini messaggeri
addetti alla sua custodia di fare in modo che la calca non le impedisse
di raggiungere il suo Unigenito ed essi ubbidirono subito, vigilando su
di lei con somma diligenza. Lungo le vie per le quali passava,
l'Addolorata sentiva i vari discorsi che la folla faceva e le opinioni
che ciascuno esternava nel raccontare quanto era accaduto al Nazareno. I
pochi uomini pii presenti si rammaricavano, alcuni asserivano che lo
volevano crocifiggere, altri riferivano in quale luogo lo stessero
portando e con quale brutale legatura lo conducessero, come un
facinoroso, ricoprendolo d'infamia. C'era anche chi domandava quali
delitti avesse commesso perché gli fosse inflitto un castigo tanto
crudele. Infine molti, con ammirazione, ma con poca fede, si chiedevano:
«A questo sono valsi i suoi miracoli? Senza dubbio i prodigi compiuti
erano furberie, perché non si è saputo né difendere né liberare». Ogni
parte della città si riempiva di piccoli assembramenti e mormorazioni,
ma l'invincibile Signora in mezzo a tanta agitazione - benché colma
d'incomparabile amarezza - non si turbava, mantenendo l'equilibrio e
intercedendo per i non credenti e i malfattori, come se non avesse avuto
altra preoccupazione che quella di sollecitare in loro favore la grazia
ed il perdono. Ella amava quegli iniqui con una carità talmente
longanime che sembrava aver ricevuto da questi innumerevoli benefici.
Non si sdegnò né si adirò contro i sacrileghi esecutori della passione
del Salvatore, né mostrò indizio di avversione, ma anzi li guardava con
dolcezza, facendo a tutti del bene.
1303. Alcuni di quelli che la incontravano la riconoscevano
e mossi a compassione le dicevano: «Oh, afflitta Madre! Quale sventura
ti è sopraggiunta! Quanto deve essere ferito il tuo cuore!». Altri con
arroganza le rinfacciavano: «Come hai cresciuto male tuo Figlio! Perché
gli permettevi di insinuare nel popolo tante novità? Sarebbe stato
meglio se l'avessi rinchiuso e tenuto a freno, comunque un simile
avvenimento servirà d'esempio alle altre donne, perché apprendano dalla
tua sventura come educare i propri figli». La candidissima colomba udiva
anche discorsi ancor più terribili di questi e nel suo ardente amore
dava il giusto posto ad ogni cosa: accettava la comprensione dei
pietosi, soffriva l'empietà degli increduli, non si meravigliava degli
ingrati e degli insipienti, e implorava l'Altissimo per ciascuno.
1304. In mezzo a questa gran confusione, l'Imperatrice
dell'universo fu guidata dagli spiriti celesti verso il posto in cui
incontrò il Maestro, dinanzi al quale si prostrò con profonda riverenza,
rendendogli culto di fervida adorazione qual mai gli diedero né gli
daranno le creature. Il Figlio e la Madre, che nel frattempo si era
alzata in piedi, si guardarono con incomparabile tenerezza e, trapassati
da ineffabile dolore, si parlarono. Ella si fece poi da parte per
andargli dietro, e mentre camminava si rivolgeva a lui ed
all'Onnipotente pronunciando nel suo intimo parole così sublimi che non
possono essere articolate da lingua mortale. Oppressa dalle pene
esclamava: «Dio immenso, mio Gesù, ben conosco il fuoco della vostra
carità verso il genere umano, che vi obbliga a celare l'infinita potenza
della divinità nella carne corruttibile, ricevuta nel mio seno.
Confesso la vostra sapienza incomprensibile nell'accettare tali
ignominie e tormenti, e nel consegnare voi stesso, Signore di tutto ciò
che esiste, per il riscatto dell'uomo, servo, polvere e cenere. Voi
siete degno che ogni essere vi lodi, vi benedica e vi esalti per la
vostra sconfinata bontà; ma io come potrò mettere in atto il desiderio
che queste obbrobriose azioni si eseguano solo in me invece che nella
vostra divina persona, gioia degli angeli e splendore della gloria
dell'Eterno? Come non aspirare al vostro sollievo in tali atrocità? Come
potrò sopportare di vedere il vostro bellissimo volto afflitto e
sfigurato, e di rendermi conto che soltanto per il Creatore e redentore
del mondo non c'è pietà in una passione così violenta ed amara? Ma se
non è possibile che io vi conforti come madre, accettate almeno la mia
angoscia ed il dispiacere di non poter fare di più».
