Liturgia delle Ore - Letture
Venerdi della 7° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Giovanni 5
1Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme.2V'è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici,3sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.4Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l'acqua; il primo ad entrarvi dopo l'agitazione dell'acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.5Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato.6Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: "Vuoi guarire?".7Gli rispose il malato: "Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l'acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me".8Gesù gli disse: "Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina".9E sull'istante quell'uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare.
Quel giorno però era un sabato.10Dissero dunque i Giudei all'uomo guarito: "È sabato e non ti è lecito prender su il tuo lettuccio".11Ma egli rispose loro: "Colui che mi ha guarito mi ha detto: Prendi il tuo lettuccio e cammina".12Gli chiesero allora: "Chi è stato a dirti: Prendi il tuo lettuccio e cammina?".13Ma colui che era stato guarito non sapeva chi fosse; Gesù infatti si era allontanato, essendoci folla in quel luogo.14Poco dopo Gesù lo trovò nel tempio e gli disse: "Ecco che sei guarito; non peccare più, perché non ti abbia ad accadere qualcosa di peggio".15Quell'uomo se ne andò e disse ai Giudei che era stato Gesù a guarirlo.16Per questo i Giudei cominciarono a perseguitare Gesù, perché faceva tali cose di sabato.17Ma Gesù rispose loro: "Il Padre mio opera sempre e anch'io opero".18Proprio per questo i Giudei cercavano ancor più di ucciderlo: perché non soltanto violava il sabato, ma chiamava Dio suo Padre, facendosi uguale a Dio.
19Gesù riprese a parlare e disse: "In verità, in verità vi dico, il Figlio da sé non può fare nulla se non ciò che vede fare dal Padre; quello che egli fa, anche il Figlio lo fa.20Il Padre infatti ama il Figlio, gli manifesta tutto quello che fa e gli manifesterà opere ancora più grandi di queste, e voi ne resterete meravigliati.21Come il Padre risuscita i morti e dà la vita, così anche il Figlio dà la vita a chi vuole;22il Padre infatti non giudica nessuno ma ha rimesso ogni giudizio al Figlio,23perché tutti onorino il Figlio come onorano il Padre. Chi non onora il Figlio, non onora il Padre che lo ha mandato.24In verità, in verità vi dico: chi ascolta la mia parola e crede a colui che mi ha mandato, ha la vita eterna e non va incontro al giudizio, ma è passato dalla morte alla vita.25In verità, in verità vi dico: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce del Figlio di Dio, e quelli che l'avranno ascoltata, vivranno.26Come infatti il Padre ha la vita in se stesso, così ha concesso al Figlio di avere la vita in se stesso;27e gli ha dato il potere di giudicare, perché è Figlio dell'uomo.28Non vi meravigliate di questo, poiché verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno:29quanti fecero il bene per una risurrezione di vita e quanti fecero il male per una risurrezione di condanna.30Io non posso far nulla da me stesso; giudico secondo quello che ascolto e il mio giudizio è giusto, perché non cerco la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato.
31Se fossi io a render testimonianza a me stesso, la mia testimonianza non sarebbe vera;32ma c'è un altro che mi rende testimonianza, e so che la testimonianza che egli mi rende è verace.33Voi avete inviato messaggeri da Giovanni ed egli ha reso testimonianza alla verità.34Io non ricevo testimonianza da un uomo; ma vi dico queste cose perché possiate salvarvi.35Egli era una lampada che arde e risplende, e voi avete voluto solo per un momento rallegrarvi alla sua luce.
36Io però ho una testimonianza superiore a quella di Giovanni: le opere che il Padre mi ha dato da compiere, quelle stesse opere che io sto facendo, testimoniano di me che il Padre mi ha mandato.37E anche il Padre, che mi ha mandato, ha reso testimonianza di me. Ma voi non avete mai udito la sua voce, né avete visto il suo volto,38e non avete la sua parola che dimora in voi, perché non credete a colui che egli ha mandato.39Voi scrutate le Scritture credendo di avere in esse la vita eterna; ebbene, sono proprio esse che mi rendono testimonianza.40Ma voi non volete venire a me per avere la vita.
41Io non ricevo gloria dagli uomini.42Ma io vi conosco e so che non avete in voi l'amore di Dio.43Io sono venuto nel nome del Padre mio e voi non mi ricevete; se un altro venisse nel proprio nome, lo ricevereste.44E come potete credere, voi che prendete gloria gli uni dagli altri, e non cercate la gloria che viene da Dio solo?45Non crediate che sia io ad accusarvi davanti al Padre; c'è già chi vi accusa, Mosè, nel quale avete riposto la vostra speranza.46Se credeste infatti a Mosè, credereste anche a me; perché di me egli ha scritto.47Ma se non credete ai suoi scritti, come potrete credere alle mie parole?".
Primo libro dei Maccabei 8
1Giuda venne a conoscere la fama dei Romani: che essi erano molto potenti e favorivano tutti quelli che simpatizzavano per loro e accordavano amicizia a quanti si rivolgevano a loro e che erano forti e potenti.2Gli furono narrate le loro guerre e le loro imprese gloriose compiute tra i Galli: come li avessero vinti e sottoposti al tributo.3Aveva saputo quanto avevano compiuto nella Spagna per impadronirsi delle miniere di oro e di argento che vi sono;4e come avevano sottomesso tutta la regione con la loro saggezza e costanza, benché il paese fosse assai lontano da loro, e avevano vinto i re che erano venuti contro di loro dall'estremità della terra: li avevano sconfitti e avevano inflitto loro gravi colpi e gli altri re pagavano loro il tributo ogni anno.5Avevano poi sconfitto in guerra e sottomesso Filippo e Perseo re dei Chittim e quanti si erano sollevati contro di loro.6Venne a sapere che Antioco, il grande re dell'Asia, era sceso in guerra contro di loro con centoventi elefanti e cavalleria e carri e un esercito immenso e fu sconfitto da loro,7che lo presero vivo e gli imposero di pagare, lui e i suoi successori, un tributo ingente, di consegnare ostaggi e cedere territori:8la regione dell'India, la Media, la Lidia, tra le migliori loro province, e che, dopo averle tolte a lui, le avevano date al re Èumene.9Gli fu riferito inoltre come i Greci avevano deciso di affrontarli e distruggerli,10ma la cosa fu da loro risaputa e mandarono contro di quelli un solo generale; vennero a battaglia con loro e ne caddero uccisi molti; i Romani condussero in schiavitù le loro mogli e i loro figli e saccheggiarono i loro beni, conquistarono il paese e abbatterono le loro fortezze e li resero soggetti fino ad oggi.11Gli altri regni e le isole e quanti per avventura si erano opposti a loro, li distrussero e soggiogarono; con i loro amici invece e con quanti si appoggiavano ad essi avevano mantenuto amicizia.12Avevano assoggettato i re vicini e quelli lontani e quanti sentivano il loro nome ne avevano timore.13Quelli che essi vogliono aiutare e far regnare, regnano; quelli che essi vogliono, li depongono, tanto si sono innalzati in potenza.14Con tutti questi successi nessuno di loro si è imposto il diadema e non vestono la porpora per fregiarsene.15Essi hanno costituito un consiglio e ogni giorno trecentoventi consiglieri discutono pienamente riguardo al popolo perché tutto vada bene.16Affidano il comando e il governo di tutti i loro domíni a uno di loro per un anno e tutti obbediscono a quel solo e non c'è in loro invidia né gelosia.
17Giuda pertanto scelse Eupòlemo, figlio di Giovanni, figlio di Accos, e Giasone, figlio di Eleàzaro, e li inviò a Roma a stringere amicizia e alleanza18per liberarsi dal giogo, perché vedevano che il regno dei Greci riduceva Israele in schiavitù.19Andarono fino a Roma con viaggio lunghissimo, entrarono nel senato e incominciarono a dire:20"Giuda, chiamato anche Maccabeo, e i suoi fratelli e il popolo dei Giudei ci hanno inviati a voi, per concludere con voi alleanza e amicizia e per essere iscritti tra i vostri alleati e amici".21Piacque loro la proposta.22Questa è la copia della lettera che trascrissero su tavolette di bronzo e inviarono a Gerusalemme, perché vi rimanesse come documento di amicizia e alleanza per i Giudei.
23"Salute ai Romani e al popolo dei Giudei per mare e per terra sempre; lungi da loro la spada nemica.24Se verrà mossa guerra prima contro Roma o contro uno qualsiasi dei suoi alleati in tutto il suo dominio,25il popolo dei Giudei combatterà al loro fianco con piena lealtà come suggerirà loro l'occasione;26ai nemici non forniranno né procureranno granaglie, armi, denaro, navi, secondo la decisione di Roma, ma manterranno i loro impegni senza compenso.27Allo stesso modo se capiterà prima una guerra al popolo dei Giudei, combatteranno con loro i Romani con tutto l'animo, come permetteranno loro le circostanze;28ai nemici non forniranno granaglie, armi, denaro, navi, secondo la decisione di Roma; osserveranno questi impegni senza frode.29Secondo queste formule i Romani hanno stabilito un'alleanza con il popolo dei Giudei.30Se dopo queste decisioni vorranno gli uni o gli altri aggiungere o togliere qualche cosa, lo faranno di comune accordo e quello che avranno aggiunto o tolto sarà obbligatorio.31Riguardo poi ai mali che il re Demetrio compie ai loro danni, gli abbiamo scritto: Perché aggravi il giogo sui Giudei nostri amici e alleati?32Se dunque si appelleranno contro di te, difenderemo i loro diritti e ti faremo guerra per mare e per terra".
Siracide 47
1Dopo di questi sorse Natan,
per profetizzare al tempo di Davide.
2Come il grasso si preleva nel sacrificio pacifico,
così Davide dagli Israeliti.
3Egli scherzò con leoni quasi fossero capretti,
con gli orsi quasi fossero agnelli.
4Nella giovinezza non ha forse ucciso il gigante
e cancellata l'ignominia dal popolo,
scagliando con la fionda la pietra,
che abbatté la tracotanza di Golia?
5Poiché aveva invocato il Signore altissimo,
egli concesse alla sua destra la forza
di eliminare un potente guerriero
e riaffermare la potenza del suo popolo.
6Così l'esaltarono per i suoi diecimila,
lo lodarono nei canti del Signore
e gli offrirono un diadema di gloria.
7Egli infatti sterminò i nemici all'intorno
e annientò i Filistei, suoi avversari;
distrusse la loro potenza fino ad oggi.
8In ogni sua opera glorificò
il Santo altissimo con parole di lode;
cantò inni a lui con tutto il cuore
e amò colui che l'aveva creato.
9Introdusse musicanti davanti all'altare;
raddolcendo i canti con i loro suoni;
10conferì splendore alle feste,
abbellì le solennità fino alla perfezione,
facendo lodare il nome santo di Dio
ed echeggiare fin dal mattino il santuario.
11Il Signore gli perdonò i suoi peccati,
innalzò la sua potenza per sempre,
gli concesse un'alleanza regale
e un trono di gloria in Israele.
12Dopo di lui sorse un figlio saggio,
che, in grazia sua, ebbe un vasto regno.
13Salomone regnò in tempo di pace,
Dio dispose che tutto fosse tranquillo all'intorno
perché costruisse una casa al suo nome
e preparasse un santuario perenne.
14Come fosti saggio nella giovinezza,
versando copiosa intelligenza come acqua d'un fiume!
15La tua scienza ricoprì la terra,
riempiendola di sentenze difficili.
16Il tuo nome giunse fino alle isole lontane;
fosti amato nella tua pace.
17Per i tuoi canti, i tuoi proverbi, le tue massime
e per le tue risposte ti ammirarono i popoli.
18Nel nome del Signore Dio,
che è chiamato Dio di Israele,
accumulasti l'oro quasi fosse stagno,
come il piombo rendesti abbondante l'argento.
