Liturgia delle Ore - Letture
Giovedi della 7° settimana del Tempo di Pasqua
Vangelo secondo Luca 19
1Entrato in Gèrico, attraversava la città.2Ed ecco un uomo di nome Zaccheo, capo dei pubblicani e ricco,3cercava di vedere quale fosse Gesù, ma non gli riusciva a causa della folla, poiché era piccolo di statura.4Allora corse avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro, poiché doveva passare di là.5Quando giunse sul luogo, Gesù alzò lo sguardo e gli disse: "Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua".6In fretta scese e lo accolse pieno di gioia.7Vedendo ciò, tutti mormoravano: "È andato ad alloggiare da un peccatore!".8Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore: "Ecco, Signore, io do la metà dei miei beni ai poveri; e se ho frodato qualcuno, restituisco quattro volte tanto".9Gesù gli rispose: "Oggi la salvezza è entrata in questa casa, perché anch'egli è figlio di Abramo;10il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto".
11Mentre essi stavano ad ascoltare queste cose, Gesù disse ancora una parabola perché era vicino a Gerusalemme ed essi credevano che il regno di Dio dovesse manifestarsi da un momento all'altro.12Disse dunque: "Un uomo di nobile stirpe partì per un paese lontano per ricevere un titolo regale e poi ritornare.13Chiamati dieci servi, consegnò loro dieci mine, dicendo: Impiegatele fino al mio ritorno.14Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasceria a dire: Non vogliamo che costui venga a regnare su di noi.15Quando fu di ritorno, dopo aver ottenuto il titolo di re, fece chiamare i servi ai quali aveva consegnato il denaro, per vedere quanto ciascuno avesse guadagnato.16Si presentò il primo e disse: Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine.17Gli disse: Bene, bravo servitore; poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere sopra dieci città.18Poi si presentò il secondo e disse: La tua mina, signore, ha fruttato altre cinque mine.19Anche a questo disse: Anche tu sarai a capo di cinque città.20Venne poi anche l'altro e disse: Signore, ecco la tua mina, che ho tenuta riposta in un fazzoletto;21avevo paura di te che sei un uomo severo e prendi quello che non hai messo in deposito, mieti quello che non hai seminato.22Gli rispose: Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo, che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho seminato:23perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio ritorno l'avrei riscosso con gli interessi.24Disse poi ai presenti: Toglietegli la mina e datela a colui che ne ha dieci25Gli risposero: Signore, ha già dieci mine!26Vi dico: A chiunque ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.27E quei miei nemici che non volevano che diventassi loro re, conduceteli qui e uccideteli davanti a me".
28Dette queste cose, Gesù proseguì avanti agli altri salendo verso Gerusalemme.
29Quando fu vicino a Bètfage e a Betània, presso il monte detto degli Ulivi, inviò due discepoli dicendo:30"Andate nel villaggio di fronte; entrando, troverete un puledro legato, sul quale nessuno è mai salito; scioglietelo e portatelo qui.31E se qualcuno vi chiederà: Perché lo sciogliete?, direte così: Il Signore ne ha bisogno".32Gli inviati andarono e trovarono tutto come aveva detto.33Mentre scioglievano il puledro, i proprietari dissero loro: "Perché sciogliete il puledro?".34Essi risposero: "Il Signore ne ha bisogno".
35Lo condussero allora da Gesù; e gettati i loro mantelli sul puledro, vi fecero salire Gesù.36Via via che egli avanzava, stendevano i loro mantelli sulla strada.37Era ormai vicino alla discesa del monte degli Ulivi, quando tutta la folla dei discepoli, esultando, cominciò a lodare Dio a gran voce, per tutti i prodigi che avevano veduto, dicendo:
38"'Benedetto colui che viene,'
il re, 'nel nome del Signore'.
Pace in cielo
e gloria nel più alto dei cieli!".
39Alcuni farisei tra la folla gli dissero: "Maestro, rimprovera i tuoi discepoli".40Ma egli rispose: "Vi dico che, se questi taceranno, grideranno le pietre".
41Quando fu vicino, alla vista della città, pianse su di essa, dicendo:42"Se avessi compreso anche tu, in questo giorno, la via della pace. Ma ormai è stata nascosta ai tuoi occhi.43Giorni verranno per te in cui i tuoi nemici ti cingeranno di trincee, ti circonderanno e ti stringeranno da ogni parte;44abbatteranno te e i tuoi figli dentro di te e non lasceranno in te pietra su pietra, perché non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata".
45Entrato poi nel tempio, cominciò a cacciare i venditori,46dicendo: "Sta scritto:
'La mia casa sarà casa di preghiera'.
Ma voi ne avete fatto 'una spelonca di ladri!'".
47Ogni giorno insegnava nel tempio. I sommi sacerdoti e gli scribi cercavano di farlo perire e così anche i notabili del popolo;48ma non sapevano come fare, perché tutto il popolo pendeva dalle sue parole.
Genesi 14
1Al tempo di Amrafel re di Sennaar, di Arioch re di Ellasar, di Chedorlaomer re dell'Elam e di Tideal re di Goim,2costoro mossero guerra contro Bera re di Sòdoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di Adma, Semeber re di Zeboim, e contro il re di Bela, cioè Zoar.3Tutti questi si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto.4Per dodici anni essi erano stati sottomessi a Chedorlaomer, ma il tredicesimo anno si erano ribellati.5Nell'anno quattordicesimo arrivarono Chedorlaomer e i re che erano con lui e sconfissero i Refaim ad Astarot-Karnaim, gli Zuzim ad Am, gli Emim a Save-Kiriataim6e gli Hurriti sulle montagne di Seir fino a El-Paran, che è presso il deserto.7Poi mutarono direzione e vennero a En-Mispat, cioè Kades, e devastarono tutto il territorio degli Amaleciti e anche degli Amorrei che abitavano in Azazon-Tamar.8Allora il re di Sòdoma, il re di Gomorra, il re di Adma, il re di Zeboim e il re di Bela, cioè Zoar, uscirono e si schierarono a battaglia nella valle di Siddim contro di esso,9e cioè contro Chedorlaomer re dell'Elam, Tideal re di Goim, Amrafel re di Sennaar e Arioch re di Ellasar: quattro re contro cinque.10Ora la valle di Siddim era piena di pozzi di bitume; mentre il re di Sòdoma e il re di Gomorra si davano alla fuga, alcuni caddero nei pozzi e gli altri fuggirono sulle montagne.11Gli invasori presero tutti i beni di Sòdoma e Gomorra e tutti i loro viveri e se ne andarono.12Andandosene catturarono anche Lot, figlio del fratello di Abram, e i suoi beni: egli risiedeva appunto in Sòdoma.
13Ma un fuggiasco venne ad avvertire Abram l'Ebreo che si trovava alle Querce di Mamre l'Amorreo, fratello di Escol e fratello di Aner i quali erano alleati di Abram.14Quando Abram seppe che il suo parente era stato preso prigioniero, organizzò i suoi uomini esperti nelle armi, schiavi nati nella sua casa, in numero di trecentodiciotto, e si diede all'inseguimento fino a Dan.15Piombò sopra di essi di notte, lui con i suoi servi, li sconfisse e proseguì l'inseguimento fino a Coba, a settentrione di Damasco.16Ricuperò così tutta la roba e anche Lot suo parente, i suoi beni, con le donne e il popolo.
17Quando Abram fu di ritorno, dopo la sconfitta di Chedorlaomer e dei re che erano con lui, il re di Sòdoma gli uscì incontro nella Valle di Save, cioè la Valle del re.18Intanto Melchisedek, re di Salem, offrì pane e vino: era sacerdote del Dio altissimo19e benedisse Abram con queste parole:
"Sia benedetto Abram dal Dio altissimo,
creatore del cielo e della terra,
20 e benedetto sia il Dio altissimo,
che ti ha messo in mano i tuoi nemici".
Abram gli diede la decima di tutto.
21Poi il re di Sòdoma disse ad Abram: "Dammi le persone; i beni prendili per te".22Ma Abram disse al re di Sòdoma: "Alzo la mano davanti al Signore, il Dio altissimo, creatore del cielo e della terra:23né un filo, né un legaccio di sandalo, niente io prenderò di ciò che è tuo; non potrai dire: io ho arricchito Abram.24Per me niente, se non quello che i servi hanno mangiato; quanto a ciò che spetta agli uomini che sono venuti con me, Escol, Aner e Mamre, essi stessi si prendano la loro parte".
Proverbi 5
1Figlio mio, fa' attenzione alla mia sapienza
e porgi l'orecchio alla mia intelligenza,
2perché tu possa seguire le mie riflessioni
e le tue labbra custodiscano la scienza.
3Stillano miele le labbra di una straniera
e più viscida dell'olio è la sua bocca;
4ma ciò che segue è amaro come assenzio,
pungente come spada a doppio taglio.
5I suoi piedi scendono verso la morte,
i suoi passi conducono agli inferi.
6Per timore che tu guardi al sentiero della vita,
le sue vie volgono qua e là; essa non se ne cura.
7Ora, figlio mio, ascoltami
e non allontanarti dalle parole della mia bocca.
8Tieni lontano da lei il tuo cammino
e non avvicinarti alla porta della sua casa,
9per non mettere in balìa di altri il tuo vigore
e i tuoi anni in balìa di un uomo crudele,
10perché non si sazino dei tuoi beni gli estranei,
non finiscano le tue fatiche in casa di un forestiero
11e tu non gema sulla tua sorte,
quando verranno meno il tuo corpo e la tua carne,
12e dica: "Perché mai ho odiato la disciplina
e il mio cuore ha disprezzato la correzione?
13Non ho ascoltato la voce dei miei maestri,
non ho prestato orecchio a chi m'istruiva.
14Per poco non mi son trovato nel colmo dei mali
in mezzo alla folla e all'assemblea".
15Bevi l'acqua della tua cisterna
e quella che zampilla dal tuo pozzo,
16perché le tue sorgenti non scorrano al di fuori,
i tuoi ruscelli nelle pubbliche piazze,
17ma siano per te solo
e non per degli estranei insieme a te.
18Sia benedetta la tua sorgente;
trova gioia nella donna della tua giovinezza:
19cerva amabile, gazzella graziosa,
essa s'intrattenga con te;
le sue tenerezze ti inebrino sempre;
sii tu sempre invaghito del suo amore!
20Perché, figlio mio, invaghirti d'una straniera
e stringerti al petto di un'estranea?
21Poiché gli occhi del Signore osservano le vie dell'uomo
ed egli vede tutti i suoi sentieri.
22L'empio è preda delle sue iniquità,
è catturato con le funi del suo peccato.
23Egli morirà per mancanza di disciplina,
si perderà per la sua grande stoltezza.
Salmi 136
1Alleluia.
Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.
2Lodate il Dio degli dèi:
perché eterna è la sua misericordia.
3Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.
4Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.
5Ha creato i cieli con sapienza:
perché eterna è la sua misericordia.