1305. Nella Regina restò talmente impressa l'immagine del
suo diletto, maltrattato, deturpato e incatenato, che durante la vita
non si cancellò mai più dalla sua mente e sempre lo rimirò in quella
forma. Cristo nostro bene giunse, frattanto, alla casa del governatore,
seguito da diversa gente, tra cui molti del consiglio dei giudei, che
rimasero fuori del pretorio fingendosi fervidi religiosi, pieni del
timore di contaminarsi e di non poter mangiare la Pasqua degli azzimi.
E, come stoltissimi ipocriti, questi non riflettevano sull'immondo
sacrilegio che macchiava le loro anime, assassine dell'innocente
Agnello. Pilato, benché fosse un gentile, condiscese al cerimoniale
degli ebrei e, accorgendosi che essi avevano difficoltà ad entrare, uscì
fuori. Conformemente allo stile dei romani domandò: «Che accusa
presentate contro costui?». Gli risposero: «Se non fosse un malfattore,
non l'avremmo condotto legato nel modo in cui lo rimettiamo nelle tue
mani». E ciò fu come dirgli: noi abbiamo verificato le sue malvagità e
siamo così attenti al senso della giustizia ed ai nostri doveri che se
non fosse un facinoroso non avremmo proceduto contro di lui. Il
governatore riprese: «Quali delitti sono dunque quelli che egli ha
commesso?». «Si ostina - ribatterono i giudei - a sobillare il nostro
popolo, vuol farsi re, proibisce che si paghino a Cesare i tributi, si
dichiara Figlio di Dio e ha predicato una nuova dottrina incominciando
dalla Galilea e proseguendo per tutta la Giudea sino a Gerusalemme».
«Dunque, prendetelo voi - disse Pilato - e giudicatelo secondo le vostre
leggi, perché io non trovo in lui nessuna colpa». Essi replicarono: «A
noi non è consentito di infliggere a nessuno la pena di morte, e tanto
meno di uccidere».
1306. Gli angeli avevano fatto in modo che la beata
Vergine, con san Giovanni e le donne, si avvicinasse al luogo
dell'interrogatorio per poter osservare ed udire tutto. Ella stava
coperta con il manto per lo strazio del dolore che trafiggeva il suo
purissimo cuore; piangeva versando lacrime di sangue e negli atti di
virtù era un limpidissimo specchio che riproduceva l'anima santissima
dell'Unigenito, le cui pene riviveva nelle proprie membra. Pregò allora
il Padre perché le concedesse di non perdere di vista Gesù fino alla
crocifissione, per quanto fosse possibile, e ciò le fu accordato durante
il tempo in cui egli non stette rinchiuso in prigione. Inoltre, poiché
riteneva opportuno che tra le false accuse e le diffamazioni si
conoscesse l'innocenza del Salvatore e si venisse a sapere che lo
condannavano a morte senza alcun reato, elevò una fervorosa orazione.
Supplicò l'Onnipotente che il giudice non rimanesse ingannato e
prendesse coscienza che il Messia gli era stato portato per il rancore
dei sacerdoti e degli scribi. E difatti, grazie alle sante parole di
Maria, egli ebbe chiara cognizione della realtà e comprese che il
Maestro non era colpevole, ma gli era stato consegnato solo per invidia,
come narra l'evangelista Matteo. Per tale ragione sua Maestà si aprì di
più con Pilato, benché non cooperasse con la verità ammessa; e così
questa non fu di profitto per lui bensì per noi, e servì anche per
mettere in luce la perfidia dei sommi sacerdoti e dei farisei.