19Ma accostasti i tuoi fianchi alle donne,
e ne fosti dominato nel corpo.
20Così deturpasti la tua gloria
e profanasti la tua discendenza,
sì da attirare l'ira divina sui tuoi figli
e sofferenze con la tua follia.
21Il regno fu diviso in due
e in Efraim si instaurò un potere ribelle.
22Ma il Signore non rinnegherà la sua misericordia
e non permetterà che venga meno alcuna delle sue parole.
Non farà perire la posterità del suo eletto
né distruggerà la stirpe di colui che lo amò.
Concesse un resto a Giacobbe
e a Davide un germoglio nato dalla sua stirpe.
23Salomone andò a riposare con i suoi padri,
lasciando dopo di sé un discendente,
stoltezza del popolo e privo di senno,
Roboàmo, che si alienò il popolo con i suoi consigli.
24Geroboàmo figlio di Nabàt fece peccare Israele
e aprì a Efraim la via del peccato;
le loro colpe si moltiplicarono assai,
sì da farli esiliare dal proprio paese.
25Essi commisero ogni genere di malvagità
finché non giunse su di loro la vendetta.
Salmi 54
1'Al maestro del coro. Per strumenti a corda. Maskil.'
'Di Davide.'
2'Dopo che gli Zifei vennero da Saul a dirgli: "Ecco, Davide se ne sta nascosto presso di noi".'
3Dio, per il tuo nome, salvami,
per la tua potenza rendimi giustizia.
4Dio, ascolta la mia preghiera,
porgi l'orecchio alle parole della mia bocca;
5poiché sono insorti contro di me gli arroganti
e i prepotenti insidiano la mia vita,
davanti a sé non pongono Dio.
6Ecco, Dio è il mio aiuto,
il Signore mi sostiene.
7Fa' ricadere il male sui miei nemici,
nella tua fedeltà disperdili.
8Di tutto cuore ti offrirò un sacrificio,
Signore, loderò il tuo nome perché è buono;
9da ogni angoscia mi hai liberato
e il mio occhio ha sfidato i miei nemici.
Geremia 14
1Parola che il Signore rivolse a Geremia in occasione della siccità:
2Giuda è in lutto,
le sue città languiscono,
sono a terra nello squallore;
il gemito di Gerusalemme sale al cielo.
3I ricchi mandano i loro servi in cerca d'acqua;
essi si recano ai pozzi,
ma non ve la trovano
e tornano con i recipienti vuoti.
Sono delusi e confusi e si coprono il capo.
4Per il terreno screpolato,
perché non cade pioggia nel paese,
gli agricoltori sono delusi e confusi
e si coprono il capo.
5La cerva partorisce nei campi e abbandona il parto,
perché non c'è erba.
6Gli ònagri si fermano sui luoghi elevati
e aspirano l'aria come sciacalli;
i loro occhi languiscono,
perché non si trovano erbaggi.
7"Se le nostre iniquità testimoniano contro di noi,
Signore, agisci per il tuo nome!
Certo, sono molte le nostre infedeltà,
abbiamo peccato contro di te.
8O speranza di Israele,
suo salvatore al tempo della sventura,
perché vuoi essere come un forestiero nel paese
e come un viandante che si ferma solo una notte?
9Perché vuoi essere come un uomo sbigottito,
come un forte incapace di aiutare?
Eppure tu sei in mezzo a noi, Signore,
e noi siamo chiamati con il tuo nome,
non abbandonarci!".
10Così dice il Signore di questo popolo: "Piace loro andare vagando, non fermano i loro passi". Per questo il Signore non li gradisce. Ora egli ricorda la loro iniquità e punisce i loro peccati.
11Il Signore mi ha detto: "Non intercedere a favore di questo popolo, per il suo benessere.12Anche se digiuneranno, non ascolterò la loro supplica; se offriranno olocausti e sacrifici, non li gradirò; ma li distruggerò con la spada, la fame e la peste".13Allora ho soggiunto: "Ahimè, Signore Dio, dicono i profeti: Non vedrete la spada, non soffrirete la fame, ma vi concederò una pace perfetta in questo luogo".14Il Signore mi ha detto: "I profeti hanno predetto menzogne in mio nome; io non li ho inviati, non ho dato ordini né ho loro parlato. Vi annunziano visioni false, oracoli vani e suggestioni della loro mente".15Perciò così dice il Signore: "I profeti che predicono in mio nome, senza che io li abbia inviati, e affermano: Spada e fame non ci saranno in questo paese, questi profeti finiranno di spada e di fame.16Gli uomini ai quali essi predicono saranno gettati per le strade di Gerusalemme in seguito alla fame e alla spada e nessuno seppellirà loro, le loro donne, i loro figli e le loro figlie. Io rovescerò su di essi la loro malvagità".
17Tu riferirai questa parola:
"I miei occhi grondano lacrime
notte e giorno, senza cessare,
perché da grande calamità
è stata colpita la figlia del mio popolo,
da una ferita mortale.
18Se esco in aperta campagna,
ecco i trafitti di spada;
se percorro la città,
ecco gli orrori della fame.
Anche il profeta e il sacerdote
si aggirano per il paese e non sanno che cosa fare.
19Hai forse rigettato completamente Giuda,
oppure ti sei disgustato di Sion?
Perché ci hai colpito, e non c'è rimedio per noi?
Aspettavamo la pace, ma non c'è alcun bene,
l'ora della salvezza ed ecco il terrore!
20Riconosciamo, Signore, la nostra iniquità,
l'iniquità dei nostri padri: abbiamo peccato contro di te.
21Ma per il tuo nome non abbandonarci,
non render spregevole il trono della tua gloria.
Ricordati! Non rompere la tua alleanza con noi.
22Forse fra i vani idoli delle nazioni c'è chi fa
piovere?
O forse i cieli mandan rovesci da sé?
Non sei piuttosto tu, Signore nostro Dio?
In te abbiamo fiducia,
perché tu hai fatto tutte queste cose".
Lettera ai Galati 6
1Fratelli, qualora uno venga sorpreso in qualche colpa, voi che avete lo Spirito correggetelo con dolcezza. E vigila su te stesso, per non cadere anche tu in tentazione.2Portate i pesi gli uni degli altri, così adempirete la legge di Cristo.3Se infatti uno pensa di essere qualcosa mentre non è nulla, inganna se stesso.4Ciascuno esamini invece la propria condotta e allora solo in se stesso e non negli altri troverà motivo di vanto:5ciascuno infatti porterà il proprio fardello.
6Chi viene istruito nella dottrina, faccia parte di quanto possiede a chi lo istruisce.7Non vi fate illusioni; non ci si può prendere gioco di Dio. Ciascuno raccoglierà quello che avrà seminato.8Chi semina nella sua carne, dalla carne raccoglierà corruzione; chi semina nello Spirito, dallo Spirito raccoglierà vita eterna.9E non stanchiamoci di fare il bene; se infatti non desistiamo, a suo tempo mieteremo.10Poiché dunque ne abbiamo l'occasione, operiamo il bene verso tutti, soprattutto verso i fratelli nella fede.
11Vedete con che grossi caratteri vi scrivo, ora, di mia mano.12Quelli che vogliono fare bella figura nella carne, vi costringono a farvi circoncidere, solo per non essere perseguitati a causa della croce di Cristo.13Infatti neanche gli stessi circoncisi osservano la legge, ma vogliono la vostra circoncisione per trarre vanto dalla vostra carne.14Quanto a me invece non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, per mezzo della quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.15Non è infatti la circoncisione che conta, né la non circoncisione, ma l'essere nuova creatura.16E su quanti seguiranno questa norma sia pace e misericordia, come su tutto l'Israele di Dio.17D'ora innanzi nessuno mi procuri fastidi: difatti io porto le stigmate di Gesù nel mio corpo.
18La grazia del Signore nostro Gesù Cristo sia con il vostro spirito, fratelli. Amen.
Capitolo VIII: L’offerta di Cristo sulla croce e la donazione di noi stessi
Leggilo nella BibliotecaParola del Diletto
Con le braccia stese sulla croce, tutto nudo il corpo, io offersi liberamente me stesso a Dio Padre, per i tuoi peccati, cosicché nulla fosse in me che non si trasformasse in sacrificio, per placare Iddio. Allo stesso modo anche tu devi offrire a me volontariamente te stesso, con tutte le tue forze e con tutto il tuo slancio, dal più profondo del cuore, in oblazione pura e santa. Che cosa posso io desiderare da te più di questo, che tu cerchi di offrirti a me interamente? Qualunque cosa tu mi dia, fuor che te stesso, l'ho per un nulla, perché io non cerco il tuo dono, ma te. Come non ti basterebbe avere tutto, all'infuori di me, così neppure a me potrebbe piacere qualunque cosa tu mi dessi, senza l'offerta di te. Offriti a me; da te stesso totalmente a Dio: così l'oblazione sarà gradita. Ecco, io mi offersi tutto al Padre, per te; diedi persino tutto il mio corpo e il mio sangue in cibo, perché io potessi essere tutto tuo e perché tu fossi sempre con me. Se tu, invece, resterai chiuso in te, senza offrire volontariamente te stesso secondo la mia volontà, l'offerta non sarebbe piena e la nostra unione non sarebbe perfetta. Perché, se vuoi giungere alla vera libertà e avere la mia grazia, ogni tuo atto deve essere preceduto dalla piena offerta di te stesso nelle mani di Dio. Proprio per questo sono così pochi coloro che raggiungono la luce e l'interiore libertà, perché non sanno rinnegare totalmente se stessi. Immutabili sono le mie parole: se uno non avrà rinunciato a "tutto, non potrà essere mio discepolo" (Lc 14,33). Tu, dunque, se vuoi essere mio discepolo, offriti a me con tutto il cuore.
LIBRO SETTIMO
La Trinità - Sant'Agostino
Leggilo nella BibliotecaAgostino riprende il problema: Ciascuna persona è per se stessa sapienza?