6Ha stabilito la terra sulle acque:
perché eterna è la sua misericordia.
7Ha fatto i grandi luminari:
perché eterna è la sua misericordia.
8Il sole per regolare il giorno:
perché eterna è la sua misericordia;
9la luna e le stelle per regolare la notte:
perché eterna è la sua misericordia.
10Percosse l'Egitto nei suoi primogeniti:
perché eterna è la sua misericordia.
11Da loro liberò Israele:
perché eterna è la sua misericordia;
12con mano potente e braccio teso:
perché eterna è la sua misericordia.
13Divise il mar Rosso in due parti:
perché eterna è la sua misericordia.
14In mezzo fece passare Israele:
perché eterna è la sua misericordia.
15Travolse il faraone e il suo esercito nel mar Rosso:
perché eterna è la sua misericordia.
16Guidò il suo popolo nel deserto:
perché eterna è la sua misericordia.
17Percosse grandi sovrani
perché eterna è la sua misericordia;
18uccise re potenti:
perché eterna è la sua misericordia.
19Seon, re degli Amorrei:
perché eterna è la sua misericordia.
20Og, re di Basan:
perché eterna è la sua misericordia.
21Diede in eredità il loro paese;
perché eterna è la sua misericordia;
22in eredità a Israele suo servo:
perché eterna è la sua misericordia.
23Nella nostra umiliazione si è ricordato di noi:
perché eterna è la sua misericordia;
24ci ha liberati dai nostri nemici:
perché eterna è la sua misericordia.
25Egli dà il cibo ad ogni vivente:
perché eterna è la sua misericordia.
26Lodate il Dio del cielo:
perché eterna è la sua misericordia.
Ezechiele 37
1La mano del Signore fu sopra di me e il Signore mi portò fuori in spirito e mi depose nella pianura che era piena di ossa;2mi fece passare tutt'intorno accanto ad esse. Vidi che erano in grandissima quantità sulla distesa della valle e tutte inaridite.3Mi disse: "Figlio dell'uomo, potranno queste ossa rivivere?". Io risposi: "Signore Dio, tu lo sai".4Egli mi replicò: "Profetizza su queste ossa e annunzia loro: Ossa inaridite, udite la parola del Signore.5Dice il Signore Dio a queste ossa: Ecco, io faccio entrare in voi lo spirito e rivivrete.6Metterò su di voi i nervi e farò crescere su di voi la carne, su di voi stenderò la pelle e infonderò in voi lo spirito e rivivrete: Saprete che io sono il Signore".7Io profetizzai come mi era stato ordinato; mentre io profetizzavo, sentii un rumore e vidi un movimento fra le ossa, che si accostavano l'uno all'altro, ciascuno al suo corrispondente.8Guardai ed ecco sopra di esse i nervi, la carne cresceva e la pelle le ricopriva, ma non c'era spirito in loro.9Egli aggiunse: "Profetizza allo spirito, profetizza figlio dell'uomo e annunzia allo spirito: Dice il Signore Dio: Spirito, vieni dai quattro venti e soffia su questi morti, perché rivivano".10Io profetizzai come mi aveva comandato e lo spirito entrò in essi e ritornarono in vita e si alzarono in piedi; erano un esercito grande, sterminato.
11Mi disse: "Figlio dell'uomo, queste ossa sono tutta la gente d'Israele. Ecco, essi vanno dicendo: Le nostre ossa sono inaridite, la nostra speranza è svanita, noi siamo perduti.12Perciò profetizza e annunzia loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io apro i vostri sepolcri, vi risuscito dalle vostre tombe, o popolo mio, e vi riconduco nel paese d'Israele.13Riconoscerete che io sono il Signore, quando aprirò le vostre tombe e vi risusciterò dai vostri sepolcri, o popolo mio.14Farò entrare in voi il mio spirito e rivivrete; vi farò riposare nel vostro paese; saprete che io sono il Signore. L'ho detto e lo farò". Oracolo del Signore Dio.
15Mi fu rivolta questa parola del Signore:16"Figlio dell'uomo, prendi un legno e scrivici sopra: Giuda e gli Israeliti uniti a lui, poi prendi un altro legno e scrivici sopra: Giuseppe, legno di Èfraim e tutta la casa d'Israele unita a lui,17e accostali l'uno all'altro in modo da fare un legno solo, che formino una cosa sola nella tua mano.18Quando i figli del tuo popolo ti diranno: Ci vuoi spiegare che significa questo per te?,19tu dirai loro: Dice il Signore Dio: Ecco, io prendo il legno di Giuseppe, che è in mano d'Èfraim e le tribù d'Israele unite a lui, e lo metto sul legno di Giuda per farne un legno solo; diventeranno una cosa sola in mano mia.
20Tieni in mano sotto i loro occhi i legni sui quali hai scritto e21di' loro: Così dice il Signore Dio: Ecco, io prenderò gli Israeliti dalle genti fra le quali sono andati e li radunerò da ogni parte e li ricondurrò nel loro paese:22farò di loro un solo popolo nella mia terra, sui monti d'Israele; un solo re regnerà su tutti loro e non saranno più due popoli, né più saranno divisi in due regni.23Non si contamineranno più con i loro idoli, con i loro abomini e con tutte le loro iniquità; li libererò da tutte le ribellioni con cui hanno peccato; li purificherò e saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio.24Il mio servo Davide sarà su di loro e non vi sarà che un unico pastore per tutti; seguiranno i miei comandamenti, osserveranno le mie leggi e le metteranno in pratica.25Abiteranno nella terra che ho dato al mio servo Giacobbe. In quella terra su cui abitarono i loro padri, abiteranno essi, i loro figli e i figli dei loro figli, attraverso i secoli; Davide mio servo sarà loro re per sempre.26Farò con loro un'alleanza di pace, che sarà con loro un'alleanza eterna. Li stabilirò e li moltiplicherò e porrò il mio santuario in mezzo a loro per sempre.27In mezzo a loro sarà la mia dimora: io sarò il loro Dio ed essi saranno il mio popolo.28Le genti sapranno che io sono il Signore che santifico Israele quando il mio santuario sarà in mezzo a loro per sempre".
Lettera ai Colossesi 3
1Se dunque siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio;2pensate alle cose di lassù, non a quelle della terra.3Voi infatti siete morti e la vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio!4Quando si manifesterà Cristo, la vostra vita, allora anche voi sarete manifestati con lui nella gloria.
5Mortificate dunque quella parte di voi che appartiene alla terra: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e quella avarizia insaziabile che è idolatria,6cose tutte che attirano l'ira di Dio su coloro che disobbediscono.7Anche voi un tempo eravate così, quando la vostra vita era immersa in questi vizi.8Ora invece deponete anche voi tutte queste cose: ira, passione, malizia, maldicenze e parole oscene dalla vostra bocca.9Non mentitevi gli uni gli altri. Vi siete infatti spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni10e avete rivestito il nuovo, che si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore.11Qui non c'è più Greco o Giudeo, circoncisione o incirconcisione, barbaro o Scita, schiavo o libero, ma Cristo è tutto in tutti.
12Rivestitevi dunque, come amati di Dio, santi e diletti, di sentimenti di misericordia, di bontà, di umiltà, di mansuetudine, di pazienza;13sopportandovi a vicenda e perdonandovi scambievolmente, se qualcuno abbia di che lamentarsi nei riguardi degli altri. Come il Signore vi ha perdonato, così fate anche voi.14Al di sopra di tutto poi vi sia la carità, che è il vincolo di perfezione.15E la pace di Cristo regni nei vostri cuori, perché ad essa siete stati chiamati in un solo corpo. E siate riconoscenti!
16La parola di Cristo dimori tra voi abbondantemente; ammaestratevi e ammonitevi con ogni sapienza, cantando a Dio di cuore e con gratitudine salmi, inni e cantici spirituali.17E tutto quello che fate in parole ed opere, tutto si compia nel nome del Signore Gesù, rendendo per mezzo di lui grazie a Dio Padre.
18Voi, mogli, state sottomesse ai mariti, come si conviene nel Signore.19Voi, mariti, amate le vostre mogli e non inaspritevi con esse.20Voi, figli, obbedite ai genitori in tutto; ciò è gradito al Signore.21Voi, padri, non esasperate i vostri figli, perché non si scoraggino.22Voi, servi, siate docili in tutto con i vostri padroni terreni; non servendo solo quando vi vedono, come si fa per piacere agli uomini, ma con cuore semplice e nel timore del Signore.23Qualunque cosa facciate, fatela di cuore come per il Signore e non per gli uomini,24sapendo che come ricompensa riceverete dal Signore l'eredità. Servite a Cristo Signore.25Chi commette ingiustizia infatti subirà le conseguenze del torto commesso, e non v'è parzialità per nessuno.
Capitolo XII: La via maestra della Santa Croce
Leggilo nella Biblioteca1. Per molti è questa una parola dura: rinnega te stesso, prendi la tua croce e segui Gesù (Mt 16,24; Lc 9,23). Ma sarà molto più duro sentire, alla fine, questa parola: "allontanatevi da me maledetti, nel fuoco eterno" (Mt 25,41). In verità coloro che ora accolgono volonterosamente la parola della croce non avranno timore di sentire, in quel momento, la condanna eterna. Ci sarà nel cielo questo segno della croce, quando il Signore verrà a giudicare. In quel momento si avvicineranno, con grande fiducia, a Cristo giudice tutti i servi della croce, quelli che in vita si conformarono al Crocefisso. Perché, dunque, hai paura di prendere la croce, che è la via per il regno? Nella croce è la salvezza; nella croce è la vita; nella croce è la difesa dal nemico; nella croce è il dono soprannaturale delle dolcezze del cielo; nella croce sta la forza delle mente e la letizia dello spirito; nella croce si assommano le virtù e si fa perfetta la santità. Soltanto nella croce si ha la salvezza dell'anima e la speranza della vita eterna. Prendi, dunque, la tua croce, e segui Gesù; così entrerai nella vita eterna. Ti ha preceduto lui stesso, portando la sua croce (Gv 19,17) ed è morto in croce per te, affinché anche tu portassi la tua croce, e desiderassi di essere anche tu crocefisso. Infatti, se sarai morto con lui, con lui e come lui vivrai. Se gli sarai stato compagno nella sofferenza, gli sarai compagni anche nella gloria.