1307. La folla, talmente presa dalla rabbia, bramava di
trovare il governatore propizio a pronunziare subito la sentenza
capitale e, allorché si accorse che egli titubava, incominciò ad alzare
con furore la voce, ribadendo che il Nazareno si voleva impadronire del
regno della Giudea e si ostinava ad ingannare ed a convincere tutti,
sostenendo di essere il Cristo, il re unto. Questa maliziosa
incriminazione fu proposta a Pilato affinché egli, mosso dallo zelo per
il potere temporale esercitato sotto l'impero romano, si determinasse ad
emettere al più presto il verdetto. Gli ebrei, i cui re venivano unti,
soggiunsero allora che costui asseriva di essere il Cristo, perché
volevano indurre il governatore, appartenente alla classe dei gentili
che non avevano questa usanza, a capire che farsi chiamare con
quell'appellativo corrispondeva ad affermare di essere re. Il giudice
interpellò nuovamente l'imputato: «Che cosa rispondi alle accuse che ti
muovono contro?». Ma il Verbo di Dio in presenza dei suoi calunniatori
non aprì bocca, sicché Pilato, meravigliato di tale silenzio e pazienza,
desiderando esaminare meglio se fosse veramente re, si ritirò con lui
dentro il pretorio per allontanarsi dalle grida della calca. Quando
furono soli gli domandò: «Tu sei il re dei giudei?». Non poteva pensare
che egli fosse re di fatto, perché sapeva bene che non regnava, e così
lo interrogava per conoscere se lo fosse di diritto e se avesse un
regno. Il mansuetissimo Agnello replicò: «Questo che mi chiedi procede
da te stesso o te lo ha detto qualcuno parlandoti di me?». Gli fu
obiettato: «Sono io forse giudeo, per cui debba esserne al corrente? La
tua gente e i sommi sacerdoti ti hanno condotto al mio tribunale;
spiegami allora che cosa tu abbia fatto e che cosa significhi questo
titolo». Riprese: «Il mio regno non è di quaggiù, ma se lo fosse è certo
che i miei servitori mi avrebbero difeso, affinché non venissi dato in
potere ai giudei». Il governatore credette in parte a questa
attestazione e perciò proseguì: «Dunque tu sei re mentre garantisci di
avere il regno?». Ed egli non lo negò: «Tu dici che sono re e per
rendere testimonianza alla verità sono venuto nel mondo; e tutti coloro
che sono nati dalla verità mi ascoltano». Pilato si stupì e tornò a
domandargli: «Che cos'è la verità?»; e senza attendere ulteriore
risposta, uscì un'altra volta dal pretorio e dichiarò: «Io non trovo in
lui nessuna colpa per farlo uccidere. Tuttavia, vi è già nota la
tradizione che vi è tra voi di donare la libertà ad un detenuto per la
festività della Pasqua. Chi volete dunque che sia costui, Gesù o
Barabba?». Quest'ultimo era un ladro ed omicida, che in quel tempo si
trovava in carcere per aver ucciso un uomo durante una rissa. Allora
tutti gridarono: «Vogliamo che rilasci Barabba e crocifigga Gesù». I
membri di quella malvagia schiera rimasero saldi in tale petizione fin
quando videro esaudito il loro proposito.
1308. Per il dialogo con il Redentore e l'ostinazione del
popolo, il giudice restò molto turbato. Difatti, da una parte non voleva
deludere i giudei - anche se difficilmente avrebbe potuto farlo,
ravvisandoli tanto determinati a far perire il Maestro, qualora non vi
avesse accondisceso -, dall'altra però aveva ben chiaro che lo
perseguitavano per l'invidia mortale nutrita contro di lui, e che
l'accusa di sovvertitore era falsa e ridicola. Quanto all'imputazione
che il Signore ribadiva di essere re, era rimasto soddisfatto della
risposta ricevuta e sbalordito nel trovarlo tanto povero, umile e
sofferente di fronte alle calunnie lanciategli. Illuminato dall'alto
comprese la sua innocenza, anche se confusamente, perché ignorava il
mistero e la dignità della persona divina. E benché fosse mosso dalla
forza delle sue parole ad avere un'elevata opinione di lui e a pensare
che in lui si racchiudesse un segreto particolare - perciò desiderava
liberarlo e a tal fine lo inviò da Erode, come dirò nel capitolo
seguente -, non si aprì al flusso della grazia celeste. A causa del
peccato non meritò di essere penetrato dall'eccelsa sapienza e fu
indotto a ponderare i fini temporali, invece che ad agire secondo
giustizia: procedette da malvagio giudice, consultando ancora coloro che
incriminavano ingiustamente il candidissimo Agnello essendo suoi
nemici. Operò allora contro la propria coscienza e accrebbe il suo
delitto perché lo fece condannare e, ancor prima, flagellare
disumanamente, senza nessun altro motivo che quello di accontentare la
folla.