1. 1. Ed ora investighiamo con maggior diligenza, nella misura in cui Dio lo concederà, il problema che poco fa abbiamo lasciato in sospeso: nella Trinità ciascuna Persona può essere - per se stessa e indipendentemente dalle altre due - chiamata Dio, o grande, o sapiente, o verace, o onnipotente, o giusto, o qualsiasi altro appellativo applicabile a Dio, non in senso relativo ma in senso assoluto? Oppure queste espressioni si debbono usare soltanto quando si pensa alla Trinità? La difficoltà nasce dal testo: Cristo è forza di Dio e sapienza di Dio 1. Ci si chiede se Dio è padre della sua sapienza e della sua forza in modo che egli sia sapiente per la sapienza che ha generato e potente per la forza che ha generato e se, poiché è sempre potente e sapiente 2, sempre abbia generato la forza e la sapienza. Se le cose stanno così, dicevamo, perché non sarebbe padre anche della sua grandezza per la quale è grande, della sua bontà per la quale è buono, della giustizia per la quale è giusto, e così degli altri attributi, se ve ne sono? E se tutto ciò, sotto nomi diversi, è compreso nella stessa sapienza e forza in modo che la grandezza sia la stessa cosa che la forza, la bontà la stessa cosa che la sapienza, ed ancora la sapienza la stessa cosa che la forza, come abbiamo già mostrato nella nostra trattazione, ci ricorderemo, quando nomino uno di questi attributi, di prenderlo come se li nominassi tutti. Ci si chiede dunque se il Padre, anche considerato come persona singola, sia sapiente e se è per se stesso la propria sapienza, ovvero se è sapiente come "dicente". Infatti è dicente con il Verbo che ha generato 3, ma non con il verbo che si pronuncia, risuona e passa, bensì con il Verbo che era presso Dio, e il Verbo era Dio 4, e tutte le cose furono fatte per mezzo di lui 5. Con il Verbo uguale a lui, con il quale sempre e immutabilmente dice se stesso. Il Padre infatti non è Verbo, come non è nemmeno Figlio, né Immagine. Egli è invece "dicente" (escludiamo le parole passeggere che Dio fa udire alle creature; infatti queste risuonano e passano) "dicente", ripeto, con quel Verbo che è a lui coeterno e, come tale, non si considera a parte ma in unione con lo stesso Verbo, senza il quale evidentemente non è "dicente". È dunque sapiente allo stesso modo che "dicente", così che sia sapienza come Verbo ed essere Verbo equivalga ad essere sapienza, e altresì ad essere forza e s’identifichino forza, sapienza e Verbo e tutto ciò si predichi relativamente come Figlio e Immagine? Così il Padre non sarebbe né sapiente né potente considerato singolarmente, ma solo in unione con la forza e la sapienza che ha generato, come non è "dicente" considerato a parte, ma per quel Verbo e con quel Verbo che ha generato, e così pure grande per quella grandezza e con quella grandezza che ha generato? Se ciò per cui il Padre è grande non è diverso da ciò per cui è Dio, ma è grande per ciò per cui è Dio, perché per lui essere grande ed essere Dio è la stessa cosa, ne consegue che non è nemmeno Dio da solo, ma per quella deità e con quella deità che ha generato. Allora il Figlio sarebbe la deità del Padre, come è la forza e la sapienza del Padre, come anche è il Verbo e l’Immagine del Padre 6. E poiché per lui non è cosa diversa essere ed essere Dio, il Figlio sarebbe anche l’essenza del Padre, come è il suo Verbo e la sua Immagine. E perciò il Padre non soltanto non sarebbe Padre, ma non sarebbe nulla affatto, se non a condizione di avere un Figlio, e così non solo la sua paternità, che evidentemente non ha significato assoluto bensì relativo al Figlio, essendo Padre precisamente perché ha un Figlio, ma anche ciò che egli è per se stesso assolutamente dipende dall’aver egli generato la sua essenza. Come egli non è grande che per la grandezza che ha generato, così non è che per l’essenza che ha generato, perché essere ed essere grande è per lui una stessa cosa. Ma allora è padre della sua essenza, come è padre della sua grandezza, come è padre della sua forza e della sua sapienza, dato che la sua grandezza è la stessa cosa che la sua forza e la sua essenza è la stessa cosa che la sua grandezza?
Soluzione del problema: il Figlio è sapienza da sapienza come luce da luce
1. 2. Questa discussione è nata dall’affermazione della Scrittura: Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio 7. Il nostro modo di esprimerci è per questo fatto come chiuso nella morsa di precise alternative, quando intendiamo esprimere l’ineffabile: o negare che Cristo sia la forza di Dio e la sapienza di Dio, e così metterci in opposizione con l’affermazione dell’Apostolo, ciò che costituisce un’impudenza e un’empietà; oppure ammettere che Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio, ma senza affermare che il Padre sia padre della sua forza e della sua sapienza, cosa non meno empia, perché allora egli non sarebbe padre nemmeno di Cristo, poiché Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio; o riconoscere che il Padre non è potente per la sua forza, né sapiente per la sua sapienza (ma chi oserà dirlo?); ovvero pensare che nel Padre essere ed essere sapiente siano cose diverse in modo che sia diverso ciò per cui egli è e ciò per cui è sapiente, come si pensa comunemente dell’anima che è talvolta insensata, altra volta sapiente alla maniera di una sostanza mutevole e non sommamente e perfettamente semplice; oppure ammettere che il Padre non è una realtà assoluta e che non solo in quanto è Padre, ma in quanto semplicemente esiste è relativo al Figlio. Come allora il Figlio è della stessa essenza del Padre, se questi in senso assoluto non è essenza, né in sé esiste in alcun modo, essendo per lui l’esistenza stessa relativa al Figlio? Al contrario, invece: il Figlio è tanto più di una medesima essenza con il Padre, perché il Padre e il Figlio sono una sola e medesima essenza. Il Padre non esiste in senso assoluto, ma relativamente al Figlio come essenza che egli ha generato e per la quale egli è tutto ciò che è. Nessuno dei due, dunque, è per se stesso e ciascuno dei due si dice relativamente all’altro, oppure solo per il Padre è vero che non soltanto la sua paternità, ma semplicemente tutto ciò che si predica di lui, gli si attribuisce relativamente al Figlio, mentre questi avrebbe anche attributi assoluti? Se fosse così, quali gli attributi assoluti? Forse la stessa essenza? Ma il Figlio è l’essenza del Padre, come egli è la forza e la sapienza del Padre, come è il Verbo e l’Immagine del Padre 8. Se, al contrario, il Figlio è detto essenza in senso assoluto, allora il Padre non è l’essenza, ma il genitore dell’essenza ed egli non esiste di per se stesso, ma per quella stessa essenza che ha generato, alla stessa maniera che è grande per quella stessa grandezza che ha generato. Allora però il Figlio sarebbe chiamato in senso assoluto anche grandezza, e dunque forza, sapienza, Verbo ed Immagine. Ma che cosa vi è di più assurdo che parlare di una immagine assoluta? Se Immagine e Verbo non sono la stessa cosa che forza e sapienza, perché i primi due termini hanno un significato relativo, i secondi due assoluto, senza rapporto ad un’altra cosa, il Padre non inizia ad essere sapiente per la sapienza che ha generato, perché non si può affermare che il Padre dica relazione alla sapienza, mentre questa non direbbe relazione a lui. Infatti tutti i termini correlativi si predicano scambievolmente. Non resta altra alternativa che anche per la sua essenza il Figlio si dica relativamente al Padre e si giunge così a questo senso del tutto inaspettato che l’essenza non è essenza o, almeno, che quando si parla di essenza è la relazione e non l’essenza che si designa. Come quando, per esempio, si dice "padrone" non si indica l’essenza, ma la relazione in rapporto allo "schiavo"; al contrario quando si dice "uomo", o qualcosa di simile, il cui significato è assoluto, non relativo, allora si designa l’essenza. Quando perciò un uomo si dice "padrone", essenza è l’uomo stesso, padrone s’intende quindi relativamente: uomo infatti ha senso assoluto, padrone senso relativo allo schiavo. Ora, per tornare al nostro problema, se l’essenza stessa si prende in un senso relativo, la stessa essenza non è più essenza. Inoltre ogni essenza designata in senso relativo è pure qualcosa indipendentemente dalla relazione. Per esempio, nelle espressioni "uomo padrone", "uomo schiavo", "cavallo da tiro", "moneta caparra": "uomo", "cavallo", "moneta" sono termini assoluti, sono sostanze od essenze; invece "padrone", "schiavo", "da tiro", "caparra" sono termini che hanno un senso relativo. Ma se non ci fosse l’uomo, cioè una sostanza, non ci sarebbe alcuno che potesse venir chiamato "padrone" in senso relativo; se il cavallo non fosse un’essenza, non vi sarebbe nulla che si possa chiamare "da tiro" in senso relativo; così pure se la moneta non fosse una sostanza non potrebbe chiamarsi nemmeno "caparra" in senso relativo. Perciò anche il Padre, se non è nulla di assoluto, non può essere nemmeno alcunché di relativo 9. Non succede qui come per il colore che è relativo all’oggetto colorato. Non esiste assolutamente un colore assoluto; il colore è sempre il colore di qualcosa di colorato. Mentre l’oggetto al quale appartiene il colore, anche se in quanto oggetto colorato dice relazione al colore, in quanto corpo è qualcosa di assoluto. In nessun modo possiamo pensare così il Padre: che egli non sia nulla di assoluto, ma che tutto si dica di lui in senso relativo al Figlio; che il Figlio invece sia e qualcosa di assoluto in se stesso e qualcosa di relativo al Padre; assoluto evidentemente quando si dice grandezza grande e forte potenza; relativo al Padre, quando si dice grandezza e forza del Padre grande e potente; grandezza e forza cioè per cui il Padre è grande e potente. Questo non è dunque vero; ma l’uno e l’altro sono sostanza, e l’uno e l’altro sono la stessa sostanza. Ma come è assurdo affermare che la bianchezza non è bianca, così è assurdo affermare che la sapienza non è sapiente; e come la bianchezza è bianca in senso assoluto, così la sapienza è sapiente in senso assoluto. La bianchezza del corpo però non è un’essenza, perché è il corpo che è l’essenza e la bianchezza ne è la qualità. Perciò è per la bianchezza che il corpo è bianco, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che essere bianco. Qui infatti una cosa è la forma, un’altra il colore e né l’una, né l’altra sono in se stesse, ma in una certa massa, massa che non è né la forma né il colore, ma è formata e colorata. La sapienza al contrario è sapiente, e sapiente di per se stessa, e poiché ogni anima diventa sapiente solo per partecipazione alla sapienza, se ridiventa insensata, nondimeno la sapienza rimane in se stessa, e quando anche l’anima dovesse mutare nel senso dell’insipienza, essa non muta. Non succede per colui che essa rende sapiente la stessa cosa che per la bianchezza nel corpo che essa fa bianco. Quando il corpo sarà stato mutato da un colore in un altro, non rimane quella bianchezza ma scompare totalmente. Ora, se il Padre che ha generato la sapienza è sapiente 10 per essa, se per lui essere, ed essere sapiente non è la stessa cosa, il Figlio è una sua qualità, non la sua prole e non vi sarà più qui una suprema semplicità. Ma non sia mai che si pensi che sia così: là vi è l’essenza supremamente semplice e là dunque essere ed essere sapiente si identificano. Ma se là essere ed essere sapiente sono la stessa cosa, non è la sapienza che egli ha generato che fa il Padre sapiente, altrimenti non lui avrebbe generato essa, ma essa lui. Che altro infatti diciamo, quando diciamo: per lui essere è essere sapiente, se non: è sapiente per ciò per cui è? Di conseguenza la causa che fa sì che sia sapiente è la stessa causa che fa sì che egli sia. Pertanto se la sapienza che il Padre ha generato è la causa che fa sì che egli sia sapiente, essa è anche la causa che fa sì che egli sia. E questo non è possibile se non in quanto lo genera e lo crea. Ma nessuno chiamerà mai la sapienza né generatrice, né creatrice del Padre. Che vi è infatti di più insensato? Dunque il Padre stesso è la sapienza e si chiama il Figlio sapienza del Padre come lo si chiama luce del Padre 11. Cioè allo stesso modo che si chiama il Figlio "luce da luce", e l’uno e l’altro sono una sola luce, così si ha da intendere "sapienza da sapienza" e l’uno e l’altro sono una sola sapienza. Perciò sono pure una sola essenza, perché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente. Infatti ciò che essere sapiente è in rapporto alla sapienza, e il potere alla potenza, l’essere eterno all’eternità, l’essere giusto alla giustizia, l’essere grande alla grandezza, l’essere stesso lo è all’essenza. E poiché in quella semplicità essere sapiente non è cosa diversa dall’essere, ivi la sapienza è la stessa cosa che l’essenza.