2. Ecco, tutto dipende dalla croce, tutto è definito con la morte. La sola strada che porti alla vita e alla vera pace interiore, è quella della santa croce e della mortificazione quotidiana. Va' pure dove vuoi, cerca quel che ti piace, ma non troverai, di qua o di là, una strada più alta e più sicura della via della santa croce. Predisponi pure ed ordina ogni cosa, secondo il tuo piacimento e il tuo gusto; ma altro non troverai che dover sopportare qualcosa, o di buona o di cattiva voglia troverai cioè sempre la tua croce. Infatti, o sentirai qualche dolore nel corpo o soffrirai nell'anima qualche tribolazione interiore. Talvolta sarà Dio ad abbandonarti, talaltra sarà il prossimo a metterti a dura prova; di più, frequentemente, sarai tu di peso a te stesso. E non potrai trovare conforto e sollievo in alcuno modo; ma dovrai sopportare tutto ciò fino a che a Dio piacerà. Dio, infatti, vuole che tu impari a soffrire tribolazioni senza consolazione, e che ti sottometta interamente a lui, facendoti più umile per mezzo della sofferenza. Nessuno sente così profondamente la passione di Cristo, come colui al quale sia toccato di soffrire cose simili. La croce è, dunque, sempre pronta e ti aspetta dappertutto; dovunque tu corra non puoi sfuggirla, poiché, in qualsiasi luogo tu giunga, porti e trovi sempre te stesso. Volgiti verso l'alto o verso il basso, volgiti fuori o dentro di te, in ogni cosa troverai la croce. In ogni cosa devi saper soffrire, se vuoi avere la pace interiore e meritare il premio eterno.
3. Se porti la croce di buon animo, sarà essa a portarti e a condurti alla meta desiderata, dove ogni patimento avrà quella fine che quaggiù non può aversi in alcun modo. Se invece la croce tu la porti contro voglia, essa ti peserà; aggraverai te stesso, e tuttavia la dovrai portare, Se scansi una croce, ne troverai senza dubbio un'altra, e forse più grave. Credi forse di poter sfuggire a ciò che nessun mortale poté mai evitare? Quale santo stesse mai in questo mondo senza croce e senza tribolazione? Neppure Gesù Cristo, nostro signore, durante la sua vita, passò una sola ora senza il dolere della passione. "Era necessario - diceva - che il Cristo patisse, e risorgesse da morte per entrare nella sua gloria" (Lc 24,26 e 46). E perché mai tu vai cercando una via diversa da questa via maestra, che è quella della santa croce? Tutta la vita di Cristo fu croce e martirio e tu cerchi per te riposo e gioia? Sbagli, sbagli se cerchi qualcosa d'altro, che non sia il patire tribolazioni; perché tutta questa vita mortale è piena di miseria e segnata tutt'intorno da croci. Spesso, quanto più uno sarà salito in alto progredendo spiritualmente, tanto più pesanti saranno le croci che troverà, giacché la sofferenza del suo esilio su questa terra aumenta insieme con l'amore di Dio.
4. Tuttavia, costui, in mezzo a tante afflizioni, non manca di consolante sollievo, giacché, sopportando la sua croce, sente crescere in sé un frutto grandissimo; mentre si sottopone alla croce volontariamente, tutto il peso della tribolazione si trasforma in sicura fiducia di conforto divino. Quanto più la carne è prostrata da qualche afflizione, tanto più lo spirito si rafforza per la grazia interiore. Anzi, talvolta, per amore di conformarsi alla croce di Cristo, uno si rafforza talmente, nel desiderare tribolazioni e avversità, da non voler essere privato del dolore e dell'afflizione giacché si sente tanto più accetto a Dio quanto più numerosi e gravosi sono i mali che può sopportare Cristo. Non che ciò avvenga per forza umana, ma per la grazia di Cristo; la quale tanto può e tanto fa, nella nostra fragile carne, da farle affrontare ed amare con fervore di spirito ciò che, per natura, essa fugge e abortisce. Non è secondo la natura umana portare e amare la croce, castigare il corpo e ridurlo in schiavitù, fuggire gli onori, sopportare lietamente le ingiurie, disprezzare se stesso e desiderare di essere disprezzato; infine, soffrire avversità e patimenti, senza desiderare, in alcun modo, che le cose vadano bene quaggiù. Se guardi alle tue forze, non potresti far nulla di tutto questo. Ma se poni la tua fiducia in Dio, ti verrà forza dal cielo, e saranno sottomessi al tuo comando il mondo e la carne. E neppure avrai a temere il diavolo nemico, se sarai armato di fede e porterai per insegna la croce di Cristo. Disponiti dunque, da valoroso e fedele servo di Cristo, a portare virilmente la croce del tuo Signore, crocefisso per amor tuo. Preparati a dover sopportare molte avversità e molti inconvenienti, in questa misera vita. Così sarà infatti per te, dovunque tu sia; questo, in realtà, troverai, dovunque tu ti nasconda. Ed è una necessità che le cose stiano così. Non c'è rimedio o scappatoia dalla tribolazione, dal male o dal dolore, fuor di questo, che tu li sopporti. Se vuoi essere amico del Signore ed essergli compagno, bevi avidamente il suo calice. Quanto alle consolazioni, rimettiti a Dio: faccia lui, con queste, come meglio gli piacerà. Ma, da parte tua, disponiti a sopportare le tribolazioni, considerandole come le consolazioni più grandi; giacché "i patimenti di questa nostra vita terrena", anche se tu li dovessi, da solo, sopportare tutti, "non sono nulla a confronto della conquista della gloria futura" (Rm 8,18).
5. Quando sarai giunto a questo punto, che la sofferenza ti sia dolce e saporosa per amore di Cristo, allora potrai dire di essere a posto, perché avrai trovato un paradiso in terra. Invece, fino a che il patire ti sia gravoso e tu cerchi di fuggirlo, non sarai a posto: ti terrà dietro dappertutto la serie delle tribolazioni. Ma le cose poi andranno subito meglio, e troverai pace, se ti sottoporrai a ciò che è inevitabile, e cioè a patire e a morire. Anche se tu fossi innalzato fino al terzo cielo, come Paolo, non saresti affatto sicuro, con ciò, di non dover sopportare alcuna contrarietà. "Io gli mostrerò - dice Gesù - quante cose egli debba patire per il mio nomo" (At 9,16). Dunque, se vuoi davvero amare il Signore e servirlo per sempre, soltanto il patire ti rimane. E magari tu fossi degno di soffrire qualcosa per il nome di Gesù! Quale grande gloria ne trarresti; quale esultanza ne avrebbero i santi; e quanto edificazione ne riceverebbero tutti! Saper patire è cosa che tutti esaltano a parole; sono pochi però quelli che vogliono patire davvero. Giustamente dovresti preferire di patire un poco per Cristo, dal momento che molti sopportano cose più gravose per il mondo.
6. Sappi per certo di dover condurre una vita che muore; sappi che si progredisce nella vita in Dio quanto più si muore a se stessi. Nessuno infatti può comprendere le cose del cielo, se non si adatta a sopportare le avversità per Cristo. Nulla è più gradito a Dio, nulla è più utile per te, in questo mondo, che soffrire lietamente per Cristo. E se ti fosse dato di scegliere, dovresti preferire di sopportare le avversità per amore di Cristo, piuttosto che essere allietato da molte consolazioni; giacché saresti più simile a Cristo e più conforme a tutti i santi. Infatti, il nostro merito e il progresso della nostra condizione non consistono nelle frequenti soavi consolazioni, ma piuttosto nelle pesanti difficoltà e nelle tribolazioni da sopportare. Ché, se ci fosse qualcosa di meglio e di più utile per la salvezza degli uomini, Cristo ce lo avrebbe certamente indicato, con la parola e con l'esempio. Invece egli esortò apertamente i discepoli che stavano con lui, e tutti coloro che desideravano mettersi al suo seguito, dicendo: "Se uno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua" (Mt 16,24; Lc 9,23). Dunque, la conclusione finale, attentamente lette e meditate tutte queste cose, sia questa, "che per entrare nel regno di Dio, occorre passare attraverso molte tribolazioni" (At 14,22).
Atti del confronto con Emerito vescovo donatista
Sant'Agostino - Sant'Agostino d'Ippona
Leggilo nella BibliotecaNon si deve disperare di nessuno, finché vive.
1. Il 20 settembre, sotto il dodicesimo consolato di Onorio e l'ottavo di Teodosio, imperatori gloriosissimi, nella chiesa maggiore di Cesarea, dopo che il vescovo metropolita Deuterio si fu diretto processionalmente alla cattedra, accompagnato da Alipio di Tagaste, Agostino di Ippona, Possidio di Calama, Rustico di Cartennas, Palladio di Tigava ed altri vescovi, essendo presenti anche i presbiteri, i diaconi, tutto il clero e una gran folla di fedeli, nonché alla presenza di Emerito, vescovo del partito di Donato, Agostino, vescovo della Chiesa cattolica, prese la parola e disse: Fratelli carissimi, voi che da sempre siete stati cattolici, e voi tutti, che siete tornati alla Chiesa cattolica dall'errore donatista e avete conosciuto la pace di questa santa Chiesa cattolica e l'avete conservata con cuore sincero, e anche voi, che forse dubitate ancora della verità dell'unità cattolica, ascoltate ciò che il nostro amore disinteressato verso di voi ci sollecita a dire! Quando il nostro fratello Emerito, tuttora vescovo dei Donatisti, giunse l'altro ieri in questa città, fummo immediatamente informati della sua presenza. E poiché desideravamo ardentemente di incontrarlo, sospinti da quella carità che Dio ben conosce, andammo subito a fargli visita. Lo trovammo mentre sostava in piedi nella pubblica piazza. Dopo lo scambio dei saluti, gli facemmo notare che per lui restare sulla piazza sarebbe stato faticoso ed anche un poco sconveniente, perciò lo invitammo a venire con noi in chiesa. Ed egli accettò senza la minima difficoltà. Da ciò arguimmo che non avrebbe ricusato la comunione cattolica, così come si era presentato spontaneamente e non aveva esitato un momento ad entrare in chiesa. Ma poiché persisteva da molto tempo nella perversità dell'eresia, benché si trovasse all'interno di una chiesa cattolica, abbiamo tenuto un discorso alla vostra carità, che avrete la bontà di richiamare alla mente. Parlai a lungo; voi avete ascoltato e siete senz'altro in grado di ricordare bene tutto ciò che ho detto sulla pace, sulla carità, sull'unità della santa Chiesa cattolica, che Dio ha promesso e ha accordato. In quel mio discorso mi rivolgevo a voi, ma esortavo lui; e con tutta la forza delle viscere della mia carità, in quel mio discorso soffrivo le doglie del parto per generare al Signore tutti coloro che si trovavano in pericolo per la propria anima. Questo infatti disse ad alcuni anche il beato apostolo Paolo: Figliolini miei, che io di nuovo partorisco, finché non sia formato Cristo in voi! 1. Tuttavia lui, anche dopo il nostro discorso, ha persistito nella sua ostinazione, ma non per questo abbiamo pensato di dover disperare; come pure siamo convinti che non si debba mai disperare di qualsiasi uomo, finché vive in questo corpo. Se infatti ho affermato l'altro ieri che non avevo perduto la speranza, non era certo perché osassi disperare oggi.
Dopo la Conferenza di Cartagine, quasi tutti i Donatisti si sono convertiti.