1309. Quantunque il governatore fosse tanto iniquo da
infliggere la pena capitale a sua Maestà, che riteneva un semplice uomo,
innocente e buono, la sua colpa fu minore a paragone di quella dei
sacerdoti e dei farisei. Difatti, questi non solo agivano con gelosia,
crudeltà ed altri esecrabili fini, ma anche con l'accanimento a non
riconoscere il Nazareno come il vero Messia promesso nella legge che
professavano. E per loro castigo l'Eterno permise che, quando lo
incriminavano, lo chiamassero Cristo, ossia re unto, confessando così la
stessa verità che negavano. Quanto nominavano invece avrebbero dovuto
crederlo, intendendo che egli era unto non con la consacrazione
figurativa dei re e dei sacerdoti antichi, ma con quella di cui parlò
Davide, diversa da tutte le altre, quale era l'unzione della divinità
unita all'umanità innalzata dal Salvatore nell'essere vero Dio e vero
uomo. La sua anima santissima era perciò unta con i doni di grazia e di
gloria, conseguenti all'unione ipostatica. L'accusa dei presenti
esprimeva tutta questa misteriosa verità, che essi per la loro perfidia
rigettavano e per invidia interpretavano falsamente, incolpandolo di
proclamarsi re senza esserlo. Era invece vero l'opposto, sebbene egli
non volesse dimostrarlo: non aveva intenzione di usare il potere di un
sovrano temporale, pur essendo Signore di ogni cosa, poiché non era
venuto nel mondo per comandare, ma per ubbidire. La cecità giudaica era
però molto grande, perché la gente aspettava il Messia come un
liberatore e un guerriero tanto potente da doverlo accettare per forza e
non con la pia volontà che l'Altissimo ricercava. Arroccati su questa
attesa gli ebrei lo calunniavano di farsi re, mentre non lo era.
1310. La Principessa del cielo capiva profondamente tali
arcani, meditandoli nel suo purissimo e sapientissimo cuore ed
esercitando eroici atti di tutte le virtù. E mentre gli altri
discendenti di Adamo, concepiti nel peccato e macchiati da esso, quanto
più vedono crescere le tribolazioni tanto più sono soliti turbarsi e
restarne oppressi, risvegliando in sé l'ira con altre disordinate
passioni, Maria era soggetta a tutto il contrario: né il peccato né i
suoi effetti la sfioravano, né la natura operava come poteva fare la
grazia. Le persecuzioni e le molte acque dei dolori e delle angosce non
estinguevano in lei la fiamma ardente del divino amore, ma come fomenti
l'alimentavano ulteriormente, spronandola a pregare per i rei, quando la
necessità era suprema poiché la malizia degli uomini era arrivata al
sommo grado. Oh, Regina delle virtù, signora delle creature, dolcissima
madre di misericordia! Tardo ed insensibile è il mio intimo: non lo
spezza e non lo strazia ciò che il mio intelletto conosce delle vostre
pene e di quelle del vostro amantissimo Unigenito! Se dinanzi a quanto
mi è stato rivelato rimango in vita, è ben a ragione che io mi umilii
sino alla morte. È delitto contro la carità e la pietà vedere
l'Innocente patire tormenti e nel contempo chiedergli grazia senza
essere partecipe delle sue sofferenze. In che modo noi possiamo
affermare che abbiamo affetto per Dio, per il Verbo incarnato e per voi,
se davanti al calice amarissimo dell'acerba passione ci ricreiamo
bevendo a quello dei diletti di Babilonia? Oh, potessi io comprendere
questa verità! Oh, potessi sentirla e approfondirla, ed essa potesse
raggiungere la parte più nascosta di me stessa vedendo Gesù e la Vergine
che stanno subendo tante disumane atrocità! Come potrò mai pensare che
mi facciano ingiustizia nel perseguitarmi, che mi sovraccarichino nel
disprezzarmi, che mi offendano nell'aborrirmi? Come potrò mai lamentarmi
di ciò che sopporto, anche se sono insultata dal mondo? O Madre dei
martiri, regina dei coraggiosi, maestra di coloro che si mettono alla
sequela di vostro Figlio! Se io sono vostra figlia e discepola, secondo
quanto la vostra benignità mi assicura e il mio sposo mi volle meritare,
non disdegnate il mio desiderio di ricalcare le vostre orme sul cammino
della croce. E se per fragilità sono venuta meno, ottenetemi voi lo
spirito di fortezza, ed un cuore contrito e umiliato per la mia
ingratitudine. Guadagnatemi dal Padre l'amore, dono tanto prezioso, che
solo la vostra potente intercessione mi può acquistare ed il mio
Salvatore elargire.