Identità del Padre e del Figlio negli attributi essenziali, non nelle proprietà personali
2. 3. Dunque il Padre e il Figlio sono insieme una sola essenza, una sola grandezza, una sola verità, una sola sapienza. Tuttavia il Padre e il Figlio non sono entrambi insieme un solo Verbo, perché non sono entrambi insieme un solo Figlio. Infatti allo stesso modo che "Figlio" dice relazione al Padre e non ha un senso assoluto, così pure, quando si parla di Verbo, Verbo dice relazione a Colui di cui è Verbo. Egli è Figlio per ciò per cui è Verbo, ed è Verbo per ciò per cui è Figlio. Poiché dunque il Padre e il Figlio non sono evidentemente entrambi insieme un solo Figlio, ne consegue che il Padre e il Figlio non sono tutti e due insieme un solo Verbo. E perciò non vi è Verbo per il fatto che c’è sapienza, perché "verbo" non è termine assoluto, ma soltanto relativo a colui di cui è verbo, come Figlio a Padre, mentre invece vi è sapienza per il fatto stesso per cui vi è essenza. Perciò in quanto vi è un’essenza, vi è una sapienza. Tuttavia, poiché anche il Verbo è sapienza, ma non Verbo, per la stessa ragione che è sapienza - Verbo infatti s’intende relativamente, sapienza essenzialmente - quando si dice Verbo lo dobbiamo prendere come equivalente a sapienza nata 12, nello stesso senso di Figlio ed Immagine 13. E nell’espressione sapienza nata, il termine nata lo indica come Verbo, come Immagine, come Figlio; tutti vocaboli non assoluti, ma relativi, mentre il termine "sapienza" che è anche assoluto, essendo sapienza per se stessa, indica pure l’essenza e l’identità tra l’essenza e la sapienza 14. Presi dunque insieme il Padre e il Figlio sono una stessa sapienza, perché una stessa essenza, e presi singolarmente il Figlio è sapienza da sapienza, come essenza da essenza. Non si deve dunque pensare che, perché il Padre non è il Figlio, e il Figlio non è il Padre, o perché l’uno non è generato e l’altro è generato, per questo essi non sono una stessa essenza: i nomi di Padre e di Figlio indicano le loro relazioni, ma ambedue sono insieme una sola sapienza, una sola essenza, perché in essi si identificano essere ed essere sapiente. Tuttavia non sono entrambi insieme Verbo o Figlio perché non è la stessa cosa essere ed essere Verbo o Figlio, in quanto già abbiamo sufficientemente mostrato il senso relativo di questi termini.
Nella Scrittura "Sapienza" designa il Verbo
3. 4. Perché dunque nella Scrittura quasi in nessun luogo si parla della sapienza, se non per indicare che è generata o creata da Dio 15? Generata, quando si tratta della sapienza per mezzo della quale tutte le cose sono state fatte 16; creata o fatta, per esempio, negli uomini, quando si volgono verso la sapienza che non è stata creata né fatta, ma generata, e ne sono illuminati; in essi infatti diviene allora ciò che si chiama la loro sapienza; o ancora quando le Scritture preannunciano o raccontano che il Verbo si è fatto carne ed abitò fra noi 17. Infatti in questo modo Cristo è la sapienza fatta 18, perché si è fatto uomo. O forse nei Libri santi la sapienza non parla o non se ne tratta che per mostrarla come nata da Dio o fatta da Dio, sebbene anche il Padre sia la stessa sapienza, per raccomandarci ed invitarci ad imitare questa sapienza, ad imitazione della quale noi siamo formati 19? Il Padre infatti la dice, perché sia il suo Verbo, ma non alla maniera in cui si proferisce con la bocca il verbo sonoro o come questo è concepito prima di venir proferito, perché questo verbo per realizzarsi richiede periodi di tempo; quello invece è eterno e, illuminandoci, ci dice di sé e del Padre ciò che occorre dire agli uomini. Perciò afferma: Nessuno conosce il Figlio, se non il Padre; e nessuno conosce il Padre, se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo 20, perché è per mezzo del Figlio, cioè per mezzo del suo Verbo, che il Padre rivela. Se infatti il verbo che noi proferiamo è temporale e transitorio, e tuttavia manifesta se stesso e ciò di cui parliamo, quanto più il Verbo di Dio, per mezzo del quale sono state fatte tutte le cose 21? E manifesta il Padre proprio come il Padre è, perché anche lui è come è il Padre e ciò che è il Padre, in quanto è sapienza ed anche essenza. Infatti in quanto Verbo, non è ciò che è il Padre, perché il Verbo non è il Padre, e il Verbo è un termine relativo, come Figlio, ciò che il Padre evidentemente non è. Cristo è la potenza e la sapienza di Dio 22, proprio perché anche lui potenza e sapienza, ma dalla potenza e dalla sapienza che è il Padre, come è luce dalla luce che è il Padre, e fonte di vita 23 presso Dio Padre, che certo è fonte di vita. Poiché presso di te, dice la Scrittura, è la fonte della vita, nella tua luce vedremo la luce 24, perché come il Padre ha in se stesso la vita, così ha dato al Figlio di avere la vita in se stesso 25; ed egli era la vera luce che illumina ogni uomo che viene in questo mondo 26. Ora questa luce era il Verbo presso Dio, ma anche il Verbo era Dio 27; ma Dio è luce e tenebra alcuna non è in lui 28; luce non materiale, ma spirituale e non una luce spirituale ottenuta attraverso un’illuminazione come il Signore dice agli Apostoli: Voi siete la luce del mondo 29; ma la luce che illumina ogni uomo 30, la sapienza stessa che è Dio, la sapienza suprema, di cui ora trattiamo 31. Dunque il Figlio è sapienza dalla sapienza che è il Padre, come è "luce da luce", "Dio da Dio", in modo tale che il Padre è luce preso singolarmente, ed anche il Figlio è luce preso singolarmente; il Padre è Dio individualmente, ed anche il Figlio è Dio individualmente, e di conseguenza il Padre è sapienza individualmente ed anche il Figlio è sapienza individualmente. E come entrambi sono insieme una sola luce, ed un solo Dio, così sono entrambi una sola sapienza. Ma il Figlio è diventato per noi sapienza da parte di Dio, e giustizia e santificazione 32, perché è nel tempo, cioè a partire da un certo tempo, che noi ci convertiamo a lui, per restare con lui eternamente. E d’altra parte anche lui ad un certo momento del tempo Verbo, si è fatto carne ed abitò fra noi 33.
Il Verbo, Sapienza di Dio, senza modello per sé, è modello per noi
3. 5. Perciò, allorquando la Scrittura annuncia o narra qualcosa intorno alla sapienza, sia che la sapienza stessa parli, sia che si parli di essa, è il Figlio soprattutto che ci viene manifestato. Ad imitazione di questa immagine non allontaniamoci nemmeno noi da Dio, perché anche noi siamo immagine di Dio 34, ineguale certo, perché creata dal Padre per mezzo del Figlio, non nata dal Padre come quella sapienza; anche noi siamo immagine, perché illuminati dalla luce, mentre quella, perché è luce che illumina e perciò, senza modello per sé, è modello per noi. Essa infatti non è modellata su qualcuno che la precede guidandola al Padre, dal quale non è mai assolutamente separabile, perché è identica nell’essere a Colui dal quale ha origine. Noi, al contrario, con sforzo imitiamo un modello che non muta, seguiamo una guida che non si muove e camminando in lui tendiamo a lui, perché è divenuto per noi, nella sua umiltà, una via attraverso il tempo, lui che nella sua divinità è per noi una dimora eterna 35. Agli spiriti immateriali rimasti puri e che la superbia non ha fatto cadere, egli offre un modello nella sua natura divina, in quanto uguale a Dio 36, e come Dio, ma per offrirsi anche come modello del ritorno all’uomo caduto, incapace di vedere Dio per l’immondizia dei peccati e la condanna alla mortalità si è esinanito 37, non mutando la sua divinità, ma assumendo la nostra mutabilità e prendendo la natura di servo, venne in questo mondo 38, verso di noi, lui che era in questo mondo, perché il mondo è stato fatto per mezzo di lui 39, per essere d’esempio a quelli che lassù contemplano in lui Dio, esempio a quelli che quaggiù ammirano in lui l’uomo, esempio di perseveranza per i sani, esempio di guarigione per gli infermi, esempio di coraggio per i morituri, esempio di risurrezione per i morti, avendo il primato in tutte le cose 40. Poiché per raggiungere la beatitudine l’uomo doveva seguire solo Dio, ma non era in suo potere vedere Dio, mettendosi al seguito di Dio fatto uomo, l’uomo avrebbe seguito nello stesso tempo uno che aveva la capacità di vedere ed uno che aveva il dovere di seguire. Amiamolo dunque ed uniamoci a lui con la carità che è stata diffusa nei nostri cuori mediante lo Spirito Santo, che ci è stato dato 41. Niente di strano dunque se per l’esempio che, per riformarci ad immagine di Dio, ci offre l’immagine uguale al Padre 42, la Scrittura, quando parla della Sapienza, parla del Figlio, che noi seguiamo vivendo con sapienza, sebbene anche il Padre sia sapienza, come è luce e Dio.
Lo Spirito Santo è col Padre ed il Figlio una sola Sapienza
3. 6. Non conta che consideriamo lo Spirito Santo come la carità somma che congiunge tra loro il Padre e il Figlio e soggioga noi - non è una considerazione indegna di lui perché è scritto che Dio è carità 43 -, dunque non è sapienza anche lo Spirito Santo, essendo egli la luce, se Dio è Luce 44? Oppure che indichiamo l’essenza dello Spirito Santo in senso personale e proprio in altro modo. Questo è certo: essendo egli Dio, è la Luce, essendo la Luce è la Sapienza. Ora che lo Spirito Santo sia Dio la Scrittura lo proclama per bocca dell’Apostolo: Non sapete che siete tempio di Dio? e subito aggiunge: E lo Spirito di Dio abita in voi 45. Dio infatti abita nel suo tempio 46. Infatti lo Spirito di Dio non abita nel tempio di Dio come ministro, perché in un altro passo l’Apostolo dice più chiaramente: Non sapete che i vostri corpi sono tempio dello Spirito Santo, che è in voi e che avete ricevuto da Dio, e che voi non appartenete a voi stessi? Infatti voi siete stati comprati a gran prezzo. Glorificate dunque Dio nel vostro corpo 47. Ma che cos’è la sapienza se non una luce spirituale ed immutabile? Certo anche il nostro sole è una luce, ma corporea; anche la creatura spirituale è luce, ma non immutabile. Dunque il Padre è luce, il Figlio è luce, lo Spirito Santo è luce; ma tutti e tre insieme non costituiscono tre luci, ma una sola Luce. Di conseguenza il Padre è sapienza, il Figlio è sapienza e lo Spirito Santo è sapienza, ed insieme non fanno tre sapienze, ma una sola Sapienza. E poiché qui essere è la stessa cosa che essere sapiente, il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono una sola essenza. Né qui essere è altra cosa che essere Dio: perciò il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo sono un solo Dio 48.