2. Ecco, in concreto, qual è il punto nevralgico cui è giunta questa causa: poiché Emerito è venuto e, per quanto ne sappiamo, è venuto spontaneamente, la sua visita non deve essere senza frutto per questa Chiesa. Infatti, o godremo con voi della sua salvezza nella pace cattolica - ed è ciò che maggiormente auspichiamo e desideriamo -, oppure se lui persiste nella sua ostinazione - ipotesi che rigettiamo con orrore -, la sua presenza deve farvi conoscere meglio la differenza tra la pace cattolica e il dissenso ereticale. Egli è infatti vescovo del partito di Donato, ma è stato ordinato per i Donatisti di questa città. Noi, nel nome di Cristo, abbiamo già accolto gran parte di questi Donatisti nel grembo cattolico, per cui ci rallegriamo di vederli quasi tutti reintegrati nella comunione cattolica. Tuttavia anche costoro che sono rientrati nella nostra comunione - in verità non tutti, ma solo alcuni - sembrano dubitare della stessa verità cattolica, come ho detto poco sopra; alcuni poi nemmeno dubitano, ma tuttavia il loro cuore è ancora legato al partito di Donato, per cui, uomini e donne, fanno solo atto di presenza fisica: il loro corpo è dentro, ma il loro spirito è fuori. Per questo crediamo opportuno interrogare il loro vescovo, perché se avrà ancora qualcosa da dire a difesa del suo partito dopo la conferenza di Cartagine, ben nota a tutti; se ha, ripeto, ancora qualcosa da dire, ce lo dica pure, senza pregiudizio alcuno per il partito di Donato, purché giudichi la tal cosa utile a voi, nella cui città è convinto di essere stato ordinato per la vostra salvezza in Cristo. Anche noi gli risponderemo senza compromettere la Chiesa cattolica, poiché per il momento essa non ci ha affidato alcun ruolo di difensore, tuttavia in modo tale che, secondo il nostro pensiero e desiderio, possa giovare a voi, qui presenti. E [lo faremo] davanti a lui, ugualmente presente, perché se è stato sedotto, non seduca altri; se invece siamo noi che abbiamo sedotto altri, allora, presente lui stesso, che forse fuori sparla molto di noi, noi saremo redarguiti, smascherati, confutati, convinti. Se ho detto questo, è perché lui non si rifiuti di parlare; potrebbe infatti dire: " Il mio partito non mi ha affidato per ora alcun ruolo di difensore ". No, dopo la conferenza costui né si è astenuto dal parlare, né ha evitato di tornare in questa città, né si è allontanato da questa provincia; e neppure crediamo che dopo quella conferenza egli non abbia rivolto la sua parola ad alcuno in favore del partito di Donato. So bene quel che vi veniva detto - mi rivolgo a voi che provenite dallo stesso partito -, conosco perfettamente ciò che vi si insinuava: che noi avevamo comprato la sentenza del giudice. So anche che cosa vi è stato raccontato di quel giudice: che parteggiando per la nostra comunione, non permise assolutamente a loro di dire ciò che volevano; li dominava piuttosto con la sua autorità, anziché respingere con la sua probità le loro affermazioni. Tutte cose propalate dopo la conferenza sia ad opera di Emerito, sia di appartenenti alla sua comunione. Ma, che importa sapere da chi siete stati frastornati? Noi vogliamo che siate tranquilli nel possesso sicuro della pace cattolica. Se costui fosse assente, noi vi diremmo di lui: Colui che vi turba, subirà la condanna, chiunque egli sia 2. Queste sono parole del beato Paolo, dette contro persone assenti che turbavano la pace dei semplici. Ora, invece, costui è presente: si degni dunque di dirci perché è venuto qui.
Dialogo di Agostino con Emerito.
3. Fratello Emerito, sei qui presente. Tu hai partecipato con noi alla conferenza. Se sei stato sconfitto, perché sei venuto? Se, al contrario, non ti consideri uno sconfitto, dicci il motivo per cui ti sembra di essere uscito vincitore. Tu sei veramente vinto, se è la verità che ti ha vinto. Se invece pensi di essere stato vinto dalla potestà, ma in realtà hai vinto con la verità, a questo punto non esiste potestà che ti possa far passare per un vinto. Ascoltino i tuoi concittadini per quali ragioni tu presumi di essere il vincitore. Ma, se ti sei reso conto che è stata la verità a prevalere su di te, perché continui a rifiutare l'unità?.
EMERITO, vescovo del partito di Donato, rispose: Gli atti della conferenza indicano se sono stato vinto o vincitore; se sono stato vinto dalla verità o schiacciato dalla potestà.
AGOSTINO, vescovo della Chiesa cattolica, disse: Allora, perché sei venuto?
EMERITO, vescovo del partito di Donato, replicò: Per rispondere alle tue domande.
AGOSTINO, vescovo della Chiesa cattolica, disse: Io voglio sapere perché sei venuto. E non te lo domanderei, se tu non fossi venuto.
EMERITO, vescovo del partito di Donato, disse allo stenografo che registrava: Scrivi.
Gli atti della conferenza sono letti durante la quaresima.
4. Ma poiché continuava a tacere, Agostino, vescovo della Chiesa cattolica, disse: Se, dunque, hai taciuto sotto la pressione della verità, non senza un perché sei venuto, cioè hai voluto ingannare costoro.
E poiché persisteva nel suo mutismo, Agostino, vescovo della Chiesa cattolica, disse: Osservate, fratelli, il suo prolungato silenzio. Vi esorto a chiedere il suo ravvedimento; vi scongiuro di non seguirlo nella sua rovina. Dal momento che ha menzionato gli atti della nostra conferenza, da cui si può vedere, come ha sostenuto, se sia stato vinto dalla verità o schiacciato dalla forza del potere, certamente costoro, con i loro interventi superflui e dilatorii, hanno accumulato atti su atti, adoperandosi unicamente e con grande impegno perché non si combinasse nulla. Ma, grazie al Signore che presiedeva e conduceva la sua causa, si giunse proprio là, ove essi non volevano. La causa fu discussa e giudicata. Ora, vogliamo leggervi proprio tutti gli atti? Allora, alla vostra presenza, ingaggio il mio fratello e collega nell'episcopato Deuterio perché faccia ciò che si è fatto a Cartagine, a Tagaste, a Costantina, a Ippona e in tutte le Chiese che hanno zelo; e non si faccia pregare per farli leggere ogni anno, durante i giorni di digiuno, cioè durante la Quaresima che precede la Pasqua, quando un digiuno più rigoroso vi concede un tempo maggiore per l'ascolto, per far leggere - ripeto - ogni anno, pubblicamente, questi atti della conferenza, dall'inizio alla fine. Ma poiché, come avevo già iniziato a dire, adesso non possiamo leggervi tutto, abbiate la bontà di ascoltare intanto la lettera che abbiamo indirizzato al giudice prima della conferenza, e in particolare il testo che esprime il nostro impegno formale, sia su come vorremmo essere accolti da loro in caso di sconfitta, sia su come noi accoglieremmo loro in caso di vittoria, perché sia chiaro che la vittoria non sta nella rivalità, ma nell'umiltà.
Testo della lettera dei Cattolici, in risposta all'editto di Marcellino.
5. Alipio, vescovo della Chiesa cattolica, lesse con voce distinta la lettera 3 : " All'onorevole e dilettissimo figlio Marcellino, uomo assai illustre e spettabile, tribuno e notaio, Aurelio, Silvano e tutti i vescovi cattolici. Con questa lettera noi ti notifichiamo che siamo d'accordo su tutti i punti dell'editto della tua Eccellenza, col quale ti sei degnato di esortarci ad osservare le disposizioni emanate per garantire l'ordinato e tranquillo svolgimento della nostra conferenza, nonché per far conoscere e confermare la verità. E proprio perché confidiamo nella verità, noi ci vincoliamo al seguente impegno: se costoro, con i quali siamo in causa, potranno dimostrare che, nel momento in cui i popoli cristiani, crescendo ovunque secondo le promesse di Dio, avevano già occupato gran parte dell'universo e si estendevano per riempire il resto del mondo, la Chiesa di Cristo perì immediatamente per essere stata contaminata da un non ben definito gruppo di individui, che, stando alle loro accuse, qualificano come peccatori, e non sopravvisse se non nel partito di Donato; se costoro, come si è detto, potranno comprovare tutto ciò, noi non reclameremo più davanti a loro alcun riconoscimento della nostra dignità episcopale, ma eseguiremo le loro decisioni, tenendo conto unicamente della nostra salvezza: ad essi infatti dovremo sentirci debitori di quell'immenso beneficio che è la conoscenza della verità. Se, al contrario, saremo noi piuttosto a dimostrare che la Chiesa di Cristo, già diffusa in numerose nazioni, non solo quelle dell'Africa ma anche quelle d'oltremare, la quale occupa spazi feracissimi immensamente popolati e, secondo la Scrittura, cresce e porta frutti nel mondo intero 4, non ha potuto soccombere a causa dei peccati commessi dagli uomini, chiunque essi siano, che in essa convivono; se inoltre proveremo che la questione sollevata un tempo da costoro, che vollero piuttosto accusare ma non riuscirono a convincere, è stata risolta definitivamente - anche se la Chiesa non dipende affatto da questi eventi - e Ceciliano fu dichiarato innocente, tanto che essi furono giudicati uomini violenti e calunniatori da quell'imperatore, presso il quale avevano presentato nuove accuse; se infine dimostreremo, con prove di ordine umano e divino, e malgrado tutte le loro dicerie intorno ai peccati di chicchessia, che costoro sono stati ingiustamente accusati perché del tutto innocenti o che nessuna delle loro colpe ha distrutto la Chiesa di Cristo, alla cui comunione noi aderiamo, essi manterranno con noi l'unità della Chiesa, in modo tale che, non solo vi troveranno la via della salvezza, ma anche non perderanno le loro funzioni episcopali. Non sono infatti i sacramenti della verità divina che noi rigettiamo in loro, ma le interpretazioni umane ed erronee. Tolte di mezzo queste, abbracceremo il cuore del fratello, stretto a noi dal vincolo della carità cristiana, che finora piangiamo perché separato dal dissenso diabolico. Ciascuno di noi certamente potrebbe associare a sé il collega nell'onore [episcopale] e con lui occupare alternativamente il rango più alto, come accade a un qualsiasi vescovo che sta viaggiando, il quale si siede accanto al collega. Questa facoltà sarebbe accordata ad entrambe le parti, secondo il criterio dell'alternanza delle basiliche, e ciascuno dei due preverrebbe l'altro con segni di vicendevole onore, poiché là ove il precetto della carità dilata i cuori, il possesso della pace non soffre angustie; restando inteso che, qualora uno dei due morisse, non vi sarebbe in seguito se non un solo vescovo, il quale succederebbe all'unico vescovo secondo l'antica prassi. E non si tratta di una innovazione: fin dall'insorgere di questo scisma, tale era la norma osservata dalla carità cattolica verso coloro che, abiurando l'empio errore dello scisma, gustavano, fosse pure in ritardo, la dolcezza dell'unità. Nell'eventualità poi che si trovino comunità del popolo cristiano, che ci tengano a tal punto ai loro singoli vescovi da non poter tollerare lo spettacolo inusitato di due vescovi associati, ci dimetteremo da una parte e dall'altra; e in ciascuna Chiesa, ristabilita nella pace dell'unità dopo la condanna della causa dello scisma, si procederà, secondo la necessità dei luoghi, ad assegnare alle singole Chiese un unico vescovo, attraverso quei vescovi che sono da soli, ciascuno nella propria Chiesa, e approvano l'unità ristabilita ".