Insegnamento della Regina del cielo
1311. Carissima, grande è la negligenza degli uomini nel
considerare le opere di Cristo e nel penetrare con umile riverenza i
misteri che egli racchiuse in esse, per il riscatto di tutti. A questo
riguardo molti non sanno, ed altri si meravigliano, che sua Maestà abbia
permesso di essere condotto come reo dinanzi a giudici iniqui, di farsi
esaminare da loro come malfattore, e di farsi trattare e reputare come
persona ignorante, del tutto disinteressata a rispondere con somma
sapienza per dimostrare la sua innocenza, e a persuadere i maliziosi
giudei e tutti i suoi avversari. In questa straordinarietà,
primariamente, si devono venerare i suoi altissimi giudizi giacché
dispose la redenzione umana con equità, bontà e rettitudine. Egli non
negò a ciascuno dei suoi nemici gli aiuti sufficienti per agire
giustamente - se avessero voluto collaborare - usando del privilegio
della loro libertà al fine di conseguire il proprio bene. Difatti, è
volontà dell'Onnipotente che tutti siano salvi, se ciò non viene
ostacolato da noi stessi; e quindi nessuno ha motivo di lamentarsi della
divina pietà, che è sempre sovrabbondante.
1312. Inoltre, anelo che tu apprenda l'insegnamento
contenuto in queste opere, perché nessuna fu messa in atto dal mio
diletto se non come redentore. Nel silenzio e nella pazienza che
conservò durante la passione, tollerando di essere ritenuto empio ed
insensato, diede ai mortali un esempio tanto sublime quanto poco
considerato e messo in pratica. Essi, poiché non riflettono sul contagio
che Lucifero trasmette loro per mezzo del peccato e sempre continua a
spargere nel mondo, non cercano nel Medico il farmaco che curi la loro
malattia, ma sua Maestà, per la sua immensa carità, ha lasciato il
rimedio nelle sue parole e nelle sue azioni; ciascuno, dunque, si
consideri concepito nella colpa, e veda quanto sia piantata nel proprio
cuore la semente, gettata dal dragone, della superbia, della
presunzione, della vanità, dell'autostima, dell'avidità, dell'ipocrisia,
della menzogna e di altri vizi. Tutti, solitamente, vogliono avanzare
nell'onore e nella vanagloria, desiderando essere apprezzati; i dotti e
coloro che si reputano saggi, pavoneggiandosi della scienza, bramano di
essere applauditi ed elogiati; quelli che sono ignoranti, invece,
tentano di mostrarsi sapienti; i facoltosi si gloriano dei loro averi,
per i quali amano essere ossequiati; i poveri vogliono essere ricchi,
comparire tali e guadagnarsi la stima; i potenti vogliono essere temuti,
adorati ed obbediti. Tutti si affannano a correre attratti da un
abbaglio e cercano di apparire come non sono, e non sono ciò che cercano
di apparire; giustificano facilmente i loro errori, si sforzano di
ingrandire le loro qualità, si attribuiscono beni e favori come se non
li avessero ricevuti, e li ricevono come se fossero loro dovuti e non
fossero stati dispensati per grazia. E così di questi doni ognuno non
solo non è riconoscente, ma ne fa armi contro Dio e contro se stesso; e
generalmente si ritrova pieno del veleno letale dell'antico serpente, e
tanto più assetato di berlo quanto più viene ferito e indebolito dal
deplorevole malore. La via della croce, che porta all'imitazione di Gesù
per mezzo dell'umiltà e della sincerità cristiana, è deserta, perché
pochi sono quelli che camminano su di essa.
1313. A schiacciare il capo di satana ed a vincere la sua
tracotante arroganza servì la mitezza che il mio Unigenito ebbe anche
nel suo supplizio, permettendo che lo trattassero da stolto e
delinquente. Come maestro di questa divina filosofia e medico che veniva
a curare l'infermità del peccato, egli non volle discolparsi, né
difendersi, né giustificarsi, né smentire coloro che lo accusavano,
lasciando un vivo modello per procedere contro gli intenti del demonio.
Mise allora in pratica l'insegnamento del Saggio: «Più preziosa è a suo
tempo la piccola ignoranza che la scienza e la gloria». Difatti, per la
fragilità umana, in determinati momenti è più conveniente apparire
semplici e inesperti, piuttosto che fare vano sfoggio di virtù e di
saggezza. Tu conserva nell'intimo i precetti del Salvatore e miei, ed
aborrisci ogni ostentazione: soffri, taci, e fa' che il mondo ti reputi
ignorante, perché esso non conosce in quale luogo dimori la vera
sapienza.
11 marzo 1960.
Beata Elena Aiello
Gesù: «La Chiesa è in pericolo. Pregate per le anime sacerdotali, affinché siano più zelanti e vivano secondo la loro dignità».