Un’essenza, tre Persone
4. 7. Per parlare dell’ineffabile, affinché potessimo esprimere in qualche modo ciò che in nessun modo si può spiegare, i nostri Greci hanno usato questa espressione: una essenza, tre sostanze; i Latini invece: una essenza o sostanza, tre Persone 49, perché, come abbiamo già detto, nella nostra lingua, cioè in latino, "essenza" e "sostanza" sono correntemente considerate sinonimi. E purché si intenda almeno in enigma 50 ciò che si dice, ci si è accontentati di queste espressioni per rispondere qualcosa quando si chiede che cosa sono i Tre; questi Tre di cui la fede ortodossa afferma l’esistenza, quando dichiara che il Padre non è il Figlio e lo Spirito Santo, che è il dono di Dio 51, non è né il Padre né il Figlio. Quando si chiede dunque che cosa sono queste tre cose o questi Tre, ci affanniamo a trovare un nome specifico o generico che abbracci queste tre cose, ma non si presenta allo spirito, perché l’eccellenza sopraeminente della divinità trascende la capacità del linguaggio abituale 52. Quando si tratta di Dio il pensiero è più vero della parola e la realtà più vera del pensiero. Infatti, quando diciamo che Giacobbe non è Abramo, ed Isacco non è né Abramo né Giacobbe, riconosciamo che sono tre: Abramo, Isacco e Giacobbe. Ma quando si chiede che cosa siano questi tre rispondiamo tre uomini, e diamo loro un nome specifico al plurale, mentre è un nome generico se diciamo tre animali. L’uomo infatti è, secondo la definizione degli antichi, un animale ragionevole, mortale 53. Lo stesso quando con il linguaggio abituale delle nostre Scritture diciamo: tre anime, se si preferisce esprimere il tutto per mezzo della parte migliore, cioè, per mezzo dell’anima, sia il corpo sia l’anima, che sono l’uomo intero. È in questo senso che la Scrittura dice che scesero in Egitto con Giacobbe settantacinque anime, cioè settantacinque uomini 54. Così quando diciamo: "Il tuo cavallo non è lo stesso che il mio", e "un terzo cavallo, che appartiene a qualche altro, non è né il mio né il tuo", riconosciamo che sono tre e, se ci si domanda che cosa sono questi tre rispondiamo con un termine specifico: "tre cavalli"; con un termine generico: "tre animali". Così pure quando diciamo che un bue non è un cavallo, che un cane non è né un bue né un cavallo, parliamo di tre esseri. Ed a coloro che ci chiedono che cosa sono questi tre esseri, non rispondiamo con il nome specifico: tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, perché questi tre esseri non sono della stessa specie, ma con un nome generico: tre animali, o con un termine generico più ampio: tre sostanze, tre creature, tre nature. Ora tutto ciò che si può designare con un termine specifico al plurale, si può pure esprimere con un solo termine generico ma non possiamo esprimere con un solo termine specifico tutto ciò che si può designare con un solo termine generico. Per esempio tre cavalli - che è un termine specifico - li chiamiamo anche tre animali, ma il cavallo, il bue e il cane li chiamiamo soltanto tre animali o tre sostanze - che sono termini generici - o con qualche altro nome generico che si può loro attribuire, ma non possiamo chiamarli tre cavalli, o tre buoi, o tre cani, che sono tutti termini specifici. Ossia chiamiamo con un solo nome, sebbene sia al plurale, le realtà che hanno in comune ciò che questo nome significa. Così Abramo, Isacco, Giacobbe hanno in comune l’umanità, perciò sono chiamati tre uomini; il cavallo, il bue e il cane hanno in comune l’animalità, perciò sono chiamati tre animali. Allo stesso modo tre lauri li chiamiamo anche tre alberi, ma un lauro, un mirto e un olivo li chiamiamo soltanto tre alberi, o tre sostanze o tre nature. Ancora, tre pietre le chiamiamo anche tre corpi; ma la pietra, il legno e il ferro li chiamiamo soltanto tre corpi o con qualche altro appellativo più ampio che si potrà loro attribuire. Ora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, dato che sono tre 55, investighiamo che cosa siano, che cosa abbiano in comune. Infatti ciò che è loro comune non è ciò che costituisce il Padre, in maniera che reciprocamente siano padri, come alcuni amici - appellativo di relazione reciproca - possono essere chiamati tre amici, perché sono amici vicendevolmente. Questo non può verificarsi qui, perché soltanto il Padre è padre, né è padre di due, ma di un Figlio unico. Né vi sono tre figli, perché qui il Padre non è il Figlio, né lo Spirito Santo. Né vi sono tre spiriti santi, perché né il Padre, né il Figlio sono Spirito Santo nel senso proprio in cui lo si chiama dono di Dio 56. Che cosa sono dunque questi Tre? Se sono tre Persone 57, essi hanno in comune ciò che caratterizza la persona; dunque hanno un nome specifico o generico, se ci atteniamo al linguaggio abituale. Ma dove non c’è alcuna differenza di natura, diverse realtà possono essere espresse con un nome generico, in maniera che possono essere espresse anche con nome specifico. È una differenza di natura che impedisce di chiamare il lauro, il mirto, l’olivo, il cavallo, il bue, il cane con nome specifico: tre lauri nel primo caso, tre buoi nel secondo, ma con nome generico tre alberi i primi, tre animali i secondi. Ma qui, dove non c’è alcuna differenza di essenza, occorre anche che queste tre realtà abbiano un nome specifico, nome che tuttavia non si trova. Perché persona è un nome generico, tanto che lo si può applicare anche all’uomo, sebbene sia così grande la distanza tra l’uomo e Dio.
La Scrittura non parla di tre persone in Dio
4. 8. Inoltre insistendo nell’usare un nome generico, se noi parliamo di tre Persone in quanto i Tre hanno in comune ciò che caratterizza la persona (altrimenti non potrebbero in nessun modo essere chiamati così, come non sono chiamati tre figli, perché essi non hanno in comune ciò che caratterizza il Figlio) perché non possiamo chiamarli anche tre dèi? Senza dubbio infatti, poiché il Padre è una persona, il Figlio è una persona, lo Spirito Santo è una persona, vi sono tre persone: ma allora, poiché il Padre è Dio, il Figlio è Dio, lo Spirito Santo è Dio, perché non vi sono tre dèi? E se in virtù di una unione ineffabile queste tre realtà insieme sono un Dio solo, perché non sono una sola persona, cosicché non possiamo chiamarli tre persone, sebbene chiamiamo Persona ciascuna delle tre persone, come non possiamo parlare di tre dèi, sebbene noi chiamiamo Dio ciascuno di essi: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo? Forse perché la Scrittura non parla di tre dèi? Ma non troviamo nemmeno che la Scrittura parli di tre persone. O forse perché la Scrittura non parla né di tre né di una persona a proposito di queste tre realtà (vi leggiamo infatti della persona del Signore, ma non della persona che è il Signore), perciò siamo autorizzati per le necessità del linguaggio e della disputa a parlare di tre persone, non perché la Scrittura lo dica, ma perché non lo contraddice; mentre se parlassimo di tre dèi, sarebbe contrario alla Scrittura, che afferma: Ascolta, Israele: Il Signore Dio tuo è un unico Dio 58? Ma allora perché non è lecito parlare anche di tre essenze, perché allo stesso modo la Scrittura, se non lo dice, nemmeno lo contraddice? Infatti, se essenza è un termine specifico comune ai Tre, perché non dire tre essenze, come Abramo, Isacco e Giacobbe sono detti tre uomini, perché uomo è un termine specifico, comune a tutti gli uomini? Se invece essenza è un termine non specifico, ma generico, perché l’uomo, le bestie, l’albero, l’astro, l’angelo sono delle essenze, perché non chiamarli tre essenze, come tre cavalli sono chiamati tre animali, tre lauri sono chiamati tre alberi, tre pietre, tre corpi? O, se non sono dette tre essenze, ma una sola essenza 59 per l’unità della Trinità, perché, per questa stessa unità della Trinità, non si dicono una sostanza ed una persona invece che tre sostanze o tre persone? Il termine essenza è loro comune, in modo che ciascuno di essi si chiami essenza, nella stessa misura in cui è loro comune il termine "sostanza" o "persona". Infatti ciò che abbiamo detto delle persone, secondo il nostro modo abituale di parlare, occorre intenderlo delle sostanze secondo quello dei Greci, in quanto essi dicono: "tre sostanze, una essenza", come noi diciamo: "tre persone, una essenza o sostanza".
Questi termini hanno origine dalla esigenza del linguaggio
4. 9. Che ci resta dunque? Ci resta forse da riconoscere che queste espressioni sono state originate dall’indigenza del linguaggio, quando erano necessarie delle lunghe dispute contro le insidie e gli errori degli eretici 60? Infatti, quando la povertà umana tentava di esprimere con parole adatte ai sensi degli uomini, ciò che nel segreto dello spirito sa, secondo la sua capacità, del Signore Dio suo Creatore, sia per la fede religiosa sia per qualsiasi altra conoscenza, essa ha temuto di parlare di tre essenze, perché non si sospettasse una qualche diversità in quella suprema uguaglianza. D’altra parte non poteva negare l’esistenza di tre realtà perché, per averla negata, Sabellio cadde nell’eresia 61. E dalla Scrittura risulta, con assoluta certezza, ciò che si deve credere con fedeltà, e l’occhio dello spirito percepisce con piena chiarezza: che esiste il Padre, esiste il Figlio, esiste lo Spirito Santo, ma che il Figlio non è lo stesso che il Padre, e lo Spirito Santo non è lo stesso che il Padre o il Figlio. La povertà umana si è chiesta come designare queste tre realtà e le ha chiamate sostanze o Persone, con i quali termini volle escludere tanto la diversità di essenza quanto l’unicità delle Persone, in modo da suggerire non solo l’idea di unità con l’espressione "una essenza", ma anche l’idea di Trinità con l’espressione "tre sostanze o Persone". Infatti se in Dio essere è la stessa cosa che sussistere, non bisogna parlare di tre sostanze, come non si parla di tre essenze, come - dato che in Dio essere è la stessa cosa che essere sapiente - non si parla di tre sapienze allo stesso modo che non si parla di tre essenze. Così dunque, poiché in Dio essere Dio è la stessa cosa che essere, non è permesso dire tre essenze, come non è permesso dire tre dèi. Se, al contrario, in Dio essere e sussistere si oppongono tra loro, come essere Dio ed essere Padre ed essere Padrone - essere si dice in senso assoluto, essere Padre in senso relativo al Figlio, essere Padrone in senso relativo alla creatura, che è suddita - allora Dio sussiste sotto forma di relazione, come sotto forma di relazione genera e come sotto forma di relazione domina. Allora la sostanza non sarà più sostanza, perché sarà una relazione. Come infatti la parola "essenza" deriva da "essere", così da "sussistere" deriva la parola "sostanza". Ma è un’assurdità dare alla parola "sostanza" un senso relativo, perché ogni cosa sussiste in rapporto a se stessa; con quanta maggior ragione Dio?
Sostanza ed essenza in Dio
5. 10. Ma sostanza è una parola degna di Dio? Esattamente si usa il nome "sostanza" per indicare il soggetto di cui hanno bisogno certe cose per esistere; per esempio il colore o la forma di un corpo. Il corpo sussiste e perciò è sostanza, le altre cose invece esistono nel corpo sussistente e sottostante, non sono sostanze, ma nella sostanza. Dunque se quel colore o quella forma cessano d’esistere non privano il corpo del suo essere corpo, perché per il corpo essere non è la stessa cosa che conservare questa o quella forma. Sono dunque le cose mutevoli e composte che si chiamano propriamente sostanze. Ma, se Dio sussiste in modo da poter essere detto propriamente sostanza, qualcosa esiste in lui come in soggetto, e non è l’essere semplice per il quale essere è identico a qualsiasi altro attributo che si applica a lui in senso assoluto, come grande, onnipotente, buono ed ogni altro attributo degno di lui. Ora è proibito affermare che Dio sussista e sia soggetto della sua bontà; è proibito affermare che questa bontà non sia sostanza, o piuttosto essenza, e che Dio non sia la sua bontà, ma che al contrario la bontà esista in lui come in un soggetto. Perciò è chiaro che Dio si chiama sostanza in senso improprio, per far intendere con un nome più corrente che è essenza, termine giusto e proprio, al punto che forse solo Dio si deve chiamare essenza. Infatti lui solo "è" veramente, perché è immutabile, e con questo nome ha designato se stesso al suo servitore Mosè, quando gli disse: lo sono colui che sono, e: Dirai a loro: Colui che è mi ha mandato a voi 62. Tuttavia lo si chiami essenza 63, termine proprio, o sostanza 64, termine improprio, ambedue questi termini sono assoluti, non relativi 65. Perciò per Dio essere è la stessa cosa che sussistere, e dunque se la Trinità è una sola essenza, essa è anche una sola sostanza. Allora è forse più esatto parlare di tre Persone che di tre sostanze 66.