I vescovi devono essere tali per tutelare la pace di Cristo o non devono esserci.
6. A questo punto della lettura, il vescovo Agostino disse: Devo fare una confidenza alla vostra Carità ricordando una scena dolcissima e soavissima, che abbiamo potuto sperimentare personalmente grazie al Signore. Prima della stessa conferenza, discutevamo insieme ad alcuni confratelli su questo assunto: i vescovi, cioè, devono essere tali per tutelare la pace di Cristo o non devono esserci. Ora, ve lo devo confessare, interpellando tutti i nostri fratelli e colleghi nell'episcopato, non è stato facile trovare chi fosse disposto ad accettare una simile proposta, facendo volentieri al Signore il sacrificio di questa umiltà. Provammo ad azzardare, come suol farsi: " Quel tale è capace, quello no; questo dà il suo consenso, quell'altro rifiuta decisamente "; parlammo insomma in base alle nostre congetture, poiché non eravamo assolutamente in grado di vedere dentro i loro cuori. Ma, quando la questione fu sottoposta pubblicamente all'assemblea generale, che contava il ragguardevole numero di circa trecento vescovi, la proposta incontrò un tale favore, anzi, l'entusiasmo generale, che tutti si dichiararono pronti a deporre l'episcopato per l'unità di Cristo, perché in tal modo non lo avrebbero perduto, ma piuttosto l'avrebbero affidato alla custodia infallibile di Dio. Si trovarono appena due che non erano d'accordo: uno, un vegliardo carico d'anni, che lo disse apertamente; un altro, che fece intendere la sua volontà con la tacita espressione del volto. Il vegliardo, dopo il suo intervento, dovette subire le fraterne rimostranze di tutti; allora mutò parere, e così anche l'altro cambiò l'espressione del volto. Ascoltate, dunque, in quali termini fu fatta questa esortazione a causa di colui che ha detto: Chi si umilia sarà esaltato 5.
Se per voler conservare il mio episcopato, disperdo il gregge di Cristo, come può la rovina del gregge costituire l'onore del pastore?
7. [Alipio] riprese a leggere 6: " Chi di noi, dunque, esiterà ad offrire al nostro Redentore il sacrificio di questa umiltà? Mentre lui è disceso dal cielo in membra umane per fare di noi le sue membra, noi invece, per impedire che le sue membra siano dilaniate da una crudele divisione, abbiamo paura di scendere dalle nostre cattedre? Nulla vale di più per noi che l'essere cristiani fedeli e obbedienti: allora siamolo sempre! Vescovi, invece, siamo stati ordinati per il popolo cristiano. Ciò che promuove la pace cristiana nei popoli cristiani: questo sia l'obiettivo del nostro episcopato! ".
Il vescovo Agostino disse: Per noi stessi dobbiamo essere ciò che siete voi. E che cosa devi essere tu, cui indistintamente mi rivolgo? Un cristiano fedele e obbediente. Questo devi essere per te, questo devo essere anch'io per me. Allora, noi dobbiamo essere sempre ciò che tu devi essere per te e io per me; e ciò che sono per te, lo sia se ti giova, non lo sia se ti nuoce. Ecco ciò che è stato detto: fate bene attenzione!
[Alipio] continuò la lettura: " Se siamo servi utili, perché preferiamo alla ricompensa eterna del Signore le nostre grandezze temporali? La dignità episcopale sarà molto più fruttuosa per noi, se, deposta, favorirà la riunificazione del gregge di Cristo, mentre col volerla conservare esso lo disperderà ".
Dopo queste parole, il vescovo Agostino disse: Fratelli miei, se il nostro pensiero è nel Signore, allora questo luogo più elevato è come la torre di guardia del vignaiolo, non il pinnacolo dell'orgoglioso. Se invece, per voler conservare il mio episcopato, disperdo il gregge di Cristo, come può la rovina del gregge costituire l'onore del pastore?
[Alipio] riprende la lettura: " Con quale faccia potremo sperare di ottenere nella vita futura l'onore promesso da Cristo, se il nostro onore impedisce in questo secolo l'unità cristiana? Per questo ci siamo premurati di comunicare tale decisione alla tua Eccellenza, e ti chiediamo di adoperarti per farla conoscere a tutti, affinché, con l'aiuto del Signore, che ci ha esortato a formulare questa promessa e confidiamo con il suo aiuto di mantenerla, prima ancora della conferenza, se è possibile, la pia carità guarisca e ammansisca anche i cuori deboli o ostinati degli uomini. In tal modo, con gli animi ormai pacificati, non opporremo resistenza alla evidenza folgorante della verità e affronteremo il dibattito facendolo precedere o seguire dalla concordia. Non dobbiamo neppure perdere la speranza.Se costoro infatti tengono presente che gli operatori di pace sono beati, perché proprio essi saranno chiamati figli di Dio 7, troveranno molto più dignitoso e agevole volere che il partito di Donato si riconcili con il mondo cristiano, anziché esigere che tutta la cristianità sia ribattezzata dal partito di Donato; tanto più che essi, derivando dallo scisma sacrilego e condannato di Massimiano, si adoperarono con tale diligenza, facendo anche ricorso ai provvedimenti dell'autorità civile, per recuperare costoro, da non osare di invalidare il battesimo conferito da quelli. Per questo accolsero alcuni, pur condannati, senza privarli della loro dignità, e dichiararono gli altri esenti da ogni colpa, pur avendo fatto parte della comunione scismatica. Noi non vediamo di malocchio la loro mutua concordia; ma è opportuno che si rendano conto con quale pia sollecitudine la radice cattolica cerchi di unire a sé il ramo spezzato, se lo stesso ramo a sua volta si è tanto adoperato per ricongiungere a sé un ramoscello reciso ". Un'altra mano ha scritto così: " Noi ti auguriamo, figlio, di godere buona salute nel Signore ".
Viene introdotta la questione dei Massimianisti.
8. Terminata questa lettura, il vescovo Agostino disse: Ascoltate, voi che ignorate il fatto; ascoltate, ve ne prego. Rendo grazie a Dio di poter parlare in presenza di Emerito. È proprio la questione dei Massimianisti che ora vi voglio esporre, questa sorta di nave che essi stivarono con la merce avariata di tutte le loro calunnie. Dunque, su tale questione dei Massimianisti ripetutamente abbiamo presentato le nostre obiezioni nel corso della conferenza, ma essi non sono stati assolutamente in grado di dare spiegazioni. Proprio così: contro le nostre argomentazioni - più volte insistite, ribadite, rinfacciate - non hanno potuto minimamente rispondere, perché non sono riusciti a trovare alcuna argomentazione valida. Ascoltate dunque attentamente la questione. Ecco, egli è qui presente e mi sta ascoltando: se traviso i fatti, mi riprenda, mi costringa a fornire le prove! È vero, noi non abbiamo sottomano gli atti della conferenza, ma sia lì la causa. Concediamo pure un certo lasso di tempo per consentire di entrare in possesso dei documenti indispensabili, se riuscirò a provare ciò che dico. Se invece per questo motivo lui pone in dubbio la cosa o, speriamo che ciò non sia, finge di dubitare - dico questo senza volerlo offendere -, ebbene rigetti pure la nostra comunione, se non riuscirò a provare ciò che dico. Se al contrario sa che io dico la verità e riconosce che non è stato capace di risponder nulla per il semplice motivo che non aveva nulla da dire, allora prego che siate voi stessi a giudicare se sia più tollerabile ricevere con tutta la sua dignità un uomo che si è autocondannato, oppure riconoscere un fratello che non si è mai potuto convincere di essere in errore. Attenzione, vi prego; ascoltate l'esposizione dei fatti.
Lo scisma dei Massimianisti dura quasi tre anni. Crudeltà dei circoncellioni nei confronti di Rogato.
9. Massimiano era un diacono di Cartagine del partito di Donato. O per il suo orgoglio o, come credono i suoi, per la sua virtù, egli offese il proprio vescovo, cioè Primiano di Cartagine : a torto, se il superbo colpì il migliore; a ragione, se l'onesto colpì il disonesto. Primiano lo scomunicò. Allora si recò dai vescovi vicini, li aizzò contro Primiano, accusandolo davanti a loro. Si venne a Cartagine. I vescovi donatisti, che lo accompagnavano in gran numero, vollero che Primiano comparisse davanti a loro, così come i loro antenati avevano voluto far comparire davanti a loro Ceciliano. Avendo avuto sentore che cospiravano contro di lui, Primiano non volle incontrarli, come Ceciliano non aveva voluto incontrare gli altri. Essi condannarono Primiano in sua assenza, come gli altri avevano condannato Ceciliano in sua assenza. Questo è il quadro degli avvenimenti che Dio recentemente ha voluto porre davanti ai nostri occhi, perché l'oblio stava cancellando dalla memoria i fatti di un remoto passato!. È stato condannato un assente! Altri vescovi del partito di Donato reintegrarono Primiano nella comunione, o meglio, dal momento che essi non lo avevano deposto, lo confermarono nel pieno possesso della sua sede. I Massimianisti furono condannati alla stessa stregua di Donato, che si meritò la condanna quando i vescovi stranieri e d'oltremare assolsero Ceciliano. Fu condannato Massimiano con i suoi dodici consacranti. Il gruppo dei dissidenti comunque annoverava molti elementi, fra cui presumibilmente un centinaio di vescovi. Tuttavia, per scongiurare uno scisma maggiore, costoro, dopo averne espulsi alcuni, non vollero imporre una sanzione disciplinare a tutta la massa. Condannarono soltanto coloro che avevano preso parte all'ordinazione di Massimiano, quando, in opposizione al suo vescovo, fu illecitamente elevato all'episcopato. Agli altri aderenti alla sua fazione, qualora avessero voluto ritornare alla Chiesa, si concedeva di conservare le loro dignità. Del resto, il loro stesso modo di parlare rivelava che costoro erano al di fuori della Chiesa : se tu infatti inviti uno a rientrare, vuol dire che è fuori! Si fissò dunque una data: chi rientrava entro quel dato giorno, non avrebbe dovuto rispondere dei suoi attacchi contro Primiano: il loro decreto di Bagai ne è la conferma. Fu condannato soltanto Massimiano con altri dodici. Si fanno dei passi per espellere i condannati dalle loro basiliche. Ci si appella ai giudici, si ricorre ai proconsoli, si invoca come prova davanti al tribunale il concilio episcopale di Bagai. Sono bollati come eretici, si forniscono le prove della loro condanna, si chiedono ordinanze, si radunano milizie ausiliarie e si giunge infine ad espellere dalle loro basiliche questi individui, che, pur colpiti da condanna, si irrigidiscono nella loro ostinazione. I fedeli, che parteggiavano per quei condannati, opposero resistenza; dove non poterono resistere furono sopraffatti; in sostituzione dei vescovi vinti ed espulsi ne furono ordinati altri. Conosciamo due di questi, per non parlare degli altri: Feliciano di Musti e Pretestato di Assuras. Orbene, due o tre anni più tardi, dopo essere stati perseguiti più volte attraverso provvedimenti giudiziari e il massimo rigore del potere civile, grazie ad Ottato, il seguace di Gildone, furono reintegrati in tutte le loro dignità. Dopo la condanna, l'espulsione e la persecuzione, ecco che essi li accolgono con tutti gli onori del loro rango, associandoseli come collaboratori e colleghi! In verità, al posto di uno di loro, Pretestato di Assuras, avevano già ordinato un altro vescovo, chiamato Rogato, che ora è cattolico. Il loro esercito, intendo dire la banda dei circoncellioni, gli mozzò la lingua e una mano. Quanto a coloro che, per tutto il tempo in cui questi condannati erano restati al di fuori, cioè per circa tre anni, furono battezzati da altri condannati, quindi furono battezzati al di fuori della loro Chiesa, essi li accolsero così come erano. Nessuno disse: " Tu non hai il battesimo, perché sei stato battezzato al di fuori ". Invece è ribattezzato chi proviene da Efeso, Smirne, Tessalonica e da tutte le altre chiese, che gli Apostoli con la loro fatica hanno impiantato, e di cui leggiamo le lettere che gli Apostoli hanno inviato loro, quando sono lette in chiesa.
La sentenza del Concilio di Bagai è dettata da Emerito.
10. Siamo in possesso del testo della sentenza contro i Massimianisti. E, per quanto ci risulta, è proprio dalla bocca del nostro fratello - che Dio gli conceda di diventare nostro fratello rappacificato! - è proprio questo nostro fratello Emerito che ha dettato la sentenza della loro condanna. Si legga la sentenza che ha condannato costoro, poi si legga la sentenza, con cui i loro antenati condannarono Ceciliano, e si giudichi chi furono i maggiori colpevoli, quali puniti con una sentenza più dura, quali condannati con maggiore fracasso. Ecco ciò che [Emerito] disse in quel testo: " Anche se l'alveo dell'utero avvelenato celò a lungo i frutti malefici del seme viperino, e le molli masse del crimine concepito, riscaldandosi al lento tepore, si trasformarono in membra d'aspide, tuttavia l'involucro protettore disparve e il virus concepito non poté più essere occultato. Infatti, anche se con effetto ritardato, i loro propositi, gravidi di crimini, partorirono il loro pubblico delitto e il loro parricidio. Tutto ciò era stato predetto: Egli ha dato alla luce l'ingiustizia, ha concepito il dolore e ha partorito l'iniquità 8. Ma l'azzurro rifulge già fra le nuvole e non c'è più una selva intricata di crimini, essendo ormai stati segnalati i nomi per la punizione - l'indulgenza infatti fa parte ormai del passato -; noi abbandoniamo la linea della clemenza e la causa individua i colpevoli ". E aggiunge fra l'altro: "Parliamo pure, carissimi fratelli, delle cause dello scisma, perché ormai non possiamo più tacere i nomi delle persone. Massimiano, lui è l'avversario della fede, il corruttore della verità, il nemico della madre Chiesa, il ministro di Datan, Core e Abiron ". Queste sono le parole del partito di Donato nei confronti dei Massimianisti; e, da quel che abbiamo sentito, sono state dettate da costui. Voi sapete chi sono Datan, Core e Abiron: essi furono i promotori del primo scisma; per essi non bastò la pena usuale: la terra si aprì per inghiottirli vivi 9. " Questo ministro di Datan, Core e Abiron " - sono sue parole - " è stato espulso dal grembo della pace con il fulmine della sentenza ". Ascoltate ancora che cosa dice: " E se la terra non si è spalancata tuttora per inghiottirlo, è perché se lo è riservato per un giudizio peggiore dall'Alto. Nel primo caso egli avrebbe pagato solo in parte per il suo crimine, ora invece raccoglie anche gli interessi di un castigo più duro: egli è morto nel mezzo dei vivi ". Sono parole di colui che ha condannato Massimiano, o meglio, per usare il suo linguaggio, che "con bocca veridica " 10 lo ha fulminato. E nonostante ciò, essi hanno raccolto aspidi, vipere, parricidi, senza annullare il battesimo che è stato conferito dall'aspide, dalla vipera, dal parricida. Avete visto quale fiammata d'eloquenza ha crepitato, quando lui ha trovato del buon fieno secco per farla incendiare! Fratello Emerito, tu hai abbracciato tuo fratello Feliciano, che il fulmine della tua bocca aveva condannato; riconosci tuo fratello Deuterio, che anche un vincolo di parentela unisce a te!
Il caso dei Massimianisti fa ammutolire i Donatisti.
11. Fratelli miei, ogni volta abbiamo contestato loro durante i lavori della conferenza il caso dei Massimianisti, che vi ho esposto come ho potuto, Emerito ha osservato un silenzio ancor più assoluto di quel che mantiene adesso su tutto. Che costoro non si nascondano con un sotterfugio, che equivarrebbe, più che ad una difesa, ad una fuga! Dicono infatti che diedero una proroga ai Massimianisti e, prima che spirasse tale periodo, li riammisero. Questo è falso! Con Massimiano sono stati condannati dodici vescovi; gli altri invece non erano presenti alla sua ordinazione, quando gli imposero le mani: a costoro concessero una dilazione. Ecco infatti le sue testuali parole: " E non è il solo costui " - dice - " che si vede condannato con la giusta morte del suo crimine; infatti la catena del sacrilegio coinvolge nella complicità del crimine una moltitudine. Di essi è scritto: Veleno d'aspide è sotto le loro labbra, la loro bocca è piena di maledizione e di amarezza. I loro piedi corrono veloci a versare il sangue; contrizione e infelicità è sul loro cammino e la via della pace non hanno conosciuto. Non c'è timore di Dio davanti ai loro occhi 11. Noi non vorremmo, per così dire, recidere le giunture del nostro corpo, ma la cancrena mortale di una piaga in putrefazione riceve maggior beneficio da una operazione chirurgica, anziché da un blando medicamento; e si è constatato che è più salutare, per evitare che l'infezione si propaghi in tutte le membra, ricorrere a un dolore momentaneo, al fine di eliminare la piaga aperta ". Come " colpevoli di questo crimine infame ", egli ne nomina dodici, fra i quali sono Feliciano e Pretestato, ma i nomi di tutti mi sfuggono. Ed egli continua così: " Costoro, che, con la loro funesta azione di perdizione, hanno colmato di liquame un vaso sordido, così come in altri tempi fecero i chierici della Chiesa di Cartagine, i quali, assistendo al misfatto, furono i favoreggiatori di questo illegittimo incesto, sono stati condannati, per disposizione e volere di Dio, dalla bocca veridica di un concilio universale: sappiatelo! Quanto a coloro che non hanno inquinato i germogli dell'arbusto sacrilego, quelli cioè che per un senso di verecondo pudore della fede hanno ritirato la loro mano dal capo di Massimiano, a costoro abbiamo permesso di ritornare alla madre Chiesa ". Volevano impomiciare la loro faccia, poiché graziavano i sacrileghi e accordavano apertamente il ritorno agli scismatici. Che è questo? Chiedo che egli si degni di spiegarmi adesso come mai i germogli dell'arbusto sacrilego non hanno inquinato costoro. Perché mai tu accordi loro una proroga, se essi non hanno potuto avere alcun rapporto con lo scisma di Massimiano? Se invece essi sono soci della loro fazione, benché non abbiano assistito alla ordinazione, come mai Massimiano non li inquina, mentre l'universo intero è macchiato da un uomo, Ceciliano, condannato una sola volta in sua assenza e per tre volte assolto in sua presenza? Un africano non inquina gli africani, un vivente i viventi, un conoscente i conosciuti, un complice i colleghi; Ceciliano invece inquina i popoli d'oltremare, inquina gente tanto lontana, inquina sconosciuti, inquina perfino i non ancora nati? Feliciano, da te condannato, si è seduto con te e non ti ha macchiato? Io quello non l'ho mai visto, tu invece costui lo hai conosciuto. Io quello lo reputo innocente, tu hai condannato questo come colpevole. Insomma, se confessi di avere accolto un innocente, confessi anche di aver condannato un innocente.
Se noi abbiamo un cuore di pastore, dobbiamo buttarci fra i rovi e le spine.
12. Malgrado ciò, fratelli miei, non ci dispiace la loro concordia. In mezzo a loro sono sorti odi diabolici, poi sopiti; secondo loro, sono tornati a far pace. Ma io dico loro: se il ramo spezzato ha cercato di recuperare il virgulto che si è staccato, con quale diligenza l'albero stesso non dovrà cercare di recuperare il ramo che da esso si è staccato? Per questo sudiamo, per questo fatichiamo, per questo rischiamo di trovarci nel mezzo di truppe armate e della furia sanguinaria dei loro circoncellioni; e se tolleriamo fino ad oggi i loro resti con la pazienza che Dio ci ha donata, è perché l'albero cerchi il suo ramo, e il gregge cerchi la pecorella, smarrita lontano dall'ovile di Cristo. Se noi abbiamo un cuore di pastore, dobbiamo buttarci fra i rovi e le spine. Con le membra lacerate, cerchiamo la pecorella e portiamola con letizia al pastore e principe di tutti 12!. Abbiamo parlato a lungo, malgrado la spossatezza. Nonostante ciò, il nostro fratello, per il cui bene vi abbiamo detto queste cose, a cui ugualmente le diciamo e per il quale tanto ci adoperiamo, persiste sempre nella sua ostinazione. Una fermezza spietata viene considerata costanza. Che la smetta di vantarsi di una energia tanto inutile quanto falsa! Ascolti ciò che gli dice l'Apostolo: La mia potenza si manifesta pienamente nella debolezza 13. Preghiamo per lui. Come possiamo conoscere i disegni di Dio? Sta scritto: Molti sono i pensieri nel cuore dell'uomo, ma solo il disegno del Signore rimane in eterno 14.
Note:
1 - Gal 4, 19.
2 - Gal 5, 10.
3 - AUG., Ep. 128, 1-3; cf. Brevic. 1, 5.
4 - Cf. Col 1, 6.
5 - Lc 18, 14.
6 - AUG., Ep. 128, 3-4.
7 - Cf. Mt 5, 9.
8 - Sal 7, 15.
9 - Cf. Nm 16, 32.