Perché non si dice che nella Trinità c’è una sola persona e tre essenze
6. 11. Ma perché non sembri che io usi parzialità in favore dei nostri, spingiamo più a fondo la nostra ricerca su questo punto. I Greci, è vero, se volessero, potrebbero chiamare i Tre prosopa: tre persone, come chiamano le tre ipostasi: tre sostanze. Ma hanno preferito questa espressione, che forse è più conforme alla natura della loro lingua. D’altra parte per le "persone" le cose stanno allo stesso modo che per la "sostanza", perché per Dio essere ed essere persona non sono cose diverse, ma assolutamente la stessa cosa. Se essere è un termine assoluto, persona invece relativo, chiameremo allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo tre Persone, allo stesso modo che chiamiamo certi uomini tre amici, o tre parenti, o tre vicini per le loro mutue relazioni, non per quello che ognuno è in senso assoluto. Dunque ognuno di loro è amico degli altri due, o parente o vicino, perché queste parole esprimono una relazione. Che dire dunque? Ci si concederà di affermare che il Padre è la persona del Figlio e dello Spirito Santo, ovvero che lo Spirito Santo è la persona del Padre e del Figlio? Il termine "persona" non si usa mai in questo senso, e quando nella Trinità nominiamo la persona del Padre, non intendiamo significare altra cosa che la sostanza del Padre. Di conseguenza, come la sostanza del Padre è il Padre stesso, non ciò per cui è Padre, ma ciò per cui è; così la persona del Padre non è una cosa diversa dal Padre stesso, perché si dice persona in senso assoluto, non in senso relativo al Figlio o allo Spirito Santo, come Dio è detto in senso assoluto grande, buono, giusto ed ogni altro attributo di questo genere. E come per lui è la stessa cosa essere ed essere Dio, essere grande, essere buono, così per lui è la stessa cosa essere ed essere persona. Perché dunque non chiamiamo questi Tre insieme una sola Persona, come li chiamiamo una sola essenza e un solo Dio, ma li chiamiamo tre Persone, mentre non parliamo di tre dèi o di tre essenze, se non perché vogliamo avere una parola che esprima in che senso si debba concepire la Trinità e non restare senza dire proprio nulla quando ci viene domandato che cosa sono questi Tre, dato che noi stessi abbiamo ammesso che sono tre? Perché se, come alcuni ritengono, l’essenza è il genere, la sostanza (o la persona), la specie - lasciando da parte ciò che ho detto prima - si parlerà inevitabilmente di tre essenze, come si parla di tre sostanze o tre persone, allo stesso modo che tre cavalli sono anche chiamati tre animali, perché "cavallo" è la specie, "animale" il genere. Infatti in questo caso la specie non è al plurale ed il genere al singolare, come se si dicesse: "tre cavalli sono un animale", ma come diciamo: "tre cavalli" con nome specifico, così diciamo: "tre animali" con nome generico. Se affermiamo invece che il termine "sostanza" o "persona" non designa la specie, ma un qualcosa di singolare ed individuale, cosicché il termine "sostanza" o "persona" non abbia un senso equivalente a quello del termine "uomo" preso come termine comune a tutti gli uomini, ma nel senso di questa parola applicata a "questo uomo", per esempio Isacco, Abramo, Giacobbe o a ciascun individuo la cui presenza si possa indicare con il dito, anche in questo caso avrebbe valore contro di essi lo stesso ragionamento. Infatti Abramo, Isacco e Giacobbe sono tre individui e sono anche tre uomini e tre anime. Perché allora anche il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, se applichiamo loro le categorie di genere, specie ed individuo, non sono detti tre essenze, come sono detti tre sostanze o persone? Ma, come ho detto, lascio da parte questo; affermo invece: se l’essenza è un genere, un’essenza che sia unica non ha specie, come, ad esempio, poiché animale è un genere, se c’è un solo animale è senza specie. Allora il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo non sono le tre specie di un’essenza unica. Se invece l’essenza è una specie, nello stesso modo in cui l’uomo è una specie, allora i Tre che chiamiamo sostanze o persone hanno in comune la stessa specie, come Abramo, Isacco e Giacobbe hanno in comune la specie umana. La specie umana si suddivide in Abramo, Isacco, Giacobbe, ma un uomo non si può suddividere allo stesso modo in vari individui umani; questo è assolutamente impossibile, perché un uomo è già un individuo umano. Perché dunque l’unica essenza (divina) si suddivide in tre sostanze o persone? Se infatti l’essenza è una specie, come "uomo", vale per una essenza unica ciò che vale per un uomo singolo. Quando abbiamo tre uomini dello stesso sesso, della stessa costituzione, dello stesso temperamento, dello stesso carattere, diciamo che sono di una stessa natura, perché vi sono tre uomini, ma una sola natura; è dunque nello stesso senso che parliamo qui di tre sostanze e una sola essenza, o di tre persone e una sola sostanza o essenza? Senza dubbio si tratta di una cosa del tutto simile, perché gli antichi che parlavano in latino, prima di conoscere i termini di "sostanza" o "essenza", che sono venuti in uso di recente, usavano al loro posto quello di "natura". Dunque noi usiamo questi termini non nel senso del genere o della specie, ma per indicare, per così dire, una materia comune ed identica. Così, se venissero formate dallo stesso lingotto d’oro tre statue, diremmo tre statue un solo lingotto d’oro, ma non diremmo che l’oro è il genere, le statue la specie, né che l’oro è la specie, le statue gli individui. Non esiste alcuna specie che vada oltre i suoi individui ed abbracci un elemento estraneo. Infatti, quando avrò definito l’uomo, che è un termine specifico, tutti i singoli uomini che sono individui sono contenuti nella stessa definizione, e non entra in essa alcun elemento specifico che non s’incontri nell’uomo. Invece se definisco l’oro, apparterranno all’oro non solo le statue, supponendo che siano d’oro, ma anche gli anelli e tutto ciò che è formato da questo metallo. Anche se non si costruisce nulla con esso, rimane oro, perché le statue si possono fare anche senza l’oro. Allo stesso modo nessuna specie va oltre i limiti della definizione del suo genere. Infatti quando definisco l’animale, poiché il cavallo è una specie di questo genere, ogni cavallo è animale, ma non ogni statua è d’oro. Perciò, sebbene a proposito di tre statue d’oro, sia esatto parlare di tre statue e di un solo lingotto d’oro, non diciamo questo per fare intendere che l’oro è il genere, le statue la specie. Non è dunque in questo senso che noi chiamiamo la Trinità tre Persone o sostanze, una essenza ed un solo Dio, come se vi fossero tre realtà che sussistono formate dalla stessa materia, sebbene questa materia - qualunque cosa essa sia - sia suddivisa tra questi Tre. Infatti non c’è qualche altra cosa che appartenga alla essenza divina in aggiunta alla Trinità. Tuttavia diciamo: le tre Persone sono della stessa essenza, o le tre Persone sono una sola essenza, ma non diciamo: le tre Persone sono state formate dalla stessa essenza - come se qui una cosa fosse l’essenza, altra cosa la persona - come possiamo parlare di tre statue formate dallo stesso oro, perché in questo caso una cosa è essere oro, altra cosa essere statue. E quando diciamo: tre uomini sono una sola natura, o: tre uomini sono di una stessa natura, possiamo anche dire: tre uomini provengono da una stessa natura, perché anche altri tre uomini possono aver origine dalla stessa natura. Nell’essenza della Trinità, invece, è assolutamente impossibile che qualsiasi altra persona possa aver origine da questa stessa essenza. Inoltre nelle cose di questo mondo, un uomo solo non è tanto, quanto tre uomini insieme, e due uomini sono più che un uomo solo; e se sono della stessa dimensione c’è più oro in tre statue insieme che in una sola e c’è meno oro in una che in due. Ma in Dio le cose non stanno così; il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo insieme non costituiscono un’essenza più grande che il Padre solo o il Figlio solo, ma insieme queste tre sostanze o Persone (se si deve chiamarle così), sono uguali a ciascuna di esse. È ciò che l’uomo carnale non comprende 67, perché i fantasmi che volteggiano nella sua anima rappresentandogli i corpi, gli permettono di concepire soltanto masse ed estensioni, piccole o grandi.
Ciò che deve credere chi non comprende; l’uomo ad immagine e immagine di Dio
6. 12. Fino a che non sia purificato da questa impurità l’uomo carnale creda nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, in un solo Dio, unico, grande, onnipotente, buono, giusto, misericordioso, creatore di tutte le cose visibili ed invisibili 68 e tutto ciò che secondo le capacità umane si può affermare essere degno di lui e vero. Quando sente dire che il Padre è il solo Dio, non ne separi il Figlio o lo Spirito Santo 69, perché il Padre è un solo Dio soltanto in unione con Colui con il quale è Dio unico, perché anche quando sentiamo dire che il Figlio è il solo Dio, bisogna intenderlo senza esclusione del Padre e dello Spirito Santo. Se parla di un’unica essenza lo faccia senza pensare ad una superiorità di grandezza o di valore dell’uno o ad una qualsiasi sua diversità nei riguardi dell’altro. Ma tuttavia non pensi che il Padre è il Figlio e lo Spirito Santo e che ogni persona abbia qualsiasi attributo che esprima la relazione delle singole Persone. Per esempio "Verbo" designa solo il Figlio, "Dono" lo Spirito Santo 70. Per questo d’altra parte le persone ammettono il numero plurale come nel passo del Vangelo in cui è scritto: Io e il Padre siamo una sola cosa 71. Da una parte il Signore dice: una sola cosa, dall’altra siamo; una sola cosa, secondo l’essenza, perché sono un unico Dio; siamo secondo la relazione perché il primo è Padre, l’altro Figlio. A volte è passata sotto silenzio l’unità dell’essenza e sono menzionate solo le relazioni al plurale: Io e il Padre verremo a lui e dimoreremo presso di lui 72. Verremo e dimoreremo sono al plurale perché prima aveva detto: Io e il Padre, cioè il Figlio e il Padre, termini indicanti mutua relazione. A volte le relazioni sono designate in maniera del tutto velata, come nel Genesi: Facciamo l’uomo a nostra immagine e somiglianza 73. Facciamo e nostra è un plurale che si deve intendere soltanto nel senso delle relazioni. Non ha da intendersi infatti nel senso che a fare l’uomo sarebbero stati degli dèi o che lo avrebbero fatto ad immagine e somiglianza degli dèi, ma nel senso che erano il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo che lo facevano, ad immagine dunque del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, affinché l’uomo esistesse come immagine di Dio. Ora Dio è Trinità 74. Ma poiché questa immagine di Dio 75 non era del tutto uguale al suo modello, perché non è nata da Dio ma è stata creata da Lui, per significare questo è un’immagine che è "ad immagine di...", ossia è un’immagine che non raggiunge il modello per l’uguaglianza, ma gli si accosta per una certa rassomiglianza 76. Infatti non ci si avvicina a Dio superando delle distanze spaziali, ma con la rassomiglianza ed è con la dissomiglianza che ci si allontana da lui. Vi sono alcuni che fanno questa distinzione: l’Immagine è il Figlio, mentre l’uomo non è immagine, ma ad immagine 77. Ma li confuta l’Apostolo che dice: L’uomo invece non deve coprirsi la testa, perché è immagine e gloria di Dio 78. Non ha detto: ad immagine, ma: l’immagine; questa immagine tuttavia, poiché altrove è detta ad immagine, non si riferisce al Figlio che è immagine perfetta del Padre 79; diversamente Dio non direbbe: a nostra immagine 80. In che senso nostra infatti, dato che il Figlio è immagine soltanto del Padre? È a motivo, come abbiamo detto, di una rassomiglianza imperfetta, che l’uomo è detto a immagine e si aggiunge nostra perché l’uomo fosse immagine della Trinità; non uguale alla Trinità, come il Figlio al Padre, ma accostandosene per una certa rassomiglianza, come abbiamo detto, nel modo in cui degli esseri lontani sono vicini non per contatto spaziale, ma per imitazione. È questo che intendono significare le parole seguenti: Trasformatevi rinnovando il vostro spirito 81, ed ai suoi destinatari l’Apostolo dice anche: Siate dunque imitatori di Dio, come figli dilettissimi 82. È all’uomo nuovo infatti che è detto: Si va rinnovando in proporzione della conoscenza di Dio, conformandosi all’immagine di colui che l’ha creato 83. Ora, se per le esigenze della controversia si preferisce, pur lasciando da parte i nomi relativi, accettare il plurale, per poter rispondere con una sola parola alla domanda: "che cosa sono i Tre?", e dire "tre sostanze o tre Persone", si badi a tener lontana ogni idea di massa o di estensione, ogni carattere, per quanto piccolo, di dissomiglianza che ci faccia pensare che vi sia qui una cosa inferiore ad un’altra, qualunque sia la maniera in cui uno può essere inferiore ad un altro, cosicché venga esclusa la confusione delle persone e una distinzione che implichi ineguaglianza. Se l’intelligenza è incapace di comprenderlo, lo si tenga per fede, fino a quando brilli nei nostri cuori Colui che ha detto per bocca del Profeta: Se non crederete, non comprenderete 84.
1 - 1 Cor 1, 24.
2 - Cf. Eccli 1, 3.
3 - Cf. Eccli 1, 4-5.
4 - Gv 1, 1.
5 - Gv 1, 3.
6 - Cf. Eccli 1, 3-5; 1 Cor 1, 18-30; 2 Cor 4, 4; Col 1, 15; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.
7 - 1 Cor 1, 24.
8 - Cf. 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.
9 - Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24; Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11.
10 - Cf. Eccli 1, 4.
11 - Cf. Eccli 1, 3-4; 50, 31; 1 Cor 1, 21.24.30; Gv 1, 7-9.
12 - Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.
13 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.
14 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14; Gv 1, 1-14; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.
15 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.
16 - Eccli 24, 5.
17 - Gv 1, 14.
18 - 1 Cor 1, 30.
19 - Cf. Eccli 1, 4-9; 24, 5-14.
20 - Mt 11, 27.
21 - Eccli 1, 5; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.
22 - 1 Cor 1, 24.
23 - Sal 35, 10; cf. Prv 13, 14; 14, 27.
24 - Ibid.
25 - Gv 5, 26.
26 - Gv 1, 9.
27 - Gv 1, 1.
28 - 1 Gv 1, 5.
29 - Mt 5, 14.
30 - Gv 1, 9.
31 - Cf. Eccli 1, 3-4; 1 Cor 1, 21-30.
32 - 1 Cor 1, 30.
33 - Gv 1, 14.
34 - 1 Cor 11, 7.
35 - Cf. Fil 2, 6-7.
36 - Fil 2, 6.
37 - Fil 2, 7.
38 - Ibid.
39 - Gv 1, 10.
40 - Col 1, 18.
41 - Rm 5, 5.
42 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.
43 - 1 Gv 4, 8.16.
44 - 1 Gv 1, 5.
45 - 1 Cor 3, 16.
46 - Sal 10, 5; Ab 2, 20.
47 - 1 Cor 6, 19-20.
48 - Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 1.
49 - Cf. Porfirio, Phil. Hist. 4 (vit. Platonis), in: Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759; e in: Cirillo Alessadrino, Iul. 1, 8; Basilio, Epp. 38; 236; Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26; Girolamo, Ep. 15, 3-5.
50 - 1 Cor 13, 12.
51 - At 8, 20; Gv 4, 10.
52 - Cf. Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 52.
53 - Quintiliano, Instit. 7, 3, 15; cf. Cicerone, Acad. 2, 7, 21; Plutarco, Eth. 450d; Agostino, De ord. 2, 11, 31: NBA, III/1.
54 - Cf. At 7, 14-15; Gn 46, 27; Es 1, 5; Dt 10, 22.
55 - 1 Gv 5, 7.
56 - At 8, 20; Gv 4, 10.
57 - treiV upostaseiV. Cf. nota 49.
58 - Dt 6, 4; cf. Valeriano Calagoritano, Fid. Inc.
59 - mia oujsia, cf. Agostino, De civ. Dei 12, 2, 15: NBA, V/2.
60 - Cf. Rufino, Hist. eccles. 1, 29.
61 - Cf. Thomus Damasi, Anath. 2.
62 - Es 3, 14.
63 - Cf. Agostino, De civ. Dei 12, 2.
64 - Cf. Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26.
65 - Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24; Pseudo-Agostino, Categ. X ex Arist. 11.
66 - Cf. Porfirio, Fil. hist. 4 (vit. Plat.), in Didimo Alessandrino, Trin. 2, 26: PG 39, 759; e in Cirillo Alessandrino, Iul. 1, 8; Basilio, Epp. 38; 236; Tertulliano, Apol. 21; Adv. Prax. 2; 26; Girolamo, Ep. 15, 3-5.
67 - 1 Cor 2, 14.
68 - Cf. Agostino, De fide et symbolo 4, 5: NBA, VI/1; De mor. Eccl. cath. 2, 7, 9: NBA, XIII/1; Pelagio, Libell. fid. ad Inn.; Tertulliano, Symb. 3; Pseudo-Ambrogio, Exhort. ad neoph.
69 - Cf. Tomus Damasi, Anath. 25.
70 - Cf. At 8, 20; Gv 1, 1-14; 4, 10; 1 Ts 2, 13; Ap 19, 13.
71 - Gv 10, 30.
72 - Gv 14, 23.
73 - Gn 1, 26.
74 - Cf. Basilio, Hexaem. 4, 6; Ilario, De Trin. 5, 8.
75 - 1 Cor 11, 7.
76 - Cf. Gn 1, 26.
77 - Cf. Agostino, De div. qq. 83 51, 4: NBA, VI/2; Ambrogio, In Ps. 118, 10, 6; In Lc. 10, 49.
78 - 1 Cor 11, 7.
79 - 2 Cor 4, 4; Col 1, 15.
80 - Gn 1, 26.
81 - Rm 12, 2.
82 - Ef 5, 1.
83 - Col 3, 10.
84 - Is 7, 9.
6 - Il dubbio che presentai al Signore sull'insegnamento di questo capitolo e la rispettiva risposta
La mistica Città di Dio - Libro primo - Suor Maria d'Agreda
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72. Circa l'intelligenza e l'insegnamento dei capitoli precedenti, mi si presentò un dubbio, provocato da ciò che molte volte ho udito da persone dotte, cioè argomenti di cui si disputa nelle scuole. Il dubbio era questo: forse che il motivo principale per cui il Verbo divino s'incarnò fu quello di farlo capo e primogenito di tutte le creature e di comunicare ai predestinati - per mezzo dell'unione ipostatica con la natura umana - i suoi attributi e le sue perfezioni nel modo conveniente per grazia e per gloria? Fu dunque un fine secondario assumere la natura passibile e morire per gli uomini? Se è vero tutto questo, come mai nella santa Chiesa vi sono, al riguardo, tante opinioni diverse? Anzi, la più comune è che il Verbo eterno sia sceso dal cielo con l'intento principale di redimere gli uomini per mezzo della sua passione e morte.
73. Presentai con umiltà questo dubbio al Signore e sua Maestà si degnò di rispondermi, dandomi insieme una comprensione e una luce molto grande, nella quale conobbi e compresi molti misteri, che non potrò spiegare perfettamente, per la profondità di significato delle parole che il Signore mi rivolse in risposta. Egli così mi disse: «Sposa e colomba mia, ascolta, perché come tuo Padre e maestro voglio rispondere al tuo dubbio e ammaestrarti nella tua ignoranza. Considera attentamente che il fine principale e legittimo della decisione che presi di comunicare la mia divinità nella persona del Verbo unita ipostaticamente alla natura umana, fu la gloria che da questa comunicazione doveva risultare al mio nome e alle creature capaci di quella gloria che io volli dare loro. Questo decreto si sarebbe senza dubbio attuato mediante l'incarnazione anche se il primo uomo non avesse peccato, perché fu irrevocabile e incondizionato nella sostanza. La mia volontà, che in primo luogo fu quella di comunicarmi all'anima e all'umanità unita al Verbo, doveva dunque essere efficace poiché ciò era conforme alla mia santità e alla rettitudine delle mie opere; perciò, sebbene tale decreto fosse l'ultimo nell'esecuzione, fu il primo nell'intenzione. E se io tardai ad inviare il mio Unigenito, fu perché stabilii di preparargli prima nel mondo un gruppo eletto e santo di giusti, i quali, dato il presupposto del peccato comune, sarebbero stati come rose tra le spine degli altri peccatori. Ma, vista la caduta del genere umano, decisi espressamente che il Verbo venisse nel mondo in forma passibile e mortale per redimere il suo popolo, di cui era capo. Ciò avvenne affinché si manifestasse e si conoscesse ancor meglio il mio amore infinito verso gli uomini e si desse così debita soddisfazione alla mia equità e alla mia giustizia, cosicché, essendo un uomo ed essendo il primo ad esistere colui che peccò, fosse altresì un uomo, e fosse il primo nella dignità, il Redentore; infine, affinché gli uomini conoscessero in ciò la gravità del peccato ed uno solo fosse l'amore di tutte le anime, come uno solo è anche il Creatore, il vivificatore, il redentore e colui che li deve giudicare. Inoltre, volli costringere i mortali a questa gratitudine e a questo amore non castigandoli, come gli angeli apostati, senza possibilità di appello; al contrario invece, perdonai all'uomo e l'aspettai, e lo fornii di un opportuno rimedio, esercitando il rigore della mia giustizia nel mio Figlio unigenito e facendo penetrare nell'uomo la pietà della mia grande misericordia».
74. «Affinché tu intenda meglio la risposta al tuo dubbio, devi considerare bene che, non essendoci nei miei decreti successione di tempo, né avendone io necessità per operare ed intendere, coloro che dicono che il Verbo s'incarnò per redimere il mondo, dicono bene, e coloro che dicono che si sarebbe ugualmente incarnato se l'uomo non avesse peccato, parlano altrettanto bene, se però s'intende con verità. Infatti, se Adamo non avesse peccato, sarebbe disceso dal cielo nella forma che per quello stato sarebbe stata opportuna, ma poiché peccò, emanai il secondo decreto, che cioè discendesse passibile perché, visto il peccato, conveniva che lo riparasse così come fece. E siccome desideri sapere in quale modo si sarebbe verificato questo mistero dell'incarnazione del Verbo se l'uomo avesse conservato lo stato d'innocenza, sappi che la forma umana sarebbe stata la medesima nella sostanza, ma col dono dell'impassibilità ed immortalità, quale ebbe il mio Unigenito dopo che risuscitò, fino a quando non salì al cielo. Avrebbe così vissuto e conversato con gli uomini e i misteri sarebbero stati a tutti manifesti. Molte volte avrebbe rivelato la sua gloria, come fece una sola volta quando visse come mortale. Ma quello che mostrò ed operò dinanzi a tre apostoli nello stato mortale, lo avrebbe manifestato, nello stato di immortalità, dinanzi a tutti, e tutti i viatori avrebbero visto il mio Unigenito con grande gloria e con la sua conversazione si sarebbero consolati, né avrebbero posto impedimento ai suoi divini effetti, perché sarebbero stati senza peccato. Tuttavia la colpa impedì e distrusse tutto questo e per essa fu opportuno che venisse in forma passibile e mortale».