10 - Vedi infra, 11.
11 - Sal 13, 3; Rm 3, 13-18 (= Sal 10, 7; Is 59, 1-8; Sal 35, 2).
12 - Cf. Lc 15, 4-6.
13 - 2 Cor 12, 9.
14 - Prv 19, 21.
1 - San Giuseppe viene a sapere della gravidanza di Maria vergine.
La mistica Città di Dio - Libro quarto - Suor Maria d'Agreda
Leggilo nella Biblioteca375. Era già in corso il quinto mese della divina gravidanza della Principessa del cielo, quando il castissimo Giuseppe suo sposo cominciò a riflettere sull'ingrossamento del suo grembo verginale, perché nella perfezione naturale e nella delicata costituzione della sua sposa umilissima, come ho detto in precedenza, si poteva scoprire agevolmente ogni eventuale cambiamento. Un giorno, mentre Maria santissima usciva dalla sua stanza, san Giuseppe la guardò con particolare attenzione e comprese con maggiore certezza la novità, senza che il ragionamento potesse smentire ciò che agli occhi era già evidente. L'uomo di Dio restò ferito nel cuore con un dardo di dolore, che lo penetrò fin nella sua parte più intima, senza trovare resistenza alla forza delle sue ragioni. La prima era l'amore castissimo, ma molto intenso e vero, che aveva per la sua fedelissima sposa, nella quale fin dal principio il suo cuore aveva più che confidato; inoltre, col piacevole tratto e con la santità senza pari della grande Signora, questo vincolo dell'anima di san Giuseppe si era sempre più confermato nella stima di lei. Siccome ella era tanto perfetta nella modestia e nell'umile maestà, il santo, oltre al diligente riguardo di servirla, aveva un desiderio, quasi connaturale al suo amore, di vedersi corrisposto dalla sua sposa. E il Signore dispose ciò in questo modo, affinché, per essere ricambiato, il santo mettesse una maggiore sollecitudine nel servire e stimare la divina Signora.
376. San Giuseppe soddisfaceva questo compito come fedelissimo sposo e dispensatore del mistero che tuttavia gli era nascosto. Quanto più era intento a servire e a venerare la sua sposa e quanto più il suo amore era purissimo, castissimo, santo e giusto, tanto maggiore era il desiderio di vedersi da lei corrisposto. Ciò nonostante non glielo manifestò mai, sia per la riverenza alla quale lo obbligava l'umile maestà della sua sposa, sia perché quella sollecitudine non gli era mai pesata per la sua piacevole conversazione e la sua purezza più che angelica. Quando però si trovò in questo frangente, venendogli attestata dalla vista la novità che non poteva negare, la sua anima restò divisa per la sorpresa. Tuttavia, per quanto sicuro che nella sua sposa vi era quel nuovo fatto, non diede al giudizio più di quanto non poteva negare agli occhi. Essendo uomo santo e retto, sebbene vedesse l'effetto, sospese il giudizio riguardo alla causa; se, infatti, si fosse persuaso che la sua sposa era colpevole, senza dubbio sarebbe morto di dolore.
377. A questa causa si aggiunse la certezza di non aver parte nella gravidanza che riscontrava con i suoi occhi e di non poter evitare il disonore, quando la cosa si fosse venuta a sapere. Questa preoccupazione era per san Giuseppe tanto più pesante quanto più egli era di cuore generoso ed onesto, e con la sua grande prudenza sapeva misurare il dolore dell'infamia propria e della sua sposa, se fossero giunti a soffrirlo. La terza causa, che procurava maggiore tormento al santo sposo, era il rischio di dover consegnare la sua sposa affinché venisse lapidata secondo la legge, poiché questo era il castigo delle adultere. In mezzo a queste considerazioni, come fra punte di acciaio, il cuore di san Giuseppe si trovò ferito, senza trovare sul momento altro rifugio per risollevarsi, fuorché la consolidata fiducia che aveva nella sua sposa. Poiché tutti i segni attestavano l'impensata novità e al sant'uomo non si offrivano vie d'uscita, né tantomeno egli osava comunicare a persona alcuna la sua afflizione, si trovava circondato dai dolori della morte e provava che la gelosia è tenace come l'inferno.
378. Voleva ragionare tra sé e sé, ma il dolore gli toglieva la capacità di farlo. Se il pensiero voleva andare dietro ai sensi nei sospetti, tutti questi svanivano come il gelo alla forza del sole e come il fumo dinanzi al vento, poiché egli si ricordava della provata santità della sua sposa, che era riservata e prudente; se voleva sospendere l'affetto del suo castissimo amore, non poteva, perché sempre la ritrovava oggetto degno di essere amato, e la verità, benché misteriosa, aveva forze maggiori per allettarlo di quante ne avesse l'inganno apparente dell'infedeltà per sviarlo. Non poteva rompersi quel vincolo assicurato con così solide garanzie di verità, di ragione e di giustizia. Quanto al parlarne con la sua umilissima sposa, non lo trovava conveniente e tantomeno glielo permetteva quella imperturbabilità severa e divinamente umile, che riscontrava in lei. Infatti, sebbene vedesse il cambiamento nel corpo, il suo procedere tanto puro e santo non corrispondeva a tale sconcerto, come si sarebbe potuto presumere, poiché quella colpa non poteva accordarsi con tanta purezza, santità, discrezione e con tutte le grazie unite insieme, l'aumento delle quali, in Maria santissima, era ogni giorno evidente.
379. In mezzo a queste pene, il santo sposo Giuseppe si appellò al tribunale del Signore mediante la preghiera e, postosi alla sua presenza, disse: «Altissimo Dio e Signore eterno, i miei desideri e i miei gemiti non sono nascosti alla vostra divina presenza. Mi vedo combattuto dalle onde impetuose che dai miei sensi sono arrivate a ferire il mio cuore. Io lo consegnai sicuro alla sposa che ricevetti dalla vostra mano. Ho confidato nella sua grande santità e i segni della novità che vedo in lei mi procurano dolore e mi tormenta il timore di vedere deluse le mie speranze. Fra coloro che sinora l'hanno conosciuta, nessuno ha potuto concepire dubbio alcuno sul suo pudore e sulle sue eccellenti virtù, però non posso negare che sia incinta. Giudicare che sia stata infedele e che vi abbia offeso sarebbe temerario alla vista di così rara santità e purezza; negare quello che la vista mi assicura è impossibile, come lo sarà vivere sotto la forza di questa pena, se in tutto questo non si nasconde qualche mistero che io non comprendo. La ragione la scagiona, mentre i sensi la condannano. Ella mi cela la causa della sua gravidanza, ma io intanto vedo il suo stato: che cosa dunque devo fare? Fin dall'inizio concordammo il voto di castità, che tutti e due facemmo per vostra gloria e, se mai fosse possibile che avesse violato la vostra fede e la mia, io difenderei il vostro onore e per amore vostro non mi curerei del mio. Ma come si potrebbe conservare tale purezza e santità in tutto il resto, se ella avesse commesso una così grave scelleratezza? E come mai, essendo santa e tanto prudente, mi nasconde questo fatto? Sospendo il giudizio e mi fermo, ignorando la causa di ciò che vedo. Effondo alla vostra presenza il mio spirito afflitto, o Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe! Ricevete le mie lacrime come sacrificio gradito e, se le mie colpe hanno meritato la vostra indignazione, consideratevi obbligato, o Signore, dalla vostra clemenza e benignità, e non disprezzate pene così aspre. Non credo che Maria vi abbia offeso, ma, essendo io il suo sposo, non posso nemmeno presumere qualche mistero, di cui non sono degno. Guidate il mio intelletto e il mio cuore con la vostra luce divina, affinché io conosca e compia ciò che è più gradito alla vostra volontà».
380. San Giuseppe perseverò in questa orazione, perché, pur essendogli venuto in mente che nella gravidanza di Maria santissima poteva esservi qualche mistero da lui ignorato, non ne era convinto. Riusciva solo a trovare ragioni per evitare il giudizio di credeila colpevole nella sua gravidanza, rispettando in tal modo la santità dell'umilissima Signora. Così non giunse alla mente del santo il pensiero che ella potesse essere Madre del Messia. Alcune volte egli sospendeva i sospetti, altre l'evidenza glieli aumentava e suscitava e, così fluttuando, soffriva impetuose tempeste dall'una e dall'altra parte. Sbattuto e vinto, si fermava spesso in una penosa calma, senza determinarsi a credere cosa alcuna con la quale potesse superare il dubbio, rasserenare il cuore ed operare conformemente alla certezza che, dall'una o dall'altra parte, avesse avuto per regolarsi. Fu perciò così grande il tormento di san Giuseppe, che poté essere un'evidente prova della sua incomparabile prudenza e della sua santità. Egli meritò con questa tribolazione di essere predisposto da Dio al singolare beneficio che gli preparava.
381. Tutto ciò che segretamente passava nel cuore di san Giuseppe era manifesto alla Principessa del cielo, che lo osservava con la conoscenza e la luce divina che aveva. E sebbene il suo cuore santissimo fosse pieno di tenerezza e di compassione per ciò che pativa il suo sposo, non gli diceva parola alcuna su tale situazione, ma lo serviva con somma sottomissione e sollecitudine. L'uomo di Dio, sotto una parvenza di noncuranza, la guardava con attenzione maggiore di quella che qualsiasi altro uomo al mondo abbia mai usato. Inoltre, siccome la gran Signora, servendolo a mensa e in altre mansioni, faceva alcuni movimenti che rendevano più evidente il suo stato, san Giuseppe considerava tutto, e sempre più si accertava della verità con grande afflizione dell'anima sua. Infatti, sebbene fosse santo e retto, dal momento in cui si sposò con Maria santissima si lasciò sempre rispettare e servire da lei, mantenendo in tutto l'autorità di uomo e capo, benché la moderasse con rara umiltà e prudenza. In verità, finché ignorò il mistero della sua sposa, giudicò che doveva mostrarsi sempre superiore, con la dovuta moderazione, a imitazione degli antichi Padri e Patriarchi, dalla parola dei quali non doveva allontanarsi, perché le donne fossero ubbidienti e sottomesse ai loro mariti. Del resto, avrebbe avuto ragione di comportarsi in questo modo se Maria santissima, signora nostra, fosse stata come le altre donne. Eppure, malgrado tanta differenza, nessuna fu o sarà mai, più ubbidiente, umile e soggetta a suo marito, dell'eminentissima Regina. Lo serviva con incomparabile rispetto e prontezza e, benché conoscesse le sue preoccupazioni e l'attenzione che aveva per il suo nuovo stato, non per questo ricusò mai di fare tutte le azioni che le competevano, né si curò di nascondere la novità del suo corpo, perché simile raggiro, artificio o doppiezza contrastava con la verità ed il candore angelico che ella aveva, e con la generosità e grandezza del suo nobilissimo cuore.