75. «Ora l'esistenza, nella mia Chiesa, di opinioni diverse circa questi ed altri misteri, è nata da questo: ad alcuni maestri io rivelo alcuni misteri e ad altri ne manifesto di diversi, perché i mortali non sono capaci di ricevere tutta la luce. Né era conveniente che, finché sono viatori, si desse ad uno solo di essi la conoscenza di tutte le cose, perché, anche nello stato di beati, la ricevono per parti e la si dà loro proporzionata allo stato e ai meriti di ciascuno, secondo i criteri distributivi della provvidenza. Infatti la pienezza era solamente dovuta all'umanità del mio Unigenito e, rispettivamente, a sua Madre. Gli altri mortali non la ricevono tutta, né sempre abbastanza chiara da poter essere certi in tutto; perciò l'acquistano con fatica, con l'uso delle lettere e delle scienze. Inoltre, quantunque nelle mie Scritture vi siano tante verità rivelate, tuttavia, siccome molte volte io li lascio nella conoscenza naturale - sebbene talora io li illumini dall'alto - ne segue che i misteri vengono compresi con diversità di pareri, si trovano differenti spiegazioni e sensi nelle Scritture e ciascuno segue la sua opinione, così come le intende. E benché il fine di molti sia buono, e la luce e la verità nella sostanza sia una sola, tuttavia s'intende e si usa di essa con diversità di giudizi ed inclinazioni, a seconda che gli uni siano più propensi ad alcuni maestri e gli altri più ad altri; da qui nascono tra loro stessi le controversie».
76. «Tra le altre cause per cui è più comune l'opinione che il Verbo sia sceso dal cielo col principale intento di redimere il mondo, una è data dal fatto che il mistero della redenzione e il fine di queste opere è più conosciuto e manifesto, perché si compie e si ripete tante volte nelle sacre Scritture. Al contrario, il fine dell'impassibilità non fu stabilito né deciso in modo assoluto ed esplicito, per cui tutto quello che sarebbe appartenuto a questo stato rimase nascosto e nessuno può saperlo con certezza, se non colui al quale in particolare io darò luce o rivelerò ciò che è opportuno di quel decreto e dell'amore che portiamo alla natura umana. E sebbene questo potrebbe muovere molto i mortali se lo considerassero e penetrassero, tuttavia il decreto e le opere della redenzione dalla loro caduta sono più potenti ed efficaci per muoverli e attirarli alla conoscenza ed al contraccambio del mio immenso amore, che è il fine delle mie opere. Perciò faccio in modo che questi motivi e misteri siano più presenti e più trattati, perché è conveniente così. E considera che in un'opera possono anche esservi due fini, quando uno si pone sotto qualche condizione, come fu quello che, se l'uomo non avesse peccato, il Verbo non sarebbe disceso in forma passibile, ma che, se avesse peccato, sarebbe stato passibile e mortale; così, in qualsiasi caso, non si sarebbe tralasciato di compiere l'incarnazione. Io voglio che i misteri della redenzione siano riconosciuti, stimati e tenuti sempre presenti, per darmene il contraccambio. Non altrimenti, però, voglio che i mortali riconoscano il Verbo incarnato come loro capo e come causa finale della creazione di tutto il resto della natura umana, poiché - dopo quello della mia benignità - egli fu il principale motivo che ebbi per dare l'esistenza alle creature. Per questo deve essere onorato non solamente perché redense il genere umano, ma anche perché diede motivo alla sua creazione».
77. «Sappi inoltre, mia sposa, che io permetto e dispongo che molte volte i dottori e i maestri esprimano opinioni diverse, affinché gli uni dicano il vero e gli altri, con le forze naturali del loro ingegno, dicano ciò che è dubbio; altre volte permetto anche che dicano quello che non è, quantunque non discordi subito dalla verità oscura della fede, nella quale tutti i fedeli stanno fermi. Infine altre volte permetto che dicano quello che è possibile, secondo ciò che essi intendono. E con questa varietà si va indagando la verità e la luce, e ancor più si manifestano i misteri nascosti, poiché il dubbio serve di stimolo all'intelletto per investigare la verità. In questo le controversie dei maestri hanno un'onesta e santa causa. Ne segue anche che si conosce, dopo tante diligenze e tanti studi dei grandi e perfetti dottori e sapienti, che vi è nella mia Chiesa una scienza che li rende superiori a tutti i saggi del mondo, ma che vi è in pari tempo, sopra tutti, colui che corregge i saggi, e sono io, che solo so tutto e tutto comprendo e misuro senza poter essere misurato né compreso; infine gli uomini, per quanto scrutino i miei giudizi e le mie testimonianze, non potranno mai intenderli perfettamente, se io, che sono il principio e l'autore di ogni sapienza e conoscenza, non avrò dato loro l'intelligenza e la luce. Sapendo questo i mortali, voglio che mi lodino, magnifichino, proclamino, esaltino e glorifichino».
78. «Nondimeno è mio volere che i dottori acquistino per sé molta grazia, luce e gloria con il loro impegno onesto, lodevole e santo, che si vada sempre più scoprendo ed appurando la verità con l'avvicinarsi di più alla sua origine e così, investigando con umiltà i misteri e le opere ammirabili della mia destra, vengano ad esserne partecipi, godendo del pane dell'intelletto delle mie Scritture. Grande provvidenza ho usato io coi dottori e i maestri, benché le loro opinioni e i loro dubbi siano stati tanto diversi e con differenti fini. Infatti il loro contrastarsi e contraddirsi a vicenda talvolta è per mia maggior gloria ed onore, altre volte è per altri fini di natura terrena. Questa rivalità e passione ha fatto in modo che procedessero e procedano per vie diverse. Pur con tutto ciò li ho guidati, retti, illuminati, assistendoli con la mia protezione, in modo che la verità è stata ampiamente esplorata e manifestata, la luce per conoscere non poche delle mie perfezioni e opere meravigliose molto si è diffusa, e le sacre Scritture sono state interpretate così profondamente, che ho trovato in ciò grande compiacimento. A causa di ciò il furore dell'inferno, con incredibile invidia - molto più nei tempi presenti - ha innalzato il suo trono d'iniquità, impugnando la verità, presumendo di bersi il Giordano e di oscurare, con eresie e basse dottrine, la luce della fede, contro la quale ha seminato la sua falsa zizzania, con l'aiuto degli uomini. Tuttavia la Chiesa e le sue verità si conservano in modo assolutamente perfetto, e i fedeli cattolici, sebbene non poco avvolti e accecati da altre miserie, per quanto riguarda la verità della fede, ne mantengono la luce in modo del tutto perfetto. Veramente io chiamo tutti con paterno amore a questo bene, ma pochi sono gli eletti che mi vogliono rispondere».
79. «La mia provvidenza dispone che vi siano tra i maestri molte opinioni affini e che sempre più si scrutino le mie testimonianze, con l'intento che agli uomini viatori, mediante l'accurata ricerca, gli studi e le loro fatiche, sia chiaro il midollo delle divine Scritture. Tuttavia voglio ancora, o mia sposa, che tu intenda come gradirei molto che le persone dotte estinguessero e allontanassero da sé la superbia, l'invidia, l'ambizione dell'onore vano, le altre passioni e gli altri vizi che da questo s'ingenerano; insomma, tutta la cattiva semenza che seminano i cattivi effetti di tali occupazioni e che io per ora non sradico, perché con essa non si sradichi anche quella buona». Questo mi rispose l'Altissimo, con molte altre cose che non posso manifestare. Sia benedetta eternamente la sua grandezza, che si degnò d'illuminare la mia ignoranza e soddisfarla così adeguatamente e misericordiosamente, senza sdegnare la piccolezza di una donna insipiente e del tutto inutile. Grazie e lodi senza fine le rendano tutti gli spiriti beati e tutti i giusti della terra.
15-7 Febbraio 16, 1923 La Croce che le diede la Divina Volontà a Nostro Signore. Gesù per operare la Redenzione perfetta e completa, doveva farla nell’ambito dell’Eternità.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Stavo facendo la mia solita adorazione al crocifisso ed abbandonandomi tutta nel suo amabile Volere, ma mentre ciò facevo ho sentito che il mio amato Gesù si moveva nel mio interno, e mi diceva:
(2) “Figlia mia, su, su, presto, affrettati, fa il tuo corso nel mio Volere, va ripassando tutto ciò che fece la mia Umanità nella Suprema Volontà, affinché ai miei atti ed a quelli della mia Mamma unisca i tuoi. E’ decretato che se una creatura non entra nel Volere Eterno per rendere triplici i nostri atti, questo Supremo Volere non scende sulla terra per fare la sua via nelle umane generazioni, vuole il corteggio dei triplici atti per farsi conoscere; perciò affrettati”.
(3) Gesù ha fatto silenzio, ed io mi son sentita come sbalzata nel Santo Volere Eterno, ma non so dire quello che facevo, so solo dire che trovavo tutti gli atti di Gesù, ed io vi mettevo il mio. Onde dopo ha ripreso il suo dire:
(4) “Figlia mia, quante cose farà conoscere la mia Volontà di ciò che operò la mia Umanità in questa Volontà Divina; la mia Umanità per operare la Redenzione perfetta e completa, doveva farla nell’ambito dell’eternità, ecco la necessità d’una Volontà Eterna. Se la mia volontà umana non avesse con sé una Eterna, tutti i miei atti sarebbero atti determinati e finiti; invece, con questa erano interminabili ed infiniti, perciò le mie pene, la mia croce, dovevano essere interminabili ed infinite, e la Volontà Divina faceva trovare alla mia Umanità tutte queste pene e croci, tanto che Lei mi distendeva su tutta l’umana famiglia, dal primo all’ultimo uomo, ed Io assorbivo tutte le specie di pene in Me, ed ogni creatura formava la mia croce, sicché la mia croce fu tanto lunga quanto è e sarà la lunghezza di tutti i secoli, e larga quanto sono le umane generazioni. Non fu la sola piccola croce del Calvario dove mi crocifissero gli ebrei, questa non era altro che una similitudine della lunga croce in cui mi teneva crocifisso la Suprema Volontà, sicché ogni creatura formava la lunghezza e la larghezza della croce, e come la formavano restavano innestate nella stessa croce, ed il Voler Divino distendendomi su di essa e crocifiggendomi, non solo faceva mia la croce, ma di tutti quelli che formavano detta croce. Ecco perciò avevo bisogno dell’ambito dell’eternità dove dovevo tenere questa croce, lo spazio terrestre non basterebbe per contenerla. Oh! quanto mi ameranno quando conosceranno ciò che fece la mia Umanità nella Divina Volontà, ciò che mi fece soffrire per amor loro. La mia croce non fu di legno, no, furono le anime, erano loro che me le sentivo palpitanti nella croce in cui mi distendeva la Divina Volontà, e nessuna mi faceva sfuggire, a tutte dava il posto, e per dare posto a tutte mi distendeva in modo sì straziante e con pene sì atroci, che le pene della Passione potrei chiamarle piccole e sollievi. Perciò affrettati, affinché il mio Volere faccia conoscere tutto ciò che il Voler Eterno operò nella mia Umanità, questa conoscenza riscuoterà tanto amore, che si piegheranno a farlo regnare in mezzo ad essi”.
(5) Ora, mentre ciò diceva mostrava tanta tenerezza e tanto amore, che io meravigliata gli ho detto: “Amor mio, perché mostri tanto amore quando parli della tua Volontà, che pare come se da dentro Te vorresti uscire un altro Te stesso per il grande amore che provi, mentre se parli di altro non si vede in Te questo eccesso d’amore”.
(6) E Lui: “Figlia mia, vuoi saperlo? Quando Io parlo della mia Volontà per farla conoscere dalla creatura, Io voglio infonderle la mia Divinità, perciò un altro Me stesso, ed il mio amore esce tutto in campo per far ciò, e l’amo come Me stesso. Ecco perché tu vedi che mentre parlo del mio Volere, il mio amore sembra come se straripasse dai suoi confini per formare la sede della mia Volontà nel cuore della creatura, invece quando parlo di altro, sono le mie virtù che infondo, ed a seconda le virtù che le vado manifestando, ora la amo da Creatore, or da Padre, or da Redentore, or da Maestro, or da Medico, ecc. ; quindi non c’è quell’esuberanza d’amore di quando voglio formare un altro Me stesso”.