382. La gran Signora avrebbe ben potuto addurre come garanzia della verità della sua assoluta innocenza la testimonianza di sua cugina santa Elisabetta e di Zaccaria, perché il tempo in cui ella aveva dimorato con loro era appunto quello in cui san Giuseppe, se avesse sospettato di qualche colpa in lei, avrebbe potuto attribuirgliela, in apparenza, più fondatamente. Quindi ella, così o in altri modi, benché non gli avesse manifestato il mistero, avrebbe potuto discolparsi e liberare dalla preoccupazione san Giuseppe. Tuttavia, la maestra della prudenza e dell'umiltà scartò tale possibilità, perché non si accordava con queste virtù il parlare in proprio favore e il convincerlo di così misteriosa verità con la sua stessa testimonianza. Ella rimise tutto con grande sapienza alla disposizione divina; e sebbene la compassione per il suo sposo e l'amore che gli portava la inducessero a consolarlo e a liberarlo dalle pene, non fece ciò col discolparsi, né col nascondere la sua gravidanza, ma servendolo con maggiori cure e procurando di farlo stare lieto, domandandogli che cosa desiderava e voleva che ella facesse, e dandogli altri segni di sottomissione e di amore. Molte volte lo serviva genuflessa e questo, benché da una parte consolasse alquanto il suo sposo, dall'altra gli procurava maggiori motivi di afflizione. San Giuseppe, infatti, considerava le molte ragioni che aveva per stimare ed amare chi egli non sapeva se lo avesse offeso o meno. La divina Signora pregava di continuo per lui, chiedendo all'Altissimo che lo guardasse e consolasse, e si rimetteva tutta alla volontà di sua Maestà.
383. San Giuseppe non poteva nascondere interamente la sua acerbissima pena, cosicché molte volte era mesto e pensieroso. Trasportato da questo dolore, parlava alla sua divina sposa con più severità di prima; ciò era come un inseparabile effetto del suo cuore afflitto, non sdegno né vendetta, giacché questa non gli venne mai in mente, come si vedrà in seguito. La prudentissima Signora, però, non mutò il suo atteggiamento, né fece dimostrazione alcuna di risentimento, anzi, appunto per questo motivo si preoccupava maggiormente di dare sollievo al suo sposo. Lo serviva a mensa, gli dava la sedia, gli porgeva il cibo, gli serviva da bere, e facendo tutto ciò con incomparabile grazia. Poi san Giuseppe le comandava di sedere e si andava sempre più assicurando nella certezza della gravidanza. Non vi è dubbio che questa vicenda fu una di quelle che più provarono non solamente san Giuseppe, ma anche la Principessa del cielo; in essa si manifestò chiaramente la profondissima umiltà e sapienza della sua anima santissima e il Signore le diede modo di esercitare e mettere alla prova tutte le sue virtù, perché non solo non le comandò di tacere il mistero della sua gravidanza, ma neppure le manifestò la sua divina volontà tanto espressamente come in altri avvenimenti. Per questo pare che Dio avesse rimesso e affidato tutto alla scienza e alle virtù divine della sua diletta sposa, lasciandola operare con esse senz'altra speciale illuminazione o grazia. La divina Provvidenza dava occasione a Maria santissima e al suo fedelissimo sposo Giuseppe di esercitare, ciascuno con atti eroici, le virtù e i doni che aveva loro infuso. Si compiaceva - a nostro modo d'intendere - della fede, della speranza e dell'amore, nonché dell'umiltà, pazienza, quiete e serenità di quei candidi cuori, nel mezzo di un'afflizione tanto grande. Per accrescere la sua gloria, per dare al mondo questo esempio di santità e di prudenza e per ascoltare le dolci implorazioni di Maria santissima e del suo castissimo sposo, che gli erano tanto gradite, Dio si comportava come un sordo, affinché essi le ripetessero, e faceva finta di niente senza rispondere loro sino al tempo opportuno.
Insegnamento della Regina e signora del cielo
384. Figlia mia carissima, altissimi sono i pensieri e i fini del Signore, la sua provvidenza con le anime è forte e soave, ed è ammirabile nel governo di tutte, specialmente dei suoi amici ed eletti. Se i mortali venissero a comprendere l'amorevole sollecitudine con la quale questo Padre delle misericordie si preoccupa di guidarli e condurli, sarebbero maggiormente dimentichi di se stessi e non più preda di tanto molesti, inutili e pericolosi pensieri con i quali vivono affannandosi tanto e procurandosi varie dipendenze dalle altre creature. Si abbandonerebbero sicuri alla sapienza e all'amore infinito, che con dolcezza paterna avrebbe cura di tutti i loro pensieri, come delle loro parole ed opere, e di tutto ciò che è meglio per loro. Non voglio che tu ignori questa verità, ma anzi che tu sappia come il Signore dalla sua eternità tiene presenti nella sua mente divina tutti i predestinati che devono esistere nelle diverse epoche, e con l'invincibile forza della sua infinita sapienza e bontà va disponendo ed indirizzando tutti i beni che sono loro utili, affinché si realizzi ciò che il Signore ha determinato a loro riguardo.
385. Per questo alla creatura razionale importa tanto il lasciarsi guidare dalla mano del Signore, abbandonandosi tutta alla sua volontà divina, perché i mortali ignorano le proprie vie e il fine a cui per esse devono amvare, e, nella loro ignoranza, non possono sceglierle da soli se non con grande temerarietà e col pericolo della propria perdizione. Ma se di tutto cuore si mettono in braccio alla provvidenza dell'Altissimo, riconoscendo lui come Padre e se stessi come suoi figli e sue creature, sua Maestà si costituisce loro protettore, rifugio e guida con un amore così grande da volere che il cielo e la terra sappiano come spetti a lui governare i suoi e reggere coloro che in lui confidano e a lui si abbandonano. Se Dio fosse capace di sentire pena o gelosia come gli uomini, la proverebbe nel vedere che un'altra creatura s'intromette nella cura delle anime e che queste ricorrono a cercare quello di cui hanno bisogno in qualcun altro al di fuori di lui, che ha preso tutto ciò su di sé. Inoltre, i mortali non possono ignorare questa verità, se considerano quello che fa un padre per i suoi figli, uno sposo per la sposa, un amico per un altro e un principe per il favorito che egli ama e vuole onorare. Tutto questo è niente in confronto con l'amore che Dio porta ai suoi e con quello che egli vuole e può fare per loro.
386. Sebbene in generale gli uomini credano questa verità, nessuno può arrivare a conoscere l'amore di Dio e i suoi effetti particolari per le anime che si abbandonano e rimettono totalmente alla sua volontà. Anche tu, figlia mia, non puoi manifestare quanto ne conosci, e ciò non è conveniente; conservalo però nel tuo cuore. Sua Maestà dice che non perirà un solo capello dei suoi eletti, perché sono tutti contati. Egli guida i loro passi sulla via della vita e li allontana dalla morte; tiene fisso lo sguardo alle loro opere, corregge i loro difetti con amore, sorpassa i loro desideri, previene i loro sforzi, li difende nel pericolo, li accarezza nella quiete, li conforta nella lotta, li assiste nella tribolazione, li preserva dall'inganno con la sua sapienza, li santifica con la sua bontà, li fortifica col suo potere e, come essere infinito a cui nessuno puo resistere od opporsi, opera ciò che può, può tutto ciò che vuole e vuole darsi tutto al giusto che si trova nella sua grazia e confida solo in lui. Chi mai può misurare quali e quanti saranno i beni che egli diffonde in un cuore disposto in questa maniera a riceveili!
387. Se tu desideri, amica mia, avere questa buona sorte, imitami con vera sollecitudine e da oggi in poi rivolgi tutta la tua solerzia a conseguire con efficacia un vero abbandono alla Provvidenza divina. E se ti invierà tribolazioni e pene, ricevile ed abbracciale con cuore imperturbabile, con tranquillità di spirito, con pazienza, con viva fede e speranza nella bontà dell'Altissimo, che sempre ti darà ciò che è più sicuro e conveniente per la tua salvezza. Non scegliere nulla da sola, perché Dio sa e conosce le tue vie; fidati del tuo Padre e sposo celeste, che con amore fedelissimo ti protegge e difende. Abbi fisso lo sguardo alle mie opere, giacché non ti sono nascoste, e sappi che nella mia vita, dopo i patimenti sostenuti dal mio Figlio santissimo, ciò che più mi fece soffrire furono le tribolazioni del mio sposo Giuseppe, in particolare quelle della circostanza di cui vai scrivendo.
13-13 Agosto 20, 1921 Gli atti fatti nel Divino Volere sono nuovi cieli d’amore e di gloria.
Luisa Piccarreta (Libro di Cielo)
(1) Continuando il mio stato di privazione e d’amarezza indicibile, il mio amabile Gesù è venuto appena, e facendomi cerchio con le sue braccia, mi ha detto:
(2) “Figlia mia, figlia del mio Volere, Io amo tanto chi vive nella mia Volontà, che mi fo custodia e lo tengo a difesa nelle mie stesse braccia. Sono geloso che neppure un atto vada sperduto, perché in ogni atto c’è la compromissione della mia stessa Vita. Il Fiat fece uscire la Creazione, e dal Fiat riceve continua conservazione, se il mio Fiat si ritirasse si risolverebbe nel nulla, e se si conserva integra, senza mutarsi, è perché dal Fiat non è uscita, ma però un nuovo Fiat non l’ho ripetuto, altrimenti uscirebbero altri nuovi cieli, altri nuovi soli e stelle, ma uno diverso dall’altro; ma nell’anima che vive nel mio Volere non è un solo Fiat, ma ripetuti Fiat, per cui come l’anima opera nel mio Volere, Io ripeto il Fiat e si estendono nuovi cieli, nuovi soli e stelle, e siccome l’anima contiene un’intelligenza, questi cieli sono nuovi cieli d’amore, di gloria, di luce, di adorazione, di conoscenza, da formare tale varietà di bellezza che Io stesso ne resto rapito. Tutto il Cielo, i santi, gli angioli non sanno distaccare lo sguardo, perché mentre stanno guardando la varietà dei cieli che contiene, altri nuovi si estendono, l’uno più bello dell’altro; veggono la celeste patria ricopiata nell’anima che vive nel mio Volere, la molteplicità delle cose nuove si moltiplicano all’infinito. Come non devo tenere custodita quest’anima e sommamente esserne geloso, se un solo suo atto vale più della stessa Creazione? Perché il cielo, il sole, sono senza intelligenza, onde da parte sua non hanno nessun valore, tutto il valore è mio. Invece, per chi vive nel mio Volere, contenendo un’intelligenza c’è il suo volere che corre nel Mio, e la potenza del mio Fiat se ne serve come materia per estendere questi nuovi cieli, sicché, come l’anima opera nel mio Volere mi dà il diletto di formare nuove Creazioni. Quest’atti sono l’esplicazione della Vita della mia Volontà, i prodigi del mio Volere, il mio Fiat ripetuto, come non devo amare quest’anima?”